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ARCHEOLOGANDO...
QUIRIGA: STELI SENZA
FIORIdi Mauro Paoletti per Edicolaweb Non sempre gli
esperti riescono a spiegare quanto viene riportato alla luce
dagli archeologi. A volte alcuni oggetti e luoghi rimangono
avvolti dal più fitto mistero. In particolare quando sono
interessate le vestigia di quelle civiltà che hanno popolato
in tempi antichi il Sud America. La memoria va subito agli
Inca, agli Aztechi e ai Maya, riscoperti in quest’ultimo
decennio e presentati al grande pubblico attraverso articoli
mirati, reportage giornalistici e televisivi, manifestazioni
culturali, mostre commemorative organizzate in tutto il mondo.
La decifrazione dei geroglifici e delle steli ci ha consentito
di conoscere quanto erano grandi le città stato, quali erano i
rapporti dinastici, le campagne militari, la vita dei sovrani
e quella quotidiana del popolo. Nonostante tutto ciò,
nell’America Centrale, fra il Guatemala e l’Honduras, in mezzo
ad una piantagione di banane, fra il Rio Hondo e Porto
Barrios, sul Golfo dell’Honduras, si trova uno dei più
misteriosi siti Maya: Quiriga. Fuori degli itinerari
turistici convenzionali, espone diversi oggetti scolpiti nella
pietra ai quali gli addetti ai lavori non sono ancora in grado
di dare una spiegazione. Tutto il mondo ignorava la sua
esistenza fino al 1841, quando l’esploratore John Lloyd
Stephens, che nel 1840 si trovava a Copan, venne casualmente a
conoscenza di un luogo pieno di fantastiche sculture in pietra
nei pressi del fiume Montagua. Stephens era un affermato
avvocato statunitense che amava indagare sulle vicende dei
popoli antichi. Intraprese alcuni viaggi in Egitto, Arabia,
Grecia e Turchia che documentò nei libri. Un giorno venne in
possesso del diario di un altro viaggiatore che narrava le
esplorazioni effettuate nell’America centrale e nello Yucatan.
Dopo averlo letto i suoi interessi si spostarono verso quelle
terre. Fu come pervaso da una specie di febbre; non si curò
nemmeno di verificare se le fonti erano attendibili, né di
controllare i racconti dei conquistatori spagnoli; scelse come
compagno di viaggio l’amico Frederick Catherwood, un
disegnatore inglese, e organizzò una spedizione. Le sue
conoscenze gli procurarono anche un finanziamento da parte del
governo degli Stati Uniti, a quel tempo interessato
economicamente verso l’America centrale. Non senza ostacoli
e sfidando il governo locale si ritrovò in Honduras a
ripercorrere la strada di Cortez fino a Copan. Con l’amico
si addentrò, per giorni e giorni, in una foresta così fitta da
non vedere chiaramente dove posavano i piedi; le mani e il
viso sferzato dalle piante spinose, assaliti da sciami di
zanzare che fuoriuscivano dalla melma. I giorni passavano
senza scorgere nessuna vestigia antica; la sfiducia prese
presto il sopravvento. Iniziò a credere che i racconti degli
Indios fossero solo frutto della loro fantasia; finché, un
giorno, un colpo di machete sollevò il fogliame che ostruiva
la strada e davanti ai suoi occhi esterrefatti comparve un
muro di pietre disposte ordinatamente. Poco distante una
scalinata che lo condusse ad una terrazza ricoperta di
vegetazione. I colpi di machete si fecero convulsi e come dal
nulla apparve una stele di pietra scolpita in uno stile mai
visto. Le scoperte si susseguirono, una seconda, una terza
stele e così via. Quattordici in tutto. Col tempo, e non senza
fatica, vennero liberati templi e piramidi. Quanto scritto
da Stephens è eloquente: "…il monumento era ricoperto di
terra. Quando la scoprimmo, la statua era sepolta fino agli
occhi. Smuovemmo la terra intorno con il machete e le mani
finché divenne impossibile proseguire, la terra era piena di
radici che la avvolgevano. Venne allontanato il terriccio a
tre metri di distanza, ma occorreva rimandare il
lavoro." Le rovine furono ben presto liberate dalle piante
e Catherwood, con assoluta calma e senza impedimenti, fu in
grado di riprodurre nei minimi particolari i monumenti. I suoi
disegni sono rimasti per lungo tempo uniche testimonianze
dell’esistenza di quei luoghi e degli artefatti esistenti;
sono stati dichiarati il miglior mezzo al servizio
dell’archeologia per documentare quanto il tempo e le incurie
hanno depauperato. A Copan si trovano le più belle rovine
Maya costruite su di un’acropoli artificiale in parte erosa
dal fiume. L’esploratore descrisse il sito come "una valle di
romantica suggestione dove i geni al servizio di Re Salomone
sembravano essere stati gli artisti". Fu quindi con il
timore di un raggiro, covando il sospetto che volessero fargli
acquistare un altro mucchio di rovine ma stavolta senza valore
archeologico, che John incaricò l’amico Catherwood di andare
ad esplorare la zona indicata di Quiriga. Il disegnatore
inglese deve essere rimasto senza parole di fronte agli
enigmatici oggetti in pietra, oggi esposti fuori del Museo in
un verdeggiante parco tropicale e dichiarati patrimonio
dell’umanità. John Stephens in seguito ingaggiò uno
specialista per preparare calchi di gesso dei monumenti di
Copan e Quiriga, oggi visibili nei musei di New York e di
Londra. Un signorotto del luogo vantò da subito i suoi
diritti: se l’avvocato voleva l’aiuto richiesto doveva
rispettarli. L’insistenza di questo proprietario spinse
Stephens a chiedere a quell’uomo quale era il prezzo di quelle
rovine. Si racconta che superato il momento di stupore,
seguirono giorni di discussioni e alla fine l’avvocato
americano riuscì ad acquistare Copan per la somma di cinquanta
dollari. Non riuscì però a comprare Quiriga e spedire i
relativi monumenti a New York, i latifondisti locali avevano
richiesto un prezzo esorbitante rendendo impossibile la
transazione. Il luogo è stato comprato dalla Fruit Company,
nel 1910, e lo ha trasformato in un parco archeologico. Ha
organizzato i primi scavi sistematici ed ha preso grandi
misure per proteggere i tesori della città. È anche vero
che per raggiungere quei luoghi, all’epoca, si doveva
attraversare una selva inospitale invasa da fastidiose
zanzare, mentre oggi, grazie al lavoro svolto dalla Fruit
Company che ha bonificato nuovamente il luogo, ove col tempo
la vegetazione aveva ripreso il sopravvento e deteriorato
alcune opere, è facilmente raggiungibile perché la strada
nazionale vi passa vicino. Come Copan, nel vicino Honduras,
Quiriga è rinomata per le imponenti steli in pietra arenaria
fatti costruire dai re Maya. In un largo spiazzo fra la
vegetazione ben trentacinque monoliti si ergono sul terreno
(vedi foto: a, b, c). La natura
della pietra e un clima favorevole hanno contribuito a
conservare le opere com’erano 1.200 anni fa. Altri centri Maya
hanno eretto steli, ma quelle di Quiriga sono insuperabili
nello stile e nella tecnica. L'arenaria usata è
considerevolmente più dura del calcare trovato da altre
parti. Considerando che la stele più alta pesa circa 65
tonnellate, con i suoi 10,5 metri, si spiega difficilmente
come sia stato possibile trasportare le ciclopiche pietre
dalle lontane cave, senza utilizzare mezzi con ruote - secondo
l’ufficialità quel popolo non conosceva l’uso della ruota - o
animali da soma, attraverso quella giungla impervia e ostile
descrittaci da Stephens. Con quali mezzi siano state erette,
come siano state eseguite le complesse sculture senza il
beneficio degli attrezzi di metallo. Avevano a disposizione
solo attrezzi in pietra rudimentali: scalpelli e martelli in
pietra o di legno per realizzare raffinate opere di notevole
livello artistico. Non parliamo poi delle sculture
classificate come zoomorfi. Grandi massi d'arenaria che
rappresentano animali coperti di figure e di glifi. Ogni
stele, ogni masso è stato portato ed eretto sul posto prima di
iniziare la scultura. Non si trova niente di simile negli
altri luoghi Maya. Protetti da baldacchini con tetti di
paglia i monumenti si
ergono come guardiani a custodire la piazza situata su un
piano alluvionale vicino al fiume Montagua. Questi
obelischi sono stati eretti per commemorare il passaggio del
tempo, assumendo la funzione di bacheche, veri tabloid ove
venivano riportati gli eventi storici più significativi. Le
intere superfici di queste pietre sono ricamate con glifi e
sono le sculture Maya più complicate e più sconcertanti.
Sembra che gli archeologi, decodificando le iscrizioni sulle
Steli "F" e "D", vi abbiano trovato descritti eventi oscuri
avvenuti fra 90 e 400 milioni di anni fa. La maggior parte
delle steli sono state erette durante i sessant’anni di regno
di Cielo di Cauac, o Kawak, il sovrano più importante di
Quiriga, l’iniziatore della dinastia dei sovrani del Cielo.
Non sorprende che la sua immagine sia impressa su sette dei
nove monoliti. Ufficialmente la storia narra che Cielo di
Cauac conquistò Copan e catturato il suo re lo fece decapitare
pubblicamente nella piazza, immortalando l’evento sopra un
masso conosciuto come "Zoomorfo G",
posto nel centro della piazza. La scultura raffigura un
giaguaro che ha nelle sue fauci una testa che potrebbe essere
quella del re di Copan. Da quel momento sembra che Quiriga sia
divenuta una città autonoma con il controllo della via
commerciale dai Caraibi al mondo di Maya che attraversava il
bacino di Motagua; un centro di collegamento fra Copan e
Tikal, un importante centro cerimoniale nel quale furono
erette numerose steli monumentali. A Quiriga si trova la
Stele "E", la più alta ritrovata in terra Maya, oltre 10
metri. Vi si ammirano anche altre steli alte dai tre a otto
metri; che presentano tutte l’effige del re, un personaggio
dai lineamenti orientali, con una elaborata e insolita
acconciatura, o pettinatura molto alta. Cosa che riporta alla
mente la forma dei crani rinvenuti a Ica, Merida e Abido, alle
strane statuette di Ubaid, adorate come Dèi dai Sumeri. Il
fatto che il suo nome sia Cielo di Kawak, primo della dinastia
dei sovrani del Cielo, ci spinge a speculazioni, forse errate
ma intriganti, che ci conducono a guardare lontano, come dire,
verso il "cielo". I fatti storici dicono che Copan cade con
l’apparire di questa dinastia, la cui durata è limitata a
Cielo di Cauac e ad altri tre suoi successori, ognuno dei
quali regnò per soli cinque anni prima che Quiriga venisse
inspiegabilmente abbandonata. Le speculazioni nascono da
sole; da dove proveniva Cielo di Cauac e la sua gente? Dal suo
arrivo risulta evidente un miglioramento negli usi e costumi
dei locali; le sculture ne sono la prova più
evidente. Quiriga è unica, con la sua collezione di oggetti
scavati nella pietra, in una forma complicata, a rappresentare
animali, immensi
mostri di sconosciuta origine, provvisti di grandi artigli
acuminati raffigurati sempre con la testa o il tronco di un
essere umano nella loro bocca. Non traspare l’impressione che
l'uomo sia il pasto di queste figure mostruose, sembra invece
che esso sia in grado di dominare o guidare il mostro, come se
fosse un mezzo di locomozione. Le sculture sono adornate da
una serie di pannelli in rilievo e glifi pittorici non ancora
decifrati e che si prestano a molteplici
interpretazioni. Nella un glifo di una stele con una
scultura che riproduce uno strano meccanismo,
indicato dalle "X" sovrapposte, intorno ad un essere che lo
manovra. In molti altri disegni e sculture Maya sono
presenti alcune "X" usate per indicare il potere e l’energia.
Considerando queste "X", come la sezione a croce del cilindro,
simboli che appaiono anche nel codice Troano, è stato
elaborato da alcuni tecnici un motore perfettamente
funzionante. Tale motore genera 400 CV, utilizzando una camera
di quaranta centimetri cubici, compiendo cinquecento giri al
minuto. Per chi non ne fosse a conoscenza un motore
tradizionale che compie cinquemila giri al minuto sviluppa
solo 200 CV. La figura presa in esame ricorda a prima vista
qualcuno che adopera un martello pneumatico come quelli usati
per rompere il calcestruzzo, ma è rappresentata scalza e con
il piede destro alzato, in modo che il pollice poggi sulla
base, quindi tale ipotesi non è più corretta. Potrebbe
rappresentare invece la piattaforma di una macchina
volante. Lo Zoomorfo "O"
mostra quella che è stata definita una delle più elaborate e
complicate sculture Maya. Sulla scultura si trova una curiosa
figura che il National Geographic Magazine (1975) considera la
rappresentazione di un danzatore che
tiene, o trattiene, un serpente mentre si contorce. Lo strano
è che la figura si contorce sul viso di un individuo legato e
confinato in uno spazio angusto. Si nota bene la cinghia
intorno alle caviglie e alle cosce. La faccia sofferente è
mostrata in basso a sinistra della pietra. I glifi ci dicono
senza dubbio di cosa si tratta ma, purtroppo, nessuno è in
grado di decifrarli. Ci viene di pensare alla
rappresentazione di prigionieri usati come cavie da
laboratorio. Una serie di glifi posti sulla Stele "D"
presentano una persona
sofferente esaminata da un "dottore", utilizzando una specie
di sofisticato apparato provvisto di schermo, come quello di
un computer o un apparecchio televisivo. Il meccanismo viene
attaccato ai bracci del paziente a mezzo di tre sensori o
coppette come quelle di aspirazione. Sembra sia in atto un
esame medico. Nei glifi della Stele "E" si può
osservare, all’apice del pannello, ciò che sembra essere una
persona di età avanzata, dalla faccia grottesca, incatenato,
con un laccio intorno alle caviglie. Un prigioniero che
qualcuno controlla. Nel pannello più basso vediamo ancora il
sofisticato apparato medico di diagnosi applicato ai bracci
del paziente. Il personaggio raffigurato è ovviamente Maya,
mentre il "paziente" sembra appartenere ad una razza
diversa. E le stranezze non finiscono. Un altra
scultura, classificata come Zoomorfo "P",
rappresenta un monumento definito dagli archeologi "grande Altare
Tartaruga". Si tratta di un enorme masso, lungo
circa tre metri e alto due, scolpito in modo elaborato in
quello che viene definito un "Nodo Barocco"; è considerato il
più enigmatico. Secondo il punto di osservazione si scorgono
figure animali, come la scultura superiore che evoca una rana
a gambe aperte divaricate, mentre la visione totale
dell’oggetto fa pensare a un elefante. La caduta di Quiriga
potrebbe essere stata causata da un terremoto. Nel 1976 il
terremoto ha rivelato l’esistenza di un difetto geologico che
attraversa il villaggio di Quiriga devastato nel 1977. Proprio
un terremoto avrebbe costretto i cittadini sopravvissuti a
lasciare quel luogo. Forse anche in conseguenza
dell’esaurimento delle risorse naturali, ma le ragioni precise
per cui gli abitanti di Quiriga migrarono altrove, forse nello
Yucatan, sono poco chiare. Archeologicamente è un centro
molto modesto situato in una vallata lussureggiante, non ha
palazzi o templi monumentali rilevanti, ma nonostante ciò le
sue gigantesche steli fatte di arenaria e le sue pietre
scolpite in modo elaborato, sono senza dubbio reperti di
qualità differente. La Stele "E" è stata definita il
"massimo monumento liteo del Nuovo Mondo"; la figura barbuta
del sovrano che stringe il suo piccolo scudo e lo scettro,
sono al centro di testi che elencano numerose date così dette
dal "Computo Lungo". Le date che vengono estrapolate dalle
pietre enumerebbero avvenimenti avvenuti in tempi assai
remoti, impensabili per la nostra mente. È altresì indubbia
l’abilità degli scultori di quella città, come testimoniano le
grottesche figure delle iscrizioni, i mostri terrestri e
quelle raffigurazioni che alcuni indicano come "divinità
celesti in compagnia di esseri umani accovacciati fra le loro
spire di serpenti". Troppo facile abbinare quanto scritto
in un passo delle Stanze di Dzyan "…e i serpenti che
ridiscesero, che fecero pace con la Quinta (razza), che
l’ammaestrarono e l’istruirono…". John Lloyd Stephes visitò
Copan e dintorni, Quiriga compresa, quando nessun altro era in
grado di conoscere con certezza il nome dei costruttori di
quelle meraviglie. Era il 1839 e riguardo al popolo Maya non
esisteva nessun ricordo, perfino gli indio che abitavano
vicino a quelle rovine non davano l’impressione di discendere
da quella civiltà. Come John scrisse nel suo libro:
"L’America, dicono gli storici, era popolata dai selvaggi. Ma
i selvaggi non costruirono mai edifici come questi, né mai
lavorarono le pietre. Abbiamo domandato agli indios chi ne
fosse stato l’artefice. 'E chi lo sa?' hanno risposto". E
scrisse anche: "Una cosa è certa, la storia è scritta sui
monumenti. Finora nessun Champollion ha dedicato al problema
le energie della sua mente. Chi le leggera?". Nel 1958 è
stato documentato il noto "glifo emblematico" che ha
contribuito in modo determinante alla interpretazione di
quanto scolpito sulle steli e sugli architravi ed ha permesso
di ricostruire le vicende storiche di quel popolo. Solo nella
metà del ventesimo secolo e grazie al lavoro di molti studiosi
sono state decifrate le iscrizioni Maya. I glifi di Quiriga
sono ancora da decifrare e non conosciamo completamente le
storie che narrano le pietre. È qualcosa che può cambiare
quanto affermato fino adesso? Sopra una stele a Copan sono
raffigurati due elefanti, animali sconosciuti nelle Americhe
al tempo dei Maya, per quanto ci è dato sapere; ma se qualcuno
si è preso la briga di scolpirle sulla pietra significa che,
sicuramente, vi è stato un tempo in cui questi pachidermi
pascolavano nello Yucatan. Concludendo, risulta chiaro che
dobbiamo rivedere alcune cose in un’ottica diversa da quella
convenzionalmente accettata; o decidersi, una volta tanto, a
svelare alcune "verità".
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