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ARCHEOLOGANDO...
QUATTRO
STELLE, QUATTRO RUOTE IN ANTICHI CIELI…di Mauro
Paoletti per Edicolaweb UFO, Oggetti
Volanti Non Identificati. Qualche anno fa qualcuno sorrideva
ironicamente e vi collegava gli omini verdi. Oggi il colore
prevalente sembra il grigio e, più che strani, appaiono
alquanto inquietanti. Comunque un argomento di conversazione
difficile. Prevale lo scetticismo anche davanti a filmati che
ci presentano strani fenomeni, inspiegabili secondo il
bagaglio delle nostre conoscenze. Uno di questi video, girato
da soldati russi, sembra nel 1969, presenta un bel disco
metallico lucente, di ignota provenienza (può essere anche
terrestre), in mezzo ad un bosco, ripreso da varie angolazioni
e le immagini sono talmente nitide da sembrare lo spezzone di
un film stile Spielberg. Vero o falso che sia, rimane il
dubbio, l’incredulità, il sorriso ironico, conseguenza della
nostra educazione, dei tabù, delle ideologie, delle
convinzioni, dei cover up, della disinformazione mirata, e dei
timori racchiusi in noi e impressi da una serie di
fondamentalismi; da quello familiare, a quello sociale, fino a
quello religioso. Per dirla come Charles Fort, siamo stati
dannati da giganti profondamente addormentati da grandi
principi scientifici ed astrazioni che non riescono a
realizzarsi, da una specie, una razza di fantasmi che vivono e
si muovono barcollando in una vita irreale, definita dallo
scrittore una pseudo-vita, fondata dalle e sulle
convenienze. "Il nuovo ovviamente è sempre oltraggioso,
come lo sono i metodi della scienza, e non solo, per
conservare il sistema". Quel ghigno ironico deve essere
apparso anche molto tempo fa, quando qualcuno parlava,
scriveva e dipingeva eventi a dir poco straordinari, che
suscitavano stupore, timore e incredulità. Perfino il sommo
poeta Dante Alighieri si lanciava in citazioni avveniristiche.
Oggi sappiamo che la Croce del Sud è una costellazione
visibile solo nell’emisfero Sud, ma era ignota al tempo in cui
visse il poeta che ne parlò nella Divina Commedia: " Lo bel
pianeta che ad amar conforta, faceva tutto rider l’oriente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta. Io mi volsi a man
destra, e posi mente all’altro polo, e vidi quattro stelle non
viste mai fuor che alla prima gente". La versione in prosa
fornisce una chiara spiegazione dell’insieme. "L’oriente
sorride, soffuso dalla luce di Venere, che vela la
costellazione dei Pesci; volgendomi a destra pensai all’altro
polo dove brillano quattro stelle mai viste al di fuori dei
progenitori delle stirpe umana". Come poteva conoscere
queste stelle e chi era questa "prima gente" di cui parla?
Evidentemente esisteva una documentazione di tali conoscenze,
lasciata forse da una civiltà precedente alla nostra alla
quale era nota una costellazione visibile solo a chi,
viaggiando verso Sud, passa l’equatore. Sempre nella Divina Commedia,
nel canto 29° del Purgatorio, Dante si riallaccia alla visione
di Ezechiele e descrive un carro con tale dovizia di
particolari che suscita il sospetto sia stato in qualche modo
testimone di un fatto analogo. "Si come luce in ciel
seconda vennero appresso lor quattro animali, coronato ciascun
di verde fronda. Ognuno pennuto di sei ali, le penne piene
d’occhi; e gli occhi d’Argo, se fosser vivi, sarebbero cotali.
A descriver lor forme più non spargo rime, lettor; ch’altra
spesa mi stringe tanto, che a questa non posso esser largo. Ma
leggi Ezechiel, che li dipigne come li vide dalla fredda parte
venire con vento, con nube e con igne; e quei li troverai
nelle sue carte, tali eran quivi, salvo ch’alle penne Giovanni
è meco, e da lui si diparte. Lo spazio dentro a lor quattro
contenne un carro, in su due ruote, trionfale, ch’a collo d’un
grifon tirato venne….Tanto salivan, che non eran viste; le
membra d’oro avea, quanto era uccello, e bianche l’altre di
vermiglio miste. Non che Roma di carro così bello rallegrasse
Africano, o vero Augusto; ma quel del sol saria pover con
ello". Anche qui la versione in prosa chiarifica meglio
quanto sopra: "Lettore io non spargo più rime per descrivere
la loro forma, poiché le parole che devo spendere in altro
tema sono tante che qui non posso dilungarmi più. Ma leggi
Ezechiele che dipinge tali animali quando li vide venire da
aquilone, con vento, con nubi e con fuoco. E quali li troverai
descritti nelle sue profezie, tali erano qui, eccetto Giovanni
che nel descrivere le loro ali è d’accordo con me e si
distacca da Ezechiele. Un carro trionfale su due ruote tirato
dal collo di un grifone, occupò lo spazio compreso fra i
quattro animali. Ed esso tendeva le ali all’insù così elevate
che non erano viste; nella parte anteriore aveva la forma di
uccello, d’oro in parte e in parte bianco misto a vermiglio.
Non solo i carri trionfali di Roma ma anche quello del Sole,
messo a confronto con questo appaiono poveri". Quindi
Dante, come Ezechiele, descrive un carro su ruote con quattro
animali. Se la visione è uguale o simile a quella del profeta
allora, i quattro animali, avevano ognuno, riportando le
parole di Ezechiele, 1-15: "una specie di ruota che toccava
terra. Queste ruote erano simili tra loro. Come fossero
intersecate da un'altra ruota, potevano muoversi in tutte e
quattro le direzioni senza aver mai bisogno di voltarsi... I
cerchioni delle ruote erano enormi e spaventevoli e
sprigionavano bagliore tutt’intorno" 1-24: "quando si
spostavano sentivo il rumore delle loro ali; erano simile al
fragore di una enorme massa di acqua, simile alla voce di Dio
Onnipotente, era un frastuono assordante come il tumulto di un
immenso esercito". Il tema dei quattro animali, delle
quattro ruote è ripreso da Leonardo Da Vinci nel progettare il
suo Carro Armato. Ne
disegna una forma circolare e lo copre con una calotta conica
che lo fa somigliare ad un disco volante. Pura, semplice
coincidenza, scartiamo l’ipotesi che l’inventore possa aver
visto qualcosa di simile nel suo tempo; ma è indubbio che
l’occhio trasmette alla nostra mente un’immagine, oggi,
familiare. Nell’approfondire tale tema si scopre negli
antichi documenti sono riportati molti strani eventi; fenomeni
che si erano già verificati in un più lontano passato, come ci
informano Plinio, Plutarco, Ossequente, ed
altri. Le celeberrime travi lignee, scudi di fuoco, croci e
torce in fiamme. Michelangelo nell’estate del 1513 ebbe una
visione celeste e descrivendola produsse anche un disegno
esplicativo a colori, simile ad una stella, purtroppo andato
perduto. Vide un segno triangolare e grandissimo "fuoro
dell’ordine et similitudine d’ogni cometa consueta"; simile ad
una grandissima stella con tre code, o razzi, "il primo esteso
verso oriente di un colore splendido e lucente come l’argento
e nella sommità era torta a uncino. Il secondo razzo, o coda,
esteso verso Roma di colore vermiglio; il terzo verso la città
di Firenze color del fuoco e bifurcato nella sommità". Di
corsa entrò in casa, prese un foglio e i colori e ritrasse
l’oggetto che gli stava davanti. Non si tratta di una
storiella, ingigantita o distorta col passare del tempo,
perché tale Agricola invita l’uomo a cui racconta il fatto a
recarsi a Firenze dal Michelangelo, per farsi mostrare il
disegno e farsi narrare, per filo e per segno,
l’accaduto. In un codice custodito nella Biblioteca dei
frati minori di Ragusa, presso Dubrovnik in Jugoslavia,
risalente al 1388, si legge: "L’8 gennaio 1388 durante la
prima ora notturna tutti hanno osservato nel cielo grandi
segni luminosi, volanti per l’aria, allineati come una schiera
di soldati, per oltra un ora". I fenomeni che
interessarono il cielo sopra Norimberga il 14 aprile del 1561
sono noti a tutti; le cronache parlano di dischi neri,
bianchi, rossi e azzurri e di due ordigni fusolari, di scontri
a incendi di strani apparecchi. Di eventi strani e oggetti
sconosciuti scrive anche Benvenuto Cellini: "Arrivati che
fummo in un certo ponto di rialto, era già fatto notte,
guardando in verso Firenze tutte e due d’accordo movemmo gran
voce di maraviglia; Dio del cielo, che gran cosa è quella che
si vede sopra Firenze? Questo si era come un gran trave di
fuoco, il quale scintillava e rendeva grandissimo
splendore". Lo storico Leone Cobelli segnala nelle sue
Cronache Forlivesi l’avvistamento di un oggetto luminoso
simile ad una stella che rimane sospeso per più di mezz’ora
sulla città di Forlì nel 1487, l’oggetto è descritto di forma
circolare come una ruota da carro che compie curiose
evoluzioni come quelle di una "pavagliotta", una farfalla. Ci
notifica anche la presenza, sia di giorno che di notte, di due
"travi di fuoco", ossia oggetti luminosi cilindrici "Eodem
millesimo puro de zugno, di nocte tempo apparve una trave di
fuoco, venne dal monte del poggiolo a Forlivio in fina a li
mura de la rocca de Ravaldino. Fo poi probicato la matina
venente. Poi un bel dì apparve un'altra trave de fuoco venire
del Monte de Puzolo in fino sopra la piacia: fo palese atucto
el populo forlovesi. Apparve una matina dui hore inance una
stella granda, la quale venia de verso la montagna e andava
verso Ravenna; certo parea una pavagliotta che volasse per
l’aria. Io la vide.. come li altri. Certo parea come una rota
da carro, e durò un bon miserere. Alcuni dicono che più di
meza hora prima l’avevano veduta a la montagna". E nel 1717
a Boulogne fu avvistata una grossa ruota di fuoco grande
apparentemente come la luna, di color verdastro all’esterno.
L’oggetto sorvolò la città, tornò indietro e si allontanò
zizagando. Alcuni soldati di stanza sulle vicine colline gli
spararono contro con il cannone. Nel 1750 il missionario
Fuentes vide in Brasile un oggetto volante circolare di 150
metri di diametro sorvolare la zona prima di sparire.
Dall’oggetto sembra caddero dei pezzi che provocarono danni
agli uomini e scatenarono alcuni incendi. Il libro di bordo
della Queen of Lakes riporta: "22 marzo 1870, i marinai della
mia nave hanno avvistato in cielo un curioso oggetto di forma
circolare che restava immobile all’altezza delle nuvole.
L’osservazione è durata circa mezz’ora". Un William
Shakespeare cronista di eventi ufologici, lo scopriamo nel
secondo atto dell’Enrico VI, dove si svolge un colloquio fra
Edoardo e Riccardo che ha per tema un avvistamento UFO.
Edoardo rivolgendosi a Riccardo dice: "Ho gli occhi abbagliati
o vedo davvero tre soli?" Riccardo risponde confermando ciò
che sta osservando l’altro: "Tre splendidi soli distinti in un
cielo chiaro e sereno. Guardate, guardate! Si uniscono, si
abbracciano e sembrano baciarsi come se giurassero una
indissolubile alleanza. Ora sono una sola luce, un sole".
Edoardo di rimando conclude: "È cosa meravigliosa e inaudita.
Credo, fratello, che ci spinga al campo (…) uniamo le nostre
luci e illuminiamo la terra come questo sole fa col mondo.
Qualunque cosa presagisca, da oggi sul mio scudo apporrò lo
stemma dei tre soli luminosi". Testimonianze di oggetti
volanti, viaggi spaziali e descrizioni di avanzate tecnologie
si trovano anche nelle mitologie dei popoli e in antichi poemi
epici, quali quelli omerici. Portiamo l’attenzione su quanto
la nostra mente ha accettato e i nostri occhi visto sotto un
solo angolo di visuale, magari quello fornito da una
disattenta e superficiale traduzione. Secondo quanto
scritto da Erodoto, Omero, visse 500 anni prima di lui, non
troverebbe quindi una plausibile spiegazione la descrizione
della vita e le gesta di un popolo come fosse familiare al
poeta. Di conseguenza l’Odissea e l’Iliade, vengono ritenuti
poemi partoriti dalla sua fertile immaginazione. Non
dimentichiamo però che Heinrich Schliemann ritrovò i tesori
menzionati da Omero a Troia e a Micene. Non scordiamoci che
Omero parlò anche di giganti e molti ricercatori hanno trovato
ossa gigantesche. Nel suo poema ha scritto che i Feaci
erano in grado di trasportare Ulisse dalla loro terra fino a
Itaca, in Grecia e fare ritorno a Corfù nello stesso
giorno. Prendiamo in esame la vicenda: Alcinoo chiede a
Ulisse chi in realtà egli sia perché le loro navi sono in
grado di riportarlo a casa rapidamente. Sono navi con una
propria intelligenza e conoscono le più importanti città del
mondo. Raggiungono in poco tempo la destinazione senza che
nebbie o tempeste ostacolino la loro ricerca. Viaggiano senza
timonieri, senza incidenti, senza sbagliare. Il ricordo va
alla descrizione dei Vimana Indù, ai piloti automatici dei
nostri aerei, ai computer di bordo che permettono a un caccia
militare di colpire un bersaglio. Ma i nostri apparecchi
hanno timoni, timonieri, sono ostacolati dalla nebbia e dai
temporali e non possono evitare incidenti. A quanto sembra le
navi dei Feaci erano provviste di una tecnologia più
avanzata. L’intera mitologia Greca è piena di dimostrazioni
di un potere definito "fuori di questo mondo". Ercole nella
sua sesta fatica elimina gli uccelli della palude di Stinfali,
con l’aiuto di Atena che gli fornisce delle nacchere di bronzo
o forse un sonaglio, forgiato da Efesto. Sbattendo le nacchere
o il sonaglio, Ercole, fa alzare in volo gli uccelli e li
abbatte a dozzine mentre fuggono verso il Mar Nero. Un arma
sonica? Ma c’è di più; questi uccelli erano simili agli
Ibis Egizi, cari a Thoth; e avevano becchi, rostri, ali,
artigli, di ottone, mangiavano gli uomini, ossia li
uccidevano. Erano cari a Marte e lo aiutavano nei suoi
combattimenti. Volavano molto alti e scaricavano piume di
ottone sulle persone uccidendole, e velenosi "escrementi" che
distruggevano le messi. In pratica Marte possedeva uno
squadrone di uccelli di ottone che lanciava proiettili di
ottone e gas velenosi che uccidevano e distruggevano persone e
raccolti. Questa tecnologia è da attribuire a quella
civiltà vissuta 12.000 anni fa, forse a torto definita
Atlantidea, che faceva uso di viaggi spaziali, di elettricità
per illuminazione artificiale, di cristalli d’energia per
creare macchine messe al suo servizio, come alcuni Robot dalle
strane fogge, che popolarono le storie dei popoli primitivi
con i quali vennero a contatto. Alcune immagini di queste
strane figure si trovano anche sui sarcofaghi in mostra,
almeno fino a qualche tempo fa, in una sala del Museo Egizio
del Cairo. Strani e misteriosi avvenimenti, da sempre si
sono susseguiti in luoghi e tempi diversi. Ai racconti si
sono sommate le rappresentazioni pittoriche, dal quadro
raffigurante la Madonna e San Giovannino, conservato a Firenze
in Palazzo Vecchio, al Miracolo della
Neve di Masolino da Panicale, alla Leggenda della
Croce conservata nel monastero dei Visoki Decani in Kossovo,
Jugoslavia, ove sono dipinti due oggetti
somiglianti agli Spoutnik con tanto di "piloti"
all’interno. Testimonianze di intriganti e inquietanti
storie che ci giungono da un remoto passato, non considerate
degne di attenzione, o intenzionalmente trascurate, ma che
certamente fanno sparire alcuni ironici
risolini…
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