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ARCHEOLOGANDO...


QUIRIGA: STELI SENZA FIORI

di Mauro Paoletti
per Edicolaweb

[monumenti protetti da baldacchini - 28K .jpg] [una delle 35 steli - 27K .jpg] [due delle 35 steli - 37K .jpg] [una delle 35 steli come è stata ritrovata ed oggi - 36K .jpg] [zoomorfo "G" - 32K .jpg] [una raffigurazione del giaguaro - 37K .jpg] [meccanismo indicato dalle "X" - 35K .jpg] [glifi della stele "E" - 30K .jpg] [glifi sulla stele "D" - 34K .jpg] [glifo sulla stele "D" - 38K .jpg] [figura sullo zoomorfo "O" - 31K .jpg] [zoomorfi "O" e "P" - 37K .jpg] [zoomorfo "P" - 32K .jpg]
 

Non sempre gli esperti riescono a spiegare quanto viene riportato alla luce dagli archeologi. A volte alcuni oggetti e luoghi rimangono avvolti dal più fitto mistero. In particolare quando sono interessate le vestigia di quelle civiltà che hanno popolato in tempi antichi il Sud America.
La memoria va subito agli Inca, agli Aztechi e ai Maya, riscoperti in quest’ultimo decennio e presentati al grande pubblico attraverso articoli mirati, reportage giornalistici e televisivi, manifestazioni culturali, mostre commemorative organizzate in tutto il mondo. La decifrazione dei geroglifici e delle steli ci ha consentito di conoscere quanto erano grandi le città stato, quali erano i rapporti dinastici, le campagne militari, la vita dei sovrani e quella quotidiana del popolo.
Nonostante tutto ciò, nell’America Centrale, fra il Guatemala e l’Honduras, in mezzo ad una piantagione di banane, fra il Rio Hondo e Porto Barrios, sul Golfo dell’Honduras, si trova uno dei più misteriosi siti Maya: Quiriga.
Fuori degli itinerari turistici convenzionali, espone diversi oggetti scolpiti nella pietra ai quali gli addetti ai lavori non sono ancora in grado di dare una spiegazione.
Tutto il mondo ignorava la sua esistenza fino al 1841, quando l’esploratore John Lloyd Stephens, che nel 1840 si trovava a Copan, venne casualmente a conoscenza di un luogo pieno di fantastiche sculture in pietra nei pressi del fiume Montagua.
Stephens era un affermato avvocato statunitense che amava indagare sulle vicende dei popoli antichi. Intraprese alcuni viaggi in Egitto, Arabia, Grecia e Turchia che documentò nei libri. Un giorno venne in possesso del diario di un altro viaggiatore che narrava le esplorazioni effettuate nell’America centrale e nello Yucatan. Dopo averlo letto i suoi interessi si spostarono verso quelle terre. Fu come pervaso da una specie di febbre; non si curò nemmeno di verificare se le fonti erano attendibili, né di controllare i racconti dei conquistatori spagnoli; scelse come compagno di viaggio l’amico Frederick Catherwood, un disegnatore inglese, e organizzò una spedizione. Le sue conoscenze gli procurarono anche un finanziamento da parte del governo degli Stati Uniti, a quel tempo interessato economicamente verso l’America centrale.
Non senza ostacoli e sfidando il governo locale si ritrovò in Honduras a ripercorrere la strada di Cortez fino a Copan.
Con l’amico si addentrò, per giorni e giorni, in una foresta così fitta da non vedere chiaramente dove posavano i piedi; le mani e il viso sferzato dalle piante spinose, assaliti da sciami di zanzare che fuoriuscivano dalla melma. I giorni passavano senza scorgere nessuna vestigia antica; la sfiducia prese presto il sopravvento. Iniziò a credere che i racconti degli Indios fossero solo frutto della loro fantasia; finché, un giorno, un colpo di machete sollevò il fogliame che ostruiva la strada e davanti ai suoi occhi esterrefatti comparve un muro di pietre disposte ordinatamente. Poco distante una scalinata che lo condusse ad una terrazza ricoperta di vegetazione. I colpi di machete si fecero convulsi e come dal nulla apparve una stele di pietra scolpita in uno stile mai visto.
Le scoperte si susseguirono, una seconda, una terza stele e così via. Quattordici in tutto. Col tempo, e non senza fatica, vennero liberati templi e piramidi.
Quanto scritto da Stephens è eloquente: "…il monumento era ricoperto di terra. Quando la scoprimmo, la statua era sepolta fino agli occhi. Smuovemmo la terra intorno con il machete e le mani finché divenne impossibile proseguire, la terra era piena di radici che la avvolgevano. Venne allontanato il terriccio a tre metri di distanza, ma occorreva rimandare il lavoro."
Le rovine furono ben presto liberate dalle piante e Catherwood, con assoluta calma e senza impedimenti, fu in grado di riprodurre nei minimi particolari i monumenti. I suoi disegni sono rimasti per lungo tempo uniche testimonianze dell’esistenza di quei luoghi e degli artefatti esistenti; sono stati dichiarati il miglior mezzo al servizio dell’archeologia per documentare quanto il tempo e le incurie hanno depauperato.
A Copan si trovano le più belle rovine Maya costruite su di un’acropoli artificiale in parte erosa dal fiume. L’esploratore descrisse il sito come "una valle di romantica suggestione dove i geni al servizio di Re Salomone sembravano essere stati gli artisti".
Fu quindi con il timore di un raggiro, covando il sospetto che volessero fargli acquistare un altro mucchio di rovine ma stavolta senza valore archeologico, che John incaricò l’amico Catherwood di andare ad esplorare la zona indicata di Quiriga. Il disegnatore inglese deve essere rimasto senza parole di fronte agli enigmatici oggetti in pietra, oggi esposti fuori del Museo in un verdeggiante parco tropicale e dichiarati patrimonio dell’umanità. John Stephens in seguito ingaggiò uno specialista per preparare calchi di gesso dei monumenti di Copan e Quiriga, oggi visibili nei musei di New York e di Londra.
Un signorotto del luogo vantò da subito i suoi diritti: se l’avvocato voleva l’aiuto richiesto doveva rispettarli. L’insistenza di questo proprietario spinse Stephens a chiedere a quell’uomo quale era il prezzo di quelle rovine. Si racconta che superato il momento di stupore, seguirono giorni di discussioni e alla fine l’avvocato americano riuscì ad acquistare Copan per la somma di cinquanta dollari.
Non riuscì però a comprare Quiriga e spedire i relativi monumenti a New York, i latifondisti locali avevano richiesto un prezzo esorbitante rendendo impossibile la transazione. Il luogo è stato comprato dalla Fruit Company, nel 1910, e lo ha trasformato in un parco archeologico. Ha organizzato i primi scavi sistematici ed ha preso grandi misure per proteggere i tesori della città.
È anche vero che per raggiungere quei luoghi, all’epoca, si doveva attraversare una selva inospitale invasa da fastidiose zanzare, mentre oggi, grazie al lavoro svolto dalla Fruit Company che ha bonificato nuovamente il luogo, ove col tempo la vegetazione aveva ripreso il sopravvento e deteriorato alcune opere, è facilmente raggiungibile perché la strada nazionale vi passa vicino.
Come Copan, nel vicino Honduras, Quiriga è rinomata per le imponenti steli in pietra arenaria fatti costruire dai re Maya.
In un largo spiazzo fra la vegetazione ben trentacinque monoliti si ergono sul terreno (vedi foto: a, b, c). La natura della pietra e un clima favorevole hanno contribuito a conservare le opere com’erano 1.200 anni fa. Altri centri Maya hanno eretto steli, ma quelle di Quiriga sono insuperabili nello stile e nella tecnica. L'arenaria usata è considerevolmente più dura del calcare trovato da altre parti.
Considerando che la stele più alta pesa circa 65 tonnellate, con i suoi 10,5 metri, si spiega difficilmente come sia stato possibile trasportare le ciclopiche pietre dalle lontane cave, senza utilizzare mezzi con ruote - secondo l’ufficialità quel popolo non conosceva l’uso della ruota - o animali da soma, attraverso quella giungla impervia e ostile descrittaci da Stephens. Con quali mezzi siano state erette, come siano state eseguite le complesse sculture senza il beneficio degli attrezzi di metallo. Avevano a disposizione solo attrezzi in pietra rudimentali: scalpelli e martelli in pietra o di legno per realizzare raffinate opere di notevole livello artistico.
Non parliamo poi delle sculture classificate come zoomorfi. Grandi massi d'arenaria che rappresentano animali coperti di figure e di glifi.
Ogni stele, ogni masso è stato portato ed eretto sul posto prima di iniziare la scultura. Non si trova niente di simile negli altri luoghi Maya.
Protetti da baldacchini con tetti di paglia i monumenti si ergono come guardiani a custodire la piazza situata su un piano alluvionale vicino al fiume Montagua.
Questi obelischi sono stati eretti per commemorare il passaggio del tempo, assumendo la funzione di bacheche, veri tabloid ove venivano riportati gli eventi storici più significativi. Le intere superfici di queste pietre sono ricamate con glifi e sono le sculture Maya più complicate e più sconcertanti. Sembra che gli archeologi, decodificando le iscrizioni sulle Steli "F" e "D", vi abbiano trovato descritti eventi oscuri avvenuti fra 90 e 400 milioni di anni fa.
La maggior parte delle steli sono state erette durante i sessant’anni di regno di Cielo di Cauac, o Kawak, il sovrano più importante di Quiriga, l’iniziatore della dinastia dei sovrani del Cielo. Non sorprende che la sua immagine sia impressa su sette dei nove monoliti.
Ufficialmente la storia narra che Cielo di Cauac conquistò Copan e catturato il suo re lo fece decapitare pubblicamente nella piazza, immortalando l’evento sopra un masso conosciuto come "Zoomorfo G", posto nel centro della piazza. La scultura raffigura un giaguaro che ha nelle sue fauci una testa che potrebbe essere quella del re di Copan. Da quel momento sembra che Quiriga sia divenuta una città autonoma con il controllo della via commerciale dai Caraibi al mondo di Maya che attraversava il bacino di Motagua; un centro di collegamento fra Copan e Tikal, un importante centro cerimoniale nel quale furono erette numerose steli monumentali.
A Quiriga si trova la Stele "E", la più alta ritrovata in terra Maya, oltre 10 metri. Vi si ammirano anche altre steli alte dai tre a otto metri; che presentano tutte l’effige del re, un personaggio dai lineamenti orientali, con una elaborata e insolita acconciatura, o pettinatura molto alta. Cosa che riporta alla mente la forma dei crani rinvenuti a Ica, Merida e Abido, alle strane statuette di Ubaid, adorate come Dèi dai Sumeri.
Il fatto che il suo nome sia Cielo di Kawak, primo della dinastia dei sovrani del Cielo, ci spinge a speculazioni, forse errate ma intriganti, che ci conducono a guardare lontano, come dire, verso il "cielo". I fatti storici dicono che Copan cade con l’apparire di questa dinastia, la cui durata è limitata a Cielo di Cauac e ad altri tre suoi successori, ognuno dei quali regnò per soli cinque anni prima che Quiriga venisse inspiegabilmente abbandonata.
Le speculazioni nascono da sole; da dove proveniva Cielo di Cauac e la sua gente? Dal suo arrivo risulta evidente un miglioramento negli usi e costumi dei locali; le sculture ne sono la prova più evidente.
Quiriga è unica, con la sua collezione di oggetti scavati nella pietra, in una forma complicata, a rappresentare animali, immensi mostri di sconosciuta origine, provvisti di grandi artigli acuminati raffigurati sempre con la testa o il tronco di un essere umano nella loro bocca. Non traspare l’impressione che l'uomo sia il pasto di queste figure mostruose, sembra invece che esso sia in grado di dominare o guidare il mostro, come se fosse un mezzo di locomozione.
Le sculture sono adornate da una serie di pannelli in rilievo e glifi pittorici non ancora decifrati e che si prestano a molteplici interpretazioni.
Nella un glifo di una stele con una scultura che riproduce uno strano meccanismo, indicato dalle "X" sovrapposte, intorno ad un essere che lo manovra.
In molti altri disegni e sculture Maya sono presenti alcune "X" usate per indicare il potere e l’energia. Considerando queste "X", come la sezione a croce del cilindro, simboli che appaiono anche nel codice Troano, è stato elaborato da alcuni tecnici un motore perfettamente funzionante. Tale motore genera 400 CV, utilizzando una camera di quaranta centimetri cubici, compiendo cinquecento giri al minuto. Per chi non ne fosse a conoscenza un motore tradizionale che compie cinquemila giri al minuto sviluppa solo 200 CV.
La figura presa in esame ricorda a prima vista qualcuno che adopera un martello pneumatico come quelli usati per rompere il calcestruzzo, ma è rappresentata scalza e con il piede destro alzato, in modo che il pollice poggi sulla base, quindi tale ipotesi non è più corretta. Potrebbe rappresentare invece la piattaforma di una macchina volante.
Lo Zoomorfo "O" mostra quella che è stata definita una delle più elaborate e complicate sculture Maya. Sulla scultura si trova una curiosa figura che il National Geographic Magazine (1975) considera la rappresentazione di un danzatore che tiene, o trattiene, un serpente mentre si contorce. Lo strano è che la figura si contorce sul viso di un individuo legato e confinato in uno spazio angusto.
Si nota bene la cinghia intorno alle caviglie e alle cosce. La faccia sofferente è mostrata in basso a sinistra della pietra. I glifi ci dicono senza dubbio di cosa si tratta ma, purtroppo, nessuno è in grado di decifrarli.
Ci viene di pensare alla rappresentazione di prigionieri usati come cavie da laboratorio.
Una serie di glifi posti sulla Stele "D" presentano una persona sofferente esaminata da un "dottore", utilizzando una specie di sofisticato apparato provvisto di schermo, come quello di un computer o un apparecchio televisivo. Il meccanismo viene attaccato ai bracci del paziente a mezzo di tre sensori o coppette come quelle di aspirazione. Sembra sia in atto un esame medico.
Nei glifi della Stele "E" si può osservare, all’apice del pannello, ciò che sembra essere una persona di età avanzata, dalla faccia grottesca, incatenato, con un laccio intorno alle caviglie. Un prigioniero che qualcuno controlla. Nel pannello più basso vediamo ancora il sofisticato apparato medico di diagnosi applicato ai bracci del paziente. Il personaggio raffigurato è ovviamente Maya, mentre il "paziente" sembra appartenere ad una razza diversa.
E le stranezze non finiscono.
Un altra scultura, classificata come Zoomorfo "P", rappresenta un monumento definito dagli archeologi "grande Altare Tartaruga".
Si tratta di un enorme masso, lungo circa tre metri e alto due, scolpito in modo elaborato in quello che viene definito un "Nodo Barocco"; è considerato il più enigmatico. Secondo il punto di osservazione si scorgono figure animali, come la scultura superiore che evoca una rana a gambe aperte divaricate, mentre la visione totale dell’oggetto fa pensare a un elefante.
La caduta di Quiriga potrebbe essere stata causata da un terremoto.
Nel 1976 il terremoto ha rivelato l’esistenza di un difetto geologico che attraversa il villaggio di Quiriga devastato nel 1977. Proprio un terremoto avrebbe costretto i cittadini sopravvissuti a lasciare quel luogo. Forse anche in conseguenza dell’esaurimento delle risorse naturali, ma le ragioni precise per cui gli abitanti di Quiriga migrarono altrove, forse nello Yucatan, sono poco chiare.
Archeologicamente è un centro molto modesto situato in una vallata lussureggiante, non ha palazzi o templi monumentali rilevanti, ma nonostante ciò le sue gigantesche steli fatte di arenaria e le sue pietre scolpite in modo elaborato, sono senza dubbio reperti di qualità differente.
La Stele "E" è stata definita il "massimo monumento liteo del Nuovo Mondo"; la figura barbuta del sovrano che stringe il suo piccolo scudo e lo scettro, sono al centro di testi che elencano numerose date così dette dal "Computo Lungo". Le date che vengono estrapolate dalle pietre enumerebbero avvenimenti avvenuti in tempi assai remoti, impensabili per la nostra mente.
È altresì indubbia l’abilità degli scultori di quella città, come testimoniano le grottesche figure delle iscrizioni, i mostri terrestri e quelle raffigurazioni che alcuni indicano come "divinità celesti in compagnia di esseri umani accovacciati fra le loro spire di serpenti".
Troppo facile abbinare quanto scritto in un passo delle Stanze di Dzyan "…e i serpenti che ridiscesero, che fecero pace con la Quinta (razza), che l’ammaestrarono e l’istruirono…".
John Lloyd Stephes visitò Copan e dintorni, Quiriga compresa, quando nessun altro era in grado di conoscere con certezza il nome dei costruttori di quelle meraviglie. Era il 1839 e riguardo al popolo Maya non esisteva nessun ricordo, perfino gli indio che abitavano vicino a quelle rovine non davano l’impressione di discendere da quella civiltà.
Come John scrisse nel suo libro: "L’America, dicono gli storici, era popolata dai selvaggi. Ma i selvaggi non costruirono mai edifici come questi, né mai lavorarono le pietre. Abbiamo domandato agli indios chi ne fosse stato l’artefice. 'E chi lo sa?' hanno risposto".
E scrisse anche: "Una cosa è certa, la storia è scritta sui monumenti. Finora nessun Champollion ha dedicato al problema le energie della sua mente. Chi le leggera?".
Nel 1958 è stato documentato il noto "glifo emblematico" che ha contribuito in modo determinante alla interpretazione di quanto scolpito sulle steli e sugli architravi ed ha permesso di ricostruire le vicende storiche di quel popolo. Solo nella metà del ventesimo secolo e grazie al lavoro di molti studiosi sono state decifrate le iscrizioni Maya.
I glifi di Quiriga sono ancora da decifrare e non conosciamo completamente le storie che narrano le pietre. È qualcosa che può cambiare quanto affermato fino adesso?
Sopra una stele a Copan sono raffigurati due elefanti, animali sconosciuti nelle Americhe al tempo dei Maya, per quanto ci è dato sapere; ma se qualcuno si è preso la briga di scolpirle sulla pietra significa che, sicuramente, vi è stato un tempo in cui questi pachidermi pascolavano nello Yucatan.
Concludendo, risulta chiaro che dobbiamo rivedere alcune cose in un’ottica diversa da quella convenzionalmente accettata; o decidersi, una volta tanto, a svelare alcune "verità".


                  

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