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ARCHEOLOGANDO...
LE SFERE DEL
MISTEROdi Mauro Paoletti per
Edicolaweb Il 18 settembre
del 1502 imperversava sull’oceano una violenta tempesta. Una
nave e il suo equipaggio lottavano con ostinazione contro i
marosi. Onde gigantesche si abbattevano sul ponte schiacciando
carico e uomini. La furia del vento stracciava la velatura, il
mare sballottava la nave tanto da rendere arduo tenere il
timone e la rotta. Il tempo passava e la tempesta non
accennava a calmarsi, l'equipaggio era all'estremo delle
forze. Sembrava tutto perduto quando all’orizzonte si
profilarono i contorni di una costa non riportata dalle carte
nautiche. Pareva spuntata dal nulla, come inviata dalla
provvidenza. Fu all’interno di quelle coste che trovarono
rifugio e salvezza. Era una terra mai vista, con un
abbondante vegetazione da frutto, un paesaggio magnifico e una
popolazione generosa e ospitale che si prodigò a portare aiuto
e ristoro. L’ammiraglio al comando degli uomini era Cristoforo
Colombo, al suo quarto viaggio che lo doveva portare verso il
Catai. Egli rimase impressionato da quel luogo e lo chiamò "
costa ricca", cioè Costarica. Da quel momento iniziò la
colonizzazione del posto. Con gli anni i popoli di quella
terra si fusero con i colonizzatori e diedero vita ad una
nuova e ben distinta razza. Del popolo che migliaia di anni
fa abitò quei luoghi rimangono numerosi, enigmatici reperti,
unici nel loro genere e non comuni a nessun'altra civiltà,
rimasti senza soluzione: centinaia e centinaia di "sfere di
pietra". Chi visita il Costarica le può vedere ovunque,
nelle piazze, fra i monumenti, davanti alle ville, nei giardini, notate solo dai turisti,
perché per gli abitanti sono divenuti solo un tipo comune di
ornamento. Se ne vedono di tutte le grandezze, fino a 2 metri
e mezzo di diametro, ritrovate nel sud del paese e disseminate
in ogni dove. Sono talmente numerose che si possono trovare
anche abbandonate lungo le solitarie strade periferiche a sud
di San José. Solo una minoranza si trova ancora nel suo
alloggiamento originale, sepolte nel terreno o fra la
vegetazione a causa del loro considerevole peso. Non si
comprende perché siano state sparse per migliaia di
chilometri, anche in luoghi lontani dalle zone abitate e a
volte inaccessibili per l’uomo. Furono scoperte per la
prima volta durante il disboscamento della foresta, operato
dalla United Fruit nord americana per impiantare piantagioni
di banane. Durante i lavori iniziarono ad apparire decine e
decine di sfere. Il luogo fra l’altro è uno dei più inospitali
e selvaggi dell’America; vi proliferano serpenti e ragni fra i
più velenosi e insetti fastidiosissimi. Molte sono state
scoperte nel delta del fiume Diquis, ma anche a Palmar Sur,
Buenos Aires, nel Guanacate. La maggior parte è stata
rinvenuta a Palmar Sur. Non siamo in grado di
stabilire con precisione a quale epoca risalgono, chi le ha
scolpite e il motivo di questo notevole lavoro. Dal materiale
di cui sono costituite si presumono antiche di duemila anni.
Le proporzioni geometriche sono pressoché perfette: con 4
metri e mezzo di circonferenza si verifica solo uno scarto di
soli 6 millimetri. Particolare dal quale si desume che la
popolazione conosceva la matematica. Il tipo di granito usato
proviene da luoghi lontani, la cava più vicina si trovava sui
monti a 50 chilometri dal delta del Diquis. Un vero mistero
il loro trasporto e la collocazione. Se gli artefatti
venivano formati nella cava non era affatto facile controllare
la discesa delle sfere di sedici tonnellate. Non era semplice
neanche lo spostamento, attraverso luoghi impervi, dei blocchi
di pietra di 3 metri di lato dal ragguardevole peso di
ventiquattro tonnellate, dai quali si ricavavano le sfere più
grandi. Alcune sfere sono state ricavate dal "coquina",
pietra simile al calcare presente sulla foce del Diquis, più
semplice da trasportare utilizzando alcune zattere. Il loro
peso senz’altro ha determinato la difficoltà del trasporto
tant’è che a causa della loro mole sono sprofondate a poco a poco nel
corso di duemila anni nel terreno dove sono rimaste fino al momento
della loro scoperta. Per quanto riguarda il metodo di
lavorazione usato, è stato dedotto dagli studiosi, osservando
la manifattura degli oggetti in oro rinvenuti, che la pietra
veniva sottoposta ad alte temperature e successivamente
raffreddata. Questo permetteva la rimozione degli strati
esterni. L'ultima levigazione veniva eseguita con sabbia o con
cuoio. Ne sono state ritrovate a centinaia concentrate per
lo più nella regione meridionale nei pressi di un paese
chiamato Bolas, che non a caso significa "Sfere". L’unico
che ha cercato di fornire una plausibile spiegazione a questi
strani reperti è stato lo studioso russo Ivan
Zapp. Studiando la carta geografica del luogo si avvide che
tracciando una rotta da Bolas, si giungeva a Uvita sulla costa
del Pacifico, altro importante luogo ove si trovavano
moltissime sfere. Lo stesso sito citato da Lothrop,
archeologo dell’università di Harward, che ha studiato a lungo
il fenomeno. Le pietre sono state quasi tutte rimosse ma la
cittadina era stata un importante porto pre-colombiano.
Prolungando le linee sulla carta, si incrociava il Monte
Chiripò di 3.800 metri, zona attualmente divenuta parco
nazionale. Sul monte vi è un sentiero chiamato "Sentiero del
camposanto della macchina dell’oro". Una leggenda racconta
che vi fu sepolto migliaia di anni fa un oggetto definito una
"macchina volante". Sulla sua vetta esistono le tracce
dell’intervento umano sulle pietre conosciute come le
"creste". Nonostante che le sfere siano state rimosse dal
luogo di origine, attraverso le testimonianze dei nativi e
sulla base di quelle trovate ancora in loco, è stato possibile
annotare sulle carte la loro iniziale ubicazione. Di
conseguenza sono state stilate, da Samuel Lothrop, nuove mappe
che riportano il punto esatto in cui erano state situate
queste sfere. È emerso così che queste erano allineate con le
stelle e indicavano rotte navali sconosciute che partendo dal
Costarica, toccano le Galapagos e arrivano fino all’isola di
Pasqua. Quindi le sfere indicano le stelle che guidano i
marinai attraverso l’oceano e anche dove fare scalo durante il
lungo viaggio verso l’arcipelago della Polinesia. Sembra
che alcune di queste rotte attraversino gli oceani e conducano
fino all’Asia Minore. Una dimostrazione indiretta che le
sfere segnalavano rotte marine ci viene dal libro di David
Lewis "We the navigators", nel quale l’autore racconta che gli
antichi navigatori polinesiani si chiamavano "Teuvitas" e
insegnavano ai loro figli come riconoscere le stelle che
servivano come punti di riferimento per raggiungere terre
lontane. Per far questo usavano delle pietre con le quali
indicavano dove si sarebbe trovata una determinata stella in
un dato giorno dell’anno. Il giorno della partenza veniva
indicato dall’allineamento delle pietre con le stelle che a
loro volta tracciavano la rotta da seguire per giungere al
luogo desiderato. Nel podere "Il silenzio", a Palmar Sur,
un gruppo di quattro sfere, lasciate nel loro punto originale, formano un
quadrilatero con direzione Nord Sud. In questo luogo si trova
anche la sfera più grande, il cui diametro
supera i 2 metri. Come si è accennato Uvita è il nome della
cittadina ove si trovarono numerose pietre e anche quello
dell’isola davanti alla quale fece scalo Cristoforo Colombo.
Un'usanza comune nello stilare le vie di navigazione. A
venti chilometri dalle coste del Costarica si trova l'isola di
Cano, riserva biologica del Parco Nazionale di Corcovado, di
circa duecento ettari, una volta sacra necropoli indiana.
Anche qui vi sono numerose sfere di pietra, simili a quelle del
Diquis. Comunque il mistero rimane senza soluzione perché
non vi è niente di certo, siamo all’oscuro del perché di
questa strana lavorazione, chi furono gli artefici e quale
tecnica usarono per ottenere una perfetta sfericità da pietre
di venti tonnellate. La loro rimozione per trasformarle in
oggetti ornamentali non ha facilitato la ricostruzione della
loro storia, anzi ha dato adito a speculazioni di ogni
genere. Ricercatori come Eric Von Daniken le presentano
come raffigurazioni di oggetti volanti dalla forma sferica,
più idonei, a suo dire, a intraprendere viaggi
interstellari. La forma sferica, col suo movimento
rotatorio, darebbe origine a una forza di gravità artificiale
così da permettere all’equipaggio un viaggio comodo e
sicuro. A supportare la tesi vengono presentati i disegni
di astronavi sferiche dei grafici delle collane di
fantascienza. Viene citata una serie di reperti archeologici
che si riferiscono a raffigurazioni di oggetti sferici. Nel
Museo Antropologico di Città del
Messico, sopra un attrezzo da cerimonia si può osservare un
dio al centro di una sfera; il famoso Disco Azteco viene
presentato come la raffigurazione di un astronauta dentro una
sfera. Nei sigilli sumeri gli Dèi fuoriescono da sfere o,
addirittura, le cavalcano. In Egitto, nella Valle dei re, e
nel Tempio di Luxor si trovano sfere alate. La famosa stele
di Naram-Sin riporta in alto il sole, la luna e una sfera
volante. Le sfere del Costarica non sono i soli reperti
sferici in pietra ritrovati, se ne possono osservare altri,
seppur di foggia diversa e non perfettamente sferici, sparsi
sulla spiaggia di Moeraki, in Nuova
Zelanda. Reperti simili sono stati casualmente dissepolti
in Serbia nei pressi di un fiume . Le sfere presentano un
diametro compreso fra i 30cm. e i 3 metri. Anticamente nel
territorio era presente la cultura Vinca (4.500 a.C.) di cui
rimangono rappresentazioni di divinità simili a quelle di
Ubaid e Sumere. Le sfere rinvenute non si possono ascrivere
a tale cultura. Oltre che ipotizzarle come rappresentazioni
di "navi extraterrestri" si considerano oggetti di culto,
indicatori di siti astronomici, oppure "accumulatori di
energia tellurica". Sono solo supposizioni, ma è singolare
che le sfere rinvenute in Serbia sembra emettano vibrazioni di
natura elettrica, registrate anche dagli apparecchi audio
visivi. Le evidenze suggeriscono che le sfere Costaricane
risalgano a più di 12.000 anni fa e siano i resti di un antica
e tecnologicamente avanzata cultura marinara andata perduta
nel tempo.
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