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ARCHEOLOGANDO...
UNO STRANO FLAUTOdi Mauro
Paoletti per Edicolaweb Antichi
documenti, come il papiro di "Nu", fanno riferimento al volo,
come se la terra d’Egitto fosse stata visitata da "navi
solari"; ovvero veicoli spaziali mossi da energia
solare. Una conclusione speculativa, ma ciò che è stato
considerato fantasia e fervida immaginazione di un antico
popolo, oggi si è reso fattibile. A.N. Pirri e R.F. Weiss,
scienziati del Centro di Ricerche dell’"Avco Everet", negli
USA, hanno calcolato che un fascio laser, basato su di un
campo di tremila megawatt che pulsa a duecentocinquanta Hertz,
può mantenere in sospensione un veicolo nella nostra
atmosfera. Una volta nello spazio, può essere spinto dal vento
solare. Il Jet Propulsion Laboratory ha sviluppato un veicolo
spaziale provvisto di una vela di 260mq.; lanciato da un
vettore alla velocità di 8km al secondo, entro cento giorni
può raggiungere i 16km al secondo, ed entro due anni i 60km al
secondo. Scorrendo gli antichi testi sacri notiamo che i
Rishi dell’India antica parlavano di "veicoli aerei" azionati
dall’energia solare precedentemente immagazzinata. A questo
si collega la notizia diramata dalla agenzia di stampa Reuter,
il 27 settembre 1965, che comunicava la scoperta a Srinagar,
in Kashmir, di una strana sostanza, una "pietra" rosa, dura e
modellabile come la gomma, oggi esposta probabilmente al museo
locale. Gli esperti che l’hanno studiata vi hanno riscontrato
un legame con l’energia nucleare. Questa sostanza si è infatti
dimostrata capace di accumulare energia. È una strana
coincidenza che la notizia provenga da Srinagar. Questo nome
ci conduce a Ezechiele: 40,1-4 e 43,1-8. Il luogo che il
profeta descrive sembra sia stato identificato con Marand, trenta
chilometri da Srinagar, alta valle del Kashmir, zona piena di
templi, uno dei quali indicato come il "Tempio dei giudei", o
"Tempio del sole". È il più grande fra gli antichi edifici
esistenti nel Kashmir, alle cui spalle si erge l’Himalaia, il
monte altissimo descritto da Ezechiele. Secondo quanto
riportato da Eric Von Daniken in un suo libro, all’interno del
tempio sono state rilevate tracce di radioattività, oltre ad
un enorme parallelepipedo di pietra, simile al calcestruzzo,
che affonda nel terreno. Gli apparecchi avrebbero rilevato
all’interno della pietra un'anima metallica. A Parhaspur,
vicino a Srinagar, vi sono altri tre templi in rovina e con
altrettanti parallelepipedi. La pietra "rosa" rinvenuta nel
1965, unica nel suo genere, è stata studiata a lungo e sembra
che, dopo venti anni di ricerche, abbia avviato un processo di
retroingegneria. Scienziati giapponesi, studiandola, hanno
ricavato una sostanza in grado di immagazzinare energia dal
sole ed ottenere un’autonomia energetica di 61
giorni. Anche la NASA, di conseguenza, ha creato un
progetto simile, costruendo un motore a ioni solari, per navi
spaziali a sette stadi del tipo Mercury, concettualmente
simile ai velivoli descritti nel "Rig Veda" induista. Nel
Museo Archeologico di Instambul è conservato un modellino in
pietra di 22 centimetri di uno strano oggetto rinvenuto
durante uno scavo a Toprakale, in Turchia, risalente a 3.000
anni fa, che sembra la riproduzione di una navicella
spaziale tipo Shuttle. A Saccara, dove è stato
rinvenuto il famoso "uccello", sembra
che tale Lawrence Kennedy, nel 1980, abbia visto in una tomba
della terza dinastia (2.686-2.613 a.C.) un geroglifico ove era
rappresentata una nave spaziale sigariforme. Vi è solo la sua
testimonianza ma il papiro di Nu descrive il serpente sul
fianco della montagna coperto con selci lucenti nella sua
lunghezza di circa sedici metri, ossia una nave di forma
allungata. Storie, illazioni, speculazioni. Può darsi, ma
l’Egitto è pieno di queste fantasie. L’archeologo Kinnaman,
nel suo libro "Digger For Facts", racconta che, nel 1924,
insieme a Sir William M. Flinders, trovò nella Grande Piramide
una camera segreta piena di prismi di cristallo e sofisticati
oggetti altamente tecnologici. Willie Semple in un articolo
sul "Rosicrucian Digest" scrisse che secondo il Dr. Kinnaman
"il mondo non è al corrente di queste conoscenze e non crede
che esistano". Nell’articolo si accenna anche alla scoperta di
una "mostrina" di metallo, come quelle dei nostri militari,
vecchia di 3.500 anni, probabilmente indossata da alcuni
"piloti". Erodoto scrisse che il dio egizio Thoth,
conosciuto dai Greci con il nome di Ermes, giunse sulla Terra
proveniente dalle stelle nel 17.570 a.C., ed era assolutamente
certo di tale data. Secondo Sanconiatone, Ermes costruì un
vascello che usò per viaggiare nello spazio quando lasciò
l’Egitto. Salutò i sacerdoti egizi dicendo loro: "Adesso
ritorno dal paese da dove venni". Abbiamo già detto che
negli scritti ermetici si racconta che Thot scese sulla terra
utilizzando un veicolo definito "Camera Celeste", la famosa
"ben-ben",
"l’omphalos", la "pietra Conica", conservata in ogni luogo
oracolare: Ur, Delo, Delfi. Qualcosa di simile venne
presentato nel museo De Young di San Francisco in occasione di
una mostra sulla città di Teotihuacan. Vennero esposte alcune
pietre verdi di forma conica alte circa m.1,3 ognuna. Diciotto
pezzi in tutto, ritrovati nel tempio del Sole, insieme a venti
scheletri. Alla base delle pietre è presente un motivo
ondulato a simboleggiare le onde o il fuoco. Nell’area dello
scavo venne scoperta anche una grotta, indicata come il luogo
ove ebbe inizio il genere umano. Ben-Ben, Omphalos e le
pietre coniche richiamano quella tecnologia che l’uomo ha
impiegato per realizzare il modulo di rientro atmosferico per
il programma lunare Apollo, di forma perfettamente
conica. Sempre nel Museo De Young è conservato un reperto
lungo circa trenta centimetri, rinvenuto a Veracruz e
catalogato come "Flauto".
Ingegneri aeronautici lo hanno classificato coma la
riproduzione in scala di un modello di un velivolo Hovercraft
del tipo GEM (Ground Effect Machine), macchina effetto suolo
con pilota. Il punto dove siede l'essere ai comandi ha un
supporto posteriore che gli sostiene la vita, intorno alla
quale un largo cinturone funziona da sedile. Il perizoma
anteriore somiglia ad un pannello strumentale. Uno scudo
anteriore ove è scolpito un viso umano potrebbe riprodurre
quello che nell’esemplare originale era il "cofano" del vano
motore. Ai lati vi sono ali circolari unite a due "boma"
(termine nautico che indica il perno orizzontale su cui viene
agganciata la vela) con un grande foro centrale, che consente
all’aria di essere risucchiata dai propulsori e soffiata verso
il basso. Osservando l’oggetto si notano anche ugelli a
becco per le prese d’aria sulla parte anteriore e condotti di
scappamento che potrebbero indicare la presenza di motori a
getto. La cosa più insolita è la coda detta di "scorpione"
dietro al pilota. Questo particolare, secondo il parere degli
esperti aeronautici, non è solo possibile ma corretto. Difatti
sia l’ingegneria aeronautica russa che la "Fokker Aircraft"
tedesca hanno costruito un GEM che, con una coda analoga, era
in grado di elevarsi fino a tre metri di altezza, contro il
metro e ottanta circa degli hovercraft tradizionali. La
coda sollevandosi funge da freno e rallenta la discesa del
velivolo, mentre se inclinata a destra o a sinistra serve come
timone tradizionale. L’oggetto di Vera Cruz, incredibilmente,
presenta le medesime caratteristiche. Lo Yucatan un tempo
era percorso da un esteso sistema di canali, quindi è
possibile venissero usate aeronavi che rasentavano la
superficie dell’acqua, traversando velocemente la giungla. Il
disegno stilato
da Eddy Smith (ingegnere aeronautico) che riproduce come
doveva essere il velivolo in origine, è eloquente. Il casco da
Drago e le imbottiture delle spalle del pilota appaiono, oltre
alla trasposizione mitizzata di una combinazione di volo, come
protezioni contro ostacoli improvvisi. Il "flauto" presenta
spunti di notevole riflessione e può essere associato alle
statue con gli occhiali della cultura Totonaca del Messico
(700 a.C.) che a loro volta richiamano le statuette
giapponesi "Dogu" della cultura Jomon (10.000-300
a.C.). Non è la sola testimonianza circa la presenza di
velivoli leggeri nel passato. Nel 1974, un gruppo di
lavoratori trovarono a 50km a nord di Cluj Napoca, al margine
esterno del Monte Siebenberger, in una cava di sabbia in riva
al fiume Mures, a circa 2 km ad est della città di Aiud, in
Romania, tre piccoli oggetti conficcati in uno strato
sedimentario del fiume. Gli oggetti erano situati ad una
profondità di dieci metri e coperti da una dura crosta
sabbiosa; furono inviati per ulteriori esami all’Istituto
Archeologico di Napoca. Qui fu rimossa la crosta sabbiosa e i
fossili vennero identificati come il frammento di un osso
articolare e il dente molare di un giovane mastodonte,
antenato dell’odierno elefante, vissuto fino a un milione di
anni fa. Il terzo oggetto, lungo
venti centimetri, risultò costituito di metallo e presentava
due fori artificiali di diametro differente. Nella parte
più bassa del foro più largo si notava una deformazione ovale,
probabilmente causata da un’asta adattata al suo interno. La
superficie e il lato superiore mostravano tracce di ripetuti
colpi con un oggetto di maggiore resistenza. Tutti i dettagli
indicavano che l’oggetto era stato parte di un
meccanismo. I test metallurgici servirono solo a
incrementare il mistero. Le analisi fatte dal Dottor
Niederkorn dell’"Istituto Ricerche sui Metalli non Ferrosi e
Oro", di Magurlele, in Romania, evidenziarono che l’oggetto
era costituito da una lega composta da dodici metalli
diversi. Oltre all’alluminio, contenuto nella misura del
89%, furono identificati anche Rame, Silicio, Zinco, Piombo,
Stagno, Cadmio, Nichelio, Cobalto, Bismuto, Argento e tracce
di Gallio. È noto che l’alluminio si trova in natura solo
in forma aggregata. Scoperto nel 1825, da H.C. Oersted, fu
ottenuto mediante sistema elettrolitico da minerali grezzi
allo stato fuso a temperature oscillanti fra 950 e 970 gradi
Celsius (1742-1778 gradi Fahrenheit). La sua produzione
industriale avvenne solo alla fine dell’ottocento. Questo
fatto basta da solo a confermare l’eccezionalità del reperto.
In realtà uno dei suoi aspetti più insoliti è la presenza di
una spessa pellicola di ossido d’alluminio in superficie.
L’ossidazione deriva dall’assorbimento di ossigeno o dalla
rimozione di elettroni. Normalmente l’alluminio esposto
all’aria forma uno strato di ossido che lo rende più
resistente alla corrosione. Attraverso questa azione ogni
altra ossidazione viene bloccata. La pellicola ossidata,
riscontrata sull’oggetto in questione, risultò con uno
spessore oltre un millimetro, cosa che non è stata osservata
in nessun altro caso. Un tale spessore è giustificabile solo
nel caso l’oggetto abbia un’età di centinaia di migliaia di
anni, fatto letteralmente inconcepibile. Uno degli analisti
scrisse a riguardo: " È incredibile, ma l’alluminio sembra
avere una struttura alterata, come se gli altri elementi della
lega siano ritornati alla loro propria forma
cristallina". Nessuno degli specialisti, archeologi,
paleontologi, ingegneri, che investigarono, furono in grado di
identificarne la funzione. Fu un ingegnere aeronautico a
suggerire l’interessante ipotesi che l’oggetto fosse simile ad
una piastra di atterraggio di un aereo non molto grande che,
come l’Aquila lunare o il Viking, intende atterrare dolcemente
sul terreno. Le evidenze che supportano questa ipotesi si
riscontrano, non solo nella forma, ma anche nei due fori,
probabilmente punti di attacco di gambe d’atterraggio; nelle
tracce di graffi sul lato sottostante e sugli orli; nonché per
il materiale di alluminio, usato proprio per la sua leggerezza
nell’ingegneria spaziale e aeronautica. Non sappiamo se è
stato rinvenuto qualcosa di consistente durante gli scavi. I
resoconti parlano di altri resti dell’oggetto persi,
purtroppo, durante la campagna archeologica. Qualche
frammento dell’oggetto è stato in possesso del Dr. F.
Gheroghita, il quale ha effettuato alcune analisi
elettrotecniche nel 1974. I risultati sono riportati nel libro
"Enigme in Galaxie" del 1983, pubblicati nella rivista
Svizzera "Jupiter Journal" n. 8 del 1990, e ne ha parlato
ancora E.Von Daniken, nel 1995, in "Fremde aus dem All".
Secondo il Dr. Gheorghita l’oggetto non è stato fabbricato nel
Pleistocene, né da nostri antenati e, con molta probabilità,
non sul nostro pianeta. Gheorghita ha ricevuto due foto a
colori dell’oggetto da un appassionato "Indiana Jones" che
avrebbe riscoperto l’oggetto in un magazzino del Museo
Archeologico di Cluj-Napoca. Secondo quanto riportato dalla
rivista Ancient Skies, del settembre 1992, la scoperta di
reperti associabili a velivoli nella preistoria venne
annunciata il 26 giugno 1977, anche in un articolo a firma di
John Payne (ho tentato di rintracciare Payne ma senza successo
n.d.a.) su di un quotidiano australiano che titolava: "Trovati
in una miniera ma sono dell’altro spazio?" L’articolo
descriveva tre perfette forme discoidali trovate sepolte in
una miniera di carbone del Sud Australia che stavano
sconcertando i geologi. Del diametro di un metro e settanta,
erano state trovate in uno strato risalente a milioni di anni
fa ed inizialmente scambiate per smisurate conchiglie fossili.
Un esperto marinaio di Adelaide, Michael Latrie, dichiarava di
non aver mai visto nulla di simile e che i reperti possedevano
"l’identico aspetto del ferro e dell’acciaio rimasti sepolti
per lunghissimo tempo". Il giornale continuava: "Gli
scienziati che si sono occupati della scoperta credono che il
deposito di carbone dove sono stati trovati sia stato
consumato da una fiammeggiante meteora migliaia di anni fa.
Questa teoria si lega ad una leggenda degli aborigeni, che
parla dell’atterraggio, molto tempo fa, di un gigantesco aereo
giunto dal paradiso. Gli uomini dell’aereo accesero un enorme
fuoco per segnare il loro arrivo. Forse era una sonda inviata
sulla Terra da una nave madre." Alcuni ricercatori
ipotizzarono si trattasse di "Landing Pads" (piedi di
atterraggio) di una antichissima navicella spaziale; della
stesa opinione il Dr. David Stewart, un architetto che ha
prestato servizio nella "Royal Air Force". Quanto finora
scritto ci induce a considerare che nell’antichità il volo era
già noto. Dalla documentazione rinvenuta emerge che una
civiltà precedente impiegava una tecnologia avanzata,
acquisita forse attraverso millenni di esperienze, oppure
introdotta da una civiltà giunta dal cosmo. Ho già avuto
modo di scrivere che questo fenomeno si riscontra in tutta
quella letteratura storico religiosa che menziona carri di
fuoco e descrive le apparizioni di "travi lignee", "scudi
volanti", "croci di fuoco". Perfino nell’Odissea si
descrivono navi con piloti automatici, quelle dei Feaci, che
erano in grado di trasportare Ulisse fino a Itaca e fare
ritorno a Corfù nello stesso giorno, senza sbagliare o essere
ritardate da tempeste o dalla nebbia, in quanto, come scritto
dall’autore, "dotate di una propria intelligenza". Reperti
che presentano una realtà diversa da quella raccontata o
immaginata, in contrasto con le teorie convenzionali
riguardanti l’evoluzione della specie umana, vengono
sistematicamente nascosti. Si celano nei sotterranei di
qualche museo, mescolandoli con altri reperti di epoche
diverse; oppure si sotterrano di nuovo dove sono stati
rinvenuti, dopo aver destinato lo scavo ad altri usi. Si
forniscono spiegazioni errate per nascondere verità non sempre
in linea con la storia scritta dell'umanità e si impediscono
pubblicazioni che rivelino le reali datazioni dei reperti. Si
operano pressioni sugli autori del ritrovamento e nei riguardi
dei loro sostenitori. Non resta che chiedersi quale valido
aiuto potrebbero fornire queste scoperte, oppure, di contro,
quali e quanti reperti hanno già fornito tale aiuto, nel più
assoluto e silenzioso riserbo.
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