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ARCHEOLOGANDO...
LA COSTELLAZIONE DEL DRAGO RIPRODOTTA
AD ANGKORdi Mauro Paoletti per
Edicolaweb Angkor in
sanscrito significa "la Città", "la Capitale", ed è indubbio
che fu eretta da esperti ingegneri idraulici che sapientemente
tracciarono un sistema idraulico efficiente per mezzo del
quale accumulavano acqua durante il periodo delle piogge
monsoniche, quattro mesi all’anno, per utilizzarla nel periodo
di siccità. Una rigorosa geometria di enormi bacini
rettangolari costruiti con dighe, terrapieni, canali, serbatoi
per la raccolta delle acque e la scacchiera delle risaie
chiamati Baray. Angkor è un capolavoro avvolto dal mistero
come lo è la sua estinzione. Inspiegabilmente la vita si è
fermata come tutto si fosse tramutato in pietra, avvolta e
nascosta poi da una lussureggiante vegetazione, evidenziandone
il contrasto austero. Tutta l’Asia è ancora un continente
che fa del mistero la sua essenza, stimola la fantasia
lasciando immaginare angoli colmi di tesori dimenticati e
perduti, alla mercé di uomini pervasi dal fascino
dell’avventura. Sul territorio si contano cento santuari,
alcuni dei quali raggiungono le dimensioni del tempio di Luxor
in Egitto, distribuiti su ben 600 chilometri quadrati. Un
impero abbandonato da un popolo preda di una follia
costruttiva disinteressato delle cose umane. Il primo a
fornire un resoconto di questo luogo fu a suo tempo Marco Polo
alla fine del 1200 Ne parlò come di un centro religioso nel
mezzo a una regione di risaie. Contò circa venti templi
compreso il Bayon, descrivendolo con torri e tetti ricoperti
di lamine d’oro, attualmente non più esistenti. Sui lati delle
torri quattro facce gigantesche dagli occhi chiusi e un
sorriso enigmatico e bonario. I bassorilievi rappresentano
le storie di corte insieme ai motivi epici dell’India
antica. Sono resoconti di una vita sfarzosa di un popolo
libero di fare della satira, teso verso il progresso, ma in
piena decadenza dovuta al prolungato momento di
prosperità. L’arenaria usata per la costruzione del tempio
proveniva da terre lontane venticinque chilometri e
considerando il peso notevole e il mezzo di trasporto che
poteva essere usato, si può presupporre che siano state
impiegate notevoli forze lavoro. Venivano usati grossi blocchi
di pietra non cementati fra loro, ma tenuti da morsetti di metallo, formati di rame,
oro, argento colato direttamente nelle scanalature predisposte
in precedenza nella pietra. Ciò rendeva necessario l’uso di un
forno portabile capace di fondere i metalli e quindi un
livello tecnologico di gran lunga superiore a quello
immaginato. L’uso dei morsetti è visibile nelle pietre di Puma
Punku a Tiahuanaco, a Ollantytambo, a Dendera e a Sarnat in
India, provando che era un uso comune di una antica
civiltà. Il dominio Kmer, che diede vita a tutto questo, fu
di breve durata. Verso l’anno mille a.C. il territorio fu
invaso da Buddismo di Ceylon. Mentre in Europa si
commentava l’operato di Carlo Magno, nel 802 iniziava in
Indocina con Giayavarman II il momento d’oro degli Kmer.
Recenti ricerche hanno stabilito che il Bayon fu costruito nel
1181 e finito nel 1218. La storia di Angkor inizia
nell’anno 802 con Jayavarman II, che la edifica sull’altopiano
del Kulen, unificando il popolo in una comunità religiosa e
politica, che assimila le influenze della civiltà indiana. Il
Phom Kulen è tra le poche alture che dominano la regione del
Siem Reap, che offre immense e fertili estensioni alluvionali
con corsi di acqua perenni. Vi è un lago tra i più pescosi del
mondo, il Tonle Sape, oltre a ricche foreste cave di arenaria
e miniere di ferro. Qui, sulla riva settentrionale del lago,
viene fondata la capitale fornendola di una meravigliosa rete
irrigua. Di Jayavarman II è scritto che proveniva da una
terra lontana, situata al di là del mare, ove aveva trascorso
alcuni anni alla corte di un potente re conosciuto come il "
Re della Montagna". REGNO DI AGARTHA??? Alcune iscrizioni
lo indicano come un discendente di una razza pura, come quella
dei seguaci di Horus, che produssero quella dei faraoni: Da
non dimenticare la somiglianza fra i Maya e i Kmer,
evidenziata da Michael Coc, esperto in materia. Jayavarman
II, quando arrivò in Cambogia, stabilì la capitale
nell’antichissima città di Indrapura, frequentato luogo di
studi religiosi; in seguito si trasferì verso nord nella
pianura, ove adesso si trova Angkor, e fondò Hariharalaya,
indicata sulle carte come Roluos. Poi fu il tempo di
Souryavarman II, che contribuì allo sviluppo di Angkor e fece
erigere al centro del suo immenso impero la città santuario di
Angkor Wat, considerata la più grande creazione architettonica
di tutta l’Asia. Con la scomparsa di Souryavarman II si
aprì un lungo periodo di declino conflitti intestini e
congiure di palazzo che minarono il regno, facilitando
l’invasione e la conquista del vicino popolo dei Cham, i quali
nel 1177 riuscirono a mettere a sacco la capitale. Dopo
quattro anni di loro dominazione, Jayavarman VII riportò la
Cambogia sotto l’amministrazione Kmer ristabilendo il suo
dominio su l’intera Indocina. Il paese riprese vigore e si
trasformò in una estensione di edifici sacri, di ospedali (si
dice ne facesse costruire ben cento), di ricoveri per i
viandanti, di steli ed iscrizioni per lodare il
sovrano. L’arte Kmer raggiunse l’apice. Furono eretti il
Bandeai Kdei, il Ta Prohm, il Preah Khan, con i loro labirinti
che si addentravano nel cuore della foresta. Esplorazioni in
loco hanno confermato l’esistenza di una vasta rete di
passaggi sotterranei, di alcune decine di chilometri quadrati,
la cui messa in opera non si può certo attribuire ai contadini
Cambogiani. Venne edificata anche la nuova capitale Angkor
Thom; sull’antica traccia della città furono costruiti altri
sedici chilometri di mura e cinque porte monumentali, il cui
accesso era garantito da ponti con parapetti formati da 54
statue colossali, rappresentanti i demoni e le divinità
intente a una specie di tiro alla fune con il sacro serpente
Naga. Al centro della cinta muraria il Bayon con i 200 volti
del Budda sorridente. Gli sforzi per raggiungere tutto
questo sfarzo dissanguarono il paese e i successori di
Jayavarman VII non riuscirono a lasciare traccia del loro
passaggio. La caduta definitiva dell’impero avvenne nel
1431 con l’invasione siamese. L’immensa rete idrica, priva
delle adeguate cure, andò in rovina. La terra non offrì i
frutti necessari al sostentamento della popolazione che finì
per disgregarsi. Le tribù Thai dell’ovest e il buddismo
dell’est avanzarono verso Angkor; re Pona Yat decise di
abbandonarla. Molti lo seguirono nel luogo ove oggi si
trova Phon Pej e la foresta, che una volta aveva accolto
quella civiltà, riprese il sopravvento, trasformando quel
regno in un sepolcro.
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