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ARCHEOLOGANDO...

 
L'IMPORTANZA DELLE PAROLE

di Mauro Paoletti
per Edicolaweb

 

Tutti siamo consapevoli dell’importanza che assume una parola e quanto sia fondamentale, analizzando un testo antico, fornire la sua esatta traduzione che dipende dalla sua etimologia. Questo perché, ovviamente, un'errata interpretazione o un errore nel processo di decifrazione può cambiare il suo significato e ciò che cerchiamo di decifrare prende un'altra piega. Una vicenda può essere distorta e non corrispondere più a quanto l'antico autore voleva narrare.
L'analisi approfondita di alcune parole conduce a interessanti risultati. Per esempio, alcuni studiosi si sono accorti che nella descrizione dell’arca di Noè, riportata dai testi antichi, vi sono cose illogiche.
La "Teba" del vecchio testamento, la scatola dal fondo piatto lunga trecento cubiti, larga cinquanta, alta trenta, con tre piani e un peso di ben 43.300 tonnellate, non poteva essere adatta per la navigazione. Pur disponendo di un vocabolo per indicare le navi, fu chiamata comunque "Teba"; ossia "scatola, cassa". Forse per far comprendere meglio al popolo la funzione di grande contenitore. Ma successivamente si fornisce un’ulteriore informazione che lascia gli studiosi interdetti: sarebbe stata costruita con legno "Gofer". La parola non ha origine accadiche, né Sumere. Probabilmente veniva usata per definire un tipo di legno impermeabilizzato, reso tal dopo avere adottato un processo di saturazione simile a quello a pressione usato ai nostri giorni. Per i Sumeri era addirittura alta sette piani e divisa in nove sezioni. I traduttori la descrivono come un esatto cubo; cosa impossibile, perché un cubo sottoposto all’azione dei marosi rulla in continuazione, con effetti letali per gli occupanti. Forse è molto più facile che i duecento piedi assegnati all’altezza, alla lunghezza e alla larghezza siano riferiti ad una costruzione circolare, come alcuni suggeriscono. Secondo altri, aveva un diametro di quattrocento metri e uno spessore di duecento. Calcolandone il volume, tenendo conto di tali dati, troveremo misure prossime a quelle indicate nella Genesi.
Di certo però non vi è niente, il testo risulta impreciso nella descrizione e lascia intendere doppi significati. Forse i duecento piedi della nave si riferiscono al diametro, ma può trattarsi anche del suo raggio; infatti i compartimenti progettati all'interno potevano essere a raggiera, come gli spicchi di una torta. Questa forma ricorda un sommergibile, mezzo sicuramente più appropriato ad affrontare burrasche marine. Ne sono convinti Alexander Heidel, linguista dell’Istituto orientale dell’Università di Chicago e Rene Boulay, criptologo e storico.
Nella genesi possiamo trovare una quasi conferma di tutto questo. Nei commentari l’arca viene indicata come "Gofer" o "Gopher", ossia "Tartaruga", richiamando chiaramente una struttura circolare.
"Gofer" non è una parola semitica. Secondo Heidel è la traduzione di convenienza della parola semitica "GFR", perché l’antico ebraico non prevedeva l'uso di vocali. Quindi, riallacciandosi alla lingua sumera, ove ogni sillaba è una parola con il suo preciso significato, se ne deduce che potrebbe trattarsi della combinazione di due parole e assumere quindi un nuovo significato.
Dalle indagini condotte dagli esperti linguistici emerge che la parola "Go" deriva dal sumero, antica lingua ove era previsto che la lettera "G" fosse intercambiabile con la "K"; inoltre dobbiamo tener conto che nella lingua sumera non esiste la vocale "o", ma "a" e "u". Le vocali quindi sono state inserite in un secondo tempo dal traduttore dell’ebraico antico. La sillaba quindi poteva essere GA o GU, oppure KA o KU; proprio quest’ultima è quella suggerita da Heidel.
Per quanto riguarda "Fer" nella lingua sumera non esiste la "F", la parola poteva essere stata presa in prestito dalla babilonese "Par". Difatti la lettera sumera "B" diviene "P" in semitico, per tale motivo l’Abzu del Dio Enki diviene l’Apsu semitico, A questo punto abbiamo KU PAR, o KU BAR, ove KU significa "Lucente, o metallo argenteo", e BAR (PAR) "rivestimento esterno, pelle".
Trarre le conclusioni diviene abbastanza semplice: Gofer, ossia Kupar, può significare "rivestimento metallico esterno", quindi l’arca era rivestita da un materiale metallico argenteo.
Secondo i racconti Sumeri dell'epica di Gilgamesh e quanto scritto nell’Apocalisse etiopica di Enoc, l’arca fu disegnata dagli Dèi e costruita da un équipe di angeli agli ordini del Dio Shamash.
L'epopea di Atra Hasis, personaggio mesopotamico indicato come un semidio, equiparato al Noè biblico, ci narra che egli, seguendo le istruzioni del Dio Ea-Enki, riuscì a costruire l'Arca; una "Magurgur", una "grandissima barca che può voltarsi e girare". Chiamata dai Babilonesi "Tzulili" e dagli ebrei "Tzolelet", cioè un sommergibile.
Sempre con l'aiuto di Ea Enki, dio della conoscenza, esperto nell'ingegneria genetica, simboleggiato da due serpenti intrecciati che rappresentano la doppia spirale del DNA, Atra Hasis fu in grado di gestire la sofisticata biogenetica che gli consentì di conservare le specie viventi, portando a bordo solo il loro seme, lo "Zeru". La corrispondente parola ebraica sarebbe lo "Zera", quello che è il "Numun" per i sumeri.
Le istruzioni di Enki sono precise: "...a bordo porterai il seme di tutte le cose viventi".
Questo pone sotto un'altra luce il fatto che dentro l'Arca vi fossero tutte le specie animali, sia per evidenti problemi di spazio che di convivenza.
Sempre le antiche scritture narrano che qualcuno, in quel tempo, era capace di volare intorno al nostro spazio aereo. È logico quindi considerare che la stessa tecnologia sia stata adottata anche per costruire navi capaci di affrontare le tempeste oceaniche.
Ancora In merito alle interpretazioni delle parole antiche, dai libri sacri giungono altri interessanti spunti.
Il nome di Dio del popolo ebraico è formato da quattro consonanti "JHVH", oppure "YHWH", rivelate per la prima volta a Mosè. Non ne conosciamo l’esatta pronuncia, né quali fossero le vocali originali, poiché l’antico ebraico non ne possedeva e, inoltre, il nome era considerato troppo sacro per poter essere pronunciato.
"Non usare il nome del Signore, tuo Dio, per scopi vani, perché io, il Signore, punirò chi abusa del mio nome".
Il vocabolo ebraico venne sostituito con "Signore", inserendo alcune vocali alla struttura. I traduttori non capirono la finezza usata dagli scribi per avvertire la gente di non pronunciare il nome di Dio e lessero la parola come era stata scritta originariamente; ne derivò in tal modo la parola "Geova".
Il nome veniva pronunciato in origine "Jaweh", oppure, "Yahweh". Etimologicamente rappresenta la terza persona singolare dell’imperfetto del verbo "hawah", o "hajah", che significa "essere".
Secondo gli interpreti antichi il verbo esprimeva un senso metafisico e astratto: "Io sono Colui che è", ossia l’esistente assoluto.
Le quattro lettere, che compaiono nei Rotoli del Mar Morto per indicare il nome di Dio, sono impresse in una forma di scrittura ebraica più antica rispetto al resto del testo contenuto nel rotolo.
Yahweh è il "Dio di Olam" (Isaia 40,28 - Genesi 21,33). Olam è un nome non riportato nella Bibbia italiana, che significa "misteriosamente nascosto"; quindi Dio giunge da un luogo che non può essere visto. Secondi gli Scritti Olam dista dalla Terra ben "sette cieli", per attraversare ogni cielo occorrono 500 anni, per un totale di 3500.
Uno dei nomi con il quale si indica Yahweh, per determinarne la sua potenza, è "El Shaddai", tradotto dai Greci e dai latini con "Dio Onnipotente". Il significato accadico della parola deriva da Shaddu, "montagna", da cui "Dio delle Montagne". Nelle sacre scritture la conferma: "Il loro Dio è un dio delle montagne" dissero i generali Aramei al Re parlando degli israeliti. Geograficamente le montagne si trovavano nella regione di Adad, figlio di Enlil, nella terra di Ish.Kur, nome sumero per indicare "quello delle montagne". Quindi Ish divenne Shaddu e in seguito El Shaddai.
"Quando Yahweh alza la sua voce c’è uno scroscio d’acqua nei cieli e le tempeste sorgono dai confini della terra" (Geremia 10,13). L’Hadad ebraico, menzionato nella Bibbia come un dio delle altre nazioni, il Teshub degli Ittiti, era il "Dio delle Tempeste"; in Siria veniva chiamato Ba’al Shamin : "il Signore del cielo".
Ciò che nel Vecchio Testamento è stato tradotto con "la Gloria del Signore", in lingua ebraica viene indicato con la parola "Kabod". Questo vocabolo deriva dalla radice "KBD" che significa "pesante", da cui la "cosa pesante del Signore"; l’oggetto pesante nel quale si muove Jahweh.
Ed è certo che si tratta di un "oggetto", dal momento che il popolo di Israele lo poté ammirare, avvolto in una nuvola, quando ricevette la manna. Dall’esodo sappiamo che rimase per sei giorni sul Sinai e Ezechiele, osservando il Kabod di Dio, nota che è uguale a quello visto quando fu rapito e condotto a Gerusalemme. Racconta che il Carro era avvolto da una luce ben visibile attraverso la nuvola che lo circondava.
Mosè deve guardare il Kabod da dietro, dopo che è passato, protetto dalla mano di Dio e riparato da una spaccatura nella pietra.
Nella lingua accadica la parola per definire "pesante" era "Kabbuttu" e la parola "Kabdu", simile all’ebraico "Kabod", significava "ciò che porta le ali". Nella lingua sumera veniva usata la parola "Ki.Bad.Du" per indicare "viaggiare in un luogo distante". È quindi logico pensare al "Kabod" come una "cosa" pesante, provvista di ali, che emana una forte luminosità, in grado di coprire lunghe distanze.
La descrizione di Yahweh, fornita in alcune parti della Bibbia, richiama quanto descritto sopra; dalla canzone di vittoria di Deborah: "il suo aspetto fa tremare la terra, scuote i cieli, scioglie le montagne"; ai Salmi (18), a Samuele (22): "un terremoto scosse la terra, tremarono i monti dalle fondamenta…Fumo usciva dalle sue narici, dalla sua bocca un fuoco divorante, un getto di carboni ardenti…"; al primo Libro dei re (19-11,14) "il Signore stava passando. Davanti a lui un vento fortissimo spaccava le montagne, fracassava le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, il terremoto, dopo il terremoto il fuoco e il Signore non era neppure nel fuoco".
"Sollevate la testa o cancelli di Olam, affinché il Re del Kabod possa entrare. Chi è il Re del Kabod? Yahweh, forte e valoroso, un guerriero potente. Alzate la testa o cancelli di Olam il Re del Kabod entrerà. Yahweh il signore degli eserciti è il re del Kabod" (Salmi 24-7).
A Mosè Dio disse: "Ehyeh Asher Ehyeh. Dirai loro: Ehyeh mi ha mandato". Il significato della frase è tutt’ora incerto ed è stato tradotto in vari modi: "Io sono colui che sono", "Io sono, mi ha mandato". La traduzione adottata recentemente, basata sul significato del verbo essere, è quella più consona ad una divinità, al Dio di Olam: "Io sono colui che era, che è, e che sarà".
Tutto questo a conferma che una accurata ed attenta analisi delle parole ci può condurre verso lidi lontani dai dogmi stabiliti, fino ad Olam per esempio, il luogo dal quale proviene il Signore, al di là dei sette cieli...


                  

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