PASSI SUI CONFINI DI UN ALTRO MONDO di Robert Dale Owen
2
Pagina INDICE
3 Presentazione
9 Avvertenza
dell’autore all’edizione inglese
11 Prefazione
all’edizione americana
Libro I - Preliminari
15 1 - Esposizione del
soggetto
50
58 3 - Il miracoloso
75 4 - L’improbabile
Libro II - Considerazioni su alcune fasi del sonno
95 1 - Il sonno in
generale
110
Libro III - Disturbi popolarmente detti infestazioni
162 1 - Carattere
generale dei fenomeni
165
225 3 - Riepilogo
Libro IV - Delle apparenze comunemente dette
apparizioni
228 1 -
Dell’allucinazione
239
268 3 - Apparizioni di
defunti
Libro V - Indicazioni di interferenze personali
318 1 - Retribuzione
333
Libro VI - I risultati suggeriti
351 1 - Il cambiamento
della morte
372
377 Appendice
3
«Così come è metodo peculiare dell’Accademia non
interporre
alcun giudizio personale, ma accogliere quel le opinioni
che
appaiono più probabili, confrontare gli argomenti e
scegliere
tutto ciò che può essere ragionevolmente constatato in
favore
di ogni proposizione, senza imporre minimamente la propria
autorità e lasciando libero e impregiudicato il giudizio
degli
ascoltatori egualmente seguiremo questa usanza, che risale
a
Socrate; e a questo metodo, caro fratello Quinto, ci
atterremo il
più possibile in tutti i dialoghi che terremo insieme».
Cicerone, De Divinatione, II, 72.
PRESENTAZIONE
Passi sui confini di un altro mondo (Footfalls on the Boundary of
Another World), come suona letteralmente il titolo, è
l’opera più importante
scritta sui fenomeni paranormali nel primo periodo dello
spiritismo. Uscita
negli Stati Uniti nel 1860 e a Londra nel 1861, vale a
dire circa una dozzina
d’anni dopo i famosi fenomeni di Hydesville, che diedero
origine al
movimento, ebbe subito quella vasta diffusione che
ottenevano allora i libri di
questo genere nel mondo anglosassone (dieci edizioni
americane in un anno),
ma molto più per il suo interesse aneddotico che per il
suo reale valore critico
e speculativo che la differenzia da tutte le altre
numerose opere affini che
vennero pubblicate intorno a questo periodo. Tale valore
si cominciò a capirlo
solo più tardi, circa una ventina di anni dopo, e anche
più, quando si delineò il
cosiddetto spiritismo scientifico, di cui l’Owen deve
essere considerato a buon
diritto il fondatore.
Abbiamo parlato di spiritismo, e in realtà l’Owen fu uno
spiritista convinto.
Ma il suo libro rientra molto più nella storia della
parapsicologia che in quella
dello spiritismo. Troviamo qui le basi di tutti gli studi
sul paranormale
condotti con intenti scientifici nell’ultimo trentennio
del secolo scorso e nel
primo del nostro. I suoi argomenti e il suo metodo di
ricerca sono quelli che
hanno dominato in questo sessantennio, esposti con una
chiarezza e una
consapevolezza che non vennero più superate.
Il metodo dell’Owen è quello sintetizzato dal Bozzano, suo
più diretto
seguace, nell’espressione «analisi comparata e convergenza
delle prove».
4
L’Owen lo considerava un metodo scientifico, e come tale
fu accolto dagli
studiosi fino all’avvento del metodo quantitativo
affermato ufficialmente dal
Rhine negli anni Trenta. Oggi è stato ripudiato perlomeno
in gran parte, e
alcuni parapsicologi rigidamente ortodossi lo respingono
nel modo più
deciso; altri lo seguono, in modo informale, accanto al
metodo quantitativo.
Dobbiamo soffermarci un poco sulla questione.
Diciamo subito che, se consideriamo la scienza in senso
strettamente
galileiano, come traduzione del fenomeno in numeri, il
metodo dell’Owen non
può essere giudicato scientifico. Ma, se ammettiamo che la
storiografia sia
una scienza, le indagini del diplomatico americano hanno
pieno diritto a
questo titolo, perché in realtà si tratta di un metodo
storiografico. L’Owen ne
era chiaramente consapevole: egli presenta la sua ricerca
anzitutto come
un’indagine storica e mette chiaramente l’accento sul
carattere storico del suo
studio. E’ questo un punto che, più tardi, verrà del tutto
dimenticato. I fatti
paranormali, egli dice in sostanza, sono fatti umani, e lo
studio dei fatti umani
trova la sua prima sede adeguata nell’opera dello storico
che li analizza, li
confronta e dà loro un significato fondandosi sulla
convergenza delle prove in
una visione globale dell’insieme. La stessa psicologia è
rimasta a lungo legata
a questo metodo, che, del resto, non ha del tutto
abbandonato. Dove c’è un
fatto umano, il metodo storico non è mai totalmente
superabile perché dove
c’è un fatto umano c’è storia. L’uomo non si può ridurre
tutto in numeri, e c’è
da domandarsi anche se una storiografia non sia, o non
dovrebbe essere, un
approccio complementare anche delle altre scienze, non
solo quali la biologia,
la geologia, l’astronomia, ma anche delle scienze fisiche.
Dovunque appare
un’evoluzione vi è una storia.
Con il suo metodo, Owen ha raccolto un’ottantina di fatti
che, se anche
risalgono a epoche relativamente lontane, appaiono
solidamente attestati e
rientrano in una realtà storica che non può essere
trascurata, schierandosi
decisamente a sostegno delle più moderne ed elaborate
conquiste
dell’indagine quantitativa.
D’altra parte Owen non sostiene affatto che il metodo
storico sia l’unico di
cui lo studioso può disporre per l’approccio al
paranormale. Egli fu
indiscutibilmente il primo ad avere l’idea esatta che i
fatti paranormali
rientrano nel complesso della natura e che, come tutti i
fatti naturali, devono
essere regolati da leggi loro proprie, tali da non
contrastare con le leggi
conosciute ma da completarle e integrarle nell’insieme di
una legislazione
molto più vasta di quella nota al suo tempo e, possiamo
dire, anche al nostro.
Questa idea verrà ripresa dagli studi successivi ed è oggi
dominante. Con un
certo orgoglio egli afferma, nella prefazione all’edizione
inglese, che il
successo della sua opera deve essere attribuito
soprattutto al fatto «che le
varie classi di fenomeni raggruppati nel presente volume,
vi sono presentate
5
non come al di là della natura, ma come in armonia con
essa; non come
eccezioni che interrompano l’uniformità di un vasto
sistema, ma come una
parte necessaria e integrante di questo sistema stesso;
non, infine, come una
violazione o una trascendenza delle leggi generali che
vediamo regolare
l’universo, ma come occorrenti nella più stretta
conformità con queste leggi
…».
Ci si può semmai domandare se questa seconda concezione
non sia in
contrasto con la prima: se, una volta riconosciuto che la
vicenda umana,
normale o paranormale, deve essere anzitutto avvicinata
col metodo dello
storico, che accerta la realtà dei fatti e ne trae una sua
interpretazione, non sia
una contraddizione ammettere che questa stessa vicenda
possa essere
soggetta a rigorose leggi matematiche che l’uomo potrà un
tempo conoscere
come ha conosciuto le leggi della gravitazione o della
termodinamica. In
realtà Owen non affronta questo problema, si può anzi dire
che lo ignori. La
sua concezione della legge è ancora mistica, 0, perlomeno,
filosofica e
speculativa. Per lui la legge naturale è ancora indizio di
un ordine divino che
imbriglia il caos del caso e permette a una mente
universale di agire nella
regola. Egli non esprime mai esplicitamente questa idea ma
tutto il suo libro
ne è permeato: la materia è legislificata perché possa
servire da mezzo allo
spirito che la pervade, e lo scienziato, rivelando la
legge, non raggiunge una
conoscenza conclusiva, ma solo le fondamentali di una
conoscenza più
completa che, su quella base, deve edificare un sistema
spirituale. Di qui
l’accordo naturale tra scienza esatta e storiografia:
nello studio dell’uomo e
dei viventi in genere, esse devono procedere di accordo
integrandosi a
vicenda: la storiografia nutre la scienza offrendole il
materiale di studio, e la
scienza permette alla storiografia di giungere a
conclusioni esatte su dati
sicuri. Di qui anche la preferenza che Owen dà ai fenomeni
spontanei e una
sua certa diffidenza per quelli provocati artificialmente
nelle sedute
medianiche del suo tempo, in cui egli sospetta
l’infiltrarsi, insieme alla
volontà degli sperimentatori, di elementi estranei che
possono inquinare il
fenomeno e falsarne la genuina storicità: critica, questa,
che solo in anni
recenti è stata chiaramente formulata.
Così, dal punto di vista parapsicologico, Owen ci appare
decisamente un
anticipatore: non solo pone le basi di più di un
sessantennio di studi, ma
stabilisce fatti e motivi che, anche quando questi studi
saranno superati e volti
nella direzione del metodo quantitativo, rimarranno a
ricordare agli studiosi
la necessità di non perdere di vista una problematica
propria della
fenomenologia paranormale molto più vasta di quella che
può essere
affrontata e risolta da una scienza galileiana.
6
Ma, abbiamo detto, Owen è inequivocabilmente uno
spiritista. Tutta la sua
ricerca ha uno scopo preciso: risolvere il problema della
sopravvivenza, e, al
termine dell’indagine, la sua risposta è affermativa. Gran
parte dei fenomeni,
dal Poltergeist all’apparizione di defunti, vengono da lui
attribuiti a entità
intelligenti che sono realmente quello che dicono di
essere. Dobbiamo
considerare anche questo lato della sua opera. Egli dedica
molte pagine alla
confutazione della dottrina luterana secondo cui l’anima
umana, dopo la
morte, entrerebbe immediatamente - o dopo un lungo sonno
protratto fino al
giorno del Giudizio - in uno stato beatifico o in uno
stato di eterna
dannazione. Questo gratuito dono di ogni perfezione al
giusto (che, per
quanto tale, rimane tuttavia una creatura imperfetta) e
questa non meno
gratuita eliminazione di ogni virtù nell’ingiusto (che,
per quanto malvagio,
non è mai assolutamente tale) non solo offendono la
giustizia divina, ma
costituiscono un’intima deformazione della personalità per
cui il beato e il
dannato verrebbero a costituire due esseri diversi da
quelli che erano nella
vita terrena. Per Owen, l’aldilà non può essere che una
continuazione
dell’aldiquà, in cui lo spirito mantiene tutti i suoi
caratteri terreni e continua
quell’evoluzione iniziata nella spoglia mortale, in una
condizione che, se da un
lato la facilita per la mancanza di un corpo materiale e
degli impacci che ne
derivano, dall’altra la rende più ardua per la stessa
maggiore vibratilità dello
spirito, per la sua maggiore libertà, per le maggiori
possibilità che gli si
offrono. Tra la fase terrena e la fase ultraterrena vi è
dunque una perfetta
continuità, che porterà, probabilmente, a una terza fase
in cui lo spirito
raggiungerà la perfetta armonia col tutto.
Così l’Owen getta le basi dello spiritismo anglosassone
che, come dottrina a
fondo religioso, trova nella sua opera una prima enunciazione
ragionata e
coerente, al di fuori di arbitri mistici e visionari,
fondata sull’osservazione di
fatti secondo il criterio della convergenza delle prove.
Perché l’Owen non è, e
non vuole essere, un veggente. Anche se legato intimamente
alla sua fede
protestante e all’autorità delle Scritture, continua è in
lui l’esigenza
dell’osservazione e del ragionamento, così che, anche da
questo punto di vista,
il suo libro rimane un documento umano in cui ognuno può
vedere riflessi i
propri problemi e trovare un chiarimento.
Dobbiamo chiederci a questo punto quale valore il lettore
di oggi possa
concedere alla vasta casistica che l’autore ci presenta in
questa opera e su cui
fonda le proprie speculazioni. I più remoti di questi casi
risalgono al secolo
XVI, i più recenti a circa la metà dell’Ottocento: sono
dunque tutti molto
distanti da noi nel tempo. Oggi l’aneddoto è in
discredito, e l’aneddoto vecchio
7
di più di un secolo è considerato addirittura
trascurabile. Ma questo
atteggiamento è fondato piuttosto su di una convenzione
che su di un
ragionamento: si è voluto mettere da parte il più
possibile il «fatto
raccontato», che si può scarsamente controllare e sa di
fiaba. Ma, così
facendo, si è rinunciato praticamente a tutta la
fenomenologia spontanea, la
più completa e la più genuina.
Innegabilmente la scienza non può fondarsi su di un
sentito dire, ma non
può nemmeno escludere drasticamente il sentito dire perché
in tal caso
dovrebbe rinunciare alla storia. Finché il fatto umano
manterrà una
differenza dal fatto fisico, un’indagine storica dovrà
necessariamente
accompagnare un’indagine di tipo galileiano ed entrambe le
ricerche
dovranno egualmente meritare il titolo di scienze.
L’aneddoto entra dunque di
diritto nello studio del paranormale quando sia studiato
con il metodo che è
suo proprio, ossia con il metodo storico. Quando diciamo
che la formula
dell’acqua è H2O, enunciamo una forma di realtà
indiscutibile; quando
diciamo che Augusto fu il primo imperatore romano,
enunciamo egualmente
una forma di realtà non meno indiscutibile, che però è di
natura
essenzialmente diversa dalla prima e accertata con un
metodo del tutto
diverso. Ma queste due forme di realtà rientrano
egualmente nel panorama
della conoscenza umana, e sarebbe un grave errore
considerare l’una meno
reale dell’altra.
Su di un piano storico, che è quello su cui si è posto
l’Owen decidendo di
studiare solo i fenomeni spontanei, lo studio aneddotico è
dunque
perfettamente lecito, non solo, ma presenta anche alcuni
vantaggi sullo studio
quantitativo, anche se non si possono negare degli
svantaggi. Di questi
vantaggi l’Owen è perfettamente consapevole. Anzitutto il
fenomeno
spontaneo si presenta nella sua forma più integra,
interamente calato nel
soggetto 0 nei soggetti in cui si manifesta, mentre il
fenomeno sperimentale
include necessariamente la figura dello sperimentatore,
che può essere
addirittura dominante. In secondo luogo, studiato
storicamente, nel suo
ripetersi per vaste estensioni di tempo, il fenomeno
spontaneo può offrirci
maggiori garanzie della sua realtà. A esempio, un fenomeno
di tiptologia
avvenuto nel secolo XVII fra persone che non avevano la
minima idea del suo
manifestarsi, per le quali esso rappresentava un fatto
assolutamente nuovo -
permettendoci così di escludere che fra le sue cause
potessero esservi
l’aspettativa del soggetto o degli astanti, la loro
immaginazione, i loro desideri
ecc. - e tuttavia manifestatosi con le stesse precise
modalità degli stessi
fenomeni quali ci si presentano oggi, ha, per questo fatto
stesso, una forza di
convinzione che manca a qualsiasi moderno fenomeno
sperimentale.
L’importante è di vedere se la casistica dell’Owen è,
«storicamente»,
autenticata a sufficienza. E, per lo meno per la grande
maggioranza dei casi,
8
possiamo rispondere affermativamente. L’Owen ha scelto la
sua casistica con
grande scrupolo e con molta accortezza. Molti episodi sono
di prima mano,
tutti sono riferiti da persone su cui uno storico
riporrebbe ogni fiducia
qualora si trattasse di relazioni di fatti sociali e
politici. Per gli eventi più
vicini, sebbene ormai vecchi per noi, l’autore ha potuto
parlare con gli stessi
protagonisti. Non vi è dunque
ragione di dubitare della realtà storica dei vari
episodi. E questa realtà è tale non solo da indurci a
meditare su questa vasta
fenomenologia, ma da poter anche servire allo studioso
galileiano per
inquadrare in un campo più aperto e più genuino le sue
stesse ricerche. Non
crediamo che siano molti gli studiosi attuali che hanno
letto il libro dell’Owen,
specialmente in Italia: anche a loro offriamo questa
traduzione. Le due
ricerche, lo ripetiamo, dovrebbero andare di pari passo;
e, se siamo certo
molto lontani dal momento in cui potranno (seppure è
possibile) fondersi in
una ricerca unica, la loro integrazione non può meno
sicuramente attuarsi
nell’intima certezza morale dello scienziato e dell’uomo.
La traduzione che presentiamo è stata condotta
sull’edizione inglese del
1861, corretta e aumentata dall’autore dopo le prime dieci
edizioni americane.
E’ integrale e fedele anche se talora la prosa dell’Owen
può apparire, al gusto
attuale, un tantino verbosa e se a volte l’autore indulge
a considerazioni
religiose piuttosto lontane da una mentalità non
protestante: certe opere
bisogna accoglierle nel clima del loro tempo.
Il testo dell’opera, oggi praticamente introvabile, ci è
stato cortesemente
fornito dal dottor Gastone De Boni, come tutti quelli
della nostra collana, che,
se non avesse potuto attingere alla sua biblioteca, unica
in Italia, non avrebbe
potuto essere realizzata.
Ugo Dèttore
9
Avvertenza dell’autore all’edizione inglese
Sei mesi trascorsi dalla data di pubblicazione permettono
a un autore di
riconsiderare la propria opera alle luci delle varie
critiche e di giudicare in
certa misura i suoi effetti sulla mente del pubblico.
Cercando di approfittare di tale opportunità, e delle
numerose
comunicazioni private che mi sono giunte e mi giungono
ogni giorno in
relazione al soggetto trattato in questo volume, non ho
trovato finora che
approvazione e incoraggiamento. L’accoglienza fatta a
questo libro, sia per
quel che riguarda le copie vendute, sia per l’estensione e
il genere di
recensioni che ha suscitato, ha superato grandemente
perfino le previsioni
dell’autore.
Considero che questo soddisfacente risultato sia dovuto
soprattutto al fatto
che le varie classi di fenomeni raggruppati nel presente
volume, vi sono
presentate non come al di là della natura, ma come in
armonia con essa; non
come eccezioni che interrompano l’uniformità di un vasto
sistema, ma come
una parte necessaria e integrante di questo sistema
stesso; non, infine, come
una violazione o una trascendenza delle leggi generali che
vediamo regolare
l’universo, ma come occorrenti nella più stretta
conformità con queste leggi:
anche se solo con una parte di esse - l’ultraterrena - che
non abbiamo
l’abitudine di studiare per quanto possano essere
eminentemente degne di
studio accurato.
Presentati come miracoli, i fenomeni ultraterreni sono
giustamente
respinti come incredibili, come contrastanti il progresso
della nostra
conoscenza attuale e inconciliabili con gli insegnamenti
della scienza
moderna. Ma, se presentati come classi di avvenimenti
naturali - certo
inesplicati, diretti da leggi ancora sconosciute o solo
oscuramente distinte, ma
sicuramente comprese nell’ordinata economia del mondo come
la luce del
sole o un uragano - l’aspetto del problema cambia. Non si
tratta più di cercare
se Dio, per affrontare un’emergenza particolare, sospende
di tempo in tempo
l’una o l’altra delle sue leggi, ma solo se non abbiamo
finora trascurato una
parte di queste leggi stesse: quella parte che serve a
collegare la seconda fase
della nostra esistenza con la presente.
Credo che la mia opera debba soprattutto a questo modo di
presentare il
problema, la rapida vendita e la favorevole accoglienza
che ha incontrato.
Ma questa è la ricompensa minore. La maggiore è nelle
espressioni di
simpatia e di gratitudine che mi sono state rivolte. Una
madre a cui la morte
aveva strappato il figlio diletto, e che rifiutava ogni
conforto perché egli non
10
era più, confessa di dovere a queste pagine la sua
salutare e fiduciosa
concezione della morte, i suoi rinnovati spiriti, il suo
coraggio di operare e di
attendere. Uno scettico nelle cui mani il volume era
caduto poche settimane
prima del suo trapasso, ha chiesto che, dopo la sua morte,
io venissi
informato che a questo volume, e in particolare al
capitolo al cambiamento al
momento della morta egli doveva la rivoluzione delle sue
idee e la prima
convinzione consolante che avesse mai raggiunto sull’esistenza
di un altro
mondo più bello e migliore verso il quale egli si stava
affrettando.
Queste e altre simili testimonianze, vero premio per un
autore, mi fanno
rallegrare che un editore inglese stia per ripubblicare la
mia opera. Questa
edizione è stata rivista da me e contiene alcune
correzioni e aggiunte.
Robert Dale Owen
Londra, luglio 1860
11
Prefazione all’edizione Americana
Può interessare il lettore, prima che egli scorra questo
volume, conoscere
alcune delle circostanze che lo precedettero e portarono
alla sua stesura.
I soggetti qui trattati vennero per la prima volta a mia
conoscenza in un
paese in cui, eccetto che per lo straniero privilegiato,
essi sono proibiti: a
Napoli nell’autunno del 1855. Fino a questa data avevo
considerato l’intero
argomento come un’illusione, che invero nessun pregiudizio
mi avrebbe
impedito di esaminare con cura, ma in cui, in mancanza di
questo esame, non
avevo alcuna fede.
Rimarrò sempre debitore a un ottimo amico ed ex collega,
il visconte di St.
Amaro, ministro del Brasile a Napoli, per avere richiamato
per la prima volta
la mia attenzione sui fenomeni di carattere
magnetopsicologico, e sullo studio
degli argomenti analoghi. Nei suoi appartamenti, il 4
marzo 1856, e in
presenza di lui e di sua moglie, insieme con un membro
della famiglia reale di
Napoli, fui per la prima volta testimone, con sentimenti
misti di sorpresa e di
incredulità, di certi movimenti fisici apparentemente
senza agente materiale.
Tre settimane più tardi, a una serata presso il ministro
di Russia, avvenne un
incidente fortuito, come lo chiamiamo, che, dopo il più
rigoroso esame, mi
trovai incapace di spiegare senza riferirlo a qualche
agente intelligente
estraneo agli spettatori presenti, nessuno dei quali,
dobbiamo aggiungere,
conosceva o aveva praticato alcunché che avesse a che fare
con il cosiddetto
spiritismo o medianità. Da quel giorno decisi di studiare
a fondo
miei doveri pubblici mi lasciavano, d’inverno, poche ore
libere, ma parecchie
nei mesi d’estate e di autunno. E, per più di due anni,
dedicai questi periodi di
libertà a una ricerca (condotta in parte con osservazioni
personali in privato,
in parte con la lettura di libri) sul gran problema se
agenti di un’altra fase di
esistenza intervengano e operino in questi fenomeni per il
bene o per il male
del genere umano.
Per qualche tempo le osservazioni da me fatte furono molto
simili a quelle
che, negli ultimi dieci anni, tante migliaia di
sperimentatori hanno compiuto
nel nostro paese e in Europa, e le mie letture si
limitarono alle opere pro e
contro il magnetismo animale e pro e contro la moderna
teoria spiritista. Ma,
via via che il campo si apriva dinanzi a me, trovai
opportuno allargare la mia
sfera di ricerche, consultare le migliori opere di
fisiologia per professionisti,
sul sonno, sull’allucinazione, sulla pazzia, sulle grandi
epidemie mentali in
Europa e in America, insieme con i trattati
sull’imponderabile, comprese le
curiose osservazioni di Reichenbach e le relazioni di
interessanti ricerche
12
recentemente fatte in Prussia, in Italia, in Inghilterra e
altrove a proposito
dell’elettricità umana connessa con la sua influenza sul
sistema nervoso e sui
tessuti muscolari.
Raccolsi anche le più importanti tra le vecchie opere che
contenevano
racconti di apparizioni, infestazioni, presentimenti e
simili, insieme a
dissertazioni sul mondo invisibile, e avanzai
faticosamente attraverso enormi
pile di paglia per raccogliere qualche chicco di buon
grano.
A poco a poco mi convinsi che tutto ciò che da molti era
considerato come
un insieme di fenomeni nuovi e senza eguali, non era che
la fase moderna di
qualche cosa che era sempre esistito. E infine giunsi alla
conclusione che, per
capire adeguatamente molto di ciò che ha eccitato e reso
perplessa la
mentalità del pubblico sotto il nome di manifestazioni
spiritiche, bisognava
far precedere la ricerca storica a ogni altra ricerca: che
avremmo dovuto
esaminare le varie classi di fenomeni del passato tentando
di ordinarli ognuno
nella sua nicchia più appropriata.
Mi resi anche conto della necessità che lo studioso di
questo campo
(almeno in un primo momento) dedicasse la sua attenzione
ai fenomeni
spontanei piuttosto che a quelli provocati: alle
apparizioni e ai disturbi che si
presentavano solo occasionalmente, è vero, ma non ricercati
né attesi, come
l’arcobaleno, o l’aurora boreale, o il vento che soffia
dove vuole, incontrollati
dai desideri o dall’intervento dell’uomo. Limitando la
ricerca a questi
fenomeni viene completamente eliminato ogni sospetto di
essere sviati da
un’eccitazione epidemica o da intense aspettative.
Una relazione di tali fenomeni, accuratamente scelti e
autenticati,
rappresenta il nucleo fondamentale del presente volume.
Nel pubblicarlo non
posso essere accusato, non più di un naturalista o di un
astronomo, di
immischiarmi in cose sacre. Per quel che riguarda il
particolare scopo di
quest’opera, nessuna accusa di necromanzia o di ricerca
illegale deve essermi
posta poiché non è applicabile in alcun modo. L’accusa, se
mai può essercene
una, sarà d’altro carattere. Se incorro in un sospetto,
non sarà quello di
stregoneria ma quello di superstizione: di un tentativo,
forse, di far rivivere
illusioni popolari che le luci della scienza moderna hanno
da lungo tempo
sgominato, o di essermi abbassato a esumare relazioni di
fatti che non sono
altro che fiabe da ragazzi.
Accettando questa accusa, mi limito a fare appello al
paese. Chiedo un
giusto giudizio davanti a una giuria che non abbia
pregiudizi. Chiedo per la
mia testimonianza un uditorio paziente, sicuro che il verdetto
finale, quale
che possa essere, sarà in accordo con la ragione e con la
giustizia.
13
Io non voglio costruire una teoria. Dubito che vi sia un
vivente preparato a
farlo su questo soggetto. Il mio meno ambizioso scopo è di
raccogliere solide
pietre che potranno servire a qualche futuro architetto.
Già oltre la mezza età,
non è probabile che io rimanga in questo mondo tanto da
vedere l’edificio
costruito. Ma altri lo potranno. La razza permane, sebbene
l’individuo passi a
un altro stadio di esistenza.
Se non stimassi di grande importanza il mio soggetto,
sarei indegno di
accingermi a trattarlo. Se avessi trovato altri scrittori
pronti ad accordargli
quell’attenzione che la sua importanza merita, sarei
rimasto in silenzio. Ma,
stando così le cose, penso, con uno scrittore moderno, che
«nascondere al
mondo una grande verità può essere il tradimento di una
fiducia ancora più
grande» (1).
Sono consapevole, d’altra parte, che si è sempre pronti a
sopravvalutare
l’importanza del proprio lavoro. Tuttavia anche uno sforzo
come questo può
essere sufficiente a dare una giusta o una sbagliata
direzione all’opinione
pubblica. Grandi risultati sono talora determinati da
piccole cause. «Una
tegola sulla cuspide di una villetta nel Derbyshire», dice
Gisborne, «decide se
la pioggia che cade dal cielo sarà diretta nel Mare del
Nord o nell’Atlantico».
Prego il lettore, prima che si addentri nella ricerca se
le interferenze
ultramondane siano una grande realtà o un’immensa
illusione, di concedermi
ancora un’osservazione. Egli troverà che, nel trattare
questa ipotesi, ho
lasciato molte cose oscure e non interpretate. Quando
nessuna teoria era
chiaramente indicata, ho preferito constatare i fatti e
rinunciare a ogni
spiegazione, avendo raggiunto quel periodo della vita in
cui, se è stato fatto
buon uso degli anni passati, non ci si vergogna di dire:
«Non lo so»; in ogni
caso quello in cui il dir questo è semplice verità.
Dobbiamo tuttavia tenere a
mente che una difficoltà non risolta non costituisce un
argomento in contrario
(2).
Queste pagine devono il loro principale valore ai molti
amici il cui affetto
ha aiutato la mia impresa. Ad alcuni, nominati nell’opera,
posso manifestare
la mia grande riconoscenza. Ad altri, che mi hanno
assistito in privato, non
sono meno debitore.
Non dubito che, se differissi di alcuni anni la
pubblicazione di questo libro,
troverei molto da modificare e qualche cosa da ritrattare.
Ma, in questo
mondo, se rimandiamo il nostro lavoro fino a quando lo si
possa considerare
perfetto, la morte ci coglie in questa esitazione, e non
riusciamo a far niente
per l’inutile avidità di fare troppo.
Robert Dale Owen
14
Note
(1) Friends in Council (Amici a consiglio),
Art. Truth.
(2) «Quando non possiamo rispondere a tutte le obiezioni,
siamo tenuti,
secondo ragione e onestà, ad accettare l’ipotesi meno
improbabile».
Elements of Logic (Elementi
di logica), dell’Arcivescovo Whately.
«E’ considerato probabile ciò che ha migliori argomenti a
favore che non
contro». South.
15
LIBRO I - PRELIMINARI
1 - Esposizione del soggetto
«Come ho sempre ritenuto, può esservi altrettanta vanità
nel
frenare e trattenete le presunzioni umane (a meno che non
siano di una ha natura), quanta ve ne è nell’imporle;
così, in
questi particolari: ho fatto la parte dell’Inquisitore, e
non ho
trovato in essi nulla che, a mia opinione, fosse contrario
o
dannoso per lo stato o i modi della religione, ma
piuttosto,
credo, salutare».
Bacone, Dedica dei Saggi, 1597.
In un’epoca così utilitaristica come la presente, nessuna
ricerca può
verosimilmente impegnare l’attenzione del pubblico, se non
è pratica nei suoi
portati.
E anche allora, se il corso di tale inchiesta conduce
all’esame di fenomeni
straordinari, si troverà che le prove più dirette,
apparentemente sufficienti, a
dimostrare la realtà di essi, lasciano le menti umane
incredule o dubbiose, se
le apparenze appaiono di carattere isolato, prive di veri
precedenti nel passato
e tali da non potere essere classificate in una loro
propria nicchia, fra risultati
analoghi; e tanto più se implicano una sospensione delle
leggi della natura.
Se ho una qualche speranza di farmi udire dal pubblico
mentre intavolo,
vastamente e francamente, la questione se occasionali
interferenze da un altro
mondo in questo siano una realtà o un’illusione, è,
anzitutto, perché confido
di poter mostrare che la ricerca è di natura pratica; e,
secondariamente,
perché i fenomeni che mi propongo di esaminare in
connessione con ciò non
sono di carattere isolato e tanto meno miracoloso. Nel
senso etimologico della
parola, non sono inverosimili in quanto
molti di essi possono essere
adeguatamente attestati come veri nella storia. Essi
appaiono in gruppi e, al
pari di tutti gli altri fenomeni naturali, si prestano a
una classificazione.
Di solito vengono considerati straordinari e perfino
stupefacenti; e questo
non tanto perché siano realmente eccezionali, quanto
perché sono stati, in
certa misura, tenuti fuori di vista. E questo avviene a
sua volta in parte perché
pochi osservatori spassionati li hanno esaminati
pazientemente; in parte
16
perché il pregiudizio, che li scredita, ha trattenuto
migliaia di coloro a cui si
sono presentati dal dare pubblica o anche privata
testimonianza di ciò che
hanno osservato; in parte perché, sebbene questi fenomeni
non siano affatto
di origine moderna, o determinati da leggi solo di recente
operative,
sembrano essere molto aumentati in frequenza e varietà e
avere raggiunto un
nuovo stadio di sviluppo negli ultimi pochi anni; e infine
perché sono tali da
far facilmente sorgere nelle menti deboli la cieca
credulità o il terrore
superstizioso, abbondanti fonti di stravaganza e di
esagerazione. Così che gli
intelligenti li celano e gli ignoranti non li capiscono.
Questa condizione di cose
complica il soggetto e aumenta di molto la difficoltà di
trattarlo.
Inoltre, sebbene nessun articolo della fede umana sia
meglio fondato della
credenza nel definitivo prevalere della verità, tuttavia,
in tutto ciò che si
riferisce al progresso terreno, il tempo interviene come
elemento essenziale. Il
frutto non cade se non è maturo: se attaccato dal golpe o
colto prima dei
tempo, è imperfetto e senza valore. E il mondo della
mente, come quello della
natura fisica, ha le sue stagioni; le sue primavere in cui
le linfe si risvegliano;
le sue estati fiorite; i suoi autunni dorati dal grano. In
nessun campo bisogna
mietere prima del tempo della raccolta.
Tuttavia, per quanto graduali siano le innovazioni del
tempo e i
corrispondenti progressi della mente umana, vi sono certe
epoche in cui, per
ciò che le nostre limitate vedute chiamano caso,
particolari soggetti escono
alla luce per un subito impulso, attirando l’attenzione
generale e così
inducendo le menti umane a impegnarsi nell’investigazione
di essi. In tali
epoche, parole che in altri tempi sarebbero cadute senza
essere ascoltate
possono penetrare profondamente e dare buoni frutti.
Accade comunque raramente che, al primo esprimersi di
qualsiasi grande
eccitazione, quando strane novità sembrano erompere nel
mondo, le menti,
sia dei sostenitori sia degli avversari, mantengano la
dovuta moderazione
nell’affermare come nel negare. L’ardore di un nuovo zelo
e il senso del
pregiudizio da lungo tempo dominante, pronti all’offesa
quando per la prima
volta si contrastano, sono egualmente sfavorevoli per una
calma inchiesta e
un giudizio critico.
Così al giorno d’oggi (in cui il tumulto degli inizi si è
placato e anche una
piccola voce pub essere udita), forse meglio che in
qualsiasi altro momento
degli ultimi dieci anni durante i quali il nostro paese è
stato testimone del
sorgere e del progredire di ciò che puh essere chiamato un
risveglio di
pneumatologia, il soggetto può essere discusso con minor
passione e accolto
con minor pregiudizio. E se uno scrittore, nel trattarlo
in tali condizioni,
sfugge ad alcune di quelle secche sulle quali i primi
ricercatori si sono arenati,
17
questo può esser dovuto tanto a una felice scelta del
momento quanto al
merito di un superiore discernimento.
Inoltre, per quel che riguarda la questione di cui mi
propongo di esaminare
le probabilità, eventi recenti hanno non solo richiamato
l’attenzione
dell’udienza, ma anche, in certa misura, aperto la via al
conferenziere. Il
rigore del tabù si è allentato. E questo era
particolarmente desiderabile.
Poiché, dato che l’inchiesta tocca la probabilità di un
intervento ultraterreno -
sebbene non si possa dire che esso sia stato perso di
vista in un qualsiasi
momento a cominciare dall’alba della civiltà, sebbene le
Scritture ne diano
testimonianza fin dalle prime epoche, e sebbene, negli
ultimi tempi, abbia
sfidato spesso, in varie forme di superstizione, il
terrore degli ignoranti - è
sembrato, nel secolo scorso, che essa perdesse
gradualmente credito e
reputazione, fino a essere esclusa dalla società
rispettabile e dai circoli
filosofici. Gli uomini più accorti si guardavano bene dal
mettere a repentaglio
la reputazione del loro buon senso, occupandosene in
qualche modo.
Questo, tuttavia, con onorevoli eccezioni. Fra queste non
ne ho mai
incontrata una così originale nel pensiero e così
filosofica nello spirito come
Isaac Taylor. Tuttavia egli ha trattato con mano maestra
una sola branca
dell’argomento: quella analogica (1).
Un’altra parte di questo campo di ricerche è stata
parzialmente occupata,
ogni tanto, da una classe di scrittori, spesso tedeschi,
generalmente
considerati superstiziosi sognatori; fra questi Jung
Stilling è forse uno dei
migliori esempi (2), pio, franco, abile, di una probità
oltre ogni sospetto, ma
anche in qualche modo mistico, il Consigliere aulico del
Baden cercò prove
della sua speculazione in pretesi avvenimenti oggettivi
(come apparizioni,
case infestate e simili) di cui accettò le relazioni e sui
quali eresse la sua teoria
spiritista con una facilità di fede per la quale
l’apparente evidenza sembra
essere, in molti degli esempi citati, insufficiente
garanzia. Ai nostri giorni
molti hanno seguito una simile linea di argomentazione
accogliendo la
simpatia del pubblico almeno in un caso, se sedici
edizioni in sei anni possono
esserne conferma (3).
Si può ammettere tuttavia che queste narrazioni sono state
lette in genere
piuttosto per passare un’ora piacevole che per scopi più
seri. Hanno spesso
suscitato la meraviglia, di rado ispirato convinzioni. Ma
questo, credo, è
dovuto, non a una vera insufficienza in questo campo, ma
piuttosto, anzitutto,
a un modo non filosofico di presentare il soggetto,
parlando di meraviglie e di
miracoli là dove era solo questione di fenomeni naturali
anche se ultraterreni;
e, secondariamente, a un indiscriminato frammischiarsi del
vero con
l’apocrifo, alla mancanza di giudizio nella cernita e di
attività nella verifica. Io
non mi sono fatto scrupolo di scegliere da queste fonti,
cercando tuttavia di
18
separare il grano dalla paglia, e contento, nel far così
anche se il materiale
utilizzabile che restava si riduceva a ben poco.
Essenzialmente collegati con questa inchiesta, e tali da
essere studiati da
chiunque vi si impegni, sono i fenomeni raggruppati in
quello che
abitualmente viene chiamato magnetismo animale. Il
magnetismo animale,
palesatosi dapprima in Francia tre quarti di secolo fa,
vide i suoi progressi
arrestati all’inizio, quando le sue affermazioni erano
ancora vaghe e i suoi
principali fenomeni non erano stati ancora osservati, dal
celebre rapporto di
Bailly (4). Spesso è caduto nelle mani di osservatori
inesperti e superficiali,
talora di ciarlatani matricolati, le sue pretese sono
state stravagantemente
sostenute da alcuni e arrogantemente negate da altri. Ma
si è fatto tuttavia
strada attraverso gli errori degli amici e le denunce dei
nemici e (cosa che è
ancor più difficile a combattersi) attraverso le frequenti
mistificazioni di
impostori e i grossi abusi occasionali dei suoi poteri,
fino a essere oggetto di
considerazione e di studio da parte di uomini di talento e
di reputazione
indubbi - fra i quali eminenti membri del corpo medico - e
ha per lo meno
ottenuto un posto modesto anche negli accreditati e
popolari trattati di
scienza fisiologica (5).
Le prove e gli argomenti analogici a cui abbiamo alluso in
favore degli
eventi ultraterreni, insieme a conferme come quelle
portate dai fenomeni di
sonnambulismo, erano già note al mondo prima che,
nell’oscuro villaggio di
Hydesville, una ragazzina (6), rispondendo agli insistenti
colpi che per più
notti avevano turbato il sonno di sua madre e delle sue sorelle,
ebbe la
ventura di scoprire che questi suoni sembravano mostrare
caratteristiche di
intelligenza.
Da quel giorno una nuova e importante fase si offrì allo
studioso di
pneumatologia, e con essa un nuovo dovere: quello di
determinare il vero
carattere di quella che fu talora chiamata Epidemia
americana, più
meravigliosa nelle sue manifestazioni, più vasta nella sua
espansione di ogni
altra fra le epidemie mentali - talune delle quali
accompagnate da straordinari
fenomeni - ricordate dai medici e dagli psicologi
dell’Europa continentale.
Da quel giorno, inoltre, venne gradualmente alla luce un
nuovo settore
della scienza dell’anima: quello positivo e sperimentale.
Fino a ora, il maggior
numero di opere di psicologia o pneumatologia sono
consistite
esclusivamente in speculazioni tratte o dall’analogia o
dalla storia, sacra o
profana: fonti eminenti ma non uniche. Oggi un tale lavoro
non può essere
considerato completo senza un esame dei fenomeni e una
citazione delle
autorità. E così sebbene una parte del presente volume
consista di ricordi
storici, poiché le meraviglie del presente non possono
essere
appropriatamente giudicate senza l’aiuto del passato,
un’altra e più vasta
19
parte abbraccia racconti di data moderna, fenomeni
avvenuti relativamente di
recente, le cui prove sono state raccolte con la stessa
cura con cui un membro
della professione legale deve esaminare le sue
testimonianze e preparare il
caso per un processo.
Nello scorrere un’opera di questo carattere, il lettore
farà bene a tenere a
mente che i fenomeni esistono indipendentemente da ogni
opinione relativa
alla loro natura e alla loro origine. Un fatto non deve
essere trascurato o
respinto perché può essere stata avanzata una falsa teoria
per spiegarlo. Se è
importante, la sua importanza non dipende dalle teorie.
E se si replicasse, per questa classe di fatti, che essi
non hanno importanza
intrinseca, la risposta è, anzitutto, che, sebbene l’età
presente, come ho
ammesso fin dall’inizio, sia utilitaristica - in quanto
cerca il positivo e tende al
pratico - tuttavia il positivo e il pratico possono essere
intesi in un senso
falsamente restrittivo. Non si vive di solo pane. Si vive
per svilupparci e
migliorarci non meno che per esistere. E lo sviluppo e il
miglioramento sono
cose reali quanto l’esistenza stessa. Ciò che porta alla
nostra coscienza nobili
idee, gioie raffinate, ciò che produce buoni frutti nella
mente, anche se non lo
percepiamo con gli occhi e non lo tocchiamo con le mani, è
talora qualche
cosa di più di un sogno ozioso. La poesia della vita è
qualche cosa di più di
una metafora. Il sentimento è legato all’azione. E il
mondo, con tutto il suo
rude materialismo, non è morto per questa verità. Vi è un
angolo, anche nelle
nostre anime prosaiche, in cui si annida l’ideale e dal quale
esso può essere
evocato per divenire non una mera fantasia ma il prolifico
genitore del
progresso. E, di tempo in tempo, esso è realmente evocato
per nobilitare ed
elevare. Non si tratta solo di aspirazioni entusiaste. Che
cosa è la civiltà se non
la realizzazione delle aspirazioni umane?
Tuttavia non mi fondo su sole generalità. Quando mi si
dice che studi come
quelli che formano la base di questa opera sono soltanto
curiosi e di carattere
speculativo, che non portano a niente di solido e che
quindi non meritano di
attirare l’attenzione di un mondo affaristico, la mia
seconda risposta è che tale
obiezione è una virtuale richiesta di quei problemi stessi
che mi propongo di
discutere in questo volume. E’ un assumere in anticipo un
atteggiamento
negativo; è un prendere per dimostrato che i fenomeni in
questione non
possono stabilire la realtà di un intervento ultraterreno.
Perché, se la stabiliscono, deve essere ben rozzo e
trascurato l’uomo che
chiede: «Qual è l’utilità?». Questa non è la nostra dimora
definitiva; e sebbene
durante il nostro soggiorno di sessanta o settant’anni si
debbano dedicare le
nostre migliori energie alla causa del miglioramento
terreno e della felicità,
sebbene sia nostro stretto dovere, finché siamo qui, di
provvedere in certa
misura al benessere terreno di tutti e in particolare alle
esigenze e ai conforti
20
del focolare domestico, e sebbene, in quanto esseri umani
attivi, la parte di
gran lunga maggiore dei nostri pensieri e del nostro tempo
debba, o dovrebbe,
essere impiegata in tal modo, tuttavia, se la nostra
definitiva abitazione deve
essere presto stabilita altrove, se via via che gli anni
passano i nostri affetti ci
sfuggono laggiù, dinanzi a noi, se il nostro cerchio
domestico dissolvendosi
qui si ricostituisce nuovo e durevole in altre regioni
(7), dovremo considerare
quella nostra futura dimora una mera e oziosa curiosità,
una fantasia che non
val la pena di accertare, anche se, in verità, un cenno di
essa può sempre
raggiungerci qui, nel nostro pellegrinaggio, prima del
distacco?
Non possiamo risolvere frettolosamente questo problema,
come alcuni
credono di poter fare, con un argomento a priori contro
la possibilità di un
rapporto umano con gli abitatori di un altro mondo. In
particolare
impedisce di farlo. Quello che è avvenuto un tempo può
ancora avvenire (8).
Le Scritture insegnano che tali rapporti vi furono nei
tempi antichi, e in
nessun luogo affermano che in seguito non sarebbero più
avvenuti.
E quando, anticipando ogni accurato esame di questo problema,
decidiamo
che, almeno ai nostri giorni, un tale intervento è
impossibile, sarebbe bene
che considerassimo se il nostro sadduceismo non vada oltre
quello che
pensiamo; se, forse inconsciamente, non colpisca più a
fondo di un semplice
scetticismo nei moderni agenti spirituali. Guardiamo se,
scartando
sprezzantemente ciò che è di moda considerare
superstizione, non neghiamo
virtualmente anche ciò che è essenzialmente fede (9).
L’esistenza attuale di un
altro mondo è in noi come una verità vivente? Crediamo noi
veramente di
essere circondati da esseri di un’altra sfera che ci
proteggono e ci amano? Con
il nostro cuore, o solo con le labbra, accogliamo, se pur
la accogliamo (10) la
dottrina contenuta nei versi di Milton:
Milioni di esseri spirituali passano sulla terra
non visti, sia che vegliamo o dormiamo?
Se tutto ciò è per noi qualche cosa di più di un puro
suono, con quale
ombra di ragione possiamo considerare sicuro e stabilito,
prima di ogni
discussione in proposito, che una comunicazione con un
altro mondo non ci è
più concessa in questo?
Ogni ragionamento a priori, se vi si fa
ricorso, parla in favore di tale
intervento. Uno dei più forti argomenti naturali a prova
dell’immortalità
dell’anima è sempre stato considerato il fatto
dell’universale credenza
dell’uomo nell’aldilà; sentimento, questo, così comune a
tutte le età e a tutti i
paesi che può rivendicarsi i caratteri di un istinto (11).
21
Ma la credenza nella occasionale comparsa o influenza
negli affari umani di
spiriti disincarnati (12), non è meno generale né meno
istintiva, sebbene si
debba ammettere che nei secoli oscuri degenerò di solito
nella demonologia
(13). Il principio, tuttavia, può essere vero e la forma
sbagliata, cosa che
ricorre costantemente nella storia della mente umana, come
quando una
religione, per esempio, assunse e mantenne per secoli la
forma pagana.
La materia in discussione deve dunque essere affrontata
più da vicino. Non
abbiamo il diritto di considerarla una questione chiusa,
di respingerla
bruscamente in quanto implica assunti incredibili o di
liquidarla con
conclusioni anticipate negandola genericamente (14). Non è
né logico né
conveniente decidere, prima dell’investigazione, che la
presenza di
interferenze ultraterrene sarebbe contraria all’economia
divina. E’ nostro
compito esaminare le opere del Creatore, e di lì, se
proprio dobbiamo, trarre
conclusioni circa le Sue intenzioni. Rientra nella nostra
attività cercare e
stabilire fatti e poi costruire su di essi; non erigere
sulla sabbia di preconcette
teorie arrischiate che la scienza, nel suo progresso, può
assalire e rovesciare
come il sistema di Galileo fece con gli inquisitori di
Roma (15).
Così pure è biasimevole, qualora nella nostra ricerca di
prove ci si imbatta
nella testimonianza di persone umili e incolte, il
respingere un fatto bene
accertato perché consideriamo la sua origine scarsamente
reputabile.
Possiamo imparare da ogni classe di persone. Dobbiamo
trovare le verità in
ogni rango sociale. Cose che sfuggono a chi è reputato
saggio e prudente
possono essere percepite da coloro che in fatto di
conoscenza tecnica sono
solo dei fanciulli al confronto. Il semplice. sapere non
sempre illumina: può
essere distorto e oscuro. E’ un’acuta ironia, spesso
applicabile nella vita
pratica, che Goethe pone in bocca all’uomo dalla Mano di
Ferro, il forte «Götz
di Berlichingen». Quando il suo figlioletto, dopo avere
ripetuto la sua lezione
di geografia, bene imparata a memoria, sul villaggio e il
castello di
Jaxthausen, sede della famiglia Berlichingen sulle rive
del Jaxt, non riesce a
rispondere alla domanda del padre, di qual castello stesse
parlando, il vecchio
guerriero esclama: «Povero bambino! Non conosce, per
averlo veramente
appreso, la casa di suo padre!».
La maggior parte delle persone colte respinge senza
scrupoli tutte le storie
di case infestate, tutti i racconti di apparizioni, tutte
le affermazioni di
previsioni impressionanti o di sogni chiaroveggenti e
simili come volgari
manifestazioni di superstizione. Tuttavia vi è stata di
recente una reazione. Ne
vediamo i segni qua e là. So che da alcuni anni, in una
delle principali
università inglesi, si è formata una società fra i suoi
membri più distinti con lo
scopo di istituire, come dice la loro circolare a stampa,
«una seria e franca
inchiesta sulla natura dei fenomeni che vengono vagamente
chiamati
soprannaturali». I membri hanno sottoposto questi fenomeni
a un’accurata
22
classificazione, hanno pregato i loro amici fuori della
società di aiutarli a
formare una vasta raccolta di casi autentici, come di
sogni notevoli e di
apparizioni sia da parte di persone viventi sia da parte
di defunti; l’uso che ne
verrà fatto sarà sottoposto a futura considerazione (16).
Bisogna tuttavia riconoscere che esempi come questo, per
quanto
significativi, sono solo eccezioni. La regola è di
considerare le prove di
rivelazioni in sogno, o del carattere oggettivo delle
apparizioni, o della realtà
di quei disturbi che vanno sotto il nome di infestazioni,
come dovute o a
coincidenze accidentali, o a malattie, o a illusioni, o a
voluto inganno. Uno
degli scopi del presente volume è di cercare se, facendo
così, non
trascureremo qualche fenomeno effettivo.
Oltre questo, non ho intenzione di affrontare un soggetto
affine. Non
investigherò in quest’opera ciò che va sotto il nome di
manifestazioni
spiritiche, come movimenti di tavoli, colpi, medianità e
simili. Come il
geologo preferisce esaminare dapprima la roccia in
situ, così io reputo
meglio, in questo momento e in questo contesto, esaminare
i fenomeni
spontanei piuttosto
che quelli che vengono provocati: i fenomeni che
sembrano presentarsi non richiesti, o, come di solito
diciamo, per intervento
divino, piuttosto di quelli che sembrano essere stati
richiamati mediante il
deliberato sforzo dell’uomo. Io ho studiato i primi molto
più accuratamente
dei secondi; e, in un solo volume, mi mancherebbe lo
spazio per trattarli
entrambi.
Ma, se avessi spazio, e mi sentissi al livello
dell’impresa, non sarei
spaventato dal fatto che il soggetto sia ancora
considerato con molta
diffidenza e spesso sia affidato a mani disgraziate. So
che è di moda - una
moda molto reprensibile - coprire di ridicolo e disprezzo
i risultati
straordinari che sembrano presentarsi in questi casi.
Comunque stiano le
cose, un tale atteggiamento non è né politico né saggio.
Non si corregge
l’errore disprezzandolo. Nessun uomo sensato, bene
informato dei fatti, nega
che, come ogni altro procedimento che tenda a spiegare la
conoscenza oltre la
tomba, anche questo abbia i, suoi fanatici, traviati da
fantasie e perduti nei
meandri dell’immaginazione. Ma non abbiamo giustificazione
nel mettere
sommariamente da parte, senza farne prova, ogni classe di
fenomeni asseriti,
solo perché abbiamo scoperto fra i loro sostenitori
osservazioni superficiali e
falsa logica. Le opinioni razionali possono essere
sostenute irrazionalmente.
Un credo può essere vero anche se i suoi difensori possano
dare insufficienti
ragioni per la loro fede. Origano, maestro di astronomia
del famoso Seni, al
servizio del Wallenstein, fu uno dei primi difensori del
sistema copernicano; e
tuttavia i suoi argomenti per provare il movimento della
terra sono
esattamente sullo stesso piano, quanto all’assurdità del
loro carattere, di
quelli avanzati dalla parte opposta per provare
l’immobilità di essa.
23
Non vi è dunque nulla di conclusivo nel fatto che
l’investigatore di questo
soggetto incontri migliaia di esagerazioni. Che a ogni
passo si scoprano errori
e assurdità, non risolve
«Vi sono errori», dice Coleridge, «che nessun saggio
tratterà severamente
finché c’è una probabilità che siano il riflesso di
qualche grande verità ancora
nascosta dietro l’orizzonte»
(17). E deve essere uno scettico incorreggibile
colui che abbia esaminato criticamente i fenomeni in
questione senza
giungere alla conclusione che, per quanto inesattamente
essi possano essere
stati interpretati fino a oggi, i nostri migliori poteri
della ragione hanno il
compito di determinare il loro esatto carattere.
In questi fatti vi sono meraviglie che si dischiudono alla
mente umana.
Possono essere puramente scientifiche nella loro natura,
ma, in tal caso,
meritano un posto accanto alle meraviglie dell’elettricità
nelle sue varie fasi.
Anche se alla fine risultassero essere fenomeni
esclusivamente fisici, non
dovremmo umiliare e scoraggiare coloro che cercano
scoprirvi agenti
ultraterreni. Vi sono ricerche in cui, se non si
risparmiano pene e lavoro,
cadere onestamente è onorevole come, trionfare in altre. E
alcune delle più
importanti scoperte sono state fatte durante una ricerca
dell’impossibile. Si
dice che Muschenbroeck sia inciampato nell’invenzione
della bottiglia di
Leida mentre cercava di raccogliere e imprigionare
l’effluvio elettrico di
Talete.
Anche i moralisti e gli uomini di stato dovrebbero mettersi
in mente di
avere qui a che fare con un argomento che influenza già
seriamente l’opinione
umana. I fenomeni talora detti spiritici, genuini o spuri
che siano, hanno
richiamato l’attenzione e si sono accattivati più o meno
la fiducia non solo di
migliaia ma di milioni di persone (18). E se queste
stupefacenti novità hanno
modo di espandersi fra noi senza carte geografiche né
bussola con cui guidare
il nostro viaggio attraverso un inesplorato oceano di
mistero, possiamo
trovarci alla mercé di ogni sinistra influenza.
Fra le comunicazioni comunemente ottenute, che pretendono
essere
ultraterrene, ve ne sono parecchie che sembrano
giustificare il vecchio detto
di Pitagora: «Non con ogni pezzo di legno può essere fatto
un Mercurio». Sia
che ci vengano da un altro mondo o da questo, non poche di
esse contengono
un vasto frammischiarsi di verità e di falsità e una massa
di puerilità che si
alternano con
sono caratterizzate da espressioni blasfeme; e alcune di
esse, anche quando
non sono da presumere una frode o un agente cosciente,
mostrano
inconfondibili prove di un’origine o di una influenza
terrestri: come
ammettono anche i più candidi e sensibili sostenitori
della teoria spiritista
dopo una sufficiente esperienza (19).
24
Da questo proviene senza dubbio un grande pericolo per le
menti deboli e
troppo credule.
Questo pericolo è enorme perché gli uomini sono inclini a
considerare
sicuro che, quando avremo dimostrato (se potremo
dimostrarlo) il carattere
spiritico di una comunicazione, non occorrerà altra
dimostrazione della verità
dei fatti affermati e delle opinioni espresse in essa.
Questa è una conclusione molto illogica, sebbene uomini di
valore vi siano
spesso pervenuti (20). Altra cosa è determinare l’origine
ultraterrena di una
comunicazione e altra cosa è provare la sua infallibilità
o anche la sua
autenticità. In realtà vi sono più plausibili ragioni che
non si creda a favore
dell’opinione propria di alcuni uomini di talento,
protestanti o cattolici (21),
che le comunicazioni in questione provengano dai Poteri
delle Tenebre e che
«entriamo sulla soglia di un processo di manifestazione
demoniaca, i cui
risultati non possono essere previsti». Ma non vedo una
qualsiasi giusta causa
per tale opinione. Le ragioni per questo risveglio di
credenze antiquate mi
sembrano solo plausibili. Dio ha permesso che il diavolo
esista in questo
mondo; tuttavia non dobbiamo concludere, per questa
ragione, che l’inferno
regni sulla terra. Pensiamo che forse in questo
antagonismo possa celarsi la
via del progresso. O, almeno, pesiamo il bene contro il
male e contiamo nella
benevolenza del Creatore. Ma il Suo potere non è limitato
a questa vita
terrena. E se Egli permette comunicazioni
con l’altra sponda, sarebbe forse
in accordo con i Suoi attributi che tali comunicazioni si
risolvano in una mera
ossessione demoniaca?
Le ragioni di una credenza così tetra e scoraggiante mi
sembrano
soprattutto fondate, almeno presso i protestanti, su di un
errore di influenza
molto negativa e del quale, in un capitolo successivo, sul
«Cambiamento della
morte», avrò occasione di parlare a lungo. Alludo
all’opinione, nutrita da
molti, che il carattere dell’uomo sia sottoposto, dopo la
morte, a una
subitanea trasformazione; e che le peculiarità e i
pregiudizi che distinguono
l’individuo in questo mondo non passino con lui
nell’altro. Ma se invece
passano, l’eterogeneo carattere delle comunicazioni
ottenute di là (se tali
comunicazioni esistono) non deve sorprenderci. E’
precisamente quanto
possiamo ragionevolmente attenderci. Dio permette che
dagli esseri di
molteplice carattere di questo mondo, verità e menzogna
frammiste possano
raggiungerci: perché non dovrebbe avvenire altrettanto con
gli esseri di un
altro mondo, se vi prevale la stessa varietà di sentimenti
e di opinioni? Noi
siamo di continuo chiamati, dall’esercizio della nostra
ragione, a separare il
vero dal falso nel primo caso. Chi può assicurarci che
siamo dispensati da
questo dovere nell’altro? Affinchè non immaginassimo che,
quando ci si
comanda di provare tutte le cose, questa
ingiunzione si limitasse ai soli
25
agenti terreni, è stato aggiunto espressamente un testo
(22) per dichiarare che
anche gli spiriti devono essere sottomessi a prova.
Un mondo in cui gli uomini fossero esonerati dal dovere, o
privati del
diritto, di mettere in giuoco il proprio giudizio, di
separare, secondo i rigorosi
dettami della coscienza, il bene dal male, il giusto
dall’ingiusto, sarebbe un
mondo disgraziato e degradato. Se un tal principio venisse
portato alle ultime
conseguenze, vi sarebbe infine un mondo privo non solo
dell’esercizio della
ragione, ma della ragione stessa. L’uso, per un’estensione
che è difficile
determinare, è essenziale per il continuare
dell’esistenza. Quello che cessa di
adempiere ai suoi compiti, in definitiva cessa di
esistere. Gli occhi dei pesci
trovati nell’interno della Caverna di Mammoth nel
Kentucky, chiusi per
sempre alla luce del giorno, sono solo rudimentali (23).
Ma non è concepibile che nella divina economia sia mai
permesso un
ordine di cose in cui l’uomo sia privato del suo più
nobile attributo, quello
che, più di ogni altro, stabilisce la sua superiorità, in
questa terra, sopra le
inferiori razze animali che condividono con lui le sue
attività e le sue gioie. La
ragione umana è il pilota designato dell’umana civiltà;
certo fallibile come
tutti i timonieri, ma tuttavia essenziale al progresso e
alla sicurezza.
Allontanate questo pilota dalla barra e la barca avanzerà
a caso abbandonata
alla capricciosa influenza di ogni corrente casuale e di
ogni vento che spiri.
Immaginiamo a esempio un caso. Supponiamo che, da qualche
innegabile
sorgente spirituale, come le parole di un’apparizione o
una voce che risuoni
nell’aria, giunga a noi l’ingiunzione di adottare il principio
della poligamia sia
come sistema legalmente riconosciuto, come in Turchia, sia
nella forma non
dichiarata che appare nelle grandi città del mondo civile.
Che faremo, in
questo caso? Il mondo è opera divina. L’esperienza del
mondo è la voce di
Dio. Dovremo mettere da parte questa esperienza, la quale
ci proclama che
solo sotto il principio della monogamia i poteri fisici e
gli attributi morali
dell’uomo hanno sempre mantenuto il loro ascendente,
mentre debolezza e
decadenza nazionale seguono il costume della poligamia sia
apertamente
praticato come nel deserto e a Costantinopoli o
segretamente seguito come a
Londra o New York? Abbandoneremo il certo per l’incerto?
Cederemo gli
insegnamenti di Dio, attraverso le sue opere, per i
comandi di non sappiamo
chi?
La follia e il pericolo di una tale condotta sono
evidenti. Le ingiunzioni che
provengono da un altro mondo (supponendo la loro realtà)
possono essere
utili; possono essere altamente suggestive; possono
fornire preziosi materiali
per il pensiero: esattamente come i consigli di un saggio
o i pareri di qualche
amico giudizioso su questa terra. Ma nessuna opinione,
nessun consiglio di
un amico o di un estraneo devono essere accolti come
infallibili o accettati
26
come regola di azione finché la ragione non abbia emesso
il suo giudizio e
deciso, meglio che può, sulla loro verità e il loro
valore.
Non esistono, né possono sorgere, circostanze che
giustifichino
l’accoglimento, da parte dell’uomo, di una tale
comunicazione come infallibile
e ingiuntiva. Supponiamo un caso estremo. Immaginiamo che
da qualche
intelligenza evidentemente ultraterrena, ci giunga una
certa comunicazione
che, esaminata, dalla ragione, ci appaia superare in
profondità e saggezza
tutto ciò che la ragione, da sola, può creare. Dovremo forse,
in considerazione
dell’evidente eccellenza di questa comunicazione,
accogliere con assoluta
acquiescenza tutte le comunicazioni seguenti che sembrino
provenire dalla
stessa fonte? Nel capitolo sul Sonno vengono presentati
alcuni casi a prova
che i nostri poteri intellettuali durante il sonno talora
sorpassano ogni sforzo
mentale che possiamo fare durante
ragionevole concluderebbe di qui che dobbiamo lasciarci
dirigere dai nostri
sogni?
Mi sono soffermato e ho insistito anche a costo di
ripetermi su questo
argomento a causa dei diffusissimi errori che, in tal
connessione, la cieca
credulità ha fatto sorgere specialmente in questi ultimi
tempi; a causa
dell’urgente necessita di distinguere giudiziosamente e di
esaminare
cautamente. Ma egualmente urgente è la necessita di
ricordare che il giudizio
e la cautela sono esattamente l’opposto della negazione e
del pregiudizio.
Nella supposizione che gli spiriti comunichino
effettivamente, se coloro che
dovrebbero dare tono e direzione alla pubblica opinione si
limitano a
denunciare arrogantemente tutto l’insieme come un’enorme
impostura,
vengono a perdere ogni facoltà e ogni opportunità di
regolare una realtà di cui
negano l’esistenza (24). E, nel caso qui supposto, le
nostre guide morali e
religiose rischiano di perdere la loro influenza e la loro
posizione trascurando
una importantissima ricerca, cosa che tutti loro sembrano
non avere notato.
Le lagnanze in proposito da parte del clero e di altri
pubblici insegnanti
non sono fondate solo sul fatto che questa eresia (se di
eresia si tratta) è
penetrata in ogni classe sociale e adesso influenza più o
meno le opinioni e la
condotta di milioni di persone in tutto il mondo civile.
Queste lagnanze vanno
più oltre, provenendo dalla necessita del caso. La
questione circa
l’investigazione o la non investigazione è solo una
questione di tempo. Una
volta venuta in discussione e afferrata dalla simpatia
popolare, una materia
come questa deve essere accertata nelle sue
basi. Non c’è altra via di uscita,
non possiamo liberarcene altrimenti. Non potremo passarla
sotto silenzio se
volessimo, e non dovremmo farlo se potessimo. Considerata
nel suo aspetto
scientifico, potremmo con la stessa ragione vietare lo
studio dell’elettricità o
l’impiego dei fili magnetici. E quanto alle sue pretese
spirituali, o sono
pericolose illusioni che devono essere scoperte e
demolite, come deve esserlo
27
ogni illusione, per mezzo di ricerche accuratamente
condotte, o sono una
realtà più importante di tutte le altre in cui ci
imbattiamo ogni giorno nel
nostro cammino. Se sono un’illusione che svia il gregge, a
chi spetta il
compito di denunciarla più che al pastore? Ma si tratta di
denunciarla dopo
averla investigata;
poiché, secondo le parole di un saggio degli antichi
tempi, «Chi risponde prima di avere ascoltato avrà
stoltezza e vergogna» (25).
Se d’altra parte fosse provato che sono una realtà, come
sarebbe grave la loro
responsabilità nell’opporvisi ciecamente! In questo caso
una ricerca da parte
dei pubblici insegnanti sale al livello di un sacro
dovere, se non vogliono
sciaguratamente trovarsi come i miscredenti di tempi di
Gamaliele, a
combattere contro Dio.
E questo dovere è sacro soprattutto a causa di una grande
difficoltà,
suggerita dalle narrazioni che formano il tessuto di
questo volume, che si
presenta necessariamente alla politica della non
investigazione. Si tratta di
vedere fino a che punto si possa portare avanti questa
politica. Negli ultimi
dieci anni, specialmente nel nostro paese, gli uomini, in
questo campo, hanno
rivolto in particolare la loro attenzione a quella che, in
un certo senso, può
essere chiamata la fase artificiale del soggetto. Si sono
soprattutto preoccupati
di esaminare i fenomeni che avvengono come risultato di
una intenzione
espressa e di un metodo calcolato; fenomeni che sono stati
provocati e non
semplicemente osservati: come le manifestazioni che si
presentano attraverso
la cosiddetta medianità nei circoli spiritisti, attraverso
la scrittura automatica,
il sonnambulismo artificiale e simili. Questi
costituiscono solo una piccola
frazione di un soggetto di studi molto più vasto. Per la
maggior parte si sono
presentati solo da pochi anni, mentre la vasta massa dei
fenomeni
evidentemente collegata con essi, ma puramente spontanei,
si distendono nei
secoli e ci giungono da tutta la storia trascorsa. Questi
ultimi si presentano
non solo inattesi e non cercati, ma spesso non desiderati,
deprecati, talora
anche nonostante suppliche e preghiere. Spesso, è vero,
assumono il carattere
di manifestazioni da parte di spiriti benevoli e gentili;
ma altre volte hanno le
sembianze di persecuzioni punitrici e terribili (26). I
primi appaiono esporre
la dottrina di custodi celesti, mentre i secondi sembrano
mandati da Dio così
come Egli manda sul mondo gli uragani e i terremoti. Ma
entrambi sono
indipendenti dal volere o dall’azione umana: avvengono
come cadono la
pioggia e i fulmini.
Questo complica il caso. Noi possiamo condannare come
pitonismo o
denunciare come illegale necromanzia, la ricerca dei fenomeni
spiritici (27).
Ma, così facendo, ci riferiamo solo a un ramo secondario
del soggetto.
Come dobbiamo comportarci con le manifestazioni
ultraterrene qualora sia
provato che spesso avvengono non solo senza la nostra
azione ma a dispetto
dei nostri scongiuri? Ammettiamo che sia poco saggio e
perfino peccaminoso
28
andare in cerca di interventi spiritici: ma che dobbiamo
dire se il fenomeno ci
coglie all’improvviso e non sollecitato, e, per il bene o
per il male, si presenta
come un intruso sul nostro cammino terreno? Anche in
questa fase (qualora
sia dimostrato realmente presente) dobbiamo ignorare la
sua esistenza.
Dovremo negarlo e respingerlo senza alcuna ricerca sul
carattere della sua
influenza? Quale che sia la forma che assume, dovremo,
come la principessa
Parizade delle Mille e una notte, tapparci
le orecchie col cotone contro le
voci che ci sono attorno?
Il diritto astratto di investigare il vasto problema della
realtà delle
interferenze ultraterrene, non sarà mai messo seriamente
in dubbio negli
Stati Uniti. Non vi è mai stato un periodo nella storia
del mondo in cui la
tirannia umana abbia precluso, salvo per un momento, la
strada a un
qualsiasi ramo del sapere che Dio ha posto realmente alla
portata dell’uomo;
tanto meno un ramo che implicasse interessi così vitali
come questo. Né vi è
alcun paese del mondo civile in cui il tentativo possa
essere fatto con minore
probabilità di successo che nel nostro.
Molti, tuttavia, che concedono tale diritto, giudicano la
sua pratica densa di
pericoli per il benessere e la felicità dell’uomo.
Indubbiamente qualche
pericolo vi è. Quale cosa in natura presenta un solo lato?
Quale dei nostri
studi può essere intrapreso senza giudizio o seguito senza
prudenza? In tutte
le imprese umane qualche cosa bisogna rischiare; e questo
rischio, in genere,
è tanto maggiore quanto più importanti sono le mete. Le
ricerche religiose
comportano maggior rischio delle secolari: esse richiedono
dunque una
maggior cautela e uno spirito più spassionato. Dobbiamo
evitarle per questa
ragione? La loro interdizione metterebbe al sicuro il
benessere e la felicità
dell’uomo?
La teoria del sistema solare, che è oggi ammessa da ogni
astronomo e
insegnata in ogni scuola, veniva considerata un tempo
piena di pericoli per il
bene e la felicità della razza umana, e il suo autore fu
costretto a
inginocchiarsi e giurare che non l’avrebbe mai più
propagata con parole o con
scritti. E tuttavia quale ipotesi scientifica gli uomini
di oggi si farebbero
scrupolo di esaminare? E se è così di una teoria
scientifica, perché non
dovrebbe esserlo di una teoria spirituale? Saremo pronti a
confidare nella
nostra ragione nel primo caso, ma ne respingeremo le
conclusioni nel
secondo? Dobbiamo dire di questa nobile facoltà quello che
un cavillatore
tedesco espresse a riguardo del telescopio che per primo
rivelò agli uomini la
presenza dei satelliti del pianeta Giove: «Fa meraviglie
sulla terra, ma
rappresenta falsamente gli oggetti celesti?» (28).
Fatevi coraggio e confidate nei sensi che Dio vi ha dato.
Nella codardia non
vi è alcuna salvezza, e l’evasione, anche se fosse
possibile, non serve a nulla.
29
Se dovremo giungere, prima o poi, a investigare questa
materia, è saggio e
virile farlo subito.
Una gran parte dei periodici moderni hanno finora o
totalmente ignorato
l’argomento delle interferenze ultraterrene, o lo hanno
sorvolato con qualche
cenno superficiale e sprezzante fra non molto vi sarà un
cambiamento (29). Il
soggetto va gradualmente aumentando di ampiezza e di
importanza, e
guadagnandosi un livello di attenzione che sarà avvertito
dalla miglior parte
della stampa così da ottenere quella rispettabile
valutazione che è dovuta a un
avversario onorato. Certo così dovrebbe essere. Comunque
stiano le cose, si
adempie meglio al dovere della stampa e del pulpito e
meglio si allontanano i
danni inerenti al soggetto, promuovendo la ricerca che
scoraggiandola (30);
ma una ricerca, completa, minuziosa, accurata e imparziale
nel senso più
stretto della parola.
Il primo requisito per chi intraprenda una tale investigazione
- ancora più
importante di una preparazione scientifica a una ricerca
accurata - è che ci si
avvicini a essa senza pregiudizi e con mente libera, senza
portare con sé
alcuna teoria favorita da costruire, né opinioni
preconcette che possano essere
soddisfatte o contrariate, e nemmeno il desiderio che i
risultati siano di
questo o quel carattere, ma solo con il vivo interesse di
scoprire di quale
carattere siano.
Fino a che punto io abbia dimostrato questi requisiti nel
mio lavoro, è cosa
che potranno decidere i lettori di queste pagine. Nessuno
è giudice imparziale
della propria imparzialità. Io diffido della mia. Sono
consapevole di un
elemento di disturbo: un’inclinazione della mia mente,
distinta dal semplice
desiderio di scoprire
accusarmi di voler insinuare in tale ricerca qualche
preconcetto scientifico o
teologico, e nemmeno della minima contrarietà ad accettare
o ad arrendermi
a una qualche opinione, ortodossa o eterodossa, che il
progresso dell’indagine
possa affermare o negare. Questo no. Ma sono consapevole
di un sentimento
che si è rafforzato in me via via che le ricerche
procedevano; un desiderio
diverso dalla pura tendenza a esaminare con spassionata
equanimità i
fenomeni quali si presentavano; una viva speranza, in
particolare, che essi
finissero col fornire alla prova dell’esistenza
indipendente e dell’immortalità
dell’anima, un contributo tratto da una fonte in cui tale
prova, fino a tempi
molto recenti, è stata raramente cercata.
L’esploratore di un campo come questo dovrebbe stare
particolarmente in
guardia contro l’inclinazione di questa speranza così
intrecciata all’umana
natura. E’ una delle tante difficoltà con cui lo studioso
deve combattere. «E’
facile», diceva giustamente Bonnet, il dotto ginevrino, «è
facile e piacevole
credere; dubitare richiede uno sgradevole sforzo». E la
tendenza a concludere
30
sulla base di una prova insufficiente è più grande quando
cerchiamo qualche
cosa che desideriamo intensamente trovare. Le nostre
passioni sopraffanno il
nostro giudizio. Ma che cosa è più fortemente desiderabile
della certezza che
la morte, la più temuta, sia un amico piuttosto di un
nemico aprendoci,
quando il nero sipario cala sulle scene terrene, le porte
di una migliore e più
felice esistenza?
E’ comune opinione che l’unica fonte sufficiente e
appropriata da cui
derivare questa convinzione è la storia sacra.
Ma, per quanto fortemente si possa affermare che le prove
date dalla
Scrittura dell’immortalità dell’anima dovrebbero guidare
la fede di tutto il
genere umano, rimane il fatto che non è così (31). Molti
rimangono scettici;
ancora di più portano con sé, riguardo al futuro destino
dell’anima, una fede
smorta e sterile; e anche fra coloro che la professano più
intensamente, il loro
credo si può per lo più riassumere in questa esclamazione:
«Signore, io credo:
vieni in aiuto alla mia mancanza di fede!» (32).
Poiché dunque, nessuna lagnanza è più comune, perfino a
pulpito, di
quella sulla contraddizione, discussa in tutto il mondo,
anche tra i più zelanti
fedeli, tra fede e pratica, non possiamo forse
rintracciare le cause di questa
contraddizione nella debolezza della fede, così al disotto
della certezza che i
nostri sensi ci danno della realtà delle cose, e che ci
tiene così incerti? (33).
E’ anche importante distinguere fra coloro che sono
chiamati
genericamente miscredenti. Pochi di essi negano che l’uomo
abbia un’anima
immortale; gli altri si limitano ad affermare di non avere
ancora trovato una
prova conclusiva dell’esistenza ultraterrena dell’anima; e
questi sono molto
più numerosi dei primi.
La differenza fra i due è grande: il credo degli uni può
essere tacciato di
presunzione, quello degli altri solo di insufficienza. Gli
uni affermano di avere
già raggiunto lo scopo; gli altri riconoscono di essere
ancora sulla via della
ricerca.
Ma per questi ultimi, ogni classe di prove che noi
possiamo trovare
relativamente alla natura dell’anima ha una particolare
importanza. E qui
giungiamo al punto fondamentale della questione. Perché,
considerando che
gli uomini sono così variamente costituiti e diversamente
educati a trovare se
stessi, la stessa prova non convincerà mai tutti. Ed è
ugualmente non
cristiano (34), non filosofico e ingiusto condannare il
nostro prossimo perché
le testimonianze che convincono noi lasciano lui nel
dubbio e nella
miscredenza. Possiamo immaginare che un Dio giusto si
unisca a noi in
questa condanna? O non possiamo, più razionalmente,
credere come più
probabile che, nell’ulteriore corso della Sua economia, Egli
possa provvedere
31
per ogni genere di mentalità quel tipo di prova che è
meglio adatto alla
peculiare natura di ognuno?
Un medico parigino del più alto livello, il dott. Georget,
noto autore di un
trattato di fisiologia del sistema nervoso (35), fece
testamento il primo marzo
1826 morendo poco dopo. In questo documento vi è una
clausola nella quale,
dopo avere alluso al fatto che nel trattato citato egli
aveva apertamente
professato il materialismo, dice: «Avevo appena pubblicato
du système nerveux,
quando nuove meditazioni su di un fenomeno
straordinario, il sonnambulismo, non mi permisero più di
dubitare
dell’esistenza, in noi e fuori di noi, di un principio
intelligente, del tutto
diverso dalle esistenze materiali». E aggiunge: «Questa
dichiarazione vedrà la
luce quando la mia sincerità non potrà più essere messa in
dubbio né le mie
intenzioni sospettate». Concludendo con una viva
richiesta, rivolta a coloro
che sarebbero stati presenti all’apertura del testamento,
di dare alla
dichiarazione tutta la pubblicità possibile.
Troviamo così un uomo di valore, vivente in un paese
cristiano, dove aveva
accesso a tutte le consuete prove della nostra religione,
che rimane un
materialista per la maggior parte della vita e, verso la
sua fine, trova in un
fenomeno psicologico una prova sufficiente per dargli la
profonda
convinzione che il suo credo di vita è stato un errore e
che l’anima umana ha
un’esistenza immortale.
nell’immortalità dell’anima non dovrebbe forse rallegrarsi
del fatto che una
miscredenza risultata inconquistabile dalla testimonianza
dalle Scritture
abbia ceduto di fronte a una prova tratta dall’esame di
una delle meraviglie
esibite da ciò che tutti, a eccezione degli atei,
dichiarano essere opera di Dio?
E poiché tale meraviglia appartiene a una classe di
fenomeni negata da
molti e messa in dubbio dai più, ogni amico della
religione non dovrebbe forse
augurare buona fortuna al ricercatore che spinge la sua
indagine nelle regioni
che hanno prodotto frutti così importanti?
Non è certo un vero amico della religione né della propria
razza colui il
quale non desidera che gli uomini ottengano la più
convincente prova
dell’immortalità dell’anima e della realtà di una vita
futura. Ma se v’è
realmente una prova fisica, conoscibile con i sensi, di
queste grandi verità,
essa è, e dovrà sempre essere, più forte di qualunque
altra possa risultare
dalla testimonianza delle Scritture. I cristiani
intelligenti, anche i più
ortodossi, lo ammettono; Tillotson, per esempio. Esso
forma in realtà il
tessuto del suo argomento contro la reale presenza.
Dice questo dotto
prelato: «La miscredenza non sarebbe possibile all’uomo se
tutti gli uomini
32
avessero, in favore della religione cristiana, le stesse
prove che hanno contro
la transustanziazione; ossia la chiara e irresistibile
prova dei sensi» (36).
Le Scritture e il senso comune sostengono egualmente
questa dottrina,
addirittura il nostro linguaggio di ogni giorno presuppone
la sua verità. Se un
amico, anche il più fidato, ci racconta qualche incidente
a cui è stato presente,
in quali termini esprimiamo la nostra convinzione che egli
ci ha detto la
verità? Diciamo forse: «Conosco la sua testimonianza?».
Una tale espressione
non esiste nella lingua inglese. Noi diciamo. «Credo nella
sua testimonianza»
(37). E’ vero che questa prova, soggetta comunque a
controprova, decide, in
una corte di giustizia, delle vite e degli averi umani; ma
solo per la necessità
del caso; solo perché i giudici e la giuria non possono
essere essi stessi
testimoni oculari e auricolari
dei fatti che devono essere provati; e, anche
esaminando con ogni cura tali testimonianze, sono già
stati mandati al
patibolo degli innocenti. Né, salvo casi straordinari ed eccezionali,
nel nostro
sistema vengono accettate in giudizio testimonianze di
seconda mano (38). E
quando un testimone prende a ripetere quello che altri
hanno visto o udito,
qual è la frase usata per richiamarlo nei limiti del suo
dovere? «Non diteci
quello che gli altri vi hanno detto; limitatevi a quello
che potete deporre per
vostra propria conoscenza».
Così pure, quando nella Scrittura ci si riferisce a
persone che hanno fede o
che ne sono prive, come vengono designate? Forse come conoscitori
e non
conoscitori? No, ma
come credenti e non credenti. «Colui che crede» -
non colui che conosce - «sarà salvo». Per quel che
riguarda le cose spirituali,
della nostra conoscenza solo al di là. «Allora
conosceremo, così come siamo
conosciuti».
Ma discutere per esteso un tal punto è eccessivo. Vi sono
alcune verità la
cui evidenza non può essere rafforzata da alcun argomento
perché fanno
appello direttamente alla nostra coscienza e sono subito
accolte senza
contestazione. Una pia madre perde il suo bambino -
sebbene la frase sia
inesatta: ella si diparte da lui un certo tempo - ma nel
linguaggio del mondo e
in quello del suo cuore, perde il suo bambino perché è
morto. Ebbene, se
proprio nel momento in cui il suo lutto è sentito nel modo
più disperato, forse
nel momento più amaro, mentre la bufera invernale infuria
al di fuori,
quando le balena il pensiero che la fredda tormenta batte
sulla tomba ancor
fresca e deserta del suo caro, se in questo terribile
momento la raggiungesse
subito e inatteso un segno visibile ai. sensi,
un’apparizione in forma corporea,
o forse un effettivo messaggio che lei sapesse provenire
direttamente dal suo
fanciullo, un’apparizione o un messaggio ad assicurarla che
colui che aveva
pensato come esanime, strappato al suo affetto, sotto le
zolle battute dalla
tempesta non è là ma si sente molto più felice di quanto
lei abbia mai saputo
33
renderlo, più protetto di quanto sia mai stato fra le sue
braccia: in un tal
momento quanto povere e incapaci si rivelerebbero tutte le
arti della logica
per provare che la luce di tale assicurazione inattesa,
venuta attraverso le
tempestose nubi del suo dolore per riaccendere le sue
morte speranze, non ha
aggiunto niente al grado della sua fede nell’immortalità,
non ha accresciuto la
forza delle sue convinzioni relative al Gran Futuro, non
ha alzato dalla fede
alla conoscenza il credo con cui può ripetere alla sua
anima le parole ispirate
che, sebbene la polvere sia tornata alla terra da cui
veniva, lo spirito è nelle
mani, di Dio suo creatore!
Se dunque avvenisse che
in certa misura anche qui; se avvenisse che il Grande
drammaturgo avesse
avuto torto nel descrivere l’aldilà come «la
sconosciuta landa dai cui
confini nessun viaggiatore fa ritorno;» se fosse vero che in certe
occasioni abbiamo diretta prova dei nostri sensi per
dimostrare il continuarsi
dell’esistenza e degli affetti degli amici che hanno
oltrepassato questi confini
stessi; se fosse volere divino che, a questo stadio del
continuo progresso
umano, fenomeni più chiaramente distinti che, almeno nei
tempi moderni,
sono stati usualmente disprezzati o negati, raggiungessero
un punto in cui la
fede, la
più alta convinzione che
possa salire al grado della conoscenza; se
tutto questo divenisse una realtà
di fatto, non sarebbe questa una realtà magnifica, da
desiderarsi
intensamente e da accogliersi con animo grato?
E coloro che, con l’occhio rivolto alla verità,
interrogano la natura con
fiducia e pazienza per scoprire se è realtà o illusione,
non dovrebbero forse,
questi onesti e zelanti investigatori, essere confortati
nel loro cammino e
lodati per i loro studi? Se è un sacro e solenne dovere
studiare le Scritture in
cerca di fede religiosa, è forse un dovere meno sacro e
meno solenne studiare
la natura in cerca di una religiosa conoscenza?
Nel proseguire questa ricerca, se alcuno teme di peccare
oltrepassando i
limiti di un’indagine permessa, passando su di un terreno
empio e proibito, si
ricordi che Dio, il quale nasconde i suoi misteri, ha reso
impossibile questa
colpa; prosegua pure, certo con reverenza, ma liberamente
e senza esitazioni.
Se Dio ha sbarrato la via, l’uomo non potrà passare al di
là. Ma se Egli la ha
lasciata aperta, chi può proibire di entrarvi?
E’ bene prendere con noi, come compagno nella nostra vita,
un grande e
incoraggiante soggetto; e ne sentiamo il bisogno quanto
più avanziamo negli
anni. Tra le varie citazioni che ho potuto scegliere,
particolarmente vera è la
felice espressione di uno scrittore moderno, che
«viaggiando con esso si va
verso il sole, lasciando cadere dietro di noi le ombre del
nostro fardello» (39).
34
Qualcuno ha suggerito che, se vogliamo veramente stabilire
se in ogni
momento agiamo in modo degno di un essere razionale e
immortale,
dobbiamo chiedere al nostro cuore se siamo disposti ad
accogliere la morte
nel momento della nostra azione. Non vi è prova più
severa. E se la
applichiamo in ricerche come queste, come ne risulterà
chiaramente il loro
carattere superiore! Se, mentre si dedica a questo
intento, l’osservatore sarà
sopraffatto dalla morte, il distruttore non ha il potere
di arrestare le sue
osservazioni. L’esito fatale non farà che estendere il suo
campo. La torcia non
si spegne nella tomba. Arde ancora più fulgida di quanto
non abbia mai fatto
in questo nostro oscuro mondo. Qui il ricercatore brancola
e inciampa,
vedendo come attraverso un vetro affumicato. La morte, che
ha liberato
dall’infelicità tanti milioni di uomini, dissiperà i suoi
dubbi e risolverà i suoi
problemi. La morte, la grande spiegazione, trarrà da parte
il velo lasciando la
chiara luce. Quello che è debolmente iniziato in questa
fase di esistenza sarà
molto meglio proseguito in un’altra. L’indagine
raggiungerà il suo fine laggiù?
Chi può dirlo?
Note
(1) Physical Theory of Another Life, by the
Autor of the Natural
History of Enthusiasm; Teoria fisica di un’altra vita,
dell’autore
della Storia naturale dell’entusiasmo -
Isaac Taylor, Londra 1839.
(2) Theorie der Geisterkunde (Teoria dello
spiritismo, o, letteralmente,
della conoscenza spiritica) di Jung Stilling, 1809. Johann
Heinrich Jung,
meglio noto con l’aggiunta del nome Stilling, nato nel
Ducato di Nassau nel
1740, salì dalla povertà e dalla condizione più umile fino
a essere, prima,
professore di economia politica a Heidelberg, e poi membro
del consiglio
Aulico del Granducato dr Baden.
Jacob Böhme è da alcuni messo in prima fila fra i
pneumatologi; ma io
confesso la mia incapacità di scoprire gran che di pratico
o solo di intelligibile
nelle mistiche effusioni del degno calzolaio di Görlitz.
La colpa, tuttavia, può
essere mia; perché, come ha detto qualcuno: «egli è sempre
il mistico che vive
in un mondo lontanissimo dal nostro».
Swedenborg, il grande spiritualista del diciottesimo
secolo, è uno scrittore
della cui voluminosa opera sarebbe presuntuoso dare un
giudizio senza averla
accuratamente studiata; e io non sono stato ancora capace
di farlo. Si può
tuttavia con una certa sicurezza affermare questo, che
qualunque giudizio si
dia su quella che il veggente svedese chiama la sua
esperienza spirituale, e per
35
quanto poco si sia pronti a sottoscrivere le decise
affermazioni poco
saggiamente attribuitegli dai suoi discepoli, un eminente
e poderoso spirito
parla dai suoi scritti, che, anche a uno sguardo
superficiale, richiamano
l’attenzione di chi ha mente chiara. La sua idea di Gradi
e Progressi, che
giungono dalla terra al cielo; la sua dottrina degli Usi
egualmente lontana da
una ascetica fantasticheria e da un utilitarismo nel rude
senso moderno; la
sua asserzione dell’Influsso, o, in altre parole della
costante influenza
esercitata dal mondo spirituale su quello materiale;
perfino la sua teoria delle
Corrispondenze, e, ultima e fondamentale, la sua ardente
valutazione di quel
principio di Amore che è il compimento della Legge: queste
e altre affini
caratteristiche del sistema swedenborghiano sono di troppo
profonda e
genuina importanza per essere sorvolate alla leggera. Per
non dire altro, sono
perlomeno meravigliosamente suggestive e quindi altamente
apprezzabili.
D’altra parte si può apprezzare Swedenborg al di fuori del
swedenborghianismo. «Quanto a noi», scrive Margaret
Fuller, «Swedenborg
ci interessa non come veggente di fantasmi ma come
veggente della verità».
(3) Night Side of Nature (Il Lato oscuro
della natura, Londra), di
Catherine Crowe. L’opera, pubblicata nel 1848, raggiunse
la sedicesima
edizione nel 1854. Al pari delle antiche collane narrative
di Glanvil, Mather,
Baxter, Beaumont, Sinclair, Defoe e altri dello stesso
genere, è esposta alle
stesse critiche di quella di Stilling; tuttavia, chi si
senta disposto a mettere da
parte il volume come semplice ingannevole raccolta di
storie di fantasmi, farà
bene, prima, a leggere la sua introduzione e il decimo
capitolo: «Il futuro che
ci attende».
Un recente volume della stessa autrice (Ghosts and
Family Legends -
Fantasmi e leggende di famiglia, 1859) non ha pretese di
autenticità né mira a
più alti scopi che di aiutare a passare una sera
d’inverno.
(4) Presentato al re di Francia l’11 agosto 1784. Era
firmato, fra gli altri
membri della commissione, da Franklin e da Lavoisier.
Dovrebbe essere in particolare ricordato che i membri
della commissione,
in questo rapporto, mentre parlavano in duri termini
contro il magnetismo
del 1784, con le sue tinozze magnetiche, le
sue crisi isteriche e le sue
convulsioni - e anche contro la teoria di Mesmer di un
fluido universale che
fluisce e rifluisce, mezzo di influenza dei corpi celesti
sul sistema umano e
agente curativo universale -, non espressero alcuna
opinione, favorevole o
sfavorevole, riguardo al sonnambulismo propriamente detto.
Si ammette in
generale che il sonnambulismo, con i suoi fenomeni annessi
nella forma in cui
li conosciamo, sia stato osservato per la prima volta dal
marchese de Puységur
nella sua proprietà di Buzancy presso Soissons il 4 marzo
1784; ma Puységur
rese pubbliche le sue osservazioni solo alla fine di
quell’anno, quattro mesi
36
dopo che il rapporto della commissione era stato fatto.
Bailly e i suoi colleghi,
dotti e candidi com’erano, non devono essere citati come
responsabili della
condanna di ciò che non avevano mai visto e di cui non
avevano mai sentito
parlare. Di questo fatto dà onestamente testimonianza
Arago, un uomo che si
elevò al di sopra dei comuni pregiudizi dei suoi colleghi.
Traduco dal suo
resoconto sulla vita e la carriera dello sfortunato
Bailly, pubblicato
«nell’Annuaire du Bureau des Longitudes» del 1853. «Il
rapporto di Bailly»,
scrive, «sconvolge dalle sue fondamenta le idee, il
sistema, la pratica di
Mesmer e dei suoi discepoli: permetteteci di aggiungere in
piena sincerità, che
non abbiamo il diritto di appellarci alla sua autorità
contro il
sonnambulismo moderno.
La maggior parte dei fenomeni raggruppati
sotto questo nome non erano né conosciuti né annunciati
nel 1783. Un
magnetizzatore dice indubbiamente una delle cose meno
probabili di questo
mondo quando afferma che un tale individuo, in stato di
sonnambulismo, può
vedere qualsiasi cosa nell’oscurità perfetta, o leggere
attraverso un muro, o
anche senza l’aiuto degli occhi. Ma l’improbabilità di
queste asserzioni non
risulta dal famoso rapporto. Bailly non accenna a queste
meraviglie né per
sostenerle né per negarle. Il naturista, il fisico o il
semplice investigatore
curioso, che si impegnano negli esperimenti di
sonnambulismo, che
considerano loro dovere cercare se, in certi stati di
eccitamento nervoso dati
individui sono realmente dotati di facoltà straordinarie -
quella, ad esempio,
di leggere mediante l’epigastrio o i talloni -, che
desiderano accertare di fatto
fino a qual punto i fenomeni annunciati con tanta
sicurezza dai moderni
magnetizzatori appartengono solo al dominio dell’inganno e
della frode, tutti
questi ricercatori, dico, non devono, in questo caso,
combattere contro un
giudizio reso: non si oppongono, in realtà, a un
Lavoisier, a un Franklin, a un
Bailly. Essi entrano in un mondo completamente nuovo, nel
vivo
dell’esistenza di ciò che questi illustri scienziati non
sospettavano». (pagg.
444-445).
Un poco più oltre nello stesso articolo, Arago aggiunge:
«Il mio scopo è
stato di mostrare che il sonnambulismo non dovrebbe essere
respinto a
priori specialmente
da coloro che hanno seguito i progressi della moderna
scienza fisica». E a riprova di questa presunzione, che
tanto spesso nega senza
avere esaminato, cita questi versi che, egli dice, i veri
scienziati dovrebbero
avere sempre in mente:
«Croire tout découvert est une erreur profonde:
C’est prendre l’horizon pour les bornes du monde».
(Credere che tutto sia stato scoperto è un profondo
errore: è prendere
l’orizzonte per i confini del mondo).
37
(5) Se ne può trovare un esempio nei Principles of
Human
Physiology di
William Carpenter, dottore in medicina e membro della
Royal Society, quinta edizione 1855, paragrafo 696, sotto
il titolo
«Mesmerismo». Il dott. Carpenter respinge i più alti
fenomeni della
chiaroveggenza, ma ammette:
1° Uno stato di completa insensibilità durante il quale
possono essere
compiute alcune operazioni chirurgiche senza che il
paziente ne abbia
coscienza.
2° Un sonnambulismo artificiale con manifestazioni degli
ordinari poteri
della mente, ma senza che ne permanga il ricordo nello
stato di veglia.
3° Esaltazioni dei sensi durante tale sonnambulismo così
che il
sonnambulo percepisce ciò che in condizioni naturali non
potrebbe percepire.
4° Azioni, durante tale sonnambulismo sull’apparato
muscolare così da
produrre, a esempio, una catalessi artificiale; e 5° forse
effetti curativi.
Il dott. Carpenter dice di essersi convinto della realtà
di questi fenomeni e
che «non vede perché dovrebbero essere tenuti in qualche
discredito». (Nota
a pag. 649).
Le numerose opere di fisiologia e scienza medica di questo
scienziato sono
troppo note perché il suo carattere e la sua reputazione
abbiamo bisogno di
garanzia.
(6) Kate, la figlia più giovane dei coniugi Fox, che aveva
allora nove anni.
Fu nella notte del 31 marzo 1848. Questa, comunque, come
vedremo in
seguito, non fu affatto la prima volta che venne osservato
come simili suoni
mostrassero un’apparenza di intelligenza.
Per i particolari della storia di Hydesville, si veda
l’ultimo racconto del
Libro III.
(7) «Iniziamo la vita in una compagnia compatta; fratelli
e sorelle, amici ed
esseri amati, vicini e camerati sono con noi: si formano
circoli entro circoli e
ognuno di noi ne è piacevolmente al centro dove gli
affetti del cuore sono
ardenti e di dove si irraggiano sulla società fuori di
noi. La giovinezza è
esuberante di gioia e di speranza; la terra sembra bella
perché scintilla delle
rugiade di maggio e nessuna ombra è caduta su di essa.
Siamo tutti qui e
potremmo vivere qui per sempre. Il nostro centro domestico
è sul lato al di
qua del fiume, e perché dovremmo tendere il nostro sguardo
per guardare al
di là? Ma questo stato di cose non dura a lungo. Il nostro
circolo si accresce
sempre meno. Si spezza sempre di più per poi richiudersi,
ma ogni volta
diviene più angusto e più piccolo. Forse prima che il sole
sia al meridiano, la
maggior parte è passata sull’altra sponda; laggiù il
circolo è grande come
38
quello di qui, e noi siamo tratti in direzioni opposte e
vibriamo fra i due.
Ancora un poco e quasi tutti sono passati al di là; la
bilancia pende dal lato
spirituale e il centro domestico si trasferisce nella
sfera superiore. Alla fine
non vediamo altro che un vecchio pellegrino, solitario
sulla riva, che fissa
Intento la regione sull’altro lato». Foregleams of
Immortality (Barlumi
di immortalità) di Edmund H. Sears, quarta edizione Boston
1858; cap. XVI,
«Casa», pag. 136.
(8) «Perché gli spiriti, dal regno della gloria
Non vengono a visitare la terra come un tempo…
Il tempo degli antichi scritti e della storia sacra?
Il cielo è più distante? o la terra si è raffreddata?
La musica di Betlemme fu il loro ultimo canto,
Quando altre stelle si oscurarono dinanzi all’Unico?
La loro ultima presenza si manifestò nella prigione di
Pietro,
o là dove i martiri esultanti intonarono l’inno?
Julia Wallice
(9) Di dove i ragionatori abili come il dott. Strauss
traggono le loro più
valide armi contro la fede? Dalla moda moderna di negare
ogni intervento
ultraterreno. Ciò che respingiamo come incredibile, se
avvenuto oggi, per
quale processo diviene credibile se fatto regredire a
duemila anni fa?
«La totalità delle cose finite», dice Strauss, «forma un
vasto circolo che,
eccetto il fatto che deve la sua esistenza e le sue leggi
a un potere superiore,
non accetta intrusioni dal di fuori. Questa convinzione è
così abituale al
pensiero moderno, che nella vita attuale la credenza in
una manifestazione
soprannaturale, in una immediata azione divina, viene
subito attribuita a
ignoranza o impostura». (Vita di Gesù, I,
pag. 71).
(10) «Gli uomini sono sempre stati familiari con l’idea
che lo spirito non
resta col corpo nella tomba, ma passa d’un tratto in nuove
condizioni di
essere. Questa opinione ha molti aderenti e contrasta con
quella più materiale
che resti addormentato col corpo, per attendere un comune
giorno di risveglio
e di giudizio; e le idee in proposito sono così confuse
che si può udire un
sacerdote, nel suo sermone funebre, esprimere entrambe le
opinioni nello
stesso contesto e dire, in un sol fiato, che la signora
appena defunta è una
paziente abitatrice della tomba e un membro dei cori
angelici. Ma l’idea di
una vita ininterrotta fa tanta presa sugli affetti, i
quali non possono adattarsi a
pensare anche una temporanea estinzione di ciò a cui si
aggrappano, da
39
rimaner legata istintivamente a quasi tutti coloro che
hanno sentito
profondamente la morte o la hanno vista faccia a faccia».
(Londra, National
Review del
luglio 1853.)
Il problema di uno stato di esistenza intermedio che abbia
inizio al
momento della morte, l’Ade degli antichi e del
cristianesimo primitivo, sarà
toccato più avanti in questo volume.
Vi sono coloro che ammettono la realtà oggettiva delle
apparizioni e
tuttavia, negando l’esistenza di uno stato intermedio dopo
la morte, adottano
la teoria che si tratti di angeli di un rango inferiore,
che, per buoni fini,
impersonano ogni tanto persone defunte, perché chi si è
dipartito non torna
più. Questa è l’ipotesi di Defoe, ed è abilmente difesa da
lui nella sua
Universal History of Apparitions, Londra 1727.
Il problema è se «creature spirituali», angeli o anime di
defunti, siano
realmente intorno a noi.
(11) I migliori argomenti analogici che ricordi di avere
incontrato in favore
dell’immortalità dell’anima sono contenuti nella già
citata opera di Isaac
Taylor,
argomento fondato sull’analogia, a mio parere, è molto più
convincente della
logica astratta con cui gli antichi filosofi cercavano di
stabilire la verità in
questione. Quando Cicerone, seguendo Socrate e Platone,
dice dell’anima:
«Nec discerpi, nec distrahi potest, nec igitur interire»,
(Non può essere né
lacerata né fatta a pezzi, dunque non può morire),
l’ingenuità del
ragionamento è più evidente della sua conclusività.
(12) Disincarnati, ossia separati dal corpo
naturale; non nonincarnati;
perché non impugno affatto l’ipotesi di un corpo
spirituale. Vedi I, Corinzi,
XV, 44.
(13) «Negare la possibilità, anzi, l’attuale esistenza
della magia e della
stregoneria è contraddire in pieno la parola rivelata di
Dio in vari passi
dell’Antico e del Nuovo Testamento; la cosa stessa è una
verità di cui ogni
paese del mondo ha dato, a suo turno, testimonianza, sia
con esempi bene
comprovati, sia con leggi repressive che presuppongono
almeno la possibilità
di avere commercio con cattivi spiriti. Blachstone
Commentaries, IV, 6.
Cito quanto sopra da una fonte così distinta in
considerazione dei suoi
contributi all’universalità della credenza umana nelle
comunicazioni
ultraterrene e alla confutazione delle presunzioni contro
queste
comunicazioni, oggi in voga; non come prove della realtà
di questi rapporti.
(14) Bisogna qui ricordare al lettore che per uomini come
Johnson e Byron
l’universale credenza umana nelle comunicazioni con gli
spiriti dei defunti era
considerata come prova probabile della sua occasionale
realtà. Si ricorderà
40
che il primo, nel suo Rasselas, pone in
bocca del saggio Imlac questa
sentenza: «Che i morti non siano più visti non cercherò di
sostenerlo contro le
testimonianze concordi di tutti i tempi e di tutti i
paesi. Non vi è alcun popolo,
per quanto rozzo e incolto, nel quale apparizioni di
defunti non siano riferite e
credute. Questa opinione, che prevale dovunque sia diffusa
l’umana natura, è
potuta divenire universale solo per la sua verità: genti
che non sono mai
venute a contatto fra loro non avrebbero potuto essere
concordi su di una
fiaba che solo l’esperienza può rendere credibile. Che sia
messa in dubbio da
singoli cavillatori non può indebolire l’evidenza
generale; e alcuni che la
negano con la lingua la confermano con le loro paure».
A questo passo Byron allude nei versi:
«Intendo solo dire quello che dice Johnson,
Che, nel corso di circa seimila anni,
Tutti i popoli hanno creduto che dai morti
Giunga ogni tanto un visitatore.
E quel che c’è di più strano in questo strano argomento E’
che, qualunque
ostacolo venga eretto dalla ragione
Contro tale credenza, vi è qualche cosa di ancora più
forte
In suo favore, lo neghi chi vuole».
L’opinione di Addison su tale soggetto è ben nota. E’
contenuta in uno dei
numeri dello Spectator certo di suo pugno, e
precisamente il n° 110
pubblicato venerdì 6 luglio 1711, con queste parole:
«Considero una persona, che sia atterrita
dall’immaginazione di spettri e
fantasmi, molto più ragionevole di una che, contraria alle
relazioni di tutti gli
storici, sacri o profani, antichi o moderni, e alle
tradizioni di tutte le nazioni,
consideri fantastiche e senza fondamento le apparizioni
degli spiriti. Se non
potessi arrendermi a questa generale testimonianza del
genere umano, dovrei
farlo dinanzi alle relazioni di particolari persone attualmente
viventi, alle
quali non posso non prestar fede in altri argomenti».
Un altro distinto collaboratore dello Spectator sembra
avere condiviso la
stessa opinione: l’autore di A Treatise on Second
Sight, Dreams and
Apparitions (Trattato
sulla seconda vista, sui sogni e sulle apparizioni), un
ecclesiastico scozzese, credo, di nome Macleod, ma che
scrive sotto la fuma di
Theophilus Insulanus,
dice:
«Ciò che mi fece indagare più a fondo il soggetto fu una
conversazione che
ebbi con Sir Richard Steele, che mi indusse a cercare
prove ben confermate».
Edimburgo 1763, pag. 97.
41
(15) Taylor ha, su questo soggetto, un passo che merita di
essere citato.
Parlando della credenza in «occasionali comunicazioni dei
morti con i vivi»,
che, dice, «non dovrebbero essere liquidate sommariamente
come semplici
follie popolari», aggiunge:
«Nel considerare problemi di questo genere, non dovremmo
ascoltare, per
un momento, quelle frequenti ma non pertinenti massime che
vengono
avanzate con lo scopo di arrestare l’inchiesta; a esempio:
“Che bene deriva dai
cosiddetti fenomeni extranaturali?” o: “E’ forse degno
della Suprema
Saggezza permetterli?” e così via. E’ una questione,
anzitutto, di
testimonianze, che
devono essere giudicate in base ai principi stabiliti
dell’evidenza, e poi di fisiologia; ma non
di teologia né di morale. Alcuni
pochi esseri umani camminano dormendo e, immersi in un
profondo sonno,
compiono con precisione e sicurezza, atti della vita
quotidiana, tornando poi
nel loro letto e restando tuttavia inconsci, quando si
svegliano, di quello che
hanno fatto. Ebbene, considerando questa o qualsiasi altra
classe di fatti
straordinari, il nostro compito è, anzitutto,, di ottenere
un certo numero di
casi confermati da distinte e impeccabili testimonianze di
osservatori
intelligenti; e poi, giunti così in possesso dei fatti,
farli concordare meglio che
si può con le altre parti della nostra filosofia
sull’umana natura. Dovremo
forse permettere a un obiettore di ostacolare la nostra
curiosità scientifica sul
soggetto, per esempio, del sonnambulismo, dicendo: “Una
quantità di questi
racconti sono risultati esagerati o totalmente falsi”, o:
“Questo camminare nel
sonno non dovrebbe essere considerato possibile né
permesso dal Benevolo
Guardiano del benessere umano?” Physical Theory of
Another Life»
(Teoria fisica di un’altra vita). pag. 27.
(16) Tale società fu formata sul finire dell’anno
membri dell’Università, taluni dei quali attualmente a
capo di note istituzioni,
molti dei quali ecclesiastici e membri del Trinity College
e quasi tutti uomini
insigniti dei più alti onori. I nomi dei più attivi fra di
loro mi sono stati
gentilmente forniti dal figlio di un pari inglese, lui
stesso uno dei principali
membri. A lui devo anche una copia della circolare a
stampa della società, un
documento abile ed equilibrato che sarà trovato per esteso
nell’Appendice
(Nota A). Questo stesso signore mi ha
informato che le ricerche della società
hanno portato alla convinzione, condivisa, a suo credere,
da tutti i membri,
che vi siano sufficienti testimonianze per le apparizioni,
sia al momento della
morte sia dopo di essa, di persone defunte, mentre, per
altre classi di
apparizioni, le prove finora ottenute sono state giudicate
troppo deboli per
dimostrare la loro realtà.
Scrissi a un signore che era stato uno dei membri più
attivi della società, il
reverendo W., dandogli il titolo della presente opera ed
esponendogli in
termini generali lo spirito e il modo con cui intendevo
scriverla. Nella sua
42
risposta mi dice: «Vorrei essere capace di portare qualche
contributo all’opera
che vi proponete, proporzionato all’interesse che sento a
suo riguardo, ... Sono
felice di sapere che l’argomento sarà trattato in modo
pacato e filosofico. E’
quello che richiede; e, per mia parte, non dubito che
dalla pubblicazione
dell’opera che state preparando risulterà un gran bene. La
mia esperienza mi
ha portato a una conclusione, simile a quella che mi avete
comunicato: che la
possibilità di interferenze ultraterrene è un tema che
attrae sempre più
l’attenzione, specialmente fra gli uomini colti. E questo
mi rende tanto più
desideroso che sia loro presentata chiaramente una scelta
dei fatti».
La società, popolarmente conosciuta come il «Circolo del
Fantasma» ha
richiamato molta attenzione al di fuori della sua cerchia.
La sua natura e i suoi
scopi vennero per la prima volta a mia conoscenza mediante
il vescovo di ...,
che si interesso alla sua attività e si diede da fare per
ottenere contributi ai
suoi rapporti.
(17) Nel suo primo «Sermone profano».
(18) Il mio amico William Howitt, noto scrittore, che, con
la sua gentile
moglie, ha dedicato molto tempo e molto studio a questo
soggetto, dice, in
una recente replica ai discorsi del reverendo Edward White
pronunciati nella
cappella di San Paolo a Kentish Town nell’ottobre,
novembre e dicembre
1858: «A quanto si dice, lo spiritismo ha convertito tre
milioni di persone
nella sola America. In Europa credo che non siano meno di
un altro milione; e
la rapidità con cui si va diffondendo in ogni rango e
classe, letteralmente dalle
più alte alle più umili, dovrebbe far pensare. Qualcuno
dovrebbe scoprir in
quanti palazzi reali di Europa si è fermamente insediato e
con qual vigore si
vada diffondendo in tutte le classi e professioni che non
si curano di
nasconderlo: uomini e donne di fama letteraria, religiosa
o scientifica».
Io non ho mezzi per giudicare l’esattezza della
valutazione totale di Howitt.
Deve essere necessariamente poco esatta. Ma quanto
all’ultima parte della sua
osservazione, posso sostenerlo per conoscenza personale.
In Europa ho
trovato ricerche interessate e attive su questo soggetto
in ogni strato sociale,
dalla regalità in giù: principi, nobili, uomini di stato,
diplomatici, ufficiali
dell’esercito e della marina, dotti professori, scrittori,
giuristi, mercanti,
privati, signore alla moda, madri di famiglia. Molti di
costoro, è vero,
conducono le loro ricerche in privato, e confidano le loro
opinioni solo ad
amici intimi o simpatizzanti. Ma nondimeno queste idee si
diffondono e si
allarga sempre più la cerchia di coloro che le accolgono.
Se si chiedessero ulteriori prove di queste affermazioni
per quanto riguarda
l’Inghilterra, si possono trovare in uno degli ultimi
numeri di un noto
trimensile londinese, di cui sarebbe difficile trovare un
periodico più opposto
al movimento. Nella Westminster Review del
gennaio
43
elaborato articolo dedicato al soggetto, lo scrittore
dice: «Saremmo in grande
errore se supponessimo che le tavole giranti o quel gruppo
di pretesi
fenomeni che in questo paese vengono così chiamati e che
in America
assumono il più nobile nome di spiritismo, pur cessando di
occupare
l’attenzione del pubblico in generale, abbiano anche
cessato di richiamare
l’attenzione di ogni parte di esso. Le cose stanno molto diversamente.
I nostri
lettori sarebbero sbigottiti se mettessimo sotto i loro
occhi i nomi di parecchi
di coloro che ne sono irriducibili credenti o che si
dedicano allo studio o alla
riproduzione di tali meraviglie. Non solo sopravvivono ma
sopravvivono con
tutto il fascino e tutte le stimolanti attrattive di una
scienza segreta. Finché la
mentalità pubblica inglese sarà pronta ad ascoltarli, o
finché le prove saranno
presentate in forma da rafforzare la convinzione generale,
la politica attuale
del movimento sarà di alimentarlo senza far rumore e di
allargare la cerchia
della sua influenza in un tacito sistema di estensione. Se
questa politica avrà
successo è cosa che rimane da vedersi, ma non vi è dubbio
che, se venisse il
tempo di un risveglio di questo movimento, i suoi capi
sarebbero uomini e
donne le cui qualifiche intellettuali sono note al
pubblico e che godono della
sua fiducia e della sua stima». Pag. 32.
(19) De Gasparin considera un argomento decisivo contro la
teoria
spiritista il fatto che «le particolari opinioni di ogni
medium possono essere
riconosciute nei dogmi che egli promulga in nome degli
spiriti». (Des tables
tournantes, du Surnaturel en general et des esprits, del conte
Agénor de Gasparin, Parigi, 1855, vol. II, pag. 497).
Questo è vero solo
parzialmente. Colui che interroga, forse non meno spesso
del medium, riceve
in risposta le sue proprie opinioni. Ma questo è vero solo
qualche volta in
entrambi i casi. Comunque, senza dubbio, talora è vero; e
il fatto, comunque
venga spiegato, mette in rilievo, con molti altri, la
necessità urgente, da parte
di coloro che accettano l’ipotesi spiritista, di
accogliere con estrema prudenza,
e solo dopo un rigoroso esame, qualsiasi comunicazione,
quali che siano le
loro opinioni.
Finché gli spiritisti non prenderanno tali precauzioni,
finché non
giudicheranno quello che ricevono, separando il grano
dalla paglia, essi non
potranno lagnarsi se la maggioranza degli uomini
intelligenti respingeranno il
tutto perché una parte è chiaramente priva di valore. Frattanto,
sebbene
un’arguta satira non provi nulla, non ,può essere negato
ciò che Saxe lancia
contro alcuni cosiddetti spiriti comunicatori del nostro
tempo:
«Se non potete avere riposo nel vostro nuovo stato,
E dovete tornare, oh, esaudite la nostra richiesta:
Venite con un’aria nobile e celestiale,
E dimostrate il vostro diritto ai nomi che portate;
Date qualche prova della vostra nascita celeste;
44
Scrivete in buon inglese come scrivevate sulla terra:
E, cosa che un tempo era superfluo aggiungere,
Non dite, vi prego, tante solenni menzogne».
(20) Vedi, per esempio, Esperimental Examination of
the Spirit
Manifestations (Esame
sperimentale delle manifestazioni spiritiche), di
Robert Hare, dottore in medicina, professore emerito di
chimica
nell’università di Pennsylvania, quarta edizione 1856,
pagg. 14-15. Quando il
venerabile autore ottenne, secondo le sue parole, «la
sanzione degli spiriti in
condizioni di prova», ossia con mezzi molto ingegnosamente
da lui ideati per
prevenire ogni illusione, o (per usare ancora le sue
parole) per fare in modo
«che fosse assolutamente fuori del potere umano falsare i
risultati in modo
che non fossero una pura emanazione degli spiriti i cui
nomi erano dati»,
accetto come autentiche, senza ulteriori dubbi né
richieste, certe straordinarie
credenziali che sostenevano di provenire da un altro
mondo. Il prof. Hare è
adesso lui stesso un abitatore di quel mondo in cui gli
errori onesti vengono
corretti e dove l’onestà ha la sua ricompensa.
(21) Come il reverendo Charles Beecher nella sua Review
of Spiritual
Manifestations (Esame
delle manifestazioni spiritiche), cap. VII, dove si
troverà la citazione data nel testo.
De Mirville (Des esprits et de leurs manifestations
fluidiques, del
marchese de Mirville, Parigi, terza edizione 1854) è il
più abile esponente
moderno della dottrina cattolica della demonologia. La
quarta edizione di
questa opera, come gli editori mi informano, è oggi
(maggio 1859) quasi
esaurita.
la dottrina della possessione da parte di cattivi spiriti:
«Quod daemon corpora
hominum possidere et obsidere possit, certum de fide est
(Che il demonio
possa possedere e ossessionare i corpi umani è certo per
fede, Theologia
Mystica ad usum directoru animarum, Parigi 1848, vol. I, pag. 376). Il
Rituale Romano (Cap. «De exorcizandis obsessis a Demonio»)
offre
particolareggiatamente le regole per esorcizzare il
demonio; e di fatto gli
esorcismi, a Roma e altrove nei paesi cattolici, sono oggi
di occorrenza
giornaliera, sebbene di solito condotti in privato e senza
farne parola fuori
dell’ambito della Chiesa.
(22) I, Giovanni, IV, 1.
(23) Questo fatto è stato verificato dalla dissezione. Il
pesce in questione
(l’unica specie conosciuta del genere Amblyopsis spelaeus)
si trova
tuttavia, credo, solo in località simili. Né è certo che
questo pesce non abbia la
possibilità di distinguere la luce dalle tenebre; perché
il lobo ottico è rimasto.
45
I dottori Telkampf, di New York, e Wyman, di Boston, hanno
pubblicato
articoli su questo argomento.
Sarebbe un esperimento interessante portare alcuni di
questi pesci alla luce
e vedere se, nel corso di generazioni, i loro occhi
tornerebbero gradualmente
perfetti.
(24) Nel febbraio del 1859, mentre desinavo presso un
ricco e noto
capitalista londinese, seduto a fianco della padrona di
casa, questa affrontò
l’argomento dello spiritismo. Le chiesi se era stata
testimone di qualcuno dei
pretesi fenomeni. Mi rispose di no; che, da quanto aveva
udito, era convinta
che ci fosse in essi qualche realtà; ma che, essendo di
temperamento nervoso
e non sicura del suo autocontrollo, si era trattenuta
dall’esaminare le
manifestazioni. «E poi so che lo spiritismo ha prodotto
tanti guai. Non è
vero?» (E si rivolse a un signore vicino). Questi confermo
energicamente. Io
lo pregai di darmi un esempio. «Posso darvene parecchi»,
rispose, «solo nella
cerchia delle mie conoscenze; ma ne ricordo uno in
particolare. La figlia di un
mio amico, di una famiglia della massima rispettabilità, e
lei stessa graziosa e
intelligente, proprio in questi tempi è travolta dalle sue
illusioni. Ottiene colpi
dal tavolo, e ha preso l’abitudine di chiudersi ogni
giorno nell’abbaino della
casa di suo padre sillabando comunicazioni che immagina
provenire da spiriti
di defunti. Non vuole nemmeno fare il moto necessario alla
sua salute con la
scusa che, quando è fuori, pub perdere l’occasione di
ricevere qualche
messaggio divino. Non valgono le rimostranze dei suoi
genitori, che non sono
per nulla affetti da questa mania; e questo li addolora
molto».
Comunque si possano interpretare quelli che sono stati
chiamati colpi
spiritici e le comunicazioni così ottenute, è evidente che
questo caso sa di
fanatismo e chiede di essere urgentemente regolato.
Nessuna condizione della
mente può essere salutare se ritrae ogni pensiero dai
doveri della vita terrena,
perfino dalla cura della salute fisica, per accogliere
solo il nutrimento di tali
comunicazioni; soprattutto quando queste sono accettate
senza critica, come
rivelazioni divine e infallibili.
Ma negare i fenomeni effettivi non è il miglior modo per
curare una mente
sviata o malata.
(25) Proverbi, XVIII, 13.
(26) Vedi, come esempio dei primi, il racconto intitolato
«Il corteggiatore
respinto», e, come esempio dei secondi, quello intitolato:
«Quello che dovette
sopportare un ufficiale inglese», entrambi presentati nei
capitoli seguenti di
questo libro.
(27) Nei documenti del passato, di tanto in tanto
incontriamo la prova che
gli uomini sono stati inclini a considerare misteriosamente
empio quello che
46
non riuscivano a capire. Nel racconto di Chaucer del
«Valletto del canonico, si
parla della chimica come di un’arte degli elfi, ossia
insegnata o condotta da
spiriti. Questa, secondo Warton, è un’idea araba. Vedi Storia
della poesia
inglese di
Warton, vol. I pag. 169.
(28) Martin Korky, in una delle Kepleri Epistolae.
Fu colui che dichiarò
al suo maestro Keplero: «Non concederò mai a questo
italiano di Padova i
suoi quattro pianeti, dovesse costarmi la vita», e quello
di cui, quando in
seguito prego di essere perdonato per il suo presuntuoso
scetticismo, Keplero
scrisse a Galileo: «Gli ho nuovamente concesso il mio
favore a questa esplicita
condizione, da lui accettata, che io gli avrei mostrato i
satelliti di Giove e che
lui li avrebbe guardati ammettendo che esistono».
Oggi vi sono molti Martin Korky con i quali, per quel che
riguarda alcuni
fenomeni esposti in questo libro, bisognerebbe fare lo
stesso accordo.
(29) Rispettabili periodici, liberi da opinioni
preconcette, hanno già
cominciato a trattare il soggetto in generale, con maggior
deferenza di un
tempo. Per esempio, in un lungo articolo intitolato:
«Fantasmi della vecchia e
della nuova scuola», in uno dei trimestrali londinesi,
mentre vengono
screditati i principali fenomeni detti spiritici, si
trovano ammissioni come la
seguente: «Vi sono serie di fatti che richiedono una più
profonda ricerca e una
più perseverante investigazione di quanta ne abbiano avuta
fin ora, sia che
debbano essere definitivamente giudicati falsi, sia che
possano essere ridotti a
un ordine scientifico. Tali sono l’apparenza di fantasmi,
il potere di una
seconda vista, la chiaroveggenza e altri fenomeni di
magnetismo e
mesmerismo; la natura del sonno e dei sogni, delle
illusioni fantomatiche (in
se stesse prova decisiva che il senso della vista pub
essere sperimentato
appieno indipendentemente dall’occhio); i limiti e
l’attività dell’illusione
mentale e dell’eccitazione entusiasta». National
Review, luglio 1858, pag.
13.
(30) «Eclairons-nous sur les vérités, quelles qu’elles
soient, qui se
présentent à notre observation; et, loin de craindre de
favoriser la superstition
en admettant de nouveaux phenomènes, quand ils sont bien
prouvés, soyons
persuadés que le seul moyen d’empêcher les abus qu’on peut
en faire, c’est
d’en répandre la connaissance». (Chiariamoci le idee sulla
verità, quali che
siano, che si presentano alla nostra osservazione; e lungi
dal credere di
favorire la superstizione ammettendo dei nuovi fenomeni,
quando sono bene
provati, persuadiamoci che il solo mezzo di impedire gli
abusi che se ne
possono fare, è di diffonderne la conoscenza). Bertrand.
(31) Il numero dei materialisti tra la parte colta della
società civile,
specialmente in Europa, è molto più grande di quanto
appaia alla superficie.
Se si interpellano soggetti seri, il fatto si rivela da
sé. Conversavo un giorno
47
con una signora francese dell’alta società, intelligente e
speculatrice più della
media della sua classe, e mi capitò di esprimere
l’opinione che il progresso è
probabilmente una regola del mondo futuro come di questo.
«Credete dunque
davvero in un altro mondo?» mi chiese.
«Certo, contessa».
«Ah, siete un uomo fortunato», ribatté vivacemente.
«Quanti di noi non vi
credono!».
(32) Troviamo spesso nelle espressioni usate da persone
superiori
(specialmente fra i rappresentanti della scienza) per
manifestare quanto
considerino importante una sicura fede religiosa,
piuttosto il desiderio di
ottenerla e l’invidia per coloro che la possiedono, che
non l’affermazione di
avere loro stessi trovato tutto quello che cercavano. Ecco
un esempio
eloquente:
«Invidio negli altri non già le qualità della mente e
dell’intelletto, né il
genio, né il potere, né lo spirito né la fantasia; ma, se
potessi scegliere quello
che sarebbe per me più piacevole e, credo, più utile,
preferirei una sicura fede
religiosa a qualsiasi altra dote. Perché essa fa della
vita una disciplina nel
bene, crea nuove speranze quando ogni speranza terrena
vien meno e getta
sulla decadenza e la distruzione dell’esistenza la luce
più splendida; risveglia
la vita nella morte, ed evoca dalla corruzione e dallo
sfacelo la bellezza e la
gloria eterna». Sir Humphry Davy.
(33) Uno fra i mille esempi di questa contraddizione si
può trovare
nell’amara angoscia - tale da rifiutare ogni conforto -
con cui spesso i
sopravviventi piangono i morti; un’angoscia infinitamente
più intensa di quel
che proverebbero nel vederli imbarcarsi per un altro
emisfero senza attesa del
loro ritorno e senza certezza della loro felicità. Se non
lo abbiamo
dimenticato, dovremmo renderci conto di quell’articolo di
fede che ci insegna
che essi sono morti solo per noi.
L’espressione idiomatica tedesca, a questo
proposito, è giusta quanto bella:
«Den Oberlin hatte zuweilen die Ahnung wie ein kalter
Schauer
durchdrunghen, dass sein geliebtes Weib im sterben
könne» (Oberlin era
talora preso dal presentimento, quasi lo attraversasse un
freddo brivido, che
la sua amata sposa gli potesse morire). Des
grosse Geheimniss der
menschlichen Doppelnatur (Il grande mistero della doppia natura
dell’uomo) Dresda 1855.
(34) Matteo, VII, 1. E’ del tutto contrario alla realtà
sostenere che gli
scettici, in genere, siano volontariamente ciechi. Molti,
è vero, specialmente
nel vigore della gioventù, cadono nella miscredenza o in
una indifferenza che
48
molto le somiglia, per semplice negligenza; mentre altri
evitano
deliberatamente di pensare a un altro mondo per tema che
ciò diminuisca i
piaceri di questo; ma i migliori, e probabilmente i più
numerosi, non
appartengono a queste due classi. Essi dubitano perché
incontrano delle
difficoltà: dubitano involontariamente e costretti.
L’autore dell’Eclipse of
Faith (Eclisse
della fede), scritto in risposta alle Phases of Faith (Fasi della
fede) di Newman, dà come confessione di uno di costoro
quello che potrebbe
riferirsi a centinaia di migliaia:
«Sono stato rudemente strappato alle mie antiche credenze;
la mia fede
cristiana di un tempo ha ceduto al dubbio; la piccola
capanna sul fianco del
monte, dove pensavo di abitare in semplicità pastorale, è
stata travolta dalla
tempesta ed io mi sono trovato in mezzo alla raffica senza
un riparo. Ho
vagato in lungo e in largo ma non ho trovato il riposo che
a quanto mi dite
bisogna trovare. Quando esamino tutte le altre teorie, mi
sembrano oppresse
da difficoltà almeno eguali a quella a cui sono stato
abbandonato. Non posso
accontentarmi, come
altri fanno, di non credere a nulla. E tuttavia non ho
nulla in cui credere. Ho lottato a lungo e duramente
contro i Titani miei
nemici, ma senza successo. Mi sono volto invano verso ogni
parte
dell’universo. Ho interrogato la mia anima ma non ho avuto
risposta. Ho
fissato la natura, ma le sue mille voci non parlano un
linguaggio articolato per
me; e, in particolare, quando guardo la brillante pagina
dei cieli notturni,
quegli astri versano su di me una luce così fredda e in un
silenzio così
assoluto, che mi sento, con Pascal, atterrito allo
spettacolo di un’infinita
solitudini», pag. 70.
(35) De la physiologie du système nerveux, et
spécialement du
cerveau, del
signor Georget, dottore in medicina della facoltà di Parigi, ex
interno di prima classe della divisione degli Alienati
dell’Ospizio della
Salpêtrière, Parigi, 1821.
Il testo originale della clausola del testamento di
Georget, qui citato, si
troverà in Rapports et discussions de l’Academie
Royale de
Médicine sur le magnetisme animal, del dott. P. Foissac, Parigi, 1833,
pag. 289. Le precise parole della sua confessione sono: «A
peine avais-je mis
au jour
sur un phénomène bien extraordinaire, le somnambulisme, ne
me permirent
plus de douter de l’existence, en nous et hors de nous,
d’un principe
intelligent, tout-à-fait différent des existences
materielles».
Husson, membro dell’Accademia di Medicina di Parigi, in
una relazione
fatta a quel corpo accademico nel 1825, parla di Georget
come del «notre
estimable, laborieux et modeste colleghe». Foissac, Rapports
et
discussions, pag.
28.
49
(36) Opere del reverendissimo dott. John Tillotson,
già
arcivescovo di Canterbury, ottava edizione Londra 1720, Sermone XXVI.
(37) Nel presente volume avrò occasione di testimoniare
molte cose che ho
visto e udito. Né immagino che uomini, in se stessi
sinceri, sospetteranno in
me una mancanza di sincerità; perché quando un uomo onesto
che cerca solo
la verità espone chiaramente e imparzialmente la sua
esperienza, ciò che dice
porta generalmente con sé, per le menti rette, un’intima
garanzia di sincerità.
Ma anche la mia testimonianza è, e deve essere, per il
lettore una prova molto
minore e meno convincente di quella che avrebbe ottenuto
se fosse stato lui
stesso testimone di quello che racconto. La differenza è
inerente alla natura
delle cose.
(38) Parlo dei principi di prova riconosciuti dalla legge
comune; un sistema
sotto il quale i diritti personali e le salvaguardie della
libertà dei cittadini sono
probabilmente meglio garantiti che sotto ogni altro;
sebbene, per quanto
riguarda alcuni principi di proprietà, il sistema
legislativo civile possa
rivendicarsi la superiorità.
La prova di seconda mano è ammissibile nel caso di un
morente,
consapevole di avvicinarsi alla morte, o di quello che è
stato detto, non
contraddetto, in presenza e a portata di voce di un
prigioniero; ma queste
sono eccezioni che confermano la regola generale.
(39) Essays written during the Intervals of Business
(Saggi scritti
durante gli intervalli fra gli affari, Londra 1853, pag.
2).
50
«Chi, al di fuori della matematica pura, pronuncia la
parola
impossibile, manca di prudenza».
Arago: Annuaire du Bureau des Longitudes,
1853 (1).
Nell’aprile del 1492, avvenne nella città di Barcellona
una di quelle grandi
scene che si riscontrano solo raramente nella storia della
nostra razza.
Un marinaio genovese, di umile nascita e condizione, un
entusiasta, un
sognatore, un seguace di Marco Polo e di Mandeville
convinto della realtà
delle loro belle fiabe - le spiagge dorate di Cipango, il
paradiso profumato di
spezie del Catai - aveva concepito il magnifico progetto
di cercare la prova di
un altro emisfero del mondo conosciuto. Era andato
mendicando appoggi e
sussidi di paese in paese, di monarca in monarca. Respinte
le sue proposte
dalla città natale, le aveva presentate alla Spagna,
allora governata da due dei
sovrani più abili che avesse mai avuto. Ma laggiù la sua
consueta sfortuna
parve seguirlo. Il suo miglior protettore era un umile
frate guardiano di un
convento dell’Andalusia; la sua dottrina fu respinta dal
confessore della
regina in quanto sapeva di eresia; le sue ambiziose pretese
vennero
disprezzate dalla nobiltà e dall’alto clero come quelle di
un avventuriero
straniero e squattrinato; il suo progetto fu giudicato dai
dotti magnati del
collegio di Salamanca (quando mai la scienza ufficiale si
è messa
all’avanguardia?) «vano, irrealizzabile e troppo poco
fondato per meritare
l’aiuto del Governo». Alla fine era riuscito a racimolare,
dalla pur illuminata e
intraprendente regina Isabella, una somma che ogni dama
della sua corte
avrebbe potuto spendere in un braccialetto di diamanti o
in una collana di
perle (2).
E adesso, tornato quasi da morte, sopravvissuto a un
viaggio cui
sovrastavano orrori soprannaturali, dopo avere risolto
trionfalmente il suo
grande problema a dispetto degli uomini e della natura, il
visionario veniva
accolto come un trionfatore; l’avventuriero squattrinato
veniva riconosciuto
Ammiraglio dell’Oceano Occidentale e Vicerè di un nuovo
continente, veniva
ricevuto in forma solenne dai più grandi sovrani del mondo
che si alzavano
per accoglierlo e invitato (formalismo castigliano
superato dal potere
intellettuale) a sedersi dinanzi a loro. Egli raccontò la
sua meravigliosa storia
e mostrò, come prove della sua veridicità, gli abbronzati
selvaggi e l’oro
barbaro. Il re, la regina e la corte caddero in ginocchio
e risuonò il Te Deum
come per una vittoria trionfale.
51
Quella notte, nel silenzio della sua camera, quali
pensieri saranno passati
nella mente di Colombo? Quali esultanti emozioni avranno
gonfiato il suo
cuore? Il vecchio mondo aveva considerato l’emisfero orientale
come l’unica
terra abitabile. I secoli erano seguiti ai secoli senza
far cadere l’interdetto che
proibiva all’uomo di esplorare oltre i pilastri montani
(3). E tuttavia lui, scelto
da Dio per risolvere i più grandi misteri terrestri,
affrontando quella che i rudi
marinai di Palos avevano sempre considerato come
distruzione sicura - lui
che era rimasto fiducioso quando tutti avevano disperato -
aveva compiuto ciò
che la concorde voce del passato aveva dichiarato
impossibile.
Ma adesso, nella quiete di quella notte, se a quell’uomo
entusiasta, pieno di
fede e sognatore qual era, fosse apparso un qualche
Nostradamus del XV
secolo, dotato di mente profetica, e avesse dichiarato al
dominatore
dell’oceano che non sarebbero passati quattro secoli prima
che l’immensa
distesa di acque - dalla più remota spiaggia da cui, in
mesi di tempesta, aveva
appena compiuto il faticoso ritorno - non opponesse più
alcun ostacolo alla
libera comunicazione del pensiero umano, che un uomo, dai
lidi occidentali
dell’Europa avrebbe potuto, entro trecento settant’anni da
quel giorno,
conversare con un amico che fosse sui lidi orientali del
nuovo mondo, e,
meraviglia delle meraviglie, che quello stesso fulmine che
durante il suo
terribile viaggio aveva tante volte illuminato la distesa
d’acque intorno a lui,
sarebbe divenuto l’agente della comunicazione attraverso
l’oceano
tempestoso, che creature mortali, senza l’aiuto di angeli
né di demoni, senza
interventi celesti o patti diabolici, avrebbero
addomesticato quel fulmine e lo
avrebbero impiegato come un corriere o un colombo
viaggiatore per portare i
loro messaggi quotidiani: a una predizione così
stravagante da oltrepassare
l’assurdo, quale fede avrebbe potuto prestare Colombo?
Quale risposta
possiamo immaginare che avrebbe potuto dare a una tale
visione profetica,
con tutta la sua esperienza delle anguste vedute
dell’uomo? Probabilmente
una risposta di questo genere; che, per quanto nel futuro
potessero avvenire
molte cose strane, una tale manomissione della natura - a
meno di un
miracolo divino - era impossibile.
Arago aveva ragione. Con le verità esatte possiamo
comportarci in modo
positivo. In un esagono regolare inscritto in un cerchio,
ogni lato ha la stessa
lunghezza del raggio: è impossibile che sia
più lungo o più corto. La
superficie contenuta nel quadrato dell’ipotenusa è
esattamente la stessa di
quella contenuta nella somma dei quadrati dei cateti dello
stesso triangolo
retto: è impossibile che sia maggiore o
minore. Possiamo dichiarare
impossibili queste cose con la stessa sicurezza ed
esattezza con cui
dichiariamo di esistere, e non vi è maggiore presunzione
nell’affermare l’una
cosa che nel sostenere l’altra. Ma, fuori dal dominio
della matematica pura o
52
delle affini regioni della verità astratta e intuitiva, la
fallibile e limitata
creatura umana deve essere cauta e modesta nelle sue
affermazioni. In base a
quale garanzia può determinare ciò che la legge divina
permette e ciò che
nega? Con quale autorità può affermare che tutte queste
leggi sono da lui
conosciute? Il termine della sua vita fino al giorno, i
limiti della sua
conoscenza fino al millesimo: di dove gli proviene, mentre
va brancolando
nella breve spanna del suo presente, l’autorità di
proclamare arrogantemente
quello che avverrà e quello che non avverrà nel suo
futuro? La storia non
presenta forse in ogni pagina la condanna di questa
empietà? L’esperienza di
ogni giorno non testimonia forse a gran voce contro questa
solenne
presunzione?
Non parlano e non ragionano così coloro a cui una profonda
ricerca ha
insegnato quanto piccolo sia il loro sapere. L’umile
saggezza di questi uomini
si rende conto che possono esistere leggi di natura
totalmente a loro
sconosciute (4); e forse alcune di esse non si sono mai
attuate da quando
l’uomo è qui per osservarle.
Sir John Herschel ha opportunamente illustrato questa
verità. «Fra tutte le
possibili combinazioni, scrive questo illuminato filosofo,
«dei cinquanta o
sessanta elementi che i chimici hanno mostrato esistenti
sulla terra, è certo
che alcune non si sono mai formate; questi elementi, in
certe proporzioni e in
certe circostanze, non sono ancora mai stati messi in
relazione gli uni con gli
altri. Tuttavia nessun chimico dubita che è già
stabilito che cosa farebbero
se se ne desse il caso. Essi obbedirebbero a certe leggi,
di cui attualmente
nulla sappiamo, ma che devono essere già stabilite perché
altrimenti non
sarebbero leggi» (5).
E quello che è vero per le leggi dell’affinità chimica è
egualmente vero per
le leggi fisiologiche o psicologiche. Invero è molto più
probabile che vi sia una
frequente verità nelle leggi della mente che in quelle
della materia, perché nel
mondo non vi è niente in così costante progresso come la
mente dell’uomo.
Solo la sua razza, fra tutte le razze animate che
conosciamo, cambia e si eleva
di generazione in generazione. L’elefante e il castoro di
oggi non sono, che si
sappia, più intelligenti o più sviluppati che non fossero
l’elefante e il castoro
di tremila anni fa. Il loro destino è stazionario mentre
quello dell’uomo
progredisce, avanzando dagli istinti selvaggi ai
sentimenti civili, dalla rozzezza
primitiva alle arti, alle scienze, alla letteratura,
dall’anarchia all’ordine, dal
fanatismo al cristianismo.
Ma proprio nel caso di un essere il cui progresso è
costante e il cui destino
avanza e si eleva, noi possiamo con maggiore fiducia
attendere, in certe
epoche del suo sviluppo, che si rivelino nuove relazioni e
si dispieghino nuove
leggi fin allora solo imperfettamente conosciute.
53
Vi è, è vero, un altro punto di vista da cui guardare
sembrerà un’analogia arbitraria e forzata affermare che,
poiché nel settore
della chimica possiamo prevedere combinazioni non ancora
formate, dirette
da leggi non ancora operanti, si debba concludere che
anche nel settore della
mente ci si possano aspettare simili fenomeni. Si può
obiettare che la mente e
la materia sono separate da una così ampia linea di
demarcazione che quello
che è vero per l’una può essere falso per l’altra.
Ma sono esse così ampiamente separate? Distinte lo sono di
certo - nulla è
così insostenibile come gli argomenti dei materialisti - e
tuttavia quanto sono
intimamente connesse! Basta una pressione sulla sostanza
cerebrale perché il
pensiero sia interrotto; applichiamo alle narici una
spugna con poche gocce di
anestetico, e sopravviene l’insensibilità; inaliamo
un’altra sostanza volatile e
si estingue la vita.
E se l’azione della materia sulla mente è tale, non meno
rigoroso è il
controllo della mente sulla materia. L’influenza
dell’immaginazione è
proverbiale; tuttavia è sempre stata sottovalutata. La
mente eccitata può
curare il corpo sofferente. La fede esaltata fino
all’estasi ha arrestato malattie
(6). Il dominio della volontà, interamente esercitato,
spesso trascende i poteri
curativi del fisico e del medico.
Ma non in sole considerazioni generali come queste
l’argomento viene a
toccare l’intima connessione tra le influenze materiali e
i fenomeni mentali.
Lo studio moderno degli imponderabili, già produttivo di
risultati fisici che ai
nostri antenati sarebbero parsi puri miracoli, ha portato
lampi di progresso in
un’altra direzione che può affermarsi in scoperte di
fronte alle quali
l’attraversare l’oceano con un filo elettrico diventa
insignificante. Le prime
affrettate inferenze di Galvani sull’elettricità animale
sono state in certa
misura confutate dalle più rigorose esperienze di Volta.
Ma in Italia, in
Prussia e in Inghilterra, esperimenti di recente data,
seguendo la giusta per
quanto imperfetta idea del professore bolognese, hanno
stabilito il fatto che le
contrazioni muscolari, volontarie o automatiche, che
producono l’azione delle
membra viventi, corrispondono a correnti elettriche che
esistono lì in
quantità apprezzabili (7). Lo scopritore del creosoto ha
dato al mondo i
risultati di dieci anni di lavoro; si può dire, nello
stesso campo; distinguendo
comunque ciò che chiama forza Odica dall’elettricità
(8). Arago giudicò il
caso di Angélique Cottin (nota sotto il nome di «Ragazza
elettrica») degno di
essere portato a conoscenza dell’Accademia delle Sciente
di Parigi (9) e,
parlando, sette anni più tardi, «dell’effettivo potere che
un uomo può
esercitare su di un altro senza l’intervento di alcun
agente fisico conosciuto»,
dichiara che anche il rapporto di Bailly contro l’ancor
grezza teoria di Mesmer
mostra «come le nostre facoltà dovrebbero essere studiate
sperimentalmente,
e con quali mezzi la psicologia potrà un giorno ottenere
un posto fra le scienze
54
esatte» (10). Cuvier, più familiare di Arago con i
fenomeni della natura
vivente, paria più decisamente di lui sullo stesso
soggetto. «Non vi è dubbio»,
dice l’insigne naturalista, «che la vicinanza di due corpi
viventi, in certe
circostanze e con certi movimenti, ha un effetto reale
indipendentemente da
ogni partecipazione dell’immaginazione dell’uno dei due»;
e aggiunge inoltre
che «appare adesso abbastanza chiaro che gli effetti sono
dovuti a qualche
comunicazione stabilita fra i loro sistemi nervosi» (11).
Questo significa
ammettere il principio che è alla base del mesmerismo,
ammissione che è
sostenuta da infinite osservazioni, in alcuni casi poco
credibili, ma in altri,
specialmente recenti, accuratamente condotte da
sperimentatori onesti e
capaci, nel contestato campo del sonnambulismo artificiale
e dei fenomeni
affini.
Senza fermarci qui a cercare fino a quanto queste varie
sorprendenti novità
richiedano una conferma o in che misura le deduzioni che
se ne possono
trarre possano essere modificate o negate dalle
osservazioni future, vi si
possono trovare elementi abbastanza sicuri se non per indicare
che ci
troviamo già sul lido di quel Grande Oceano che svela
lentamente i suoi
misteri e la cui esplorazione ci offrirà più ricompense di
quelle date
dall’Atlantico a Colombo, per lo meno per convincerci che
l’osservazione
filosofica di Herschel può avere un’estensione più vasta
di quella che egli
intendeva darle; che in fisiologia e in psicologia, come
in chimica, possono
esservi combinazioni che non si sono ancora formate sotto
i nostri occhi,
nuove relazioni e nuove condizioni che devono ancora esistere
o apparire, e
che dovranno tutte essere dirette, quando si
manifesteranno, da leggi che in
realtà esistono fin dalla creazione del mondo, ma che sono
rimaste finora, se
non inattive, per lo meno nascoste all’osservazione
generale.
Dico all’osservazione generale; perché,
sebbene non riconosciute dalla
scienza, esse non devono essere considerate come
sconosciute. Uno degli
scopi che ci proponiamo nelle pagine seguenti è di
spigolare, dal passato come
dal presente, indizi sparsi dell’esistenza di leggi in
base alle quali è stato
indotto che l’uomo può trarre, da fonti diverse dalla
rivelazione e
dall’analogia, qualche sicurezza relativa al mondo e
venire. E poiché è
evidente che nessuna verità astratta è violata
dall’ipotesi dell’esistenza di tali
leggi, non posso forse addurre nomi come quelli di Arago e
di Herschel per
sostenere il mio asserto che mancano di prudenza coloro i
quali affermano in
anticipo che chiunque affronti questo tema si impegna in
una ricerca
dell’impossibile?
Note
55
(1) L’originale del contesto è: «Le doute est
une preuve de modestie, et il a
raremen nui aux progrès des sciences. On ne purrait dire
autant de
l’incredulité. Celui qui, en dehors des
mathematiques pures, prononce le
mot impossible, manque de prudente. La réserve est
sourtout un devoir
quand il s’agit de l’organisme animale». (Il dubbio è una
prova di modestia e
raramente ha nociuto al progresso delle sciente. Non si
potrebbe dire
altrettanto dell’incredulità. Chi, al di fuori della
matematica pura, pronuncia
la parola impossibile, manca di prudenza. La
riserva è soprattutto un
dovere quando si tratta dell’organismo animale.) Annuaire,
pag. 445.
(2) Settemila fiorini costituirono la modesta somma che
l’organizzazione
della prima spedizione di Colombo costò alla corona di
Castiglia. Quanto sono
sproporzionati, talora, anche i nostri successi con
l’importanza di qualche
nobile, ma nuovo oggetto di ricerca!
(3) …quella foce stretta
Ov’Ercole segnò li suoi riguardi,
Acciocché l’uom più oltre non si metta.
Dante, Inferno, Canto XVI.
(4) Traduco dalla Théorie analytique des
probabilités di
«Siamo così lontani dal conoscere tutti gli agenti della
natura e i loro vari
modi di azione che non sarebbe filosofico negare un
qualsiasi fenomeno solo
perché, nell’attuale stato della nostra conoscenza, esso è
inesplicabile. Solo
questo dovremmo fare: prestare una tanto più scrupolosa
attenzione al suo
esame quanto più difficile sembra ammetterlo».
Introduzione, pag. 43.
Da un’autorità vastamente accettata e ancora più conosciuta,
estraggo,
nello stesso contesto, la seguente citazione, nella cui
ultima riga, tuttavia, la
parola possibilità sarebbe più esatta invece
di probabilità:
«Un illimitato scetticismo è proprio di una mente angusta,
che ragiona su
dati imperfetti o fa delle proprie conoscenze e delle
proprie osservazioni il
modello e la prova delle probabilità …
«Accogliendo, da testimonianze, constatazioni che sono
respinte dal volgo
come totalmente incredibili, un uomo di mente colta è
influenzato dal ricordo
di molte cose che un tempo gli apparivano meravigliose e
che adesso sa essere
vere e di qui conclude che possono esservi, nella natura,
ancora molti
fenomeni e molti principi dei quali è interamente
all’oscuro. In altre parole,
ha imparato dall’esperienza a non fare della sua
conoscenza la misura delle
probabilità, Intellectual Powers, (Poteri
intellettuali) di Abercrombie,
pagg. 55 e 60.
56
(5) Preliminary Discourse on the Study of Natural
Philosophy
(Discorso preliminare allo studio della filosofia
naturale) di Sir John F.W.
Herschel, Londra, seconda edizione 1851, pag. 36.
(6) Queste opinioni trovano ampia conferma - per scegliere
uno fra molti
esempi - in un ramo di studio che interessa egualmente il
medico e lo
psicologo: e cioè la storia delle grandi epidemie mentali
nel mondo. Il lettore
le troverà brevemente riassunte più avanti.
(7) La prima feconda osservazione di Galvani su di un
agente elettrico che
produce contrazioni muscolari negli animali, fatta il 20
settembre 1786, fu,
dopo tutto, il punto di partenza delle interessanti
ricerche di Du Bois-
Reymond, Zantedeschi, Matteucci e altri nel continente
europeo, e di Rutter e
Leger in Inghilterra. Du Bois-Reymond, membro
dell’Accademia delle scienze
di Berlino, ammette molto candidamente questo fatto. In
una introduzione
storica alla sua opera sul magnetismo animale (Untersuchungen
über
thierische Elecktricität, Berlino, 1848-49), questo scrittore dice:
«Galvani, in realtà, non scoprì solo il fondamentale
esperimento fisiologico
del galvanismo propriamente detto (la contrazione della
rana quando toccata
da due metalli diversi), ma anche quello dell’elettricità
inerente ai nervi e ai
muscoli. Entrambe queste scoperte, tuttavia, erano
nascoste in una tale
confusione di circostanze che il risultato, in un caso
come nell’altro, appariva
egualmente dipendere dalle membra o dai tessuti degli
animali impiegati».
Il lettore che desideri seguire più a fondo questo
soggetto può consultare
un’opera del medico H. Bence Jones, intitolata On
Animal Electricity:
being an Abstract of the Discoveries of Emile Du
Bois-Reymond
(Sull’elettricità animale: estratto dalle scoperte di
Emile Du Bois-Reymond)
Londra 1852. E anche il Trattato dei fenomeni
elettro-fisiologici degli
animali, di
Carlo Matteucci, professore nell’università di Pisa, 1844; nonché
l’opera del barone Humboldt sulle Fibre nervose e
muscolari stimolate
(Versuche über die gereizte Muskel-und Nervenfaser,
u.s.w.).
In Inghilterra esperimenti in questo ramo sono stati
portati più avanti che
in qualsiasi altro paese, specialmente da Rutter, di
Brighton, e dal dott. Leger,
la cui morte prematura è stata una perdita per le scienze
fisiologiche come per
le psicologiche. Ho avuto l’opportunità, grazie alla
gentilezza del signor
Rutter, di osservare di persona gli straordinari risultati
a cui aveva portato la
sua paziente ricerca, e deploro che lo spazio non mi
permetta qui di darne più
diffusamente notizia. Non posso che rimandare alla sua
opera Human
Electricity: the Means of its Development, illustrated by
Experiments (Elettricità
umana: i mezzi del suo sviluppo illustrati da
esperimenti). Londra 1854, e a un altro breve trattato
sullo stesso soggetto del
dott. T. Leger, intitolato The Magnetoscope: an
Essay on the
57
Magnetoid Characteristics of Elementary Principles, and
their
Relations to the Organization of Man (Il magnetoscopio: saggio sulle
caratteristiche magnetoidi di principi elementari, e delle
loro relazioni con
l’organismo umano) Londra 1852.
L’intero soggetto è singolarmente interessante e ripaga
generosamente lo
studio che può esservi dedicato.
(8) Mi riferisco qui all’eleborato trattato su ciò che
egli chiama «forza
odica», senta esprimere alcuna opinione sull’esattezza
delle conclusioni
dell’autore. Reichenbach scoprì il creosoto nel 1833.
(9) La relazione di Arago su questo soggetto fu fatta il
16 febbraio 1846. C’è
da deplorare, in questo caso, che un osservatore così
sagace non abbia avuto
l’opportunità di continuate i suoi primi frettolosi
esperimenti.
(10) Biographie de Jean-Sylvain Bailly, di
Arago, pubblicata
dapprima nell’Annuaire du Bureau des Longitudes del
1853, pagg. 345-
625.
(11) Leçons d’anatomie comparée di G.
Cuvier, Parigi. An. VIII. vol. II,
pagg. 117- 18. Il testo originale è il seguente:
«Les effets obtenus sur des personnes déja sans connaissance
avant que
l’opération commençat, ceux qui ont lieu sur les autres
personnes après que
l’opération leur fait perdre connaissance, et ceux que
présentent les animaux,
ne permettent guère de douter que la proximité de deux
corps animés, dans
certaines positions et avec certains mouvements, n’ait un
effet réal,
independant de toute partecipation de l’immagination d’une
des deux. Il
parait assez clairement, aussi, que les effets sont due à
une comunication
quelconque qui s’établi entre leurs systèmes nerveux».
(Gli effetti ottenuti su
persone già senza conoscenza prima che l’operazione
cominciasse, quelli che
avvengono sulle altre persone dopo che l’operazione ha
fatto loro perdere
coscienza, e quelli che vengono presentati dagli animali,
non permettono di
dubitare che la vicinanza di due corpi viventi ecc.).
58
3 - Il miracoloso
«La causa universale
agisce non per leggi parziali, ma generali»
Pope
Gli uomini sono generalmente concordi nel considerare
colpito dalla
superstizione o accecato dalla credulità colui che crede
in un qualsiasi
miracolo nei tempi moderni. E quanto più il mondo
invecchia, tanto più
questo scetticismo di fronte al soprannaturale acquista
forza e universalità.
La ragione sembra essere che, quanto più attentamente la
scienza esplora il
meccanismo dell’universo e svela il piano del suo governo,
tanto più evidente
appare l’opinione del poeta secondo il quale l’universo è
diretto non da leggi
parziali ma universali.
In tale dottrina non è affatto implicata la questione
dell’onnipotenza di
Dio. Non si tratta di sapere se Egli può fare
eccezioni in un sistema di leggi
universali, ma se lo fa. Se possiamo
permetterci di parlare delle scelte e delle
intenzioni di Dio, non si tratta di sapere se, per far
fronte a un’esigenza
occasionale, Egli ha il potere di sospendere l’ordine di
quelle sequenze
costanti che, appunto per la loro costanza, noi chiamiamo
leggi; ma solo se,
come dato di fatto, egli sceglie questo modo occasionale
per realizzare i suoi
propositi o se non consideri più opportuno porli in atto
secondo un piano più
stabile e con mezzi meno arbitrari ed eccezionali. E’ una
questione
fondamentale.
Ma la scienza moderna, nel suo progresso, non solo elimina
l’uno dopo
l’altro ogni articolo di quella che si era soliti
considerare la lista delle eccezioni
all’ordine generale della natura: ci mostra anche, ogni
giorno con maggiore
chiarezza, la semplicità della legge naturale e il
principio di unità sotto il quale
i vari rami del sapere sono connessi come parti di un
unico sistema.
Così, considerando quello che avviene oggi, l’insieme
dell’esperienza toglie
credito alla dottrina delle cause occasionali e alla
credenza nel miracoloso. Se
qualcuno ci riferisce, anche per sua propria esperienza,
qualche incidente che
implichi chiaramente un agente soprannaturale, le
ascoltiamo con una
spallucciata di compassione. Se abbiamo una troppo buona
opinione
dell’onestà del narratore per sospettare che egli voglia
farsi giuoco della
nostra credulità, concludiamo senza esitare che si è
ingannato. Non ci
59
fermiamo a esaminare la realtà di un miracolo moderno: lo
respingiamo per
principio generale.
Ma, nell’accogliere questo scetticismo, faremmo meglio a
considerare che
cosa sia un miracolo. Hume, nel suo noto capitolo su
questo argomento, porta
un utile chiarimento. Il principe indiano, dice, che
respinse ogni
testimonianza sull’esistenza del ghiaccio, rifiutò di
accettare fatti che
derivavano da uno stato di natura a cui non era abituato e
che presentava
scarsissime analogie con quegli eventi di cui aveva avuto
costante e uniforme
esperienza. Di questi fatti egli dice che «sebbene non
fossero contrari alla sua
esperienza, non erano conformi a essa» (1). E, a
spiegazione della distinzione
fatta, aggiunge in una nota: «Nessun indiano, è evidente,
poteva avere
esperienza di acqua che non gela nei climi freddi» (2).
Questa distinzione è sostanziale? Se lo è, porta molto più
lontano di quanto
Hume si proponesse.
Non solo il principe indiano non aveva mai visto acqua
allo stato solido; fin
allora non ne aveva nemmeno sentito parlare. Non solo la
sua esperienza si
opponeva ai fatti sostenuti, ma le esperienze dei suoi
padri, le tradizioni del
suo paese, tutto affermava che l’acqua era sempre stata,
ed era, un fluido. Non
aveva dunque il diritto di dire che un’acqua solida era
cosa contraria alla sua
esperienza? O non avrebbe dovuto, con filosofica
moderazione, limitarsi a
dichiarare che il fenomeno del ghiaccio, se pure esiste
veramente, «derivava
da uno stato di natura a cui non era abituato?».
Noi, che abbiamo tante volte camminato su acqua solida,
non troviamo
difficoltà nel sostenere che così avrebbe dovuto dire.
Perdoniamo dunque
all’ignorante selvaggio la sua presuntuosa negazione,
poiché noi stessi, in un
caso simile, avremmo dovuto essere perdonati.
Pensiamo a quanta cauta saggezza, che non troviamo neppure
fra i meglio
informati e i più dotti di noi, pretendiamo da un barbaro
incolto.
Domandiamoci se Hume, calmo e filosofico qual era, non
viene meno a quella
stessa saggezza che esige. Egli dice nello stesso capitolo:
«Un miracolo è la violazione delle leggi della natura; e,
poiché una sicura e
inalterabile esperienza ha stabilito queste leggi, la
prova contro il miracolo,
proveniente dalla natura stessa dei fatti, è completa al
pari di ogni argomento
che possiamo immaginare proveniente dall’esperienza» (3).
Vi sono qui due proposizioni: l’una che ciò che una sicura
e inalterabile
tradizione stabilisce è una legge di natura; l’altra che
una variante di questa
legge è un miracolo.
Ma nessuna esperienza umana è inalterabile.
Possiamo solo dire che
finora è stata inalterata. E anche questo è
sempre rischioso dirlo.
60
Se qualcuno ha il diritto di parlare così delle esperienze
sue e dei suoi
compagni, non era forse giustificato, quel principe
indiano, nel considerare
provato da un’inalterabile esperienza che una pietra,
posta sulla superficie di
uno specchio d’acqua, va a fondo? Non era forse pienamente
giustificato,
secondo le stesse premesse di Hume, nel deridere le
affermazioni in contrario
del viaggiatore, come se affermassero un miracolo, e nel
respingerlo come
impossibile in quanto tale?
«Nessun indiano», dice Hume, «poteva avere esperienza di
acqua che non
gela nei paesi freddi». No, naturalmente. Questo era un
fatto che oltrepassava
la sua esperienza. E non vi sono fatti che oltrepassano la
nostra? Non vi sono
forse stati di natura a cui non siamo abituati? Quel
principe indiano era forse
il solo ad avere un’esperienza limitata e fallibile?
Quando un uomo parla dell’esperienza del passato come
regolatrice delle
sue credenze, si riferisce - può riferirsi -
solo a quella esperienza che è venuta,
mediatamente o immediatamente, a sua conoscenza. In tal
caso, dunque, per
esprimersi correttamente, non dovrebbe dire «l’esperienza
del passato», -
perché questo implicherebbe che egli conosce tutto quello
che è avvenuto, -
ma solamente «la mia passata esperienza».
Allora l’asserzione di Hume nel paragrafo citato, è che la
sua passata
esperienza, essendo sicura (4) e inalterabile, gli
permette di stabilire quali
sono le leggi invariabili della natura e, di conseguenza,
che cosa sono i
miracoli.
Né la sua argomentazione si ferma qui. Altrove, nello
stesso capitolo,
l’autore dice «che un miracolo sostenuto da qualsiasi
testimonianza umana è
piuttosto un soggetto di derisione che un argomento» (5).
In connessione con il paragrafo citato sopra, quale
mostruosa dottrina
viene qui svolta! In parole semplici essa afferma: «Io
considero la mia passata
esperienza come sicura e inalterabile. Se un testimone,
per quanto credibile,
sostiene in qualsiasi caso qualche cosa di contrario a
questa esperienza, io
non discuto con costui: è solo degno di derisione».
Sebbene ai nostri giorni, centinaia di persone che
dovrebbero essere meglio
informate agiscano secondo questa dottrina, non voglio
affermare che Hume
intendesse esporla. Spesso non ci rendiamo conto delle
legittime conseguenze
delle nostre premesse.
Ma facciamo ancora un passo avanti. Cerchiamo di sapere in
quali
circostanze abbiamo il diritto di dire: «Questo fatto è
incredibile perché
sarebbe miracoloso».
La questione ci riporta alla nostra prima domanda su che
cosa è un
miracolo. Esaminiamo la definizione di Hume:
61
«Un miracolo può essere esattamente definito una
trasgressione di una
legge di natura per una particolare volizione della
divinità o per
l’interposizione di qualche agente invisibile» (6). Io
noto di passaggio, che
l’espressione «per l’interposizione di qualche agente
invisibile», non è esatta.
Il freddo è un agente invisibile: e non è nemmeno un
agente positivo perché si
tratta di una diminuzione di calore. E tuttavia
contravviene a quella che il
principe indiano aveva forti ragioni per considerare una
legge di natura.
Rimane tuttavia l’affermazione principale: «Un miracolo è
la trasgressione
di una legge di natura per una particolare volizione della
divinità».
Anche qui l’espressione non è felice. Quando parliamo di
una cosa che
avviene per volere di Dio, intendiamo, con questa
espressione, solo ciò che è
atto divino; perché le intenzioni di Dio sono per noi
imperscrutabili eccetto in
quanto si manifestano nei suoi atti. Possiamo forse
parlare di qualche cosa
che non avvenga per volere divino?
Anche la parola «trasgressione» non sembra essere la
migliore (7).
Naturalmente deve essere presa nel senso originale di
andare o passare al di
là. L’autore evidentemente intende un contravvenire
temporaneo in seguito a
una particolare emergenza; e questa sarebbe stata
l’espressione più
appropriata.
L’idea di Hume, dunque sembrerebbe più esattamente
espressa in questi
termini: «Un miracolo è una sospensione, in una
particolare emergenza e solo
temporaneamente, di una legge di natura per diretto
intervento della
divinità». Potremmo aggiungere, per completare la comune
concezione di
miracolo, le parole: «in attestazione di qualche verità».
E qui sorge la questione principale, già accennata. Come
possiamo
conoscere, di fronte a un fenomeno inconsueto che ci si
presenti, che esso è
realmente un effetto dello speciale intervento di Dio? In
altre parole se è o no
miracoloso?
Ma non voglio nemmeno porre la questione a noi, finiti e
limitati come
siamo. Essa può essere posta ancora più energicamente.
Immaginiamo un
saggio, dotato più di ogni altro mortale, di una mente
così lucida, di una
cultura così vasta che l’intera esperienza del mondo
passato, secolo per secolo,
fin dalla creazione dell’uomo, gli si dispieghi
chiaramente dinanzi.
Immaginiamo che la domanda sia rivolta a lui. Ebbene, un
essere così
soprannaturalmente dotato, avrebbe il diritto di decidere,
avrebbe i mezzi
per decidere, in ogni evento che possa capitare oggi, se è
o non è un miracolo?
Egli può sapere, cosa che noi mai potremo, che un’uniforme
esperienza,
continuata per migliaia di anni e non mai interrotta da
una sola eccezione ha
stabilito, per quanto una passata esperienza possa
stabilire, l’esistenza di una
62
legge naturale o di una sequenza costante; e può osservare
una variazione, la
prima mai capitata, a questa legge. Ma gli è forse dato di
conoscere se la
divinità, per certe esigenze, ho sospeso le sue proprie
leggi o se questa
variazione non è parte integrale della stessa legge
originale? In altre parole, se
la legge apparente, giudicata da un’induzione che corre
per migliaia di anni, è
la piena espressione di quella legge, o se l’eccezione che
appare adesso per la
prima volta non è compresa nella primaria espressione
della legge stessa
quando agì per la prima volta nel grande meccanismo
dell’universo?
Forse il Creatore del mondo non ha il potere di stabilire,
per dirigerlo,
leggi, per così dire, di carattere cangiante? Ossia tali
da mantenere per il corso
di molti secoli, una sequenza costante e poi, a un certo
momento, per virtù di
questo carattere (impresso dallo stesso originale comando
che aveva
determinato la diuturna costanza di prima), manifestare
una variazione?
Noi, sue creature, anche con poteri limitati, sappiamo
come imprimere ai
meccanismi umani leggi di un tale carattere. L’esempio
fornito dalla
macchina calcolatrice di Babbage, per quanto familiare, si
presenta così
naturalmente a questo proposito, che posso essere scusato
se lo presento.
La macchina di Babbage, intesa a calcolare e stampare
tavole matematiche
e astronomiche per il Governo Britannico, offre
interessanti risultati
accidentali. Ne è un esempio il seguente, fornito
dall’inventore stesso; e di tal
carattere che non è necessaria né la conoscenza del
meccanismo né una
familiarità con le scienze matematiche per capirlo.
Egli ci invita a immaginare che la macchina sia stata
messa a punto. Essa
viene posta in movimento da una forza, e lo spettatore, seduto
davanti a essa,
osserva una ruota che si muove di un piccolo angolo
attorno al suo asse
presentando successivamente al suo occhio, a brevi
intervalli, una serie di
numeri stampati sulla sua superficie graduata. Ci chiede
di supporre che le
figure così viste siano la serie dei numeri naturali, 1,
2, 3, 4, ecc. ognuno
superiore di un’unità a quella precedente. Allora così
continua:
«Adesso, lettore, permettetemi di chiedervi quanto a lungo
avrete contato
prima di esservi fermamente convinto che il congegno,
supponendo che la sua
regolazione sia rimasta inalterata, continuerà, finché è
in moto, a produrre la
stessa serie di numeri naturali. Forse alcune menti sono
tali che, dopo che
siano passati i primi cento numeri, si convincano di avere
capito le legge.
Dopo avere visto cinquecento numeri pochi ne dubiteranno,
e dopo
cinquemila, la tendenza a credere che il numero successivo
sarà cinquemila e
uno diverrà quasi irresistibile. Questo numero, infatti,
sarà cinquemila e uno,
e la stessa regolare successione continuerà: il cinque
milionesimo e il
cinquanta milionesimo numero appariranno nell’ordine
atteso, e una
63
ininterrotta catena di numeri naturali passera dinanzi ai
vostri occhi da uno
a cento milioni.
«Secondo la vasta induzione che è stata così fatta, il
prossimo numero sarà
di cento milioni e uno; ma, in seguito, il successivo
numero presentato dal
margine della ruota, invece di essere cento milioni e due
è cento milioni
diecimila e due.
L’intera serie dall’inizio, sarà:
1
2
3
4
.
. .
.
. . . .
99.999.999
100.000.000
regolare
fino a 100.000.001
100.010.002
la legge cambia
100.030.003
100.060.004
100.100.005
100.150.006
100.210.007
.
. . . . . . . . . .
«La legge che sembrava dapprima governare questa serie è
venuta meno al
centomilionesimo secondo numero, che è superiore di 10.000
al numero
atteso. Il numero seguente è superiore di 30.000, e
l’eccesso dei numeri
seguenti a quello che ci aspettavamo è di 10.000, 30.000,
60.000, 100.000,
150.000 ecc; si tratta infatti di una serie di cosiddetti numeri
triangolari».
Babbage continua dicendo che questa nuova legge, dopo
essere continuata
per 2761 numeri, viene meno al duemila settecento
sessantaduesimo numero,
quando entra in azione una terza legge che continua per
1430 numeri, dopo di
che cede il posto a un’altra che si estende per 950
numeri, e questa, come le
precedenti, viene meno a sua volta ed è sostituita da
altre leggi che appaiono a
differenti intervalli.
Babbage così commenta questo straordinario fenomeno:
64
«Si noterà che la legge che ogni numero presentato
dalla macchina
supera di un’unità il precedente, dedotta dall’osservatore da
un’induzione di cento milioni di prove, non
era la vera legge che
regolava l’azione; che il presentarsi del numero
100.010.002 al
centomilionesimo secondo termine era una necessaria conseguenza
della
regolazione originale e poteva essere preveduta all’inizio
al pari della
successione regolare dei numeri intermedi al loro
immediato precedente. Lo
stesso si può notare della successiva apparente deviazione
dalla nuova legge
fondata su di un’induzione di 2761 numeri, e di tutte le
successive leggi; con
solo questa limitazione che, mentre la loro consecutiva
introduzione a vari
dati intervalli è una necessaria conseguenza della
struttura meccanica
dell’apparecchio, la nostra conoscenza dell’analisi non ci
permette ancora di
predire i periodi nei quali le leggi più lontane verranno
introdotte» (8).
L’esempio non deve. essere preso per dimostrare più di
quanto non
dimostri. E’ certo non solo un saggio ma un necessario
provvedimento della
natura il fatto che la costanza di ogni sequenza nel
passato ci ispiri la fiducia
che continuerà nel futuro. Senza tale fiducia la comune
economia della vita si
arresterebbe. Se dubitassimo che il sole si alzerà domani
come ha fatto oggi o
che le stagioni continueranno ad alternarsi regolarmente,
vivremmo in mezzo
a scrupoli ed esitazioni. Ogni calcolo verrebbe deluso,
ogni attività sarebbe
scoraggiata.
Le probabilità, così incalcolabilmente grandi, nella
maggioranza dei casi,
da divenire praticamente certezza, sono in favore della
costanza delle
sequenze naturali. E la corrispondente aspettativa, comune
a uomini e
animali, è istintiva.
Tutto questo non è soltanto vero ma è palpabile dalla
nostra coscienza
quotidiana: una verità su cui è fondata l’intera
superstruttura delle nostre
speranze e delle nostre azioni di ogni giorno. La ruota
con la sua superficie
graduata, sempre in moto, presenta effettivamente agli
occhi umani, secolo
dopo secolo, uniformità di sequenza; e quando la catena
continua è scorsa per
migliaia e milioni di volte, siamo giustificati,
ampiamente giustificati se
aspettiamo che il prossimo termine obbedirà alla stessa
legge che ha
determinato il precedente. Tutto quello che ho voluto
fare, nella mia
argomentazione, è di tener viva nella nostra mente la
convinzione che può
esservi un centomilionesimo secondo termine nel quale la
vasta induzione
viene meno; e che, se questo avviene, non abbiamo il
diritto di concludere che
il cambiamento, per quanto appaia senza precedenti, non sia
una necessaria
conseguenza di una regolazione originaria come lo era
l’infinita uniformità
che lo precedeva.
65
Bisogna ammettere l’estrema rarità di ciò che ho chiamato
leggi cangianti
della natura; ma non l’improbabilità della loro esistenza.
In un mondo che
porta stampata in ogni parte l’insegna del progresso e
che, per quanto
sappiamo, può continuare a durare per innumerevoli secoli,
leggi di tal
carattere, che si adattano a nuovi stati di cose, possono
essere considerate
molto verosimili (9).
Ma, per il presente argomento, basta stabilire la
possibilità di tali leggi. Se
esse sono possibili, allora relativamente a ogni evento
dei tempi moderni (sia
pure di carattere strano, ma bene attestato), non possiamo
più sostenere che,
poiché contrario alla passata esperienza, esso sarebbe
miracoloso e di
conseguenza impossibile. Non possiamo farlo così come chi
osservi
l’apparecchio di Babbage non può affermare, quando la
lunga uniformità di
una frequenza trascorsa viene inaspettatamente violata,
che l’autore è ricorso
alla magia nera ed è sconfinato nel soprannaturale (10).
In verità, vi sono molte più forti ragioni contro tale
supposizione nel nostro
caso che in quello di un supposto osservatore davanti alla
macchina
calcolatrice. Egli ha osservato l’intera serie fino a
cento milioni. Quanto
insignificante è la frazione che è passata dinanzi ai
nostri occhi! Quanto
imperfetta la nostra conoscenza della frazione passata
sotto gli occhi dei
nostri antenati! Quanto insufficienti sono dunque i dati
per decidere che
l’uniformità del passato è stata continua!
E qui, oltre ogni dubbio, troviamo una fonte di errore
infinitamente più
frequente di quanto non sia l’errore nel riconoscere una
legge cangiante. Io ho
avanzato l’esistenza di tali leggi come una possibilità che
l’uomo non può
negare; e tuttavia solo come un argomento per far fronte a
un caso estremo,
un caso così estremamente raro, che, nonostante la sua
sicura possibilità, può
non presentarsi mai alla nostra osservazione. Per quanto
estesa sia la portata
della nostra limitata esperienza, l’argomento, innegabile,
può non avere
alcuna applicazione pratica. Forse non avremo mai la
fortuna di trovarci
davanti alla macchina nel momento in cui il cento
milionesimo secondo
termine, presentandosi inaspettamente, indica un
allontamento da tutti i
precedenti.
Fra le leggi che vediamo all’opera, può darsi che non ne
osserviamo mai
una che i nostri antenati non abbiamo già visto operare.
E’ molto probabile.
In altre parole, se ci si presenta ora un fenomeno che noi
siamo tentati di
considerare come una violazione della legge naturale, è
più probabile -
diecimila probabilità contro una - che un simile fenomeno
si sia già
manifestato più o meno frequentemente nel passato che non
che si presenti
ora per la prima volta nella storia della nostra razza.
66
La fonte del nostro errore, dunque, quando scambiamo lo
straordinario per
il miracoloso, è molto più frequente nella nostra
ignoranza di ciò che è stato,
che nella nostra falsa concezione di ciò che può essere.
L’errore stesso, quali che ne siano le fonti, è grave,
comportando
importanti conseguenze pratiche che hanno variato i loro
principali caratteri
nei vari periodi del mondo. Ai nostri giorni il risultato
usuale è l’incredulità,
prima ancora dell’esame, su tutti i fenomeni che sembrano,
alla nostra
limitata esperienza, incapaci di spiegazione razionale.
Uno o due secoli fa lo
stesso errore ha assunto spesso forme diverse. Quando si
presentava agli
uomini di allora un fenomeno di cui non comprendevano le
cause e che, per
questo, sembrasse loro fuori del corso della natura, essi
erano indotti a
considerare certo che avveniva o per opera del diavolo o
per intervento della
divinità per affermare qualche verità contestata. Così
Racine riferisce quella
che chiama la miracolosa guarigione della signorina
Perrier, nipote di Pascal,
allora interna del celebre Convento di Port-Royal; e
Pascal stesso cerca di
provare che questo miracolo era necessario alla religione,
e che venne attuato
per giustificare le suore di quel convento, ardenti
gianseniste e per questo
messe al bando dai Gesuiti.
lo presenta come un increscioso esempio - «penoso a
vedersi e a leggersi» - di
quella cieca credulità che è spesso la debolezza dei
grandi uomini (11).
La verità in questo caso, come in molti altri, può essere
razionalmente
cercata fra queste opinioni estreme. A tanta distanza di
tempo, non possiamo
stabilire con esattezza i fatti; ma, senza mettere in
dubbio la buonafede di una
folla di rispettabili testimonianze, possiamo giudicare
probabile che la
guarigione sia stata veramente straordinaria, dovuta forse
all’influenza di una
mente eccitata sul corpo, o a qualche agente magnetico o
non ancora
riconosciuto dalla scienza; a ogni modo a qualche causa
naturale sebbene
nascosta. Pascal e
quest’ultimo negando che fosse avvenuta una meravigliosa
guarigione, il
primo cercando le sue cause nello speciale intervento di
un potere
soprannaturale e immaginando che Dio avesse sospeso per
l’occasione una
grande legge naturale allo scopo di sostenere le cinque
proposizioni di
Giansenio, di ammonire un certo ordine religioso e di
offrire un momentaneo
trionfo a poche suore perseguitate.
Errori simili avvengono di frequente. Forse il più
impressionante esempio
che si ricordi è contenuto in quello straordinario
episodio della storia delle
epidemie mentali d’Europa, la storia di coloro che sono
stati chiamati i
Convulsionari di St.
Médard. A questo allude Hume nel paragrafo da cui ho
già tratto citazioni quando scrive:
67
«Non vi è certo mai stato un maggior numero di miracoli
attribuiti a una
persona di quelli che ultimamente si disse fossero
avvenuti in Francia sulla
tomba dell’abate François de Pâris, il famoso giansenista,
della cui santità il
popolo si illuse così a lungo. Le guarigioni dei malati,
che davano udito ai
sordi e vista ai ciechi, erano celebrate dappertutto come
consueti effetti di
questo santo sepolcro. Ma, cosa ancor più straordinaria,
molti dei miracoli
erano immediatamente provati sul luogo, davanti a giudici
di indubbia
attendibilità, attestati da testimoni onorevoli, in un
secolo dotto, e sulla scena
più eminente che ci sia oggi al mondo. Né è tutto: una
relazione di quei
miracoli fu pubblicata e diffusa dappertutto; e i Gesuiti,
ordine dotto,
sostenuti dalla magistratura civile e nemici dichiarati di
quelle opinioni in
favore delle quali si diceva che i miracoli fossero
avvenuti, non riuscirono mai
a respingerli decisamente o a smascherarli. Dove potremo trovare
un tal
numero di circostanze concordanti per corroborare un
fatto? E che cosa
possiamo opporre a un tale stuolo di testimonianze se non
l’assoluta
impossibilita della natura miracolosa degli eventi
riferiti? Certo solo questo,
agli occhi di tutte le persone ragionevoli, sarà
considerato una sufficiente
confutazioni».
Hume si pone qui nella categoria di coloro che Arago
considera scarsi di
prudenza. Egli afferma che certi eventi sono impossibili
perché contrari alla
sua esperienza. E’ ingannato dalle pretese di coloro che
riferivano i fatti.
L’eminente magistrato alla cui elaborata opera dobbiamo il
racconto di questi
eventi (Carré de Montgéron) afferma che essi erano stati
prodotti dallo
speciale intervento di Dio, inteso, per intercessione del
defunto abate, a
sostenere la causa dei Giansenisti Appellanti e a
condannare le dottrine della
bolla Unigenitus (13). Hume non può ammettere la ragione e
la giustizia di
tali pretese. Non possiamo farlo neppure noi. Ma qui
bisogna distinguere.
Una cosa è rifiutare credito alla realtà del fenomeno, e
un’altra respingere
l’interpretazione che ne viene data. Possiamo ammettere
l’esistenza delle
comete e tuttavia negare che esse indichino la nascita o
la morte di un eroe.
La prima è una questione di fatto, la seconda è solo un’
inferenza
dell’immaginazione.
Questo punto di vista non sembra essersi presentato, a suo
tempo, né ai
sostenitori né ai negatori. Gli inquisitori gesuiti,
incapaci di contestare i fatti,
non trovarono altra spiegazione che attribuirli alla stregoneria
e al diavolo. Né
venne loro in mente altro modo per confutare l’opera di
Montgéron che di
farla bruciare per mano del carnefice il 18 febbraio del
1739.
La scienza moderna è più discriminatrice. I migliori fra
coloro che hanno
scritto sull’insania e soggetti affini, dopo aver fatto le
debite concessioni alle
esagerazioni proprie del calore della controversia e delle
inesattezze in cui
l’ignoranza della fisiologia faceva sicuramente cadere
osservatori inesperti,
68
trovano tuttavia sufficienti prove residue per accertare,
senza cavilli, la realtà
di certe guarigioni e di altri meravigliosi fenomeni
esibiti; ma ne cercano la
spiegazione in cause naturali (14). Non immaginano che la
divinità sospenda
le leggi di natura per disapprovare una bolla papale; ma
nemmeno
dichiarano, con Hume, l’impossibilita dei fatti detti
miracolosi.
Un giudizio simile a quello che lo storico scozzese, più
di un secolo fa, diede
sui miracoli di St. Médard, viene dato ai nostri giorni,
da una vasta
maggioranza in tutto il mondo, per tutte le cosiddette
apparizioni o altri fatti
di carattere ultraterreno. L’opinione comune è che tali
cose non possono
avvenire se non miracolosamente, ossia per speciale
intervento divino e
temporanea sospensione da parte di esso, in favore di certe
persone, di una o
più leggi che governano l’universo. E coloro che non
credono ai miracoli
respingono, senza esame, ogni prova tendente a stabilire
la realtà di questi
fenomeni.
Io non sto qui ad affermare che tali fenomeni avvengono.
Cerco solo di
sostenere l’opinione che, se avvengono, sono il risultato
di leggi naturali come
la pioggia o il tuono. Cerco di presentare a chi crede
nella loro esistenza le
ragioni per cui dovrebbero cessare di appigliarsi a ogni
tendenza verso il
soprannaturale.
Nei capitoli seguenti si troveranno numerosi esempi di
questi fenomeni.
Frattanto, ammettendo per un momento la realtà di questo
punto, potrei
avanzare, su semplici principi generali, un argomento che
si riconnette a esso.
A una domanda che si presenta naturalmente, a cioè a qual
fine Dio permetta
(se lo permette) eventi ultraterreni, io posso rispondere
che questo avviene
indubbiamente per un proposito comprensivo quanto
benevolo; che possiamo
ragionevolmente immaginare che Egli apra alla nostra razza
un mezzo per
conoscere con maggiore certezza un altro mondo, onde dare
nuovo impulso al
nostro progresso verso la saggezza e la bontà in questo, e
più specialmente per
correggere quella assorbente mondanità, vizio assillante
della nostra epoca,
che si insinua nella sua civiltà e avvilisce le
aspirazioni più nobili. E, se si
ammette che questa sia una congettura razionale, posso
andare oltre e
chiedere come possiamo supporre, con qualche probabilità,
che Dio attui
questo intento: se in modo parziale ed eccezionale, con
una inopportuna
sospensione delle Sue stesse leggi a beneficio di alcuni
dei suoi figli favoriti, o
per l’opera dell’ordine universale della natura a comune
vantaggio di tutte le
Sue creature, in silenziosa imparzialità e armonia, così
come fa sorgere il sole
al mattino e cadere la rugiada alla sera.
Potrei fare ancora un passo e chiedere se, qualora una
tale estensione del
nostro orizzonte terreno entri nel disegno divino, si
possa ragionevolmente
immaginare che il Grande Costruttore trovi il suo proposito
ostacolato dalle
69
leggi da Lui stesso costruite; o se non si adatti meglio
all’idea della
onnipotenza e onnipresenza divina concludere che,
nell’originale regolazione
dell’economia del mondo, una tale contingenza era stata
prevista
provvedendo in proposito, come certo è avvenuto per ogni
altra esigenza
umana.
Questi argomenti possono non essere inopportuni. Tuttavia
ogni
ragionamento a priori che riguardi le
intenzioni divine e i mezzi che
immaginiamo possano essere scelti da Dio per attuarle, mi
sembra arrischiato
e inconclusivo. Penso che facciamo meglio a prender nota
di quello che Dio fa,
piuttosto che a congetturare i Suoi pensieri, che, ci è
stato detto, non sono
come i nostri. E’ più sicuro ragionare secondo la nostra
esperienza delle Sue
opere, che secondo la nostra concezione dei Suoi
attributi; perché questi sono
avvolti nel mistero, mentre quelle sono aperte dinanzi a
noi.
Fondo dunque il caso non sull’indefinitezza di
un’induzione generale, ma
sulle dirette prove dei fenomeni osservati. Queste prove
verranno date a suo
tempo. Per il momento mi limiterò a esprimere la mia
convinzione, fondata
sulla prova sperimentale, che se la divinità
sta adesso permettendo una
comunicazione fra le creature mortali in questo stadio di
esistenza e gli spiriti
disincarnati, in un altro stadio, Essa si vale di cause
naturali e di leggi generali
per raggiungere il Suo scopo, senza ricorrere per questo
all’occasionale e al
miracoloso.
Nota
Sarà evidente per l’attento lettore che l’argomento
trattato nel presente
capitolo vale solo in quanto possiamo accettare la
popolare definizione di
miracolo; la stessa adottata da Hume. Alcuni illustri
teologi ne hanno assunta
una molto diversa; Butler, per esempio, nella sua nota Analogia
della
religione, nella
quale inclina per una concezione del soggetto non dissimile
da quella che io stesso ho accolto. «Vi è una vera
credibilità», egli dice, «nella
supposizione che può far parte del piano originale delle
cose il fatto che vi
siano interventi miracolosi». E lascia in dubbio se non
dovremmo «chiamare
miracoloso tutto quello che
senza una Rivelazione e al di fuori del noto corso delle
cose» (15).
Un altro distinto prelato parla ancora più chiaramente. In
uno dei suoi
sermoni l’arcivescovo Tillotson dice: «L’essenza di un
miracolo non è, come
molti pensano, il fatto che sia un immediato effetto del
Potere Divino. E’
70
sufficiente che ecceda ogni potere naturale a noi noto
come capace di
produrlo» (16).
Questo cambia totalmente la definizione comune. Se non
dobbiamo
considerare «l’essenza di un miracolo il fatto che sia un
immediato effetto del
Potere Divino», se possiamo chiamare propriamente
miracoloso ogni fatto
che è «al di fuori del noto corso delle cose», se possiamo
considerare miracolo
qualsiasi fenomeno «che ecceda ogni potere naturale a noi
noto come capace
di produrlo», allora è evidente che il miracolo di
un’epoca può essere un
evento naturale in un’epoca successiva. In questo senso
noi stiamo vivendo,
anche adesso, fra i miracoli.
E seguendo in questo Butler e Tillotson, non stiamo
affatto invalidando
l’efficacia dei primi miracoli cristiani. La loro
influenza sulle menti umane fu
la stessa sia che fossero il risultato di leggi parziali o
generali. Praticamente
attrassero l’attenzione, rafforzandoli, sugli insegnamenti
di un sistema la cui
innata bontà e la cui grandezza morale erano insufficienti
a sostenerlo nella
semibarbarie dei tempi. Quale che fosse il loro carattere,
assolsero al loro
compito. E gli errori su questo carattere, se vogliamo
chiamarli errori,
possono essere stati i mezzi stessi offerti dalla
Provvidenza per favorire e far
progredire, nella sua infanzia, una religione di pace e di
buona volontà che
zampillava in un’epoca di guerre e di discordie. E, in un
certo senso, non fu un
errore, se vogliamo considerarlo tale, di essenza, ma
piuttosto di modo. I
segni e le meraviglie che si affermarono sull’indifferenza
e risvegliarono la
fede degli Ebrei e dei Gentili, sia che fossero prodotti
dalla momentanea
sospensione di una legge o da una sua attività
preordinata, erano egualmente
opera di Colui da cui procede ogni legge. E dovremo
giudicare minore l’opera
di Dio solo perché, nel progresso dei suoi insegnamenti,
Egli ci mostra
gradualmente i modi con cui agisce per attuarla? In tal
caso Lo venereremmo
meno in cielo che sulla terra.
E’ forse una supposizione irragionevole quella che può
essere proposito
divino alzare il velo di mille e ottocento anni a seconda
che i nostri occhi siano
in grado di sostenere la luce? A seconda che le nostre
menti possano
accogliere le tante cose che Cristo non insegnò ai suoi
tempi a coloro che non
potevano comprenderle? A seconda che siamo preparati a
ricevere il
cristianesimo per la sua intrinseca eccellenza e per la
sua intima evidenza,
senza l’aiuto di garanzie esterne?
Ma io avanzo queste supposizioni che toccano solo
incidentemente e
ipoteticamente materie che sono oltre la nostra
conoscenza. Esse non sono
essenziali per il mio ragionamento né strettamente incluse
nei propositi di
esso che sono quelli di trattare i miracoli moderni, e non
gli antichi.
71
Note
(1) Essays and Treatise on Various Subjects,
(Saggi e trattati su vari
soggetti), di Hume, seconda edizione, Londra 1784, vol. II
pag. 122.
(2) Saggi di Hume, vol. II, Nota K, pag.
479.
(3) Saggi di Hume, vol. II, pag. 122.
(4) In un altro passo (pag. 119) Hume usa la parola infallibile
in questo
contesto: «Un uomo saggio proporziona le sue credenze
all’evidenza. In tali
conclusioni, fondate su di un infallibile esperienza, egli
attende l’evento con
l’estremo grado di sicurezza, e considera la sua passata
esperienza come una
completa prova della futura esistenza di
quell’evento».
(5) «Saggi» di Hume, vol. II, pag. 133.
(6) «Saggi» di Hume, vol. II, nota K, pag. 480
(7) Sarebbe ipercritico opporci a questa espressione
genericamente. I
migliori autori la hanno usata nel senso di Hume, sebbene
piuttosto in poesia
che in prosa. Così Dryden:
«A lungo rimase il nobile giovane, oppresso da sacro
terrore,
E stordito dalle meravigliose cose che vedeva,
Tali da sorpassare la fede comune e da trasgredire le
leggi della natura».
Ma l’approssimatività di un’espressione che adorna una
frase poetica, o
passa senza biasimo in un testo letterario, dovrebbe
essere evitata in un
argomento strettamente logico e in particolare in una
definizione.
(8) Ninth Bridgwater Treatise, di Charles
Babbage, seconda edizione
Londra 1838, pagg. 34-39. Il passo è stato già citato da
altri a proposito di una
questione fisiologica.
(9) La scienza moderna ci sta rivelando alcune luci che
possono brillare
come prove positive di questa ipotesi. Sir John Herschel,
scrivendo al geologo
Lyell e alludendo a ciò che chiama «il mistero dei
misteri, la sostituzione di
specie estinte da parte di altre», dice:
«Per parte mia, non posso che considerare una inadeguata
concezione del
Creatore credere sicuro che le Sue combinazioni siano
esaurite nei vari teatri
del loro primitivo manifestarsi. In questa come in altre
Sue opere, noi siamo
indotti da tutte le analogie a supporre che Egli agisca
attraverso una serie di
cause intermedie, e che, in conseguenza, l’origine di
nuove specie, se mai
72
potesse venire a nostra conoscenza, risulterebbe un
processo naturale e non
miracoloso; sebbene non si possa scorgere indizio di alcun
processo,
attualmente in atto, tale da portare verosimilmente a
questi risultati».Lettera
di Herschel del 20 febbraio 1836, pubblicata in appendice
all’opera citata di
Babbage, pag. 266.
(10) Rileggendo questo capitolo un anno dopo - e
precisamente nel marzo
del 1859 - in un circolo privato di amici a Londra, uno di
loro richiamò la mia
attenzione, riguardo all’argomento di esso, su di un
articolo appena
pubblicato sull’Athenaeum di Londra,
attribuito (credo esattamente) al
professor De Morgan dell’università londinese. Si trattava
di un esame di
quello strano incarico assuntosi da un uomo di
prim’ordine, virtualmente
seguace delle false direttive di Hume: la straordinaria
conferenza di Faraday
sull’Educazione mentale, pronunciata dinanzi
al principe Alberto alla
Royal Insitution. E fu per me una soddisfazione trovare in
questo articolo
scritto dalla penna di uno dei primi matematici di Europa,
un paragrafo come
il seguente:
«Il filosofo naturale, quando immagina una impossibilità
fisica, che
non sia qualche cosa di inconcepibile, afferma
semplicemente che il suo
fenomeno è contrario a tutto ciò che è stato fin allora
conosciuto nel corso
della natura. Prima di poter sostenere una impossibilità
egli deve fare
accettare al suo lettore o ascoltatore un postulato che la
natura non ha mai
insegnato: ossia che il futuro concorda sempre col
passato. Come possiamo
sapere che questa sequenza di fenomeni sarà sempre tale?
Si risponde: perché
è sempre stato così. Ma, anche ammettendo che è sempre
stato così, come
possiamo sapere che quello che è sempre stato sempre sarà?
Si risponde:
sento che la mia mente mi costringe a questa conclusione.
E come potete
sapere che le inclinazioni della vostra mente sono sempre
dirette verso la
verità? La risposta dovrebbe essere: perché
sono infallibile; ma questa
risposta non viene mai data». Athenaeum, n°
1637, 12 marzo 1859, pag.
350.
(11) Vedi l’introduzione alla sua Théorie analytique
des Probabilités,
VII vol. delle sue opere, Parigi 1847, pag. 95.
Per la storia stessa il lettore può riferirsi all’Abregé
de l’histoire de
Port-Royal, di
Racine, Parigi 1673. 11 cosiddetto miracolo avvenne nel 1656.
venne applicata una reliquia: si diceva una spina della
corona che i soldati
ebrei avevano posto per derisione sulla testa di Cristo.
La ragazza disse che il
contatto l’aveva guarita. Alcuni giorni dopo venne
esaminata da vari medici e
chirurghi, che confermarono il fatto della sua guarigione
ed espressero
l’opinione che
esso non fosse stato compiuto per trattamento medico né per
73
cause naturali. Inoltre la guarigione fu attestata non
solo da tutte le suore del
convento - famose in tutta Europa per la loro austerità -
ma confermata da
tutte le prove che una moltitudine di testimonianze di
indubbio carattere -
uomini di mondo e medici - potevano dare in proposito.
di Francia, che aveva molti pregiudizi contro Port-Royal
come covo di
giansenisti, mandò il suo stesso chirurgo, il signor
Felix, a esaminare il
miracolo; ed egli tornò totalmente convertito. Esso
appariva così
incontestabile, anche ai nemici delle suore, che salvò
letteralmente, per
qualche tempo, il convento dalla rovina da cui era
minacciato da parte dei
Gesuiti: rovina che tuttavia avvenne cinquantatrè anni
dopo, con la
soppressione del convento; esso fu chiuso nell’ottobre del
1709 e raso al suolo
l’anno successivo.
A Racine - che scriveva nel 1673 e quindi non poteva
essere al corrente di
questi fatti - non venne in mente che Dio stesso non
accetta di essere deriso
dall’uomo, e che è difficile immaginare che interferisca,
oggi, a sostegno di
una causa, permettendo che domani essa precipiti dinanzi
agli sforzi dei suoi
nemici.
Ma qui ci avviciniamo a un soggetto nascosto ai nostri
limitati sguardi: le
intenzioni dell’Infinito. Noi non siamo maggiormente
giustificati
nell’affermare che Dio non aveva particolari propositi nel
permettere un
fenomeno straordinario che all’ignoranza dei tempi
sembrava un miracolo,
che nell’affermare quali questi propositi potessero
essere.
(12) Saggi di Hume. vol. II, pag. 133.
(13) La Verité des miracles opérés par
l’intercession de M. de
Paris et autres Appelans, del signor Carré de Montgéron, Consigliere al
Parlamento di Parigi, seconda edizione, Colonia 1745.
Copio dalla sua «Avvertenza», a pag. 5: «Il s’agit de
miracles qui prouvent
evidemment l’existence de Dieu et sa providence, la vérité
du Christianisme,
la sainteté de l’église Catholique et la justice de la
cause de Appellans de la
bulle Unigenitus». (Si tratta di miracoli
che provano evidentemente
l’esistenza di Dio e della sua provvidenza, la verità del
cristianesimo. la santità
della Chiesa cattolica e la giustizia della causa degli
Appellanti contro la bolla
Unigenitus).
Il peso delle prove portate, in questa singolare opera, a
favore dei principali
miracoli considerati sicuri, sarebbe sufficiente a una
giuria di venti uomini in
una corte di giustizia. Non credo che una tal massa di
testimonianze sia mai
stata raccolta per sostenere dei fatti contestati.
Avevo preparato e intendevo inserire in questo volume, un
capitolo che
conteneva un riassunto di tale meravigliosa epidemia e dei
fenomeni da essa
74
portati alla luce; e volevo anche dedicare vari altri
capitoli ai particolari di
altri episodi storici di simile carattere. Ma il soggetto
mi crebbe fra le mani
fino a tali dimensioni che fui costretto a rinunciarvi.
(14) Consultare, per esempio, l’eccellente opera del dott.
Calmeil, De la
folie, considérée sous le point de vue pathologique,
philosophique,
historique et judiciaire, Parigi 1845. Si troverà nel vol. II, pagg. 313-400,
nel capitolo intitolato «Théomanie extato-convulsive parmi
les Jansénistes»,
in cui il soggetto viene esaminato nei particolari da un
punto di vista medico e
spiegazioni naturali vengono offerte per i fenomeni in
questione, molti dei
quali sono così impressionanti che Hume, ignaro com’era
degli effetti prodotti
dal sonnambulismo, dalla catalessi e da altri stati
normali dell’uomo, può
essere perdonato per la sua incredulità.
Calmeil crede - e sembra molto probabile - che queste
convulsioni
costituissero una malattia nervosa di carattere grave,
probabilmente isteria
complicata da sintomi estatici e catalettici. Egli dice:
«Dès 1732, l’hystérie se
complique de phénomènes extatiques, et phénomènes
cataleptiformes». Vol.
II pag. 395.
(15) Analogy of Religion to the Constitution and
Course of
Nature.
(Analogia della religione con la costituzione e il corso della natura).
Parte II, cap. 2.
(16) Sermone CLXXXII.
75
4 - L’improbabile
«Si può dire, rigorosamente parlando, che questi tutta la
nostra conoscenza consiste di sole possibilità».
La Place; Théorie des Probabilités,
Introduzione.
Nella ricerca della verità vi sono due modi di procedere:
l’uno è di mettersi
lì con una massa di preconcetti; stabilire, prima di
cominciare la ricerca,
quello che può essere, o non può essere, o deve essere;
farci in anticipo quelle
che chiamiamo idee chiare su ciò che è naturalmente
possibile o impossibile;
e poi partire, armati contro tutte le novità che non si
conformano alle nostre
idee, col fermo proposito di non perder tempo a
esaminarle. L’altro, modesto
e baconiano, è di avanzare nel mondo con gli occhi e gli
orecchi aperti, come
liberi osservatori, col nostro pacco di opinioni non
ancora legato e
incompleto; senza alcun paravento di deve essere innalzato
per impedirci di
vedere e udire tutto quello che si presenti; senza alcuna
impossibilità già
pronta per eliminare testimonianze attendibili; senza
pregiudizi che
ostacolino la via contro prove di cose improbabili.
Pochi si rendono conto di quanto arbitrarie e
inattendibili possano essere
le loro nozioni su ciò che è improbabile. Noi ridiamo
della madre di Jack, che,
quando suo figlio, marinaio, cercò di convincerla che
esistevano dei pesci
volanti, considerò il tentativo come un’offesa al suo buon
senso, ma accettò
senza riserve la storia di quel briccone circa una ruota
del cocchio del faraone
portata su da un dente dell’ancora dal fondo del Mar
Rosso. Tuttavia quella
vecchia signora fa parte di una vasta classe che annovera
fra i suoi membri
celebrità dotte e letterate, le quali hanno i loro pesci
volanti che offendono il
loro buon senso al pari di lei. Sono fenomeni frequenti
nell’ambito di
accademie scientifiche e di istituzioni reali.
Noi dimentichiamo, dopo un certo tempo, quelli che sono
stati i pesci
volanti del passato. Sono necessarie referenze ufficiali
per convincerci che per
quasi mezzo secolo dopo la brillante scoperta di Harvey,
l’Accademia di
Medicina di Parigi fece parte di coloro che la
classificavano fra le impossibilità
(1). Abbiamo quasi dimenticato che, fino all’inizio del
nostro secolo, le vecchie
signore del mondo scientifico respingevano, con lo stesso
sdegno del
prototipo della storiella, ogni fatto che provasse la
realtà degli aeroliti (2).
Le pietre meteoriche e la circolazione del sangue hanno
perduto adesso il
loro carattere di pesci volanti, sono state tolte dalla
lista delle impossibilita e
76
inserite nel catalogo accreditato delle verità
scientifiche. Un tempo era
volgare e ridicolo ammetterle; oggi la volgarità e
l’assurdità consistono nel
negarne l’esistenza.
I fenomeni di Mesmer, d’altra parte, sono un esempio delle
improbabilità
non ancora accettate.
«Quando ero a Parigi», scrive il poeta Rogers nei suoi Discorsi
da
tavola «andai
da Alexis e lo pregai di descrivermi la mia casa in Piazza St.
James. Sulla mia parola mi strabiliò. Descrisse nel modo
più esatto tutti i
particolari delle scale; disse che non lontano dalla
finestra del salotto c’era il
quadro di un uomo armato (il dipinto del Giorgione) e così
via. Il colonnello
Gurwood, poco prima della sua morte, mi assicurò che
Alexis gli aveva fatto
ricordare alcune circostanze che gli erano capitate in
Spagna, e che egli non
riusciva a concepire come un qualsiasi essere umano,
eccetto lui stesso,
potesse conoscere. Tuttavia non posso credere alla
chiaroveggenza perché è
impossibile» (3).
Non perché le possibilità di osservazione erano troppo
poche e gli
esperimenti richiedevano di essere ripetuti: questa
sarebbe stata un’obiezione
valida. Non perché la prova era imperfetta e richiedeva
una conferma:
l’opposizione di Rogers era più radicale. Nessuna prova
sarebbe stata
sufficiente. I pesci non possono avere le ali: era cosa
impossibile.
Un esempio ancora più grave e più ricco di influenze si
può trovare in una
conferenza pronunciata nel 1854 alla Royal Institution
dinanzi al Principe
Alberto e a una scelta udienza dal massimo studioso
inglese di elettricità. Il
pesce volante di Rogers era la chiaroveggenza, quello di
Faraday erano le
tavole giranti (4).
Ma, se i grandi uomini cadono in un estremo, non
lasciamoci per questo
trascinare all’estremo opposto. Ricordiamoci che, prima
che fossero addotte
sufficienti prove per accertarli, la circolazione del
sangue, la caduta di
meteoriti, i fenomeni di chiaroveggenza, la realtà delle
tavole giranti erano - o
sono ancora - delle improbabilità.
Ma vi sono poche proposizioni che il senso comune,
confermando le più
accreditate autorità scientifiche, accolga più prontamente
e con maggior
giustizia di questa: che quanto più un evento o un
fenomeno sono per loro
natura improbabili, tanto più convincente deve essere la
prova richiesta per
assicurarci della loro realtà (5).
E’ vero che il contrario di questa proposizione è stato
talora plausibilmente
sostenuto quando meno ci saremmo aspettati una scusante
per la credulità
(6); ma gli uomini sono stati tanto spesso mendaci, e
tanto ancor più spesso,
ingannati, che, quando viene addotta la loro testimonianza
come prova di
77
qualche cosa di meraviglioso e di unico, ogni insegnamento
dell’esperienza ci
sconsiglia di accettarlo se non dopo il più severo esame
e, se possibile, con il
concorso di molte testimonianze disinteressate e
indipendenti l’una dall’altra.
Comunque l’argomento relativo al valore della prova
ottenuta mediante
questo concorso di testimonianze su di uno stesso fatto, è
stato spinto spesso,
a mio giudizio, oltre la sua portata. Quando la
testimonianza umana entra
come elemento nel calcolo, la sua forza di disturbo può
essere tale da
indebolire, fin quasi al punto di annullarla, la forza di
ogni dimostrazione
strettamente matematica.
In sostanza l’argomento è stato posto così (7). Supponiamo
due persone, A
e B, così veritiere e di mente lucida da potersi
considerare molto probabile che
dicano la verità e che non vengano ingannate in dieci casi
su undici. E
supponiamo che queste due persone, assolutamente
sconosciute l’una all’altra
e senza rapporti reciproci, debbano testimoniare su
qualche fatto. Se le loro
testimonianze sono concordi, quante sono le probabilità
che il fatto sia
realmente accaduto?
Evidentemente cento a una. Perché, se la loro
testimonianza concorda e il
fatto non è avvenuto, deve esservi l’intervento di una
menzogna o di un
errore. Ma, siccome, anzitutto, vi sono dieci probabilità
contro una che A non
menta e non sia ingannato, e, qualora questo avvenisse, vi
sono ancora dieci
probabilità contro una che B riferisca la verità, è
evidente che le probabilità
contro il doppio evento sono dieci volte dieci (ossia cento)
contro una.
Proseguendo lo stesso calcolo, troviamo che, qualora le
testimonianze
relative allo stesso fatto fossero tre, le probabilità
sarebbero mille a una
contro la falsità della loro testimonianza, diecimila
contro una se le
testimonianze fossero quattro, e così via. E’ dunque
necessario solo un piccolo
numero di tali testimonianze per stabilire un grado di
probabilità che, in
pratica, è molto vicino alla certezza.
E, seguendo ancora questo principio, si troverà che, se
possiamo procurarci
testimonianze tali che sia solo più probabile la loro
esattezza che la loro
falsità, ne troveremo sempre in numero sufficiente per
stabilire l’avvenimento
di qualsiasi fatto o la realtà di qualsiasi fenomeno per
quanto improbabili o
meravigliosi possano essere se considerati in se stessi.
Se i postulati sono sicuri, queste conclusioni ne seguono
con evidenza; e
sono state usate dal dott. Chalmers (8) e da altri, a
proposito dei miracoli, per
illustrare la grande massa di probabilità che risulta dal
concorso di
testimonianze indipendenti.
78
La difficoltà sta nei postulati. A prima vista sembra
facile trovare
testimonianze di così modesta veracità e intelligenza da
poter dichiarare più
probabile la loro verità che la loro falsità.
Per quel che riguarda la falsità voluta, la cosa è fuor di
dubbio. Comunque
il cinismo voglia presentarci il mondo, vi è in esso più
sincerità che falsità. Ma
quanto alla certezza di non ingannarsi, questa è molto più
difficile da
ottenere. In gran parte dipende dal genere dell’evento
testimoniato o del
fenomeno osservato.
Un caso estremo ci può assicurare di questo. Se due
testimoni indipendenti
di buona veracità depongono di aver visto una venditrice
di mercato trarre sei
dozzine di uova da un paniere evidentemente abbastanza
grande per poterle
contenere, giudicheremo il fatto sufficientemente provato.
Ma se duemila
testimoni, egualmente di buona veracità, affermano di aver
visto il Signor
Blitz o Robert Houdin trarre lo stesso numero di uova da
un cappello
normale, non riusciranno a convincerci che quel cappello
le conteneva
realmente, e noi diremo che sono stati ingannati da una
destrezza di mano.
In questo caso, dunque, il postulato deve essere respinto.
E, senza parlare
di impossibilità. matematiche, nei riguardi delle quali,
ovviamente, nessun
numero di testimonianze concordi può valere come prova, il
carattere
dell’evento o del fenomeno testimoniati avrà sempre molta
importanza; e,
qualunque cosa un teorico possa dire, influenzerà sempre
notevolmente la
nostra opinione non forse per quello che riguarda l’onesta
ma per quello che
riguarda la possibilità di essere ingannati propria dei
testimoni. Così che, nel
caso in cui sia in questione la prova di qualche
meraviglia, la condizione
assunta, e cioè che ci varremo di testimoni capaci piuttosto
di dire la verità
che di mentire o di essere ingannati, può non essere
sufficientemente
rispettata.
La difficoltà di ottenere tale sicurezza, può inoltre, in
certe circostanze,
aumentare grandemente. Vi sono epidemie mentali come ve ne
sono di
fisiche, e durante la loro prevalenza le menti umane
possono essere eccitate
così morbosamente e l’immaginazione così esaltata, che
intere masse
diverranno incapaci di presentarsi come testimoni
spassionati.
Vi è un’altra considerazione notata da Hume nel suo capitolo
sui miracoli,
che non deve essere trascurata. «Sebbene si sia pronti a
respingere», egli dice,
«ogni fatto che è inconsueto e incredibile in un grado
ordinario, tuttavia,
andando oltre, le menti non osservano sempre la stessa
regola». Egli pensa
che spesso accettiamo una affermazione fattaci, proprio
per quella ragione
che dovrebbe indurci a respingerla, per il suo carattere
più che meraviglioso.
E ne è spiegata, acutamente la ragione: «Poiché la
sorpresa e la meraviglia che
sorgono dai miracoli sono emozioni piacevoli, ne deriva
una sensibile
79
tendenza a credere a quegli eventi da cui tali emozioni
provengono» (9). In
una parola dovremmo stare in guardia da quell’amore per il
meraviglioso che
è inerente alla nostra natura.
Queste e simili considerazioni avranno sempre un peso per
l’osservatore
prudente e riflessivo. Tuttavia bisogna ammettere che il
principio surriferito,
del vasto accumularsi delle prove per il concorrere di
testimonianze
attendibili, non solo è giusto se matematicamente considerato,
ma, in una
quantità di casi, strettamente applicabile in pratica.
Troviamo, per esempio, in diverse epoche del mondo e in
varie nazioni,
esempi costantemente ricorrenti di uomini che attestano
certi fenomeni di
questo o simile carattere, e per quanto tali fenomeni ci
sembrino altamente
improbabili, non saremmo giustificati se attribuissimo al
caso il concorso di
queste testimonianze o considerassimo il tutto come
sciocca superstizione,
sebbene al giorno d’oggi sia molto di moda farlo,
orgogliosi di avere superato
le favole da ragazzi. Disgustati di avere scoperto un
certo frammischiarsi di
errore e di follia, spesso mettiamo da parte un’intera
classe di racconti come
assurdi e privi di fondamento, dimenticando che quando, in
periodi remoti e
in luoghi distanti, senza possibilità di collusione, si
manifestano
ripetutamente le stesse o simili apparenze, questa
coincidenza dovrebbe
suggerirci la probabilità che qualche cosa di più
consistente di un’illusione
possa entrare nel contesto delle cause che li producono
(10). E’ vero solo
quello che è aderente alla vita e che nasce, con
ricorrente sforzo, attraverso lo
scorrere dei secoli rimanendo elastico sotto la pressione
e il disprezzo.
Prendiamo, per esempio, quelle descrizioni popolari che si
riferiscono a
case infestate, la cui universale prevalenza è ammessa da
coloro stessi i quali
si fanno beffe dell’idea che possano provare qualche cosa
di diverso dalla
follia e dalla creduloneria del genere umano (11). E’
forse filosofico ignorare
presuntuosamente ogni prova che può presentarsi in favore
della realtà di
questi disturbi?
Si può ammettere senz’altro che per molte di queste storie
non si possa
trovare altro fondamento che i terrori panici da cui sono
aggredite le menti
ignoranti; che altre siano certamente dovute a un semplice
spirito di
malignità che vuole trarre divertimento da queste paure; e
infine che in alcuni
casi la mistificazione possa avere coperto intenti più
gravi (12). Ma per il fatto
che vi sono monete false dovremo escludere che ve ne siano
delle buone? Le
imitazioni non hanno forse un originale?
In un’altra parte di quest’opera darò le prove che si
presentano
spontaneamente a chi cerchi di rispondere con serietà a
queste domande (13).
80
A coloro che affermano in anticipo che la risposta non
merita di essere
cercata, ricorderemo che vi sono venti rapporti degni di
esame per ogni
rapporto che può essere accolto senza esitazioni.
Vi è inoltre una classe di fenomeni, non meno diffusi dei
disturbi a cui
abbiamo accennato - probabilmente collegati in qualche
modo con essi, ma
più importanti - ai quali si applica perfettamente lo
stesso principio relativo
alla concordanza delle testimonianze nelle varie epoche e
nei vari paesi; e cioè
quelle strane manifestazioni che, per mancanza di un
termine più preciso,
possono essere raggruppate come mesmeriche.
Senza cercare tra le ombre della remota antichità una
spiegazione per tutto
quello che leggiamo delle cosiddette arti occulte - come
tra i maghi dell’Egitto,
i precognitori e gli indovini della Giudea, le sibille e
gli oracoli della Grecia e
di Roma (14) - troveremo, in tempi più recenti, ma
cominciando da molto
prima della comparsa di Mesmer, una serie di fenomeni
abbastanza simili per
far pensare a un’origine comune ed evidentemente
riferibili alle stesse cause
inesplicabili e nascoste che operano durante uno stato
anormale del sistema
umano da cui provengono le varie fasi del sonnambulismo e
di altre
manifestazioni analoghe, fisiche e mentali, osservate
dagli studiosi del
magnetismo animale.
Di tempo in tempo, nella storia psico-medica del medioevo
e dell’Europa
moderna - talora fra i cattolici, altre volte fra i
protestanti - questi fenomeni
ricorrono, per lo più in forma epidemica finché durano,
pur rimanendo
tuttavia ogni fenomeno indipendente dagli altri e separato
da essi dal tempo e
dallo spazio. Tutti sono narrati da scrittori che assumono
le posizioni più
diverse quanto alla loro natura e alle loro cause, e
tuttavia tutti, quale che sia
il narratore, con tratti di somiglianza familiare tanto
più evidenti quanto più
studiati da vicino.
Gli esempi sono numerosi: la cosiddetta ossessione (dal
1632 al 1639) delle
Orsoline di Loudun con il suo seguito, nel 1642, fra le
suore di Santa
Elisabetta a Louiviers; l’aberrazione mentale dei Profeti
o Shakers
(Trembleurs) delle Cevennes (dal 1686 al 1707) causata
dalle persecuzioni che
seguirono la revoca dell’Editto di Nantes; e gli
pseudomiracoli dei
convulsionari di San Medardo (dal 1731 al 1741) sulla
tomba dell’abate Pâris
(15).
Tutto ciò avvenne, sarà stato osservato, prima che il nome
di Magnetismo
Animale fosse conosciuto o che fosse sospettata qualche
naturale spiegazione
per queste strane manifestazioni; in un tempo in cui la
loro investigazione era
considerata campo dei tribunali ecclesiastici e non della
professione medica o
del ricercatore psicologo.
81
E per questa ragione, considerando che molti dei fenomeni
in questione, in
quasi tutti gli esempi dati, assomigliano più o meno da
vicino ad altri riportati
come osservati dai magnetizzatori moderni, la notevole
concordanza di
testimonianze fra i narratori di essi diviene tanto più
convincente della realtà,
in una forma o in un’altra, dei fatti narrati.
Poiché, quando troviamo, in una successione di esempi, una
classe di
fenomeni, per quanto straordinari e inesplicabili, la
probabilità che siano
genuini aumenta considerevolmente. Un fenomeno può essere
giudicato
improbabile finché ci si presenta come unico della sua
classe. Ma, appena ne
abbiamo raggruppati attorno a esso altri simili,
raggiungiamo uno dei più
solidi argomenti a sostegno della probabilità della sua
esistenza.
Ma, oltre alla probabilità o improbabilità inerenti a ogni
fenomeno riferito,
e oltre alle considerazioni generali, universalmente
ammesse, relative al
numero e alla concordanza dei testimoni, al loro carattere
veritiero, alla loro
indipendenza da ogni interesse in quello che affermano,
oltre tutto ciò, il
modo proprio di ogni deposizione o narrazione individuale
ha molta
importanza per la fiducia che possiamo accordare al
narratore. Se la
testimonianza è orale, vi sono sguardi e accenti di verità
che ispirano
un’istintiva fiducia. E, sebbene in una testimonianza
scritta la simulazione sia
più facile, anche in questo caso, tuttavia, un’aria di
candore, o un certo senso
della mancanza di esso, sono in genere così legati a uno
scritto che, se
abbiamo una qualche esperienza del mondo, possiamo
formarci un’idea
esatta sull’onestà di chi scrive.
La modestia e la moderazione nel narrare richiamano la
nostra fiducia: noi
siamo inclini a credere a ciò che viene affermato con
minore arroganza. La
franchezza di convinzione del teste è in realtà necessaria
per provocare una
corrispondente convinzione in chi ascolta; ma non ci sono
due cose più
opposte della franchezza e il dogmatismo. Noi perdiamo
ogni fiducia in un
uomo che, a starlo a sentire, è sempre nel giusto, che non
fa alcun calcolo che
non sia esatto, non conduce alcuna esperienza che non
riesca. Un parziale
fallimento spesso ci ispira più fiducia di un completo
successo.
Né la probabilità di una osservazione, in se stessa
attendibile, viene
materialmente indebolita dal fatto che altri
sperimentatori in cerca di eguali
risultati, non li abbiano ottenuti. Un esperimento
riuscito, sufficientemente
provato, non viene annullato da venti non riusciti. Il
fatto che altri non lo
abbiano visto non toglie nulla a quello che ho visto io.
Le condizioni di
successo possono essere difficili e precarie, specialmente
quando sono
soggetto dell’esperimento esseri viventi. E anche per
quello che riguarda le
sostanze inanimate, non vi è naturalista che abbia
raggiunto alla fine qualche
importante scoperta senza prima essere fallito cento volte
durante la sua
82
ricerca. Se anche molti osservatori intelligenti affermano
di non avere
ottenuto risultati, la loro testimonianza negativa, a meno
che non sia quasi
universale, può ridursi solo a una supposizione contraria
e provare la realtà
del fenomeno studiato (16).
Se ad alcuni sembra che questa osservazione sia così
evidente da essere
inutile, possono venire addotti esempi eminenti per
mostrare che si tratta di
un errore a cui gli uomini sono particolarmente inclini.
Il 28 febbraio 1826, venne formata una commissione fra i
membri della
Reale Accademia di Medicina, di Parigi, per esaminare il
soggetto del
magnetismo animale. Dopo un’investigazione durata più di
cinque anni, ossia
fino al 21 giugno 1831, la commissione si pronunciò, con
molti particolari,
attraverso il suo presidente, dott. Husson, in favore
della realtà di certi
fenomeni sonnambolici, fra i quali l’insensibilità, la
visione con gli occhi
chiusi, la precognizione sulle proprie malattie e, in un
caso, la precognizione
sulle malattie altrui. Il rapporto fu firmato
all’unanimità. Alcuni anni più
tardi, e precisamente il 14 febbraio 1837, la stessa
Accademia formò una
seconda commissione per lo stesso scopo; e questa, dopo
circa sei mesi (il 7
agosto 1837), si pronunciò pure all’unanimità, attraverso
il suo presidente,
dott. Bubois, esprimendo la sua convinzione che nessuno di
questi fenomeni
avesse alcun fondamento eccetto che nell’immaginazione
degli osservatori. Si
giunse a questa conclusione dopo avere esaminato due soli
sonnambuli.
Il dott. Husson, commentando dinanzi all’Accademia (17) le
conclusioni di
quest’ultimo rapporto, osserva giustamente che «le
esperienze negative così
ottenute non avrebbero mai potuto distruggere i fatti
positivi osservati dalla
commissione precedente, poiché, sebbene diametralmente
opposti, entrambi
potevano essere egualmente veri» (18).
E’ un fatto curioso e degno di essere ricordato a questo
proposito, che lo
stesso dogmatico scetticismo che spesso mette le pastoie
al progresso della
conoscenza, può tradursi, in certe occasioni, nell’errore
esattamente opposto.
Perché vi sono alcuni che passano dallo scetticismo
estremo all’estrema
credulità. Una volta convinti del loro errore nel negare
ostinatamente un fatto
evidente, ammettono d’un tratto non solo quel fatto ma
venti altri non
contestati a seguito del primo. Difendono fino all’ultimo
il muro esterno della
fortezza, ma, una volta che questo sia stato espugnato,
abbandonano senza
ulteriore sforzo l’intera cittadella. «Tale», dice Buffon,
«è la comune tendenza
della mente umana, che, quando è stata impressionata una
volta da un
oggetto meraviglioso, si compiace di fare affidamento
sulle sue proprietà
chimeriche e spesso assurde». Dovremo sempre stare in
guardia contro
questa tentazione.
83
Rimane da trattare, relativamente all’osservazione di
fenomeni in se stessi
improbabili, una considerazione di una certa importanza.
Fino a quando e in
quali circostanze è ragionevole non fidarsi dell’evidenza
dei sensi?
Vi sono centinaia di esempi del modo in cui l’uno o
l’altro dei nostri sensi
può momentaneamente ingannarci (19). I più comuni sono
forse quelli detti
trucchi di prestigiatori. Coloro che, come me, hanno
passato una sera con
Robert Houdin, mantengono forse un vivo ricordo di come
questo
meraviglioso artista realizzava quello che sembrava
assolutamente
impossibile davanti agli occhi del suo pubblico
mistificato. Ma questo
avveniva nel suo teatro, dopo che per mesi e anni aveva
preparato il suo
macchinario nascosto e il suo apparato magico, e dopo
un’intera vita spesa a
perfezionare la sua destrezza di mano. Vi è una scarsa
analogia tra queste
esibizioni di professionisti e i fenomeni che si
presentano spontaneamente o
almeno senza calcolata preparazione, in una casa privata o
all’aria aperta,
spesso con persone che non se li aspettano e non li
desiderano.
Ma qui si presenta inoltre l’ipotesi di una allucinazione.
Questo soggetto
sarà trattato in un prossimo capitolo (20). Qui basti dire
che, secondo la
dottrina contenuta nelle più accreditate opere
sull’argomento, se due o più
persone, facendo indipendentemente uso dei loro sensi,
percepiscono nello
stesso tempo e nello stesso luogo la stessa apparenza, non
si tratta di
allucinazione: ossia vi è in quell’apparenza un qualche
fondamento. Entrambe
possono prendere una cosa per un’altra; ma vi è sempre
qualche cosa su cui
sbagliare.
D’altra parte, se una sola persona percepisce un qualche
prodigio, può
trattarsi solo di pura allucinazione specialmente se
questa persona è sotto
l’influenza di una grande agitazione o di un sistema
nervoso indebitamente
eccitato. Se questa persona percepisce quello che altre,
attorno a lei, non
percepiscono, si può supporre, prima facie,
che sia stata soggetto di
un’allucinazione. E tuttavia possiamo immaginare
circostanze che respingono
tale supposizione. Se, per esempio, fosse sufficientemente
provato, in un dato
caso, che una data apparenza percepita da un solo
testimone fra molti
presenti, abbia comunicato a questo testimone, con
indubbia esattezza,
precise informazioni relative al lontano futuro,
impossibili a ottenersi con
mezzi normali, dovremmo concludere che in questo caso vi è
stata qualche
cosa di più di un’allucinazione. La cosiddetta seconda
vista in Scozia e
specialmente nell’isola di Skye (21), se perfettamente
accertata in ogni
esempio in cui una precognizione casuale o una congettura
non possono
essere immaginate, sarebbero un caso del genere. Non vi è
comunque alcun
dubbio che questi casi dovrebbero essere scrupolosamente
esaminati. Che
una predizione improbabile si realizzi, mentre altre cento
falliscono, può
essere solo una rara coincidenza ascrivibile a ciò che
chiamiamo caso.
84
Cicerone riferisce che Diagora, quando era in Samotracia,
essendogli state
mostrate in un tempio, come prova del potere della
divinità ivi adorata, le
numerose offerte votive di coloro che, dopo avere invocato
il suo aiuto, erano
stati salvati da un naufragio, chiese quante altre
persone, nonostante questa
invocazione, fossero perite (22).
Le predizioni, tuttavia, possono essere di tal natura e
così particolareggiate
che le probabilità contro una loro realizzazione casuale
siano sufficienti a
rendere impossibile questa supposizione.
In linea generale si può dire che qualora un fenomeno
osservato da varie
persone, per quanto straordinario e unico possa essere, ha
un aspetto chiaro
ed evidente, percepibile con i sensi, specialmente con la
vista, non possiamo
diffidare della prova dei sensi a suo riguardo (23).
Supponiamo per esempio (24) che, in un locale bene
illuminato, dove non
sia possibile nascondere ordigni o altri trucchi, in
compagnia di tre o quattro
amici, tutti buoni osservatori, intorno a una grande tavola
del peso di ottanta
o cento libbre, mentre tutti i presenti vi posano le mani,
uno veda e senta la
tavola stessa, mentre il suo piano resta orizzontale,
sollevarsi
improvvisamente inaspettatamente all’altezza di otto o
dieci pollici dal
pavimento, restare sospesa nell’aria per il tempo in cui
si può contare fino a
sei o sette e poi tornare a terra; e supponiamo che tutti
gli spettatori
concordino nel testimoniare questo avvenimento con solo
piccole varianti
circa l’esatto numero di pollici al quale la tavola si è
alzata e il preciso numero
di secondi durante il quale è rimasta sospesa: i testimoni
di questa apparente
sospensione della legge di gravità potranno pensare che i
loro sensi affermino
il falso?
Il signor Faraday sostiene che, se non fanno così, sono
non solo «ignoranti
per quel che riguarda l’educazione del giudizio», ma anche
«ignoranti della
loro ignoranza» (25). Un giudizio educato, secondo lui, sa
che «è impossibile
creare della forza». Ma, «se potessimo, con le dita,
alzare senza sforzo una
pesante tavola di legno e poi tornarla a posare,
produrremmo, data la sua
gravità, uno sforzo eguale al suo peso, cosa che sarebbe
una creazione di
energia e che è impossibile» (26). La sua
conclusione è che il tavolo non si
alza mai. E’ cosa impossibile.
Questo è un modo comodo per tagliar corto a ogni
difficoltà. C’è solo la
piccola obiezione che i fatti lo contraddicono. E’
giustissimo che il signor
Faraday pretenda nei testimoni un giudizio educato. Ma
questo non si applica
al caso. Questo giudizio educato, a meno che non li
persuada di non avere
visto quello che hanno visto e di avere sentito quello che
hanno sentito, non
darà mai loro la certezza che quanto è avvenuto dinanzi ai
loro occhi è
impossibile, come
il signor Faraday vorrebbe.
85
Essi potrebbero più giustamente domandarsi se quello che
hanno visto e
sentito era veramente una sospensione di una legge
universale come quella
della gravità. Farebbero molto male ad affermare, come
Faraday ha la
certezza che avrebbero dovuto, di avere «tirato su con le
dita, senza sforzo, un
pesante mobile di legno» (27): potrebbero prendere il post
hoc per il
propter hoc. Tutti
loro sarebbero nel giusto dicendo che posavano la mani
sulla tavola e che questa si alzò.
Se poi il signor Faraday ribattesse che la tavola non
si alzò perché non
poteva, presenterebbe un eminente esempio di un verità
vecchia come
Giobbe, che cioè «i grandi uomini non sempre sono saggi».
Quello che accade
realmente, può
accadere, e cercare di indurre gli uomini a credere il
contrario con argomenti è fatica persa.
Io non affermo che le tavole siano alzate da agenti
spirituali. Ma
supponiamo che il signor Faraday, respingendo ogni altra
ipotesi, conduca
qualcuno a questa (28): sarebbe molto più filosofico
adottarla che rifiutare la
chiara e palpabile prova dei sensi.
Perché, se assumiamo qualsiasi altro principio, tutte le
regole accettate
dell’evidenza devono essere giudicate nulle (29); e la
nostra vita stessa
sarebbe fatta di incertezze e di congetture. Potremmo
cominciare a dubitare
dei più comuni eventi quotidiani (30), e forse, infine, a
sognare, con Berkeley,
che il mondo esterno esiste solo nelle nostre sensazioni.
In verità se i sensi di
un’intera comunità umana concorressero a imporre loro
visioni e suoni
irreali, che apparissero gli stessi a tutti, chi potrebbe
chiamare ciò un’illusione
e con quali mezzi si potrebbe provarla tale?
E non è irrazionale credere all’evidenza dei nostri sensi
in casi così
meravigliosi che respingeremmo le comuni testimonianze per
sentito dire
presentate come prova. «Devo vederlo per crederci» è
spesso l’espressione di
uno scrupolo non irragionevole (31).
La Place afferma che non dovremmo credere alla
testimonianza di una
persona la quale sostenga di avere gettato in aria cento
dadi e di averli visti
cadere tutti sulla stessa faccia, ma che, se vedessimo
accadere la cosa dopo
avere accuratamente esaminato i dadi a uno a uno, dovremmo
lasciar cadere
ogni dubbio. Scrive: «Dopo un tale esame non dovremmo più
esitare ad
ammettere il fatto, nonostante la sua estrema
improbabilità, e nessuno
dovrebbe tentare, per spiegarlo, di ricorrere all’ipotesi
di una illusione
provocata da qualche infrazione delle leggi della vista.
Di qui possiamo
concludere che la probabilità della costanza delle leggi
naturali è per noi
maggiore della probabilità che l’evento in questione non
avvenga».
86
E così può benissimo avvenire per i fenomeni testimoniati
da me stesso o
da altri, ai quali è stata fatta allusione, in particolare
il movimento, senza
apparenti agenti fisici, di tavoli o altri oggetti
materiali. Questi fenomeni sono
così straordinari che la prova delle testimonianze, per
quanto credibili, può
non convincere il lettore della loro realtà. Se è così,
egli non fa che trovarsi
nella stessa condizione in cui ero io prima di averli
testimoniati. Al pari di
quel tale che La Place suppone avere udito la storia dei
cento dadi, io dubitavo
di ciò che avevo sentito dire anche da persone la cui
testimonianza, in altri
casi, sarebbe stata accolta senza esitazioni. Ma mi
limitavo a dubitare: non
negavo. Decisi di esaminare di persona alla prima
occasione, e la prova dei
miei sensi mi diede una convinzione che le testimonianze
non mi avevano
dato. Se il lettore, dubitando al pari di me, cercherà
semplicemente lo stesso
modo per risolvere i suoi dubbi, io gli avrò forse reso un
servigio. Chieda pure,
come Tomaso, di vedere e di toccare, esamini i dadi l’uno
dopo l’altro, eviti,
come ho cercato di indurlo a fare nelle precedenti pagine,
di cadere negli
estremi della credulità e dello scetticismo; ma non pensi
che i sensi che il
Creatore gli ha dato siano testimoni menzogneri solo
perché testimoniano
contro i suoi preconcetti.
E così, forse, imparerà anche una lezione salutare: la
lezione di guardarsi
da quella assoluta fiducia nella propria saggezza che, a
quanto si dice, è più
disperata della stessa follia.
Così anche, forse, potrà essere indotto, come lo sono
stato io, ad ascoltare
pazientemente le testimonianze altrui, come quelle
contenute in molte delle
pagine seguenti, relative a ciò che io una volta
consideravo, e che lui può
considerare ancora, semplici superstizioni fantastiche. E
così può essere
condotto, al pari di me, a sopportare accuratamente le
probabilità
contrastanti di questi strani fenomeni. Non pretendo di
avere raggiunto
un’assoluta certezza. Quanto raramente questa viene
raggiunta in qualsiasi
ricerca. Quando la natura del caso ammette solo delle
deduzioni più o meno
probabili, è sufficiente presentare un buon peso di prove
in favore delle
conclusioni che ipotizziamo. E non è irragionevole
fondarsi su questa ipotesi
sebbene non comporti prove infallibili. Di tutte le varie
conoscenze che
regolano le nostre azioni giornaliere, quanta parte, come
ci ricorda La Place,
appartiene, a rigore di termini, solo alle varie ombre del
possibile!
E di questa conoscenza, quanta parte è stata tolta a poco
a poco
dall’oscurità dove era nascosta da secoli, velata dalla
nebbia dell’incredulità,
sotto il bando dell’improbabile!
87
Note
(1) Nel rapporto della Accademia Reale di Medicina di
Parigi, leggiamo che,
ancora nel 1672, un candidato all’Accademia stessa,
François Bazin, cercò di
conciliarsi il favore di questa dotta istituzione
scegliendo come argomento
l’impossibilità della
circolazione del sangue («ergo sanguinis motus
circularis impossibilis»). Harvey aveva dato al mondo la
sua grande scoperta
nell’anno 1628; ma quarantaquattro anni non bastarono a
procurargli la
sanzione dell’autorità medica ufficiale nella capitale
francese.
(2) La caduta di masse minerali grandi o piccole,
generalmente chiamate
meteoroliti, fu a lungo considerata dal mondo scientifico come
favola
popolare, nonostante la testimonianza di tutta l’antichità
in suo favore. Pietre
che si dicevano cadute dal cielo erano conservate in vari
antichi templi, come
nel tempio di Cibele. Plutarco, nella sua vita di
Lisandro, descrive un celebre
aerolite caduto in Tracia, presso la foce
dell’Egospotamos. Ma questo, e altre
centinaia di casi analoghi riferiti da tutto il passato,
non riuscirono a
disperdere l’incredulità scientifica, finché Chladni, un
naturalista di
Wurtemburg, verificò la caduta di un meteorite a Siena, in
Toscana, il 16
giugno 1794. Il suo rapporto di quella meraviglia scosse
lo scetticismo di
molti. E tuttavia solo nove anni più tardi, quando cioè,
il 26 aprile 1803, un
aerolite cadde in pieno giorno a l’Aigle, in Normandia,
ogni dubbio fu
superato. L’Accademia delle Scienze di Parigi nominò una
commissione che
facesse un’inchiesta sul caso, e il rapporto di essa
risolse la questione.
Howard, un naturalista inglese, preparò in seguito una
lista di tutti gli aeroliti
conosciuti caduti sul nostro pianeta fino all’anno 1818, e
Chladni continuò
l’elenco fino all’anno 1824.
(3) Siamo leali con la Scienza e diamole il credito di
questa citazione. La
trovo nel Medical Times and Gazette di
Londra, n° 444, nuova serie; il
corsivo non è mio ma dell’editore scientifico.
(4) Rogers evidentemente non aveva mai letto la celebre
opera di La Place
sulle probabilità, o per lo meno non accettava la sua
dottrina. Leggiamo
questo passo: «E’ troppo antifilosofico negare i fenomeni
magnetici solo
perché non sono spiegabili nell’attuale stato delle nostre
conoscenze» Calcul
des probabilités,
pag. 348.
E’ notevole come, in una materia come questa, generalmente
considerata
intinta di immaginazione, il matematico biasimi
l’incredulità del poeta.
(5) «Plus un fait est extraordinaire, plus il a besoin
d’être appuyé de fortes
preuves. Car ceux qui l’attestent pouvant se tromper, ou
avoir été trompés, ces
deux causes sont d’autant plus probables que la réalité du
fait l’est moins en
88
elle-même». (Più un fatto è straordinario e più ha bisogno
di essere sostenuto
da forti prove. Poiché coloro che lo attestano possono
ingannarsi o essere stati
ingannati, e queste due cause sono tanto più probabili quanto
meno probabile
è la realtà del fatto) La Place: Théorie
analitique des probabilités,
Introduzione, pag. 12.
(6) Come nell’Enciclopedia francese alla voce Certitude
(certezza).
(7) Il lettore può consultare la Teoria analitica
delle probabilità di La
Place, dove sono dati nei particolari i calcoli connessi
con tale argomento; o,
se non è preparato alle difficoltà del calcolo, troverà la
materia riassunta in
forma più popolare da Babbage nel suo Ninth
Bridgwater Treatise,
seconda edizione pagg. 124-131; e alla nota E,
nell’Appendice della stessa
opera.
L’argomento, come si è detto, è esposto in forma molto
popolare, e, a rigore
di termini, piuttosto alla buona e superficialmente. Lo
spazio non mi permette
di dire di più.
(8) Evidences of Christian Revelation (Prove
della rivelazione
cristiana), vol. I pag. 129.
(9) Saggi di Hume, vol. II pag. 125.
(10) «Prendete uno qualsiasi di quelli che sono chiamati
errori o
superstizioni popolari, e, osservandolo attentamente, vi
troverete certo un
solido sostrato di verità. Vi potranno essere ancor più
follie e sciocchezze che
non sospettiate; ma, quando le avete tolte, rimane ancora
abbastanza di
solido, che non appartiene alle persone o ai periodi ma
che è comune di ogni
età, per lasciare interdetto il dotto e ridurre al
silenzio il derisore». Rutter:
Human Electricity,
Appendice, pag. VII.
Lo stesso significato ha l’espressione di un celebre
filosofo francese: «In
ogni errore vi è un nucleo di verità: cerchiamo di
strappare questo nucleo
dall’involucro che lo nasconde ai nostri occhi». Bailly.
(11) «Chi non ha visto o sentito parlare di qualche casa,
chiusa e disabitata,
caduta in decadenza, tetra e smorta, dalla quale, a notte
alta, sono stati uditi
uscire strani suoni, colpi aerei, stridore di catene o
lamenti di spiriti in pena?
Una casa che il popolo considera pericoloso avvicinare di
notte, che per anni
nessuno ha voluto abitare anche se fosse stato pagato per
farlo? Oggi vi sono
centinaia di case simili in Inghilterra, centinaia in
Francia, in Germania e in
quasi ogni paese d’Europa, marcate con il marchio della
paura, luoghi tali che
le persone pie si fanno il segno della croce e chiedono
protezione quando vi
passano accanto, abitazioni di fantasmi e di malvagi
spiriti. Di case simili ve
ne sono molte a Londra: e se qualche vano millantatore del
progresso
dell’intelletto si prendesse la briga di individuarle e di
contarle, si
89
convincerebbe che l’intelletto deve fare ancora enormi
passi prima che questa
antica superstizione venga sradicata». Popular
Delusions (Illusioni
popolari), di Mackay, vol. II, pag. 113. L’autore non
giudica degna di
considerazione, neppure come semplice possibilità,
l’ipotesi che in questi
fenomeni vi sia qualche cosa di reale.
L’idea delle case infestate non era meno diffusa nell’antichità
che ai nostri
giorni. Plauto ha una commedia intitolata Mostellaria
(La commedia dei
fantasmi) da uno spettro che si diceva si fosse mostrato
in una certa casa,
rimasta per questo deserta. La storia particolare può
essere stata inventata dal
commediografo, ma basta a indicare l’antichità dell’idea.
(12). Uno di questi casi è riferito da Garinet nella sua Histoire
de la
magie en France (pag.
75); un astuto tiro giocato da certi monaci a quel re
la cui pietà doveva procurargli il titolo di Il
Santo, Luigi IX di Francia.
Avendo udito il suo confessore magnificare la bontà e la
dottrina dei
monaci di San Bruno, il re espresse il desiderio di
fondare una comunità di
questi monaci presso Parigi. Bernard de la Tour, il
superiore, inviò sei
confratelli, e Luigi assegnò loro come residenza un
bell’edificio nel villaggio di
Chantilly. Avvenne che, dalle loro finestre, essi avessero
una piena vista del
vecchio palazzo di Vauvert, eretto in origine come
residenza reale dal re
Roberto, ma che era rimasto deserto per anni. I degni
monaci, dimentichi del
decimo comandamento, pensarono che il luogo conveniva
loro, ma
vergognandosi, probabilmente, di farne formale domanda al
re, misero, a
quanto pare, le loro menti al lavoro per escogitare uno
stratagemma. Certo è
che il palazzo di Vauvert, la cui reputazione era rimasta
intatta finché quei
monaci non divennero suoi vicini, cominciò quasi subito
dopo ad avere una
cattiva fama. A notte si udivano uscire di là paurose
strida, luci azzurre, rosse
e verdi furono viste abbagliare alle sue finestre e subito
scomparire. Seguì un
rumore di catene insieme con i gemiti di persone in gran
pena. Poi un truce
spettro in vesti verdi, con una lunga barba bianca e coda
di serpente apparve
alla finestra principale mostrando i pugni ai passanti.
Questo andò avanti per
mesi. Il re, al quale, naturalmente tutti questi prodigi
vennero debitamente
riferiti, deplorò lo scandalo e mandò una commissione a
vedere quello che
succedeva. A questa commissione i sei monaci di Chantilly,
sdegnati che il
demonio giocasse tali scherzi sotto il loro naso,
suggerirono che, se avessero
avuto il palazzo come loro residenza, sarebbero riusciti a
sbarazzarlo al più
presto da ogni intruso spettrale. Un atto munito del
sigillo reale ratificò la
cessione di Vauvert ai monaci di San Bruno. Porta la data
1259. Da quel
momento tutti i disturbi cessarono; e lo spettro verde,
secondo le credenze
delle anime pie, fu costretto a restare per sempre sotto
le onde del Mar Rosso.
90
Un altro esempio, avvenuto nel castello di Arsillier in
Picardia, si trova
nelle Causes Célèbres, vol. XI, pag. 374;
l’amministratore del castello si era
travestito da bianco fantasma proteggendosi da un colpo di
pistola con una
pelle di bufalo bene aderente al corpo. Finalmente fu
scoperto e l’inganno
denunciato.
(13) Vedi più avanti al capitolo «Disturbi popolarmente
detti infestazioni».
(14) Il curioso di tali argomenti può consultare la Geschichte
der Magie
(Storia delle magie), del dott. Josep Ennemoser, Lipsia
1844, di cui, se non è
familiare col tedesco, troverà una traduzione inglese di
William Howitt,
History of Magic,
Londra 1854.
Inoltre Cradle of the Twin Giants: Science and
History (Origine dei
giganti gemelli: scienza e storia), del reverendo Henry
Christmas, Londra
1849. Entrambe sono opere molto consultate.
(15) Per particolari sui disturbi di Loudun consultare La
démonomanie
de Loudun, di La
Flèche, 1634; Cruels effets de la vengeance du
Cardinal Richelieu, ou Histoire des diables de Loudun, Amsterdam
1693; Examen et discussion critiques de l’Histoire
des diables de
Loudun del
signor de la Ménardaye, Parigi 1747; Histoire abrégé de la
possession des Usulines de Loudun, del Padre Tissot, Parigi 1828. Per
quelli di Louviers, vedi: Réponse à l’examen de la
possession des
religieuses de Louviers, Rouen, 1643. Per i Profeti delle Cevennes, vedi:
Théatre Sacré des Cevennes, del signor Misson, Londra 1707; An
Account of the French Prophets and their Pretended
Inspirations,
Londra, 1708; Histoire des troubles des Cevennes,
del signor Court,
Alais 1819. Delle opere sui disturbi di St. Médard si
parla altrove.
(16) In una parte successiva di questo lavoro («Disturbi
popolarmente detti
infestazioni») si troverà la celere storia di Glanvil
generalmente chiamata «Il
tambureggiatore di Tedworth». A suo tempo richiamo tanto
l’attenzione che il
re mando alcuni gentiluomini di corte a esaminare il
fatto, i quali passarono
una notte nella casa ritenuta infestata senza però udire
nulla; e questo fu
considerato come una decisiva prova contro gli eventi
narrati. Glanvil (nella
terza edizione del suo Saddicismus Triumphatus,
pag. 337). nota
giustamente in proposito:
«E’ vero che quando i gentiluomini inviati dal re furono
qui, la casa rimase
silenziosa e nulla fu visto né udito in quella notte, cosa
che fu senza esitazioni
e trionfalmente addotta come una confutazione della
storia. Ma è cattiva
logica concludere su dati di fatto in base a una sola
prova negativa contro
tante altre affermative, e sostenere così che una cosa non
è mai avvenuta
perché non è avvenuta in un dato momento, o che nessuno ha
visto quello che
91
un dato uomo non è riuscito a vedere. Con lo stesso modo
di ragionare, potrei
sostenere che non vi sono mai stati furti a Salisbury
Plain, a Hounslow Heath,
o in altri noti luoghi, perché ho spesso viaggiato in
queste contrade e non sono
mai stato derubato: e bene avrebbe ragionato quello
spagnolo che disse: “In
Inghilterra il sole non esiste: ci sono stato sei
settimane e non l’ho mai
visto”».
Glanvil ci ricorda a ragione che «il disturbo non era
costante, ma
intermittente, talora per alcuni giorni, talora per
settimane». In tali
circostanze è evidente che un suo non manifestarsi durante
una sola notte
non prova niente.
(17) Si ricordi l’aneddoto di quel buffone il quale voleva
respingere la
testimonianza di una persona attendibile che aveva giurato
di avere udito una
certa frase, presentando dieci testimoni pronti a giurare
di non averla udita.
(18) Sessione del 22 agosto 1837. Il discorso del signor
Husson è riportato
letteralmente nel Traité du magnetisme animal,
précis historique, di
Ricard, pagg. 144-164.
(19) Ogni senso può ingannarci. Noi abbiamo continuamente
la
convinzione che la luna, quando sorge, appaia più grande
di quando è vista al
meridiano. Tuttavia, se per mezzo di un piccolo telaio con
due fili di seta
messi opportunamente misuriamo la grandezza apparente
della luna
all’orizzonte e poi la stessa al meridiano, ci accorgeremo
che è la stessa. Così
per il senso del tatto. Se con gli occhi chiusi, tocchiamo
con due dita incrociate
una pallina o un pisello messi sul tavolo e li facciamo
rotolare fra di esse,
avremo l’impressione di toccare due palline o due piselli.
Una trattazione popolare degli errori dei sensi si può
trovare nel Museum
of Sciences and Art di
Lardner, vol. I, pag. 81-96.
(20) Vedi Capitolo I del libro IV, «Apparenze comunemente
chiamate
apparizioni».
(21) Il curioso potrà trovare molti particolari sulla
seconda vista scozzese e
in particolare delle Ebridi in Description of the
Western Island of
Scotland, del
signor Martin, Londra 1706. L’autore considera
sufficientemente provato questo fenomeno, specialmente fra
gli abitanti
dell’isola di Skye. Egli sostiene che il dono della
seconda vista è generalmente
ereditario; che gli animali percepiscono, insieme al
veggente, apparizioni che
lui solo fra tutti gli esseri umani presenti percepisce, e
ne sono violentemente
impressionati. Aggiunge che il dono sembra endemico,
poiché i nativi di Skye
noti come veggenti perdono il loro potere se si
trasferiscono in luoghi lontani,
ma lo ricuperano appena tornano nella terra natale.
92
L’argomento è menzionato anche in Journey to the
Western Islands
of Scotland (Viaggio
alle isole occidentali della Scozia), del dott. Johnson,
pag. 247, e nel Journal of a Tour to the Hebrides
with Samuel
Johnson (Diario
di un giro alle Ebridi con Samuel Johnson), di Beswell,
1785, pag. 490.
Anche Scheffer, History of Lapiland (Storia
della Lapponia), dà vari
esempi che gli sembrano indicativi di una seconda vista
fra i popoli di quella
regione. Ma questa sembra differire formalmente dalla
seconda vista scozzese
ed essere più vicina al sonnambulismo; perché il veggente,
secondo Scheffer,
è immerso in un profondo sonno, o letargia, durante il
quale vengono
pronunciate le sue profezie. Vedi la sua opera tradotta in
francese
dall’originale latino, dal geografo del re, e intitolata Histoire
de Laponie,
Parigi, 1778, vol. IV pag. 107 e seguenti.
(22) Cicerone, De natura deorum, libro III.
(23) Un distinto teologo fa notare: «In alcune circostanze
i sensi possono
ingannarci; ma nessuna facoltà ci inganna così poco né
così raramente; e,
quando i sensi ci ingannano, solo con l’aiuto dei sensi
stessi quell’errore può
essere corretto». Opere di Tillotson,
Sermone XXVI.
(24) Il caso supposto non è immaginario. E’ avvenuto nei
miei
appartamenti a Napoli l’11 marzo 1856 e, con piccole
varianti, in due occasioni
successive. Avevo pesato la tavola e la lampada che
usavamo in questi casi. Il
peso della prima era di settantasei libbre e quello della
seconda di quattordici:
complessivamente novanta libbre.
(25) Questa affermazione si trova nella conferenza del
signor Faraday alla
Royal Institution a cui abbiamo già accennato, tenuta il 6
marzo 1854. Si può
supporre che rappresenti la deliberata opinione
dell’autore perché dopo
cinque anni è stata ripubblicata da lui nelle sue Experimental
Researches
in Chemistry and Physics, Londra 1859. Il passo citato nel suo essenziale
contesto, suona così:
«Si sente dire, ai nostri giorni, che alcune persone
possono posare le dita
su di un tavolo e poi alzare le mani in modo che il tavolo
si sollevi seguendole;
che il mobile, per quanto pesante, si alza realmente e che
le loro mani non
sentono alcun peso né sono tratte in giù dal legno …
Queste affermazioni vengono accolte in ogni strato sociale
e in classi che
vengono stimate colte. Ebbene, questo non implica forse
che la società,
generalmente parlando, non solo è ignorante per quel che
riguarda
l’educazione del giudizio, ma è anche ignorante della
propria ignoranza?»
pag. 470.
(26) Opere citate, pag. 479. Il corsivo è di Faraday.
93
Questo signore è fra coloro che pensano che «prima di
considerare
qualsiasi questione implicante principi fisici, dobbiamo
avere idee chiare su
ciò che è naturalmente possibile e impossibile». pag. 478.
Ma non serve a
nulla avere quello che chiamiamo idee chiare se, cammin
facendo,
incontriamo fenomeni che le contraddicono. Il signor
Faraday è uno di quegli
imprudenti di cui parla Arago (Vedi la sentenza in testa
al cap. II, libro I).
(27) L’imposizione delle mani non è una condizione
necessaria. Nella sala
da pranzo di un nobile francese, il conte d’Ourches,
presso Parigi, ho visto, il
1° ottobre 1858, in pieno giorno, al termine di un déjeuner
à la
fourchette, una
tavola da pranzo con sette persone attorno e con sopra
frutta e vino, alzarsi e abbassarsi come già descritto
mentre tutti gli ospiti vi
erano seduti intorno e nessuno la toccava
minimamente. Tutti i
presenti videro la stessa cosa. Il signor Kyd, figlio del
defunto generale Kyd,
dell’esercito inglese, e la sua signora mi dissero (a
Parigi nell’aprile del 1859)
che nel dicembre del 1857, durante una visita serale a un
amico residente in
via De la Ferme des Mathurins, 28, a Parigi, la signora
Kyd, mentre era seduta
in una poltrona, la senti improvvisamente muoversi come se
qualcuno la
spingesse in alto dal di sotto. Poi, lentamente e
gradualmente, si alzò nell’aria
e vi rimase sospesa per lo spazio di circa trenta secondi,
mentre i piedi della
signora erano a quattro o cinque piedi dal pavimento; poi
si riabbassò piano e
gradualmente così che non si senti alcun urto quando toccò
di nuovo il
tappeto. Nessuno toccava la poltrona quando si solleva, ne
vi si avvicinò
mentre era sospesa nell’aria, a eccezione del signor Kyd,
il quale, temendo un
incidente, si fece avanti e toccò la moglie. La stanza in
quel momento era
chiaramente illuminata, come sono di solito i salotti
francesi, e tutte le otto o
nove persone presenti videro la stessa cosa nello stesso
modo. Io presi nota
dell’episodio mentre il signore e la signora Kyd me lo
narravano; ed essi mi
permisero gentilmente di usare i loro nomi a garanzia
della verità.
Qui non si tratta di oggetti pesanti tirati su con le dita
senza sforzo,
concomitanza che il signor Faraday considera
indispensabile. E il fenomeno
avvenne in un salotto privato, fra persone di alta
posizione sociale, colte e
intelligenti. Migliaia di persone, nelle più illuminate
regioni del mondo
possono testimoniare altrettanto. Dobbiamo considerarli
tutti «ignoranti
della propria ignoranza?».
(28) Egli disprezza questa idea. Nella sua lettera sulle
tavole giranti
pubblicata sul Times di Londra il 30 giugno
1853. dice: «L’effetto prodotto
da coloro che fanno girare le tavole è stato collegato
all’elettricità, al
magnetismo, all’attrazione, ad alcuni sconosciuti o finora
non riconosciuti
poteri fisici capaci di agire sui corpi inanimati, alla
rivoluzione terrestre e
perfino ad agenti diabolici o soprannaturali. Il filosofo
può investigare tutte
queste supposte cause eccetto l’ultima: questa, per lui, è
troppo collegata con
94
la credulità e la superstizione per richiedere una
qualsiasi attenzione da parte
sua». Opere citate, pag. 382.
E’ un rifiuto comodo e sommario, più comodo che
soddisfacente. Il signor
Faraday pensa degli agenti ultraterreni ciò che Hume
pensava dei miracoli,
che «sostenuti dalla testimonianza umana, sono piuttosto
soggetto di
derisione che di discussione». Sta venendo il tempo in
cui, in questo mondo o
in un altro, si renderà conto del suo errore.
(29) Il lettore troverà nell’eccellente opera di Reid
sulla mente (Saggio 2
«Percezione») alcune note molto opportune. Egli scrive:
«Nessun giudice
penserà mai che i testimoni possano essere respinti perché
si sono fidati dei
loro occhi e dei loro orecchi; e se un avvocato scettico
perorasse contro la
validità di testimoni adducendo che non hanno altra prova
di quello che
affermano eccetto quello che hanno visto e udito e che non
dobbiamo fidarci
dei nostri sensi a tal punto da privare un uomo della vita
e degli averi in base
alla loro testimonianza, nessun giudice saggio
ammetterebbe mai una tesi di
questo genere. Credo che nessun avvocato, per quanto
scettico, abbia mai
osato esporre questo argomento; e che, se questo
avvenisse, sarebbe respinto
con sdegno».
(30) Le relazioni legali del medioevo ci forniscono esempi
appena credibili
di questo scetticismo. Durante i mille processi per
stregoneria che avvennero
in Francia nel sedicesimo secolo, le donne sospette erano
in genere accusate
di avere partecipato alla danza delle streghe, a mezzanotte,
sotto una quercia
disseccata. «I mariti di parecchie di queste donne (due
delle quali erano
giovani e belle) giurarono che, in quel momento, le loro
mogli dormivano
tranquille nelle loro braccia; ma invano. La loro parola
fu creduta, ma
l’arcivescovo disse che erano stati ingannati dal demonio e dai loro
stessi
sensi. E’ vero che potevano avere avuto l’apparenza delle
loro mogli nel loro
letto, ma gli originali erano lontani, alla danza
diabolica sotto la quercia».
Popular Delusions di
Mackay, capitolo sulla mania delle streghe.
(31) «In definitiva sono giunto a pensare che, per quel
che riguarda i
fenomeni di carattere straordinario, si possa, a forza di
argomenti avere la
convinzione che vi sono sufficienti ragioni per credervi,
ma che ci si crede
realmente solo dopo averli visti». Bertrand: Traité
de somnambulisme,
pag. 165.
95
LIBRO II - CONSIDERAZIONI SU ALCUNE FASI DEL SONNO
1 - Il sonno in generale
«Passiamo metà dei nostri giorni neLle ombre terrestri, e
il
fratello della morte ci porta via un terzo della nostra
vita».
Sir Thomas Browne
Se cerchiamo di chiarirci che cosa sia e che cosa non sia
lo straordinario, di
definire con precisione il meraviglioso,
troviamo forse molto maggiori
difficoltà che non supponiamo. Lo straordinario, in
genere, ci sorprende di
più; ma l’ordinario può essere non solo molto più degno di
attenzione, ma
anche molto più inesplicabile.
Siamo abituati a chiamare naturali le cose
che si presentano
costantemente alla nostra osservazione, e a pensare che
questa sola parola
comporti una sufficiente spiegazione per esse. E tuttavia
vi sono meraviglie
quotidiane, miracoli casalinghi che, se non fossero
familiari, se non fossero di
ricorrenza giornaliera, verrebbero da noi considerati -
solo che vi ponessimo
attenzione - il mistero dei misteri. Ogni notte, se siamo
tranquilli e in buona
salute, passiamo, in un momento inconscio, il confine
dell’esistenza
materiale, entrando in un altro mondo nel quale vediamo,
ma non con i nostri
occhi; dove udiamo senza che i nostri orecchi ci portino
alcuna percezione;
dove parliamo e ascoltiamo parlare sebbene nessun suono
esca dalle nostre
labbra o raggiunga i nostri organi dell’udito.
In quel mondo siamo spinti alla gioia o al dolore, siamo
mossi a pietà o
siamo travolti dall’ira; e tuttavia queste emozioni non
sono state provocate da
realtà oggettive. Laggiù il nostro giudizio è di solito
oscurato e le nostre
facoltà intellettive sono per lo più in difetto; e
tuttavia l’anima, quasi in
anticipazione dei poteri che l’ultimo sonno le potrà
conferire, sembra liberata
dagli ostacoli terreni. Il tempo ha perso i suoi confini,
gli oceani non
interpongono barriere, il passato restituisce i suoi
spenti fantasmi, la tomba
restituisce i suoi morti.
Noi possiamo gettare qualche sguardo in quel mondo. Una parte
di esso ci
è oscuramente rivelata nei ricordi di alcuni pensieri di
sogno. Ma una parte è
imperscrutabile, quasi quanto l’altro mondo oltre la
tomba.
96
Quali mezzi abbiamo per conoscere quello che passa per la
nostra mente
nel sogno? Nessuno eccetto la nostra memoria, a meno che
non si parli in
sogno e qualcuno ci ascolti. I pensieri avuti in sogno e
non ricordati, sono per
noi, nello stato di veglia, come se non fossero mai
esistiti. Ed è certo che molti
di tali pensieri sono del tutto obliati prima che ci
svegliamo. Ne abbiamo la
prova sicura nel caso di persone che parlino in sogno
indicandoci così il
soggetto dei loro sogni. E’ regola che queste persone,
interrogate al mattino,
neghino di avere sognato, e anche se l’argomento dei loro
discorsi fatti in
sogno viene loro suggerito, esso non suscita alcun ricordo
(1).
La questione se possiamo dormire senza sognare - vecchia
sin dai tempi di
Aristotele - è non meno curiosa che difficile a
risolversi. A sostegno della
teoria secondo la quale nessun momento del sonno è privo
di pensieri o di
sensazioni, abbiamo alcuni nomi come Ippocrate, Leibnitz,
Descartes e
Cabanis. La più formidabile autorità nel campo opposto è
Locke. Ma questa
illustre personalità, evidentemente, non aveva dinanzi a
sé tutti i fenomeni
necessari per una completa comprensione di questo
soggetto. La sua
definizione del sogno è difettosa (2), e l’argomento con
cui sostiene il suo
punto di vista, e cioè che «l’uomo non può pensare in
nessun caso, sveglio o
dormiente, senza averne coscienza» (3), evidentemente non
si adatta al caso.
Fra gli scrittori più moderni, Macnish e Carpenter
concludono che il sonno
profondo è senza sogni; mentre Holland, Macario e (per
quanto si esprimano)
Abercrombie e Brodie, sono del parere opposto. Per entrambe
le opinioni
possono essere addotte ragioni plausibili.
Quali che siano le condizioni di quel misterioso
meccanismo che collega il
principio immateriale dell’uomo con il cervello, questo è
certo, che per tutta
l’esistenza in stato di veglia un’azione cerebrale di
qualche genere è il
necessario antecedente o concomitante del pensiero. Questa
azione, in
qualche forma modificata, sembra continuare almeno in quei
periodi di sonno
in cui avvengono sogni di tal carattere da essere
ricordati o tali che la loro
presenza sia attestata da segni esteriori di emozione nel
dormiente.
Il dott. Perquin, un medico francese, ha riferito il caso
di una donna di
ventisei anni che aveva perso per malattia una buona parte
delle ossa craniche
e della dura mater così che una corrispondente porzione
del cervello era nuda
e aperta all’esame. Egli scrive: «Quando dormiva senza
avere sogni il suo
cervello era immobile e rimaneva nel cranio. Quando il suo
sonno era
imperfetto ed ella era agitata da sogni, il cervello si
muoveva e sporgeva dal
cranio formando un’ernia cerebrale. Nei sogni più vividi,
riferiti come tali da
lei stessa, la protrusione era considerevole; e quando lei
era perfettamente
sveglia, specialmente se impegnata in una conversazione
vivace, era ancora
più grande. La protrusione non avveniva a tratti alternati
con regressione,
97
come se fosse causata dall’impulso del sangue arteriale.
Rimaneva stabile per
tutta la durata della conversazione» (4).
Qui abbiamo tre distinti stati mentali con una
corrispondente azione
cerebrale manifesta, per quanto le manifestazioni esterne
possano essere un
indizio: lo stato di veglia, in cui il cervello dà segni
di piena attività; uno stato
considerato di sogno durante il quale vi è ancora azione
cerebrale ma in un
grado minore; e un terzo stato che non esibisce alcuna
prova di sogno né
lascia dietro di sé alcun ricordo, e durante il quale
l’attività cerebrale non è
più percepibile dall’osservatore.
Ma spingiamo l’induzione troppo avanti se affermiamo, come
alcuni
fisiologi fanno (5), che in questo terzo stato non vi è
attività cerebrale e non vi
sono sogni.
Tutto quello che possiamo concludere è che, durante questo
periodo di
apparente riposo, l’attività cerebrale, se continua come
tale, è molto diminuita
(6), e i sogni, se sogni vi sono, sono separati, dalla
memoria o da altro, dalla
nostra vita di veglia.
Se spingiamo oltre le nostre ricerche e indaghiamo su
quale può essere lo
stato dell’anima e quali le condizioni dei suoi legami con
il cervello durante lo
stato di quiescenza, entriamo in un campo dove
incontreremo migliaia di
speculazioni e forse nessuna verità attendibile oltre il
semplice fatto che,
finché vi è vita, deve essere mantenuta qualche connessione
fra mente e
materia. Possiamo immaginare questa connessione come solo
intermedia,
sostenuta forse da quello che Bichât chiama il sistema
della vita organica (7),
e solo attraverso la mediazione di questo sistema, per
anastomosi o
altrimenti, con il sistema della vita animale e il suo
centro, i lobi cerebrali, o
possiamo supporre la connessione in continuazione diretta
con il cervello.
Tutto quello che sappiamo è che, in ogni momento, nel
sonno sano, un suono
più o meno alto, un tocco più o meno rude sono sufficienti
per riportare il
cervello alla sua completa attività e a ristabilire, se
pure si è mai interrotta, la
diretta comunicazione con la mente.
La dottrina cartesiana, che l’anima non dorme mai, è
incapace di essere
confutata come di essere praticamente applicata. Se
immaginiamo che
l’anima abbia bisogno di riposo, dobbiamo ammettere, come
corollario, che il
sonno è un fenomeno proprio dell’altro mondo come di
questo. Se invece
affermiamo che non può esservi un momento in cui uno
spirito immortale sia
privo di pensieri e di sensazioni, si può rispondere che
le parole pensiero e
sensazione,
quando sono usate da esseri umani relativamente alla loro
attuale fase di vita, si applicano propriamente solo alle
condizioni mentali che
presuppongono l’azione del cervello umano; e che, per quel
che riguarda
l’attività dell’anima senza quella del cervello, se un
tale stato può esistere
98
finché l’anima è collegata con il corpo, è poco saggio
occuparcene. Nulla
possiamo dire di questo perché nel vocabolario umano
mancano perfino le
parole necessarie a esprimere ogni concezione di questi fenomeni.
Così anche quando ammettiamo che solo l’organismo
corporeo, non il
principio spirituale, sperimenta un senso di fatica e la
necessita di una pausa
nell’azione, non dobbiamo concedere, con questa
ammissione, che i sogni, nel
preciso significato del termine, pervadano tutto il sonno.
Meglio ci avviciniamo a una soluzione quando cerchiamo se,
come regola
generale, persone che vengono bruscamente svegliate da un
sonno profondo,
al momento del risveglio sono consapevoli di avere
sognato. Ma qui i fisiologi
non sono d’accordo sui fatti. Locke sembra avere accolto
la negativa. Macnish
afferma, in base a certi esperimenti fatti in proposito,
che, nella maggioranza
dei casi, il dormiente, al momento del risveglio, non
conservava questa
coscienza (8). Io ne dubito molto. Certo è che, se questi
esperimenti non sono
stati condotti con cura scrupolosa, i veri risultati
possono facilmente sfuggirci.
Se, due anni fa, mi fosse stato chiesto se avevo
l’abitudine di sognare, avrei
risposto di sognare molto raramente, perché allora, come
adesso, raramente
ricordavo i miei sogni o potevo riferirli al mattino
stesso a colazione. Ma,
dopo che la mia attenzione si è rivolta, recentemente, a
questo soggetto così
da farmi prendere l’abitudine di tenere particolarmente
conto delle mie
sensazioni al momento del risveglio, mi sono accorto, dopo
ripetute
osservazioni, che in ogni caso ero consapevole di avere
sognato. Tuttavia, con
pochissime eccezioni, il ricordo del mio pensiero nel
sonno era così vago e
labile, che anche dopo dieci o addirittura cinque secondi,
era scomparso, e
così completamente che mi era del tutto impossibile
risovvenirmi del mio
sogno e riferirlo. Dopo quel periodo non ricordavo più
nulla eccetto che ero
stato realmente cosciente di avere sognato; e anche per
ottenere la certezza di
questo dovevo svegliarmi con l’intenzione di
notarlo. Queste percezioni
erano così brevi, vaghe e sfuggenti che, nella grande
maggioranza dei casi,
non potevo fare alcuno sforzo per arrestarle: mi
sfuggivano nel momento
stesso in cui cercavo di fissarmele nella memoria.
E’ vero che queste osservazioni erano generalmente fatte
nel momento in
cui mi svegliavo naturalmente dal sonno notturno, e che i
più decisi
sostenitori della teoria del sonno senza sogni (come Lord
Brougham nel suo
Discourse on Natural Theology (Discorso sulla teologia naturale),
ammettono che un sonno imperfetto, sul limite dello stato
di veglia, è pieno di
sogni. Ma tuttavia la realtà di pensieri in stato di sonno
così deboli ed
evanescenti da richiedere uno sforzo intenzionale per
scoprire la loro
esistenza, dovrebbe indurci ad accogliere con molte
riserve le affermazioni di
coloro che sostengono di non avere sogni (9).
99
Un altro argomento a questo proposito è il fatto,
probabilmente notato
spesso da tutti, che di rado ci svegliamo da un breve
sonno, per quanto
profondo e tranquillo, senza avere coscienza del tempo
trascorso da quando ci
siamo addormentati. Ma il tempo, o meglio l’umana
percezione di esso, può
esistere solo in rapporto con una serie di pensieri e di
sensazioni. Di qui la
probabilità che essi, anche durante un sonno profondo,
influenzino la mente.
Nel complesso, sebbene non si possa provare falsa la
teoria del sonno senza
sogni avanzata dal Locke e da altri sostenitori, le
probabilità mi sembrano
contrarie a essa. Poiché numerosi indizi ci assicurano che
in migliaia di casi in
cui il sonno sembra senza sogni e l’insensibilità
completa, esiste tuttavia una
costante successione di pensieri e di sensazioni, penso
che vi siano sufficienti
ragioni per credere, con Brodie, che «il non sognare non
sia la regola ma
l’eccezione alla regola (10); e, se è così, quanti
fenomeni del sonno possono
essere sfuggiti finora alla nostra osservazione! E quanti
di più ancora possono
rimanere coperti da un velo che rimarrà per sempre
impenetrabile agli occhi
mortali! (11).
Questa vasta classe di fenomeni che avvengono durante il
sonno, di cui non
serbiamo alcun ricordo da svegli e che sono così
distaccati dalla nostra
coscienza di veglia, hanno attratto, e meritano senz’altro,
molta più attenzione
nei tempi moderni, particolarmente durante gli ultimi
settant’anni, che in
qualsiasi altro periodo. Settantacinque anni fa il
sonnambulismo
artificialmente indotto era sconosciuto. Ma come,
sonnambulismo, trance,
estasi possono essere propriamente considerati come fasi
di sonno, certo
anormale e quindi ampiamente diverso per alcuni rispetti
dal sonno normale,
e tuttavia stati strettamente ipnotici, che faremo bene a
studiare nei loro
reciproci rapporti.
Troveremo che hanno molto in comune. La stessa
insensibilità che spesso
sopravviene durante il sonnambulismo e il coma, si
presenta in un certo
grado anche durante il sonno normale. I fanciulli, in
particolare, spesso
vengono svegliati con difficoltà; e persone immerse in
sonno profondo, di età
adulta, non di rado restano insensibili a forti rumori e
ad altri notevoli
disturbi. Mi è spesso capitato di non avere udito nulla, o
almeno di non avere
mantenuto il ricordo di avere udito qualche cosa, durante
un lungo e violento
uragano che aveva disturbato e allarmato i miei vicini; e
nell’anno 1856, a
Napoli, ho dormito tranquillamente durante un terremoto
che, con le sue
scosse, aveva riempito le strade di una folla atterrita e
implorante l’aiuto della
Madonna.
Anche alcuni dei più notevoli fenomeni di sonnambulismo e
di estasi
appaiono in forma modificata durante il sonno naturale.
L’esaltazione dei
poteri mentali che forma una delle principali
caratteristiche dei due stati
100
suddetti, si trova in numerosi esempi durante il sonno comune.
Leggiamo che
Cabanis, in sogno, vide spesso chiaramente l’andamento
degli eventi politici
che lo avevano lasciato perplesso da sveglio; e che
Condorcet, quando era
impegnato in qualche calcolo profondo e complesso, era
costretto a lasciarlo a
mezzo e andare a dormire: i risultati gli apparivano in
sogno (12). Brodie cita
il caso di un suo amico, distinto chimico e pensatore, il
quale gli aveva
assicurato di avere più volte escogitato in sogno gli
apparecchi per gli
esperimenti che si proponeva di fare; e quello di un altro
amico, un
matematico dotato di vasta cultura generale, il quale
aveva risolto in sogno
problemi che gli sfuggivano da sveglio. Lo stesso autore
cita il caso di un suo
conoscente, procuratore legale, il quale, molto perplesso
sul modo di trattare
un affare legale, immaginò in sogno una linea di azione
che non gli era venuta
in mente da sveglio e che adottò con successo.
Carpenter ammette che «il processo del ragionamento può
essere
continuato nel sonno con inconsueto vigore e successo», e
cita come esempio
il caso di Condillac, il quale racconta che quando era
impegnato nel suo
Cours d’étude,
spesso sviluppava in sogno un soggetto che aveva lasciato
interrotto prima di coricarsi. Carpenter suppone che
questo avvenga «in
conseguenza della libertà da ogni distrazione dovuta alla
sospensione delle
influenze esterne» (13).
Abercrombie, a questo proposito, cita il caso dei dott.
Gregory il quale
aveva in sogno nuove idee, anche nella loro forma di
espressione, che gli
apparivano poi, da sveglio, così giuste nel ragionamento e
nell’esposizione e
così felicemente espresse, che se ne serviva nelle sue
lezioni e nelle sue
meditazioni. Anche il nostro pratico e poco immaginoso
Francklin sembra
avere fornito un esempio di questa esaltazione dell’intelletto
durante il sonno.
«Il dott. Francklin comunicò a Cabanis», scrive
Abercrombie, «che
l’andamento e le conclusioni di eventi politici che lo
avevano imbarazzato da
sveglio, gli si risolvevano non di rado nei suoi sogni»
(14).
Un ancor migliore avvicinamento ad alcuni fenomeni di
sonnambulismo
artificiale e di estasi e alla scrittura automatica dei
medium moderni avviene
quando il dormiente dà una vera e propria relazione dei
suoi pensieri di
sogno. Un notevole esempio di ciò è riferito da
Abercrombie, nel caso di un
distinto legale del secolo scorso nei cui ricordi di
famiglia sono conservati tutti
i particolari. Eccoli:
«Questo eminente personaggio era stato consultato circa un
caso di grande
importanza e di non minore difficoltà, ed egli lo aveva
studiato con intenso
scrupolo e attenzione. Dopo vari giorni che era così
occupato, fu notato da sua
moglie alzarsi dal letto e andare a una scrivania che era
nella stanza
matrimoniale. Vi si sedette e scrisse a lungo su di un
foglio che ripose nella
101
scrivania; poi torno a letto. Il mattino seguente disse
alla moglie di avere
avuto un sogno interessantissimo; aveva sognato di dare
una chiara e
illuminata opinione su di un caso che lo aveva reso quanto
mai perplesso, e
avrebbe dato qualunque cosa per ritrovare il filo del
ragionamento che gli si
era presentato in sogno. Ella allora lo diresse alla
scrivania, dove trovò la sua
opinione scritta per intero con grande chiarezza. Si trovò
poi che era
perfettamente esatta »(15).
Carpenter ammette, durante certe fasi del sonno,
l’esaltazione non solo dei
poteri mentali, ma anche dei sensi. Parlando di quello che
il signor Braid
chiama ipnotismo (16) - che è in realtà solo
un sonno artificialmente indotto
guardando fissamente un oggetto vicino - egli ricorda
alcuni casi caduti sotto
la sua osservazione, come questi:
«L’autore è stato presente a un caso in cui si manifestò
una tale esaltazione
del senso dell’olfatto, che il soggetto scoprì, senza
difficoltà, il proprietario di
un guanto messo nelle sue mani in una riunione di
cinquanta o sessanta
persone; e nello stesso caso, come in molti altri, vi fu
una simile esaltazione
del senso della temperatura. L’esaltazione del senso
muscolare, per la quale
vari atti che normalmente richiedono la guida della vista
vengono diretti
indipendentemente da essa, è un fenomeno comune fra i
soggetti
mesmerizzati, con altre varie forme di sonnambulismo
artificiale o naturale.
«L’autore ha visto più volte i soggetti ipnotizzati da
Braid scrivere con
perfetta regolarità mentre uno schermo opaco era
interposto fra i loro occhi e
il foglio, tracciando righe equidistanti e parallele, e
non era raro, per lo
scrivente, far tornare indietro la penna o la matita per
mettere il punto su una
i o il trattino di
una t, o correggere una lettera o una parola. Il signor Braid
aveva un paziente che rivedeva così e correggeva
esattamente l’intero foglio di
un taccuino; ma se il foglio era mosso dalla posizione che
occupava sul tavolo,
tutte le correzioni avvenivano in punti sbagliati relativamente
alla nuova
posizione del foglio, ma giusti relativamente
alla posizione prima occupata.
Talora, tuttavia, egli prendeva una nuova partenza
toccando l’angolo
superiore sinistro del foglio; e allora tutte le
correzioni venivano fatte nel
punto esatto nonostante che il foglio fosse stato mosso»
(17).
Ancora il dott. Carpenter ci fa sapere che quando
l’attenzione del paziente
era fissata su di un certo giro di pensiero, tutto quello
che veniva detto in
armonia con questo era udito e valutato; ma ciò che non
era in relazione con
esso o ne discordava, veniva del tutto trascurato.
Che cosa potrebbe essere in più completo accordo con certi
fenomeni
sonnambolici la cui esistenza è stata decisamente negata?
102
Ma una breve accurata ricerca in questo campo può
presentarci
rassomiglianze ancora più numerose. Riguarda più
propriamente il prossimo
capitolo sui sogni, che non questo, cercare se, in casi
eccezionali, durante il
sonno naturale, non si presentino alcuni dei più
straordinari poteri o
attributi; gli affermati, e raramente creduti, fenomeni di
sonnambulismo,
come la chiaroveggenza, la vista a distanza e anche la
facoltà più fortemente
contestata, quella della precognizione o istinto
profetico.
Ma vi è un altro punto di analogia, a cui può essere utile
alludere qui,
collegato con l’influenza rinnovatrice del sonno e le
cause che rendono
necessaria all’uomo una tale attività intermittente.
Sbaglierei se dicessi che il continuo esercizio di una
funzione genera fatica
e di conseguenza, rende necessario il sonno. Notoriamente
questo è vero solo
di alcune funzioni. Non è vero per le funzioni della vita
organica, quelle
automatiche e involontarie. Ci stanchiamo di camminare, di
pensare, di
vedere e di udire; ma non ci stanchiamo mai di respirare
sebbene il respiro sia
un’azione molto più continua di tutte queste.
Questo fatto ovvio suggerì ai fisiologi, prima del tempo
di Darwin,
l’opinione, poi sviluppata da questo naturalista, che la
parte essenziale
dei sonno è la sospensione della volizione. E alcuni sono giunti ad
affermare che la sola fonte di fatica, e quindi la sola
necessita di sonno, è
l’esercizio della volizione, adducendo a sostegno di
questa teoria
l’osservazione che, quando i muscoli di un braccio o di
una gamba sono
contratti sotto l’influenza del volere, la fatica appare
in pochi minuti; mentre,
se la stessa contrazione avviene involontariamente (come
nella catalessi,
naturalmente o mesmericamente indotta) può continuare a
lungo senza
alcuna fatica.
Ma non possiamo accettare incondizionatamente questa
opinione senza
presumere che non vi è stato di veglia nel quale la
volizione sia sospesa o
inattiva. Perché non conosciamo alcuno stato di veglia,
per quanto
indifferente e senza scopi, la cui continuazione non
richieda il sonno dopo un
periodo relativamente breve. E non è vero che uomini di
forte volontà e di
costante attività richiedano più sonno degli indolenti e
degli scarsamente
volitivi. Si dice che tre o quattro ore di sonno, per
interi mesi, siano state
sufficienti a Napoleone, vera personificazione di energia
di propositi e di
continua volizione.
Dobbiamo nondimeno riconoscere la verità e l’importanza
dell’osservazione di Darwin secondo la quale l’essenziale
condizione del sonno
è la sospensione del volere. E, sotto questo aspetto, è
notevolissima la
somiglianza fra il sonno e i vari stati del sistema umano
durante i quali si
presentano i fenomeni mesmerici e quelli che abbiamo
chiamato spiritici. Dei
103
sonnambuli e dei medium si dice che la prima condizione
del loro successo
nel produrre i fenomeni cercati è che il soggetto rimanga
assolutamente
passivo e abbandoni implicitamente la sua volontà
all’azione delle influenze
esterne. In realtà un sonnambulo viene addormentato
artificialmente in modo
non meno completo dal magnetizzatore. E quando un medium
si unisce a un
circolo attorno a un tavolo, o inizia una scrittura
automatica, dopo un breve
periodo viene generalmente colpito da sonnolenza.
Nell’insieme, i fatti sembrano giustificare l’affermazione
che tutti i
fenomeni mesmerici e cosiddetti spiritici, in quanto
dipendono da una
peculiare condizione del sistema umano, sono più o meno di
carattere
ipnotico. Per capir bene la loro vera natura e valutare in
modo discriminato i
risultati ottenuti, bisogna sempre tenere a mente questo.
Per il resto si può dubitare che la popolare opinione,
secondo la quale solo
durante il sonno si accumuli nei lobi cerebrali fluido
nervoso, sia giusta, e che
si debba considerare il consumo di tale fluido come
limitato al solo stato di
veglia.
La migliore opinione sembra quella secondo cui, come
regola generale, vi è
in ogni momento una produzione e un consumo, e, tanto nel
sonno come
nella veglia, il misterioso processo che distribuisce
forze rinnovate al sistema
umano è continuamente attivo: la produzione sarebbe
insufficiente alla
richiesta, diminuendo gradatamente le sue scorte, durante
le ore di veglia, ma
eccederebbe durante il sonno, accumulando scorte a poco a
poco. In altre
parole possiamo supporre regolare e costante la
produzione, sia di giorno che
di notte, come nel caso di quell’altro processo
automatico, egualmente poco
conosciuto, che è l’assimilazione. La richiesta non
cesserebbe mai del tutto, né
sarebbe forse regolare nelle sue esigenze, ma sarebbe
intermittente nella
quantità, di solito ogni ventiquattro ore, facendo le sue
richieste, finché il
volere è attivo e i sensi sono svegli, in tal misura da
esaurire, dopo un certo
tempo, le scorte; e poi, durante la relativa inattività
del sonno, limitando le
richieste così che il fluido nervoso possa aumentare in
quantità e accumulare
nuove scorte prima del mattino.
Che, in ogni caso, rimanga una certa riserva è evidente
dal fatto che, in casi
di necessita, possiamo rimandare il sonno anche per
parecchie notti. Ma
questo abuso ha in genere conseguenze dannose. Egualmente
non sembra che
il cervello possa essere sovraccaricato di fluido nervoso
con danni minori di
quelli provenienti da un’indebita privazione: perché vi
sono disturbi prodotti
da un sonno eccessivo.
Sembra anche che il cervello possa operare oltre le sue
risorse di forza
nervosa solo fino a un certo punto.
104
Perché l’esercizio di una violenta volizione
è comunemente seguito, dopo
un breve periodo, dall’esaurimento; e il riposo (che è una
cosa molto diversa
dal sonno perché è solo una cessazione dell’attività) diviene
necessario prima
che si possa fare una seconda richiesta alla riserva
nervosa.
Come ci si
procuri questa riserva, per quale preciso processo si generi nel
cervello questa scorta di fluido o forza, il più
meraviglioso di tutti gli
imponderabili, senza il quale, nel sistema umano, non vi
sarebbe né l’esercizio
della volizione né un qualsiasi segno esteriore di
intelligenza; se questo
misterioso agente sia, dopo tutto, solo una modificazione
di quel fluido
proteico che è l’elettricità, o se possa essere di natura
elettroide se non
elettrica, sono questioni che non possiamo davvero
determinare. Dopo
venticinque secoli da quando Talete fece la sua prima
osservazione su di un
pezzetto d’ambra, non possiamo ancora dire, quando
parliamo di elettricità
positiva e negativa, quale delle due ipotesi sia la più
giusta, se quella di un
singolo agente, ora in eccesso, ora in difetto, o quella
di due elettricità l’una
vetrosa e l’altra resinosa; ne sappiamo solo tanto da
poter renderci conto che
questo agente stesso, da noi chiamato elettricità, deve
essere considerato
come sconosciuto: sconosciuto nella sua essenza sebbene
osservato da
migliaia di naturalisti, in alcuni suoi effetti (18).
Intelligenti fisiologi e psicologi hanno speculato, è
vero, su questo soggetto:
per esempio Sir Bejamin Brodie. Parlando dei mutamenti a
cui il sistema
nervoso può essere considerato soggetto in relazione ai
processi mentali, e in
risposta alla domanda: «Sono semplicemente meccanici, o
assomigliano ai
cambiamenti chimici nella materia inorganica, o non
appartengono piuttosto
a quella classe di fenomeni che noi attribuiamo ad agenti
imponderabili come
l’elettricità e il magnetismo?» egli dice: «La
trasmissione di impressioni da
una parte del sistema nervoso a un’altra, o dal sistema nervoso
alle strutture
muscolari e ghiandolari, ha una più stretta somiglianza
con gli effetti prodotti
dagli agenti imponderabili accennati che con qualsiasi
altra cosa. Sembra in
realtà molto probabile che la forza nervosa sia una
qualche modificazione di
quella forza che produce i fenomeni di elettricità e di
magnetismo; e mi sono
già arrischiato a paragonare la generazione di questa
forza, per azione del
sangue ossigenato sulla sostanza grigia del cervello e del
midollo spinale, alla
produzione di energia elettrica per azione della soluzione
acida sulle lastre
metalliche negli elementi di una batteria voltaica» (19).
Una tale visione può aiutare le nostre insufficienti
concezioni; tuttavia,
secondo ogni ragionevole probabilità, quando paragoniamo
la forza o fluido
nervoso all’elettricità, e le azioni del cervello a quelle
di un’apparecchiatura
elettrica o galvanica, il confronto dovrebbe essere
considerato come
illustrativo e approssimativo, comprendente solo un’ombra
della verità, e non
105
come indicativo di una stretta somiglianza e ancora meno
come una vera
identità di azione.
Che, in un modo o in un altro, il sangue sia un agente
nella produzione di
forza nervosa, è indubitabile. Sir Henry Holland, parlando
delle intime
relazioni fra il sistema nervoso e quello vascolare e
delle ovvie connessioni
strutturali fra i nervi e i vasi sanguigni, aggiunge: «Non
possiamo indicare
una sola parte nell’intera economia della vita animale in
cui non si trovino
questi due grandi poteri strettamente connessi: la loro
collaborazione è così
essenziale che nemmeno una funzione può operare
perfettamente senza di
essa. Il sangue e la forza nervosa, per quanto ne sappia,
sono gli unici agenti
che pervadano effettivamente tutto il corpo; la
connessione del meccanismo
da cui sono guidati diventa più stretta quanto più ci
avviciniamo agli estremi
limiti dell’osservazione. Oltre a questi risultati della
loro collaborazione che
riguardano gli altri numerosi oggetti e fenomeni della
vita, non possiamo
mettere in dubbio l’esistenza di un’azione reciproca
dell’uno sull’altro,
necessaria per mantenere e completare i loro rispettivi
poteri ... In realtà non
possiamo seguire, con chiara comprensione, la nozione
dell’elemento nervoso
come evoluto per l’azione del sangue, o come effettivamente
derivato dal
sangue e dipendente per il suo mantenimento e la sua
energia dalle condizioni
di questo fluido. Tuttavia non possiamo dubitare che
esistano realmente
azioni e relazioni reciproche di simile natura. La prova
di questo effetto è
fornita, direttamente o indirettamente, da tutti i
fenomeni naturali della
salute, e, ancora più notevolmente, dai risultati di
disordini o malattie.
L’intera ricerca è di singolare importanza per la
fisiologia della vita animale»
(20).
Tenendo in vista queste osservazioni, e accogliendo i
suggerimenti di
Brodie circa il carattere elettroide dell’elemento
nervoso, ricordando anche
che l’ematina, uno dei costituenti del sangue, contiene il
sette o l’otto per
cento di ferro, mentre altri componenti contengono, in
minori quantità, altri
metalli, e che, per conseguenza, noi abbiamo una
forza, o agente,
elettroide in
intima relazione con un fluido che contiene metalli,
condizione che può essere supposta favorevole a qualche
cosa che assomigli a
un’azione elettrochimica, non abbiamo forse un accenno al
modo in cui (per
prendere in prestito termini analoghi in mancanza di più
precisi) la batteria
cerebrale può essere caricata?
Nel toccare simili argomenti, quanto ci avviciniamo ai
confini della
conoscenza umana! Un giorno potremo fare ancora uno o due
passi in questa
direzione, ma con questo? «La catena della nostra
conoscenza», dice
Berzelius, «termina sempre con un anello sconosciuto». Se anche
scoprissimo
come questa batteria viene caricata, un più profondo
mistero rimane ancora
106
velato, cioè il modo in cui il principio spirituale che è
in noi si serve di questo
meraviglioso meccanismo per produrre i movimenti e
dirigere il pensiero.
E un’altra ricerca, che collega più immediatamente la
digressione avvenuta
con il soggetto di questo capitolo, può essere qui
promossa, una ricerca che
alcuni abbandoneranno come indegna di essere compiuta, ma
che tuttavia è
giustificata, ai miei occhi, per la sua connessione con
certi fenomeni
psicologici che saranno presentati nelle parti successive
di questo volume; e
cioè l’inchiesta se, in certe eccezionali condizioni del
sistema umano, come
occasionalmente durante i sogni, o in altre circostanze in
cui la volontà è
attenuata, alcuni principi immateriali o intelligenze
occulte diverse dalla
nostra non possano, temporaneamente ed entro un certo
raggio, possedere
essi stessi il potere di impiegare il meccanismo cerebrale
così da suggerire o
ispirare pensieri e sentimenti che, sebbene, in un certo
senso, siano nostri,
tuttavia ci provengono da una fonte esterna.
Questa ipotesi, sebbene oggi adottata da non pochi uomini
di senno, può,
me ne rendo conto, apparire incredibile alla maggior parte
dei miei lettori.
Ricordo loro che la prima questione non è di sapere se è
vera, ma se è degna
di essere esaminata. «Nell’infanzia di una scienza»,
scrive Brewster, «non vi è
speculazione di così poco valore da non meritare un esame.
Le più remote e
fantastiche spiegazioni dei fatti spesso si sono rivelate
vere; e opinioni che in
un secolo sono state oggetto di ridicolo, sono state
accolte, il secolo dopo, tra
gli elementi della conoscenza» (21).
Se si trovano ancora tra i miei lettori coloro che sono
decisi a respingere fin
dall’inizio la ricerca in questione come intinta di
superstizione, li prego di
rimandare una conclusione in proposito fino a che abbiano
letto i capitoli
successivi, specialmente il seguente, che tratta un
soggetto difficile a separare
da quello del sonno in astratto: il soggetto dei sogni.
Note
(1) Abercrombie: Intellectual Powers (Poteri
intellettuali), 15a edizione
Pag. 112. Ma tutti i fisiologi sono concordi su questo
fenomeno. In alcuni casi,
tuttavia, sembrano esservi due diversi stati mentali
perché la memoria del
sogno non viene perduta tanto che non possa riaffiorare,
in seguito, durante il
sonno.
107
(2) Tale definizione è: «Sognare è avere delle idee mentre
tutti i sensi
esterni sono arrestati, non suggerite da alcun oggetto
esterno né causa
conosciuta, e nemmeno sotto le leggi e la condotta
dell’intelletto».
Ma in sogno, i sensi esterni sono in genere solo
parzialmente arrestati; e
talora l’intelletto, invece di essere detronizzato,
acquista un potere e una
vivacità superiori a quelli che possiede in stato di
veglia.
(3) An Essay concerning Human Understanding (Saggio
sulla
conoscenza umana), libro II, cap. I, pag. 10.
(4) Questo caso fu osservato in uno degli ospedali di
Montpellier, nell’anno
1821. Non è affatto un caso isolato. Macnish lo cita nella
sua Philosophy of
Sleep (Filosofia
del sonno).
(5) Carpenter (Principles of Human Physiology,
pag. 634) è del
parere che durante il sonno profondo il cervello e i
gangli sensori siano in
«uno stato di completa inattività funzionale».
(6) Casi di catalessi o trance, nei quali
per giorni nessuna attività del
cuore e dei polmoni è percepibile dai sensi dei medici più
esperti, così da far
supporre una morte vera e propria, avvengono comunemente;
tuttavia
nemmeno uno di essi porta alla conclusione che, per quanto
profonda sia la
trance, il
cuore abbia cessato di battere o i polmoni di funzionare. La loro
attività si è così indebolita da divenire impercettibile:
ecco tutto.
(7) Vedi Récherches physiologiques sur la vie et la
mort, di X.
Bichât, terza edizione Parigi 1805, pag. 3.
Egli divide le funzioni animali in due classi: quella
della vita organica e
quella della vita animale, di cui la prima include le
funzioni della respirazione,
circolazione, nutrizione, secrezione, assorbimento, le
funzioni automatiche
istintive comuni alla vita animale e vegetale; la seconda
limitata alla sola vita
animale e comprendente le funzioni che collegano l’uomo e
gli animali con il
mondo esterno, come la sensazione, la volizione,
l’espressione vocale e la
locomozione.
(8) Hazlitt, nella sua Round Table, afferma
il contrario.
(9) Come quel giovane ricordato dal Locke (Essay on
Human
Understanding, libro
II, cap. I, 14), uno studioso di buona memoria, il
quale dichiaro che, fino al momento in cui fu colto da una
forte febbre, a
ventisei anni, non aveva mai sognato.
(10) Psychological Inquiries di Sir. B. Brodie,
terza edizione, pag. 149.
(11) Gli attuali studi sul sonno, condotti con
l’elettroencefalografo, hanno
chiarito in gran parte il problema che appariva
insuperabile all’Owen.
108
Oggi sembra stabilito che nel sonno si alternino tre o
quattro volte per
notte, fasi senza sogni e fasi con sogni, o fasi REM, così
chiamate perché
contraddistinte da rapidi movimenti oculari (Rapid
Eyes Movements)
(U.D.)
(12) Macnish: Philosophy of Sleep, pag. 79.
(13) Principles of Human Physiology, pag.
643.
(14) Abercrombie: Intellectual Powers, 15°
edizione, pag. 221.
(15) Abercrombie, Opera citata, pag. 222.
Non è necessario ricordare al lettore che i casi qui
citati, per quanto
numerosi, sono eccezionali. Di norma le capacità di
ragionamento sono
indebolite durante il sonno. «Talora», scrive Müller (Physiology,
traduzione di Baly, pag. 1417) «ragioniamo più o meno
esattamente nei nostri
sogni. Meditiamo su problemi e ci rallegriamo della loro
soluzione. Ma, nello
svegliarci da questi sogni, l’apparente ragionamento si
rivela del tutto
irragionevole, e la soluzione di cui ci eravamo rallegrati
è una vera
sciocchezza».
Anche questo non manca di analogia con il sonnambulismo e
l’estasi. Le
opinioni espresse e le affermazioni fatte durante questi
stati sono spesso
assolutamente inattendibili.
(16) Neurypnology, or the Rationale of Sleep (Neuroipnologia,
o il
razionale del sogno), di James Braid, Londra 1843.
(17) Principles of Human Phisiology, pag.
646.
(18) Pochi anni fa, nella riunione della British
Association for the
Advancement of Science, tenuta a Swansea, essendo sorta
una discussione
sull’essenza o la natura dell’elettricità ed essendo stata
richiesta a Faraday la
sua opinione in proposito, questi, che è forse il primo
studioso di elettricità
del secolo, che cosa rispose? «Un tempo credevo di sapere
qualche cosa in
questo campo, ma quanto più vivo e quanto più attentamente
studio questo
soggetto, più mi convinco della mia totale ignoranza sulla
natura
dell’elettricità». Citato da Bakewell nella sua Electric
Science, pag. 99.
«Alcune condizioni, che chiamiamo le leggi,
dell’elettricità e del
magnetismo, sono conosciute, e possono essere non
impropriamente
considerate come le abitudini o modi di azione di essi; i
modi con cui si
manifestano ad alcuni dei nostri sensi. Ma in che cosa
consistano, se
possiedano proprietà loro peculiari e indipendenti dalle
sostanze ponderabili
a cui li troviamo sempre uniti, o sotto quali rispetti
differiscano dalla luce, dal
calore o l’uno dall’altro, è al di là dei limiti della
nostra esperienza e,
109
probabilmente, della nostra comprensione». Rutter, Human
Electricity,
pagg. 47-48.
(19) Psychological Inquiries, di Sir
Benjamin Brodie, Londra 1856, vol.
III, pagg. 158-159.
(20) Chapters on Mental Physiology (Capitoli
di fisiologia mentale),
di Sir Henry Holland, Londra, 1852.
(21) The Martyrs of Science, di Sir David
Brewster, terza edizione
Londra, 1856, pag. 219.
110
2 - I sogni
«In un sogno, in una visione notturna, quando il sonno
profondo cade sugli uomini addormentati nei loro letti,
Dio
apre le orecchie umane e vi sigilla il suo insegnamento».
Giobbe, XXXIII, 14.
I moderni che hanno scritto sul sonno, concordano in
genere nell’affermare
che i pensieri del dormiente sono privi di significato e
di coerenza e che i
sogni sono quindi immeritevoli di fiducia.
Non era questa l’opinione dei nostri avi, specialmente nei
tempi remoti.
Essi davano molta importanza ai sogni e alla loro
interpretazione, ricorrendo
a essi per avere una guida in casi di difficoltà o di
grandi calamità. Così,
quando scoppiò una pestilenza nell’esercito greco dinanzi
a Troia, Omero ci
presenta Achille nell’atto di proporre questo metodo per
accertare la causa di
ciò che era considerato un segno della collera degli dèi;
e la ragione della sua
proposta è:
«Perché i sogni provengono da Giove» (1).
Aristotele, Platone, Zenone, Pitagora, Socrate, Senofonte,
Sofocle hanno
espresso più o meno chiaramente la loro credenza nel
carattere divino o
profetico dei sogni. E anche alcuni degli antichi filosofi
che negavano ogni
altro genere di divinazione, e alcuni distinti
peripatetici, ammettevano quelle
che provenivano dal delirio o dai sogni (2).
Non sembra, comunque, che alcuno di questi filosofi si sia
spinto ad
affermare che tutti i sogni siano di
carattere divino o attendibile. Molti
derivavano dalla porta di avorio (3). In genere si
accordava implicitamente
fede agli ammonimenti provenienti dalla visione di qualche
veggente, o
augure, o sacerdote, avvenuti in un luogo sacro o
consacrato. Platone,
tuttavia, sembra affermare che tutti i sogni potrebbero
essere creduti solo che
l’uomo, prima di coricarsi, portasse il suo corpo a uno
stato tale da non
lasciare nulla che potesse provocare errore o disordine
nei suoi sogni (4).
Aristotele, le cui opere, come quelle di Bacone, si può dire
che abbiano
stabilito i confini del sapere al suo tempo, limita a
certi individui favoriti il
dono della precognizione. Egli si esprime letteralmente
così: «E non si può
negare che, per certe persone, la profezia si presenta nei
sogni» (5).
111
Che l’opinione moderna sul carattere fantastico e
immaginativo dei sogni,
sia per lo più giusta; che, quando i sensi sono
sopraffatti dal sonno, anche il
giudizio, di regola, sia o totalmente sospeso o
parzialmente e molto
oscuramente attivo, sono fatti così facilmente accertabili
con una semplice e
accurata osservazione delle nostre sensazioni notturne, da
non potere essere
messi in dubbio (6). Molto più difficile è stabilire se,
in casi eccezionali, non vi
siano sufficienti garanzie per le nozioni degli antichi
relative al più elevato
carattere di alcuni sogni (7).
Certo è che la struttura di molti sogni è fatta di
suggerimenti derivati da
idee di veglia, o da desideri che li hanno preceduti, o da
incidenti avvenuti
durante il loro corso e parzialmente percepiti dai sensi
addormentati.
Non è improbabile che la passione dominante la vita, di un
uomo prenda
forma nel sogno. Il pensiero costante del giorno può
influire sulla calma della
notte. Così Colombo sognò che una voce gli diceva: «Dio ti
darà le chiavi delle
porte dell’oceano» (8). E così ogni forte passione, da noi
sperimentata quando
ci prepariamo al sonno, può passare nella nostra coscienza
dormiente ad
essere raffigurata, forse, in forma di qualche felice
illusione. E’ vera in natura
come bella in arte quella dolce visione della casa e delle
sue gioie occorsa,
come descrive il poeta, al soldato esausto dopo la
battaglia:
«Quando le stelle si misero di sentinella nel cielo,
Quando migliaia erano caduti a terra sopraffatti,
I sani per dormire e i feriti per morire».
Ma è degno di nota che non solo le emozioni dominanti e le
impressioni
mentali più vivaci diventano suggestive di sogni. Episodi
minimi che sono
sfuggiti al nostro ricordo prima ancora che ci si sia
disposti al riposo, sono
talora incorporati nelle visioni della notte seguente. Ne
trovo un esempio nel
mio diario sotto la data Napoli, 12 maggio 1857:
«Ieri sera il mio servitore mi avvertì che una casa, la
seconda da quella in
cui abito, proprio al di là di un giardino sul quale si
aprono le finestre del mio
appartamento, era in fiamme, e che il mobilio di varie
stanze stava bruciando.
Tuttavia, poiché il fuoco non aveva raggiunto le mura
esterne, e poiché
durante i quattro anni della mia residenza a Napoli, dove
tutti gli edifici sono
a prova di fuoco, non avevo mai sentito parlare di una
casa che fosse stata
distrutta da un incendio, poco mi curai della cosa. In
seguito seppi che
l’incendio era stato domato, e prima che andassi a letto,
il fatto aveva cessato
di occupare la mia mente.
«Tuttavia ebbi il sogno seguente. Mi sembrava di
attraversare una cittadina
in cui una casa era in fiamme. Di lì passai in un’aperta
campagna e arrivai a
112
un punto da cui potevo vedere tutta una vallata
attraversata da un fiume; sulle
rive di questo fiume vi erano alcuni grandi edifici. Notai
che due di essi, a una
certa distanza l’uno dall’altro, erano in fiamme. Questa
vista mi suggerì subito
l’idea che i fuochi dovevano essere opera di incendiari;
nel sogno pensai che
non era probabile che tre edifici, perfettamente separati
e tuttavia non molto
distanti l’uno dall’altro, si incendiassero per puro
accidente nello stesso
tempo. Subito dopo pensai: “Sta cominciando qualche
sommossa o qualche
rivoluzione?” E, nel sogno, udii vari colpi da differenti
parti del luogo,
confermando (forse creando) la mia idea di un disordine
popolare. A questo
punto mi svegliai e, dopo essere rimasto per qualche
momento in ascolto, mi
resi conto che qualcuno stava lanciando dei fuochi
d’artificio nella strada, un
divertimento napoletano molto comune».
Le cause che mi predisponevano a un sogno simile sono
evidenti. Poco
prima di andare a letto avevo sentito parlare di una casa
in fiamme; e l’idea,
in forma modificata, era continuata nel mio sonno. Era un
paese in cui si
viveva tra continue dicerie di movimenti rivoluzionari; di
qui, probabilmente,
il suggerimento della causa dei fuochi. E questo ebbe una
conferma dalle
effettive detonazioni dei fuochi d’artificio, che la mia
fantasia onirica tradusse
in un succedersi di fucilate.
Bisogna notare, tuttavia, che queste circostanze
suggestive non erano
affatto tali da fare molta impressione sui miei pensieri
di veglia. Non mi ero
minimamente preoccupato del fuoco; ed ero vissuto così a
lungo tra i rapporti
giornalieri di una rivoluzione imminente, che avevo smesso
di dar loro alcun
credito o alcuna probabilità. Sembra che si possa dedurre
che anche deboli
impressioni di veglia possano suggerire sogni.
Si è accertato ogni tanto che i sogni possono
effettivamente essere costruiti
dai suggerimenti di coloro che stanno intorno al letto del
dormiente. Un
esempio notevole è dato dal dott. Abercrombie, nel caso di
un ufficiale inglese
nel quale «si poteva provocare ogni genere di sogni
bisbigliandogli negli
orecchi, specialmente se questo avveniva da parte di un
amico la cui voce gli
fosse familiare» (9). In questo modo egli era stato
condotto lungo l’intero
svolgersi di un litigio finito con un duello; e infine,
essendogli stata messa in
mano una pistola, egli la scarico e fu svegliato dalla
detonazione. Esempi
simili son stati riferiti anche altrove come quello di uno
studente di medicina
dato da Smellie nella sua Storia naturale, e
un altro ricordato dal dott.
Beattie, di un uomo in cui sogni di ogni genere potevano
essere indotti dai
suoi amici parlando piano in sua presenza del soggetto su
cui volevano che
sognasse.
Sembra che lo stesso potere sia esercitato a volte da un
magnetizzatore su
di un soggetto che egli è solito magnetizzare. Foissac
riferisce della sua
113
sonnambula, la signorina Coeline, che, nel suo sonno
naturale, non solo
egli poteva indurre a sognare tutto quello che voleva, ma
anche fare in modo
che ricordasse il sogno quando si svegliava (10). Nel caso
ricordato da
Abercrombie, il soggetto non manteneva ricordi distinti di
quello che aveva
sognato.
Vi è un altro notevole fenomeno connesso con la
suggestione di sogni, che
merita di essere messo in luce. Sembrerebbe che, come in quella che Braid
chiama condizione ipnotica, vi è talora un’esaltazione
dell’intelletto e dei
sensi, così, nei sogni, vi sia talora una sorta di
risveglio e illuminazione della
memoria. Brodie ne dà un esempio per una sua propria
esperienza. «Una
volta», dice, «sognai di essere ancora ragazzo e di
raccontare a un altro
ragazzo una storia che mi era familiare in quel periodo
della mia vita, sebbene
non l’avessi più letta né vi avessi più pensato in
seguito. Mi svegliai e me la
ripetei subito, in modo, mi sembra, molto esatto; ma il
giorno seguente
l’avevo di nuovo dimenticata». Quando dunque nei sogni ci
ricordiamo di
qualche cosa di cui, nello stato di veglia, non serbiamo
alcun ricordo, non
dobbiamo concludere per questo che vi sia in essi qualche
cosa di più
misterioso che non in molte altre comuni, anche se non
spiegate, operazioni
della mente.
Dovremmo anche guardarci da un’altra classe di sogni,
talora interpretati
in senso spiritico, che lasciano adito all’ipotesi che
siano solo il risultato di un
forte desiderio e di un’intensa aspettativa del sognatore.
Uno di questi è
esposto nella bibliografia di William Smellie, autore
della Filosofia della
storia naturale.
Intimo amico del reverendo William Greenlaw, aveva fatto
con lui un patto solenne, sottoscritto col loro sangue,
che, chiunque di loro
fosse morto prima, sarebbe tornato, se possibile, per dare
testimonianza al
sopravvissuto sul mondo degli spiriti; ma, se il defunto
non fosse apparso
entro un anno dal giorno della sua morte, bisognava
concludere che non
poteva tornare. Greenlaw morì il 26 giugno del 1774.
Poiché si avvicinava il
primo anniversario della sua morte ed egli non dava alcun
segno, Smellie
divenne estremamente ansioso, fino a perdere il sonno per
parecchie notti di
seguito, aspettando il ritorno del suo amico. Infine,
stanco della veglia, ed
essendosi addormentato nella sua poltrona, Greenlaw gli
apparve affermando
di essere in un altro e migliore mondo, dal quale aveva
trovato grande
difficoltà per comunicare con l’amico lasciato dietro di
sé, e aggiungendo che,
in quel mondo, «le speranze e i desideri degli abitanti
non erano mai
soddisfatti perché, al pari degli abitanti di questo mondo
più basso, essi
guardavano sempre dinanzi a sé nella speranza di
raggiungere uno stato di
esistenza ancora migliora» (11).
Coloro che credono di avere sufficienti prove, in altri
esempi, della realtà di
questi ritorni, concluderanno probabilmente, come il
biografo afferma che
114
fece lo stesso Smellie fino al giorno della sua morte, che
il suo amico Greenlaw
gli era realmente apparso; ma è evidente che l’incidente
può essere
interpretato anche diversamente, perché è chiaramente
presupponibile, in
questo caso, come in quello del soldato esaurito dal
combattimento della
ballata di Campbell, che i desideri del giorno abbiano
generato la visita della
notte.
Ma, mentre ammettiamo, cosa che i fatti provano abbondantemente,
che
nella grande maggioranza dei casi i sogni siano, o possano
essere, sia
l’espressione di un forte desiderio, sia una disordinata
manifestazione della
fantasia fuori del controllo dei giudizio, sia infine il
risultato di una
suggestione, talora diretta e intenzionale, più
frequentemente derivata, a
quanto sembra per caso, da pensieri ed emozioni
precedenti, rimangono
tuttavia alcuni casi eccezionali, che non sembra si
possano includere
propriamente in alcuna di queste categorie. Per giudicarli
ragionevolmente,
dobbiamo esaminarli nei particolari.
Possiamo disporre, in via preliminare, di una classe
evidentemente
suscettibile di una spiegazione semplice e naturale; e
precisamente quei sogni
che, più o meno chiaramente, portano con sé le ragioni del
loro compimento.
Tale, per esempio, è una vecchia storia citata da vari
autori italiani, di un
mercante che, viaggiando da Roma a Siena, sognò di essere
assassinato per
via. Il suo ospite, a cui egli aveva confidato il sogno,
lo consigliò di pregare e
di confessarsi. Lo fece, e in seguito fu assassinato per
la strada da quello
stesso prete a cui, in confessione, aveva parlato delle
ricchezze che portava
con sé e delle sue apprensioni.
Un caso simile, avvenuto pochi anni più tardi presso
Amburgo, fu riferito
nei giornali dell’epoca. L’apprendista di un fabbro di
quella città, di nome
Claude Soller, un giorno informò il suo principale che, la
notte precedente,
aveva sognato di essere assassinato sulla strada da
Amburgo a Bergsdorff. Il
fabbro, ridendo, gli disse di avere appunto centoquaranta
talleri che doveva
inviare a suo cognato a Bergsdorff, e, per dimostrargli
quanto fosse ridicolo
credere a certi presagi, volle che glieli portasse proprio
lui, l’apprendista. Il
giovane, dopo avere protestato invano, fu costretto a
mettersi in viaggio, cosa
che fece verso le undici del mattino. Arrivato a mezza
strada, al villaggio di
Billwaerder, e ricordando con terrore i particolari del
sogno, cercò il balivo del
villaggio, lo trovò mentre stava parlando con alcuni braccianti
e, in loro
presenza, gli racconto il suo sogno, disse della somma che
aveva con sé e lo
pregò di incaricare qualcuno di accompagnarlo attraverso
il bosco che si
trovava sulla sua strada. Il balivo, ridendo di quelle
paure, ordinò a uno dei
braccianti di accompagnarlo come desiderava. Il giorno
dopo, il corpo
dell’apprendista fu trovato con la gola tagliata e con
accanto una falce
115
insanguinata. Fu poi dimostrato che l’uomo che lo
accompagnava si era
servito di quella stessa falce poco tempo prima per
tagliare dei salici.
Imprigionato, confessò il suo delitto e dichiarò che era
stato proprio il
racconto del sogno a spingerlo a realizzarlo.
In alcuni casi il legame tra l’influenza del sogno e la
sua realizzazione, per
quanto possibile non è del tutto evidente. Un esempio
romantico - tuttavia
perfettamente autenticato - è quello che traduco qui
dall’opera di Macario sul
sonno.
COME UN GIORNALISTA
PARIGINO PRESE MOGLIE
In una cittadina della Francia centrale, La
Charité-sur-Loire, nel
dipartimento di Nièvre, viveva una ragazza di umile
estrazione, figlia di un
fornaio, ma notevole per la sua grazia e la sua bellezza.
Molti erano gli
aspiranti alla sua mano, uno dei quali, per la sua
ricchezza, era il favorito dei
genitori di lei. La ragazza, tuttavia, non amandolo,
respinse la sua proposta di
matrimonio. I genitori insistettero, e infine la figlia,
stanca delle loro
pressioni, andò in una chiesa, si prostro dinanzi
all’immagine della Vergine e
chiese fervidamente consiglio e guida nella scelta di un
marito.
La notte seguente sogno di passare davanti a un giovane in
abito da
viaggiatore, con gli occhiali e un grande cappello di
paglia; e una voce intima
sembrava dirle che sarebbe stato quello il suo sposo.
Appena sveglia andò dai
genitori e disse loro rispettosamente ma con fermezza di
aver deciso di non
accettare l’uomo che le avevano scelto. Da quel momento
essi non insistettero
più.
Qualche tempo dopo, a un ballo del villaggio, ella
riconobbe il giovane
viaggiatore proprio come le era apparso in sogno. Arrossi.
Lui fu attratto dalla
sua bellezza, si innamorò, come si dice, a prima vista, e
in breve furono marito
e moglie. Suo marito è il signor Emile de la Bédollière,
uno dei direttori del
giornale parigino Le Siècle; e in una
lettera al dott. Macario, datata Parigi, 13
dicembre 1854, egli conferma l’esattezza in tutti i
particolari di questo
racconto aggiungendo alcune precisazioni. Dichiaro di aver
visto per la prima
volta la sua futura moglie, Angèle Bobin, a un ballo di
beneficenza tenuto
nell’agosto del 1833 in casa di un certo Jacquemart, dove
si era recato in
compagnia del suo amico Eugène Lafaure; che l’emozione di
lei nel vederlo
era stata evidente, e che egli aveva potuto accertare
presso la direttrice del
collegio in cui la fanciulla era allora, Mademoiselle
Porcerat, che colei che
sarebbe poi divenuta Madame de la Bédollière aveva dato
alla sua maestra,
116
molto prima che egli giungesse per caso a La Charité, una
precisa descrizione
della sua persona e del suo abbigliamento (12).
In questo caso, sebbene la coincidenza sembri notevole,
possiamo, per quel
che riguarda la somiglianza personale, concedere qualche
cosa al caso e
qualche cosa all’immaginazione di una fanciulla
entusiasta. Per il resto, il
consapevole rossore di una bellezza paesana era
sufficiente ad attrarre
l’attenzione e a interessare il cuore di un giovane
viaggiatore, forse di
temperamento ardente e impressionabile. Sarebbe certo
presuntuoso
affermare che queste considerazioni forniscano la vera
spiegazione. Ma
bisogna concedere la possibilità che tutto ciò sia
avvenuto.
Così pure in un altro caso, il sogno o la visione della
figlia di Sir Charles
Lee, in cui, tuttavia, la morte e non il matrimonio era
stata preannunciata.
Sebbene questo sia avvenuto quasi duecento anni fa, è molto
bene autenticato
essendo stato riferito dallo stesso Sir Charles al vescovo
di Gloucester, e dal
vescovo di Gloucester a Beaumont, che lo pubblicò, subito
dopo averlo udito,
in un poscritto al suo noto Treatise of Spirits (Trattato
degli spiriti) , da cui
lo trascrivo.
STORIA DEL VESCOVO
DI GLOUCESTER
«Avendo avuto recentemente l’onore di udire la relazione
di un’apparizione
dal signor vescovo di Gloucester, ed essendo troppo tardi
perché possa
inserirla al suo proprio luogo in questo libro, lo espongo
qui come poscritto,
come segue:
«Sir Charles Lee aveva avuto un’unica figlia dalla sua
prima moglie, che
mori mettendola alla luce; e, dopo la sua morte, la
sorella di lei, Lady Everard,
pregò che le fosse affidata l’educazione della bambina.
Questa fu da lei
allevata molto bene fino all’età del matrimonio, e fu
combinata allora la sua
unione con Sir William Perkins, unione che fu impedita in
modo
straordinario. Un giovedì notte la fanciulla, credendo di
vedere una luce nella
sua stanza, dopo essere andata a letto, suonò per la
cameriera che subito si
presento. Le chiese perché avesse lasciato una candela
accesa nella sua
camera, ma la ragazza rispose di non averne lasciata
alcuna e che non vi erano
altre candele se non quella che teneva lei in quel
momento. Allora la giovane
pensò che fosse il fuoco del caminetto, ma la cameriera la
assicurò che era
assolutamente spento e aggiunse che, a suo parere, si
trattava solo di un
sogno. Lei rispose allora che forse era così e si preparò
a riprendere sonno.
Ma, verso le due, fu svegliata ancora e vide l’apparizione
di una piccola donna
tra le cortine del letto e il guanciale, la quale le disse
di essere sua madre, di
117
sentirsi felice e che alle dodici di quel giorno ella
sarebbe stata con lei. La
giovane suonò ancora per la cameriera, chiese i suoi abiti
e, quando fu vestita,
si chiuse nel suo salottino uscendone solo alle nove.
Aveva con sé una lettera
sigillata per suo padre e la porto alla zia, Lady Everard,
raccontandole quello
che era avvenuto e pregandola di farla avere al padre
appena lei fosse morta.
La signora pensò che fosse improvvisamente impazzita e
mandò subito a
chiamare un medico e un chirurgo a Chelmsford; essi
vennero
immediatamente, ma il medico non trovò alcun sintomo di
quello che la
signora pensava né alcuna indisposizione. La signora
tuttavia volle che le si
praticasse un salasso, cosa che fu fatta. La giovane, dopo
avere pazientemente
lasciato che le si facesse tutto quello che lei voleva,
chiese un cappellano per le
preghiere; e quando le preghiere furono finite, prese la
sua chitarra e il libro
dei salmi, si sedette su di una sedia e suonò e canto in
modo così armonioso e
mirabile da far stupire il suo maestro di musica che era
presente. Poco prima
che battessero le dodici si abbandonò in una poltrona e,
dopo aver tratto due
lunghi respiri, rese l’anima. Si raffreddò così
rapidamente da meravigliare il
medico e il chirurgo. Morì a Watham, nell’Essex, e tre
miglia da Chelmsford, e
la lettera fu inviata a Sir Charles, nella sua casa nel
Warwickshire; egli fu così
addolorato per la morte della figlia che giunse dopo che
era stata sepolta, ma,
appena giunto, volle che fosse esumata e sepolta a
Edminton, presso la
madre, secondo il desiderio da lei espresso nella sua
lettera. Questo avveniva
verso gli anni 1662 o 1663, e la relazione fu fatta al
signor vescovo di
Gloucester dallo stesso Sir Charles Lee» (13).
Nel caso qui narrato, sebbene sia indubbiamente una cosa
inconsueta e
straordinaria che una persona, non ridotta dalla malattia
in uno stato di
estrema debolezza nervosa, sia così sopraffatta
dall’immaginazione da
permettere che una fiduciosa attesa della morte in una
data ora la provochi
effettivamente pochi minuti dopo che il paziente era,
secondo ogni apparenza,
in buona salute, tuttavia, poiché queste cose possono
avvenire, non possiamo,
come negli esempi precedenti, negare assolutamente che il
sogno stesso sia
stato lo strumento della propria attuazione.
Vi sono tuttavia molti altri sogni per la cui
realizzazione non può essere
data una spiegazione del genere. Uno dei più noti e più
celebri è quello di
Calpurnia la notte prima delle idi di marzo. Si legge che
ella quasi riuscì a
trasmettere al marito l’apprensione suscitata in lei da
questo preannuncio di
morte, e che infine Cesare fu confermato nella sua
primitiva decisione di
recarsi in Senato dai motteggi di uno dei cospiratori, che
eliminò i timori della
matrona (14).
Questi timori, naturali in una donna il cui marito aveva
raggiunto una così
pericolosa altezza attraverso mille pericoli, avrebbero
potuto, in realtà, avere
suggerito il sogno; e la sua tempestività avrebbe potuto
essere stata
118
determinata dalla predizione di quell’augure, Spurina, che
aveva esortato il
dittatore a guardarsi dalle idi di marzo. Così che, anche
qui, sebbene il sogno
non avesse avuto alcun effetto sulla sua realizzazione,
possono essere
immaginate cause naturali per spiegarlo.
Un sogno in certo modo simile, avvenuto in tempi moderni,
è citato in
varie opere di medicina e garantito come «totalmente
autentico» da
Abercrombie (15).
Eccolo.
LA PARTITA DI PESCA
Il maggiore e la signora Griffith, di Edimburgo, allora
residenti nei
Castello, avevano ospitato in casa loro il nipote, Joseph
D’Acre, di Kirkliton,
nella contea di Cumberland, un giovane venuto nella capitale
scozzese con lo
scopo di frequentarvi il college,
particolarmente raccomandato ai suoi
parenti. Un pomeriggio il signor D’ Acre comunicò loro la
sua intenzione di
unirsi, il mattino dopo, ad alcuni suoi amici per una
partita di pesca a Inch-
Keit, e non gli venne fatta alcuna obiezione. La notte
seguente, tuttavia, la
signora Griffith si svegliò di colpo da un sogno
angoscioso gridando: «La
barca affonda! Oh, salvateli!». Il marito attribuì il
sogno alla sua apprensione;
ma lei dichiarò di non avere avuto alcun timore per quella
partita di pesca e di
non averci nemmeno pensato. Si dispose dunque a riprendere
il sonno, ma
quando, per tre volte, un sogno simile si fu ripetuto nel
corso della nottata
(l’ultima volta presentava l’immagine della barca affondata
e di tutto il gruppo
annegato), seriamente allarmata ella indosso una vestaglia
e, senza aspettare
il mattino, si diresse alla stanza del nipote. Con una
certa fatica lo persuase ad
abbandonare il suo progetto e a mandare un servitore a
Leith con una scusa.
Il mattino era bello e il gruppo si imbarcò: ma verso le
tre si levò una
tempesta improvvisa, la barca affondò e tutto il gruppo
perse la vita (16).
Qui si può osservare che, poiché la zia, in stato di
veglia, non aveva avuto
alcuna apprensione per la gita del nipote, non è probabile
che un’ansietà da
parte sua abbia suggerito il sogno. Tuttavia so, per mia
propria esperienza,
che i sogni possono essere suggeriti da incidenti che ci
hanno fatto una
minima impressione e che ci sono usciti di mente al momento
di andare a
letto. E poiché il rischio che corrono le partite di pesca
nel Frithof Forth,
organizzate da giovani probabilmente spensierati e
incuranti del pericolo, è
considerevole, le probabilità contro un risultato fatale,
in ogni singolo caso,
non possono essere considerate così imponenti da
precluderci l’ipotesi di una
coincidenza casuale. Cicerone dice giustamente: «Quale
persona che miri per
119
tutto il giorno a un bersaglio non finirà col colpirlo?
Noi dormiamo ogni notte
e poche volte non sogniamo: ci meraviglieremo dunque se talora quello che
sogniamo si
avvera?» (17).
Tuttavia se questi esempi si moltiplicano notevolmente, e,
soprattutto, se i
particolari, al pari del risultato generale, corrispondono
esattamente alla
precognizione, le probabilità contro la coincidenza
casuale aumentano.
Ma è certo che gli esempi, nella società, sono molto più
numerosi di quanto
immaginano coloro che hanno dedicato scarsa attenzione al
soggetto. In
genere si è riluttanti a riferire quello che ci espone
all’accusa di creduloneria.
Per lo più queste confidenze vengono fatte a un amico
intimo o a persone che
sappiamo seriamente interessate all’argomento. Negli
ultimi tre o quattro
anni durante i quali mi sono occupato di soggetti del
genere, mi sono stati
comunicati tanti esempi di sogni contenenti veri
avvertimenti, o comunque
stranamente realizzati, da darmi la convinzione che deve
esservi un gran
numero di persone, tra quelle che incontriamo, le quali,
se volessero,
potrebbero raccontarci uno o più sogni veridici avvenuti
nelle loro famiglie o
in quelle dei loro conoscenti. Sono sicuro che fra coloro
che leggeranno questo
libro ve ne saranno pochi che non possano portare prove a
conferma
dell’opinione qui espressa.
Presenterò, fra gli episodi di questo carattere venuti
recentemente a mia
conoscenza, alcuni esempi della cui autenticità posso
garantire io stesso.
Nel 1818 il signor Alessandro Romano, capo di un’antica e
molto rispettata
famiglia napoletana, era a Patu, nella provincia di Terra
d’Otranto, nel Regno
di Napoli. Una notte sognò che la moglie del Cavaliere
Libetta, consigliere
della Corte suprema e suo amico e consulente legale, che
si trovava allora a
Napoli, era morta. Sebbene il signor Romano non avesse
sentito dire che la
signora Libetta fosse malata e nemmeno indisposta,
tuttavia l’estrema
vividezza del sogno produsse su di lui una grande
impressione; e il mattino lo
racconto alla sua famiglia aggiungendo di esserne stato
sconvolto non solo per
la sua amicizia verso la famiglia Libetta, ma anche perché
il Cavaliere stava
conducendo per lui una importante pratica legale ed egli
temeva che questo
lutto domestico avrebbe potuto fargliela trascurare.
Patu è a duecento otto miglia da Napoli, e ci vollero vari
giorni prima che le
paure del signor Romano potessero essere confermate o
respinte. Infine egli
ricevette una lettera dal Cavaliere Libetta, in cui lo
informava di avere perso la
moglie; e, confrontando le date, si trovò che essa era
morta la notte stessa del
sogno.
120
Il fatto mi venne comunicato dal mio amico Don Giuseppe
Romano (18),
figlio del signore di cui ho parlato, il quale viveva in
casa di suo padre quando
avvenne l’incidente e udì suo padre riferire il sogno il
mattino dopo.
Ed eccone un altro che mi fu narrato, ricordo, in un bel
giorno di giugno,
passeggiando nella Villa Reale (il magnifico parco di
Napoli con una
meravigliosa vista sul mare), da un membro della legazione
di A..., una delle
più intelligenti e piacevoli conoscenze che feci in quella
città.
Il 16 ottobre 1850, questo signore, che si trovava allora
a Napoli, sognò di
essere a fianco di suo padre, il quale sembrava essere in
agonia, e dopo poco
lo vide spirare. Si svegliò molto turbato, stillante un
sudore freddo, e
l’impressione ricevuta era così forte che si alzò immediatamente,
sebbene
fosse ancora notte, si vestì e scrisse al padre
chiedendogli notizie della sua
salute. Suo padre era allora a Trieste, distante da
Napoli, per la più corta,
cinque giornate di viaggio, e il figlio non aveva alcuna
ragione, eccetto il
sogno, di essere preoccupato per lui, dato che egli non
superava la
cinquantina e che non era stata ricevuta alcuna notizia di
una sua malattia o
indisposizione. Aspettò con una certa ansia una risposta
per tre settimane, in
capo alle quali giunse una comunicazione ufficiale al capo
della missione con
preghiera di informare il figlio che doveva prendere
alcuni provvedimenti
legali circa la proprietà del padre, morto a Trieste dopo
breve malattia, il
sedici ottobre.
Si osserverà che, in questo caso, l’agitazione mentale del
sognatore fu
molto più forte di quella che si verifica dopo un sogno
comune. Quel signore
si alzò, si vestì nel mezzo della notte e immediatamente
scrisse al padre, tanto
era in ansia per lui. La stessa cosa può essere notata in
altri casi in cui il sogno
si avvera, anche se la persona che sogna è scettica circa
questi presentimenti.
Uno di questi scettici è Macnish, autore della Philosophy
of Sleep
(Filosofia del sonno) (19); e tuttavia egli ammette
l’effetto che un sogno
simile, avvenuto a lui stesso nell’agosto del 1821,
produsse sul suo spirito.
Riporto il racconto con le sue parole:
«Ero a Caithness, quando sognai che un mio stretto
parente, residente a
trecento miglia di distanza, era morto; immediatamente
dopo mi svegliai in
uno stato di inconcepibile terrore, simile a quello
prodotto dal parossismo di
un incubo. Lo stesso giorno, scrivendo a casa, accennai al
fatto, metà per
scherzo e metà sul serio. Per dire la verità non volevo
parlare seriamente per
paura di essere deriso per aver prestato fede a un sogno.
Tuttavia,
nell’intervallo fra il mio scritto e la risposta, rimasi
in uno stato di ansia molto
spiacevole. Avevo il presentimento che fosse accaduta o
stesse per accadere
qualche cosa di terribile, e per quanto non potessi fare a
meno di biasimarmi
per l’infantile debolezza dei miei sentimenti, non
riuscivo a liberarmi dalla
121
penosa idea che si era radicata nella mia mente. Tre
giorni dopo avere spedito
la lettera, fui sbigottito nel riceverne una scritta il
giorno dopo la mia, nella
quale mi si comunicava che il parente da me sognato era
stato colpito da una
fatale paralisi il giorno prima, ossia lo stesso giorno in
cui, verso il mattino,
avevo visto in sogno l’evento. Posso affermare che il mio
parente era in
perfetta salute prima che il fatto si verificasse. Fu
colpito come da un fulmine
quando nessuno aveva il minimo presagio del pericolo»
(20).
Ecco una testimonianza disinteressata oltre ogni dubbio,
perché porta
prove contro la stessa opinione dell’autore. Ma gli
effetti narrati sono forse
identici a quelli prodotti in genere da un semplice sogno
su di una persona
non superstiziosa? Un inconcepibile terrore sebbene non si
trattasse di un
incubo; un presentimento che qualche cosa di terribile sia
avvenuto o stia per
avvenire, e che dura per giorni radicandosi nei sentimenti
per quanto il
sognatore tenti di scacciarlo. E tuttavia, pur con tutte
queste preoccupazioni,
innaturali in circostanze ordinarie, come considera il
caso, il narratore?
Giudica debolezza infantile i suoi terrori e, per quel che
riguarda la
coincidenza che lo aveva tanto sbigottito, dichiara che
non vi è in essa nulla
che possa giustificarci se riferiamo le sue origini ad
altra cosa che al caso. Se si
trattasse di un caso isolato, sarebbe illogico negare
decisamente questa
concezione. Non abbiamo forse il diritto di includere il
dott. Macnish nella
categoria di coloro a cui allude il dott. Johnson quando,
parlando della realtà
di agenti ultraterreni, dice che «alcuni che li negano con
le labbra, li
confessano con le loro paure?».
Il prossimo esempio che citerò proviene in parte dalla mia
conoscenza
personale. Un collega del corpo diplomatico, mio intimo
amico, il Signor de
S..., aveva fissato per sé e per sua moglie un passaggio
per il Sud Africa su un
vapore che doveva salpare il 9 maggio 1856. Pochi giorni
dopo una loro amica,
e mia, ebbe un sogno che la mise seriamente a disagio. In
questo, sogno vide
una nave affondare in mare durante un violento uragano, e
una voce intima le
comunicò che si trattava della stessa nave su cui i
coniugi de S... dovevano
imbarcarsi. L’impressione fu così viva che, svegliatasi,
riuscì appena a
convincersi che la visione non era realtà. Tornata ad
addormentarsi, ebbe una
seconda volta lo stesso sogno, cosa che accrebbe la sua
ansietà; e, il giorno
dopo, mi chiese se non dovesse comunicare il fatto ai suoi
amici. In quel
tempo non avevo alcuna fede in questi presagi e le
raccomandai di non farlo
perché essi non avrebbero probabilmente cambiato i loro
progetti e tuttavia si
sarebbero sentiti a disagio, forse per nessuna ragione.
Ella decise dunque di
lasciarli partire senza nulla sapere. Avvenne tuttavia,
come seppi alcune
settimane più tardi, che circostanze fortuite inducessero
i nostri amici a
cambiare i loro programmi e a fissare il passaggio su di
un’altra nave dopo
avere ceduto i loro biglietti.
122
Tutto ciò mi era quasi passato di mente quando, molto
tempo dopo, presso
il ministro di Russia, sua moglie mi disse: «Come sono
stati fortunati i nostri
amici de S... a non imbarcarsi sulla nave che avevano
scelto dapprima!».
«Perché?» chiesi. «Non sapete», mi rispose, «che quella
nave è andata
perduta? Deve essere affondata in mare, sebbene siano
passati più di sei mesi
da quando ha lasciato il porto, non se ne è più avuta
notizia».
In questo caso si noterà che il sogno mi fu comunicato
alcune settimane o
mesi prima che si avverasse. Bisogna ammettere tuttavia
che le probabilità
contro il suo avverarsi non erano tante come negli esempi
precedenti. Le
probabilità che una nave non affondi in un dato viaggio
attraverso l’Atlantico
sono molto minori di quelle che un uomo di mezza età e in
buona salute non
muoia in un dato giorno.
Nell’esempio che segue troveremo un nuovo elemento. La
signora S... mi
racconto che, dimorando a Roma nel giugno 1856, il 30 di
quel mese sognò
che sua madre, morta da parecchi anni, le appariva, le
dava un ricciolo di
capelli e le diceva: «Tieni con cura questo ricciolo,
bambina mia, perché è di
tuo padre, e domani gli angeli lo porteranno via da te».
L’effetto di questo
sogno sullo spirito della signora S... fu tale che,
svegliatasi si sentì
profondamente preoccupata e spedì immediatamente un
dispaccio telegrafico
in Inghilterra, dove era il padre, per avere notizie della
sua salute. La risposta
non fu immediata; ma quando arrivò porto la notizia che il
padre era morto
quel mattino alle nove. Ella apprese in seguito che, due
giorni prima di
morire, egli si era fatto tagliare una ciocca di capelli e
l’aveva data a una delle
sue figlie, che lo assisteva, dicendole di serbarlo per la
sorella che era a Roma.
Soffriva di una malattia cronica, ma le ultime notizie da
lei ricevute sulla sua
salute erano favorevoli e avevano fatto sorgere la
speranza che egli potesse
vivere ancora alcuni anni (21).
La peculiarità di questo esempio sta nel fatto che vi è
una doppia
coincidenza: primo, il giorno esatto della morte, e,
secondo, la ciocca di
capelli. Le probabilità contro la casualità di questo
doppio evento sono molto
maggiori che non contro quella di un evento singolo.
Abercrombie riferisce e garantisce il seguente, in cui
venne previsto
egualmente un doppio evento.
Un pastore protestante, che era arrivato a Edimburgo da
breve distanza,
mentre dormiva in un albergo, sognò di vedere un fuoco e,
in mezzo a esso,
uno dei suoi figli. Si svegliò con questa impressione e
immediatamente si mise
in viaggio verso casa. Arrivato in vista dell’abitazione,
trovò che era in fiamme
e arrivò giusto in tempo per salvare uno dei suoi bambini
che, nella
confusione, era stato lasciato in una situazione di grande
pericolo (22).
123
Abercrombie nota a questo punto che, «senza chiamare in
causa la
possibilità di comunicazioni soprannaturali», l’incidente
può essere spiegato
con cause naturali, originate, cioè, nell’ansietà paterna,
unita, forse, con
l’esperienza della trascuratezza della domestica lasciata
a custodia della casa.
Possiamo ammetterlo; ma è evidente che il fortuito
avverarsi dei due incidenti
osservato nel sogno (il fuoco stesso e il particolare
pericolo corso da uno dei
figli) è cosa molto più improbabile di quanto sarebbe
stato l’avverarsi di un
incidente solo.
D’altra parte vi possono essere circostanze particolari
che, in alcuni casi,
aumentano le probabilità in favore di un evento fortuito.
Uno di questi è dato
da Macnish, sulla cui veridicità egli dice che si può
confidare. E’ il caso di una
giovane signora di Ross-shire, in Scozia, la quale era
devotamente legata a un
ufficiale allora alla guerra di Spagna con Sir John Moore.
Il costante pericolo
a cui egli era esposto logorava il suo spirito; cominciò a
deperire e cadde
malata. Infine una notte, in sogno, vide l’amato, pallido,
sanguinante e ferito
al petto, entrare nella sua stanza. Tirò le tendine del
letto e, con un dolce
sguardo, le disse di essere stato ucciso in battaglia,
comandandole in egual
tempo di farsi forza e di non addolorarsi eccessivamente
per la sua morte. Le
conseguenze di questo sogno furono fatali per la povera
giovane, che morì
pochi giorni dopo pregando i genitori di prender nota
della data del sogno,
che era sicura avrebbe avuto conferma. E così fu. Poco
dopo giunse in
Inghilterra la notizia che l’ufficiale era caduto nella
battaglia di La Coruna
(1809), il giorno precedente la notte in cui la sua amata
aveva avuto la visione
(23).
Il dott. Macnish considera questo «uno dei più
impressionanti esempi di
identità fra il sogno e le circostanze reali, di cui egli
sia venuto a conoscenza».
Questo prova quanto gli uomini siano spesso poco esatti
nel giudicare il
carattere di fenomeni simili. In se stesso, e senza
riferimento a numerosi altri
casi analoghi in cui si dice che i defunti siano apparsi a
qualche caro amico
subito dopo il momento della morte, questo incidente è
molto meno
impressionante del sogno dello stesso dott. Macnish, che
abbiamo già riferito.
Confrontiamo i due casi. Nel primo, il pensiero costante
della giovane era
quello del suo amore esposto ogni giorno al pericolo. Era
naturale che dovesse
sognare di lui. Sarebbe stato strano se non lo avesse
fatto. Che le apparisse
pallido e ferito fu solo un riflesso delle immagini che,
nelle sue tristi
fantasticherie di ogni giorno, si era fatta certo
centinaia di volte. Rimane la
coincidenza quanto al giorno. Ma bisogna ricordare che
l’incidente è avvenuto
durante uno dei più disastrosi episodi della guerra
peninsulare, quando a ogni
ora ci si aspettavano notizie di una battaglia sanguinosa.
Era un tempo in cui
ogni ufficiale e ogni soldato sotto il comando del
valoroso e sfortunato Moore,
usciva, si può dire, ogni mattino con la vita fra le mani.
Le probabilità di
124
morte per ognuno di quegli ufficiali e per ogni giorno
erano forse venti,
trenta, cinquanta volte maggiori di quelle di un individuo
che conducesse la
sua solita, pacifica vita. Le probabilità contro una
fortuita coincidenza del
giorno erano così diminuite in proporzione.
Molto diverse erano le circostanze nel caso del dott.
Macnish. Il suo
parente, come egli afferma, era in perfetta salute a
trecento miglia di distanza.
Non sembra che vi fosse stata qualche cosa di speciale che
dirigesse i pensieri
del dottore verso di lui: certo nulla che lo rendesse
ansioso sul suo destino;
nulla dunque che potesse suggerire un sogno su di lui e
tanto meno una
visione della sua morte. E tuttavia, con tutte queste
improbabilità, Macnish
sogna che il suo parente è morto. Né è tutto. Senza causa
apparente, eccetto
quella che lui considera un sentimento di superstizione
infantile, egli è preso
da un terrore panico, da un presentimento di disgrazia
così profondamente
radicato che per giorni la sua ragione è incapace di sradicarlo.
Segue poi la
coincidenza del giorno, anch’essa in circostanze in cui,
secondo ogni calcolo
umano, l’improbabilità dell’evento era estrema, dato che
non vi erano basi per
la minima previsione del pericolo.
E tuttavia - tale è il potere di un fatto romantico sulla
nostra
immaginazione - il nostro autore sorvola il proprio caso,
più notevole, e
dichiara che quello dei giovani innamorati è uno dei più
impressionanti. Gli
agenti di una compagnia di assicurazioni sarebbero stati
molto più
chiaroveggenti. Supponete che fosse stato loro chiesto di
assicurare per un
mese o due le due vite, quella dell’ufficiale esposto ogni
giorno a colpi di fucile
o esplosioni di bombe e quella del signore di campagna
nella sua casa
tranquilla. Il premio molto più gravoso che essi avrebbero
certamente
richiesto nel primo caso in confronto con il secondo
avrebbe indicato a
sufficienza quanto stimassero le probabilità di morte nei
due casi.
Bisogna tenere a mente queste considerazioni nel giudicare
i casi di sogni
realizzati quando la realizzazione sembra dipendere da un
evento che, per
quanto usualmente improbabile, per peculiari circostanze
di pericolo o di
altro può essere portato nell’ordine della probabilità. Un
esempio può essere
offerto da una singolare usanza ancora viva a
Newark-upon-Trent, in
Inghilterra, l’11 marzo di ogni anno. In quel giorno
vengono distribuite
pagnotte da un penny a tutti i poveri che vengono a
chiederle alla Town Hall.
L’origine dell’usanza è questa. Durante il bombardamento
di Newark da parte
delle forze di Oliver Cromwell, un aldermanno di nome Clay
sognò per tre
notti consecutive, che la sua casa aveva preso fuoco, e ne
fu tanto
impressionato che porto la famiglia in un’altra residenza.
Pochi giorni dopo,
l’11 marzo, la sua casa fu incendiata dagli assedianti. In
segno di gratitudine
per quella che considerava una salvezza miracolosa, lasciò
per testamento al
sindaco e aldermanno, in data 11 dicembre 1694 duecento
sterline; gli
125
interessi di metà di questa somma dovevano essere versati
annualmente al
vicario a condizione che pronunciasse un adeguato sermone,
e con gli
interessi dell’altra metà doveva essere fatta una annuale
distribuzione di pane
ai poveri.
Qui la coincidenza è notevole, ma certo meno che se la
casa
dell’aldermanno, nelle traversie di un assedio, non fosse
stata in condizioni di
particolare pericolo.
Passiamo a un’altra classe di sogni generalmente
considerata dipendente
dal riaffiorare di antiche associazioni di idee. Uno degli
esempi più notevoli è
citato da Abercrombie, il quale afferma che capito a un
suo amico e che «può
essere creduto nei minimi particolari». Eccolo secondo le
sue parole.
«Questo signore era allora impiegato in una delle
principali banche di
Glasgow, ed era al suo posto di cassiere, dove si facevano
i pagamenti, quando
entrò un cliente che chiedeva il versamento di sei
sterline.
«Vi erano già varie persone in attesa, che dovevano essere
servite a turno
prima di lui, ma egli era impaziente e piuttosto
importuno, ed essendo per di
più molto balbuziente, divenne così noioso che un altro
signore pregò il mio
amico di versagli il suo denaro e sbarazzarsi di lui. Così
egli fece, ma con un
gesto di impazienza per essere costretto a badare a lui
prima del suo turno,
dopo di che non penso più al fatto. Alla fine dell’anno,
otto o nove mesi dopo,
i conti della banca non tornavano: vi era un ammanco di
esattamente sei
sterline. Furono dedicati vari giorni e notti alla ricerca
dell’errore, ma senza
successo, una sera, infine, il mio amico tornò a casa
stanchissimo e andò a
letto. Sognò di essere al suo posto in banca, e tutta la
faccenda del
balbuziente, che abbiamo descritto, passò davanti a lui in
tutti i particolari. Si
svegliò con l’impressione che il sogno lo avrebbe condotto
a scoprire ciò che
cercava con tanta ansia; e, fatte le indagini, trovò che
la somma pagata a quel
tale nel modo che abbiamo dette non era stata inserita nel
libro degli interessi
e che questo spiegava esattamente l’errore del bilancio»
(24).
Commentando questo caso, Abercrombie scrive: «Il fatto su
cui si fondava
l’importanza del caso non era l’aver pagato la somma, ma
l’essersi
dimenticato di annotare il pagamento. Questa dimenticanza
non aveva
lasciato, a suo tempo, alcuna impressione sulla sua mente,
e non riusciamo a
concepire in base a quale principio poté essere ricordata.
In realtà, poiché
l’ammanco era di sei sterline, possiamo supporre che quel
signore cercasse di
ricordare se vi fosse stato un pagamento irregolare di
questa somma, tale da
provocare un’omissione o un errore; ma nelle operazioni di
una grande banca,
in una grande città commerciale, un pagamento di sei
sterline, alla distanza di
otto o nove mesi, può aver lasciato un’impressione
debolissima. E,
126
nell’insieme, il caso presenta forse uno dei più notevoli
fenomeni mentali
collegati a questo curioso argomento».
La difficoltà di questo caso non consiste nel fatto che
venne ricordata in
sogno una cosa che, in stato di veglia, era scomparsa
dalla memoria; perché
questo, come nell’esempio già citato, tratto da Brodie, è
un fenomeno che
spesso si presenta nei sogni. La vera difficoltà è che il
fatto di cui il cassiere
era in cerca, ossia l’omessa registrazione di una somma di
sei sterline, non fu
affatto ricordato dal sogno. Il sogno, infatti, ricordò
e presentò nuovamente
alla memoria in tutti i particolari una certa circostanza
dimenticata, e
precisamente che otto o nove mesi prima era stato fatto un
pagamento in
modo irregolare a un certo balbuziente importuno; e ne
derivò l’impressione
«che il sogno lo avrebbe condotto a scoprire ciò
che cercava con tanta
ansia»; nulla più. Fu solo un accenno, un semplice
suggerimento, come se
qualcuno avesse detto: «Guarda se quella faccenda del
balbuziente non ha
qualche cosa a che fare con l’errore che non riesci a
trovare». E ci viene detto
espressamente che solo dopo aver fatto le indagini il
cassiere scoprì che il
pagamento fatto al nostro cliente non ,era stato
registrato. Se questo non è
esempio di suggerimento provenuto da qualche fonte
esterna, invece di essere
un semplice caso di antichi ricordi riaffiorati, ne ha per
lo meno tutta
l’apparenza.
Altri esempi, apparentemente più straordinari e più
strettamente collegati
a ciò che di solito consideriamo soprannaturale, sono più
suscettibili di una
spiegazione naturale. Così una storia riferita da Sir
Walter Scott (25) come
segue:
«Il signor Rutherford, di Bowland (26), proprietario
terriero nel Vale of
Gala, era stato citato in giudizio per una somma molto
considerevole, gli
arretrati accumulati di una decima di cui si diceva fosse
debitore a una nobile
famiglia che ne era legalmente titolare. Il signor
Rutherford era certo che suo
padre, con un procedimento peculiare della legge scozzese,
avesse acquistato
questa decima dal titolare, e che, quindi, il presente
processo non avesse basi.
Ma, dopo un’ accurata ricerca tra le carte di suo padre,
un’ indagine nei
documenti pubblici e un’attenta inchiesta fra coloro che
avevano condotto
affari legali per suo padre, non si poté trovare alcuna
prova a sostegno di
quanto affermava. Egli pensava ormai che avrebbe
infallibilmente perso il
processo; e aveva deciso di recarsi a Edimburgo il giorno
dopo per giungere a
un compromesso nel miglior modo possibile. Andò a letto
dopo aver preso
questa decisione e, con tutti i particolari del caso che
gli turbinavano per la
testa, ebbe il seguente sogno. Suo padre, che era morto da
parecchi anni, gli
apparve e gli chiese perché mai fosse così turbato. In
sogno non ci si
meraviglia mai di queste apparizioni. Il signor Rutherford
gli spiegò le cause
del suo disagio aggiungendo che il pagamento di quella
forte somma gli era
127
tanto più spiacevole in quanto era sicuro che non fosse
dovuta, sebbene non
riuscisse a trovare alcuna prova a conferma della sua
certezza. “Hai ragione,
figlio mio”, rispose l’ombra paterna. “Io ho acquistato il
diritto su questa
decima per il cui pagamento sei adesso perseguito. Le
carte relative
all’operazione sono nelle mani del signor..., un
procuratore che si è adesso
ritirato dalla professione e risiede a Inveresk, presso
Edimburgo. Mi sono
servito di lui, in questa occasione per una ragione
particolare, ma non ha mai
trattato altri affari per me. E’ molto probabile”,
proseguì la visione, “che il
signor ... abbia dimenticato un fatto che è ormai di
vecchia data; ma puoi
indurlo a ricordare grazie a questo particolare: quando
andai a pagargli la
parcella, ci fu qualche difficoltà nel cambiare una moneta
d’oro portoghese e
dovemmo cercare una bilancia in una osteria”.
«Al mattino, il signor Rutherford si svegliò con tutte le
parole della visione
impresse nella mente e penso che valeva la pena di fare
una deviazione verso
Inveresk invece di andare direttamente a Edimburgo. Giunto
là, si recò dal
signore indicato dal sogno, che era molto vecchio. Senza
dir nulla della
visione, gli chiese se ricordava di aver condotto
quell’operazione per il suo
defunto padre. Il vecchio dapprima non riuscì a ricordare;
ma quando l’altro
parlò della moneta portoghese, tutto gli tornò a mente.
Cercò
immediatamente i documenti e li trovò, così che il signor
Rutherford poté
portare a Edimburgo le carte necessarie per vincere la
causa che era stato per
perdere».
Sir Walter aggiunge, circa l’autenticità di questo
racconto: «L’autore ha
udito spesso raccontare questa storia da persone che
conoscevano
perfettamente i fatti, che non era probabile fossero state
ingannate e che
erano assolutamente incapaci di ingannare. Non può dunque
rifiutarsi di
darvi credito per quanto straordinarie possano apparire le
circostanze».
La spiegazione che Scott offre in via di ipotesi è «che il
sogno fosse solo una
ricapitolazione di notizie che il signor Rutherford aveva
realmente avuto da
suo padre quando questi era in vita, e che, in un primo
tempo, ricordava solo
come impressione generale che la cosa era già stata
sistemata».
La possibilità che questa sia la vera spiegazione non può
essere negata; ed è
più facile supporla in questo caso che non nel caso del
cassiere di banca.
Tuttavia si presentano serie difficoltà. Non possiamo dare
a esse il giusto peso
perché, come disgraziatamente avviene spesso in queste
narrazioni, mancano
alcuni dei particolari essenziali. Non sappiamo quanti
anni avesse il signor
Rutherford al tempo dell’acquisto della decima. Sappiamo
solo che era una
transazione «di data molto vecchia». E’ probabile che
fosse un fanciullo. Se è
così, non è verosimile che suo padre gli avesse riferito
tutti i particolari
dell’operazione come la difficoltà di cambiare una moneta
portoghese e il
128
ricorso a un’osteria. Se, d’altra parte, egli era già
adulto, non è probabile che
un fatto così importante fosse totalmente svanito dalla
sua memoria da non
potere essere ricordato coscientemente, come lo fu dal
vecchio procuratore.
Ed è evidente che non fu ricordato. Il figlio era sicuro
che non si trattò di un
affiorare di ricordi, ma di avere realmente parlato con lo
spirito di suo padre;
Scott scrive infatti: «Questa notevole circostanza ebbe
brutte conseguenze per
il signor Rutherford, la cui salute e il cui carattere
furono in seguito indeboliti
dalla continua attenzione che egli credeva di dovere
rivolgere alla visione di
quella notte».
Vi è poi un’altra difficoltà: e cioè la coincidenza fra il
suggerimento del
preteso spirito e ciò che avvenne effettivamente durante
la visita al
procuratore di Inveresk. Egli aveva effettivamente dimenticato
la transazione.
Questa circostanza fu prevista per caso? La sua memoria fu
effettivamente
rinfrescata dall’allusione all’incidente della moneta
portoghese. Avvenne
anche questo per caso?
A meno che non si consideri come sicuro che una comunicazione
ultraterrena non può esistere, la conclusione più semplice
e naturale in questo
caso è che il padre sia apparso realmente, in sogno, al
figlio. E l’argomento in
contrario che Scott adduce nel suo commento dell’episodio
ha poco peso. Egli
dice: «Pochi supporranno che le leggi della natura siano
state interrotte e sia
stata permessa una speciale comunicazione fra il defunto e
il vivo, solo per far
risparmiare al signor Rutherford qualche centinaio di
sterline». E’ certamente
vero che questa sarebbe una supposizione poco ragionevole.
Per quanto poco
si possa dire sulle vie scelte da Dio, possiamo tuttavia
dar credito all’antica
massima: «Nec Deus intersit, nisi dignus vindice nodus»
(Non si faccia
intervenire Dio se il problema non è degno del suo
intervento). Ma,
supponendo per un momento che sia stato lo spirito paterno
a mettersi in
comunicazione col figlio, questo non implicherebbe affatto
una interruzione
delle leggi della natura o la necessità di uno speciale
permesso. Ho già esposto
(27) le ragioni per cui credo che, se vi è una occasionale
comunicazione fra i
morti e i viventi, questo avviene in certe date
condizioni, forse fisiche, e
dirette in ogni caso da leggi costanti e immutabili come
quelle che tengono i
pianeti sulla loro orbita stabilita. E se, come la Bibbia
afferma (28) e i poeti
hanno cantato (29), gli spiriti dei defunti si interessano
al benessere dei loro
cari rimasti in terra, e se essi possono talora, in virtù
di queste leggi,
manifestare quell’interesse, perché non dovremmo immaginare
un padre il
quale colga l’opportunità di stornare un’ingiustizia che
sta per colpire suo
figlio ? E perché dovremmo accettare e adottare estreme
improbabilità per
sfuggire a ogni costo a una simile conclusione?
Il signor Rutherford sembra essere caduto nello stesso
errore di Sir Walter,
sebbene nel caso di quest’ultimo si sia risolto in
scetticismo e, nel primo, in
129
superstizione. Una più illuminata visione del caso sarebbe
stata più benefica
per entrambi. Avrebbe indotto l’autore di Waverley a
dubitare del diritto di
negare (se realmente nell’intimo del suo cuore negò)
l’occasionale realtà di un
agente ultraterreno; e avrebbe risparmiato al signor
Rutherford l’illusione di
credersi, come sembra abbia fatto, l’oggetto favorito di
uno speciale e
miracoloso intervento divino.
Facciamo un passo avanti. Supponiamo che si vogliano
considerare questi
due casi, con tutte le difficoltà che li circondano, come
semplici esempi di un
riaffiorare di vecchi ricordi, e guardiamo se non vi siano
casi in cui venga
presentata alla mente di chi sogna una realtà che non può
essere tratta dalle
profondità della memoria perché non vi è mai esistita. Che
fare, a esempio, di
fronte a un caso come questo, capitato a William Howitt e
riferito dall’autore
stesso? La cosa avvenne durante il suo viaggio in
Australia nel 1852.
«Alcune settimane fa, mentre ero ancora in mare, sognai di
essere da mio
fratello a Melburne, e di trovare la sua casa su di una
collina, all’estremo della
città, presso una foresta. Il giardino scendeva per un
poco giù dalla collina,
fino a una costruzione di mattoni sottostante; e vi erano
case verdi sulla
destra presso il muro, guardando il basso della collina
dalla casa. Nel mio
sogno, mentre guardavo dalla finestra, vidi un bosco di
alberi dal fogliame
scuro, le cui cime sembravano in qualche modo isolate,
ossia non formavano
una densa massa come nei nostri boschi. “Laggiù”, dissi in
sogno volgendomi
a qualcuno, “vedo la vostra foresta nativa di eucalipti!”.
Raccontai il sogno ai
miei figli e, in egual tempo, a due miei compagni di
viaggio; e, sbarcati,
mentre passeggiavamo per i prati, molto prima di
raggiungere la città, vidi
quel bosco. “Eccolo”, dissi, “è proprio il bosco del mio
sogno. Adesso vedremo
la casa di mio fratello”. E così fu. Era esattamente là
dove l’avevo vista, solo
che appariva più nuova; ma là, sopra le mura del giardino,
vi era il bosco
esattamente come lo avevo visto e come lo vedo ora, mentre
me ne sto seduto
a scrivere davanti alla finestra della sala da pranzo.
Quando guardo questa
scena mi sembra di rivedere il mio sogno» (30).
A meno che non immaginiamo che Howitt abbia confuso
immagini avute
in precedenza da una minuta descrizione del panorama
visibile dalle finestre
di suo fratello con le impressioni qui presentate come
ricevute in sogno
(supposizione che nel caso di uno scrittore così
intelligente è inammissibile),
come possiamo spiegare questo sogno con la teoria dei
ricordi riaffiorati? E
qui l’ipotesi di una semplice coincidenza casuale è
evidentemente fuori luogo.
In realtà il caso è difficile a spiegarsi con una
qualsiasi teoria comunemente
accettata.
E non lo è meno il seguente, una esperienza personale
esposta dalla
signora Howitt nell’Appendice alla traduzione fatta da suo
marito dell’opera
130
di Ennemoser appena citata. «La notte del 12 marzo 1853»,
ella scrive,
«sognai di ricevere una lettera del mio figlio maggiore.
In sogno mi affrettavo
a rompere il sigillo e vedevo un foglio coperto da una
fitta scrittura; ma il mio
occhio colse solo queste parole, al centro della prima
pagina, scritte in
calligrafia più grande del resto e sottolineate: “Mio
padre sta molto
male”. Fui
presa da una tremenda angoscia e mi svegliai d’improvviso per
accorgermi che si trattava solo di un sogno; tuttavia la
penosa impressione
della realtà era stata così viva che rimasi a lungo senza
riuscire a riprendermi.
Il mattino, la prima cosa che feci fu di cominciare una
lettera a mio marito
riferendogli questo sogno conturbante. Sei giorni dopo, il
18, un corriere
australiano mi porto una lettera, l’unica giuntami con
quel corriere, e non una
lettera della mia famiglia, ma di un signore
dell’Australia, che conoscevamo.
Sull’esterno della lettera era scritto “Urgente”. L’aprii
con mani tremanti, e
il fatto è che le prime parole che lessi, scritte in calligrafia
più grande, ai
centro della pagina e sottolineate erano: “Il signor
Howitt sta molto
male”. Tuttavia
il contesto in cui si trovava questa terribile frase suonava
così: “Se vi è giunta notizia che il signor Howitt
sta molto male,
permettetemi di assicurarvi che adesso sta meglio”; ma le
uniche parole
paurose erano quelle che avevo visto in sogno, e queste,
leggermente diverse
dalla realtà, che sembravano significare, come, per una
ragione o per un’altra,
avviene in queste impressioni mentali, o rivelazioni
spiritiche, o espressioni
occulte».
Che fare in un caso come questo, direttamente attestato da
una signora di
elevato carattere e intelligenza e garantito dalla sua
personale esperienza? In
sogno, nell’aprire una lettera di suo figlio, allora in Australia,
vede al centro
della pagina, scritte in calligrafia più grande e
sottolineate, le
parole «Mio padre sta molto male». Sei giorni dopo riceve
veramente una
lettera dall’Australia, non di suo figlio ma di un amico,
e lì, al centro della
pagina, in caratteri più grandi e sottolineate, le prime parole che il
suo sguardo incontra sono: «il signor Howitt sta molto
male». E’ un caso?
Tutte queste coincidenze un caso? Anzitutto le parole che
corrispondono
quasi letteralmente e con lo stesso significato; poi la
posizione al centro della
pagina; in seguito le più grandi dimensioni dei caratteri;
infine la
sottolineatura? La mente istintivamente e giustamente
respinge questa
conclusione.
Qualunque cosa sia, non è un caso. I mesmeristi la
chiamano
chiaroveggenza o vista a distanza (vue à distance),
caratterizzata da una
lucidità in qualche modo imperfetta.
Perché il lettore non si immagini che, fondandosi sui
principi comuni per
spiegare i precedenti esempi, ha raggiunto il massimo
delle difficoltà relative
all’argomento, citerò qui, traendoli da una moltitudine di
altri esempi di ciò
131
che a buon diritto può essere chiamato chiaroveggenza
naturale, ancora uno o
due casi, che il lettore stesso troverà ancora più
imbarazzanti per chi voglia
spiegarli con la teoria della coincidenza fortuita.
La veridicità. del primo è garantita dal dott. Carlyon,
autore di un’opera da
cui lo ho tolto, che lo ebbe dal testimone principale e
che, come garanzia,
presenta in tutti i particolari i nomi, il luogo e la
data.
L’OMICIDIO PRESSO WADEBRIDGE
«La sera dell’8 febbraio 1840, il signor Nevel Norway, un
gentiluomo della
Cornovaglia, fu barbaramente assassinato da due fratelli
di nome Lightfoot,
mentre stava andando da Bodmin a Wadebridge, suo luogo di
residenza.
«In quel tempo suo fratello, Edmund Norway, era al comando
di una nave
mercantile, “l’Orient”, in viaggio da Malila a Cadice; e
quel che segue è il suo
resoconto di un sogno da lui avuto la notte stessa in cui
suo fratello veniva
assassinato».
Nave “Orient” da Manila a Cadice,
8 febbraio 1840.
«Circa le 7,30 pomeridiane, l’isola di Sant’Elena a NN.W.,
distante circa
sette miglia; ridotto le vele puntando a est; alle otto
messa la guardia e andato
sotto coperta; scritta una lettera a mio fratello, Nevel
Norway. Circa venti
minuti o un quarto prima delle dieci andato al letto;
addormentato e sognato
di vedere due uomini aggredire mio fratello e ucciderlo.
L’uno prese il cavallo
per le briglie e fece scattare due volte una pistola, ma
non udii detonazione.
Poi gli tirò un colpo ed egli cadde da cavallo. Gli
spararono vari colpi, lo
tirarono per le spalle attraverso la strada e, lo
lasciarono lì. Nel sogno v’era
una casa sulla sinistra della strada. Alle quattro sono
stato chiamato e sono
salito sul ponte per prendere il comando della nave. Ho
raccontato al mio
secondo, Henry Wren, di aver fatto un sogno terribile, e
cioè che mio fratello
Nevel era stato ucciso da due uomini sulla strada da St.
Columb a
Wadebridge, ma che ero sicuro che non poteva essere lì,
perché la casa
avrebbe dovuto essere sul lato destro della strada; quindi
doveva essere stato
in un altro luogo. Lui mi ha risposto: “Non credete a
nulla di questo sogno.
Voi dell’ovest siete così superstiziosi! Vi angoscereste
per tutto il viaggio”. Poi
mi fece la consegna e andò sotto coperta. Il sogno è
durato in continuità dal
momento in cui mi sono addormentato fino a quando fui
svegliato alle
quattro del mattino».
132
Edmund Norway
Comandante della nave Orient
«Questo il sogno. Ed ecco la confessione di William
Lightfoot, uno degli
assassini, che fu giustiziato con suo fratello a Bodmin il
lunedì 13 aprile 1840.
«“Andai a Bodmin, sabato scorso, l’8 di questo mese (8
febbraio 1840), e
nel ritorno incontrai mio fratello James all’inizio di
Dummeer Mill. Era già
buio. Entrammo nella strada a pedaggio e proseguimmo fino
alla casa presso
il luogo in cui fu commesso il delitto. Non entrammo nella
casa ma ci
nascondemmo in un campo. Mio fratello abbatté il signor
Norway; fece
scattare la pistola due volte, ma l’arma non sparo. Poi lo
abbatté con un colpo
di pistola. Io ero lì con lui. Il signor Norway fu colpito
mentre era a cavallo.
Avvenne sulla strada a pedaggio, fra Pencarrow Hill e
l’indicatore stradale per
Wadebridge. Non so che ora fosse. Lasciammo il corpo
nell’acqua, sul lato
sinistro della strada andando verso Wadebridge. Prendemmo
del denaro da
una borsa, ma non so quanto. Mio fratello trascinò il
corpo attraverso la
strada fino al rigagnolo”.
«Al processo, il signor Abraham Hambly affermò di avere
lasciato Bodmin
dieci minuti prima delle dieci e di essere stato raggiunto
dal signor Norway a
circa un quarto di miglio da Bodmin. Avevano cavalcato
insieme per circa due
miglia, fin dove le loro strade si separavano.
«Il signor John Hick, un agricoltore di St. Minver, lasciò
Bodmin alle dieci
e un quarto prendendo la via di Wadebridge, e vide il
cavallo del signor
Norway, che galoppava davanti a lui senza cavaliere.
L’orologio batté le undici
un attimo prima che giungesse a Wadebridge.
«Il signor Thomas Gregory, carrettiere del signor Norway,
fu chiamato dal
signor Hick verso le undici, e, andando alla stalla, trovò
sulla porta il cavallo
del suo padrone. Sulla sella v’erano due macchie di sangue
fresco. Prese il
pony e
imboccò la strada. Era con lui Edward Cavel. Giunsero in una località
chiamata North Hill, dove vi è una casetta solitaria e
disabitata sul lato destro
della strada andando verso Bodmin. Adiacente alla casa,
dalla parte di
Wadebridge c’è un orticello e un rigagnolo che scende
lungo la strada.
Trovarono il corpo del signor Norway nell’acqua.
«La deposizione del chirurgo, signor Tickell, mise in
evidenza che la testa
era stata paurosamente colpita e fratturata.
«Si noterà che il signor Edmund Norway, nel riferire il
sogno, il mattino
seguente, al suo secondo, osservò che il delitto non
poteva essere stato
commesso sulla strada di St. Columb, perché la casa,
andando di lì verso
133
Wadebridge, rimane sulla destra, mentre, nel sogno, era
sulla sinistra. Questa
circostanza, sebbene apparentemente insignificante, accresce
in qualche
modo l’interesse del sogno senza sminuire minimamente la
sua esattezza;
perché tali discrepanze sono caratteristiche delle
impressioni sensoriali, del
tutto involontarie, e sono molto più vicine alla
produzione di un dagherrotipo
che a quella di un ritrattista, la cui opera dipende dalla
sua volontà.
«Chiesi al signor Edmund Norway se, supponendo che non
avesse scritto
una lettera a suo fratello la sera dell’8 febbraio, e
avesse tuttavia fatto quel
sogno, l’impressione ricevuta sarebbe stata tale da
impedirgli di scrivere in
seguito. Mi rispose che forse il fatto non avrebbe avuto
queste conseguenze,
ma che non poteva dirlo con precisione.
«In ogni caso il sogno deve essere considerato notevole
per la sua indubbia
autenticità e la sua perfetta coincidenza nel tempo e
nelle circostanze con un
orribile delitto» (31).
Fin qui la relazione del dott. Carlyon. Consideriamo
brevemente il caso.
La coincidenza per quel che riguarda il tempo è esatta,
perché l’omicidio
avvenne la notte stessa del sogno. Non si tratta di un
incidente ordinario, ma
di un delitto piuttosto raro. La precisa corrispondenza
fra il sogno e le
circostanze reali non deve essere provata da ricordi
rievocati settimane o mesi
dopo il sogno, perché la prova è un estratto preso verbatim
dal giornale di
bordo, la relazione immediata, quando tutto era fresco
nella memoria.
E’ vero che il signor Norway aveva scritto al fratello
prima di andare a
dormire, ed è probabile che si sia addormentato pensando a
lui. Non è
impossibile che, senza questa direzione dei suoi pensieri,
egli non avrebbe
avuto alcun sogno; perché chi può stabilire il potere
della simpatia o fissare
dei limiti a questo potere?
Era dunque naturale che sognasse del fratello. Ma era
egualmente naturale
(nella comune accezione del termine) che ogni minimo
particolare di un
delitto perpetrato in Inghilterra, fosse visto, nel
momento stesso, in una
visione notturna, da un navigatore al largo dell’isola di
Sant’Elena?
La minuziosa esattezza della corrispondenza può essere
meglio giudicata
contrapponendo i vari incidenti visti nel sogno a quelli
che furono messi in
evidenza durante il processo:
Il signor Edmund Norway sognò
che suo fratello Nevel veniva
aggredito da due uomini e ucciso.
Il signor Nevel Norway fu aggredito
la stessa notte da William Lightfoot e
da suo fratello James e ucciso da loro.
134
Il signor Edmund Norway sognò
«che si trattava della strada da St.
Coulomb a Wadebridge».
«Avvenne sulla strada a pedaggio
fra Pencarrow Mill e l’indicatore
stradale per Wadebridge».
Il signor Edmund Norway sognò
che uno degli uomini «prese il cavallo
per le briglie e fece scattare due volte
una pistola, ma non udì la
detonazione. Poi gli tirò un colpo ed
egli cadde da cavallo».
James Norway «fece scattare la
pistola due volte, ma l’arma non
sparò. Poi lo abbatté con un colpo di
pistola» … «Il signor Norway fu
colpito mentre era a cavallo».
Il signor Edmund Norway sognò
che gli assassini «gli spararono vari
colpi, lo tirarono per le spalle
attraverso la strada e lo lasciarono lì».
James Lighfoot «trascinò il corpo
attraverso la strada fino al rigagnolo».
… Gli assassini lasciarono «il corpo
nell’acqua, sul lato sinistro della
strada andando verso Wadebridge».
Difficilmente potrebbe essere immaginata una più completa
serie di
corrispondenze tra un sogno e la realtà: L’incidente della
pistola che per due
volte fa cilecca è da solo conclusivo. Le varie
coincidenze, prese insieme, come
prova che il caso non può essere la vera spiegazione,
hanno tutta la forza di
una dimostrazione di Euclide.
Vi era un’inesattezza circa la casa sulla sinistra della
strada mentre in realtà
si trovava sulla destra; così come le parole nella lettera
della signora Howitt
variavano leggermente da quelle da lei lette in sogno:
inesattezze istruttive,
queste, che non invalidano minimamente le prove esistenti
indipendentemente da esse, ma che ci insegnano come, anche
attraverso un
agente che noi siamo abituati a chiamare soprannaturale,
la verità può
giungere a noi frammista all’errore, e come la
chiaroveggenza, anche la più
notevole, è per lo meno incerta e debole.
L’esempio seguente - pure di chiaroveggenza in sogno - mi
è stato riferito
personalmente dal protagonista.
I DUE TOPI DI CAMPO
135
Nell’inverno del 1835-36, una goletta rimase prigioniera
dei ghiacci nella
parte superiore della Baia di Fundy, presso Dorchester,
che è a nove miglia
dal fiume Pedeuliac. Durante il tempo della forzata
immobilità fu affidata a
un certo signor Clarke, il quale è oggi capitano della
goletta «Julia Hallock»,
che viaggia fra New York e Santiago de Cuba.
La nonna paterna del capitano Clarke, signora Ann Dawe
Clarke, a cui egli
era molto affezionato, era allora vivente e, per quanto
egli ne sapeva, stava
bene. Dimorava a Lyme-Regis, nella contea di Dorset, in
Inghilterra.
La notte del 17 febbraio 1836, il capitano Clarke, allora
a bordo della
goletta di cui abbiamo parlato, ebbe un sogno così vivido
da fare su di lui una
grande impressione. Sognò di essere a Lyme-Regis e di
vedersi passare
davanti il funerale di sua nonna. Notò le principali
persone che facevano parte
della processione, osservò coloro che tenevano i cordoni,
i dolenti e l’ordine in
cui avanzavano e identificò il pastore officiante. Si unì
alla processione che
andava avvicinandosi alla porta del cimitero, e si avviò
con essa fino alla
tomba. Sempre in sogno gli parve che il tempo fosse
piovoso e la terra umida
come dopo una forte pioggia; notò anche che il vento
impetuoso aveva
scostato in parte, dalla bara, il drappo funebre. Il
vecchio cimitero
protestante, nel centro della città, in cui entrarono, era
lo stesso in cui, come il
capitano Clarke sapeva, vi era la tomba della sua
famiglia. Ne ricordava
perfettamente l’ubicazione, ma, con sua sorpresa, la
processione non si avviò
verso di essa ma si diresse verso un’altra parte del
cimitero, a qualche
distanza. Lì, sempre in sogno, vide una tomba aperta, in
parte riempita
d’acqua, a causa, sembrava, della pioggia; e, guardando in
essa, noto
particolarmente due topi di campo annegati che
galleggiavano nell’acqua. In
seguito gli parve di parlare con sua madre, la quale gli
diceva che la mattina
era stata così tempestosa che il funerale, dapprima
fissato per le dieci, aveva
dovuto essere differito fino alle quattro. Egli notò a sua
volta che era stata una
circostanza fortunata perché, essendo arrivato appena in
tempo per unirsi alla
processione, se il funerale fosse avvenuto il mattino non
avrebbe potuto
essere presente.
Questo sogno fece tanta impressione sul capitano Clarke,
che al mattino
prese nota della data. Qualche tempo più tardi gli giunse
la notizia della morte
della nonna con in più il particolare che essa era stata
sepolta nel giorno
stesso in cui lui, nel Nord America, aveva sognato il suo
funerale.
Quattro anni dopo, quando il capitano Clarke visitò
Lyme-Regis, trovò che
ogni particolare del sogno corrispondeva alla realtà. Il
pastore, coloro che
tenevano i cordoni, i dolenti erano le stesse persone da
lui viste. Tuttavia si
può supporre che egli avrebbe potuto prevedere
naturalmente tutto ciò. Ma il
funerale era stato realmente fissato per le dieci del
mattino e differito poi alle
136
quattro del pomeriggio in conseguenza di un uragano e
della forte pioggia che
cadeva. Sua madre, che era presente al funerale, ricordava
distintamente che
il vento aveva tirato parzialmente da parte il drappo
funebre della bara. In
seguito a un desiderio espresso dalla vecchia signora poco
prima di morire,
ella era stata sepolta non già nella tomba di famiglia, ma
in un altro luogo da
lei scelto; e a questo luogo il capitano Clarke si recò
subito, senza avere avuto
indicazioni dalla famiglia né da altri, sicuro come se
fosse stato presente alla
sepoltura. Infine, dopo aver mostrato le sue note al
vecchio sacrestano, venne
a sapere che la forte pioggia del mattino aveva riempito
in parte la fossa e che
in essa erano stati realmente trovati due topi di campo
annegati.
Quest’ultimo fatto, anche se non ve ne fossero altri,
sarebbe sufficiente a
eliminare l’idea di una coincidenza casuale.
Tutto ciò mi è stato raccontato dallo stesso capitano
Clarke (32), con
l’autorizzazione a valermi del suo nome come prova della
verità (33).
Se qualcuno fosse tentato di considerare la facoltà della
chiaroveggenza
naturale, evidentemente, confermata dai precedenti esempi,
come un dono
miracoloso, farà bene a meditare che, mentre in alcuni
esempi di questa
facoltà troviamo casi in cui sono in giuoco la vita o la
morte, altri, egualmente
autentici, sono di un carattere molto più banale.
Ecco un esempio di questi ultimi, garantito da
Abercrombie: «Una signora
di Edimburgo aveva mandato il suo orologio a riparare.
Passò molto tempo
senza che riuscisse a riaverlo, per una scusa o per
un’altra, e infine cominciò a
sospettare che fosse avvenuto qualche spiacevole
incidente. Una notte sognò
che il garzone dell’orologiaio, per mezzo del quale aveva
inviato l’orologio, lo
aveva fatto cadere per strada danneggiandolo
irreparabilmente. Andò
dall’orologiaio e, senza fare allusione al suo sogno, gli
pose direttamente la
domanda; l’altro confessò che era vero» (34).
In questo caso nulla potrebbe essere più ridicolo del
supporre un
intervento miracoloso per far sapere a una signora le
ragioni per cui un
orologiaio tratteneva il suo orologio; e tuttavia come è
estremamente
improbabile che, fra le diecimila possibili cause di questo
ritardo, il caso le
abbia indicato in sogno proprio quella, apparentemente fra
le meno
prevedibili e probabili, che coincideva esattamente con la
realtà!
E’ difficile spiegare anche un caso semplice come questo,
a meno che non
mettiamo in dubbio la buona fede della narratrice,
supponendo che ella abbia
volontariamente taciuto qualche circostanza essenziale,
come, per esempio,
che avesse avuto ragione di sospettare, in seguito a
qualche informazione, che
il ragazzo avesse lasciato cadere l’orologio. Ma poiché
Abercrombie garantisce
che la narrazione è autentica, questo esclude,
naturalmente, ogni
137
supposizione che priverebbe l’aneddoto di ogni valore nel
contesto nel quale è
pubblicato.
Nei tre esempi che seguono, e che sono di un tipo diverso
da quello dei
precedenti, possiamo andare ancora più in là e affermare
che, se il narratore
non mente direttamente, vi sono fenomeni e leggi connessi
col sogno che non
sono ancora stati spiegati né accuratamente investigati.
Il primo mi fu comunicato nel marzo 1859 dalla signorina
A.M.H.,
intelligente figlia di una personalità conosciuta nei
circoli letterari inglesi. Lo
riferisco con le sue parole.
UN SOGNO
COMPLEMENTARE DI UN ALTRO
«Avevamo un amico, S., il quale alcuni anni fa si trovava
in un delicato
stato di salute, considerato di carattere consuntivo.
Abitava a parecchie
centinaia di miglia da noi, e, sebbene la nostra famiglia
fosse con lui in grande
intimità, non conoscevamo né la sua casa né alcuno della
sua famiglia; le
nostre relazioni consistevano soprattutto in lettere che
ricevevamo a
intervalli.
«Una notte, pur non avendo alcuna ragione per pensare a
lui né alla sua
salute, sognai di dover andare nella città in cui
risiedeva. In sogno mi parve di
arrivare a una data casa, di entrarvi e di salire direttamente
in una stanza in
ombra. Lì vidi, S., abbandonato sul letto come se stesse
per morire. Mi
avvicinai a lui e, non già con tristezza ma come animata
da una fiduciosa
sicurezza, gli presi una mano dicendogli: “No, non state
per morire.
Rassicuratevi: vivrete”. Mentre parlavo, mi sembrava di
udire una squisita
melodia che risuonava nella stanza.
«Svegliatami, l’impressione riportata era così viva che,
incapace di metterla
da parte fino al giorno dopo, la comunicai a mia madre, e
poi scrissi a S.,
chiedendogli della sua salute ma senza fargli alcun cenno
delle ragioni della
mia ansietà.
«La sua risposta ci informò che egli era stato molto male
- addirittura in
punto di morte - e che la mia lettera, da lui letta solo
alcuni giorni dopo averla
ricevuta, a causa della sua malattia, lo aveva riempito di
gioia.
«Tre anni dopo, mia madre e io incontrammo S. a Londra, e,
poiché ci
eravamo messi a parlare di sogni, io dissi: “A proposito,
tre anni fa, quando
eravate malato, ho avuto uno strano sogno su di voi”, e
glielo riferii. Mentre
parlavo notai sul suo volto una singolare espressione, e,
quando ebbi finito,
138
egli mi disse molto commosso: “E’ una cosa molto strana,
perché anch’io, una
notte o due prima che arrivasse la vostra lettera, ho
avuto un sogno che fa
perfettamente riscontro al vostro. Mi vedevo in punto di
morte e stavo dando
l’ultimo addio a mio fratello. Lui mi disse: “C’è qualche
cosa che possa fare
per te prima della tua morte?”. “Sì”, risposi in sogno,
“manda a chiamare la
mia amica A.M.H. Devo vederla prima di andarmene”.
“Impossibile”, disse
mio fratello, “sarebbe una cosa inaudita. Non verrà mai”.
Ma io insistei:
“Verrà”. E aggiunsi: “Vorrei anche ascoltare, prima di
morire, la mia sonata
favorita di Beethoven”. “Ma sono sciocchezze”, disse mio
fratello quasi con
severità. “Non hai desideri più seri in un’ora così
solenne?”. “No, tutto quello
che voglio è di vedere la mia amica A.M. e udire la
sonata”. E, mentre parlavo,
in sogno vi vidi entrare. Voi vi avvicinaste al letto con
aria allegra, e, mentre la
musica che desideravo riempiva la stanza, voi mi parlaste
incoraggiandomi e
dicendomi che non sarei morto”».
Conoscendo bene la narratrice, posso garantire questo
racconto che
comprende il raro e notevole fenomeno di due sogni
concorrenti e
contemporanei.
Il secondo esempio è presentato da Abercrombie (35) come
citato da
Joseph Taylor (36) quale fatto indubitabile. Avvenne al
defunto reverendo
Joseph Wilkins, in seguito pastore dissenziente a
Weymouth, nel Dorsetshire,
Inghilterra, ma allora usciere di una scuola del
Devonshire, quando aveva
ventitré anni, e cioè nel 1754. 11 signor Wilkins morì il
22 novembre 1800 nel
settantesimo anno di età. Negli annunci necrologici del Gentleman’s
Magazine vi è un
trafiletto sulla sua morte, in cui si dice: «Per liberalità di
sentimenti, generosità di carattere e immutevole integrità
ebbe pochi eguali e
quasi nessun superiore» (37).
Il racconto originale fu da lui stesso esposto per
iscritto e accuratamente
osservato, (io vi ho aggiunto solo il titolo) e suona
così:
LA MADRE E IL FIGLIO
«Una notte, subito dopo essere andato a letto, mi
addormentai e sognai di
andare a Londra. Pensai che non avrei di molto allungato
la strada
attraversando il Gloucestershire per visitare i miei
amici. Di conseguenza lo
feci, ma non ricordo nulla di quanto accadde per via
finché non giunsi alla
casa di mio padre. Andai alla porta principale e cercai di
aprirla, ma era
sbarrata. Allora andai alla porta del retro, l’aprii ed
entrai; poiché tutta la
famiglia era a letto, attraversai le stanze, salii al
piano di sopra ed entrai nella
stanza in cui dormivano mio padre e mia madre.
Avvicinatomi al lato del letto
139
in cui stava mio padre, lo trovai addormentato, o pensai
che lo fosse; allora
andai sull’altro lato e, appena passato oltre i piedi del
letto, scorsi mia madre
sveglia e le rivolsi queste parole: “Mamma, sto facendo un
lungo viaggio e
sono venuto a salutarti”. Lei mi rispose atterrita: “Oh,
figlio mio, sei morto!”.
A questo punto mi svegliai e lo considerai un sogno normale
a parte il fatto
che mi sembrava molto realistico. Pochi giorni dopo,
appena il tempo
necessario perché una lettera potesse arrivarmi, ne
ricevetti una di mio padre.
Ne fui un po’ sorpreso e pensai che doveva essere successo
qualcosa di
straordinario, perché solo poco tempo prima avevo ricevuto
una lettera di
amici e tutto andava bene. Apertala, fui ancora più
sorpreso perché mio padre
scriveva come se fossi morto, pregando me, se ero ancora
in vita, o chiunque
altro nelle cui mani la lettera fosse capitata, di
scrivere immediatamente. Ma i
miei concludevano dicendo che, se la lettera mi avesse
trovato vivo, io non
sarei vissuto a lungo, e davano questa ragione dei loro
timori: una notte (e la
indicavano), mentre erano a letto, mio padre addormentato
e mia madre
sveglia, ella aveva udito qualcuno cercar di aprire la
porta principale; ma
trovandola sbarrata, costui era andato alla porta sul
retro, l’aveva aperta, era
entrato ed era salito direttamente al piano di sopra: lei
aveva perfettamente
riconosciuto il mio passo. Io ero andato al suo capezzale
e le avevo detto:
“Mamma, sto facendo un lungo viaggio e sono venuto a
salutarti”. Al che lei
mi aveva risposto atterrita: “Oh, figlio mio, sei morto!”.
Le stesse circostanze,
e le stesse parole da me sognate. Non vide altro e non udì
altro, al pari di me
nel sogno. Allora si riscosse e disse a mio padre quello
che era accaduto; ma
lui cerco di calmarla persuadendola che si trattava solo
di un sogno. Lei
insistette tuttavia che non era un sogno perché era
sveglia quanto poteva
esserlo e non aveva avuto la minima tendenza ad
addormentarsi da quando
era a letto. Da questo inferisco che doveva essere lo
stesso momento in cui
avveniva il mio sogno, sebbene la distanza fosse di circa
cento miglia, ma su
questo punto non sono sicuro. Il fatto avvenne quando ero
all’accademia di
Ottery, Devon, nell’anno 1754; e ogni particolare è ancora
vivo nella mia
mente. In seguito ho avuto spesso occasione di parlare
della cosa con mia
madre, e anche lei aveva ricordi non meno netti dei miei.
Ho pensato più volte
che le sue impressioni in proposito fossero più forti
delle mie. Quel che può
apparire strano è che io non ricordo nulla di
particolarmente notevole che mi
sia avvenuto in seguito. Questa è solo una pura e semplice
narrazione di un
fatto reale».
Che nulla di straordinario sia avvenuto in seguito - a
esempio una morte
improvvisa, di cui il sogno fosse un preavviso - è una
peculiarità istruttiva di
questo caso. Dovremo dire, come sogliono fare i
superstiziosi, che è un caso
miracoloso? Sarebbe un miracolo senza alcun motivo.
140
L’incidente, se ne ammettiamo l’autenticità, può solo
servire a confutare le
comuni nozioni che si hanno in proposito. E la completa
indipendenza del
fatto da ogni pretesa predizione o presentimento può
essere un’ulteriore
garanzia della sua verità. Non vi era nulla che potesse
ingannare
l’immaginazione, né alcuna base su cui si potesse avere la
tentazione di creare
una sovrastruttura fantastica.
Né questa narrazione, per quanto inesplicabili possano apparire
le
circostanze, è unica nel suo genere. Un’altra, molto bene
autenticata, è
presentata, fra una cinquantina di altre evidentemente
apocrife, da Baxter nel
suo noto Certainty of the World of Spirits (Certezza
del mondo degli
spiriti) (38). Proviene da un ecclesiastico residente nel
Kent. La trascrivo
letteralmente, aggiungendo solo il titolo.
L’AMORE MATERNO
«Reverendo Signore,
Poiché ho saputo che state scrivendo sulle arti magiche e
le apparizioni, mi
prendo la libertà, sebbene non mi conosciate, di mandarvi
la seguente
relazione.
«Mary, moglie di John Goffe, di Rochester, afflitta da una
lunga malattia, si
trasferì nella casa di suo padre a West Mulling, circa
nove miglia distante da
casa sua. E lì morì il 4 giugno di quest’anno 1691.
«Il giorno prima della sua dipartita, ella divenne ansiosa
di vedere i suoi
due bambini, che aveva lasciato a casa sotto le cure di
una governante. Pregò
il marito di noleggiare un cavallo perché voleva tornare a
casa e morire
accanto ai suoi figli. Cercarono di persuaderla che era
impossibile dicendole
che non era in condizioni di lasciare il letto e tanto
meno di cavalcare, ma ella
li scongiuro tuttavia di provare. “Se non posso stare in
sella”, disse,
“sdraiatemi sul dorso del cavallo, perché devo vedere i
miei poveri piccoli”.
Alle dieci di quella sera era con lei un sacerdote della
città, e a lui ella espresse
la sua speranza nella misericordia divina e la sua
rassegnazione alla morte.
“Ma”, aggiunse, “sono disperata per non poter vedere i
miei bambini”. Fra
l’una e le due del mattino cadde in uno stato estatico.
Una certa vedova
Turner, che quella notte la vegliava, disse che i suoi
occhi erano aperti e fissi e
la mascella pendente. Mise la mano sulla sua bocca e le
sue narici, ma non
poté percepire alcun respiro. Pensò che fosse sopravvenuta
una crisi e si
domando se era morta o viva.
141
«Il mattino dopo, la morente disse alla madre di essere
stata a casa, dai
suoi bambini. E’ impossibile”, rispose la madre, “perché
sei sempre rimasta a
letto”. “Sì”, rispose l’altra, “ma io sono stata con loro
stanotte mentre
dormivo”.
«La governante di Rochester, una certa vedova Alexander,
affermò
sostenendo di poterlo giurare davanti a un magistrato e di
poter ricevere il
sacramento dopo il giuramento, che un poco prima delle due
del mattino,
aveva visto l’immagine della detta Mary Goffe uscire dalla
stanza vicina (dove
dormiva da solo il figlio maggiore), la cui porta era
aperta, e restare per circa
un quarto d’ora a fianco del suo letto, dove dormiva con
lei il bambino più
piccolo. Muoveva gli occhi e le labbra, ma non disse
niente. La governante
affermò inoltre di essere stata perfettamente sveglia.
Faceva già chiaro perché
era uno dei giorni più lunghi dell’anno. Si sedette sul
letto e fissò
l’apparizione. In quel momento udì l’orologio del ponte
battere le due, e poco
dopo disse: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo, chi sei?”.
Allora l’apparizione si mosse e andò via. Lei si infilò un
abito e la seguì, ma
non poté vedere dove fosse andata. Solo allora cominciò ad
avere paura, uscì
fuori e si mise a camminare per qualche ora lungo la riva
(la casa è appunto
sulla riva del fiume), andando ogni tanto a guardare i
bambini. Alle cinque
andò alla casa di un vicino e bussò; ma non vollero
alzarsi. Alle sei vi tornò;
allora si alzarono e la fecero entrare. Riferì loro quello
che era avvenuto; essi
cercarono di persuaderla di essersi sbagliata o di avere
sognato. Ma lei
affermò: “Se l’ho mai vista in vita mia, l’ho vista
stanotte”.
«Una di coloro a cui aveva narrato il fatto (Mary, moglie
di John Sweet)
ricevette nella mattina un messaggio da Mulling col quale
le annunciavano
che la sua vicina Goffe stava morendo e desiderava
parlarle. Vi andò il giorno
stesso e la trovò in punto di morte. La madre, fra
l’altro, le disse quanto sua
figlia avesse desiderato di vedere i bambini, e aggiunse
che li aveva visti.
Questo fece ricordare alla signora Sweet quello che la
governante le aveva
riferito il mattino; perché fin allora non ne aveva fatta
parola, cercando anzi
di tacerlo considerandolo frutto della mente malata della
donna.
«Questo fatto non è stato riferito da John Carpenter, il
padre della defunta,
il giorno dopo il funerale di lei. Il due luglio parlai a
lungo della vicenda con la
governante e con due vicini da cui ella si era recata quel
mattino. Due giorni
dopo ebbi la conferma dalla madre, dal sacerdote e dalla
donna che la vegliò
durante l’ultima notte. Tutti concordano nel narrare la
stessa storia e le loro
testimonianze si rafforzano a vicenda. Sembrano persone
intelligenti ed
equilibrate, lontanissime dal volere ingannare o mentire;
e non so concepire
perché avrebbero dovuto avere la tentazione di farlo.
142
«Signore, Dio benedica il vostro pio sforzo per convincere
gli atei e i
sadducei e diffondere la vera religione e la devozione, e
possa questo racconto
contribuire al miglioramento del mondo: è questo il
desiderio cordiale del
«Vostro fedele amico,
e umile servitore
«Tho. Tilson; ministro di Aylesford,
presso Maidstone, nel Kent».
Aylesford, 6 luglio 1691
Questa storia semplice e commovente narra eventi che si
dicono avvenuti
nello stesso anno in cui venne pubblicata l’opera di
Baxter, ossia il 1691,
riferita da un ecclesiastico delle vicinanze, il quale
scriveva di fatti venuti a
conoscenza cinque settimane prima e la maggior parte dei
quali erano stati da
lui verificati nei cinque giorni precedenti la data della
lettera, e cioè il due e il
quattro luglio 1691. Vengono dati i nomi e gli indirizzi
di tutti i testimoni e
l’ora e il luogo esatti degli avvenimenti da loro
testimoniati. Sarebbe difficile
trovare un racconto dei nostri giorni meglio comprovato.
L’alternativa che gli scettici possono presentare non è,
probabilmente, che i
testimoni si siano messi d’accordo per una menzogna,
perché questo è
incredibile; ma che la madre morente, attingendo una forza
soprannaturale
dal suo intenso desiderio di vedere i suoi figli, abbia
realmente lasciato il letto
nella notte dal tre al quattro giugno, abbia percorso la
strada da West Mulling
a Rochester, sia entrata nella sua abitazione e abbia
visto i bambini tornando
poi, prima di mattino, alla casa del padre; che la signora
Turner, come
sogliono fare le infermiere, si sia addormentata e che,
anche se si svegliò
accorgendosi della scomparsa della sua paziente prima del
ritorno di lei, non
ne abbia fatto parola temendo di essere accusata di
trascuratezza nel suo
dovere. E a conferma di tale ipotesi, lo scettico potrebbe
citare questo
aneddoto riferito da Sir Walter Scott (39).
Un circolo filosofico di Plymouth era solito tenere le sue
adunanze, durante
i mesi estivi, in una grotta presso il mare, e altre volte
in una casa d’estate nel
giardino di una osteria, del qual giardino alcuni membri,
che abitavano nelle
vicinanze, avevano la chiave. I membri del circolo
tenevano alternativamente
la presidenza delle sedute. Una volta il presidente della
serata era malato; si
diceva che stesse per morire; ma, per rispetto, la sua
sedia consueta fu lasciata
vuota. Improvvisamente, mentre i membri stavano parlando
di lui, la porta si
aprì e una sembianza del presidente entrò nella stanza,
con indosso una veste
da camera bianca e un berretto da notte, e, simile a un
morto, prese il posto
vacante, si portò alle labbra un bicchiere vuoto, si
inchinò all’assemblea,
rimise a posto il bicchiere e usci. L’assemblea
sbigottita, dopo aver discusso
143
sul fatto, inviò due dei suoi membri ad accertare le
condizioni del presidente.
Quando essi tornarono con la paurosa notizia che era
appena spirato, i soci,
temendo il ridicolo, convennero che non avrebbero fatto
parola
dell’avvenimento.
Alcuni anni più tardi, la vecchia che era stata infermiera
del membro
defunto, in punto di morte confessò al suo medico, il
quale faceva parte del
circolo, che, essendosi addormentata durante il suo sonno,
il paziente, in
delirio, si era svegliato ed era uscito dall’appartamento;
svegliatasi anche lei,
era corsa fuori di casa a cercarlo, lo aveva incontrato
che stava tornando e lo
aveva rimesso a letto, dove subito era morto. Temendo di
essere biasimata per
la sua trascuratezza, non aveva detto nulla.
Scott, nel citare questa e altre poche semplici
spiegazioni di quelli che
sembravano fatti straordinari, nota che «il conoscere
quello che è stato
scoperto in molti casi ci dà la sicurezza della causa
dominante di tutti» (40).
Nulla può essere più illogico. E’ faticoso raggiungere la
verità; ma se vogliamo
raggiungerla, dobbiamo affrontare la fatica. Se anche si
tratta di un
procedimento noioso, l’unico sicuro è di corroborare ogni
esempio con prove
cercate e vagliate (secondo la frase diplomatica) ad
hoc. Se per il fatto di
avere scoperto un’impostura in un singolo caso, ne
consideriamo altri venti
come egualmente inattendibili, non ci comportiamo più
saggiamente di colui
che, avendo ricevuto un dollaro falso in una certa città,
conclude che laggiù
tutte le monete sono false. Dovrà solo essere più attento
nell’accettare gli altri
dollari; tutto qui. Egualmente noi, sapendo che in alcuni
casi, come in questo
del circolo di Plymouth, le apparenze possono ingannare,
dobbiamo stare in
guardia contro tali errori, e non venire alla conclusione
che in ogni esempio
analogo ci si può valere della stessa spiegazione.
Possiamo valercene nel caso di Mary Goffe? La distanza fra
la casa di suo
padre e la sua era di nove miglia. Tre ore per andare e
tre ore per tornare, sei
in tutto - ossia dalle undici alle cinque del mattino -
sarebbero state
necessarie a una persona in buona salute che camminasse
senza soste a passo
ordinario. Si può credere che, come nell’esempio di
Plymouth, un malato in
delirio possa, pochi istanti prima della morte, percorrere
un centinaio di
iarde. Ma è incredibile che una donna morente, così debole
da essere
considerata incapace di alzarsi dal letto, possa
percorrere diciotto miglia
senza aiuto e sola? L’infermiera afferma che la sua
paziente cadde in stato
estatico fra l’una e le due, e di aver posto la mano sulla
sua bocca e le sue
narici senza percepire il respiro. Supponiamo che sia una
menzogna inventata
per nascondere la sua negligenza: possiamo immaginare che,
dopo la visita di
un sacerdote alle dieci, l’infermiera, vegliando una
persona che poteva morire
da un momento all’altro, si sia addormentata prima delle
undici per svegliarsi
solo dopo le cinque, o che, svegliandosi prima e trovando
il letto vuoto, non
144
abbia messo in allarme la casa? Ma ammettiamo pure tutte
queste estreme
improbabilità. Possiamo credere che il padre e la madre
della morente
l’abbiano abbandonata, nell’ultima notte della sua vita,
per più di sei ore? E
possiamo supporre che, in queste circostanze, la paziente
sia potuta uscire
dalla sua stanza e dalla casa prima delle undici e tornare
dopo le cinque senza
che alcuno la vedesse né all’andata né al ritorno?
E queste non sono le uniche difficoltà. La stessa signora
Goffe dichiarò, al
mattino, di aver visto i suoi bambini solo in sogno. E se
non fu così ed ella si
recò veramente a Rochester, è credibile che si sia
limitata a guardare in
silenzio, per pochi minuti, i suoi bambini addormentati
lasciandoli poi senza
una parola di addio per riprendere il faticoso cammino
verso la casa del
padre? Quando aveva così insistentemente pregato il marito
di noleggiare un
cavallo, quale motivazione aveva dato alla sua richiesta?
«Doveva tornare a
casa e morire presso i suoi figli».
Sottopongo al giudizio del lettore queste considerazioni.
Dia loro il peso
che crede possano meritare. Ma se, da ultimo, inclina
verso l’ipotesi di un
viaggio notturno da parte della malata, lo prego di
considerare in qual modo
potrà spiegare il caso parallelo del reverendo Wilkins, in
cui la distanza fra la
madre e il figlio era di cento miglia.
Abercrombie, ammettendo i fatti di quest’ultimo caso così
come Wilkins li
espone, dice solo: «Questo sogno singolare deve essere
sorto da qualche forte
impressione esercitata su entrambe le persone nello stesso
tempo; e trovare
questa fonte sarebbe cosa di grande interesse».
Non posso supporre che Abercrombie intenda qui
un’impressione mentale
casualmente esercitata
in egual tempo sulla madre e sul figlio. Era un
troppo buon ragionatore per non sapere dove una teoria
simile lo avrebbe
condotto. Se consideriamo tutti i particolari addotti,
come l’inutile tentativo
di entrare per la porta principale, l’entrata dalla porta
sul retro, l’aver salito le
scale entrando nella stanza matrimoniale, i termini
precisi della frase
pronunciata e quelli della risposta, infine la cessazione
del sogno, o visione,
della madre e del figlio nello stesso punto, se, dico, ci
permettiamo di
considerare coincidenze così numerose e minutamente
particolareggiate
come queste quali semplici effetti del caso, dove si
fermerà il nostro
scetticismo? Forse non prima che si sia giunti a
persuaderci che anche questo
mondo, con tutto ciò che contiene, non è che il risultato
di una combinazione
fortuita.
Ma se, come indubbiamente è il caso, il dott. Abercrombie
intende dire che
questa impressione simultanea su due menti distanti deve
essere avvenuta in
accordo con qualche legge psicologica non ancora scoperta,
che sarebbe
interessante indagare, possiamo benissimo condividere la
sua opinione.
145
Non sembra, tuttavia, che egli consideri l’episodio in
altra luce che come
esempio di sogni coincidenti e sincroni. Potremmo
discutere se è questa la
vera ipotesi. In un altro capitolo (41), saranno addotte
le prove da me ottenute
che la comparsa di una persona vivente a una maggiore o
minore distanza dal
luogo in cui questa persona si trova realmente e nel punto
in cui, forse, si può
supporre che i pensieri e gli affetti di quella persona
siano concentrati in quel
momento, è un fenomeno non del tutto raro. Se ammettiamo
questo, io posso
dare la vera spiegazione del sogno di Wilkins, del sogno
della signora Goffe e
di altri simili.
L’ingegnoso autore della Philosophy of Mysterious
Agents (Filosofia
degli agenti misteriosi) che rifugge da tutto ciò che sa
di spiritismo, nel
trattare la relazione di Wilkins, di cui ammette
l’autenticità, dice: «Questo
mostra indubbiamente uno strano e finora sconosciuto
agente nel quale, o
grazie al quale, il cervello può agire anche a grande
distanza e produrre
risultati fisici che rappresentano perfettamente l’azione
cerebrale quando il
potere di controllo della mente è sospeso» (42).
Se questo, come è possibile, apparirà piuttosto oscuro al
lettore, prendiamo
un altro paragrafo per aiutarlo a capire. Dopo avere
riferito lo stesso episodio,
il signor Rogers aggiunge: «Questo è facilmente spiegato
col metodo con cui
consideriamo tale classe di fenomeni; e non ne vediamo
alcun altro in cui le
difficoltà non appaiano insuperabili. In questo caso
abbiamo di nuovo la
condizione richiesta per l’azione dei poteri terreni in
riferimento al cervello; la
condizione in cui il cervello, essendo stimolato, può
agire e, grazie all’agente
terreno, rappresentare la sua azione (come in questo caso)
a cinquanta miglia
o più di distanza» (43).
Non mi colpisce che, con questo metodo del signor Rogers,
lo strano
fenomeno che abbiamo considerato sia facilmente spiegato,
come lui crede. In
qual modo lo spiega? La dottrina del caso, egli lo vede
chiaramente, è
insostenibile. La dottrina spiritista viene da lui
ripudiata. Per evitare
entrambe, egli suggerisce che il cervello del figlio, nel
Devonshire, essendo in
attività durante la sospesa volizione propria del sonno,
abbia rappresentato la
propria attività nel cervello della madre a cento miglia
di distanza nel
Gloucestershire, e che questa azione rappresentata sia
dovuta a un agente
terreno strano e sconosciuto.
Il dire che le due menti, in un modo o in un altro, erano
state messe in
relazione, è solo ammettere che la coincidenza di
sensazioni e di idee in
entrambi i soggetti non era fortuita. Se, come possiamo
liberamente
ammettere, l’agente è, come il signor Rogers afferma,
strano e sconosciuto,
perché presumere che sia fisico? E, presumendo questo,
spieghiamo forse il
146
fenomeno non dirò facilmente, ma completamente? Abbiamo
forse fatto
qualche cosa di più che impiegare vaghe parole? E per di
più parole che, per
quanto vaghe, sembriamo usare senza alcuna
giustificazione? Che ne
sappiamo di un cervello stimolato che agisce fisicamente a
cento miglia di
distanza? Che cosa intendiamo dicendo che questo cervello rappresenta
la
sua azione a
questa o a un’altra distanza? Quale sorta di agente terreno
possiamo immaginare come strumento di tale azione? E se
giudichiamo un
semplice agente fisico come capace di collegare,
indipendentemente dalla
distanza, mente a mente, che bisogno c’è di un’ipotetica
anima o spirito per
spiegare l’intera meravigliosa schiera dei fenomeni
mentali?
Qui ancora dobbiamo domandarci dove indirizziamo i nostri
passi nel
tentativo di evitare l’ipotesi di un agente spirituale.
Sembrerebbe ai confini
del materialismo.
Poiché i fenomeni della classe che abbiamo qui esaminato
vengono
considerati generalmente fra i meno credibili di quelli
connessi col sogno,
posso affermare che quelli citati non sono gli unici di
cui si abbia ricordo.
Kerner, nella sua Veggente di Prevorst, ne
fornisce uno attestato da lui
stesso e da un medico che curava il padre della veggente
(44). Sinclair ne
riferisce un altro (45); ma quanto sia valida l’autorità
in quest’ultimo caso non
saprei dire.
Rimane da considerare un’altra importante inchiesta. Vi
sono casi
attendibili che presentino, o sembrino presentare, prove
che la facoltà di
precognizione nei sogni sia fenomeno reale, e che questa
facoltà sia propria,
come si dice esserlo la chiaroveggenza, di certe persone
in particolare? Vi
sono - come la parola è stata usata a proposito della
cosiddetta seconda vista
degli Higlands scozzesi - dei veggenti così
abitualmente dotati?
Persone autorevoli hanno affermato che vi sono: a esempio
Goethe, nei
riguardi del suo nonno materno. Traduco dalla sua
autobiografia.
IL NONNO DI GOETHE
«Ma quello che aumentava la venerazione con cui
consideravamo questo
eccellente vecchio era la convinzione che egli possedesse
il dono della
profezia, specialmente su fatti che riguardavano lui e i
suoi. E’ vero che
confidava l’insieme e i particolari di questa facoltà solo
a nostra nonna;
tuttavia noi, bambini, sapevamo benissimo che spesso era
informato, in
straordinari sogni, di cose che dovevano avvenire. Per
esempio assicuro sua
147
moglie, nel tempo in cui era uno dei magistrati più
giovani, che, alla prossima
vacanza del seggio, sarebbe stato eletto a sedere al
tavolo degli aldermanni. E
quando, pochissimo tempo dopo, uno degli aldermanni fu
stroncato da un
fatale colpo apoplettico, ordino che, il giorno in cui si
sarebbe fatta la scelta
del nuovo membro per estrazione a sorte, fosse approntata
la casa e preparata
ogni cosa per ricevere gli ospiti che sarebbero venuti a
congratularsi con lui
per la sua elezione. E in realtà fu estratta proprio per
lui la palla d’oro che
decide la scelta degli aldermanni a Francoforte. Egli
confidò a sua moglie in
questi termini, il sogno che gli aveva fatto prevedere
l’evento. Si trovava in
sessione con i suoi colleghi, e tutto procedeva come al
solito quando un
aldermanno (lo stesso che poi moti) scese dal suo sedile,
si avvicinò a mio
nonno, lo pregò educatamente di prendere il suo posto e
poi lascio la stanza.
Qualche cosa di simile accadde in occasione della morte
del prevosto. In
questo caso era consuetudine colmare la vacanza in gran
fretta, perché si
poteva sempre temere che l’imperatore, il quale un tempo
nominava il
prevosto, volesse un giorno rivendicarsi il suo antico
privilegio. In questa
particolare occasione, lo sceriffo ricevette l’ordine, a
mezzanotte, di convocare
una seduta straordinaria per il mattino dopo. Quando, nel
suo giro, l’ufficiale
giunse alla casa di mio nonno, chiese un pezzetto di
candela per sostituire
quello che si era appena consunto nella sua lanterna.
“Dategli una candela
intera”, disse mio nonno alle domestiche “E’ per me che si
da tanta pena”. Gli
eventi giustificarono le sue parole: egli venne infatti
eletto prevosto. Ed è
degno di nota che, quando si giunse alla terza e ultima
possibilità, le due palle
d’argento vennero estratte per prime così quella d’oro
rimase per lui in fondo
alla borsa.
«I suoi sogni erano realistici, semplici e senza traccia
di fantastico o di
superstizioso, per quanto almeno venne a nostra
conoscenza. Ricordo anche
che, quando, da ragazzo, solevo cercare tra i suoi libri e
le sue carte, trovai
spesso, frammisti ad appunti sul giardinaggio, frasi come
queste: “Stanotte
°°° è venuto da me e mi ha detto °°°”, (il nome e le
circostanze erano scritte in
cifre), e: “Stanotte ho visto °°°”, il resto era in
caratteri per me inintelligibili.
E’ inoltre notevole, a questo riguardo, che certe persone
le quali non avevano
mai posseduto alcun potere straordinario lo acquistavano
per tutto il tempo
che restavano vicino a lui; per esempio la facoltà di
presentimento, per segni
visibili, in casi di malattia o di morte avvenuti nel
momento stesso ma a
distanza. Tuttavia nessuno dei suoi figli né dei suoi
nipoti ereditò questa
peculiarità» (46).
Gli esempi particolari qui citati possono essere spiegati;
ma è evidente che
Goethe, il quale disponeva dei migliori mezzi per saperlo,
considerava
conclusive le prove che suo nonno fosse realmente dotato
di facoltà
profetiche.
148
Macario cita un caso simile, la cui evidenza sembra
indiscutibile. Lo
traduco dalla sua opera sul sonno.
LA VISITA PREDETTA
«Ecco un fatto avvenuto nella mia stessa famiglia e della
cui autenticità mi
rendo garante. La signora Macario partì il 6 luglio 1854
per Bourbon
l’Archambault onde fare la cura delle acque per i suoi
disturbi reumatici. Un
suo cugino, il signor O., che abita a Moulins e che
abitualmente sogna tutto
ciò che di straordinario sta per capitargli, la notte
prima della partenza di mia
moglie ebbe il seguente sogno. Gli parve di vedere la
signora Macario,
accompagnata dalla sua figlioletta, prendere la ferrovia e
iniziare il suo
viaggio per i bagni di Bourbon. Quando si sveglio disse a
sua moglie di
prepararsi a ricevere due cugine che ancora non conosceva.
Sarebbero
arrivate quel giorno a Moulins e sarebbero ripartite la
sera per Bourbon. “Non
mancheranno certamente”, aggiunse, “di farci una visita”.
In effetti mia
moglie e mia figlia arrivarono a Moulins; ma poiché il
tempo era pessimo e la
pioggia cadeva a torrenti, si fermarono nella casa di un
amico presso la
stazione e, per mancanza di tempo, non fecero visita ai
cugini, che abitavano
in un quartiere distante. Egli tuttavia, non si scoraggiò.
“Forse sarà per
domani” disse. Ma l’indomani venne e nessuno apparve.
Nondimeno, del
tutto convinto, per l’esperienza della veracità dei suoi
sogni, che le cugine
erano arrivate, andò all’ufficio della diligenza che fa
servizio fra Moulins e
Bourbon, per chiedere se una signora accompagnata dalla
figlioletta (e le
descrisse) non era partita la sera prima per Bourbon. Gli
fu risposto
affermativamente. Allora si informò del luogo in cui la
signora aveva sostato a
Moulins, andò alla casa e poté accertare che tutti i
particolari del suo sogno
erano esatti. In conclusione posso affermare che il signor
O. non aveva alcuna
conoscenza della malattia né del viaggio della signora
Macario, che non
vedeva da parecchi anni» (47).
Una notevole caratteristica di questo fatto è la fiducia
del signor O. nel
presagio del suo sogno, indicante che egli aveva buone
ragioni per credere, a
questi avvertimenti. Per il resto è difficile mettere in
discussione la verità e
l’esattezza di una osservazione la cui evidenza è così
diretta e la cui autorità
così rispettabile.
Considerando lo straordinario carattere di questa presunta
facoltà di
prevedere, o istinto profetico, durante il sogno, mi
considero fortunato di
poter presentare parecchie altre narrazioni bene
autenticate che la riguardano
149
direttamente. Tuttavia non sembra che in questi casi, come
invece nei
precedenti, chi sognava fosse un veggente abituale.
Nel primo un evento molto improbabile fu previsto con
chiarezza un anno
prima che avvenisse. Ne ho ricevuta la relazione scritta
da una signora il cui
nome, se potessi dirlo, sarebbe per il pubblico una
garanzia più che sufficiente
della verità della storia.
LA RIVOLTA INDIANA
«La signora Torrens, vedova del generale Torrens, oggi
residente a
Southsea, presso Portsmouth, circa un anno prima della
rivolta indiana sognò
di vedere sua figlia, signora Hayes, e il marito di lei,
capitano Hayes, aggrediti
dai sepoys; ne seguiva una terribile mischia
nella quale il capitano Hayes
veniva ucciso.
«Scrisse immediatamente chiedendo che sua figlia e i
bambini tornassero
subito in patria, e, in conseguenza della sua continua
insistenza, i nipoti
arrivarono col primo vascello. Questo avvenne prima che si
avesse la minima
idea della rivolta. Io ho visto spesso questi ragazzi al
sicuro a Southsea. La
signora Hayes rimase con suo marito e soffrì tutti gli
orrori dell’assedio di
Lucknow, dove il capitano Hayes cadde nelle mani dei sepoys,
che gli
cavarono gli occhi e poi lo uccisero».
Presenterò adesso un aneddoto direttamente autenticato
come il
precedente, che si trova nell’appendice alla Anatomy
of Sleep (Anatomia
del sonno) del dott. Binns (48). E’ stato comunicato
all’autore dall’On. signor
Talbot, padre dell’attuale contessa di Shrewsbury, e lo
trascrivo con le sue
stesse parole e da lui firmato, aggiungendo solo il
titolo.
BELL E STEPHENSON
«Nell’anno 1768, mio padre, Matthew Talbot, di Castle
Talbot nella contea
di Wexford, fu molto sorpreso dal ripetersi di un sogno
per tre volte nella
stessa notte, onde fu spinto a riferirlo per intero a sua
moglie il mattino
seguente. Sognò di essersi alzato come al solito e di
essere sceso nella sua
biblioteca dato che il mattino era nebbioso. Si sedette
poi alla scrivania per
scrivere, quando, volgendo per caso lo sguardo su di un
lungo viale alberato
davanti alla finestra, vide un uomo in giacca turchina, su
di un bianco cavallo,
150
avvicinarsi alla casa. Mio padre si alzò e aprì la
finestra; l’uomo, venuto
avanti, gli consegno un rotolo di carte dicendogli che
erano documenti
mercantili di un vascello che era naufragato ed era stato
spinto sulla spiaggia
durante la notte nei possedimenti di suo genero (Lord
Mount Morris), lì
presso, ed erano firmati “Bel e Stephenson”.
«L’attenzione di mio padre fu richiamata sul sogno solo
per il suo ripetersi;
ma quando si trovò seduto alla scrivania, in un mattino di
nebbia, e vide
l’identica persona che aveva visto in sogno, in giacca
turchina e in sella a un
cavallo grigio, fu pieno di stupore e, aperta la finestra,
attese che l’uomo si
avvicinasse. Questi si fece subito avanti e, tratto di
tasca un pacco di fogli,
glieli diede spiegando che erano documenti appartenenti a
un vascello
americano naufragato e spinto sulle coste dei possedimenti
di Sua Signoria; a
bordo non vi era alcuno per reclamare il rottame; ma i
documenti erano
firmati “Stephenson e Bell”.
«Vi assicuro, caro signore, che quanto sopra è realmente
accaduto ed è
stato riferito con la massima fedeltà; ma non è molto più
straordinario di altri
esempi di facoltà profetiche della mente o dell’anima
durante il sogno, che ho
spesso udito raccontare».
Molto sinceramente vostro
William Talbot.
Alton Towers, 23 ottobre 1842.
In questo caso troviamo lo stesso strano elemento di una
leggera
inesattezza unita a straordinarie coincidenze di
particolari, che abbiamo già
notato più volte. L’uomo in giacca turchina; il cavallo
bianco o grigio; il
vascello gettato sui possedimenti di Lord Mount Morris; il
fascio di carte
consegnato, tutto presenta una perfetta corrispondenza fra
il sogno
precognitore e la realtà. Anche i nomi dei documenti
corrispondono, ma il
loro ordine è rovesciato: nel sogno sono «Bell e
Stephenson» mentre sui veri
documenti sono «Stephenson e Bell».
Per non stancare il lettore estendendo troppo questo
capitolo,
accumulando troppi esempi che, come ho notato più volte,
potrebbero essere
moltiplicati all’infinito, mentre forse quelli citati
possono bastare come un
buon campione dell’insieme, ne presenterò solo un altro di
previsione in
sogno, non meno notevole dei precedenti. Il racconto è
stato verificato da uno
dei più accreditati scrittori di saggi filosofici (perché
tale deve essere
considerato il dott. Abercrombie) e, per di più, ho
ottenuto per esso una
151
importante garanzia. Il dott. Abercrombie, dopo avere
affermato di «poterlo
presentare come perfettamente autentico», lo riferisce
(senza il titolo che
appare qui) con queste parole:
IL SERVO NEGRO
«Una signora sogno che una sua vecchia parente era stata
assassinata da
un servo negro; e il sogno si ripeté più volte (49). Ne fu
tanto impressionata
che si recò dalla signora a cui il sogno si riferiva e
riuscì a convincere un
signore a vegliare in una stanza adiacente durante la
notte successiva. Verso
le tre del mattino, questo signore, udendo dei passi sulle
scale, lasciò il suo
nascondiglio e incontrò il servitore che stava portando su
del carbone.
Richiesto di dove stesse andando, rispose in modo confuso
e affrettato di
andare ad alimentare il fuoco della sua padrona: cosa che,
alle tre del mattino
e in piena estate, era evidentemente impossibile; in
seguito a un’ulteriore
investigazione, venne trovato un grosso coltello nascosto
sotto il carbone»
(50).
Questo racconto, per quanto notevole, non è dato con
sufficienti
particolari. Non dice se la signora che aveva sognato era
o no a conoscenza, al
tempo del sogno, che la sua vecchia parente avesse un
servo negro. Non ci fa
sapere nulla della successiva condotta e del destino del
servo. Non ci dà i
nomi delle parti. Fortunatamente io posso colmare queste
lacune.
Quando ero in Edimburgo, nell’ottobre 1858, ebbi occasione
di sottoporre
questo capitolo a una signora - moglie di un distinto uomo
politico e lei stessa
conosciuta per numerose opere di successo - la quale, nel
restituirmelo, unì
gentilmente a questa narrazione la nota seguente:
«Si tratta della signora Rutherford, o Egerton, prozia di
Sir Walter Scott; e
io stessa ho udito raccontare la storia dalla famiglia. La
signora che sognò era
la figlia del signor Rutherford, allora assente da casa.
Al suo ritorno fu stupita,
rientrando nella casa di sua madre, di incontrare lo
stesso servo negro che
aveva visto in sogno, il quale era stato assunto durante
la sua assenza. Molto
dopo, quest’uomo fu impiccato per omicidio; e, prima
dell’esecuzione,
confessò che voleva assassinare la signora Rutherford».
La storia, con questo attestato - che dà i nomi delle
persone in causa e
aggiunge particolari che aumentano notevolmente il valore
dell’esempio - è,
credo, il più imponente caso di previsione in sogno che
conosca.
Esaminiamolo brevemente.
152
Anzitutto il sogno implicava due particolari: l’uno che la
madre della
sognatrice sarebbe stata assassinata; l’altro che
l’omicidio sarebbe stato
compiuto da un negro. Se la figlia avesse saputo che la
madre aveva un servo
negro, non sarebbe stato giusto considerare i due fatti
come elementi distinti:
in realtà qualche cosa nei modi dell’uomo avrebbe potuto
far sorgere un
sospetto e così dare forma al sogno. Ma la figlia, al
momento del sogno, non
sapeva che la madre aveva un servo negro, e fu stupita di incontrarlo
tornando a casa. E’ questo uno dei più importanti elementi
del caso, perché
preclude ogni supposizione che l’intervento del negro nel
sogno fosse
suggerito alla sognatrice in modo naturale.
Vi è dunque nel sogno l’indicazione di due particolari
indipendenti, e
l’averli identificati esattamente l’uno o l’altro per puro
caso sarebbe stata, dal
punto di vista matematico, una probabilità estremamente
piccola. Nella
quiete della vita domestica, in un paese civile, in una
classe sociale
rispettabile, un omicidio deliberato non ha nemmeno una
probabilità su un
milione. E vi erano milioni di probabilità contro una
previsione casuale
riguardante una particolare persona. E così pure per quel
che riguarda le altre
specificazioni. I negri in Scozia sono rari. Se anche si
fosse trattato solo del
sogno di un negro che commetteva un omicidio a Edimburgo,
senza
indicazione della persona uccisa, quanto sarebbe stato
difficile immaginare,
qualora il fatto fosse avvenuto entro pochi giorni
giustificando la predizione,
che la realizzazione fosse puramente accidentale! Ma,
trattandosi del doppio
evento, le probabilità matematiche diminuiscono fino a
potere essere
considerate praticamente inapprezzabili. Le probabilità
contro il verificarsi
casuale del doppio evento sono le stesse su cui ci
fondiamo nella vita
quotidiana con la sicurezza che può offrirci la certezza.
E’ vero che, per quella particolare oscurità di visione
che caratterizza così
spesso i fenomeni di questo genere, gli eventi a venire
sono solo indicati e non
chiaramente previsti. Il sogno della figlia era che la
madre era stata uccisa; e
questo non è avvenuto. Tuttavia l’effetto provocato dal
sogno sulla sua mente,
rafforzato dal ripetersi di esso, fu tale da indurla a
prendere precauzioni
contro l’avverarsi di un fatto simile in futuro: e avvenne
che la stessa notte in
cui vennero prese tali precauzioni fu fatto l’attentato.
Questa è una terza
coincidenza.
Tutto questo fu un caso? Non venne dato alcun
avvertimento? Non vi fu
alcuna intenzione di salvare la vita della madre agendo in
sogno sulla mente
della figlia? Se rispondiamo a queste domande in senso
negativo, non
scartiamo forse le più chiare regole di prova che, sotto
l’imperio della ragione,
abbiamo adottato per dirigere la nostra vita di ogni
giorno?
153
Ma, d’altra parte, se ammettiamo che vi fu un
avvertimento, che vi fu
un’intenzione, chi diede questo avvertimento? A quale
intelligenza
apparteneva quell’intenzione?
Accettare la teoria dei custodi spirituali (51) può essere
considerato come
tagliare il nodo di Gordio. E tuttavia, se questa ipotesi
viene respinta, ne
abbiamo forse un’altra che possa prenderne il posto?
Ma, senza insistere per il momento su questa ultima
ipotesi, soffermiamoci
un attimo a riflettere dove ci può portare la certezza a
cui siamo giunti, tratta
da una fonte non certo sospetta. Se la accettiamo, se, con
Abercrombie e con
l’avallatrice del suo racconto sul servo negro della
signora Rutherford, ci
sentiamo costretti ad ammettere la realtà del fatto,
possiamo ignorare le
legittime e inevitabili conseguenze? Dovremo continuare ad
affermare, con
Macnish, che il credere nell’eventuale potere dei sogni di
darci qualche
visione del futuro «è un’opinione così singolarmente
antifilosofica» da non
meritare che ce se ne occupi? Dovremo mettere da parte con
disprezzo e
derisione, senza esaminarle, invece di studiarle con
paziente attenzione, le
affermazioni di alcuni osservatori relative ai più
imponenti fenomeni che si
dicono caratterizzare alcuni stati di sonnambulismo come
la chiaroveggenza e
la precognizione? Se vogliamo parlare di ciò che è
singolarmente
antifilosofico, un tale comportamento ne offrirebbe
certamente un notevole
esempio.
E non è forse abbondantemente giustificata l’affermazione
già fatta che, se
vogliamo ottenere una visione globale di questo soggetto,
dobbiamo studiare
tutti i vari stati ipnotici nelle loro reciproche
relazioni? Prima di affrontare le
meraviglie del mesmerismo, consideriamo appieno le ancor
più grandi
meraviglie del sonno.
Infine il trascurare una simile inchiesta è ancor meno
giustificato vedendo
che questi fatti avvengono in paesi cristiani, dove la
Bibbia è letta e i suoi
insegnamenti sono venerati. Se vi è una dottrina insegnata
chiaramente e
inequivocabilmente nell’Antico e nel Nuovo Testamento, con
affermazioni
dirette e con numerosi esempi, è la stessa che è prevalsa,
come Cicerone ci
ricorda (52), in ogni paese civile e colto o barbaro e
ignorante: la dottrina cioè
che nelle visioni notturne gli uomini ricevono a volte più
di quanto
apprendano nella vigile veglia del giorno.
Esempi di tale dottrina sono diffusi in tutta la Bibbia.
L’Antico Testamento,
in particolare, ne è pieno: si vedano i sogni di
Abimelech, del Faraone, di Saul,
di Salomone, di Nabuccodonosor, e poi quelli di Giacobbe,
di Labano, di
Daniele. E, passando dai sogni dell’Antico a quelli del
Nuovo Testamento,
troviamo che su alcuni di essi sono fondati, in certa
misura, alcuni dei
154
cardinali articoli di fede della dottrina ortodossa, sia
cattolica sia protestante.
Così i sogni dei Magi, di Giuseppe, della moglie di
Pilato.
E’ verissimo, e ne sarà tenuto conto, che molti autori i
quali negano ai
sogni ogni carattere straordinario o profetico, fanno
eccezione, direttamente o
implicitamente, per quelli ricordati dalla Scrittura. Ma
la Scrittura stessa non
autorizza in nessun punto questa distinzione. Elihu annuncia
una verità
generale in termini generali: «A coloro che dormono nel
loro letto, Dio apre le
orecchie e vi sigilla le loro istruzioni». Dobbiamo
limitare questo agli uomini
di una data epoca? Chi ce lo garantisce? Con una licenza
simile non possiamo
forse dar ragione di qualsiasi altro testo? Quello per
esempio, con cui Elihu
conclude la sua eloquente rimostranza: «Dio non rispetta
tutti gli uomini di
cuore saggio». In pratica si troveranno molti che
trascurano questo implicito
ammonimento contro una presuntuosa autosufficienza, ma
pochi saranno
tanto audaci da sostenere che, sebbene l’ammonimento si
applicasse
giustamente a coloro che si consideravano saggi ai tempi
di Giobbe, è
antiquato e inapplicabile a noi stessi, ai nostri giorni.
Se non vogliamo essere giudicati altrettanto audaci nella
casistica, se
riguardo ai fenomeni qui brevemente e imperfettamente
esaminati,
accettiamo nel nostro caso la lezione implicita nelle
parole di Elihu, possiamo
essere indotti a concludere che dobbiamo dedicare, a un
soggetto importante
e trascurato, maggior tempo e attenzione di quanto gli
uomini vi abbiamo
dedicano finora (53), prima di affermare autorevolmente
che tutti i sogni dei
nostri tempi sono semplici e inutili vagabondaggi di una
fantasia sbrigliata;
che non presentano mai un’intelligenza superiore a quella
della veglia; che
mai, in nessun caso, rivelano cose lontane né prevedono il
futuro; che mai, in
nessuna occasione, ammoniscono o distolgono da qualche
azione: in una
parola che tutte le visioni notturne, senza eccezione,
sono del tutto prive di
conseguenza, fantastiche e inattendibili.
Note
(1) Omero, Iliade, Libro I.
(2) Cicerone, De divinatione, libro I, 3.
Vedi anche 25 e seguenti.
L’analogia tra i sogni e l’insania è stata spesso notata.
Aristotele ha sempre
supposto che la stessa causa da cui, in certe malattie,
sono prodotte illusioni
dei sensi in stato di veglia, sia all’origine del sogno in
stato di sonno. Brierre
de Boismont nota che le allucinazioni da svegli
differiscono soprattutto, dai
sogni, per la loro maggiore vivacità. Macario considera
quelli che chiama
sogni sensoriali come quasi identici alle allucinazioni.
Holland dice che le
155
relazioni e le rassomiglianze fra il sonno e l’insania
sono meritevoli di
attenzione, e aggiunge: «Un sogno messo in atto può
divenire follia nell’una o
nell’altra delle sue frequenti forme, e, per converso, la
follia può essere spesso
chiamata un sogno attivo in stato di veglia». Chapters
on Mental
Physiology, pag.
110 Abercrombie dichiara che «vi è una notevole analogia
tra i fenomeni mentali nella follia e nel sogno». Intellectual
Powers, pag.
24o.
(3) Secondo Omero, i sogni veritieri uscivano da una porta
d’avorio, quelli
falsi da una porta di corno. Qui si direbbe che l’Owen
abbia confuso il corno
con l’avorio. (U.D.).
(4) Citato da Cicerone, De divinatione,
libro I, 29-30.
(5) De divinatione et somniis, cap. I.
(6) Il disprezzo di queste verità ha portato a risultati
fatali. Aubrey, che non
può essere sospettato di credere troppo poco ai sogni,
attesta personalmente,
come si noterà, quanto segue:
«La signora Cl. di S., nella contea di S., aveva una
figlia diletta che era stata
a lungo malata senza che i medici riuscissero a guarirla.
Ella sognò che un suo
amico, morto, le diceva che, se avesse dato a sua figlia
una pozione di polvere
di tasso, ella sarebbe guarita. Le diede la pozione e la
uccise. In conseguenza
divenne quasi folle; la sua cameriera, per calmarla e
mitigare il suo dolore, le
disse che certo la pozione non poteva averla uccisa:
l’avrebbe presa anche lei.
Lo fece e mori a sua volta. Questo avveniva nel 1670 o
1671. Io ho conosciuto
la famiglia». Aubrey, Mixscellanea, capitolo
sui sogni, pag. 64 della
ristampa di Russel Smith.
(7) Queste idee non sono affatto limitate agli antichi ma
si trovano sparse
in reputati scritti di ogni epoca. Ecco un esempio:
«Non abbiamo ragioni di dubitare che vi siano sogni
demoniaci. Perché
non potrebbero esservene anche di angelici? Se vi sono
spiriti custodi, essi
non possono rimanere inattivi a nostro riguardo quando
dormiamo, ma
possono talora dirigere i nostri sogni; e molti strani
indizi, istigazioni e
discorsi, che sono così sorprendenti in noi, possono
sorgere da queste basi».
Sir Thomas Browne, Charter on Sleep (Capitolo
sul sonno).
(8) Humboldt: Cosmos, vol. I. pag. 316.
(9) Intellectual Powers, pagg. 202-203.
(10) Rapports et discussions. Parigi 1833,
pag. 438. Nel
sonnambulismo artificialmente indotto, questo potere di
suggestione è più
frequente e più netto. Il dott. Macario, nella sua opera
sul sonno, riferisce un
esempio impressionante occorso in sua presenza. Fu nel
caso di una certa
156
paziente di un suo amico, il dott. Gromier: una donna
maritata soggetta a
disturbi isterici. Trovandola un giorno in preda a una
profonda malinconia,
immaginò il seguente modo per fargliela superare. Dopo
averla messa in
sonno magnetico, le disse mentalmente:
«Perché siete così disperata? Siete
pia: la beata Vergine verrà in vostro aiuto, siatene
sicura». Poi evocò
mentalmente una visione nella quale dipinse sul soffitto
della stanza gruppi di
cherubini agli angoli e la Vergine, in una luce gloriosa,
che scendeva nel
mezzo. Subito la sonnambula entro in estasi, cadde in
ginocchio, ed esclamo
in un trasporto di gioia: «Oh, mio Dio! Ho pregato per
tanto tempo, per tanto
tempo la Vergine, ed ecco che per la prima volta viene in
mio aiuto!».
Porto questo esempio come prova di quanto strettamente
siano talora
connessi fra loro i fenomeni di sonno naturale e di
sonnambulismo artificiale.
Questo può dare inoltre qualche indizio sulle origini di
molte visioni estatiche.
(11) Memoirs of the Life, Writings and
Corrispondence, of
William Smellie (Memorie
della vita, scritti e corrispondenza di William
Smellie), di Robert Kerr, Edimburgo, 1811, pag. 187.
(12) Du sommeil, des rêves et du somnambulisme,
del dott.
Macario, ex deputato del Parlamento Sardo, Lione 1857,
pagg. 80-81.
(13) An Historical, Physiological and Theological
Treatise of
Spirits, di
John Beaumont, Londra, 1705, pagg. 398-400.
(14) Plutarco ci dice che gli argomenti di Calpurnia e i
modi efficaci con cui
si espresse commossero e impressionarono suo marito,
specialmente quando
egli si ricordo di non avere mai notato in lei alcuna
traccia della debolezza e
della superstizione proprie del suo sesso, mentre adesso
era
straordinariamente sconvolta nello scongiurarlo di non
recarsi al Senato in
quel giorno. E aggiunge che, se non fosse stato per le
esortazioni di Decio
Bruto Albino, uno dei cospiratori, ma in cui Cesare
riponeva molta fiducia. gli
argomenti della moglie avrebbero prevalso.
(15) Intellectual Powers, 15a edizione pag.
215. Abercrombie riassume
la vicenda e omette i nomi.
(16) Indipendentemente dalla garanzia di Abercrombie,
questo episodio è
perfettamente autenticato. La defunta Lady Mary Clerk, di
Pennicuik, ben
conosciuta a Edimburgo durante la sua lunga vedovanza, era
figlia del signor
D’Acre; e lei stessa comunicò la storia al Blackwood’s
Magazine (vol. XIX
pag. 73) in una lettera datata «Princes Street, 1 maggio
1826» con questo
commento: «L’altro giorno, in un salotto, quando la
conversazione cadde sui
sogni, ne raccontai uno di cui posso assicurare la
perfetta esattezza, dato che
riguardava mio padre». E concluse: «Ho udito spesso questa
storia da mio
padre, il quale aggiungeva sempre: “Non mi ha reso superstizioso,
ma con
157
reverente gratitudine, non potrò mai dimenticare che la
mia vita, per volere
della Provvidenza, fu salvata da un sogno”. - M.C.».
Nella rivista, di cui ho seguito, ma alquanto abbreviato,
la versione, i nomi
sono indicati con le sole iniziali. Per la gentilezza di
un amico di Edimburgo
ho potuto metterli per esteso, traendoli da una copia
manoscritta
dell’aneddoto in cui sono dati in rotte lettere da Lady
Clerk, di sua propria
mano.
Alla gentilezza dello stesso amico devo la copia originale
del giornale che
riporta la prima notizia del fatto. Avvenne il 7 agosto
1734 ed è narrato nelle
colonne di un giornale di Edimburgo che si pubblica
ancora, il Caledonian
Mercury. La partita di pesca
comprendeva Patrick Cumming,
commerciante, Colin Campbell, aiutante di bordo, un
ragazzo chiamato
Cleland, nipote di Campbell e due marinai. La barca fu
rovesciata da una
raffica da sud-ovest, tutti annegarono eccetto Campbell,
che venne salvato
dopo essere stato cinque ore in acqua, mezzo morto di
fatica. - Caledonian
Mercury, 12
agosto 1734.
(17) De divinatione, II 59.
(18) Il 25 aprile 1858 nella sua villa presso Napoli.
Presi subito alcune note
della vicenda, che vennero riviste e corrette dal
narratore.
(19) Parlando dell’ipotesi che i sogni possano talora
darci una visione del
futuro, Macnish dice: «Questa opinione è così
singolarmente non filosofica
che non vi avrei accennato se non fosse sostenuta da
persone colte e di buon
senso». Philosophy of Sleep, pag. 129. Ma,
dopo tutto, non serve a nulla
affermare che un’opinione non è filosofica, se i fatti
dimostrano la sua verità.
(20) Philosophy of Sleep, sesta edizione,
pagg. 13 e 436.
(21) Letto alla signora S… il 25 aprile 1858, e da lei
approvato.
(22) Intellectual Powers, pag. 213.
(23) Philosophy of Sleep, pagg. 132-134.
(24) Intellectual Powers, pag. 205.
(25) In quell’edizione delle Waverley Novels (Racconti
di Waverley)
annotata dallo stesso Sir Walter. E’ riferita in una nota
all’«Antiquario», nel
volume V.
(26) Sir Walter dà solo la prima e l’ultima lettera del
nome (R---d). Devo il
nome completo e altre indicazioni a un amico di Edimburgo
che sarei lieto di
poter nominare qui per ringraziarlo.
(27) Libro I, cap. 3: «Il miracoloso».
158
(28) Luca XVI, 27.
«Coloro che dicono che i Beati non hanno amore per i loro
fratelli rimasti
sulla terra, dicono più di quanto non possano provare, e
non sono credibili
come lo è Cristo, che sembra avere detto il contrario».
Baxter: World of
Spirits (Il
mondo degli spiriti), pag. 222.
(29) «E vi è provvidenza nel cielo? Vi è amore
Negli spiriti celesti per queste basse creature
che possa muoverli a compassione per i loro mali?
Vi è?».
Spencer
Quando un fanciullo amato ci viene strappato, non vi è
forse idea a cui il
cuore di chi ne è stato privato si rivolga più prontamente
e naturalmente di
questa. Nel cimitero protestante di Napoli giacciono i
resti di una fanciulla, la
bella e dotata figlia di un ecclesiastico americano; e
sulla sua pietra tombale
ho fatto iscrivere, dietro richiesta del padre, la nota
strofa che tutti ammirano:
«Tienla, o Padre, nelle Tue braccia
e fa’ che d’ora in avanti sia
Una messaggera d’amore fra
i cuori umani e Te».
(30) Presentato in appendice alla History of Magic (Storia
della magia)
di Ennemoser, tradotta da William Howitt, Londra, 1854,
vol. II, pag. 416.
(31) Early Years and Late Reflections (Primi
anni e tarde riflessioni),
di Clement Carlyon, medico, membro del Pembroke College,
vol. I, pag. 219.
(32) A New York il 28 luglio 1859. La narrazione è stata
scritta in base alle
note prese a bordo della sua goletta.
(33) In un primo momento pensavo di inserire qui un sogno
collegato con
un notissimo fatto della storia inglese e garantito dal
dott. Abercrombie nei
suoi Intellectual Powers, pagg. 218-19.
Come viene riferito, otto giorni prima dell’assassinio del
signor Percival,
Cancelliere dello Scacchiere, nel vestibolo della Camera
dei Comuni, nel 1812,
un signore della Cornovaglia vide, in un sogno che si
ripeté tre volte, tutti i
particolari del delitto, perfino gli abiti dei protagonisti,
e, sempre in sogno, gli
fu detto che era stato colpito il Cancelliere; tutto
questo fece una tale
impressione sul sognatore, che egli fu distolto dal darne
notizia al signor
Percival solo dai consigli degli amici i quali lo
assicuravano che, se lo avesse
fatto, sarebbe stato considerato matto.
159
Il dott. Carlyon, nella sua opera citata, riferisce e
conferma questa storia
aggiungendo: «Questo sogno avvenne in Cornovaglia al
signor Williams, di
Scorrier House, ancora vivente (febbraio 1836) e oggi residente
a Calstok,
Devon, dalle cui labbra io stesso ho udito più di una
volta il racconto».
Vi è tuttavia, un’altra e molto più particolareggiata
versione della storia,
data quando il signor Williams era ancora in vita, dal
Times di Londra del 16
agosto 1828, e proveniente, come afferma il direttore del
giornale, da «un
corrispondente di indubbia veracità». In essa sono forniti
il nome e l’indirizzo
del signor Williams e sono rigorosamente confermati tutti
i particolari dati
dal dott. Abercrombie salvo uno. Il dott. Abercrombie, che
dice di «avere
avuto i particolari da un eminente medico inglese suo
amico», afferma che il
sogno avvenne otto giorni prima dell’assassinio,
mentre nella versione
del Times è detto esplicitamente che fu
durante la notte dell’11 maggio 1812,
la stessa del giorno in cui il signor Percival fu
ucciso.
Siamo così nell’incertezza se questo sogno sia di
carattere profetico o solo
chiaroveggente. Ma evidentemente è l’uno o l’altro.
Tuttavia, in questa
incertezza, dopo aver dedicato parecchi giorni a
confrontate le opposte
relazioni, ho deciso di limitarmi a questa breve nota.
(34) Abercrombie, Intellectual Powers, pag.
215.
(35) Intellectual Powers, pagg. 215-16.
(36) Lo riferisce nella sua opera Danger of
Premature Interment
(Pericolo di essere sepolti vivi).
(37) Gentleman’s Magazine dell’anno 1800,
pag. 1216.
(38) The Certainty of the World of Spirits,
di Richard Baxter, Londra
1691, cap. VII, pagg. 147-151.
(39) Letters on Demonology and Witchcraft (Lettere
sulla
demonologia e sulla magia) di Sir Walter Scott, seconda
edizione 1857, pagg.
371-74.
(40) Demonology and Witchcraft, pag. 367.
(41) Vedi Libro IV, cap. II sulle «Apparizioni di
viventi».
(42) Philosophy of Mysterious Agents, Human and
Mundane, di
E.C. Rogers, Boston 1853, pag. 283.
(43) Op. cit. pagg. 284-85.
(44) Die Seherin von Prevorst, di Justinus
Kerner, quarta edizione,
Stoccarda 1846, pagg. 132-34.
160
(45) Nel suo Satan’s Invisible World Discovered (Il
mondo invisibile
di Satana svelato), Edimburgo 1789. E’ la storia di Sir
George Horton, che si
dice avesse sognato di intromettersi per impedite che i
suoi due figli si
battessero in duello, e che realmente apparve loro,
impedendo il
combattimento, a sessanta miglia di distanza nello stesso
momento.
(46) Aus meinem Leben, di J.W. von Goethe,
Stoccarda 1853, vol. I,
pagg. 41-43.
(47) Du sommeil, des rêves et du somnambulisme (Del
sonno, dei
sogni e del sonnambulismo), di Macario, pag. 82. Il fatto
ricorda i versi di
Scott nella Signora del Lago, in cui Ellen
si rivolge a Fitz-James:
… proprio ieri
Il vecchio Allan-Bane predisse la vostra avventura;
Un signore dai capelli grigi, il cui sguardo intento
Era rivolto alla visione del futuro.
Vide il vostro corsiero chiazzato di grigio,
Giacere morto nel viale di betulle;
Descrisse esattamente la vostra figura e il vostro
aspetto,
E il vostro abito verde oliva da cacciatore
. . . . . . . . . . . .
E comandò che tutto fosse pronto
Per accogliete un ospite di molto riguardo.
(48) The Anatomy of Sleep, di Edward Binns,
seconda edizione Londra,
1845, pagg. 459-60.
(49) E’ degno di attenzione il fatto che molti di questi
sogni notevoli
avvengono più di una volta, come (si potrebbe supporre)
per fare una più
profonda impressione su chi sogna. Nel sogno precedente
del signor Talbot,
in quello che rivelò la morte di Percival, nel sogno
ammonitore della signora
Griffith, in quello dell’aldermanno Clay e in altri, la
visione si ripeté tre volte.
(50) Intellectual Powers, pag. 214.
(51) Vedi, a questo riguardo, i racconti intitolati «Il
corteggiatore respinto»
e «Come fu salvata la vita del senatore Linn», entrambi
nel libro V.
(52) De divinatione, I, 1, 2, 3.
(53) Abercrombie conclude il suo capitolo sul sogno con
queste parole: «Il
rapido schizzo che abbiamo dato sul sogno può servire a
mostrare che il
soggetto è non solo curioso, ma importante. Esso si rivela
degno di attenta
investigazione, e vi sono molte ragioni per credere che
una vasta raccolta di
161
fatti autentici, attentamente analizzati, mostrerebbe
principi di grande
interesse per la filosofia dei poteri mentali». Intellectual
Powers, pag. 224.
162
LIBRO III - DISTURBI POPOLARMENTE DETTI INFESTAZIONI
1 - Carattere generale dei fenomeni
«Poiché questa non è cosa di oggi
O di ieri, ma è stata in tutti i tempi;
E nessuno può dire donde è venuta o come».
Sofocle
Quello straordinario e influente movimento, comunemente
detto
spiritismo, che ha percorso tutti gli Stati Uniti e di là
si è diffuso più o meno in
tutti i paesi europei, ha avuto le sue origini in un
fenomeno, o preteso
fenomeno, di un carattere che è stato comunemente definito
casa infestata.
In un’opera come questa, dunque, è opportuno che tale
classe di fenomeni,
disprezzati e derisi dal sadduceismo moderno, abbia il suo
posto come degna
di un serio esame.
E nel corso di questo esame, con la citazione degli esempi
meglio attestati,
la questione principale non è se in questi tempi ogni
minuto particolare sia
criticamente esatto - perché quale storia antica o moderna
supererebbe
questa prova? - ma se, in generale, il racconto dia
l’impressione della verità:
se vi è una prova sufficiente a indicare che quei fenomeni
sono fondati su di
una realtà sostanziale. In questa inchiesta ci sia
permesso fare due
considerazioni: da un lato che quando le passioni della
meraviglia o della
paura sono fortemente eccitate, l’immaginazione umana è
incline
all’esagerazione, e, dall’altro, come dimostrato altrove
(1); che non vi sono
allucinazioni collettive.
La questione fondamentale è, dunque, se, pur riconoscendo
che questa
infestazione di case è spesso una semplice superstizione
popolare, non vi sia
tuttavia dietro di essa una qualche verità, un qualche
fenomeno genuino.
Nel separare, da una vasta massa apocrifa, le
relativamente poche relazioni
di questa classe che ci giungono in forma autentica,
garantite da rispettabili
autorità contemporanee, sostenute da precise indicazioni
di tempo, luogo e
persona, appoggiate talora da giuramenti giudiziari, si è
fatalmente colpiti
dall’osservazione che, facendo così la scelta, scartiamo
tutte le storie della
scuola fantomatica dell’orrore, tutti gli spettri di
scheletri formicolanti di
163
vermi, tutti i demoni con classiche corna e code, tutte le
luci azzurre di
mezzanotte e altre simili abbelliture, ma ci rimane
tuttavia una relativamente
semplice e prosaica serie di meraviglie inesplicabili con
ogni agente fisico
conosciuto, anche se spogliate da quello spettacolare
supernaturalismo che
piaceva ad Anne Radcliffe e che Horace Walpole non
disdegnava di impiegare.
Al suo posto, tuttavia, troviamo un elemento che da alcuni
può essere
considerato non meno impressionante e improbabile: alludo
all’aspetto
molesto, chiassoso e stravagante che questi disturbi
talora assumono. Siamo
così abituati a considerare tutte le manifestazioni
spirituali, se ve ne sono, non
solo come serie e importanti, ma di carattere solenne e
degno di reverenza,
che la nostra naturale o acquisita ripugnanza ad ammettere
la realtà di
qualsiasi fenomeno non spiegabile con agenti terreni è di
molto aumentata se
scopriamo in esso solo trivialità e capriccio.
E’ certo che, se i disturbi di questo carattere sono opera
di spiriti
disincarnati, essi si presentano come spiriti di un ordine
inferiore; come
diavoletti, per così dire, della monelleria e del
disordine; non malvagi,
sembrerebbe, o, se malvagi, impediti dal fare seri danni,
ma elfi birichini,
spiriti burloni e spensierati - una sorta di Puck (2)
- esprits espiègles
(spiriti birichini) come dicono i Francesi; o, come hanno
detto i Tedeschi
foggiando una parola apposta per questa pretesa classe di
spiriti,
Poltergeister.
Se si pub obiettare che non possiamo ragionevolmente
immaginare degli
spiriti che tornino a visitare la scena della loro
precedente esistenza senza
alcuno scopo superiore a quello che tali racconti
rivelano, bisogna anche
ammettere, per la stessa ragione, la scarsa probabilità
che gli uomini
inventino storie di questo carattere senza alcuna base su
cui costruirle.
L’immaginazione, una volta al lavoro, non si limiterebbe a
parlare di colpi,
scricchiolii, mobili spostati, fanciulli stuzzicati e
simili piccole noie.
Inventerebbe qualche cosa di più impressionante e
misterioso.
Ma adesso devo occuparmi di fatti e non di teorie, di
quello che troviamo e
non di quello che, secondo le nostre attuali nozioni, ci
aspetteremmo di
trovare. Quante cose vi sono in natura che, se ci
soffermassimo a congetturare
in anticipo le probabilità, deluderebbero direttamente le
nostre previsioni!
E nello scegliere i fatti, o quelli che pretendono di
esserlo, non risalirò più
indietro di un paio di secoli (3). Prima che la stampa
divenisse un’arte
comune, e i libri venissero letti liberamente oltre i
limiti di una cerchia dotta e
ristretta, un racconto di eventi discutibili non poteva
ottenere quella vasta
diffusione che l’avrebbe esposto alle critiche generali,
non aveva molte
probabilità di essere confutato e non dava quindi alle età
future qualche
garanzia contro i frequenti errori di una affermazione ex
parte.
164
Note
(1) Vedi il capitolo successivo, in cui si fa differenza
fra illusione e
allucinazione; l’una
fondata sulla realtà, l’altra semplice alterazione dei
sensi.
(2) Folletto del Sogno di una notte d’estate,
di Shakespeare. (U.D.)
(3) Coloro che desiderano divertirsi (perché in realtà si
tratta di poco più di
un divertimento) potranno trovate in molti scrittori
antichi racconti di case
infestate apparentemente bene attestati come qualsiasi
altra parte della storia
del tempio. Plinio il Giovane ne ha uno (Plin.
Junior, Epist. ad Suram,
libro VII, cap. 27) che egli afferma avere avuto come protagonista
il filosofo
Atenodoro. Lo scettico Luciano (in Philo-pseud.,
pag. 840) ne riferisce un
altro di un uomo chiamato Arignote. In tempi più recenti,
Antonio
Torquemada (nei suoi Flores Curiosas,
Salamanca, 1570) ha la storia di un
certo Vasquez de Ayola. In tutti e tre questi casi si
sostiene che uno spettro sia
scomparso in un punto dove, scavando, fu trovato uno
scheletro. Alexander
ab Alexandro, un dotto legista napoletano del quindicesimo
secolo, afferma
come fatto di comune notorietà, che in Roma vi sono una
quantità di case così
famose per essere infestate che nessuno vuole abitarvi; e
aggiunge che,
volendo controllare la verità di ciò che si diceva di una
di queste case, lui
stesso, con un amico chiamato Tuba e altri, vi passò una
notte, durante la
quale furono atterriti dall’apparizione di un fantasma e
da molti altri terribili
rumori e disturbi. Alexander ab Alexandro,
libro V, cap. 23.
Potrebbero essere citati un centinaio di casi simili,
specialmente dagli
scritti degli antichi padri, Sant’Agostino. san Gennaro,
san Gregorio e altri.
Ma non potremmo trarre da queste vaghe antiche storie
alcuna inferenza
attendibile eccetto l’universale prevalenza, in tutte le
epoche, della stessa idea.
165
2 - Narrazioni
«Non sono portato a raccontare storie né vi trovo alcun
piacere, e non pubblico queste per coloro che ne prendono
divertimento; ma le riferisco come argomenti a conferma di
una verità che, in realtà, è stata confermata da una
moltitudine
di prove simili in ogni luogo e in ogni tempo».
Rev. Joseph Glanvil: prefazione al suo Sadducismus
Triumphatus.
Il primo racconto che scelgo è stato oggetto di interesse
e controversie in
tutta l’Inghilterra per vent’anni e più, e fu pubblicato
quasi all’epoca degli
avvenimenti da un uomo di carattere e di rango.
IL RACCONTO DI GLANVIL
Disturbi nella casa del signor Mompesson a Tedworth. Dal
1661 al 1663.
Il rev. Joseph Glanvil, cappellano ordinario di Carlo II,
era un uomo noto e
stimato al suo tempo, sia per molte sue opere teologiche
sia per la sua difesa
della filosofia baconiana, e come campione, contro certi
detrattori, della Royal
Society, di cui era membro.
Nell’anno 1666 pubblicò il suo Sadducismus
Triumphatus, in cui, per
sostenere le opinioni popolari del suo tempo sulle streghe
e le apparizioni,
include quella che chiama una «scelta raccolta di
relazioni moderne». La
maggior parte di queste sono per sentito dire, alcune
fondate sulle confessioni
degli accusati e su altre prove che oggi giudichiamo
indegne di fede; ma la
prima e principale relazione, intitolata da Glanvil «Il
demone di Tedworth», è
di carattere molto diverso consistendo nella narrazione di
eventi che si
ripeterono a intervalli, per due interi anni, nella casa
di un signore di
carattere e di rango, il signor John Mompesson, di
Tedworth, nella contea di
Wilts; una parte di questi fatti fu testimoniata dallo
stesso Glanvil.
Sembra che nel marzo del 1661, il signor Mompesson, nella
sua qualità di
magistrato, avesse fatto arrestare un vagabondo che andava
in giro con un
tamburo disturbando il paese con le sue chiassose
richieste di elemosina, e
che gli avesse fatto requisire il tamburo lasciandolo
sotto la custodia del
166
balivo. Il signor Mompesson immaginò che questo fatto
fosse in relazione con
i disturbi che seguirono e di cui sono dati qui i
principali particolari tratti
letteralmente dall’opera di Glanvil.
«Verso la metà dell’aprile seguente (sempre nel 1661),
quando il signor
Mompesson si preparava per un viaggio a Londra, il balivo
mandò il tamburo
alla casa di lui. Al suo ritorno da questo viaggio, sua
moglie gli disse che, di
notte, erano stati molto spaventati dai ladri e che la
casa per poco non era
andata in pezzi. Era tornato appena da tre giorni, quando una notte si
udirono
gli stessi rumori che avevano disturbato la famiglia durante
la sua assenza.
Erano imponenti colpi alle porte e all’esterno della casa.
Si alzò e fece il giro
dell’abitazione con due pistole in pugno. Aprì la porta in
cui si udivano i forti
colpi, e subito udì il fracasso a un’altra porta. Aprì
anche questa e uscì per
guardare intorno alla casa, ma non poté scoprire nulla,
sennonché udiva
ancora strani rumori e suoni sordi. Tornato a letto, il
suono divenne un
battere e tambureggiare sul tetto, che continuò a lungo e
poi gradatamente
svanì nell’aria.
«In seguito il rumore del battere e tambureggiare fu molto
frequente; di
solito si ripeteva per cinque notti di seguito e poi
faceva una sosta di tre.
Veniva dall’esterno della casa, che era per la maggior
parte di legno. Si faceva
sentire regolarmente quando la famiglia stava andando a
letto, presto o tardi
che fosse. Dopo un mese di disturbi all’esterno, entrò
nella stanza in cui era il
tamburo, per quattro o cinque notti su sette, circa
mezz’ora dopo che tutti
erano andati a letto, continuando per quasi due ore.
«Il segnale del suo inizio era un subbuglio nell’aria
sopra la casa, e quello
del suo termine un rullo di tamburo come quando smonta la
guardia.
Continuò in questa stanza per due mesi durante i quali lo
stesso signor
Mompesson rimase lì a osservare il fenomeno» (1).
Durante la segregazione del signor Mompesson e, in
seguito, per tre
settimane, fu intermittente; ma «dopo questa educata
interruzione», dice
Glanvil, «tentò ancora più violento di prima e si volse a
perseguitare i
bambini più piccoli colpendo i telai dei loro letti con
tale violenza che i
presenti si aspettavano di vederli andare in pezzi.
Ponendo le mani su di essi
non si sentivano colpi, ma si potevano vedere vibrare con
violenza. Per un’ora
di seguito batteva il ritmo di “Puritani e cornuti” la
ritirata e altri segnali
guerreschi al pari di un tamburino. Dopo di che si udiva
un graffiare sotto il
letto dei ragazzi come se qualcuno grattasse con artigli
di ferro. Faceva alzare i
ragazzi quando erano a letto, li seguiva da una stanza
all’altra, e per qualche
tempo non disturbo altri che loro».
167
Il resto del racconto è ancor più meraviglioso; e Glanvil
afferma che i
fenomeni avvennero in presenza di un predicatore
evangelista, il signor
Cragg, e di molti vicini che erano venuti in visita.
«Il predicatore si mise a pregare con loro,
inginocchiandosi al fianco del
letto dei ragazzi, dove il fracasso era allora più forte e
violento. Durante la
preghiera il rumore si ritirò nell’abbaino, ma tornò
appena la preghiera fu
finita; e poi, davanti ai presenti, le sedie si misero a
camminare da sole per la
stanza, le scarpe dei ragazzi volarono sopra le loro
teste, e tutto ciò che non
era fissato andava in giro. In egual tempo un sostegno del
letto fu lanciato
contro il predicatore ma così lievemente che un bioccolo
di lana non sarebbe
potuto cadere con maggior leggerezza; e fu osservato che
si fermò proprio nel
punto in cui era caduto, senza rotolare o rimbalzare»
(pag. 324).
Per quanto tutto ciò possa sembrare stravagante e
inverosimile, possiamo
trovarvi dei paralleli in esempi moderni avvenuti in
Europa e in America.
L’estratto seguente introduce un nuovo aspetto che merita
la nostra
attenzione. E’ il primo esempio da me trovato di quelle
risposte ai rumori, con
apparente intelligenza, che si è diffuso negli Stati Uniti
in grandi proporzioni.
«Il signor Mompesson, vedendo che il fenomeno perseguitava
in tal modo i
bambini, li alloggiò in casa di un vicino, tenendo la
figlia maggiore, di circa
dieci anni, nella propria stanza, dove i disturbi non si
manifestavano da circa
un mese. Appena ella fu a letto, tutto riprese nuovamente
e continuò per tre
settimane con tambureggiamenti e altri rumori; e fu
osservato che
rispondevano esattamente, rullando, a ogni cosa che fosse
battuta o chiesta»
(pag. 324).
Ecco un altro estratto a conferma di simili osservazioni
relative alla
condotta di animali durante simili disturbi.
«Fu notato che quando il rumore era più forte e veniva con
la più
improvvisa e sorprendente violenza, nessun cane intorno
alla casa si
muoveva, sebbene i colpi fossero spesso così chiassosi e
rudi da essere uditi a
considerevole distanza nei campi e da svegliare i vicini
nel villaggio, nessuno
dei quali abitava nei pressi della casa» (pag. 324).
I disturbi continuarono per due anni: alcuni
di essi avvennero nell’aprile
del 1663. Il signor Mompesson e i suoi amici li
attribuirono alla cattiveria del
tambureggiatore in combutta con il Maligno. E in questa
credenza furono
confermati dai seguenti incidenti avvenuti nel gennaio del
1662. Coloro che
hanno qualche esperienza delle comunicazioni simili
avvenute ai nostri
giorni, sanno bene quanto poca fiducia si debba loro
accordare, se non
corroborate da altre prove, vedendo in esse solo
l’indicazione di qualche
intelligenza occulta.
168
«Durante il periodo dei colpi, quando molti erano
presenti, uno di essi
disse: “Satana, se il tambureggiatore ti ha messo
all’opera, batti tre colpi e non
più”. E così avvenne molto chiaramente. Allora quel tale
batté per vedere se
avrebbe avuto risposta con i soliti colpi; ma non ci fu
risposta. Per ulteriore
prova, egli comandò, a conferma, che se si trattava del
tambureggiatore,
fossero battuti cinque colpi, e non più, per tutta quella
notte, cosa che fu fatta
lasciando la casa tranquilla per tutto il resto della
nottata. Questo avvenne
alla presenza di Sir Thomas Chamberlain, di Oxford, e di
parecchi altri» (pag.
326).
Fin qui il racconto raccolto dal nostro autore dal signor
Mompesson e da
altri; ma il signor Glanvil stesso visitò la scena dei
disturbi nel gennaio del
1662, e ci dà i risultati delle sue osservazioni personali
come segue:
«Circa questo tempo mi recai alla casa per controllare la
verità di questi
avvenimenti di cui si parlava tanto. I tambureggiamenti e
i rumori più forti
erano cessati prima del mio arrivo; ma la maggior parte
dei più notevoli
fenomeni menzionati mi furono confermati da vari vicini
che erano stati
presenti alle loro manifestazioni. In quel periodo
venivano perseguitati i
fanciulli non appena erano andati a letto. La sera in cui
ero là, essi andarono a
letto verso le otto, e una domestica venne subito ad
avvertirci che il fenomeno
era ripreso. I vicini che erano lì e due pastori che lo
avevano visto e udito più
volte, se ne andarono; ma il signor Mompesson, io e un
signore che era
venuto con me, salimmo. Lungo le scale e appena entrato
nella stanza udii
uno strano grattamento. Mi accorsi che proveniva di dietro
il capezzale del
letto dei ragazzi e sembrava prodursi contro la fodera del
materasso. Nel letto
vi erano due bambine tra i sette e gli undici anni, a
quanto potei giudicare.
Vedevo le loro mani fuori delle coperte, ed esse non
potevano provocare i
rumori che avvenivano dietro le loro teste. Ci erano ormai
abituate, vi era
qualcun altro con loro nella stanza e quindi non
sembravano molto
spaventate. Io, stando alla testa del letto, infilai una
mano sotto il capezzale
dirigendola verso il punto da cui sembrava venire il
rumore. Allora esso cesso
lì e si fece udire in un’altra parte del letto. Ma, quando
ebbi tolto la mano vi
tornò e fu udito nello stesso punto di prima. Mi era stato
detto che imitava i
rumori fatti, e feci la prova grattando più volte sulle
lenzuola, come 5, 7 e 10; e
il rumore mi seguì fermandosi sempre al mio numero. Cercai
sotto e dietro il
letto, rovesciai le coperte fino al traliccio, smossi il
capezzale, battei contro il
muro dietro il letto e feci tutte le ricerche possibili
per vedere se ci fosse
qualche trucco, qualche congegno, qualche causa naturale;
e così pure fece il
mio amico; ma non riuscimmo a scoprire nulla. Così che fui
pienamente
persuaso, e lo sono ancora, che il rumore veniva fatto da
qualche demone o
spirito. Dopo che ebbe grattato per una mezz’ora o poco
più, passo al centro
del letto, sotto le bambine, e parve ansimare, come un
cane a cui manchi il
169
respiro, molto forte. Misi la mano in quel punto e sentii
che il letto faceva
resistenza come se qualche cosa all’interno lo sollevasse.
Afferrai le coperte
per vedere se non vi fosse sotto qualche cosa di vivente.
Guardai dappertutto
cercando un cane o un gatto, o qualche altro animale che
fosse nella stanza, e
così facemmo tutti, ma non trovammo nulla. Quell’ansimare
era così violento
da far tremare sensibilmente le porte e le finestre.
Continuò per tutta la
mezz’ora e più che il mio amico e io restammo nella
stanza, e per un’altra
mezz’ora in seguito,. come ci fu detto.
«So che si dirà da alcuni che il mio amico e io eravamo in
una crisi di paura
così da fantasticare rumori e respiri che non esistevano.
E’ questa l’eterna
evasione. Ma, se è possibile sapere quando un uomo è colto
dalla paura e
quando non lo e, io, per parte mia, so con certezza che
per tutto il tempo che
rimasi nella stanza e nella casa non ero più impaurito di
quanto non sia
adesso scrivendo questa relazione. E se so, in questo
momento, di essere
sveglio e di vedere gli oggetti che mi stanno davanti, so
di avere udito e visto
tutti i particolari che ho raccontato» (pagg. 328-30).
Il signor Glanvil conclude la sua relazione, di cui ho
omesso per brevità le
ripetizioni e le parti meno importanti, dicendo:
«Così ho descritto l’insieme dei disturbi del signor
Mompesson, che in
parte ho raccolto dalle sue labbra davanti a parecchie
persone che erano state
testimoni dei fatti e che confermarono la sua descrizione;
e parte dalle sue
lettere, da cui ho tolto l’ordine e la serie delle cose.
Gli stessi particolari egli ha
scritto anche al dott. Creed, che allora teneva cattedra a
Oxford» (pag. 334).
Rimane da dire che, qualche tempo dopo il primo arresto
del
tambureggiatore, il signor Mompesson lo fece nuovamente
arrestare per
fellonia (secondo lo statuto di Giacomo I, cap. 12) come
supposto autore di
una stregoneria sulla sua casa. La grande giuria accolse
l’accusa; ma bisogna
dire a onore della piccola giuria che l’uomo venne assolto
non essendo stata
provata la sua relazione con i disturbi. La realtà dei
disturbi fu giurata da vari
testimoni. A questo fatto il signor Mompesson allude in
una lettera da lui
scritta al signor James Collins, datata Tedworth, 8 agosto
1674 e pubblicata
nel libro di Glanvil. Cito da questa lettera:
«I testimoni su giuramento furono io stesso, il signor
William Maton, il
signor Walter Dowse - tutti ancora viventi e, credo, di
buona reputazione in
questo paese - e il signor Joseph Cragg, allora pastore
del luogo, ma poi
defunto. Tutti noi deponemmo varie cose che consideravamo
impossibili a
ottenersi con agenti naturali, come movimenti di sedie,
sgabelli, assi di letti,
senza che alcuno fosse vicino, rulli di tamburo nell’aria
sopra la casa nelle
notti chiare, senza che nulla fosse visibile, vibrazioni
del pavimento e delle
170
parti più solide della casa nelle notti tranquille e varie
altre cose della stessa
natura» (2).
In un’altra lettera indirizzata dal signor Mompesson allo
stesso Glanvil, in
data 8 novembre 1672, egli scrive:
«Incontrandomi per caso col dott. Pierce in casa di Sir
Robert Button, egli
mi mise al corrente di qualche cosa che passo tra Lord R.
e voi circa i miei
disturbi ecc.; su questo (avendo poco tempo a mia
disposizione) vi dò la
seguente dichiarazione. Molto spesso, negli ultimi tempi,
mi è stato
domandato “se non avevo confessato a Sua Maestà o ad
altri, una frode
scoperta in questa faccenda”. Al che ho dato, e darò fino
al mio ultimo giorno
di vita, la stessa risposta: che mentirei e spergiurerei se
riconoscessi una frode
in ciò in cui sono sicuro che non ve n’era né poteva
esservene alcuna, come io,
magistrato del luogo, e due altri onesti gentiluomini
abbiano deposto alle
assise in occasione dell’accusa da me portata contro il
tambureggiatore. Se il
mondo non vuole crederci, mi è indifferente, e prego Dio
di guardarmi da una
pena dello stesso genere o simile» (3).
E’ questo un compendio dei fatti essenziali del caso,
tratto letteralmente
dall’opera di Glanvil, alla quale il lettore curioso può
rivolgersi per ulteriori
particolari.
In relazione a questa esposizione deve essere notato
particolarmente:
Che i disturbi continuarono per due interi anni, e cioè
dall’aprile 1661
all’aprile 1663; e che il signor Mompesson, per due mesi
di seguito andò a
dormire in una data stanza appositamente per osservarli.
Che i suoni prodotti erano così forti da svegliare gli
abitanti del villaggio
vicino, a una considerevole distanza dalla casa del signor
Mompesson.
Che il movimento del letto dei bambini, in presenza di Glanvil,
era così
violento da scuotere le porte e le finestre della casa.
Che i fatti, raccolti da Glanvil al tempo in cui si
verificarono, furono da lui
pubblicati quattro anni dopo, ossia nel 1666; e che i più
importanti di questi
fatti furono giurati in una corte di giustizia.
Che dieci anni dopo tali avvenimenti, quando fu riferito
che il signor
Mompesson aveva ammesso la scoperta di un trucco, questo
signore negò
esplicitamente di avere mai scoperto una causa naturale
dei fenomeni e
confermò nel modo più solenne a Glanvil la sua precedente
dichiarazione.
Quando a queste considerazioni si aggiungano le seguenti
note di Glanvil
sul carattere del signor Mompesson e le possibilità di
frode nelle circostanze
date, il lettore ha dinanzi a sé tutto il materiale per
poter giudicare il caso.
171
«Il signor Mompesson è un gentiluomo sulla cui sincerità
in questa
relazione non ho il minimo fondamento di sospetto, non
essendo né vano né
credulo, ma assennato, sagace e virile. Il credito dei
fatti dipende in gran parte
dai relatori, che, se sono tali da non poter essere
ingannati essi stessi, né è
supponibile in loro alcun interesse a ingannare gli altri,
devono essere creduti.
Perché ogni fede umana si fonda su queste circostanze e la
realtà dei fatti non
può essere provata che dalla immediata evidenza dei sensi.
Non si può
pensare che questo signore ignori se quello che riferisce
sia vero o no: tutto è
avvenuto nella sua casa, lui stesso è stato testimone, non
di uno o due fatti
soltanto ma di un centinaio, non per una o due volte ma
per lo spazio di due
anni durante i quali fu un osservatore interessato e
minuzioso. Così che non si
può supporre ragionevolmente che qualcuno dei suoi
domestici lo avesse
ingannato perché in tutto questo tempo avrebbe dovuto
scoprire l’inganno. E
quale interesse poteva avere, qualcuno della sua famiglia
(se avesse potuto
farlo senza essere scoperto) di continuare un’impostura
così lunga, fastidiosa
e nociva? Né si può immaginare con un minimo di
probabilità che egli sia
stato illuso da una depressione del suo carattere, perché
(indipendentemente
dal fatto che non era né maniaco né fantastico) questo
umore non avrebbe
potuto essere così duraturo e pertinace. O, se fosse stato
così per lui, possiamo
immaginare che egli abbia influenzato tutta la sua
famiglia e la moltitudine di
vicini e di altri che furono così spesso testimoni dei
fenomeni? Queste
supposizioni sono assurde e tali da non allettare alcuno
se non coloro che
ragionano solo con la propria ostinatezza. Così che,
nell’insieme, il principale
relatore, lo stesso signor Mompesson, sapeva benissimo se
quel che
raccontava era vero o no, se quello che avveniva nella sua
casa era una frode o
una realtà eccezionale. E, se era così, che interesse
poteva avere nel portare
avanti, o nel collaborarvi, un gioco di prestigio
fraudolento?
«Egli ne fu danneggiato nella reputazione, nei suoi averi,
nei suoi affari e
nella pace domestica. Coloro che non credevano negli
spiriti e nelle
stregonerie, lo considerarono un impostore. Molti altri
giudicarono che Dio
stesso avesse permesso questi straordinari guai per
punirlo di qualche notoria
empietà. Così che il suo nome fu continuamente esposto
alla censura e il suo
patrimonio ebbe a soffrire per il continuo affluire di
gente in casa sua, per
l’essere egli distolto dai suoi affari, per le paure della
servitù che egli non
riusciva a trattenere presso di sé. A questo aggiungo la
continua inquietudine
della sua famiglia, gli spaventi, i disturbi, lo stato di
allarme di tutta la sua
casa, nei quali egli era necessariamente coinvolto. Se
consideriamo tutte
queste cose, dico, non vi sarà alcuna ragione per credere
che egli abbia avuto
alcun interesse per ordire un inganno dal quale egli
stesso sarebbe stato più di
ogni altro danneggiato» (4).
172
Lascio questo caso al giudizio del lettore e passo a un
altro, avvenuto nel
diciottesimo secolo.
LA RELAZIONE DI WESLEY
Disturbi nella parrocchia del signor Wesley a Epworth.
1716 e 1717.
Nell’anno 1716, il rev. Samuel Wesley, padre del celebre
John Wesley,
fondatore del metodismo, era rettore a Epworth, nella
contea di Lincoln in
Inghilterra. Nella sua parrocchia, la stessa in cui nacque
John, avvennero nei
mesi di dicembre 1716 e gennaio 1717, parecchi disturbi
dei quali il signor
Samuel Wesley tenne un diario particolareggiato. Questi
particolari furono
inoltre conservati in dodici lettere scritte su
quell’argomento, in quello stesso
periodo, da vari membri della famiglia. Inoltre il signor
John Wesley stesso
venne a Epworth nell’anno 1720, fece un’accurata inchiesta
sui fatti, ricevette
dichiarazioni scritte da ognuno dei membri della famiglia
su quello che
avevano visto e udito e, su queste basi compilò una
narrazione da lui
pubblicata sull’Arminian Magazine.
I documenti originali vennero custoditi dalla famiglia, caddero
nelle mani
della signora Earle, nuora del signor Samuel Wesley (il
fratello maggiore di
John) furono da lei affidati a un certo signor Babcock, e
da lui consegnati al
noto dott. Joseph Priestley da cui il tutto fu pubblicato
la prima volta nel 1791
(5).
E’ stato ripubblicato dal dott. Adam Clarke nei suoi Memoirs
of the
Wesley Family (6).
Comprendono quarantasei pagine di quest’opera, e,
poiché contengono numerose ripetizioni, mi limito a
trascriverli solo in parte
cominciando dalla narrazione tratta da John Wesley, che ho
già menzionato.
NARRAZIONE
«Il è dicembre 1716, mentre Robert Brown, domestico di mio
padre se ne
stava con una delle domestiche, un poco prima delle dieci
di sera, nella sala da
pranzo che dava sul giardino, entrambi udirono bussare
alla porta. Robert si
alzò e aprì, ma non vide alcuno. Subito vi fu un altro
colpo e un lamento. “E’ il
signor Turpin”, disse Robert. “Ha il mal della pietra e si
lamenta così”. Aprì
ancora la porta due o tre volte perché due o tre volte si
ripeté il battito; ma,
poiché non vedevano alcuno ed erano un po’ impauriti, si
alzarono e
173
andarono a letto. Quando Robert giunse in cima alle scale
dell’abbaino, vide
un macinino a breve distanza, che girava molto in fretta.
Quando riferì la cosa
disse: “Mi è dispiaciuto solo che fosse vuoto. Se fosse
stato pieno di malto,
avrebbe macinato per me”. Quando fu a letto udì come il
gloglottare di un
tacchino lì presso, e subito dopo il rumore di qualcuno
che inciampasse nelle
sue scarpe e nei suoi stivali; ma non erano lì: li aveva
lasciati a basso. Il giorno
dopo, lui e la domestica riferirono la cosa all’altra
domestica, che rise di cuore
dicendo: “Che pazzi che siete! Sfido qualsiasi cosa a
spaventarmi”. Verso sera,
dopo aver fatto il burro, lo mise su di un vassoio e lo
aveva appena portato
nella dispensa quando udì un colpo sullo scaffale su cui
erano alcuni stampi
per il burro, dapprima sopra lo scaffale, poi sotto. Prese
una candela, guardò
sopra e sotto, ma, non trovando nulla, lasciò cadere il
burro, il vassoio e tutto
e se la diede a gambe. Il pomeriggio seguente, fra le
cinque e le sei, mia sorella
Molly, che allora aveva circa vent’anni, mentre stava
leggendo nella stanza da
pranzo, ebbe l’impressione che si aprisse la porta che
dava nel vestibolo ed
entrasse una persona che sembrava avere una vestaglia di
seta che frusciava
strascicando a terra. Parve camminarle attorno, poi andare
alla porta, poi
ancora attorno; ma lei non poté vedere nulla. Penso:
“Scappare non serve a
niente perché, chiunque sia, può correre più in fretta di
me”. Così si alzò, mise
il libro sotto il braccio e si allontanò lentamente. Dopo
cena era in camera con
mia sorella Sukey (che aveva circa un anno più di lei) e
le raccontò quello che
era avvenuto. L’altra non la prese sul serio e disse: “Mi
meraviglio che ti
spaventi così facilmente: io vorrei proprio vedere quello
che può
spaventarmi”. Subito si udì un colpo sotto il tavolo. Lei
prese una candela e
guardò, ma non trovò nulla. Poi il telaio di ferro della
finestra cominciò a far
fracasso e così pure il coperchio di uno scaldaletto.
Infine il saliscendi della
porta si mosse in su e in giù ripetutamente. Lei balzò su,
salto nel letto senza
spogliarsi, si tirò le coperte sopra la testa e non si
arrischiò a sporgere il naso
fino al mattino.
«Una o due notti dopo, mia sorella Hetty (di un anno più
giovane di Molly)
aspettava, come al solito, fra le nove e le dieci, di
portar via la candela dalla
stanza di mio padre, quando udì qualcuno scendere dalle
scale dell’abbaino,
camminarle lentamente accanto, poi scendere la scala
principale e poi risalire
per la scala sul retro e la scala dell’abbaino. E a ogni
passo sembrava che la
casa tremasse da capo a fondo. Proprio in quel momento mio
padre batté. Lei
entrò, prese la candela e andò a letto il più presto
possibile. Il mattino lo
racconto alla mia sorella maggiore, la quale rispose: “Tu
sai che non credo a
queste cose; lascia che vada io a prendere la candela,
stasera, e scoprirò
l’imbroglio”. La sera, dunque, ella prese il posto di
Hetty, e aveva appena
portato via la candela quando udì un rumore al piano di
sotto. Scese in fretta
le scale fino al vestibolo, donde proveniva il rumore, ma
allora lo udì in
174
cucina. Corse in cucina, dove c’era un tambureggiare
dietro il paravento, vi
andò e il tambureggiare passo dall’altro lato e così via,
sempre dal lato
opposto a quello in cui ella si trovava. Poi udì battere
dietro la porta della
cucina. Vi accorse, abbassò piano il chiavistello e,
quando il battito si ripeté,
aprì d’improvviso, ma non vide niente. Appena ebbe
richiuso la porta, il
battito riprese. Apri ancora e non vi era nulla. Quando
volle richiudere la
porta, questa fu violentemente spinta contro di lei, ma
lei vi si appoggiò col
ginocchio e con la spalla, riuscì a richiuderla e girò la
chiave. Allora il battito
riprese, ma lei lo lasciò continuare e andò a letto.
Tuttavia da quella sera ella
fu completamente persuasa che nel fenomeno non vi erano
imposture.
«Il mattino seguente, quando mia sorella raccontò a mia
madre quello che
era avvenuto, questa disse: “Se udrò io stessa qualche
cosa, saprò come
giudicare”. Subito dopo la pregò di venire nella stanza
dei bambini. Lei vi
andò e udì in un angolo della stanza come il violento
oscillare di una culla; ma
lì non vi erano culle da parecchi anni. Si convinse che
era un fatto
soprannaturale e si affrettò a pregare di non esserne
disturbata nella sua
camera durante le ore di riposo; ed in realtà non lo fu
mai. Poi ella pensò che
era opportuno parlarne a mio padre. Ma egli si arrabbiò
molto e disse:
“Sukey, mi vergogno di te. Questi ragazzi si fanno paura a
vicenda; ma tu sei
una donna di buon senso e dovresti essere più saggia”.
«Alle sei di sera, mio padre diresse come sempre la
preghiera familiare.
Quando cominciò la preghiera per il re, si udirono colpi
per tutta la stanza, e
un colpo tonante accompagnò l’Amen. Da
allora lo stesso fenomeno si ripeté
ogni mattina e ogni sera quando veniva recitata la
preghiera per il re. Poiché
mio padre e mia madre sono ora nella pace eterna e non
possono soffrire per
questo, credo mio dovere fornire al lettore serio la
chiave di questa
circostanza.
«L’anno prima che morisse il re Guglielmo, mio padre notò
che mia madre
non diceva amen alla preghiera per il re. Ella gli spiegò
di non poterlo fare
perché non credeva che il Principe d’Orange fosse re. Lui
giurò che non
avrebbe mai più coabitato con lei finché non lo avesse
fatto. Salì a cavallo e se
ne andò; né ella ebbe notizie di lui per dodici mesi.
Infine tornò e visse con lei
come prima. Ma temo che il suo giuramento non fosse stato
dimenticato
dinanzi a Dio.
«Essendomi stato detto che il signor Hoole, vicario di
Haxey (uomo molto
pio e sensibile), avrebbe potuto darmi qualche ulteriore
informazione, mi
recai da lui. Egli mi disse: “Robert Brown venne da me per
dirmi che vostro
padre desiderava la mia compagnia. Quando vi andai, egli
mi riferì tutto
quello che era avvenuto, in particolare i colpi durante la
preghiera familiare.
Ma quella sera, con mia grande soddisfazione, non vi fu
alcun colpo. Fra le
175
nove e le dieci venne una domestica dicendo: - Il vecchio
Jeffrey sta arrivando
(era questo il nome di un tale che era morto nella casa),
perché sento il
segnale. - Mi informarono che questo segnale veniva udito
ogni sera verso le
dieci meno un quarto. Si produceva sopra la casa,
all’esterno, simile a un forte
stridere di sega o meglio a quello di un mulino quando
viene girato per
volgere le vele al vento. Poi udimmo un colpo sopra le
nostre teste; e il signor
Wesley, presa una candela, disse: - Venite, signore, adesso
udrete voi stesso. -
Salimmo al piano di sopra; lui con molta speranza e io
(per dire la verità) con
molta paura. Quando giungemmo nella camera dei bambini, vi
furono dei
colpi nella stanza accanto; quando andammo là i colpi si
fecero udire nella
stanza dei bambini. E lì si continuò a battere, anche
quando vi fummo entrati,
specialmente alla testa del letto (che era di legno) in
cui erano coricate la
signorina Hetty e due delle sue sorelle più giovani. Il
signor Wesley, notando
che erano molto spaventate - sudate e tremanti sebbene
addormentate - perse
la calma e, tratta una pistola, stava per sparare sul
punto da cui proveniva il
rumore. Ma io lo afferrai per un braccio e dissi: -
Signore, voi siete convinto
che è qualche cosa di soprannaturale. Se è così non potete
colpirlo, ma gli date
il potere di colpire voi. - Egli allora si avvicinò a quel
punto e disse
severamente: - Demone sordo e muto, perché spaventi queste
ragazze che non
possono risponderti? Vieni da me, nel mio studio, che sono
un uomo! -
Immediatamente fu battuto un colpo (il particolare colpo
che il signor Wesley
soleva battere alla porta) come se si volesse mandare il
legno in pezzi; e per
quella notte non udimmo altro”.
«Fino a quel momento mio padre non aveva mai udito il
minimo disturbo
nel suo studio. Ma la sera dopo, mentre si preparava ad
andarvi (lui solo ne
aveva la chiave), appena aperta la porta fu spinto
indietro con tale violenza
che per poco non cadde a terra. Tuttavia riuscì ad aprire
la porta ed entrò.
Subito vi furono colpi, dapprima su di un lato, poi
sull’altro, e, dopo qualche
tempo, nella stanza adiacente, in cui era mia sorella
Nancy. Egli entrò in
quella stanza e, continuando il rumore, lo scongiurò di
parlare, ma invano.
Allora disse: “Questi spiriti amano l’oscurità; porta via
la candela e forse
parlerà”. Lei obbedì ed egli ripeté lo scongiuro; ma vi
furono solo dei colpi
senza alcun suono articolato. Disse ancora: “Nancy, due
cristiani sono troppi
per il diavolo. Andate tutti da basso; forse, quando sarò
solo, avrà il coraggio
di parlare”. Quando lei fu uscita gli passo per la testa
un’idea, e disse: “Se sei
lo spirito di mio figlio Samuel, ti prego di battere tre
colpi e non più”.
Immediatamente vi fu silenzio e per quella notte non si
udì più alcun colpo.
Chiesi a mia sorella Nancy (che aveva allora quindici
anni) se non si era
spaventata quando mio padre aveva pronunciato il suo
scongiuro. Mi rispose
che aveva avuto molta paura che lo spirito parlasse quando
aveva portato via
la candela; ma che non era affatto spaventata di giorno,
quando le camminava
176
accanto, e, quando era intenta a qualche lavoro, pensava
che avrebbe potuto
farlo lui per lei risparmiandole la fatica.
«In quel tempo le mie sorelle si abituarono tanto a quei
rumori da averne
ben poco disturbo. Generalmente, fra le nove e le dieci di
sera, cominciava un
leggero battito sulla testa del loro letto. E loro si
dicevano in genere: “Sta
arrivando Jeffrey; è ora di andare a dormire”. E, se
udivano un rumore
durante il giorno e dicevano alla mia sorella più giovane:
“Su, Ketty, Jeffrey
batte al piano di sopra”, lei correva su per le scale e lo
inseguiva di stanza in
stanza dicendo che era il suo miglior divertimento.
«Poche notti dopo, mio padre e mia madre erano appena
andati a letto e la
candela non era stata ancora portata via, quando udirono
tre colpi, e poi altri
tre e ancora tre, come se provenissero da un grosso
bastone battuto sopra una
cassa che era a fianco del letto. Mio padre si alzo
subito, si infilò una vestaglia
e, udendo un gran fracasso al piano di sotto, prese la
candela e scese; mia
madre lo seguì. Quando ebbero sceso la scala principale,
udirono come se
fosse stato versato sul petto di mia madre un vaso pieno
di argenteria, la quale
cadesse tintinnando ai suoi piedi. Subito dopo ci fu un
rumore come se una
grande campana di ferro fosse stata scagliata contro
parecchie bottiglie che
erano nel sottoscala; ma nulla fu colpito. Poi arrivò il
nostro grosso mastino e
corse a rifugiarsi fra le bottiglie. Durante i disturbi
era solito abbaiare e
saltare e azzannare qua e là, spesso prima ancora che si
udisse qualche
rumore. Ma dopo due o tre giorni si limitò a tremare e a
sgattaiolare via prima
che i rumori cominciassero. Da questi segnali la famiglia
capiva che il
fenomeno era imminente, e non si sbagliava mai.
«Un poco prima che mio padre e mia madre entrassero nel
vestibolo,
ebbero l’impressione che un gran pezzo di carbone fosse
violentemente
lanciato contro il pavimento e andasse in frammenti; ma
non videro nulla.
Mio padre allora gridò: “Sukey, non senti? Tutti i peltri
della cucina sono stati
gettati a terra”. Ma, quando andarono a vedere, i peltri
erano al loro posto.
Poi vi fu un forte colpo alla porta sul retro. Mio padre
l’apri e, anche questa
volta, fu una fatica inutile. Dopo avere aperto più volte
ora l’una ora l’altra, si
voltò e tornò a letto. Ma i rumori erano così violenti per
tutta la casa, che non
poté chiudere occhio fino alle quattro del mattino.
«Parecchi signori ed ecclesiastici consigliarono vivamente
mio padre di
lasciare la casa. Ma egli rispose sempre: “No, il diavolo deve fuggire da me,
io
non fuggirò mai dal diavolo”. Ma scrisse al mio fratello
maggiore, a Londra, di
venire. Questi stava preparandosi a farlo quando una
seconda lettera lo
avvertì che i disturbi erano finiti, dopo essere
continuati (negli ultimi tempi
giorno e notte) dal 2 dicembre alla fine di gennaio» (7).
177
Il diario del signor Wesley senior (pag. 247) conferma
pienamente la
narrazione di suo figlio, aggiungendo alcuni particolari.
Egli ci fa sapere che il
23 dicembre, nella stanza dei bambini, quando sua figlia
Emily batté un colpo,
lo spirito le rispose. In un’altra occasione scrive:
«Scesi le scale e battei col
bastone contro i travicelli della cucina. Lui mi rispose
altrettante volte e con la
stessa intensità dei miei colpi. Allora battei come faccio
abitualmente alla
porta: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7; ma questo lo mise in imbarazzo
e non diede risposta, o
non con lo stesso sistema, sebbene le ragazze lo udissero
fare esattamente la
stessa cosa due o tre volte in seguito». Questo
corrisponde a quanto disse il
signor Holle relativamente al «suo battere gli stessi
colpi del signor Wesley».
Il 25 dicembre egli scrive: «I rumori erano così violenti
che era inutile
pensar di dormire mentre continuavano». E così pure il 27
dicembre
aggiunge: «Erano così numerosi che non volli lasciare la
famiglia, come
desideravo fare, per visitare un amico, il signor Downs».
Dice anche: «Sono stato spinto per tre volte da un potere
invisibile: una
contro l’angolo della scrivania nel mio studio, una
seconda volta contro la
porta della stanza con le stuoie, e una terza volta contro
il lato destro del
telaio della porta del mio studio, mentre entravo».
Quanto al cane, in data 25 dicembre riferisce: «Il nostro
mastino venne
uggiolando verso di noi, come faceva sempre dopo la prima
notte dei
fenomeni; perché allora latrò a essi furiosamente, ma poi
rimase in silenzio e
parve più spaventato dei ragazzi».
Le lettere che confermano i vari particolari sono troppo
lunghe e numerose
per essere trascritte. Ne tolgo un esempio da una scritta
da Emily Wesley (poi
signora Harper) al fratello Samuel. Ella dice:
«Ti ringrazio della tua ultima lettera e ti dirò tutto
quello che posso circa
quanto è avvenuto nella nostra famiglia. Sono così poco
superstiziosa da
sentirmi anche troppo incline allo scetticismo; così che
mi rallegro di cuore di
avere avuto l’opportunità di convincermi, senza dubbi né
scrupoli,
dell’esistenza di alcuni esseri oltre quelli che vediamo.
Un intero mese fu
sufficiente per convincere tutti della realtà della cosa e
per tentare di scoprire
qualsiasi trucco se fosse stato possibile metterlo in
opera. Io ti dirò solo quello
che ho udito io stessa e lascerò il resto agli altri.
«Mia sorella ha udito rumori nella camera dei documenti e
me ne ha
parlato; ma io non vi ho dato molto credito fino a una
notte, circa una
settimana dopo che furono uditi i primi lamenti che
segnarono l’inizio della
vicenda. Avevo appena salito la scala principale quando
udii un rumore come
se qualcuno scagliasse a terra un gran pezzo di carbone
nel mezzo
dell’avancucina, e tutte le schegge parvero volare
attorno. Non ne fui molto
178
spaventata, ma andai da mia sorella Sukey, e insieme
facemmo il giro delle
stanze del terreno; tutto era in ordine.
«Il cane era addormentato e così pure il gatto all’altro
capo della casa. Non
appena fui risalita, mentre stavo spogliandomi per andare
a letto, udii un
rumore fra le numerose bottiglie che sono sotto la scala
principale, come se
fosse caduta fra di esse una grossa pietra e le avesse
mandate tutte in pezzi.
Questo mi spinse a coricarmi al più presto. Ma mia sorella
Hetty, che aspetta
sempre che nostro padre vada a letto per portar via la
candela, era ancora
seduta sull’ultimo gradino della scala dell’abbaino, con la
porta chiusa alle sue
spalle, quando, subito dopo, scese le scale, dietro di
lei, qualche cosa come un
uomo in un’ampia vestaglia, che la fece volare, più che
correre, da me nella
stanza dei bambini.
«Fin allora non avevamo parlato a nostro padre della cosa;
ma adesso ci
affrettammo a farlo. Sorrise e non ci diede risposta, ma
da allora si preoccupo
più del solito di vederci tutte a letto, immaginandosi che
una di noi ragazze
rimanesse alzata più a lungo e provocasse i rumori. La sua
incredulità, e
specialmente la sua tendenza a imputare il fenomeno a noi
o ai nostri
innamorati, mi fece desiderare, lo confesso, che
continuasse fino a che non ne
fosse convinto. Quanto a mia madre era fermamente persuasa
che fossero
topi e mandò a cercare un corno per cacciali via. Io risi
all’idea di quanto fosse
saggio cercar di far paura a Jeffrey (io lo chiamo così)
soffiando in un corno.
«Ma, chiunque fosse, mi accorsi che doveva essersi
arrabbiato perché da
quel momento divenne così importuno che, dopo le dieci di
sera, non c’è stata
più pace. Spesso fra le dieci e le undici udivo qualche
cosa come il rapido
girare di un girarrosto all’angolo della stanza presso la
testa del mio letto,
proprio come il muoversi delle ruote e il cigolare del
meccanismo. Era il solito
segnale del suo avvicinarsi. Poi si batteva tre volte sul
pavimento, seguivano
dei colpi alla testa del letto di mia sorella nella stessa
stanza, quasi sempre tre
di seguito, e poi basta. I suoni erano sordi e forti, tali
che nessuno di noi
avrebbe potuto imitarli.
«Rispondevano a mia madre se batteva sul pavimento e
chiedeva risposta.
Udivo colpi, proprio dietro di me, quando mettevo i
bambini a letto. Una volta
la piccola Ketty, volendo spaventare Molly, mentre stavo
spogliandole, batté a
terra col piede; e immediatamente vi furono tre colpi in
risposta nello stesso
punto. Erano molto più forti e violenti di quello che
avrebbero potuto fare dei
topi o qualsiasi altra causa naturale.
«Potrei dirti molto di più, ma il resto verrà scritto e
quindi sarebbe inutile.
Non fui molto spaventata all’inizio e molto poco da
ultimo; ma non lo ho mai
sentito molto vicino eccetto due o tre volte, né mi ha mai
seguito come ha
fatto con mia sorella Hetty. Ero con lei quando i colpi
sono stati battuti sotto i
179
suoi piedi; e, quando lei si è spostata, i colpi l’hanno
seguita sempre battendo
sotto i suoi piedi, cosa che sarebbe bastata ad atterrire
una persona molto più
forte» (pagg. 270-72).
Sotto la data 19 gennaio 1717, il signor Samuel Wesley
Junior scrisse alla
madre facendole alcune domande alle quali ella rispose in
modo esauriente
aggiungendo: «Ma, d’altra parte, desidero che le mie
risposte non soddisfino
altri che te, perché non vorrei che la cosa si
diffondesse».
Da un memorandum del signor John Wesley, che esponeva «le
circostanze
generali di cui la maggior parte della famiglia, se non
tutti, furono spesso
testimoni», traggo quanto segue:
«Prima che lo spirito entrasse in una stanza, i saliscendi
venivano spesso
alzati, le finestre risuonavano e tutto ciò che di ferro o
di ottone era nella
stanza squillava e vibrava rumorosamente.
«Quando era in una stanza, per quanto rumore si facesse,
come talvolta si
faceva appositamente, le sue cupe e sorde note si udivano
chiaramente al di
sopra del fracasso.
«Il suono molto spesso sembrava essere nell’aria, al
centro della stanza; e
non poteva essere fatto dai presenti, con nessun mezzo.
«Non veniva mai di giorno finché mia madre ordinava di
suonare il corno.
Dopo di che difficilmente si poteva passare da una stanza
all’altra perché il
saliscendi delle stanze in cui si voleva entrare veniva
alzato prima che si
potesse toccarlo.
«Non entrò mai nello studio di mio padre finché egli non
gli parlò
aspramente chiamandolo diavolo sordo e muto e non gli
comandò di smettere
di perseguitare degli innocenti fanciulli e di venire da
lui, nel suo studio, se
aveva qualche cosa da dirgli.
«Dopo che mia madre lo ebbe pregato di non disturbarla
dalle cinque alle
sei, non fu mai udito nella sua camera dalle cinque a
quando scendeva a
basso, né in altri momenti quando lei si dedicava alla
preghiera» (pagg. 284-
85).
Rimane da dire che almeno un membro della famiglia, Emily
Wesley, di cui
abbiamo già citato un brano di lettera, credette di essere
stata seguita dallo
spirito di Epworth per tutta la vita. Il dott. Clarke
afferma di possedere una
lettera originale di questa signora a suo fratello John,
in data 16 febbraio 1750
- ossia trentaquattro anni dopo i precedenti eventi - di
cui pubblica il seguente
estratto:
«Desidero molto vederti e parlare alcune ore con te come
nel passato. Tu
sostieni, insieme a molti altri, la dottrina che nessuna
felicità può essere
180
trovata nelle cose del mondo: poiché ho sedici anni di
esperienza che lo
contraddicono nettamente, vorrei parlarne con te. Un altro
soggetto è quella
meraviglia che chiamavamo Jeffrey. Non ridere di me
considerandomi
superstiziosa se ti dico che, con certezza, qualche
cosa viene da me per
prepararmi contro qualche noia imprevista; ma sappiamo
così poco del
mondo invisibile che, io almeno, non so giudicare se si
tratta di uno spirito
amico o malefico».
Quanto alle cause di questi disturbi, il dott. Clarke
scrive: «Per un tempo
considerevole tutta la famiglia credette a una frode; ma
alla fine tutti si
convinsero che era qualche cosa di soprannaturale»... «Il
signor John Wesley
credeva che fosse un messaggero di Satana mandato a
perseguitare suo padre
per il suo temerario giuramento di lasciare la famiglia e
il suo ingiusto
comportamento verso la moglie in conseguenza del suo
scrupolo di pregare
per il Principe di Orange come re d’Inghilterra»... «Altri
considerarono la casa
infestata»... «Il dott. Priestley pensa che tutto sia
stato frode e impostura.
Così deve essere nel suo sistema materialista; ma questo
non risolve le
difficoltà; taglia semplicemente il nodo»... «L’opinione
della signora Wesley
era diversa da quella di tutti gli altri e, probabilmente,
era la più giusta: ella
supponeva che questi rumori e disturbi annunciavano la
morte di suo fratello,
allora in servizio Presso la Compagnia delle Indie
Orientali. Questo signore,
che aveva accumulato una grande fortuna, disparve
improvvisamente e più
nulla si seppe di lui, almeno per quanto ho potuto sapere
dai sopravviventi
rami della famiglia o dai documenti di essa» (pagg.
287-89).
Questi disturbi, sebbene non così persistenti come quelli
di Tedworth,
durarono per due interi mesi, tempo sufficiente,
sembrerebbe, perché una
famiglia di così forte carattere e coraggiosa quali erano
i Wesley, potesse
scoprire una qualsiasi impostura. E, a meno che non
sospettiamo in Emily
Wesley una superstizione che le sue lettere sono lungi
dall’indicare, fenomeni
di un carattere in qualche modo simile la accompagnarono
per tutta la vita.
«Il dott. Priestley, con tutte le sue inclinazioni allo
scetticismo, parlando
della narrazione di Epworth è propenso ad ammettere «che è
forse la meglio
autenticata e la meglio riferita storia del genere che vi
sia» (9). Tuttavia entra
in discussione per provare che non può esservi in essa
nulla di
soprannaturale, e la principale ragione che ne dà è che
non ne derivava nulla
di buono. La sua conclusione è: «Ciò che appare più
probabile a questa
distanza di tempo, nel presente caso: è che fosse una
frode dei domestici,
aiutati da qualche vicino, e che non si mirasse ad altro
che a mettere in
imbarazzo la famiglia e a divertirsi»; supposizione questa
che Clarke respinge.
Egli dice esplicitamente: «I resoconti dati di questi
disturbi sono così
particolareggiati e autentici da renderli degni del
maggior credito. I testimoni
oculari e auricolari erano persone di buona intelligenza e
cultura, non intinte
181
di superstizione e in certi casi piuttosto inclini allo
scetticismo». E aggiunse:
«Nulla di apparentemente soprannaturale può essere più
lontano dal margine
dell’impostura di questi racconti, e le minute
constatazioni in essi contenute
ci costringono a convincerci della loro verità anche se
increduli» (10).
Southey, nella sua Life of Wesley (Vita di
Wesley) dà il resoconto di
questi disturbi, e così li commenta:
«Uno scrittore che, in quest’epoca, riferisce una simile
storia e non la
considera del tutto incredibile e assurda, deve aspettarsi
di essere messo in
ridicolo; ma le testimonianze su cui essa è fondata sono
troppo forti per
poterla mettere da parte a causa della sua stranezza»...
«Queste cose possono
essere soprannaturali e tuttavia non miracolose; possono
non essere nel corso
ordinario della natura e tuttavia non implicare
alterazioni delle sue leggi. E
relativamente al buon fine a cui si può supporre che
rispondano, sarebbe un
fine sufficiente se qualche volta uno di quegli infelici
che, guardando
attraverso il vetro affumicato dello scetticismo, non
vedono niente oltre la vita
e l’angusta sfera dell’esistenza mortale, fosse, dalla ben
stabilita realtà di una
storia simile (per quanto frivola e inutile come può
altrimenti apparire)
condotto alla conclusione che vi sono più cose in cielo e
in terra di quelle
sognate dalla sua filosofia».
L’opinione di Coleridge era molto diversa. Nella sua copia
dell’opera di
Southey, che lasciò a Southey stesso, scrisse la seguente
nota contro la storia
dei disturbi di Wesley: «Tutte queste storie, e potrei
presentarne almeno una
cinquantina non meno bene autenticate e, per quanto
riguarda la sincerità dei
narratori e il singolo fatto di avere essi visto o udito
tali fatti o suoni, al di
sopra di ogni razionale scetticismo, sono simili l’una
all’altra come i sintomi
della stessa malattia in pazienti diversi. E questa, in
realtà, credo che sia la
verità e l’unica soluzione: una malattia nervosa contagiosa,
la cui forma più
intensa è la catalessi. S.T.C.» (11).
E’ uno strano argomento contro la credibilità di questi
racconti quello che
siano numerosi e che concordino tutti nei caratteri
generali. Né è meno
notevole il modo sbrigativo con cui il poeta raggiunge la
spiegazione dei
fenomeni. Egli ammette che Wesley e la sua famiglia videro
e udirono quello
che affermano di avere visto e udito; ma erano tutti
catalettici. Come? Anche
il mastino?
Non è tuttavia mia intenzione commentare qui queste diverse
opinioni, ma
solo sottometterle al lettore. Tutte provengono da uomini
di notevole
intelligenza e reputazione.
Trascuro varie relazioni di disturbi simili a quelli
citati, riferiti come
avvenuti in Inghilterra e altrove nel diciottesimo secolo,
sia perché i loro
182
particolari sono di poco diversi da quello che si uova nei
precedenti, sia
perché, dato che nessuno di essi è garantito da nomi del
peso di quelli che
attestano gli esempi presentati, non saranno certo
accettati se gli altri
vengono respinti. Alcuni di essi sono riferiti da giornali
del tempo: per
esempio uno recentemente riesumato dalle colonne del New
York Packet,
apparso il 10 marzo 1789. Sotto forma di comunicazione al
direttore, datata
Fishkill, 3 marzo 1789, il corrispondente dice:
«Se dovessi riferire tutte le straordinarie, ma non per
questo men vere,
relazioni che ho udito relativamente a quella disgraziata
ragazza di New
Havensack, forse la vostra fiducia ne sarebbe scossa e la
vostra pazienza
stancata. Mi limito dunque a informarvi solo di quello di
cui sono stato
testimone oculare. Un pomeriggio mia moglie e io andammo
dal dott. Thorn;
e, dopo avere conversato per qualche tempo, udimmo un
colpo sotto i piedi di
una giovane che vive nella famiglia. Io chiesi al dottore
che cosa lo avesse
provocato. Lui non me lo poté dire, ma rispose che,
insieme con parecchi altri,
aveva esaminato la casa senza riuscire a scoprirne la
causa. Io allora presi una
candela e andai in cantina con la ragazza. I colpi
continuarono anche lì: ma,
mentre salivamo le scale per tornare, udii degli strani
picchi da ogni parte,
che mi fecero molta impressione. Rimasi fermo per qualche
tempo
guardandomi attorno stupito, quando vidi del ciarpame che
era in cima alle
scale agitarsi sensibilmente.
Otto o dieci giorni dopo, visitammo ancora la ragazza. I
colpi
continuavano, ma erano più forti. La nostra curiosità ci
spinse a farle una
terza visita, quando i fenomeni divennero ancora più
impressionanti. Vidi
allora delle sedie muoversi; una grande tavola da pranzo
fu spinta contro di
me; e un piccolo sostegno su cui era una candela fu
lanciato in grembo a mia
moglie. Dopo di che lasciammo la casa, molto sorpresi di
quello che avevamo
visto».
Altri casi furono pubblicati in opuscoli a loro tempo,
come i disturbi in casa
della signora Golding e altrove a Stockwell, avvenuti il 6
e 7 gennaio 1772,
caratterizzati soprattutto dal muoversi e dalla
distruzione di mobilio in varie
case, ma sempre in presenza della signora Golding e dalla
sua domestica.
L’opuscolo è stato ristampato in una pubblicazione moderna
(12).
Questo caso, tuttavia, con vari altri, compreso quello
della «fanciulla
elettrica» riferito da Arago, sembra appartenere a una
classe diversa da quella
di cui sto parlando; perché in esso l’agente occulto
sembra collegato a persone
e non ha manifestato intelligenza.
Altri due esempi di data un poco più recente, e nei quali
i disturbi
sembrano in parte di carattere locale e in parte di
carattere personale, si
183
troveranno nella rivista di cui John Wesley fu per vari anni
direttore.
Probabilmente sono stati scritti da lui (13).
Passo ora a un esempio avvenuto al principio del nostro
secolo nel
continente europeo.
IL CASTELLO DI SLAWENSIK
Disturbi nella Slesia superime. 1806-07.
Nel mese di novembre 1806, il consigliere Hahn, addetto
alla corte
dell’allora regnante Principe di Hohenlohe
Neuenstein-Ingelfingen, ricevette
ordine da quei principe di recarsi in uno dei suoi
castelli nella Slesia
superiore, detto Slawensik, e di attendere là i suoi
ordini. Hahn fu
accompagnato da un certo Charles Kern, cornetta in un
reggimento degli
ussari, che era stato preso prigioniero dai Francesi in
una recente campagna
contro la Prussia, ed era appena tornato sulla parola.
Hahn e Kern erano entrambi in buona salute e liberi da
qualsiasi
superstizione. Hahn aveva studiato filosofia sotto Fichte,
ammirava le
dottrine di Kant e a quel tempo era un convinto
materialista.
Essendo stati intimi amici in gioventù, a Slawensik
occuparono la stessa
camera. Era una stanza di angolo al primo piano, con
finestre che guardavano
a nord e a est. Sulla destra, appena entrati, vi era una
porta a vetri che,
attraverso un divisorio rivestito di legno, dava in
un’altra stanza dove erano
raccolti utensili per il servizio di casa. Questa porta
rimaneva sempre chiusa.
Né in quest’ultima stanza, né in quella occupata dai due
amici vi erano
aperture comunicanti con l’esterno eccetto le finestre. In
quel tempo nessuno
risiedeva nel castello oltre Hahn e Kern, a eccezione del
domestico di Hahn e
di due cocchieri del principe.
In queste circostanze e in questa località avvennero i
disturbi seguenti. Essi
vennero narrati per iscritto da Hahn nel novembre 1808; e
nel 1828 il
manoscritto fu dato dall’autore al dott. Kerner, autore di
La veggente di
Prevorst, e da
lui pubblicato per la prima volta a conferma di altri fenomeni
simili da lui stesso osservati nel caso della veggente.
Traduco la parte
principale della narrazione di Hahn, omettendo alcuni
passi in cui egli
riferisce ciò che altri gli avevano raccontato; premetto che
è scritto in terza
persona.
«La terza sera dopo il loro arrivo nel castello, i due
amici stavano leggendo
seduti a un tavolo nel mezzo della stanza. Verso le nove
la loro occupazione fu
184
interrotta dalla frequente caduta di piccoli frammenti di
calcina.
Esaminarono il soffitto, ma non scorsero alcun segno
indicante che fossero
caduti di là. Mentre parlavano della cosa, dei pezzi
ancora più grandi caddero
intorno a loro. La calcina era fredda al tatto, come se
fosse stata staccata dal
muro esterno.
«Infine conclusero che tutto dipendeva dalle vecchie mura
del castello e
andarono a letto. Il mattino furono stupiti dalla quantità
di calcina che
copriva il pavimento, tanto più che non riuscivano a
vedere né sulle pareti né
sul soffitto il minimo danno. La sera, tuttavia,
l’incidente era stato
dimenticato finche non solo si ripeté lo stesso fenomeno,
ma frammenti di
calcina furono scagliati attraverso la stanza, parecchi
dei quali colpirono
Hahn. Nello stesso tempo furono uditi forti colpi, come
gli echi di
un’artiglieria lontana, a volte come se risuonassero nel
pavimento, a volte nel
soffitto. I due amici andarono a letto, ma la violenza dei
colpi impediva loro di
dormire. Kern accusò Hahn di provocare quei rumori
battendo sulle assi che
formavano la parte inferiore del telaio del letto, e non
fu convinto del
contrario finché non ebbe preso la candela ed esaminato
personalmente. Poi
Hahn ebbe lo stesso sospetto nei riguardi di Kern. La
disputa si concluse
quando entrambi si alzarono rimanendo l’uno vicino
all’altro mentre i colpi
continuarono come prima. Le sere seguenti, oltre ai getti
di calcina e ai colpi,
udirono un altro suono simile a un rullo di tamburo a
distanza.
«Di conseguenza essi chiesero a una signora che aveva la
custodia del
castello, Madame Knittel, le chiavi delle stanze sopra e
sotto la loro, ed essa
gliele mandò immediatamente per mezzo di suo figlio. Hahn
rimase nella
stanza, mentre Kern e il giovane Knittel andarono a
esaminare gli
appartamenti in questione. Di sopra trovarono una stanza
vuota, di sotto, una
cucina. Batterono; ma i suoni erano del tutto diversi da
quelli che avevano
udito e che Hahn, nello stesso tempo, continuava a udire
nella stanza. Quando
tornarono dalla loro ispezione, Hahn disse scherzando: “Il
luogo è infestato”.
La sera andarono a letto lasciando la candela accesa; ma
le cose divennero
anche più serie perché essi udirono distintamente un suono
come se qualcuno
in pianelle camminasse per la stanza; e a questo si univa
il rumore di un
bastone su cui qualcuno si appoggiasse e che battesse sul
pavimento a ogni
passo; da quanto si poteva giudicare da questi suoni,
sembrava che la persona
camminasse su e giù per la stanza. Hahn ci scherzò sopra,
Kern rise ed
entrambi si disposero a dormire senza attribuire
seriamente al fenomeno
alcuna origine soprannaturale.
«Tuttavia la sera seguente parve impossibile dare ai fatti
una qualsiasi
spiegazione naturale. L’agente, quale che fosse, cominciò
a lanciare vari
oggetti nella stessa stanza: coltelli, forchette,
spazzole, berretti, pantofole,
lucchetti, un imbuto, smoccolatoi, sapone, in breve tutto
ciò che c’era di
185
mobile nell’appartamento. Anche candelieri volarono
attorno, prima da un
angolo, poi da un altro. Se quegli oggetti fossero stati
lasciati nel luogo in cui
cadevano, tutta la stanza ne sarebbe stata disseminata
nella massima
confusione. Nello stesso tempo cadeva, a intervalli, ancor
più calcina; ma i
colpi si erano interrotti. Allora i due amici chiamarono i
due cocchieri, il
domestico di Hahn, il giovane Knittel, la custode del
castello e altri, i quali
tutti furono testimoni di questi disturbi».
Questo continuò per parecchie notti; ma al mattino, tutto
era tranquillo
come al solito, talora già all’una di notte. Hahn
continua:
«Da tavolo, sotto i loro stessi occhi, smoccolatoi e
coltelli talora si alzavano,
rimanevano per qualche tempo sospesi nell’aria e poi
cadevano sul
pavimento. In questo modo un grosso paio di forbici
appartenente a Hahn
cadde fra lui e uno dei cocchieri rimanendo infisso sul
pavimento.
«Per poche notti il fenomeno cessò, ma poi riprese come
prima. Dopo che
fu continuato per circa tre settimane (durante le quali
Hahn si ostinò a
rimanere nello stesso appartamento), alla fine, stanchi
dei rumori che
turbavano continuamente il loro sonno, i due amici
decisero di far trasportare
i loro letti nella stanza d’angolo superiore, così da
ottenere, se possibile, una
notte tranquilla. Ma il cambiamento non servì a nulla. Gli
stessi rumorosi
colpi li seguirono; ed essi notarono che volavano per la
stanza oggetti che
erano sicuri di avere lasciato nella camera sottostante.
“Lascia che volino
come vogliono”, esclamò Hahn. “Io devo dormire!”. Kern,
mezzo svestito,
passeggiava pensieroso per la stanza. Improvvisamente si
fermò davanti a
uno specchio a cui aveva rivolto per caso lo sguardo. Dopo
averlo osservato
per una decina di minuti, cominciò a tremare, si volse con
un pallore mortale
e si allontanò. Hahn, pensando che si fosse sentito male
per il freddo, corse a
lui e gli gettò una giacca sulle spalle. Allora Kern, che
per il suo naturale
carattere non aveva paura di nulla, riprese coraggio e
riferì all’amico, con
labbra ancora tremanti, di aver visto nello specchio
un’immagine femminile,
vestita di bianco, che lo guardava, apparentemente davanti
a lui perché egli
aveva potuto vedere riflessa la propria immagine dietro di
essa. Gli era
occorso un certo tempo per convincersi di vedere realmente
la figura, e per
questo era rimasto così a lungo davanti allo specchio.
Avrebbe voluto credere
volentieri che si trattasse di un semplice giuoco della
sua immaginazione; ma,
mentre la figura lo fissava in pieno volto ed egli poteva
vedere muoversi i suoi
occhi, un brivido lo aveva percorso e si era allontanato.
Hahn andò
immediatamente allo specchio e chiese alla figura di mostrarsi
anche a lui;
ma, sebbene rimanesse un quarto d’ora davanti allo
specchio, ripetendo
spesso la sua invocazione, non vide niente. Kern gli disse
che la figura aveva i
lineamenti di una vecchia, ma non spiacevoli, era molto
pallida ma sembrava
186
tranquilla; aveva la testa coperta da un drappo bianco
così che solo il volto era
visibile...
«Frattanto era passato un mese; la storia di questi
disturbi si era diffusa
nel vicinato e molti l’avevano accolta con incredulità;
fra gli altri due ufficiali
bavaresi dei dragoni, di nome Cornet e Magerle.
Quest’ultimo propose di
rimanere solo nella stanza; e così gli altri, verso il
crepuscolo, ve lo lasciarono.
Ma erano rimasti solo per pochi minuti nella stanza
accanto quando udirono
Magerle bestemmiare ad alta voce e rumori di colpi di
spada sulle sedie e sui
tavoli. Così che, se non altro per salvate il mobilio,
giudicarono opportuno
andate a dargli un’occhiata. Quando gli chiesero che cosa
fosse successo,
Magerle rispose furente: “Appena ve ne siete andati,
questo maledetto ha
cominciato a bersagliarmi con calcinacci e ogni sorta di
cose. Ho guardato
dappertutto senza vedere alcuno; così sono andato fuor dei
gangheri e mi
sono messo a menar sciabolate a dritta e a manca”».
Questo fu abbastanza per gli ufficiali dei dragoni. Hahn e
Kern, frattanto, si
erano tanto abituati a queste meraviglie che ci
scherzavano sopra e se ne
facevano un divertimento. Infine:
«Hahn decise di investigarle seriamente. Una sera, dunque,
si sedette alla
sua scrivania con due candele accese davanti a sé,
ponendosi in modo da
potere osservare tutta la stanza e specialmente le
finestre e le porte. Per
qualche tempo fu lasciato assolutamente solo nel castello,
perché i cocchieri
erano nelle stalle e Kern si era allontanato. Tuttavia
avvennero come prima gli
stessi fenomeni: gli smoccolatoi, sotto i suoi occhi
vennero sollevati e gettati a
terra. Egli tenne d’occhio con la massima attenzione le
porte e le finestre, ma
non poté scoprire nulla.
«Varie altre persone furono testimoni di questi fatti in
tempi diversi; un
libraio di nome Dörfel e il capo delle guardie forestali
Radezensky.
Quest’ultimo rimase con lui tutta una notte, ma non poté
dormire. Fu tenuto
sveglio da un continuo bombardamento...
«L’Ispettore Knetch, di Koschentin, decise di passare una
notte con Hahn e
Kern; durante la sera il bombardamento non ebbe requie, ma
infine decisero
di andare a letto lasciando le candele accese. Allora
tutti e tre videro due
tappeti da tavolo alzarsi fino al soffitto nel mezzo della
stanza, poi spiegarsi
completamente e infine cadere a terra fluttuando
nell’aria. Una pipa di
porcellana, appartenente a Kern, volò via e andò in pezzi.
Coltelli e forchette
volarono, un coltello cadde sulla testa di Hahn colpendolo
tuttavia solo con il
manico. Allora si prese la decisione, visto che i disturbi
continuavano da due
mesi, di cambiare definitivamente stanza. Kern e il
domestico di Hahn
portarono un letto nella stanza di fronte. Se n’erano
appena andati quando
una bottiglia di acqua ferruginosa che era nella stanza si
mosse vicino ai piedi
187
dei due che erano rimasti indietro. E così pure un
candeliere di ottone, che
proveniva da un angolo della stanza, cadde a terra davanti
a loro. Nella stanza
in cui si trasferirono passarono una notte abbastanza
tranquilla, sebbene
udissero ancora dei rumori nella stanza che avevano
lasciato. E questi furono
gli ultimi disturbi».
Hahn termina la sua narrazione con queste parole:
«La storia rimase un mistero. Tutte le riflessioni su
questi strani
avvenimenti, tutte le investigazioni, per quanto fatte con
la massima cura, per
scoprire delle cause naturali lasciarono all’oscuro gli
osservatori. Nessuno
poté suggerire un qualsiasi mezzo per realizzarli anche se
ci fosse stato - e non
c’era - nel villaggio o nel vicinato qualche
prestigiatore. E per quale motivo,
poi? Il vecchio castello non aveva alcun valore se non per
il suo proprietario.
Insomma, non si vedeva alcuno scopo nell’intera vicenda.
Tutto consistette
nel disturbare alcuni uomini e nello spaventarne qualche
altro; ma coloro che
occupavano la stanza, nei due interi mesi che durarono i
fenomeni, si
abituarono a essi come ci si può abituare a qualsiasi
fastidio quotidiano» (14).
Il racconto è sottoscritto e attestato da Hahn come segue:
«Ho visto ogni cosa esattamente come è stato scritto,
osservando il tutto
con attenzione e con calma. Non ho mai avuto paura;
tuttavia sono
assolutamente incapace di dare una spiegazione a quanto ho
narrato.
«Scritto il 19 novembre 1808».
Consigliere Hahn
Il dott. Kerner, nella quarta edizione della sua Veggente
di Prevorst, ci
informa che questo racconto, quando fu da lui pubblicato
per la prima volta,
suscitò varie congetture per spiegare il mistero; la più
plausibile delle quali
era che Kern fosse prestigiatore e si fosse preso giuoco
del suo compagno per
proprio divertimento. Quando il dottore comunicò questa
ipotesi a Hahn,
quest’ultimo rispose che, se anche non vi fossero state
altre ragioni per
respingere questo sospetto, la cosa era resa assolutamente
impossibile dal
fatto che alcune manifestazioni erano avvenute non solo
quando lui (Hahn)
era solo nella stanza, ma anche quando Kern era
temporaneamente assente
perché in viaggio. Aggiunse che Kern più e più volte lo
pregò di lasciare la
stanza; ma che lui (Hahn), sempre sperando di trovare una
qualche
spiegazione naturale per i fatti, si ostinò a rimanervi.
La principale ragione
che li spinse infine a lasciarla fu il rammarico di Kern
per la distruzione della
sua pipa favorita, un oggetto di valore che aveva comprato
a Berlino e a cui
teneva moltissimo. Aggiunse che Kern era morto di febbre
nervosa
nell’autunno del 1807.
188
Scrivendo al dott. Kerner su questo soggetto da
Ingelfingen, in data 24
agosto 1828, ossia più di vent’anni dopo gli eventi
occorsi, Hahn dice: «Non
ho tralasciato alcuna precauzione per scoprire qualche
causa naturale. In
genere sono accusato di eccessivo scetticismo piuttosto
che di superstizione.
La codardia non è un mio difetto, e coloro che mi
conoscono intimamente lo
possono testimoniare. Potevo dunque fidarmi di me; e non
sono caduto certo
in qualche illusione relativa ai fatti, perché spesso
chiedevo agli astanti: “Che
cosa vedete?” e dalle loro risposte mi rendevo sempre
conto che essi vedevano
esattamente quello che vedevo io...
«In questo momento sono assolutamente incapace di indicare
una causa, o
anche di avanzare un’ipotesi ragionevole, per spiegare i
fenomeni. Per me, e
per tutti quelli che li hanno osservati, essi sono rimasti
un enigma fino a oggi.
In questi casi, bisogna aspettare che i giudizi affrettati
siano passati; e anche
nel riferire quello che non solo abbiamo visto noi stessi,
ma che è stato visto
anche da altri ancora viventi, bisogna accettare di
correre il rischio di essere
considerati vittime di una illusione» (15).
Il dott. Kerner aggiunge inoltre che, nell’anno 1830, un
signore della
massima rispettabilità, residente a Stoccarda, visitò
Slawensik per verificare il
racconto. Vi trovò persone che mettevano in ridicolo tutta
la vicenda come un
inganno; ma le sole due persone che incontrò,
sopravviventi fra coloro che
erano stati testimoni dei fatti, gli confermarono
l’esattezza della relazione di
Hahn in ogni particolare.
Questo signore accertò inoltre che il Castello di
Slawensik era stato in
seguito demolito e che, nel portar via le rovine, venne
trovato uno scheletro
maschile murato in esso e senza bara, con il cranio
spaccato. A fianco dello
scheletro vi era una spada.
Quando tutto ciò fu comunicato a Hahn, egli rispose molto
ragionevolmente: «Si può immaginare qualche legame fra la scoperta
dello
scheletro, l’immagine femminile vista da Kern e i disturbi
da noi testimoniati;
ma chi può sapere realmente qualche cosa?». E aggiunse
infine:
«Poco mi importa se gli altri credono o no alla mia
narrazione! Ricordo
benissimo che io stesso pensavo di queste cose prima di
esserne stato
testimone di fatto, e non me ne ho a male se qualcuno le
giudica nello stesso
modo con cui le avrei giudicate io prima di avere vissuto
quell’esperienza.
Cento testimonianze non produrranno alcuna convinzione in coloro
che
hanno deciso di non credere a nulla di questo genere. Non
mi do pensiero di
queste persone perché sarebbe fatica sprecata».
189
Questa ultima lettera di Hahn è datata maggio 1831. Per un
quarto di
secolo, dunque, mantenne e ripeté la sua convinzione della
realtà e
dell’inesplicabile carattere dei disturbi di Slawensik.
Dalla stessa fonte da cui ho tratto quanto sopra, scelgo
un altro esempio, di
data più recente e che ha il vantaggio di essere stato
testimoniato dallo stesso
Kerner.
LA VEGGENTE DI PREVORST
Disturbi nel villaggio di Oberstenfeld. 1825-26.
Fra le montagne del Wurtemberg settentrionale, nel
villaggio di Prevorst,
nacque, nel 1801, Madame Fredericke Hauffe, poi nota in
tutto il mondo come
la «Veggente di Prevorst» grazie alla storia scritta dal
dott. Kerner sulla sua
vita e le sue sofferenze (16).
Già da bambina, Madame Hauffe soleva vedere quelli che
considerava
spiriti disincarnati, in genere non percepibili, tuttavia,
da coloro che la
circondavano; e questa peculiarità, sia vera facoltà o
semplice allucinazione,
la accompagnò per tutta la vita.
Kerner dà molti esempi. Per tutto l’anno 1825, mentre
risiedeva nel
villaggio di Oberstenfeld, non lungi da Löwenstein, Madame
Hauffe fu
visitata, o credette di esserlo, dall’apparizione, generalmente
di sera, verso le
sette, di una figura maschile di forte complessione, che,
a quanto lei diceva,
chiedeva continuamente le sue preghiere. Sul problema
della realtà di questa
apparizione, non ho qui nulla da dire; ma richiamo
l’attenzione del lettore
sulle circostanze che l’accompagnano. Kerner dice:
«Ogni volta, prima che apparisse, il suo arrivo era
annunciato a tutti i
presenti, senza eccezione, da colpi o picchi talora su di
una parete, talora su di
un’ altra, a volte da una sorta di schiocchi nell’aria e
altri suoni nel mezzo
della stanza. Di questo fenomeno sono ancora viventi più
di una ventina di
testimoni ineccepibili.
«Di giorno e di notte venivano uditi rumori di qualcuno
che saliva le scale,
ma, per quanto cercassimo, era impossibile scoprire
alcuno. Nella cantina si
udivano gli stessi colpi ed erano sempre più rumorosi. Se
i colpi si udivano
dietro una botte e qualcuno subito correva a guardare per
scoprirne la causa,
il rumore passava davanti alla botte stessa; e, se si
passava da quella parte, i
colpi si facevano sentire nuovamente di dietro. Lo stesso
succedeva quando
provenivano dalle pareti della stanza. Se i colpi erano
uditi all’esterno e
190
qualcuno accorreva sul luogo, immediatamente passavano
all’interno e
viceversa.
«Se la porta della cucina veniva chiusa di notte, anche a
doppia mandata,
veniva trovata aperta al mattino. La si udiva
continuamente aprirsi e
chiudersi; e tuttavia per quanto in fretta si accorresse,
non si vedeva mai
alcuno entrare o uscire.
«Una volta, verso le undici di sera, i disturbi furono
così violenti da
scuotere tutta la casa, e le pesanti travi del tetto
sussultavano su e giù. In
questa occasione il padre di Madame Hauffe quasi decise di
lasciare la casa il
giorno dopo...
«I colpi e gli scricchiolii della casa erano uditi da
coloro che passavano
nella strada. Altre volte i colpi nella cantina erano tali
che tutti quelli che
passavano si fermavano ad ascoltare.
«Spesso i bicchieri erano portati via dal tavolo (e una
volta anche una
bottiglia) come da una mano invisibile, e posti sul
pavimento. Così pure le
carte venivano prese dallo scrittoio del padre di lei e
gettate a lui.
«Madame Hauffe visito Löwenstein, e anche là furono uditi
colpi e picchi».
L’ultima delle cosiddette visite di questo spirito avvenne
il 6 gennaio 1826.
Gli avvenimenti descritti si ripeterono, a intervalli, per
un intero anno.
Vi sono vari altri esempi dello stesso genere nel libro di
Kerner; ma è
inutile moltiplicarli.
Via via che ci avviciniamo al nostro tempo, le relazioni
dei disturbi che
stiamo esaminando divengono così numerose che mi manca lo
spazio per
riportarle. Scelgo come esempio la seguente perché le
prove addotte a
sostegno della realtà dei fenomeni, per i quali non fu mai
scoperto un agente
terreno capace di produrli, sono dello stesso carattere di
quelle sulla cui base
si giudicano questioni relative alle proprietà e alla vita
degli uomini.
LA CAUSA LEGALE
Disturbi in un’abitazione presso Edimburgo. 1835.
Il caso è notevole per aver fatto sorgere una causa legale
da parte del
proprietario di una casa ritenuta infestata. E’ riferito
dalla signora Crowe nel
suo Night Side of Nature, e i particolari
vennero a lei comunicati dalla
persona che condusse la causa per il querelante (17). Ella
non dà il suo nome,
191
ma grazie a un amico di Edimburgo ho potuto accertare che
fu il signor
Maurice Lothian, un procuratore scozzese, oggi Procuratore
Fiscale della
contea di Edimburgo.
Un certo capitano Molesworth affittò la casa in questione,
situata a Trinity,
a due miglia da Edimburgo, da un certo signor Webster, nel
maggio 1835.
Dopo avere risieduto là un paio di mesi, il capitano
cominciò a lamentarsi di
certi rumori inesplicabili che, cosa strana, egli si mise
in testa che fossero
provocati dal suo padrone di casa, signor Webster, il
quale occupava
l’abitazione accanto. Quest’ultimo, naturalmente, fece
presente come fosse
improbabile che volesse danneggiare la reputazione della
propria casa o
cacciare di lì un inquilino sicuro, e ritorse l’accusa
contro di lui. Frattanto i
disturbi continuavano notte e giorno. A volte si udiva un
rumore come di
piedi invisibili; altre volte vi erano colpi,
scricchiolii, grattamenti, dapprima
su di un lato, poi sull’altro. Ogni tanto l’agente
invisibile sembrava battere
secondo un certo ritmo, e rispondeva con altrettanti colpi
a ogni domanda la
cui risposta fosse in numeri, come: «Quante persone sono
in questa stanza?».
Talora i colpi erano così violenti che le mura tremavano
visibilmente. Anche i
letti venivano a volte sollevati come se ci fosse sotto
qualche persona.
Tuttavia, per quanto si cercasse, non si poté trovare
nulla. Il capitalo
Molesworth fece sollevare l’assito del pavimento nelle
stanze in cui i rumori
erano più forti e più frequenti e praticamente perforò la
parete che divideva il
suo appartamento da quello del signor Webster, ma senza il
minimo risultato.
Ufficiali dello sceriffo, muratori, giudici di pace e gli
ufficiali del reggimento
acquartierato a Leith, che erano amici del capitano
Molesworth, vennero in
suo aiuto sperando di scoprire o spaventare il
tormentatore, ma invano.
Sospettando che potesse esserci qualcuno fuori della casa,
vi formarono
attorno un cordone; ma tutto fu inutile. Non venne mai
ottenuta alcuna
spiegazione del mistero.
Il signor Webster portò davanti allo sceriffo di Edimburgo
una querela
contro il capitano Molesworth per i danni da lui commessi
sollevando le
tavole, forando i muri e sparando contro i pannelli di
rivestimento, come pure
per il danno fattogli procurando alla casa la reputazione
di essere infestata e
rendendogli così difficile trovare altri inquilini. Al
processo i fatti constatati
furono tutti ammessi dal signor Lothian, che dedicò
parecchie ore a
esaminare i vari testimoni, alcuni dei quali ufficiali
dell’esercito e persone di
indubbia onorabilità e capacità di osservazione.
Rimane da dire che il capitano Molesworth aveva due
figlie, l’una delle
quali, di nome Matilda, era morta di recente, mentre
l’altra, una fanciulla fra i
dodici e i tredici anni, di nome Jane, era malaticcia e
restava quasi sempre a
letto. Essendo stato osservato che i rumori erano più
frequenti dovunque
andasse questa fanciulla malata, il signor Webster
dichiarò che ne era lei la
192
causa: e sembrerebbe che lo stesso suo padre dovesse in
qualche modo
condividere i suoi sospetti; perché la povera ragazza era
stata praticamente
chiusa in un sacco come per impedire qualsiasi iniziativa
da parte sua.
Tuttavia non era stata ottenuta nessuna cessazione o
diminuzione dei disturbi
nemmeno con questo drastico espediente.
La gente del vicinato credeva che i rumori fossero
prodotti dallo spettro di
Matilda, venuta ad avvertire sua sorella che l’avrebbe
presto seguita; e la
credenza ricevette conferma quando quella disgraziata
ragazza, la cui malattia
fu probabilmente aggravata dalle severe misure dettate da
un ingiusto
sospetto, poco dopo morì.
Ogni tanto questi racconti vengono pubblicati come
semplici esempi di
superstizioni volgari, come fece Mackay nella sua opera Popular
Delusions. Egli
riferisce, come uno degli ultimi esempi di panico provocato
da una casa supposta infestata, degli incidenti che
avvennero - come quelli
appena narrati - in Scozia, una ventina di anni fa,
relativamente ai quali egli
fornisce i seguenti particolari.
LA FATTORIA DI BALDARROCH
Disturbi nell’Aberdeenshire, Scozia. 1838.
«Il 5 dicembre 1838, gli abitanti della fattoria di
Baldarroch, nel distretto
di Banchroy, nell’ Aberdeenshire, furono allarmati nel
vedere un gran numero
di bastoni, ciottoli e zolle volare sui loro recinti e le
loro case. Cercarono
invano di scoprire chi fosse il delinquente, e, poiché la
pioggia di pietre
continuo per cinque giorni consecutivi, vennero infine
alla conclusione che il
diavolo e i suoi seguaci dovevano esserne l’unica causa.
Presto si diffuse la
notizia in ogni parte del paese e centinaia di persone
vennero da vicino e da
lontano per vedere le bizzarrie dei diavoli di Baldarroch.
Dopo i primi cinque
giorni, la pioggia di zolle e di sassi cesso all’esterno
delle abitazioni e la scena
si sposto nell’interno. Cucchiai, coltelli, piatti,
vasetti, mattarelli e ferri da
stiro apparvero improvvisamente dotati del potere di
muoversi da soli e
venivano lanciati da stanza a stanza, o precipitati dai
camini in un modo che
nessuno riusciva a spiegare. Il coperchio di un vasetto
per mostarda fu messo
in una credenza da una domestica, in presenza di una
quantità di persone, e
pochi minuti dopo balzò giù dal camino fra la
costernazione di tutti. Vi furono
anche tremendi colpi alle porte e sul tetto, e pezzi di
legno e ciottoli andarono
a battere contro le finestre rompendole. Tutto il vicinato
era in allarme; e non
solo il popolo, ma anche persone colte, rispettabili
possidenti nel cerchio di
193
una ventina di miglia, espressero la loro credenza nel
carattere
soprannaturale di questi fatti».
Mackay prosegue dicendo che l’eccitazione, entro una
settimana, si diffuse
nelle parrocchie di Banchroy-Ternan, Drumoak, Durris,
Kincardine O’Neil e
in tutto l’adiacente distretto di Mearns e Aberdeenshire.
Si affermò e si
credette che tutti i cavalli e i cani che si avvicinavano
alla fattoria fossero
immediatamente influenzati. La padrona di casa e la
domestica dissero che
ogni volta che andavano a letto venivano bersagliate con
pietre e altri
proiettili. Il fattore stesso affronto un viaggio di
quaranta miglia per andare
da un vecchio fattucchiere, di nome Willie Foreman, per
indurlo, con una
discreta somma, a togliere l’incanto dalla sua proprietà.
Il tenutario della
parrocchia, il parroco, i maggiorenti della chiesa
intrapresero una
investigazione, che tuttavia non sembra aver dato alcun
risultato.
«Dopo che i disturbi furono continuati per una quindicina
di giorni»,
scrive Mackay, «tutto il trucco fu scoperto. Le due
ragazze di servizio furono
rigorosamente esaminate e poi messe in prigione. Risulto che
erano le uniche
responsabili della faccenda e che la straordinaria
creduloneria dei loro
padroni, anzitutto, e, secondariamente, dei vicini e dei
campagnoli, aveva reso
il loro compito relativamente facile. Si erano valse solo
di un po’ di destrezza;
e, essendo loro stesse insospettate, aumentavano l’allarme
con strabilianti
storie da loro inventate. Erano loro che facevano cadere i
sassi nel camino e
ponevano sugli scaffali i piatti in tal modo che cadessero
al minimo urto»
(18).
La prova che le ragazze erano le autrici di tutti i guai
sembra confermata
dai fatto che «non appena furono chiuse nelle carceri
della contea, i disturbi
cessarono»; e così, scrive Mackay, «la maggior parte del
popolo rimase
convinta che solo degli agenti umani avevano causato tutti
quei portenti».
Egli ammette tuttavia che altri rimasero fermi nella loro
primitiva credenza e
non furono per nulla soddisfatti dalla spiegazione; in
realtà avevano tutti i
diritti di non esserlo se dobbiamo credere ai particolari
forniti dallo stesso
Mackay su questi fenomeni.
Per cinque giorni una pioggia di legni, pietre e zolle di
terra è vista cadere
sui recinti ed è scagliata contro le finestre (19).
Centinaia di persone vengono
a vedere il fenomeno e nessuna di esse sa spiegarselo. E’
credibile e
concepibile che due ragazze, occupate tutto il giorno in
lavori servili sotto gli
occhi dei loro padroni, potessero «con un poco di
destrezza» avere continuato
un tale scherzo per cinque ore - per non
parlare di cinque giorni - senza
essere inevitabilmente scoperte? Inoltre vari utensili,
nella casa, non solo si
muovono per la stanza come per proprio impulso, ma sono
scagliati da una
stanza all’altra, o gettati giù dal camino in presenza di
una folla di testimoni.
194
Vi sono tremendi colpi alle porte e sul tetto, e le
finestre vengono spezzate da
pezzi di legno e ciottoli che battono contro di esse. La
farsa dura per altri
dieci giorni mettendo
in allarme tutto il vicinato, facendosi giuoco
dell’ingenuità del tenutario della parrocchia, del
parroco, dei maggiorenti
della chiesa; e dobbiamo credere che tutto ciò sia stato
la semplice frode di
due ragazze di servizio, ottenuta facendo cadere alcuni
sassi nel camino e
mettendo le stoviglie in modo che cadessero al minimo
urto? Un bell’esempio
davvero della creduloneria dell’incredulità!
Si può capire che una corte di giustizia ammetta, come
prova presuntiva
contro le ragazze, il fatto che, dal momento in cui furono
chiuse in prigione, i
disturbi cessassero. A lume di logica, il presupposto non
era irragionevole. Ma
io ho già addotto alcune prove, e dirò di più in seguito
(20), che quei disturbi
appaiono legati ad alcuni individui (o, in altre parole,
avvengono in certe
località in loro presenza) senza alcuna azione - per lo
meno senza alcuna
azione consapevole - da parte di queste persone stesse.
Altri racconti di questa classe, già stampati, potrebbero
essere inseriti se lo
spazio lo permettesse. Ne cito uno o due.
Nel Douglas Jerrold’s Journal del 26 marzo
1847, vi è la relazione dei
disturbi nella famiglia di un certo signor Williams,
residente in Moscow Road.
Utensili e mobili venivano portati in giro e distrutti,
quasi esattamente come
nel caso della signora Golding e della sua cameriera. Non
si fa parola, tuttavia,
di colpi sulle pareti o sul pavimento.
Un caso simile è descritto nella Revue Française del
dicembre 1846,
come avvenuto nella casa di un fattore a Cleirefontaine
presso Rambouillet.
Una narrazione più notevole e particolareggiata di queste
si può trovare in
Facts and Fantasies di
Spicer, il cui manoscritto fu consegnato all’autore
dalla signora E., dama di alta condizione: i disturbi
continuarono per
quattro anni, ossia
dall’agosto del 1844 al settembre del 1848. Qui vi furono
colpi e rumori di passi così forti da far tremare l’intera
casa, oltre a porte e
finestre che si aprivano, campanelli che squillavano,
rumori come di mobili
che si muovessero, il fruscio di un abito di seta nella
stanza stessa,
scuotimenti dei letti in cui si dormiva, rumori di
carrozze nel parco quando
non vi era alcuno ecc. La narrazione è appoggiata dai
certificati dei domestici
e di un ispettore di polizia, che fu pregato di restare di
notte nell’edificio e
cercar di scoprire la causa dei disturbi. Alcuni domestici
lasciarono la
famiglia, incapaci di sopportare la paura e la privazione
di sonno. Lo stesso
signor E., dopo avere combattuto per anni contro il
fenomeno, abbandonò
infine la proprietà di L., dove avvenivano i disturbi,
deciso a non tornarvi più
(21).
195
Questi episodi possono essere riferiti per i curiosi. Il
seguente, tuttavia è
così notevole in se stesso, e mi è giunto così
direttamente che sarebbe fare
ingiustizia al soggetto se lo omettessi o lo abbreviassi.
IL CIMITERO DI AHRENSBURG
Disturbi nella cappella dell’isola di Oesel (22). 1844.
Nelle immediate vicinanze di Ahrensburg, l’unica città
dell’isola di Oesel, vi
è il cimitero pubblico. Disegnato con buon gusto e ben
tenuto, ricco di alberi e
in parte circondato da un boschetto di sempreverdi, è la
passeggiata favorita
degli abitanti. Oltre alle tombe - di ogni varietà, dalle
più umili alle più
elaborate - comprende parecchie cappelle private ognuna
appartenente a
qualche famiglia in vista. Sotto queste cappelle vi è una
cripta pavimentata di
legno, a cui si scende per una scala che è nell’interno
della cappella, e chiusa
da una porta. Le bare dei membri della famiglia defunti di
recente, di solito
rimangono per qualche tempo nella cappella. Poi vengono
trasferite nella
cripta, e poste l’una a fianco all’altra su sbarre di
ferro che le tengono sollevate
da terra. E’ usanza che queste bare siano di quercia
massiccia, molto pesanti e
costruite solidamente.
La strada pubblica passa davanti al cimitero e a poca
distanza da esso. Tre
cappelle, di fronte alla strada, sono particolarmente
imponenti e tali da potere
essere viste dal viaggiatore di passaggio. La più grande
di queste, adorna di
colonne sulla fronte, è quella appartenente alla famiglia
di Buxhoewden, di
stirpe patrizia e originaria della città di Brema. Da
molte generazioni è stata il
suo luogo di sepoltura.
Era costume degli abitanti del luogo, che venivano al
cimitero a cavallo o in
carrozza, legare i loro cavalli, di solito con forti
cavezze, immediatamente di
fronte a questa cappella e presso le colonne che la
adornavano. Sebbene
questa pratica continuasse da otto o dieci anni prima
degli incidenti che
stiamo per esporre, vi erano state ogni tanto vaghe voci
che la cappella in
questione fosse infestata: voci che, comunque, non
derivando da una fonte
sicura, non erano credute e venivano derise dai proprietari.
Il periodo di maggiore afflusso al cimitero, da parte di
persone di ogni
parte dell’isola i cui parenti erano lì sepolti, era la
domenica di Pentecoste e i
giorni successivi, che equivalevano sostanzialmente al
giorno dei Morti nei
paesi cattolici (23).
196
Il secondo giorno di Pentecoste, il lunedì 22 giugno
(nuovo stile) dell’anno
1844, la moglie di un certo sarto di nome Dalmann,
dimorante ad
Ahrensburg, era venuta, con i figli, su di un calesse, a
visitare la tomba di sua
madre, posta dietro la cappella della famiglia Buxhoewden,
e aveva legato il
cavallo, come al solito, di fronte a essa, senza
staccarlo, proponendosi, subito
dopo avere fatto le sue devozioni, di visitare degli amici
in campagna.
Mentre era inginocchiata presso la tomba in silenziosa
preghiera, ebbe la
percezione distinta, come ricordò in seguito, di udire dei
rumori in direzione
della cappella; ma, assorta nei suoi pensieri, non vi fece
attenzione. Finita la
preghiera e tornata per proseguire il suo viaggio, trovò
il cavallo,
generalmente tranquillo, in uno stato di inesplicabile
eccitazione. Coperto di
sudore e di spuma, tremante per tutte le membra, pareva
colpito da un terrore
mortale. Quando lo allontanò di lì, sembrava quasi
incapace di camminare; e,
invece di proseguire per la gita che aveva in mente, ella
si trovò costretta a
tornare in città per cercare un veterinario. Questi
dichiarò che il cavallo
doveva avere avuto un grande spavento per qualche ragione,
lo salassò, gli
diede un farmaco e l’animale si riprese.
Un giorno o due dopo, questa donna, andata al castello di
una delle più
nobili famiglie della Livonia, quella del barone de
Guldenstubbe, presso
Ahrensburg, come era sua abitudine, per fare lavori di
cucito per la famiglia,
riferì al barone lo strano incidente che le era capitato.
Egli non la prese sul
serio, pensando che la donna esagerasse e che il cavallo
si fosse spaventato
per caso.
La cosa sarebbe stata presto dimenticata se non fosse
stata seguita da fatti
dello stesso genere. La domenica seguente parecchie
persone, che avevano
legato i loro cavalli di fronte alla stessa cappella,
riferirono di averli trovati
coperti di sudore, tremanti e atterriti; e alcune di esse
aggiunsero di avere
udito loro stesse dei suoni rombanti che sembravano
provenire dalla cripta
della cappella e che, a volte (ma questo poteva essere
effetto di
immaginazione), assumevano il carattere di lamenti.
Questo fu solo il preludio di ulteriori disturbi che
divennero sempre più
frequenti. Un giorno, nel corso dello stesso mese (luglio)
avvenne che undici
cavalli fossero legati presso le colonne della cripta.
Alcuni, passando di lì e
udendo, come dissero, forti rumori (24), che sembravano
provenire di sotto
l’edificio, diedero l’allarme; e quando i proprietari dei
cavalli giunsero sul
luogo, trovarono le povere bestie in condizioni pietose.
Parecchi di essi, nei
loro frenetici sforzi per fuggire, erano caduti e si
dibattevano a terra; altri
riuscivano appena a camminare o a tenersi in piedi; e
tutti erano così
impressionati che fu necessario ricorrere immediatamente
ai salassi o ad altri
197
rimedi. Per tre o quattro di essi tutto ciò fu inutile, e
gli animali morirono
entro un giorno o due.
Era una cosa seria. E fu causa di una querela sporta da
alcuni dei
danneggiati al Concistoro, una corte che teneva le sue
sedute ad Ahrensburg e
curava gli affari ecclesiastici.
Circa lo stesso tempo morì un membro della famiglia
Buxhoewden. Al suo
funerale, mentre veniva letto nella cappella l’ufficio dei
defunti, furono uditi
provenire dal sottosuolo quelli che sembravano lamenti e
altri strani rumori,
con gran terrore di alcuni degli astanti e specialmente
dei domestici. I cavalli
attaccati al carro funebre e alle vetture del seguito
furono sensibilmente
impauriti ma non come lo erano stati gli altri. Dopo
l’ufficio funebre tre o
quattro dei presenti, più coraggiosi degli altri, scesero
nella cripta. Non
udirono nulla, ma, con loro infinita sorpresa, trovarono
che quasi tutte le
numerose bare che erano state poste lì in ordine, l’una a
fianco dell’altra,
erano state spostate e formavano un mucchio confuso.
Invano cercarono una
qualsiasi causa che potesse spiegare il fatto. Le porte
erano sempre tenute
accuratamente chiuse e le serrature non mostravano tracce
di essere state
forzate. Le bare furono rimesse nell’ordine dovuto.
Questo incidente suscitò molte chiacchiere e,
naturalmente, richiamò
ancor più l’attenzione sulla cappella e sui pretesi
disturbi. Furono lasciati dei
ragazzi a guardia dei cavalli quando venivano legati nelle
vicinanze; ma, in
genere, essi erano troppo spaventati per rimanere, e
alcuni di loro
affermarono perfino di aver visto neri spettri aggirarsi
in quelle parti. Tuttavia
le storie da loro raccontate su questo ultimo soggetto
vennero lasciate cadere -
forse molto ragionevolmente - a causa della loro
eccitazione. Ma i genitori
cominciarono a farsi scrupolo di condurre i loro ragazzi
al cimitero.
Crescendo sempre più le inquietudini, nuove querele in
proposito giunsero
al Concistoro e venne proposta un’inchiesta sul caso. I
proprietari della
cappella dapprima fecero obiezione considerando la cosa
come una frode o
uno scandalo messo su dai loro nemici. Ma, per quanto
accuratamente
esaminassero il pavimento della cripta per assicurarsi che
nessuno potesse
essere entrato dai di sotto, non trovarono niente che
confermasse i loro
sospetti. E dopo che il barone de Guldenstubbe, presidente
del Concistoro,
ebbe visitato privatamente la cripta insieme a due membri
della famiglia,
trovando di nuovo le bare nello stesso disordine, i
Buxhoewden, rimesse le
bare al loro posto, accettarono infine un’inchiesta
ufficiale.
Le persone incaricate dell’inchiesta furono il barone de
Guldenstubbe,
come presidente, e il vescovo della provincia come
vicepresidente del
Concistoro; altri due membri dello stesso corpo; un medico
di nome Luce; e,
198
da parte della magistratura cittadina, il borgomastro, di
nome Schmidt, due
sindaci e un segretario.
Essi procedettero, insieme, a un accurato esame della
cripta. Tutte le bare
ivi depositate, a eccezione di tre, furono trovate, come
le volte precedenti,
mutate di posto. Delle tre bare che facevano eccezione,
una conteneva i resti
di una nonna degli allora rappresentanti della famiglia,
morta circa cinque
anni prima, e le altre due erano di bambini. La nonna era
stata, in vita,
venerata quasi come una santa per la sua grande pietà e le
sue continue opere
di carità e di beneficenza.
La prima idea a presentarsi, dopo che venne scoperto
questo stato di cose,
fu che dei ladri avessero fatto irruzione a scopo di
saccheggio. La cripta di una
cappella vicina era stata in realtà forzata qualche tempo
prima e il ricco
velluto e la frangia d’oro che adornavano le bare erano
stati staccati e rubati.
Ma l’esame più accurato non riuscì ad offrire alcun
fondamento a questa
supposizione nel caso presente. Gli ornamenti delle bare
furono trovati
intatti. La commissione ne fece aprire alcune per
accertare che gli anelli e gli
altri gioielli che era usanza seppellire con i cadaveri, e
alcuni dei quali erano
di considerevole valore, non fossero stati presi. Ma non
apparve alcuna
indicazione di ciò. Uno o due corpi erano quasi ridotti in
polvere, ma gli
ornamenti che si sapevano aver fatto parte del funerale
erano ancora lì sul
fondo delle bare.
La commissione pensò allora, come seconda possibilità, che
alcuni nemici
della famiglia Buxhoewden, forse ricchi e decisi a recar
loro danno e biasimo,
avessero scavato un passaggio sotterraneo che passasse
sotto le fondamenta
dell’edificio sboccando nella cripta. Questo avrebbe
potuto spiegare a
sufficienza il disordine delle bare e i rumori uditi
dall’esterno.
Per determinare il punto, fecero venire dei manovali che
sollevarono il
pavimento della cripta ed esaminarono attentamente le
fondamenta della
cappella; ma senza alcun risultato. Il più accurato esame
non rivelò alcuna
entrata segreta.
Non restava che mettere tutto in ordine, prendere esatta
nota della
posizione delle bare e adottare speciali precauzioni per
scoprire ogni futura
intrusione. Cosa che fu fatta. Entrambe le porte, quella
interna e quella
esterna, dopo essere state ermeticamente chiuse, furono
sigillate due volte:
dapprima col sigillo ufficiale del Concistoro poi con
quello recante le armi
della città. Furono sparse leggere ceneri di legno su
tutto l’assito che
pavimentava la cripta, sulle scale che portavano a essa
dalla cappella e sul
pavimento della cappella stessa. Infine guardie scelte
nella guarnigione della
città e cambiate a brevi intervalli furono messe per tre
giorni e tre notti a
custodia dell’edificio impedendo a chiunque di avvicinarsi
a esso.
199
Alla fine di questo periodo la commissione di inchiesta
tornò ad accertare i
risultati. Entrambe le porte furono trovate ben chiuse e
con i sigilli intatti. Il
rivestimento di cenere presentava una superficie liscia e
continua. Né nella
cappella né sulle scale che conducevano alla cripta vi era
traccia di orme
umane o di animali. La cripta era sufficientemente
illuminata dalla cappella
perché ogni oggetto fosse distintamente visibile. Scesero.
Col cuore in
sussulto guardarono lo spettacolo che si presentava loro.
Non solo ogni bara,
con le stesse tre eccezioni della volta precedente, era
fuori posto e il tutto era
sparpagliato in gran confusione, ma molte di esse, pur
così pesanti, erano
state messe verticalmente così che le salme si trovavano a
testa in giù. Né era
tutto. Il coperchio di una bara era stato parzialmente
aperto a forza, e di lì
sporgeva il braccio destro mummificato della salma che
conteneva,
presentandosi fino al gomito e volto in su verso il
soffitto della cripta!
Superato il primo colpo prodotto da questo impressionante
spettacolo, la
commissione procedette a prender nota, in tutti i
particolari, dello stato di
cose che aveva trovato.
Nella cripta non fu trovata traccia di piedi umani così
come sulle scale e
nella cappella. Né fu trovata la minima indicazione di
violazioni delittuose.
Una seconda indagine accerto il fatto che né gli ornamenti
esterni delle bare
né i gioielli di cui alcune salme erano adorne erano stati
sottratti. Tutto era in
disordine, ma nulla era stato preso.
Si avvicinarono con una certa trepidazione alla bara da
cui sporgeva il
braccio; e, rabbrividendo, si accorsero che era quella in
cui erano stati posti i
resti di un membro della famiglia Buxhoewden che si era
ucciso. La cosa era
stata soffocata a suo tempo per l’influenza della
famiglia, e il suicida era stato
sepolto con le cerimonie consuete; ma il fatto era
trapelato, e per tutta l’isola
si venne a sapere che era stato trovato con la gola
tagliata e il rasoio
sanguinante ancora stretto nella destra, la stessa mano
che era stata tirata
fuori dalla bara perché tutti la vedessero - fatale
ricordo, sembrava, dell’atto
temerario che aveva portato quell’infelice in un altro
mondo prima che vi
fosse chiamato.
Un rapporto ufficiale, che descriveva lo stato della
cripta e della cappella al
tempo in cui la commissione aveva sigillato le porte, e
accertava che i sigilli
eran stati trovati poi intatti come pure il rivestimento
di cenere, e infine
riportava nei particolari quello che si era presentato
alla commissione quando
essa tornò a visitare la cappella al termine dei tre
giorni, fu steso dal barone
de Guldenstubbe, come presidente e firmato da lui stesso,
dal vescovo, dal
borgomastro, dal medico e dagli altri membri della
commissione, come
testimoni. Questo documento, archiviato insieme agli altri
atti del Concistoro,
200
può essere trovato negli archivi ed esaminato da ogni
viaggiatore che dia
garanzia di rispettabilità su domanda alla segreteria.
Non avendo mai visitato l’isola di Oesel, non ho avuto
modo di esaminare
personalmente il documento, ma i fatti qui narrati mi
furono riferiti da
mademoiselle de Guldenstubbe (25), figlia del barone, che
in quel tempo
risiedeva in casa di suo padre, ed era a conoscenza di
ogni particolare. E mi
furono confermati anche, nella stessa occasione, dal
fratello di lei, l’attuale
barone.
La signora mi disse che i fatti suscitarono tanta
impressione in tutta l’isola
che non si sarebbe potuto trovare uno solo dei suoi
cinquantamila abitanti,
che non ne fosse a conoscenza. Aggiunse che l’effetto
prodotto sul medico,
signor Luce, testimone di queste meraviglie, fu tale da
sconvolgere
radicalmente il suo credo. Uomo intelligente, distinto
nella sua professione,
familiare inoltre alle scienze della botanica, della mineralogia
e della geologia,
autore di varie opere apprezzate su questi soggetti, egli
era imbevuto delle
dottrine materialistiche, prevalenti, specialmente fra gli
uomini di scienza
dell’Europa continentale, al tempo dei suoi studi
universitari; ed egli le
professò fino a quando, nella cripta dei Buxhoewden, venne
l’ora in cui si
convinse che oltre ai poteri terreni vi sono anche poteri
ultraterreni, e che
questo non è lo stato finale della nostra esistenza.
Rimane da dire che, poiché i disturbi continuarono per
vari mesi dopo
questa investigazione, la famiglia, per liberarsi di ogni
noia, decise di provare
a sotterrare le bare. E così fecero, coprendole di terra a
una considerevole
profondità. L’espediente ebbe successo. Da quel momento
nessun rumore fu
udito provenire dalla cappella; i cavalli poterono essere
legati impunemente
davanti a essa, e gli abitanti, rimessisi dalle loro
paure, ripresero a
frequentare come sempre, con i loro ragazzi, la loro
passeggiata favorita. Non
rimase altro che il ricordo dei fatti passati, destinato a
svanire con
l’estinguersi della presente generazione e forse a essere
considerato come una
vana e incredibile leggenda dalla successiva.
Per noi, tuttavia, è più di una leggenda. Solo quindici
anni sono trascorsi
da quando avvennero i fatti. Abbiamo testimoni ancora
viventi della loro
realtà.
I punti salienti del racconto sono, anzitutto, l’estremo
terrore degli animali,
conclusosi, in due o tre casi, con la morte; e,
secondariamente, il carattere
ufficiale dell’indagine e le minuziose precauzioni prese
dalla commissione di
inchiesta per prevenire o scoprire ogni inganno.
L’evidenza risultante dal primo punto è imponente. In
questi casi è
impossibile che gli animali siano simulatori, ed è
egualmente impossibile che
201
siano spinti dall’immaginazione. Il loro terrore era reale
e aveva una causa
reale e adeguata. Ma potremmo considerare adeguata la
causa se giudichiamo
che questi disturbi fossero di carattere ordinario? Un
suono comune, molto
più forte e allarmante di quanto si può supporre siano
stati quelli provenienti
dalla cappella - a esempio un tuono, quando non è molto
lontano - spesso
spaventa i cavalli, ma mai, per quanto sappia e abbia
udito, a tal punto da
provocare la loro morte.
Per non dir nulla del ben noto caso ricordato nella
Scrittura (26), vari
esempi più o meno analoghi a questo si troveranno nel
nostro volume.
Quanto all’ulteriore prova presentata dal risultato
dell’inchiesta ufficiale, è
difficile spiegarla con qualsiasi supposizione. L’unica
ipotesi, oltre a quella di
un intervento ultraterreno, che sembra rimanerci è quella
che si presentò alla
commissione, e cioè la possibilità di un passaggio
sotterraneo. Ma anche se
consentiamo a credere che questi signori, dopo avere avuto
il sospetto e aver
fatto venire gli operai appunto per risolvere i loro
dubbi, abbiano lasciato che
il lavoro fosse fatto con tanta trascuratezza da non
scoprire l’entrata segreta,
rimane un’altra difficoltà. La cripta aveva un pavimento
di legno. In realtà
una parte di esso poteva facilmente essere alzata da una
persona che volesse
entrare; ma poiché uno strato di cenere vi era stato
sparso sopra, come si
sarebbe potuto, lavorando dal di sotto, ricomporlo così da
non lasciare sulla
superficie delle ceneri alcuna traccia dell’operazione?
Infine, se questi disturbi devono essere imputati a frode,
perché gli autori
hanno interrotto la loro prosecuzione non appena le bare
sono state poste
sotto terra?
Quest’ultima difficoltà permane tuttavia anche qualora si
adotti l’ipotesi
spiritista. Se questi fenomeni furono dovuti
all’intervento di un altro mondo,
perché questo intervento è cessato dal momento in cui le
bare furono
inumate?
E, nella stessa supposizione, ci si può chiedere: perché
questo intervento?
Sembra che abbia avuto come conseguenza la conversione dal
materialismo
del testimone medico, forse anche di altri; ma questa è
una risposta
sufficiente?
Molti la giudicheranno insufficiente. Ma anche se lo
fosse, la nostra
ignoranza dei motivi divini non può invalidare i fatti.
Noi non siamo soliti
negare fenomeni come un’eruzione del Vesuvio o le
devastazioni di un
terremoto solo perché non riusciamo a capire le ragioni
per cui la divina
Provvidenza li ha provocati.
Quindi rimane da ultimo una semplice questione di fatto.
Io ho riferito le
circostanze esattamente come le ho avute da una fonte che
non avrebbe
202
potuto essere più diretta, e ho aggiunto le ipotesi che
esse hanno suscitato
nella mia mente: spetta adesso al lettore dare a ognuna il
peso che a suo
parere può meritare.
Tutti questi eventi, si noterà, datano da prima del marzo
1848, quando
avvennero nella famiglia Fox i primi disturbi che furono
l’origine dello
spiritismo negli Stati Uniti, e non si può quindi
immaginare che siano stati un
risultato di questo movimento. Lo stesso si può dire di
alcune relazioni
europee di data un poco posteriore; perché solo agli inizi
del 1852
l’eccitazione che seguì i picchi di Rochester raggiunse
una tale estensione da
far conoscere in quasi tutta Europa i fenomeni dei colpi e
delle tavole giranti e
renderli oggetto di discussione.
Fra queste ultime relazioni ne scelgo una le cui
circostanze diedero origine,
come in un esempio precedente, a procedimenti legali; e mi
limito alla prova
data sotto giuramento nel corso del processo.
Difficilmente possiamo ottenere
testimonianze più valide per qualsiasi avvenimento del
passato.
LA PARROCCHIA DI CIDEVIILE
Disturbi nei Dipartimento della Senna in Francia. 1850-51.
Nell’inverno del 1850-51, certi disturbi di carattere
straordinario avvennero
nella parrocchia di Cideville, villaggio e comune presso
la città di Yerville nel
Dipartimento della Senna inferiore, circa trentacinque
miglia a est di Havre e
a otto miglia a nord-ovest di Parigi. Questa parrocchia
era occupata dal signor
Tinel, parroco di Cideville.
L’inizio e la continuazione di questi disturbi parve
dipendere dalla
presenza di due ragazzi, allora dell’età di dodici e
quattordici anni
rispettivamente, figli di genitori onorati e loro stessi
di buone inclinazioni e
buon carattere, che erano stati affidati alle cure del
parroco per essere avviati
al sacerdozio e che abitavano nella parrocchia.
I disturbi cominciarono, in presenza di questi ragazzi, il
26 novembre 1850,
e continuarono ogni giorno, o quasi ogni giorno - di
solito nella stanza o nelle
stanze in cui essi erano - per più di due mesi e
mezzo e cioè fino al 15
febbraio 1851, giorno in cui i ragazzi, per ordine
dell’arcivescovo di Parigi,
furono allontanati dalla parrocchia. Da questo giorno
tutti i rumori e gli altri
disturbi cessarono (27).
Avvenne, per certe circostanze precedenti questi strani
fenomeni e con essi
collegate - anzitutto, a quanto sembra, in conseguenza
delle sue vanterie di
203
possedere poteri segreti e conoscenze di magia nera - che
un certo pastore
residente nel vicino comune di Anzouville-l’Esvenal, di
nome Felix Thorel,
cominciò, a poco a poco, a essere sospettato, dai più
creduli, di praticare la
stregoneria contro i ragazzi causando così i disturbi alla
parrocchia che
avevano messo in allarme ed eccitato il vicinato. Sembra
che il parroco Tinel
condividesse in parte questa fantasia popolare ed
esprimesse l’opinione che il
pastore fosse uno stregone e autore dei disturbi in
questione.
Allora Thorel, avendo perso il suo posto di pastore in
conseguenza di tali
sospetti, querelò il parroco per diffamazione chiedendo
mille duecento
franchi di danni. Il processo avvenne davanti al giudice
di pace di Yerville il 7
gennaio 1851, i testimoni furono ascoltati (diciotto per
l’accusa e sedici per la
difesa) il 28 gennaio e nei giorni seguenti e la sentenza
fu pronunciata il 4
febbraio seguente.
In questo documento, dopo avere premesso che «quale che
fosse la causa
dei fatti straordinari avvenuti nella parrocchia di
Cideville, è chiaro, dal
complesso dei testimoni addotti, che la causa di questi
fatti rimane ancora
sconosciuta»; dopo avere premesso inoltre «che, sebbene,
da una parte, il
querelato (il parroco), secondo parecchi testimoni, ebbe a
dichiarare che il
querelante (il pastore) si era vantato di produrre
disturbi nella parrocchia di
Cideville, ed espresse il suo (del querelato) sospetto che
egli (il querelante) ne
fosse l’autore, tuttavia, d’altra parte, è provato da
numerosi testimoni che il
detto querelante aveva detto e fatto quanto era in suo
potere per convincere il
pubblico di avere avuto effettivamente mano nella loro
perpetrazione,
specialmente con le sue vanterie presso i testimoni
Cheval, Vareu, Lettellier,
Foulongue, Le Hernault e altri»; e inoltre, dopo aver
deciso che, in
conseguenza, «il querelante non può avanzare una richiesta
di danni per una
pretesa diffamazione di cui lui stesso era stato il primo
autore», il magistrato
si pronunciava a favore del querelato (il parroco) e
condannava il querelante
(il pastore) a pagare le spese del giudizio.
Circa dieci giorni dopo l’emissione del giudizio, un
signore che aveva
visitato la parrocchia durante i disturbi, che era stato
presente a molti
fenomeni straordinari, e che era stato lui stesso uno dei
testimoni al processo,
il marchese de Mirville, noto nel mondo letterario parigino
e autore di un
recente volume sulla pneumatologia, raccolse dagli atti
legali tutti i documenti
connessi con il processo, compreso il processo verbale dei
testimoni, che,
secondo le forme della giustizia francese, viene steso al
momento della
deposizione e poi letto a ogni testimone che ne attesta
l’esattezza.
Da questi documenti ufficiali, così raccolti al loro tempo
come appendice al
fascicolo su questo argomento (28), traduco i seguenti
particolari dei disturbi
in questione, includendo i fenomeni su cui le principali
testimonianze
204
concordano e omettendo alcune parti delle testimonianze
che sono senza
importanza o non fondate, comprese quelle che si
riferiscono in particolare
alle prove pro e contro l’accusa di diffamazione e il
preteso intervento del
pastore Thorel.
Il martedì 26 novembre 1850, mentre i due ragazzi erano al
lavoro in una
stanza del secondo piano della parrocchia, verso le cinque
del pomeriggio,
udirono dei picchi, come leggeri colpi di martello, nel
rivestimento a pannelli
dell’appartamento. Questi colpi continuarono ogni giorno
per tutta la
settimana, alla stessa ora del pomeriggio.
La domenica seguente, primo dicembre, i colpi cominciarono
a
mezzogiorno; e fu in questo giorno che il parroco penso
per la prima volta di
rivolgersi a loro. Disse: «Batti più forte!». E i colpi
furono ripetuti con
maggior forza. Continuarono così tutto il giorno.
Il lunedì, 2 dicembre, il maggiore dei ragazzi disse ai
colpi: «Batti il tempo
della canzone “Mastro corvo”». Ed essi obbedirono immediatamente.
Il giorno seguente, martedì 3 dicembre, avendo il ragazzo
riferito l’episodio
al signor Tinel, questi, molto stupito, decise di provare
e disse: «Suona
“Mastro corvo”»; e i colpi obbedirono. Nel pomeriggio di
quel giorno i colpi
divennero così forti e violenti che un tavolo
dell’appartamento si mosse un
poco, e il rumore fu tale che si riusciva appena a restare
nella stanza. Più
tardi, in quello stesso pomeriggio, il tavolo si sposto
tre volte. La sorella del
parroco, dopo essersi assicurata che i ragazzi non
l’avevano mosso, lo rimise
al suo posto; ma per due volte tornò a muoversi verso di
lei. I rumori
continuarono con violenza per tutta la settimana (29).
Il lunedì 9 dicembre, alla presenza di Auguste Huet, un
proprietario dei
dintorni, del parroco di Limesy e di un altro signore, e
alla presenza anche del
ragazzo più giovane, Huet batté con un dito sul margine
del tavolo e disse:
«Batti tanti .colpi quante sono le lettere del mio nome».
Furono battuti
immediatamente quattro colpi nello stesso punto sotto il
suo dito. Fu
convinto che non poteva essere stato fatto né dal ragazzo
né dagli altri nella
casa. Allora chiese di battere il tempo dell’aria “Al
chiaro di luna”, e così fu
fatto (30).
Il sindaco di Cideville depose sul fatto che, mentre era
nella parrocchia,
aveva visto le molle saltare dal camino in mezzo alla
stanza. Poi la paletta fece
la stessa cosa. Il sindaco disse a uno dei ragazzi:
«Gustave, che hai fatto?». Il
ragazzo rispose: «Non li ho toccati». Le molle e la
paletta furono rimesse a
posto e una seconda volta saltarono nella stanza. Questa
volta, come affermò
il sindaco, egli aveva gli occhi fissi sui ragazzi per
scoprire l’inganno qualora
uno di loro spingesse gli oggetti, ma non poté vedere
nulla (31).
205
Il signor Leroux, parroco di Saussay, depose che, mentre
era nella
parrocchia, fu testimone di cose per lui inesplicabili.
Vide un martello volare
via, spinto da una forza invisibile, dal punto in cui era
e cadere sul pavimento
della stanza senza far più rumore che se una mano ve lo
avesse delicatamente
posato. Vide anche un pezzo di pane che era sul tavolo
muoversi da solo e
cadere sotto il tavolo stesso. Si trovava in posizione
tale che era impossibile
che qualcuno avesse lanciato questi oggetti senza essere
visto da lui. Udì
anche i rumori straordinari e prese ogni possibile
precauzione, fino a mettersi
sotto il tavolo, per assicurarsi che i ragazzi non
potessero produrli. Ne era così
sicuro che, per usare le sue parole, lo avrebbe «firmato
col suo sangue» (Je le
signerais de mon sang). Notò che il signor Tinel sembrava esasperato da
questi rumori e dal loro continuo ripetersi; e aggiunse
che, avendo dormito
alcune notti nella stessa stanza col signor Tinel,
quest’ultimo si svegliava
atterrito dai disturbi (32).
La deposizione del marchese di Mirville, possidente di
Gomerville, è una
delle più particolareggiate. Così egli dichiara. Avendo
udito parlare molto dei
disturbi di Cideville, un giorno decise improvvisamente di
andarvi. La
distanza dalla sua residenza è di quattordici leghe.
Arrivò alla parrocchia al
cader della sera, inatteso dagli abitatori, e passò la
serata là, senza perdere di
vista il parroco e senza lasciarlo mai solo con i ragazzi.
Il parroco conosceva il
nome del marchese, ma solo dalle lettere di presentazione
che quest’ultimo gli
aveva portato.
Il signor de Mirville passò la notte nella parrocchia,
avendogli il curato
dato il proprio letto nella stessa stanza in cui dormivano
i ragazzi. Durante la
notte non vi furono disturbi. Il mattino dopo uno dei
ragazzi lo svegliò
dicendo: «Sentite, signore, come gratta?».
«Chi?».
«Lo spirito».
E il marchese udì in effetti un forte grattamento sul
materasso del letto del
fanciullo. Egli avvertì tuttavia il misterioso agente che
non avrebbe
considerato i rumori degni di attenzione a meno che il
teatro delle operazioni
fosse spostato dal luogo in cui erano i ragazzi. Allora i
colpi si udirono sopra il
letto. «Ancora troppo vicino!» disse il signor de
Mirville. «Andate a battere in
quell’angolo», e indicò un lontano angolo della stanza.
Immediatamente i
colpi furono uditi lì. «Ah», fece il marchese, «adesso
possiamo conversare:
batti un colpo se sei d’accordo». Un forte colpo fu la
risposta.
Così, dopo colazione, quando il parroco fu andato alla
messa e i ragazzi si
furono ritirati nella loro camera di studio, egli attuò il
suo proposito come
segue:
206
«Quante lettere vi sono nel mio cognome? Rispondi con un
numero di
colpi».
Furono battuti otto colpi.
«E quante nel mio nome?».
Cinque colpi (Jules).
«Quante nel mio prenome?» (pré-nom, un nome,
notò, col quale non
veniva mai chiamato e che era scritto solo nel suo
certificato di battesimo).
Sette colpi (Charles).
«Quante nel nome della mia sorella maggiore?».
Cinque colpi (Aline).
«Quante nel nome della mia sorella minore?».
Nove colpi. Questa volta fu il primo errore perché il nome
era Blanche;
ma i colpi ripresero immediatamente e batterono sette,
correggendo il primo
sbaglio.
«Quante lettere vi sono nel nome del mio comune? Ma sta
attento a non
commettere il solito errore».
Una pausa. Poi dieci colpi, il numero esatto di Gomerville,
spesso
erroneamente pronunciato Gommerville.
A richiesta di questo testimone, i colpi batterono il
tempo di parecchie arie.
Una di esse, il valzer del Guglielmo Tell,
che lo spirito non seppe battere, fu
canticchiata dal signor de Mirville. Dopo una pausa, i
colpi seguirono il ritmo
nota per nota; e la cosa si ripeté più volte nel corso del
giorno.
Il teste, interrogato se pensava che il parroco potesse
essere lui stesso
l’autore di questi disturbi, rispose: «Sarei molto stupito
se qualcuno del
vicinato potesse supporre qualche cosa di simile» (33).
Madame de Saint-Victor, che risiedeva in un castello
vicino, visitò spesso la
parrocchia, dapprima, come depose, del tutto incredula e
sicura di poter
scoprire la causa dei disturbi. L’8 dicembre, dopo il
vespro, trovandosi nella
parrocchia e stando appartata da tutti, sentì il suo
mantello afferrato da una
forza invisibile che le diede una forte strappata (une
forte secousse). Tra
vari altri fenomeni, giusto una settimana prima di dare la
sua testimonianza
(22 gennaio), mentre era sola con i ragazzi, vide i due
scrittoi, ai quali essi
stavano scrivendo, rovesciarsi sul pavimento e il tavolo
rovesciarsi su di essi.
Il 28 gennaio vide un candeliere volare dal camino della
cucina e colpire al
dorso la sua cameriera. Anche lei, insieme a suo figlio,
udì i colpi battere il
ritmo di varie arie. Quando batterono «Mastro corvo»ella
chiese: «Non sai
207
altro?». Immediatamente fu battuto il ritmo di «Chiaro di
luna» e di «Ho del
buon tabacco». Mentre venivano battute alcune di queste
arie, e lei era sola
con i ragazzi, li osservò da vicino: i piedi, le mani e
tutti i loro movimenti. Era
impossibile che fossero stati loro (34).
Un altro importante testimone, il signor Robert de
Saint-Victor, figlio della
teste precedente, depose come segue. Parecchi giorni dopo
che i disturbi
erano cominciati, era venuto alla parrocchia su invito del
parroco, verso le tre
e mezzo del pomeriggio. Salito al piano superiore, sentì
dopo un certo tempo
colpi leggeri sui pannelli. Somigliavano, pur non essendo
proprio eguali, ai
rumori prodotti da una punta di ferro che passasse sopra
del legno grezzo. Il
teste era venuto totalmente incredulo e convinto di poter
scoprire la causa di
quei colpi. Il primo giorno essi eccitarono fortemente la
sua attenzione, ma
non lo convinsero del tutto. Tornò il giorno dopo alle
dieci. In questa
occasione, a sua richiesta, furono battuti a tempo vari
canti popolari. Lo
stesso giorno, dopo le tre, udì colpi così forti che un
maglio battendo contro il
pavimento non ne avrebbe prodotti di eguali. Verso sera
questi colpi
continuarono quasi senza interruzione. In quel momento il
signor Cheval, il
sindaco di Cideville e il teste erano insieme nella casa.
Videro parecchie volte
muoversi dal suo posto il tavolo a cui erano seduti i
ragazzi. Per assicurarsi
che non potessero essere loro a farlo, li misero tutti e
due in mezzo alla
stanza; poi il signor Cheval e il teste si sedettero al
tavolo e lo sentirono
scostarsi dal muro più volte. Tentarono con tutte le loro
capacità di impedirgli
di muoversi; ma i loro sforzi riuniti furono
insufficienti: il tavolo si mosse
egualmente da dieci a dodici centimetri con moto uniforme,
senza alcuna
scossa. La madre del teste, che era presente, aveva già
testimoniato lo stesso
fatto. Mentre il parroco era in chiesa, il teste rimase
solo con i ragazzi, e
subito vi fu nella stanza un frastuono che si poteva
appena resistervi. Ogni
arredo vibrava. E il teste confesso che si aspettava di
momento in momento
che il pavimento gli sprofondasse sotto i piedi. Era
sicuro che se tutta la gente
di casa si fosse messa insieme a battere sul pavimento con
dei mazzuoli, non
avrebbe potuto fare un tal fracasso. Il rumore sembrava
specialmente legato
al più giovane dei due ragazzi perché i colpi si udivano
sui pannelli che si
trovavano più vicini al punto in cui egli era, in piedi o
seduto. Il ragazzo era in
un continuo terrore.
Il teste infine si convinse appieno che la forza occulta,
quale che fosse con
precisione il suo carattere, era intelligente. Quando,
parecchi giorni dopo,
tornò alla parrocchia, i fenomeni continuarono con
crescente violenza. Una
sera, mentre cercava di entrare nella stanza in cui erano
di solito i ragazzi, la
porta resistette ai suoi sforzi, una resistenza che,
dichiarò il teste, non poté
attribuire a una causa naturale, perché, quando riuscì ad
aprirla ed entrò nella
208
stanza, non vi era alcuno. Un altro giorno gli capitò di
chiedere un’aria poco
nota, lo «Stabat Mater» di Rossini; e gli fu data con
straordinaria esattezza.
Tornato alcuni giorni dopo, dietro rinnovato invito del
parroco, egli salì al
piano di sopra; e, nel momento in cui si trovò di fronte
alla porta della stanza,
uno scrittoio che era sul tavolo al quale di solito
studiavano i ragazzi, si mosse
dal suo posto e venne verso il teste con un rapido
movimento seguendo una
linea parallela al pavimento, fin quando non fu a circa
trenta centimetri dalla
sua persona; allora cadde a terra. Il punto in cui cadde
era distante circa due
metri dal tavolo (36).
Il teste Bouffay, vicario di St. Maclou, affermò di essere
stato varie volte
alla parrocchia. La prima volta udì continui rumori negli
appartamenti
occupati dai ragazzi. Questi rumori erano intelligenti e
obbedienti. Una volta
che il teste dormì nella stanza dei ragazzi, il fracasso
fu così violento da fargli
temere che il pavimento si aprisse sotto di lui. Udì
egualmente i rumori in
presenza e in assenza del parroco; e noto in particolare
che i ragazzi erano
immobili quando avvenivano i disturbi ed evidentemente non
potevano
provocarli. Una volta il teste, con il parroco e i
ragazzi, dormì da un vicino per
sfuggire i continui rumori (37).
La deposizione di Dufour, agente terriero a Yerville, fu
che il 7 dicembre,
mentre era a pranzo nella parrocchia, udì dei colpi al
piano di sopra.
Mademoiselle Tinel disse: «Udite? Sono questi i rumori che
si sentono». Il
teste andò di sopra e trovò i ragazzi seduti ognuno a un
estremo del tavolo,
ma distanti da esso cinquanta o sessanta centimetri. Udì
dei colpi sulla parete,
che di certo non erano provocati da loro. Poi il tavolo
venne avanti nella
stanza senza che alcuno lo toccasse. Il teste lo rimise al
suo posto. Quello
avanzò ancora di circa tre metri senza che i ragazzi lo
toccassero. Mentre il
teste scendeva le scale, si fermò sul primo gradino per
dare un’occhiata al
tavolo e lo vide avanzare fino al margine del
pianerottolo, spinto da una forza
invisibile. Egli noto che il tavolo non aveva rotelle.
Questo avvenne quando il
parroco era assente dalla parrocchia (38).
Il teste Gobert, vicario di St. Maclou, dichiarò che
quando il curato di
Cideville e i due ragazzi andarono in casa sua, udì sul
soffitto e sulle pareti del
suo appartamento, dei rumori simili a quelli che lui
(Gobert) aveva già udito
alla parrocchia di Cideville (39).
Sono questi i principali fatti su cui deposero i
testimoni. Ho tralasciato
quelli che si fondavano solo sulle testimonianze dei
ragazzi. L’instancabile
signor de Mirville ha riunito e incluso nell’opuscolo citato
altre prove in forma
di varie lettere scritte da persone rispettabili che
visitarono la parrocchia
durante i disturbi. Una è di un giudice assistente di un
vicino tribunale, il
signor Rousselin. Egli trovò il parroco profondamente
afflitto per la sua
209
penosa condizione, e ottenne da lui ogni possibilità per
interrogare
separatamente i ragazzi, la sorella del signor Tinel e la
domestica. L’intero
loro comportamento diede l’impressione della sincerità. La
loro
testimonianza era chiara, diretta e sempre coerente. Trovò
i telai delle finestre
spezzati e chiusi con delle assi. Un altro signore afferma
che, arrivato alla
parrocchia, fu colpito dallo sguardo triste e angosciato
del parroco, il quale,
aggiunge, fin dal primo incontro gli parve un uomo degnissimo.
Tutte queste lettere corroborano pienamente le precedenti
testimonianze.
Mi domando se è possibile trovare un caso più chiaro e
meglio autenticato
di questo. Tuttavia è certo che i fenomeni qui
manifestati, per quanto possano
assomigliare a quelli che avvengono da dieci anni in tutti
gli Stati Uniti, non
sono attribuibili, direttamente o indirettamente,
attraverso l’influenza
dell’imitazione, l’eccitamento epidemico o altrimenti, al
nostro movimento
spiritista. La storia dei picchi di Rochester, che allora
stava appena
cominciando qui, non aveva raggiunto l’umile parrocchia di
Cideville né
portato spiegazioni, ai suoi spaventati abitatori, per le
noie che turbavano la
loro quiete e suscitavano i loro timori.
Potrei andare avanti indefinitamente estendendo il numero
di simili
racconti, ma una ripetizione non proverebbe nulla di più
di quanto è stato
accertato dagli esempi già dati. Chiudo dunque qui
l’elenco dei disturbi
avvenuti in Europa e passo a presentare, come conclusione,
traendolo dalle
fonti più autentiche, questo esempio a cui ho già
accennato, avvenuto nel
nostro paese, e divenuto noto in Europa e in America,
sotto il nome di «Picchi
di Rochester».
LA CASA DI HYDESVILLE
Disturbi nello Stato di New York. 1848.
Non lungi dalla città di Newark, nella contea di Wayne e
nello stato di New
York, vi è una casa di legno, una di un gruppo di case
simili che merita appena
il titolo di villaggio, ma noto sotto il nome di
Hydesville. Fu così chiamato dal
nome del dott. Hyde, un vecchio pioniere, il cui figlio è
proprietario della casa
in questione. Comprende un terreno e una soffitta rivolti
a sud; il terreno
consisteva, nel 1848, in due stanze di medie dimensioni,
intercomunicanti;
quella a est era una stanza da letto comunicante con il
soggiorno e una
dispensa, che si apriva su questa stessa stanza; inoltre
una scala (fra la stanza
210
da letto e la dispensa) che portava dal soggiorno alla soffitta e dalla dispensa
alla cantina.
Questa umile abitazione era stata scelta come temporanea
dimora, mentre
veniva costruita un’altra casa in quella località, dal
signor John D. Fox.
I Fox erano una stimata famiglia
di agricoltori, membri della chiesa
metodista, in buone condizioni e molto rispettati dai loro
vicini per onesta e
rettitudine. Gli antenati del signor Fox erano tedeschi e
il suo nome, era in
origine, Voss; ma sia lui che sua moglie
erano nativi del luogo. Nella famiglia
della signora Fox, di nome Rutan e di origine francese,
vari membri avevano
ottenuto il potere della seconda vista: fra gli altri la sua
nonna materna, il cui
nome di ragazza era Margaret Ackermann e che risiedeva a
Long Island.
Aveva spesso visioni di funerali prima che avvenissero ed
era solita seguire
queste processioni di fantasmi fino alla tomba, come se
fossero reali.
Anche la sorella della signora Fox, signora Elisabeth
Higgins, aveva un
simile potere. Una volta, nell’anno 1823, le due sorelle,
che allora risiedevano
a New York, decisero di andare a Sodus per il canale. Ma
Elisabeth un mattino
disse: «Non faremo questa gita per acqua». «Perché?»
chiese la sorella.
«Perché stanotte ho sognato che viaggiavamo per terra e
c’era con noi una
signora straniera. Inoltre nel sogno mi parve che
giungessimo all’osteria di
Mott, nei boschi Beech, e che non potessero accoglierci
perché nella casa vi
era la salma della signora Mott. So che tutto si
avvererà». «E’ molto
improbabile», rispose la sorella, «perché l’anno scorso,
quando passammo di
lì, la moglie del signor Mott giaceva morta nella casa».
«Vedrai. Deve essersi
risposato; e perderà anche la seconda moglie». Tutti i
particolari si
realizzarono come aveva predetto la signora Higgins. La
signora Johnson, una
straniera che al tempo del sogno esse non avevano ancora
visto, andò
realmente con loro; fecero il viaggio per terra e non
furono accolte nell’osteria
di Mott proprio per la causa indicata dal sogno della
signora Higgins.
Il signore e la signora Fox avevano sei figli, di cui i
due più giovani stavano
con loro quando, l’11 dicembre 1847, si stabilirono nella
casa che ho descritto.
Questi figli erano due bambine: Margaret che aveva allora
dodici anni, e Kate,
di nove.
Subito dopo avere preso alloggio in questa casa,
cominciarono a pensare
che era un’abitazione molto rumorosa; ma fu attribuito ai
topi e ai ratti.
Durante il mese successivo, tuttavia (gennaio 1848) i
rumori cominciarono ad
assumere il carattere di leggeri colpi che si udivano di
notte nella stanza da
letto; talora i suoni si udivano in cantina. Dapprima la
signora Fox cercò di
convincersi che si trattasse solo del martellare di un
calzolaio intento al suo
lavoro fino a tardi in una casa accanto. Ma ulteriori
osservazioni le
211
dimostrarono che i suoni, di qualunque natura fossero,
avevano origine nella
sua casa. Perché non solo i colpi divennero gradualmente
più distinti, e non
solo venivano uditi ora in una parte della casa ora in
un’altra, ma la famiglia
infine si rese conto che questi picchi, anche quando non
erano molto forti,
producevano un movimento, un tremito piuttosto che uno
scatto improvviso,
nei letti e nelle sedie, talora nel pavimento; un
movimento che era
percettibilissimo al tatto quando si metteva una mano
sulle sedie, che a volte,
di notte, era sensibile in una leggera oscillazione dei
letti, e che talora si
poteva percepire come una specie di vibrazione anche
stando in piedi sul
pavimento.
Dopo un po’ di tempo i rumori mutarono di carattere
risuonando a volte
come passi distinti nelle varie stanze.
Quando furono passati un mese o due, i disturbi non si
limitarono più a
semplici suoni. Una volta qualche cosa di pesante, come se
fosse un cane,
parve posarsi sui piedi delle bambine; ma se ne andò prima
che la madre
potesse venire in loro aiuto. Un’altra volta (verso la
fine di marzo) Kate ebbe
l’impressione di una mano fredda sul suo volto. Talora,
inoltre, le coperte del
letto furono tirate durante la notte. Infine le sedie si
mossero dai loro posto. E
così pure, una volta, la tavola da pranzo.
I disturbi, che si erano limitati a rumori ogni tanto per
tutto il febbraio e i
primi di marzo, aumentarono via via verso la fine di
questo mese in
rumorosità e frequenza, così seriamente da turbare la pace
della famiglia. Il
signor Fox e sua moglie si alzavano ogni notte,
accendevano una candela ed
esploravano tutti gli angoli della casa, ma senza alcun
risultato. Non
scoprirono nulla. Quando i colpi si udivano a una porta,
il signor Fox correva
ad aprire nel momento stesso un cui si ripetevano, ma
anche questo
espediente si rivelò inutile. Sebbene aprisse
immediatamente, non vedeva
alcuno. Né lui né la signora Fox ebbero mai il minimo
indizio della causa di
questi disturbi.
L’unica circostanza che poteva suggerire la possibilità di
un trucco o di un
errore era il fatto che questi vari e inesplicabili
avvenimenti non si
manifestavano mai di giorno.
Così, nonostante la stranezza della cosa, al mattino essi
cominciavano a
pensare che dovevano essere state solo fantasie notturne.
Non essendo inclini
alla superstizione, per parecchie settimane i Fox si
aggrapparono all’idea che
prima o poi avrebbero trovato la causa naturale di questi
disturbi. E non
abbandonarono questa speranza fino alla notte di venerdì
31 marzo 1848.
La giornata era stata fredda e tempestosa, il suolo era
coperto di neve. Nel
corso del pomeriggio un figlio, David, venne a visitarli
dalla sua fattoria
212
distante circa tre miglia. Sua madre gli parlò allora per
la prima volta dei
disturbi che stavano sopportando; perché fin allora, erano
stati poco disposti
a comunicarli a qualcuno. Lui la ascoltò sorridendo.
«Bene, mamma», disse,
«ti consiglio di non farne parola con i vicini. Quando ne
scoprirai la causa,
sarà una delle cose più semplici del mondo». E tornò a
casa sua con questa
convinzione.
Stanca per un susseguirsi di notti insonni e di inutili
tentativi di svelare il
mistero, la famiglia Fox, quel venerdì sera, si ritirò
molto presto sperando in
una sosta dei disturbi che la perseguitavano. Ma fu
delusa.
I genitori avevano trasportato i letti delle bambine nella
loro stanza,
ingiungendo loro di non parlare dei rumori nemmeno se li
avessero sentiti.
Ma la madre le aveva appena messe a letto e stava per
coricarsi anche lei,
quando le bambine gridarono: «Eccoli che tornano!». La
madre le fece star
zitte e si coricò. Allora i rumori divennero più forti e
impressionanti. Le
piccole si misero a sedere sul letto; la signora Fox
chiamò suo marito. La notte
era ventosa, e questo gli fece pensare che fossero le
finestre che sbattevano.
Ne provò alcune scuotendole per vedere se erano ben
chiuse. Kate, la più
piccola, noto che ogni volta che il padre scuoteva una
finestra, i rumori
sembravano rispondere. Vivace com’era e, in certo modo,
abituata a quello
che succedeva, si volse verso il punto da cui provenivano
i colpi, fece
schioccare le dita e disse: «Su, vecchio diavolo, fa
quello che faccio io!». Il
colpo rispose immediatamente.
Fu questo l’inizio. Chi può dire dove sarà la fine?
Non voglio affermare che fu Kate Fox, a scoprire, quasi
per giuoco, che
questi misteriosi rumori sembravano dotati di
intelligenza. Il signor
Mompesson, duecento anni prima, aveva gia osservato un
simile fenomeno.
Glanvil lo aveva verificato. E così pure Wesley e i suoi
figli. E altri ancora
come abbiamo visto. Ma in tutti questi casi il fatto si
fermò lì e le osservazioni
non furono continuate. Come, prima dell’invenzione della
macchina a vapore,
vari osservatori avevano messo il piede sulla soglia della
scoperta e lì si erano
fermati senza sospettare quello che si nascondeva davanti
a loro, così in
questo caso in cui il Cappellano Reale, studioso di
filosofia induttiva, e in cui il
fondatore del metodismo, che ammetteva la probabilità di
interferenze
ultraterrene, erano egualmente falliti, una ragazzina
yankee di nove anni,
seguendo, più per giuoco che sul serio, un’osservazione
casuale, divenne
istigatrice di un movimento che, quale che sia il suo vero
carattere, ha avuto
influenza su tutto il mondo civile. La scintilla era stata
accesa più volte: una
volta almeno due secoli fa; ma ogni volta si era spenta
senza effetto. Non
accese fiamma fino alla metà del diciannovesimo secolo.
213
E tuttavia come era breve il passo dalle osservazioni di
Tedworth alla
scoperta di Hydesville! Il signor Mompesson, a letto con
la sua figlioletta
(circa dell’età di Kate), che sembrava essere
particolarmente seguita dai
rumori, «osservò che essi rispondevano esattamente,
tamburellando, a tutto
ciò che veniva battuto o richiesto». Ma la sua curiosità
non andò oltre.
Non così Kate Fox. Ella tentò, unendo silenziosamente il
pollice e l’indice,
se poteva ottenere egualmente risposta. Sì! Lo spirito
poteva vedere al pari
che udire! Chiamò la madre. «Guarda, mamma», disse unendo
l’indice e il
pollice come prima. E ogni volta che ripeteva il gesto
senza far rumore, i colpi
rispondevano.
Questo attrasse subito l’attenzione della madre. «Conta
fino a dieci», disse
rivolgendosi al rumore. Furono battuti distintamente dieci
colpi! «Quanti
anni ha mia figlia Margaret?». Dodici colpi. «E Kate?».
Nove. «Che cosa può
significare tutto questo?» pensò la signora Fox. Chi le
rispondeva? Era forse
una qualche misteriosa eco del suo pensiero? Ma la
successiva domanda che
fece parve respingere questa ipotesi. «Quanti figli ho?».
Chiese a voce alta.
Sette colpi. «Ah», pensò, «qualche volta può sbagliare». E
poi, ad alta voce:
«Prova ancora». Furono battuti di nuovo sette colpi.
Un’idea attraverso la
mente della signora Fox. «Sono tutti vivi?». Chiese. Le
rispose un silenzio.
«Quanti sono vivi?». Sei colpi. «Quanti sono morti?». Un
colpo solo. Lei
aveva in effetti perso un figlio.
Poi chiese: «Sei un uomo?». Nessuna risposta. «Sei uno spirito?».
Un
colpo. «I vicini possono udirti se li chiamo?». Ancora un
colpo.
Allora pregò il marito di chiamare una vicina, una certa
signora Redfield,
che arrivò ridendo. Ma la sua allegria durò poco. Le
risposte alle sue domande
furono pronte e pertinenti come lo erano state quelle date
alla signora Fox.
Lei si sentì piena di riverente meraviglia; e, quando in
risposta a una
domanda circa il numero dei suoi figli, battendo quattro
volte, invece di tre
come si aspettava, lo spirito le ricordò una figlioletta,
Mary, che aveva perso
da poco, la madre scoppiò in lacrime.
Ma è inutile seguire ulteriormente nei minuti particolari
le conseguenze di
questi disturbi, perché i particolari sono già stati dati,
parte in forma di
deposizioni ufficiali, in più di una pubblicazione (40), e
perché non sono
essenziali per illustrare questo ramo dell’argomento.
Tuttavia potrà essere utile al lettore il far seguire alla
precedente
narrazione - ogni particolare della quale è stato da me
raccolto dalla signora
Fox, dalle sue figlie Margaret e Kate e da suo figlio
David - un supplemento
contenente in breve il riassunto dei fatti che
immediatamente seguirono e di
214
quelli, connessi con la casa in questione, che
immediatamente precedettero i
disturbi del 31 marzo.
Quella notte i vicini, attratti dal rumore dei disturbi,
si affollarono a poco a
poco in numero di settanta o ottanta, così che la signora
Fox lasciò la casa per
riparare in quella della signora Redfield e le bambine
furono portate nella
casa di un altro vicino. Il signor Fox rimase.
Molti dei convenuti, l’uno dopo l’altro, fecero domande ai
rumori
chiedendo che le risposte affermative fossero date con un
colpo. Quando non
vi era risposta e la domanda veniva rovesciata, vi furono
sempre colpi,
indicando così che il silenzio doveva essere considerato
una risposta negativa.
In questo modo i colpi affermarono di essere prodotti da
uno spirito; da
uno spirito offeso; da uno spirito che era stato offeso in
quella casa quattro o
cinque anni prima; da nessuno dei vicini i cui nomi erano
stati pronunciati
uno per uno, ma da un uomo che risiedeva un tempo in
quella casa, un certo
John Bell, fabbroferraio. Il suo nome fu ottenuto
nominando in successione i
precedenti inquilini della casa.
I rumori affermarono inoltre di essere lo spirito di un
uomo di trentun
anni; che era stato ucciso nella stanza da letto per
denaro, un martedì a
mezzanotte; che in quella notte non vi erano in casa che
l’uomo ucciso e il
signor Bell, poiché la signora Bell e una ragazza di nome
Lucretia Pulver, che
lavorava per loro, erano entrambe assenti; che il corpo fu
portato nella
cantina nelle prime ore del mattino, non per la porta
esterna della cantina, ma
dopo essere stato trascinato dal soggiorno nella dispensa
e di qui giù per le
scale; che era stato sepolto alla profondità di dieci
piedi, nella cantina, la notte
seguente all’assassinio.
Allora le persone riunite scesero nella cantina, che aveva
un pavimento di
terra battuta; il signor Redfield si mise in vari punti
del locale chiedendo ogni
volta se era il posto della sepoltura, e non vi fu
risposta finché non si mise nel
centro. Allora si udirono dei colpi, che venivano di sotto
terra. Questo venne
ripetuto più volte, sempre con lo stesso risultato: non si
udiva alcun suono se
egli non si collocava al centro. Uno dei testimoni
descrive i suoni nella cantina
come simili a «colpi un piede o due sotto terra» (41).
Poi un vicino di nome Duesler pronunciò le lettere
dell’alfabeto
domandando, a ognuna, se fosse l’iniziale del nome
dell’uomo assassinato, e
così pure del cognome. I rumori risposero a C e B. Un
tentativo di ottenere
l’intero nome non ebbe allora successo. In un secondo
tempo fu dato l’intero
nome (Charles B. Rosma) nello stesso modo, in risposta
alle domande di
David Fox. Tuttavia il fenomeno non suggerì ad alcuno il
tentativo di ottenere,
grazie ai colpi, una comunicazione sillabata. E’ un fatto
notevole - e tale da
215
spiegare in certo modo la mancanza di ulteriori risultati
a Tedworth e a
Epworth - che solo circa quattro mesi dopo, e a Rochester,
fu ottenuta la
prima vera comunicazione per mezzo dei colpi; chi la
ottenne fu Isaac Post,
un membro della Società degli Amici, vecchia conoscenza
della famiglia Fox.
La notizia delle meraviglie notturne di Hydesville si
diffuse per tutto il
vicinato; e il giorno dopo, sabato, la casa fu assediata
da una folla di curiosi.
Ma, finché fu giorno, non si ebbero rumori (42). Ripresero
solo verso le sette
di sera. Quella notte vi furono circa trecento persone
nella casa e intorno a
essa (43). Parecchi fecero domande e le risposte
corrisposero in ogni punto a
quelle già date.
Fu allora proposto di scavare nella cantina; ma, poiché la
casa è in pianura,
non lungi da un lento corso d’acqua, gli scavatori
raggiunsero l’acqua a una
profondità di meno di tre piedi, e dovettero abbandonare
il tentativo. Questo
fu ripreso il lunedì, 3 aprile, e anche il giorno dopo, da
David Fox e altri,
portando via e pompando l’acqua, ma non si poté scavare
molto e l’impresa
dovette essere abbandonata (44).
Più tardi, quando l’acqua si era molto abbassata, ossia
nell’estate del 1848,
David Fox, aiutato da Henry Bush e Lyman Granger, di
Rochester, e da altri,
riprese a scavare nella cantina. Alla profondità di cinque
piedi incontrarono
un tavolato che perforarono con una trivella finché la
punta della trivella si
staccò e non si poté più trovare. Scavando ancora
rinvennero dei pezzi di
terracotta, di carbone e di calcina, indizi che il suolo
doveva essere stato
sconvolto a una notevole profondità; e finalmente
trovarono alcuni capelli
umani e varie ossa che, esaminate da un medico esperto di
anatomia,
risultarono essere parti di uno scheletro umano, comprese
alcune ossa di una
mano e alcune parti del cranio; ma non fu trovato alcuno
scheletro intero
(45).
Rimane da descrivere brevemente gli antefatti della casa
infestata.
William Duesler, uno di coloro che lasciarono certificati
relativi ai fatti e
che si offrirono di confermare la loro testimonianza con
giuramento, dichiarò
di avere abitato la stessa casa sette anni prima e che,
durante il periodo della
sua residenza, non furono mai uditi rumori del genere né
nella casa né
attorno a essa. Aggiunse che un certo signor Johnson, e
altri che al pari di lui
erano vissuti là prima che il signor Bell occupasse
l’abitazione, avevano fatto
la stessa constatazione (46).
La signora Pulver, una vicina, affermò che, essendo andata
a trovare un
mattino la signora Bell, mentre ella era occupata nelle
faccende di casa, ella
(la signora Bell) le disse di non sentirsi bene non avendo
dormito per tutta la
notte; e, avendole chiesto perché, la signora Bell le
disse che le era sembrato
216
di sentir qualcuno che camminava da una stanza all’altra.
La signora Pulver
depose inoltre di avere udito, in un’occasione successiva,
la signora Bell
parlare di rumori di cui non poteva darsi ragione (47).
La figlia di questa testimone, Lucretia Pulver, affermò di
essere stata con i
coniugi Bell per una parte del tempo in cui essi
occuparono la casa, e
precisamente per tre mesi durante l’inverno 1843-44,
talora lavorando per
loro e talora a pensione presso di loro e andando a
scuola, poiché aveva allora
quindici anni. Disse che i coniugi Bell «sembravano essere
brava gente, solo
di carattere piuttosto impulsivo».
Dichiarò che, durante l’ultima parte della sua residenza
presso di loro, un
pomeriggio, verso le due, un merciaio ambulante, a piedi,
di apparentemente
una trentina di anni, con una giacca nera e pantaloni
chiari, e recante una
cassetta e un paniere, venne a visitare la signora Bell.
Questa le disse di averlo
già conosciuto. Poco dopo il suo arrivo, il signore e la
signora Bell discussero
per circa mezz’ora nella dispensa. Poi la signora Bell le
disse - in modo molto
inaspettato per lei - che non avevano più bisogno di lei;
che lei (la signora
Bell) doveva andare quel pomeriggio a Lock Berlin e che
lei (Lucretia) era
meglio che tornasse a casa perché non potevano tenerla più
presso di loro. La
signora Bell e Lucretia lasciarono dunque la casa mentre
il signor Bell e il
merciaio vi restavano soli. Prima di andar via, tuttavia,
Lucretia vide una
pezza di mussola di lana e disse al merciaio che avrebbe
acquistato un abito di
quella stoffa se fosse venuto, il giorno dopo, alla casa
di suo padre, lì vicino,
cosa che egli promise di fare; ma non venne. Tre giorni
dopo la signora Bell
tornò e, con sorpresa di Lucretia, la mandò a chiamare
perché tornasse con
loro.
Pochi giorni più tardi, Lucretia cominciò a sentire dei
colpi nella stanza da
letto - poi occupata dai coniugi Fox - in cui dormiva. I
colpi sembravano
venire di sotto il piede dei letto e si ripeterono per
parecchie notti. Una notte
in cui i Bell erano andati a Lock Berlin e lei era rimasta
in casa col suo
fratellino e una figlia del signor Losey, di nome Aurelia,
udirono, verso
mezzanotte, quelli che sembravano i passi di un uomo nella
dispensa. Erano
andati a letto solo alle undici e non si erano ancora
addormentati. Sembrava
che qualcuno attraversasse la dispensa e scendesse le
scale della cantina, poi
attraversasse una parte della cantina e si fermasse. Le
ragazze, molto
spaventate, si alzarono e chiusero le finestre e le porte.
Circa una settimana dopo, Lucretia, essendo andata nella
cantina, si mise a
gridare. La signora Bell le chiese che cosa era successo.
Lucretia esclamò:
«Che cosa ha fatto il signor Bell, in cantina?». Era
affondata nel suolo
cadendo. La signora Bell rispose che erano tane di topi.
Pochi giorni dopo,
217
verso sera, il signor Bell porto della terra in cantina e
rimase al lavoro per un
certo tempo. La signora Bell disse che stava riempiendo le
tane dei topi (48).
Il signore e la signora Weekman deposero di avere occupato
la casa in
questione dopo che i Bell l’avevano lasciata, per diciotto
mesi, e precisamente
dalla primavera del 1846 all’autunno del 1847.
Verso il marzo del 1847, una sera, mentre stavano andando
a letto, udirono
dei colpi fuori della porta; ma, quando andarono ad
aprire, non vi era alcuno.
Questo si ripeté finché il signor Weekman perse la
pazienza; e, dopo avere
cercato tutt’intorno alla casa, decise di scoprire, se
possibile, questi
disturbatori della sua pace. Restò dunque con la mano
sulla maniglia della
porta, pronto ad aprire nel momento stesso in cui i colpi
si fossero ripetuti. Si
ripeterono ed egli sentì la porta tremare sotto la sua
mano, ma, sebbene
avesse aperto immediatamente e cercato intorno alla casa,
non trovò traccia
di un disturbatore.
Essi furono in seguito frequentemente angustiati da strani
e inesplicabili
rumori. Una notte la signora Weekman udì quelli che
sembravano dei passi di
qualcuno che camminasse nella cantina. Un’altra notte una
delle sue
bambine, di otto anni, si mise a gridare così da svegliare
tutta la casa. Disse
che qualche cosa di freddo era passato sulla sua testa e
sul suo volto; e ci volle
molto tempo prima che la bambina atterrita si calmasse, ma
per più notti non
volle dormire in quella stanza.
Il signor Weekman si offrì di ripetere il suo certificato
sotto giuramento se
glielo chiedevano (49).
Ma non è necessario moltiplicare oltre gli estratti da
queste deposizioni.
Nulla di positivo potrebbe essere tratto da esse. E’ certo
tuttavia che il
merciaio ambulante non riapparve più a Hydesville né
mantenne le sue
promesse di tornare. D’altra parte, il signor Bell, che
aveva traslocato nei
primi del 1846 nella città di Lyons, nella stessa contea,
nell’udire le notizie
delle scoperte suddette, tornò immediatamente sulla scena
della sua
residenza di un tempo e ottenne dai vicini e rese pubblico
un certificato in cui
si dichiarava che «essi non potevano dir nulla contro di
lui», e che, quando
viveva con loro, «essi lo consideravano, e ancora lo
consideravano, un uomo
retto e onesto, incapace di commettere un delitto». Questo
certificato è datato
5 aprile (sei giorni dopo le prime comunicazioni) ed è
firmato da
quarantaquattro persone. L’autore della Relazione di
rumori misteriosi,
nel presentarlo per intero, aggiunge che altri, oltre i
firmatari, erano disposti a
unirsi alla raccomandazione (50).
E’ opportuno anche notare, a questo proposito, che alcuni
mesi dopo - e
cioè nel luglio o agosto 1848 - avvenne a Rochester, New
York, un fatto in
218
certo modo analogo e che mostra il pericolo di indulgere,
senza sicure prove, a
sospetti provocati da cosiddette comunicazioni spiritiche.
Un giovane
merciaio ambulante, con un carro e due cavalli, di cui si
sapeva che possedeva
varie centinaia di dollari, dopo essersi fermato in una
osteria di quella città,
improvvisamente scomparve. L’opinione pubblica prese a
credere che fosse
stato ucciso. Uno spiritista entusiasta ebbe la conferma
di questa ipotesi per
mezzo dei picchi. Grazie allo stesso medium il credulo
inquirente seppe che il
corpo si trovava in un canale, e vari punti di esso furono
poi indicati in cui
poteva trovarsi. Furono dragati con ansia ma inutilmente.
Infine fu chiesto
alla moglie di quel sempliciotto di andare in un dato
punto del canale, dove
certamente avrebbe scoperto la salma. Nell’obbedire a
questa ingiunzione per
poco ella non perse la vita. Alcuni mesi dopo, la presunta
vittima riapparve:
era partito segretamente per il Canada onde evitare le
sollecitazioni dei suoi
creditori (51).
Nel caso di Hydesville, inoltre, vi fu qualche prova in
contrario. I colpi
affermarono che la moglie del merciaio ambulante era
morta, ma che i suoi
cinque figli vivevano nella Contea di Orange, New York;
tutti gli sforzi per
trovarli furono vani. Né risulta che un uomo di nome Rosma
sia mai vissuto
laggiù.
Resta da aggiungere che nessun processo legale fu mai
istituito, né contro il
signor Bell in seguito ai sospetti sorti, né da parte sua
contro coloro che
avevano espresso tali sospetti. Egli infine lasciò il
paese.
E’ evidente che non vi erano prove sufficienti contro di
lui. Le dichiarazioni
dei testimoni terreni erano solo prove indiziarie; e non
si poteva fare alcun
fondamento su di una testimonianza ultraterrena non
confermata. Poteva
offrire qualche indizio, suggerire qualche inchiesta, ma
non poteva dare la
sicurezza.
Il racconto di Hydesville, comunque, come disturbo
inesplicato al pari di
quelli di Cideville, di Ahrensburg, di Slawensik, di
Epworth e di Tedworth,
rimane come conferma della realtà dei fenomeni stessi, non
dell’esattezza
delle informazioni estrinseche da essi fornite.
Con questa chiudo l’elenco di queste relazioni; perché
seguire simili esempi
avvenuti da allora nel nostro paese (52), mi allontanerebbe
dal mio
argomento per portarmi nella storia della nascita e degli
sviluppi del
movimento spiritista.
219
NOTE
(1) Sadducismus Triumphatus, or Full and Plain
Evidence
concerning Witches and Apparitions, (Il sadduceismo sconfitto, o
piena e chiara prova relativa alle streghe e alle
apparizioni), di Joseph Glanvil,
gia Cappellano ordinario di Sua Maestà e membro della
Royal Society, terza
edizione Londra 1689, pagg. 322-23.
(2) Lettera di Mompesson a Collins, data per intero nella
prefazione alla
seconda parte del Sadducismus Triumphatus di
Glanvil, terza edizione
1689. Non appare nella prima edizione non essendo ancora
scritta.
(3) La lettera è data per intero nella prefazione alla
terza edizione
dell’opera di Glanvil.
E’ notevole con quanti pochi scrupoli taluni, che
dovrebbero saper fare di
meglio, neghino, senza alcun fondamento, la verità di
alcuni fatti sgraditi.
Nella Philosophy of Mystery, di Walter
Cooper Dendy, membro e
segretario onorario della Società Medica di Londra,
l’autore, parlando del
«mistero o demonio di Tedworth», dice: «Anche questo fu
fonte di estrema
meraviglia finché il tambureggiatore fu processato e
condannato e il signor
Mompesson confesso che il mistero era effetto di
artificio». Capitolo
«Illustrazione di suoni misteriosi», pagg. 149-50.
(4) Sadducismus Triumphatus, pagg. 334-36.
(5) Original Letters by the Rev. John Wesley and his
Friends,
illustrative of his Early History (Lettere originali del rev. John Wesley e
dei suoi amici, che illustrano la sua prima storia) con
altri curiosi documenti
comunicati dal defunto rev. S. Babcock. A esse è premesso
un discorso ai
Metodisti di John Priestley, dottore in legge, membro
della Royal Society ecc.,
Londra 1791: volume in ottavo di 170 pagine. L’opuscolo è
raro.
(6) Memoirs of the Wesley Family raccolti
principalmente da
documenti originali, di Adam Clarke, seconda edizione
Londra 1843.
(7) Memoirs of the Wesley Family, vol. I,
pagg. 253-60.
(8) Memoirs of the Wesley Family, vol. I,
pag. 286.
(9) Opuscolo del dott. Priestley già citato, Prefazione,
pag. XI.
(10) Memoirs of the Wesley Family, vol. I
pagg. 245-46.
(11) The Asylum Journal of Mental Science (pubblicato
da
un’associazione di medici ufficiali degli Asili e degli
Ospedali per i folli),
Aprile 1858, Londra, pag. 395.
220
(12) Dalla Signora Crowe nel suo Night Side of
Nature (Il lato oscuro
della natura), pagg. 412-22. L’opuscolo è intitolato:
«Autentica, sincera e
circonstanziata esposizione di stupefacenti avvenimenti a
Stockwell, nella
contea di Surrey, il lunedì e il martedì 6 e 7 gennaio
1772; contenente una
serie dei più sorprendenti e incredibili fatti che siano
mai avvenuti, e che
continuarono, dall’inizio alla fine, più di venti ore in
luoghi diversi. Pubblicato
con il consenso e l’approvazione della famiglia e di altre
persone implicate
che, per autenticazione, firmarono la copia originale.
(13) Per il primo, capitato a due sorelle di nome Dixon,
vedi l’Arminian
Magazine dell’anno
1786, pagg. 660-62. I disturbi cominciarono nel 1779, e
si dice che continuassero per più di sei anni. Il secondo
è dato nella stessa
rivista del 1787; cominciò circa una settimana prima del
Natale del 1780.
(14) Die Seherin von Prevorst, quarta
edizione Stoccarda 1846, pagg.
495-504.
(15) Die Seherin von Prevorst, pagg. 506-07.
(16) Die Seherin von Prevorst, Eröffnungen über das
innere
Leben des Menschen, und über das Hereinragen einer
Geisterwelt
in die unsere (La
veggente di Prevorst, rivelazioni sulla vita interiore degli
uomini e sull’estendersi del mondo degli spiriti nel
nostro), di Justinus
Kerner, quarta edizione, Stoccarda e Tubinga 1846, ottavo,
pagg. 559.
Quest’opera, di cui vi è una traduzione inglese della
signora Crowe, attrasse
molta attenzione e molte critiche al tempo della sua
pubblicazione e in
seguito. Fu recensita dalla Revue des Deux Mondes del
15 luglio 1842 che
ne parlò come di «un’opera fra le più strane e più
coscienziosamente
elaborate che siano mai apparse su questo soggetto». Del
dottor Kerner il
revisore parla ampiamente come di un uomo che fa onore
alla Germania.
Un’altra rivista, nel febbraio del 1846, parla in termini
egualmente
favorevoli dell’opera e del suo autore. Riconosce al dott.
Kerner un’alta
reputazione nel suo paese, non solo come medico, ma anche
per i suoi talenti
letterari e come uomo dotto e religioso: un uomo la cui
sincerità e la cui
buona fede non possono essere messe in dubbio nemmeno dai
più scettici. Il
revisore dichiara inoltre che il libro contiene molte
verità che devono essere
ammesse nei nostri sistemi di fisiologia e psicologia.
(17) Night Side of Nature, Routledge &
C. edit., pagg. 445-47.
(18) Popular delusions, vol. II, pagg.
133-36.
(19) Questo fenomeno, per quanto sembri strano, è identico
a quello
riferito recentemente dalla Gazette des Tribunaux e
citato da De Mirville
nella sua opera Des esprits, pagg. 381-84.
Avvenne a Parigi nel popoloso
221
quartiere di Montagne-Sainte-Geneviève. Una casa in via
des Grès fu
bersagliata per ventun notti di seguito, da
una pioggia di pesanti
proiettili scagliati contro di essa in tale quantità e con
tale violenza che la
fronte della casa fu letteralmente forata in vari punti,
le porte e le finestre
furono mandate in frantumi e l’insieme presentava
l’aspetto di un edificio che
avesse subito un assedio con pietre lanciate da catapulte
o scariche di
mitraglia. La Gazette dice: «Di dove vengono
questi proiettili che sono pezzi
di pavimento, frammenti di vecchie case, interi blocchi di
pietre da
costruzione e che, per il loro peso e per la distanza da
cui giungono non
possono essere stati lanciati da mano umana? Fino a oggi è
stato impossibile
scoprirne la causa». E tuttavia la polizia, guidata dallo
stesso Capo di Polizia,
era lì ogni notte e aveva posto una guardia all’edificio
notte e giorno.
Impiegarono anche, come guardiani, dei feroci cani, ma
tutto invano.
De Mirville, qualche tempo più tardi, andò personalmente
dal proprietario
della casa e dal Commissario di Polizia del quartiere.
Entrambi lo
assicurarono nel modo più positivo che, nonostante le
continue precauzioni
prese da un corpo di uomini senza eguali per vigilanza e
sagacità, non fu mai
ottenuto il minimo indizio per svelare il mistero. (pagg.
384-86).
(20) Uno dei più notevoli fra questi esempi è quello della
cosiddetta
«Ragazza elettrica» esaminata da Arago. Io ho preparato
accuratamente una
esposizione di questo caso traendolo dai documenti
originali, per introdurlo
qui; ma, vedendo che questo volume andava oltre le
dimensioni a cui volevo
limitarlo, ho tolto questa storia per pubblicarla in
un’opera futura.
(21) Facts and Fantasies; a Sequel to Sights and
Sounds, the
Mystery of the Day (Fatti
e fantasie, seguito a «Sospiri e suoni, il mistero
del giorno»), di Henry Spicer, Londra 1853, pagg. 76-101.
(22) L’isola di Oesel, nel Baltico, appartiene alla
Russia, essendole stata
ceduta per il trattato di Nystadt, nel 1721. Fa parte
della Livonia.
(23) La religione dell’isola è protestante, sebbene negli
ultimi tempi siano
stati fatti tentativi per ottenere conversioni alla Chiesa
ortodossa.
(24) La parola tedesca usata dal narratore nel parlarmi di
questi rumori
Getöse. E’ il
termine usato spesso per indicare un tuono distante. Schiller
dice nel suo Tuffatore:
«Und wie mit des fernen Donner’s Getöse».
(E come con i lontani fragori del tuono)
(25) A Parigi, l’8 maggio 1859.
(26) Numeri, XXII, 23.
222
(27) I ragazzi, dopo essere stati tolti al signor Tinel,
vennero affidati alle
cure del signor Fauvel, parroco di St. Ouen du Breuil, che
testifica del loro
buon carattere e della loro buona condotta. Vedi la
lettera nell’opuscolo di De
Mirville Fragment d’un ouvrage inédit (Frammenti
di un’opera inedita).
Non risulta che i disturbi li abbiano seguiti nella loro
nuova casa.
(28) Fragment d’un ouvrage inédit, pubblicato da
Vrayet de Surey,
Parigi 1852. (L’opera inedita a cui ci si riferisce è il
noto volume di De Mirville
sulla pneumatologia).
(29) Testimonianze di Gustave Lemonier e di Clement Bunel.
(30) Testimonianza di Auguste Huet.
(31) Testimonianza di Adolphe Cheval, sindaco di
Cideville.
(32) Testimonianza di Martin Tranquille Leroux, parroco di
Saussay.
(33) Testimonianza di Charles Jules de Mirville.
(34) Deposizione di Marie-Françoise Adolphine Dechamps de
Bois-Hebert,
moglie del signor de Saint-Victor.
(35) Vedi testimonianza di Madame Saint-Victor.
(36) Testimonianza del signor Raoul Robert de
Saint-Victor.
(37) Testimonianza di Athanase Bouffay, vicario di St.
Maclou, di Rouen.
(38) Testimonianza di Nicolas-Boniface Dufour, agente
terriero a Yerville.
(39) Testimonianza di Adalbert-Honoré Gobert, vicario di
St. Maclou, di
Rouen.
(40) La prima, pubblicata a Canandaigua solo tre settimane
dopo gli
avvenimenti del 31 marzo, è un opuscolo di quaranta pagine
intitolato:
Relazione sui misteriosi rumori uditi nella casa del
signor John
Fox in Hydesville, Arcadia, Contea di Wayne, autenticata
dai
certificati e confermata dalle constatazioni dei cittadini
del luogo
e dei dintorni,
Canandaigua, pubblicato da E.E. Lewis, 1848. Contiene
venturi certificati, per lo più dati dagli immediati
vicini, compresi, quelli del
signore e della signora Fox, del loro figlio e della loro
nuora, della signora
Redfield ecc., per lo più ottenuti l’11 e il 12 aprile.
Devo alla famiglia del signor
Fox una copia di questo opuscolo, oggi molto raro; gli ho fatto visita
nell’agosto del 1859 in casa di suo figlio, signor David
Fox, ed ebbi allora
l’opportunità di visitare la piccola abitazione in cui
avvennero i fatti qui
riportati, e di scendere nella cantina, scena di pretesi
oscuri eventi. La casa è
adesso occupata da un agricoltore che, come Faraday, «non
crede negli
spettri».
223
Una relazione più organica, seguita da una storia del
movimento che ebbe
origine a Hydesville, si può trovare in Modern
Spiritualism: its Facts
and Fanaticism (Spiritismo
moderno: suoi fatti e suo fanatismo) di E.W.
Capron, Boston, 1855, pagg. 33-56.
Molti dei testimoni firmatari dei certificati suddetti si
offrirono di
confermare le loro affermazioni, se necessario, con
giuramento; e quasi tutti
dichiararono espressamente la loro convinzione che la
famiglia non ebbe
alcuna parte nella produzione dei rumori, che questi non
si potevano
attribuire a trucco, o inganno, o a qualche causa naturale
conosciuta,
aggiungendo in genere di non credere nel soprannaturale e
di non avere mai
udito o osservato in precedenza niente che non fosse
suscettibile di
spiegazione naturale.
(41) Relazione di rumori misteriosi, pag.
25. Vedi anche pag. 17.
Il signor Marvin Mosey e il signor David Fox affermano,
nei loro rispettivi
certificati, che nella notte di sabato, primo aprile,
mentre la folla stava
facendo domande, fu concordato che quelli che erano in
cantina si riunissero
in un punto, eccetto uno, il signor Carlos Hyde, il quale
doveva muoversi in
vari punti; e che il signor Duesler, stando di sopra,
nella stanza da letto, di
dove, naturalmente, non poteva vedere il signor Hyde né
alcun altro di coloro
che erano in cantina, facesse le domande. Allora, mentre
il signor Hyde
camminava per la cantina, il signor Duesler, nella stanza
da letto, ripeteva la
domanda: «C’è qualcuno sul posto in cui il corpo è stato
sepolto?». Ogni volta,
appena il signor Hyde si fermava al centro della cantina
furono uditi i colpi
così da essere uditi sia da coloro che erano in cantina
sia da quelli che erano
di sopra, nella stanza; ma ogni volta che egli si fermava
altrove, vi era silenzio.
Questo fu ripetuto più e più volte. Relazione di
rumori misteriosi, pagg.
26 e 28.
(42) Il giorno dopo, tuttavia, domenica 2 aprile, avvenne
il contrario. I
rumori diedero risposta durante il giorno e cessarono la
sera, né furono uditi
durante la notte. Relazione di rumori misteriosi,
pag. 9.
(43) Relazione di rumori misteriosi, pag.
15.
(44) Ivi, pag. 29.
(45) Modern spiritualism, pag. 53. David
Fox, durante la visita che gli
feci, confermò la verità di questo.
(Dobbiamo aggiungere, cosa che l’Owen non poteva sapere,
che nel 1904,
essendo franato un muro della cantina, vennero alla luce
uno scheletro
umano e una cassetta da merciaio ambulante. L’assassinato
sarebbe stato
appunto un merciaio ambulante, come viene spiegato più
avanti. Si può
supporre che la salma sia stata in un primo tempo sepolta
al centro della
224
cantina e, in un secondo tempo, riesumata e nascosta
nell’intercapedine
ottenuta fra Ia parete originaria della cantina e un muro
costruito davanti a
essa.) (U.D.)
(46) Relazione di rumori misteriosi, pag.
16.
(47) Relazione di rumori misteriosi, pagg.
37-38.
(48) Relazione di rumori misteriosi, pagg.
35-37. Ho aggiunto pochi
particolari minori riferiti da Lucretia alla signora Fox.
(49) Ivi, pagg. 33-34.
(50) Ivi, pagg. 38-39.
(51) Per i particolari vedi Modern Spiritualism,
pagg. 60-62. Se
ammettiamo la realtà dei picchi spiritici e cerchiamo di
giudicare le intenzioni
ultraterrene, possiamo immaginare che lo scopo fu di
mettere in guardia gli
uomini, con una lezione così notevole, all’inizio del
movimento, contro il dare
implicita fede alle comunicazioni spiritiche.
E’ degno di nota, tuttavia, che vi è una grande differenza
in questi due casi,
perché le comunicazioni di Hydesville vennero da un agente
spontaneo, non
richiesto e inatteso, mentre quelle ottenute a Rochester
furono evocate e
attese.
(52) Come quello avvenuto a Stratford, Connecticut, nella
casa del
reverendo dott. Eliakim Phelps, ancor più bizzarro e
sorprendente, in molti
dei suoi particolari, di tutti quelli qui riferiti. Cominciò
il 10 marzo del 1850 e
continuo, con intervalli, per un anno e nove mesi, e
precisamente fino al 15
dicembre 1851. Un racconto particolareggiato di questo
caso si troverà in
Modern Spiritualism,
pagg. 132-171.
225
3 - Riepilogo
Nel riepilogare le prove presentate, devo solo aggiungere
che i disturbi che
hanno fatto parlare di case infestate sono, a volte, veri
e inesplicati fenomeni.
E’ necessario e probabilmente utile un breve commento. Vi
sono uomini
così radicati nei loro preconcetti su certi punti, che non
c’è prova che possa
smuoverli. Solo il tempo e l’irresistibile corrente della
pubblica opinione,
riusciranno a scuoterli. Devono attendere. Quanto a coloro
le cui orecchie
sono ancora aperte, coloro che possono essere ancora
convinti, ben pochi, mi
arrischio a predirlo, metteranno da parte, impassibili e
increduli, la massa
delle prove qui raccolte. Tuttavia poche considerazioni,
brevemente esposte,
non saranno fuori luogo.
La testimonianza, in molti di questi esempi, è diretta e
di prima mano, data
da testimoni auricolari e oculari, e registrata al
momento.
Deriva da fonti rispettabili. Possiamo forse fare
eccezioni sul carattere e
sulla attendibilità di testimoni come Joseph Glanvil, John
Wesley, Justinus
Kerner? Possiamo fare obiezioni sull’autorità di Mackay,
scettico e derisore?
La narrazione di Hahn non mostra forse al lettore
freschezza e candore?
Quanto alla storia di Ahrensburg, la teste è la figlia
stessa del magistrato
interessato all’indagine. E dove potremo trovare, fra una
moltitudine di
testimonianze, una miglior prova di onesta che nel
perfetto accordo delle
deposizioni di Cideville e Hydesville?
I fenomeni erano tali da poter essere facilmente
osservati. Molti di essi
erano di un carattere così palpabile e notorio che sarebbe
stato veramente
impossibile, per gli osservatori, immaginarli. I colpi
tonanti in casa del signor
Mompesson scossero l’edificio e svegliarono gli abitanti
del vicino villaggio. I
colpi in casa di Madame Hauffe spostavano i travicelli e
richiamavano
l’attenzione di chi passava per la strada. A Epworth, per
quanti rumori si
facessero, «il cupo e sordo suono si udiva chiaramente al
di sopra di essi». A
Hydesville, la casa fu abbandonata dai suoi occupanti e
centinaia di curiosi si
riunirono, notte dopo notte, a testimoniare la realtà di
colpi che echeggiavano
in ogni parte dell’edificio.
Vi era piena opportunità di osservare. Gli eventi non
erano singole
apparenze che si presentassero a un tratto e scomparissero
rapidamente: si
ripetevano giorno per giorno, mese per mese, talora anno
per anno. Poterono
essere testimoniati e ritestimoniati. Né produssero nei
testimoni una
credenza superficiale, svanita dopo calma riflessione. Il
signor Mompesson, il
cancelliere Hahn, Emily Wesley, dopo aver trascorso metà
della vita
226
mantenevano e manifestavano la stessa incrollabile
convinzione del primo
momento.
Le narrazioni non vengono meno né nei minuti particolari
né nella
specificazione delle persone, del tempo e del luogo.
Gli osservatori non furono influenzati dall’attesa né
indotti da narrazioni di
esempi precedenti. In realtà i fenomeni erano stati
frequenti, esibivano una
inequivocabile somiglianza di famiglia, costituivano una
classe. E tuttavia,
nemmeno in un esempio, questo fatto sembra noto agli
osservatori. Erano
convinti che ogni fatto da loro testimoniato fosse senza
precedenti. Né a
Tedworth, né a Epworth, né a Slawensick, né a Baldarroch,
né ad Arensburg,
ne a Cideville, né a Hydesville i soggetti sembrano sapere
che altri avevano
sofferto simili disturbi prima di loro. Per questo la loro
testimonianza è tanto
più attendibile.
Non solo non v’era alcun motivo per una simulazione, ma
tutti miravano a
nascondere quello che avveniva. Il signor Mompesson fu
danneggiato nella
reputazione e negli averi. La signora Wesley proibì
rigorosamente a suo figlio
di comunicare la vicenda ad alcuno. Il giudice Rousselin
trovò il curato di
Cideville profondamente afflitto per la sua penosa
situazione. La salute della
signora Fox (a quanto ho saputo) soffrì seriamente per
l’angoscia. «Che cosa
abbiamo fatto», soleva dire, «per meritarci questo?».
Possiamo facilmente
capire che doveva essere questa la sua impressione. Che
cosa di più
mortificante e penoso che essere esposti al sospetto di
essere un impostore o il
soggetto di una punizione divina per le nostre colpe?
Infine i fenomeni furono spesso attestati da relazioni
ufficiali della giustizia
pubblica. Così nel processo del tambureggiatore, nella
querela del capitano
Molesworth e nel procedimento legale istituito a Cideville
contro il pastore
Thorel. Dove trovare un più alto grado di prove umane?
Se un tal complesso di testimonianze, con tutti gli
elementi di credibilità,
convergenti da numerose fonti distinte e tuttavia
concorrenti per due secoli,
non hanno diritto alla credibilità, quale credito potremo
dare al complesso dei
documenti storici? Che cosa diventano le prove storiche
per qualsiasi
avvenimento del passato? Se respingiamo come favole le
narrazioni qui
presentate, non sosteniamo implicitamente la logica di
coloro che affermano
che Gesù Cristo non è mai vissuto? Dovremo accogliere come
qualche cosa di
più serio di una piacevolezza quell’opuscolo in cui un
dotto e ingegnoso uomo
di Chiesa palesa ragioni plausibili per credere che la
fama, nelle sue più
notorie manifestazioni, può essere solo una menzogna e che
è molto dubbio
che Napoleone Bonaparte sia mai veramente esistito? (1).
227
Note
(1) Historic Doubts relative to Napoleon Bonaparte (Dubbi
storici
relativi a Napoleone Bonaparte), dell’arcivescovo Whately,
1a edizione
Londra, 1855.
228
LIBRO IV - DELLE APPARENZE COMUNEMENTE DETTE
APPARIZIONI
1 - Dell’allucinazione
La prova di una vita futura derivata dall’occasionale
apparire di un
defunto, purché questo apparire si dimostri essere un
fenomeno oggettivo e
purché non ci inganniamo sul suo carattere, è del più alto
grado. Se dunque è
importante ottenere un valido contributo alle prove
dell’immortalità
dell’anima, che cosa merita maggiormente la nostra
attenzione delle
apparizioni?
Ma proporzionale alla sua importanza e al suo carattere
straordinario è la
necessità che questo soggetto venga esaminato con scrupolo
e perfino con
diffidenza, e che la sua realtà sia attestata con cura
spassionata.
Perché la sua discussione implica la teoria
dell’allucinazione: un ramo di
ricerca che ha molto impegnato, come in realtà doveva,
l’attenzione dei
fisiologi moderni.
Che vi sia una pura allucinazione, non possiamo
razionalmente dubitarne;
ma che cosa siano o non siano le allucinazioni può essere
più difficile da
stabilire di quanto gli osservatori superficiali non
credano.
L’allucinazione, secondo la consueta definizione, consiste
in idee e
sensazioni che comportano impressioni irreali. E’ un
esempio di falsa
testimonianza (non sempre accreditata) apparentemente data
dai sensi in uno
stato morboso o anormale dell’organismo umano.
«E’ evidente», dice Calmeil, «che la stessa combinazione
materiale che
avviene nel cervello di un uomo alla vista di un albero,
di un cane, di un
cavallo, può essere riprodotta nel momento in cui questi
oggetti non sono più
in vista, allora quell’uomo persisterà nel credere di
vedere ancora un albero,
un cane o un cavallo» (1).
E’ una curiosa questione, non ancora pienamente risolta
dai medici che
hanno scritto in proposito, se le allucinazioni della
vista causano un’effettiva
immagine sulla retina. Burdach, Müller (2), Baillarger
(3), e altri, che lo
affermano, ci ricordano che i pazienti che si sono rimessi
da una crisi di
allucinazione affermano sempre: «Io ho visto; io ho
udito», parlando così di
reali sensazioni. Dechambre (4) e De Boismont, che lo
negano, adducono a
229
sostegno della loro opinione il fatto che un paziente che
abbia perso una
gamba continua a lamentarsi di sensazioni di freddo o di
dolore alle dita del
piede amputato, e che uomini ciechi per amaurosi, dove vi
è paralisi del nervo
ottico, sono tuttavia soggetti ad allucinazioni visive.
Quest’ultima sembra
essere l’opinione migliore. Come potrebbe, una semplice
concezione mentale
(argomenta Dechambre) produrre un’immagine nell’occhio? E
per quale
ragione? Perché, se la concezione esiste già nel cervello,
che bisogno c’è che
l’occhio la diriga in quella direzione? Se si potesse
provare, in qualsiasi caso,
che un’immagine reale è stata prodotta sulla superficie
della retina, questo
dimostrerebbe anche, mi sembra, che è stata presente una
realtà oggettiva per
produrla. E così pure per le onde sonore ricevute dal
timpano.
Questo appare più chiaramente se consideriamo esempi di
allucinazione di
altri sensi, come l’odorato e il tatto. Il professor
Bennet, della Scozia, in un
opuscolo contro il mesmerismo (5), garantisce due esempi
da lui presentati
per dimostrare il potere dell’immaginazione. Riferisce il
primo come segue:
«Un ecclesiastico mi ha detto, tempo fa, che nella sua
parrocchia si sospettava
che una donna avesse avvelenato il suo ultimo nato. La
bara fu esumata, e il
procuratore fiscale che procedeva insieme ai medici
all’esame della salma,
dichiarò di sentire già l’odore della decomposizione che
lo faceva venir meno;
e in conseguenza si ritirò. Ma, aperta la bara, fu trovata
vuota; e fu in seguito
accertato che nessun bambino era nato e quindi nessun
delitto era stato
commesso». Dobbiamo supporre che il nervo dell’olfatto
fosse stimolato da
un odore che non esisteva? Ma nell’opuscolo vi è un altro
caso. «Un macellaio
fu condotto nel negozio del signor M’Farlane, farmacista,
dal mercato di
fronte, in seguito a un terribile incidente. Quest’uomo,
cercando di agganciare
un pesante pezzo di carne sopra di sé, era scivolato e il
gancio era penetrato
nel suo braccio così da restare lui stesso sospeso.
All’esame risulto pallido,
quasi senza pulsazioni e si comportò come se provasse una
sofferenza atroce.
Non gli si poteva muovere il braccio senza causargli acuti
dolori e, mentre gli
veniva tagliata la manica, egli gridò più volte; e
tuttavia, quando il braccio fu
messo a nudo, risulto perfettamente sano perché il gancio
aveva solo
attraversato la manica della sua giacca». Che cosa aveva
agito, in questo caso,
sui nervi del senso? Non vi era la minima lesione che
potesse farlo, e tuttavia
l’effetto sul cervello fu esattamente lo stesso che se i
nervi fossero stati irritati
e nel modo più serio.
I sensi che per lo più ci ingannano sono la vista e
l’udito. Il dott. Carpenter
cita il caso di una signora, sua stretta parente, che,
«essendo stata spaventata
da bambina da un gatto nero che balzò su di sotto il suo
cuscino proprio nel
momento in cui ella vi adagiava la testa, per parecchi
anni, ogni volta che era
indisposta, vide un gatto nero sul pavimento davanti a
lei; e, per quanto
perfettamente consapevole del carattere spettrale di
questa apparizione, non
230
poteva fare a meno di alzare i piedi come se stesse per
calpestarlo quando se
lo vedeva davanti» (6). Un’altra signora, citata da
Calmeil, continuò per più di
dieci anni a immaginarsi che una moltitudine di uccelli
era continuamente in
volo attorno alla sua testa e non si sedeva mai a tavola
senza mettere da parte
delle briciole di pane per i suoi amici immaginari (7).
Così nelle allucinazioni uditive, dove il senso dell’udito
ci inganna. Gli
scrittori sul soggetto ricordano casi di pazienti che sono
stati perseguitati per
anni o per tutta la vita, da voci sconosciute, suoni di
campane, brani musicali,
fischi, latrati e simili. In molti casi i suoni sembravano
agli allucinati
provenire da tombe, da caverne, di sotto terra, a volte
essi immaginavano che
fosse una voce interna, proveniente dal petto o da altre
parti del corpo (8).
Calmeil riferisce il caso di un vecchio cortigiano, che,
immaginandosi di udire
dei rivali che continuamente lo diffamavano presso il suo
sovrano, era solito
esclamare: «Mentono! Vi ingannano! Mi calunniano, o mio
principe» (9). E
ricorda il caso di un altro monomaniaco che non poteva
sentir pronunciare,
senza un accesso di rabbia, il nome di una città che gli
ricordava penose
memorie. Bambini lattanti, uccelli in volo, campane di
ogni campanile
ripetevano al suo orecchio malato il nome odioso.
Tutti questi sembrano casi di semplice allucinazione;
contro la quale si può
notare che una perfetta sanità di mente non dà alcuna
garanzia.
L’allucinazione non è follia. Talora risulta indipendente
non solo dalla follia
ma anche dalla monomania nei suoi tipi più blandi. Conobbi
una signora che,
più volte, vedeva distintamente un piede salire le scale
davanti a lei. E tuttavia
né il suo medico né lei stessa considerarono questa
apparente meraviglia
altrimenti che come un’impressione ottica dipendente dal
suo stato di salute.
In tutti i casi qui citati, si noterà che una persona è
ingannata solo da
un’illusione dei sensi. E questo mi porta a parlare di
un’importante
distinzione fatta dai migliori scrittori sull’argomento:
la differenza, cioè, tra
allucinazione e illusione. La prima è considerata essere
la falsa percezione di
ciò che non ha alcuna esistenza; la seconda è una
percezione sbagliata di
qualche cosa che realmente esiste. La signora che alzava
il piede per
scavalcare un gatto nero quando, in realtà, non vi era
davanti a lei nulla da
scavalcare, è considerata vittima di una allucinazione.
Nicolai, il libraio di
Berlino, è usualmente citato come uno dei più noti casi; e
la sua memoria sul
soggetto, rivolta alla Società Reale di Berlino, di cui
egli era membro, è
considerata un raro esempio di accurata analisi filosofica
di ciò che lui stesso
considerava una serie di false sensazioni (10). A quanto
scrive, si immaginava
che la sua stanza fosse piena di figure umane che andavano
in giro; tutte
avevano la perfetta apparenza di persone viventi sennonché
erano più pallide;
alcune erano a lui note, altre estranee, e ogni tanto
parlavano tra loro o con
231
lui; così che, a volte, era in dubbio se qualche suo amico
fosse venuto a fargli
visita o no.
Un’illusione, diversamente da un’allucinazione, ha le sue
fondamenta nella
realtà. Noi vediamo o udiamo realmente qualche cosa che ci
sembra essere
qualche cosa d’altro (11). Il miraggio del deserto, la
Fata Morgana del
Mediterraneo, ne sono noti esempi. Molte superstizioni
sono sorte di qui,
come il Gigante del Brocken, gli eserciti aerei che si combattono
fra le nubi e
simili (12).
Vi sono illusioni collettive; perché è evidente che la
stessa falsa apparenza
che inganna i sensi di un uomo, può ingannare anche quelli
di un altro. Così
una storia italiana riferisce che gli abitanti della città
di Firenze furono per
parecchie ore vittime di una notevole illusione. Fu vista
nell’aria, fluttuante
sulla città, la colossale figura di un angelo; e gruppi di
spettatori, raccolti nelle
vie principali, fissavano in adorazione, convinti che
stesse per avvenire un
qualche miracolo. Dopo un certo tempo fu scoperto che
questa portentosa
apparizione era una semplice illusione ottica causata dal
riflesso, su di una
nube, dell’angelo dorato che sormonta il celebre duomo,
vivamente illuminato
dai raggi del sole (13).
Ma non conosco casi bene autenticati di allucinazioni
collettive. Non ho
mai udito che due pazienti abbiano immaginato la presenza
dello stesso cane
o dello stesso gatto nello stesso momento. Nessuno degli
amici di Nicolai vide
le figure che si mostravano a lui. Quando il cattivo genio
di Bruto apparve al
condottiero romano, nessuno oltre che lui vide la
colossale presenza o udì le
sue parole di ammonimento: «Ci rivedremo a Filippi». E
solo gli occhi di
Nerone erano ossessionati dallo spettro della sua madre
assassinata (14).
Questa è una distinzione di grande importanza pratica. Se
due persone
percepiscono nello stesso tempo lo stesso fenomeno,
possiamo concludere che
questo fenomeno è una realtà oggettiva: ha, in un modo o
in un altro, una
reale esistenza.
I risultati di quelli che sono stati comunemente chiamati
esperimenti
elettrobiologici non possono essere propriamente addotti a
confutazione di
questa posizione. Il paziente biologizzato si sottopone
coscientemente e
volontariamente a un’influenza artificiale il cui
temporaneo effetto è di
produrre false sensazioni; così come il mangiatore di
hashish o il masticatore
di oppio giungono alla fantasmagoria di una parziale
insania, o il bevitore
incallito si espone alle terribili illusioni del delirium
tremens. Ma tutti costoro
sanno, quando la crisi è passata, che non vi era nulla di
reale nelle
immaginazioni che li avevano travolti.
232
Se potessimo essere biologizzati senza un agente
apparente, in uno stato di
mente e di corpo simile a quello calmo e normale, in modo
per noi
inconsapevole nel momento e senza alcuna conseguente
consapevolezza della
nostra condizione di trance, allora la
Ragione stessa diverrebbe
inattendibile, i nostri sensi sarebbero guide cieche e gli
uomini
brancolerebbero nelle nebbie del pirronismo. Nulla,
nell’economia
dell’universo, per quanto lo abbiamo esplorato, ci
permette di nutrire per un
attimo l’idea che il Creatore abbia permesso, o voglia mai
permettere, una tale
fonte di illusione.
Siamo dunque giustificati se affermiamo, come regola
generale, che quello
che i sensi di due o più persone percepiscono nello stesso
momento non è
allucinazione; in altre parole, che c’e qualche fondamento
per poterlo
affermare.
Ma non ne segue che sia vero il contrario. Non è logico
concludere che, in
ogni caso in cui qualche strana apparenza può essere
percepita da un solo
osservatore fra molti, si tratti di allucinazione. In
alcuni casi in cui certe
persone percepiscono fenomeni che sfuggono ai sensi degli
altri, è certo che i
fenomeni sono, o possono essere, reali. Un esempio
quotidiano di questo è il
fatto che persone dotate di forte capacità di vedere da
lontano distinguono
chiaramente oggetti che rimangono invisibili a persone di
vista meno acuta.
Così pure Reichenbach riferisce che i suoi sensitivi
vedevano, ai poli del
magnete, luci odiche, e sentivano nel quasi contatto con
grandi cristalli,
sensazioni odiche del tutto impercepibili per lo stesso
Reichenbach e per altri
insensibili al pari di lui alle impressioni odiche (15).
E’ vero che, prima che tali
esperimenti possano dare una convinzione razionale, devono
essere ripetuti
più e più volte da vari osservatori e con numerosi
soggetti, senza che ogni
soggetto conosca la testimonianza del precedente, e il
risultato di questi vari
esperimenti deve essere accuratamente confrontato. Ma, una
volta prese
scrupolosamente queste precauzioni, nella natura degli
esperimenti stessi non
vi è nulla che possa farli mettere da parte come
inattendibili.
Non vi è dunque nulla di assurdo o illogico nella supposizione
che alcune
persone possano avere vere percezioni di ciò di cui noi
rimaniamo inconsci.
Possiamo non riuscire a capire come esse le
abbiano; ma la nostra ignoranza
del modo di azione non deve negare la realtà degli
effetti. Conobbi un inglese
che, se veniva chiuso un gatto nella stanza in cui egli
era, scopriva
invariabilmente e infallibilmente la sua presenza. Come la
percepisse, se non
con un senso generale di disagio, non sapeva spiegarlo, ma
il fatto era certo.
Se fossimo tutti nati sordomuti non potremmo immaginare
come un essere
umano possa riuscire a percepire che una persona, da lui
non vista, sia nella
stanza accanto, o come possa rendersi conto che un
orologio di chiesa, a un
233
miglio di distanza e totalmente fuori vista sia mezz’ora
avanti a quello che ha
in tasca. Se a un sordomuto congenito diciamo, come
spiegazione, che
conosciamo queste cose perché udiamo il
suono della voce della persona o
dei rintocchi dell’orologio, queste parole sarebbero per
lui prive di significato
e non gli spiegherebbero nulla. Egli crede nell’esistenza
di una percezione che
coloro che gli sono intorno chiamano udito, perché tutti
concordano nel dargli
questa informazione. Egli crede che, in particolari
circostanze, gli uomini
divengono consapevoli di ciò che è distante e non visto;
ma, se la sua
infermità continua fino alla morte, egli passerà in un
altro mondo senza una
vera convinzione della realtà dell’udito, salvo
quell’unica credenza sostenuta
solo dalle affermazioni dei testimoni.
Che cosa si oppone dunque al supporre che, come vi sono
casi eccezionali
in cui alcuni dei nostri fratelli uomini ci sono inferiori
quanto alle capacità di
percezione, così possono esservi anche casi eccezionali in
cui alcuni di loro ci
siano superiori? E perché non dovremmo, al pari del
sordomuto, essere
destinati ad attendere l’illuminazione della morte prima
di riconoscere come
vere, indipendentemente dalla fede nelle parole altrui,
queste superiori
percezioni?
Fra il caso del sordomuto e i nostri vi è, è vero, questa
differenza: lui fa
parte della minoranza, noi della maggioranza. Le sue
testimonianze sono
dunque molto più numerose delle nostre. Ma rimane il
problema: le nostre
testimonianze, per quanto siano solo occasionali, sono
sufficienti per numero
e credibilità?
Questo problema, per quanto riguarda quelle che sono
comunemente
chiamate apparizioni, è l’oggetto che discuteremo nel
prossimo capitolo.
Tuttavia, prima di farlo, possono essere opportune alcune
considerazioni
relative alle obiezioni più comuni.
E’ generalmente dato per sicuro che, se una percezione può
essere
eliminata da un farmaco, essa sia irreale. Questo non è
esatto. Una percezione
attuale, per quanto ne sappiamo, può dipendere da un
peculiare stato del
sistema nervoso ed essere possibile solo in tale stato,
che può venire cambiato
o modificato dalle droghe. I nostri sensi sono spesso così
influenzati per
qualche tempo: a esempio il senso della vista dalla
belladonna. Ho trovato in
Inghilterra molte signore, tutte delle più rispettabili
classi sociali, che hanno
avuto, in maggiore o minore misura, la percezione di
apparizioni, sebbene
non abbiamo parlato di questa facoltà, o di questa
illusione (il lettore scelga il
termine che crede) oltre la cerchia delle loro più strette
amicizie. Una di
queste signore, nel cui caso la percezione risaliva alla
sua prima infanzia, mi
disse che essa dipendeva da un’indisposizione o anche da
un freddo intenso.
234
In questo caso, ogni medicina che eliminasse il disagio
reintegrava la
percezione.
Alcuni scrittori hanno cercato di mostrare che
l’allucinazione è epidemica
come la peste o il vaiolo. Questo, se anche è vero, lo è
in una misura così
trascurabile e in circostanze così peculiari che può
essere considerato una rara
eccezione alla regola generale (16). De Gasparin cerca di
provare il contrario
(17) ricordandoci che in Egitto, al tempo di Giustiniano,
si diceva che tutti
avessero visto uomini neri senza testa che navigavano su
navi di ottone; che,
durante un’epidemia che spopolò Costantinopoli, gli
abitanti videro dei
demoni nelle strade passar di casa in casa portando la
morte lungo il loro
passaggio; che Tucidide parla di una generale invasione di
spettri che
accompagnò la grande peste di Atene; che Plinio riferisce
come, durante la
guerra dei Romani contro i Cimbri, si udirono strepiti di
armi e suoni di
trombe che sembravano provenire dal cielo; che, secondo
Pausania, lungo
tempo dopo la battaglia di Maratona, furono uditi ogni
notte, sul luogo della
pugna, nitriti di cavalli e strepiti di armi; che durante
la battaglia di Platea il
cielo risuonò di urla paurose attribuite dagli Ateniesi al
dio Pan; e così via.
Alcune di queste apparenze furono evidentemente illusioni,
non
allucinazioni; e, quanto al resto, de Gasparin e uno
scrittore troppo sensibile
per non ammettere che «molti di questi aneddoti sono falsi
e molti sono
esagerati» (18). Quanto a me non sarebbe meno facile
convincermi, sulla base
di una remota leggenda, che queste meravigliose visioni e
suoni ebbero una
realtà, che neanche un gran numero di uomini concorse
nella convinzione di
vederli e udirli. Gli stessi particolari che accompagnano
molte relazioni
negano l’ipotesi che dovrebbero provare. Nella relazione
di Pausania, per
esempio, relativa ai rumori notturni sul campo di
battaglia di Maratona,
leggiamo che coloro che eran richiamati sul luogo dalla
curiosità non li
udivano: solo per il viaggiatore casuale che attraversava
il luogo infestato
senza premeditazione risuonavano i nitriti dei cavalli e
il fragore delle armi.
Sembra che l’immaginazione e l’aspettativa non avessero
nulla a che fare con
il fenomeno. Possiamo credere che sia stata una
perversione del senso
dell’udito? Se lo facciamo ammettiamo che l’allucinazione
possa essere
endemica al pari che epidemica.
Con questo non voglio negare che vi siano stati tempi e
stagioni durante i
quali i casi di allucinazione sono stati più frequenti del
solito. Che quello che
eccita con violenza la mente non reagisca spesso
morbosamente sui sensi. Ma
questo non dimostra la tesi che combatte. La reazione che
seguì al fallimento
della prima rivoluzione francese, insieme agli orrori del
Terrore, agito e
depresse in tal modo le menti di molti che in Francia i
suicidi divennero più
frequenti che in ogni altro tempo. Tuttavia sarebbe una
singolare dottrina
affermare che il suicidio sia di carattere contagioso o
epidemico (19).
235
De Boismont ci ricorda che considerevoli riunioni di gente
(des réunions
considérables) sono
state vittime delle stesse illusioni. «Un grido», dice, «è
sufficiente ad atterrire una moltitudine. Un individuo che
crede di vedere
qualche cosa di soprannaturale spesso induce altri, non
più illuminati di lui, a
condividere la sua convinzione» (20). Per le illusioni,
visive e uditive, questo
è certamente vero, specialmente quando esse si presentano
in momenti di
eccitazione - come durante una battaglia o una pestilenza
- o quando
avvengono nelle ombre del crepuscolo o della notte. Ma che
il contagio
dell’esempio o le credenze di un individuo sotto l’attuale
influenza di
un’allucinazione, siano sufficienti a produrre negli altri
una modificazione
della retina, o del nervo ottico o uditivo, o, in breve,
una qualsiasi anormale
condizione dei sensi, è una supposizione che, entro il
raggio delle mie letture,
non è sostenuta da alcuna prova valida.
L’ipotesi dell’allucinazione, dunque, è, in generale,
insostenibile in casi in
cui due o più osservatori indipendenti percepiscono la
stessa apparenza o
apparenze simili. Ma, poiché sappiamo che le allucinazioni
avvengono, questa
ipotesi, nei casi in cui vi è un solo osservatore, può
essere considerata come la
più naturale e tale da potere essere rifiutata solo in
circostanze che non
possono essere spiegate se non supponendo un’apparenza
reale.
Tenendo conto di queste considerazioni, cerchiamo adesso
di separare, su
questo soggetto, la fantasia dalla realtà. Così facendo,
potremo trovare
difficile seguire il giusto mezzo fra la troppo pronta
ammissione e il troppo
ostinato scetticismo. Se il lettore è portato a sospettare
in me una facile
credulità, si guardi, da parte sua, da un arrogante
pregiudizio. «Il disprezzo
prima dell’inchiesta», dice Paley, «è fatale». Evitando
egualmente il
pregiudizio e la superstizione, adottando il metodo
induttivo, cerchiamo di
determinare se, pur riconoscendo che una vasta porzione
delle mille leggende
di fantasmi e apparizioni che hanno avuto credito in ogni
età fu dovuta ad
allucinazione, non vi sia un’altra porzione - le relazioni
di fenomeni genuini -
osservata da testimoni attendibili e attestata da
sufficienti prove.
Note
(1) De la folie (Della follia), vol. I, pag.
,113.
(2) Non ho potuto vedere gli originali tedeschi; ma sia
Burdach sia Müller
sono stati tradotti in francese da Jourdain; vedi il Traité
de physiologie di
Burdach, Parigi 1830, vol. V, pag. 206, e il Manuel
de phisiologie di
Müller, Parigi 1845 vol. II, pag. 686.
236
(3) Baillarger: Des Hallucinations ecc.,
pubblicato in Mémoires de
l’Academie Royale de Médicine, vol. XII, pag. 369.
(4) Dechambre: Analyse de l’ouvrage du docteur
Szafkowski sur
les hallucinations,
pubblicato nella Gazette Médicale del 1850, pag.
274.
Devo a De Boismont molte di queste citazioni. Vedi il suo
libro Des
hallucinations,
Parigi, 1852 cap. XVI.
(5) The Mesmeric Mania of 1851, Edimburgo,
1851.
(6) Principles of Human Physiology, quinta
edizione Londra 1855,
pag. 564.
(7) Calmeil, vol. I, pag. 11. Non cito altri casi
apocrifi, come quando Pie,
nella sua vita del celebre benedettino Savonarola, ci dice
che lo Spirito Santo,
in molte occasioni, si posò sulla spalla del pio monaco,
il quale si sprofondava
nell’ammirazione del suo piumaggio dorato, e che quando
l’uccello divino
introduceva il becco nel suo orecchio, egli udiva un
mormorio indescrivibile.
J.F. Pie, in Vita Savonarolae, pag. 124.
(8) Calmeil, opera citata, vol. I, pag. 8.
(9) Calmeil, opera citata, vol. I, pag. 7.
(10) Nicolai lesse la sua memoria sugli spettri o fantasmi
che lo
disturbavano, con osservazioni psicologiche in proposito,
alla Società Reale di
Berlino, il 28 febbraio 1799. La traduzione di questo
documento è data nel
Nicholson’s Journal,
vol. VI, pag. 161.
(11) Nella mania vera e propria le allucinazioni sono
molto più frequenti
delle illusioni. De Boismont ricorda che, su cento
ottantun casi di mania
studiati da Aubanel e Thore, le illusioni si manifestarono
in sedici casi,
mentre le allucinazioni sopravvennero in cinquantaquattro.
L’elenco esatto fu
il seguente: Illusioni della vista, nove;
dell’udito, sette; allucinazioni
dell’udito, ventitré; della vista, ventuna; del gusto,
cinque; del tatto, due;
dell’odorato, una; interne, due. Des hallucinations,
pag. 168.
(12) Nel Philosophical Magazine (vol. I,
pag. 232) si troverà la
relazione delle osservazioni che spiegarono finalmente al
mondo scientifico la
natura della gigantesca apparizione che dalla sommità del
Brocken (una delle
montagne dello Hartz), eccitò per molti anni la
meravigliata credulità degli
abitanti e lo stupore del viaggiatore di passaggio. Un
certo signor Haue dedicò
qualche tempo all’argomento. Un giorno, mentre stava
contemplando il
gigante, un violento colpo di vento per poco non gli
strappo via il cappello.
Porto immediatamente la mano su di esso e il gigante fece
lo stesso. Il signor
Haue gli fece un inchino e il saluto fu ricambiato. Egli
allora chiamò il
237
proprietario dell’osteria vicina e gli comunicò la sua
scoperta. Vennero
rinnovati gli esperimenti con lo stesso effetto. Fu
evidente che l’apparizione
era solo un effetto ottico prodotto da un corpo fortemente
illuminato posto fra
le nubi chiare, riflesso a considerevole distanza e
ingrandito fino ad apparire
di un’altezza di cinque o seicento piedi.
Nel Westmoreland e in altre regioni montane i paesani
spesso immaginano
di vedere nelle nubi truppe di cavalleria ed eserciti in
marcia, mentre, in
realtà, è solo il riflesso di cavalli che pascolano sul
colle e di pacifici
viaggiatori o lavoratori che passano per quei luoghi.
(13) Qui l’Owen sembra fare una confusione: sul duomo di
Firenze non vi
sono angeli dorati. Forse l’episodio avvenne a Roma nella
zona di Castel
Sant’Angelo. (U.D.).
(14) Non vi è prova che le apparizioni che si
manifestarono a Nicolai, a
Bruto e a Nerone fossero altro che allucinazioni;
tuttavia, se risultasse che le
apparizioni sia di viventi sia di defunti, sono talora di
carattere oggettivo,
presumeremmo troppo nel considerare come certo che a
nessuno di questi
uomini apparve nulla.
(15) Reichenbach (nel suo Sensitive Mensh,
vol. I, pag. 1) stima che il
numero dei sensitivi, compresi quelli che hanno una
qualsiasi percezione
delle sensazioni odiche, sia di circa la metà del genere
umano. Casi di alta
sensitività, egli dice, si trovano più comunemente nei
malati; tuttavia, a volte,
nella piena salute. In entrambi li considera relativamente
rari.
(16) Trovo nella elaborata opera di De Boismont sulle
allucinazioni un solo
esempio particolareggiato di ciò che può essere
considerato una allucinazione
collettiva, presentato (pag. 72) sull’autorità di Bovet e
tratto dal suo
Pandemonium, or The Devil’s Cloyster (Pandemonio, o Il chiostro del
diavolo), pubblicato nel 1684 (pag. 202): una prova,
certo, non molto
conclusiva. Inoltre si tratta di due uomini che avrebbero
visto, nello stesso
tempo, la stessa apparizione di certe signore riccamente
vestite. Ma uno di
questi uomini era in quel momento in uno stato di
stordimento,
apparentemente provocato da un incubo, e non parlò della
visione finché
questa non gli fu suggerita dall’altro. Noi sappiamo,
tuttavia, che le
suggestioni fatte su di un dormiente possono talora
influenzare i suoi sogni
(vedi Abercrombie, Intellectual Powers, 15a
edizione Londra 1857, pagg.
202-03). Un caso citato e garantito dal dott. Wigan (Duality
of the Mind,
Londra 1844, pagg. 166 e segg.) non dimostra che
l’allucinazione può avere
carattere collettivo, sebbene sia spesso addotto per
provarlo.
Scrittori che credono in una seconda vita (come Martin
nella sua
Description of the Western Islands of Scotland) affermano che, se due
238
uomini dotati di questa facoltà si trovano insieme, e se
uno di essi,
percependo una visione, tocca l’altro di proposito, anche
questi la percepirà.
Ma non abbiamo miglior prova di questo se non traendola
dalla realtà della
facoltà in questione. E se la seconda vista è un fenomeno
reale, allora questi
veggenti non sono ingannati da una allucinazione.
(17) Des tables tournantes, du surnaturel en général
et des
esprits (Delle
tavole giranti, del soprannaturale in genere e degli spiriti), del
conte Agénor de Gasparin, Parigi 1855, vol. I, pagg. 537 e
segg.
(18) De Gasparin, opera citata, vol. I, pag. 538.
(19) In realtà è oggi riconosciuto che il suicidio può
essere accompagnato
da forme di contagio psichico. Non bisogna confondere
l’allucinazione
collettiva, che la scienza attuale tende a negare, con il
contagio psichico, che si
fonda sulla suggestione. (U.D.)
(20) Des hallucinations, pag. 128.
239
2 - Apparizioni di viventi
Quando, nel mio studio delle apparizioni, incontrai per la
prima volta un
preteso esempio di apparizione di una persona vivente in
un luogo distante da
quello in cui quella persona si trovava realmente, vi
diedi poco peso. E questo
soprattutto perché l’esempio stesso non era
sufficientemente attestato. E’
riferito e creduto da Jung Stilling come avvenuto fra il
1750 e il 1760 e si
sarebbe svolto come segue.
In quel tempo viveva, presso Phildelphia, in una casa
solitaria e
conducendo vita molto ritirata, un uomo di buono e pio
carattere, ma
sospettato di avere occulti poteri di svelare fatti
nascosti. Avvenne che, poiché
un certo capitano di mare era stato assente molto a lungo
senza che
arrivassero lettere da lui, sua moglie, che viveva non
lungi da quell’uomo e
che era divenuta preoccupata e ansiosa, fosse consigliata
di consultarlo. Udita
la storia, egli le disse di attendere un momento, ché le
avrebbe dato una
risposta. Poi passò in un’altra stanza chiudendo la porta;
e vi rimase così a
lungo che, spinta dalla curiosità, lei guardò attraverso
una fessura della porta
per rendersi conto, di quello che egli stava facendo.
Vedendolo sdraiato su di
un sofà, si affrettò a tornare al suo posto. Subito dopo
egli uscì e disse alla
donna che suo marito era in quel momento a Londra, in un
caffè che nominò,
e che sarebbe tornato presto. Disse anche le ragioni che
avevano ritardato il
suo ritorno e quelle per cui egli non le aveva scritto;
così che lei tornò a casa
abbastanza rassicurata. Quando suo marito tornò,
trovarono, confrontando le
loro annotazioni, che tutto ciò che le era stato detto era
esattamente vero. Ma
rimane ancora la più strana parte della storia. Quando la
donna porto dal
veggente il marito, questi sussulto per lo stupore e poi
confesso a sua moglie
che in un certo giorno (lo stesso in cui ella aveva
consultato la persona in
questione) egli si trovava in un caffè di Londra (lo
stesso che lei aveva sentito
nominare) e quell’uomo stesso gli si era avvicinato e gli
aveva detto che sua
moglie era in grande ansietà per lui; allora il capitano
aveva risposto
spiegando allo straniero perché il suo ritorno era stato
ritardato e perché non
aveva scritto, dopo di che l’uomo se ne andò ed egli lo
perse di vista tra la folla
(1).
La storia, tuttavia, era giunta a Stilling passando per
varie mani, ed era
autenticata molto vagamente. Fu portata dall’America da un
tedesco che era
emigrato negli Stati Uniti e che aveva gestito per alcuni
anni alcuni mulini del
Delaware. Al suo ritorno in Germania la riferì a un amico
di Stilling, dal quale
lo stesso Stilling ne ebbe notizia. Ma non furono dati né
nomi né date esatte; e
240
non si sa nemmeno se l’emigrante tedesco ebbe il racconto
direttamente dal
capitano o da sua moglie.
E’ evidente che un tale racconto, venendoci senza migliori
garanzie
(sebbene possiamo ammettere la completa buonafede di
Stilling) non può
essere ragionevolmente accettato come valido.
Tuttavia dobbiamo notare che questa storia, nei suoi
particolari, non è di
molto più notevole di quella del sogno di Joseph Wilkins o
del caso di Mary
Goffe, entrambi già presentati nel capitolo sui sogni. Se
è vera, rientra
evidentemente nella stessa classe, con questa variante:
che i fenomeni, nei
due casi riferiti, avvennero spontaneamente, mentre,
secondo la narrazione di
Stilling, furono prodotti dalla volontà del soggetto e
potevano essere ripetuti a
piacere.
Posso invece garantire come perfettamente autentico il
seguente racconto.
APPARIZIONE IN IRLANDA
Nell’estate del 1802, viveva nell’Irlanda meridionale un
ecclesiastico della
Chiesa di Stato, il reverendo ..., poi arcidiacono di ...,
oggi defunto. La sua
prima moglie, donna di grande bellezza, sorella del
Governatore di ..., era
allora vivente. Aveva partorito da poco e stentava a riprendersi.
La loro
residenza - una vecchia casa situata in un vasto giardino
- confinava con un
lato del parco del vescovato di ... Ne era separata da un
muro nel quale si
apriva una porta privata.
Il reverendo ... era stato invitato a desinare dal vescovo;
e, poiché sua
moglie, sebbene a letto, non sembrava star peggio del
solito, accetto l’invito.
Tornando dal palazzo del vescovo verso le dieci, entro
nella propria residenza
dalla porta privata suddetta. Vi era un bel chiaro di
luna. Nell’uscire da una
cinta di cespugli sul viale del giardino, gli parve di
vedere, in un altro viale
parallelo a quello in cui si trovava, e a non più di dieci
o dodici piedi da lui, la
figura di sua moglie nel suo abito consueto. Stupito,
attraverso il terreno e le
si mise di fronte. Era sua moglie. O, per lo
meno, egli distinse i suoi
lineamenti nel chiaro di luna, nettamente come in ogni
altra occasione. «Che
fai qui?» chiese. Ella non rispose, ma si ritrasse
voltando a destra, verso un
orticello su uno dei lati della casa. Vi erano là alcuni
filari di piselli stecconati
e cresciuti così da nascondere chiunque vi passasse
accanto. La figura girò
attorno a una estremità di essi. Il reverendo ... la seguì
rapido e sempre più
stupito e preoccupato, ma, quando raggiunse lo spazio
aperto oltre i piselli,
non vide più alcuno. Poiché non vi era alcun luogo in cui,
in così breve tempo,
avrebbe potuto nascondersi, il marito concluse che quella
che aveva visto era
241
un’apparizione e non sua moglie. Tornò alla porta
principale e, invece di
valersi come al solito della sua chiave, suonò il
campanello. Mentre era sui
gradini, prima che venissero ad aprire, guardandosi
intorno vide la stessa
figura all’angolo della casa. Quando il domestico aprì la
porta, il reverendo gli
chiese come stesse sua moglie. «Purtroppo, signore»,
rispose l’uomo, «non
sta molto bene. Ho mandato a chiamare il dott. Osborne».
Il reverendo ...
corse su per le scale e trovò a letto sua moglie, molto
peggiorata e assistita
dall’infermiera, che non l’aveva lasciata per tutta la
sera. Da quel momento
ella peggiorò gradatamente e dodici ore dopo era spirata.
Quanto sopra mi fu comunicato dal signor ..., ora in
Canada, figlio
dell’arcidiacono (2). Egli aveva così spesso sentito
raccontare l’episodio da suo
padre che ogni particolare gli era rimasto impresso nella
memoria. Gli chiesi
se suo padre gli avesse mai detto che, durante la sua
permanenza al vescovato,
sua moglie si fosse addormentata, o fosse caduta in stato
di svenimento o di
trance, ma su
questo egli non seppe darmi alcuna informazione. E’ un
peccato che non sia stato osservato e annotato. La moglie
sapeva dove era suo
marito e per quale strada sarebbe tornato. Possiamo
immaginare, ma non
dimostrare, che sia stato un caso simile a quello di Mary
Goffe: l’apparenza
della moglie, come quella della madre, si mostrarono là
dove erano diretti i
loro pensieri e i loro affetti.
Devo il seguente racconto alla gentilezza di un’amica, la
signora D., oggi a
Washington, figlia di un ecclesiastico di nota reputazione
recentemente
defunto.
DUE APPARIZIONI DI
PERSONE VIVENTI, NELLA STESSA CASA,
LO STESSO
GIORNO
«Dimorai per parecchi anni in una grande e vecchia casa,
di due piani, ben
situata, tra alberi di frutta e cespugli, sulle rive
dell’Ohio, nella contea di
Switzerland, Indiana. Due verande, una sotto e una sopra,
a cui conducevano
scale esterne, correvano per tutta la lunghezza della casa
dalla parte del
fiume. Queste, e in particolare quella superiore con il
suo bel panorama,
erano il ritrovo comune della famiglia.
«Il 15 settembre 1845, la mia sorella più giovane, J., si
sposò e venne con
suo marito, il signor H. M., a passare una parte della sua
luna di miele nella
nostra bella dimora.
«Il 18 dello stesso mese, andammo, dietro invito, a
passare il giorno in una
casa di amici distante circa un miglio. Verso il
crepuscolo, poiché i miei due
piccoli divenivano inquieti, decidemmo di tornare a casa.
Dopo avere atteso
242
un po’ il marito di mia sorella, che era andato a fare una
visita in un villaggio
vicino, vedendo che non tornava ci mettemmo in cammino
senza di lui.
Arrivati a casa, mia sorella, che occupava una stanza al
piano superiore, mi
disse che andava a togliersi l’abito da passeggio e mi
precedette di sopra,
mentre io rimanevo giù per mettere a letto i miei piccoli
pieni di sonno.
Ricordo che la luna, in quel momento, era in tutto il suo
splendore.
«Improvvisamente, dopo uno o due minuti, mia sorella si
precipitò nella
stanza torcendosi le mani per la disperazione e piangendo
amaramente. “Oh,
sorella, sorella!” esclamò. “Lo perderò, lo perderò! Hugh
sta per morire”.
Sbigottita, chiesi che cosa fosse avvenuto; e allora, tra
i singhiozzi, mi riferì
come segue la causa della sua agitazione:
«Appena salita nella loro camera, aveva visto suo marito
seduto
all’estremità della veranda superiore, col cappello in
testa, un sigaro in bocca
e i piedi sulla ringhiera, che sembrava stare godendosi la
fresca brezza del
fiume. Supponendo che fosse tornato prima di lei, gli si
avvicinò dicendo:
“Quando sei arrivato qui, Hugh? Perché non sei tornato per
venire a casa con
noi?”. Poiché non dava risposta, gli si era avvicinata e
stava per mettergli le
braccia al collo quando, con suo terrore, la figura svanì
e la sedia rimase
vuota. Aveva avuto solo la forza (tale era stato il colpo
subito) di scendere le
scale e riferirmi ciò che aveva suscitato in lei un
atterrito presagio di morte.
«Solo due ore più tardi, quando mio cognato tornò
realmente, ella poté
ritrovare la sua tranquillità. Allora ci rianimammo e la
prendemmo in giro, e
dopo un po’ di tempo l’incidente ci era uscito di mente.
«Prima di questo, tuttavia - e precisamente circa un’ora
prima del ritorno
di Hugh - mentre eravamo in salotto, al piano di sotto,
vidi un ragazzo di circa
sedici anni, guardar dentro dalla porta. Era un giovanotto
che mio marito
faceva lavorare nel giardino e intorno alla casa, e che,
nelle ore libere, si
divertiva moltissimo a far giocare il mio figlioletto
Franck, che gli era molto
caro. Era vestito, come al solito, di un abito turchino,
con un vecchio cappello
di foglie di palma senza fascia, e venne avanti col suo
solito modo timido
facendo uno o due passi; poi si fermò guardandosi intorno
come se cercasse
qualche cosa. Supponendo che stesse cercando i bambini,
gli dissi: “Silas,
Franck è a letto e dorme da un pezzo”. Non rispose e,
voltatosi col tranquillo
sorriso che gli era solito, lasciò la stanza; dalla
finestra, vidi che si tratteneva
presso la porta principale, camminando su e giù un paio di
volte davanti a
essa. Se, in seguito, mi fosse stato chiesto di deporre su
giuramento davanti a
un tribunale di aver visto il ragazzo entrare e poi
lasciare la stanza e anche di
averlo visto passare e ripassare davanti alla finestra del
salotto, avrei giurato
tutto questo senza la minima esitazione. Ma, a quanto
sembra, avrei giurato il
falso.
243
«Perché, poco dopo, mio marito, entrando, disse: “Mi
domando dov’e
Silas”.
«“Dev’essere da queste parti”, gli risposi. “Era qui pochi
minuti fa e gli ho
parlato”. Allora il signor D. uscì e lo chiamò, ma nessuno
rispose. Lo chiamò
per tutta la casa e poi nella sua stanza, sempre invano.
Silas non si trovò, non
si fece vedere per quella notte e non era in casa nemmeno
il mattino seguente
quando ci alzammo.
«All’ora della colazione comparve. “Dove sei stato,
Silas?” chiese il signor
D.
«Il ragazzo rispose di essere andato sull’isola a pescare.
«“Ma”, dissi, “ieri sera eri qui”.
«“Oh no,” rispose col semplice accento della verità. “Ieri
il signor D. mi ha
dato il permesso di andare a pescare; e io ho capito che
non c’era bisogno che
tornassi fino al mattino: così sono rimasto fuori tutta la
notte. Da ieri mattina
non sono stato da queste parti.”
«Non potrei dubitare della parola del ragazzo. Non aveva
alcun motivo per
ingannarci. L’isola di cui parlava era distante due miglia
dalla nostra casa; e,
in queste circostanze, venni alla conclusione che, come
nel caso di mia sorella,
suo marito era apparso in un luogo in cui non era, così
pure nel caso del
ragazzo avevo visto solo la sua apparenza e non la persona
reale. E’ veramente
strano che entrambi gli incidenti siano avvenuti nella
stessa casa e nello
stesso giorno.
«Devo aggiungere che l’impressione di mia sorella, che
l’apparizione di suo
marito fosse presagio di morte non risultò vera. Egli le
sopravvisse; e nella
famiglia non accadde alcuna disgrazia che potesse essere
collegata con
quell’apparizione.
«Neppure Silas morì; né, per quanto ne sappia, gli accadde
qualche cosa di
inconsueto» (3).
Questo caso è, per più aspetti, molto valido,
Evidentemente non vi fu alcun
legame tra l’apparizione di una sorella e quella
dell’altra. Né vi fu alcuno
stimolo prima delle apparizioni. In ogni caso
l’esperienza, per quanto si possa
giudicare dai sensi, fu netta come se fosse stata presente
la persona reale. La
narratrice dice esplicitamente che avrebbe giurato senza
esitazione davanti a
un tribunale la presenza del giovane Mas. La sorella si
rivolse all’apparenza
del marito, per quanto inattesa, senza alcuna esitazione.
La teoria
dell’allucinazione potrebbe spiegare
entrambi i casi; ma, comunque, il
fenomeno è tale da sfidare l’attenzione di un giudice come
quella di uno
psicologo. Se apparenze che, come queste, imitano così
esattamente la realtà,
244
possono talora ingannare i sensi umani, la loro eventuale
presenza non
dovrebbe essere ignorata nello stabilire, le leggi delle
prove. Certo si può, in
ogni caso, presumere molto contro di esse. Tuttavia si
sono dati casi in cui un
alibi esaurientemente provato e tuttavia contrastante con
non meno
impeccabili prove, ha decisamente sconcertato i tribunali.
Un esempio citato e
garantito dalla signora Crowe, senza tuttavia citare la
sua fonte, e che io stesso
non ho verificato, è in sostanza il seguente:
Negli ultimi anni del secolo scorso, nella città di
Glasgow, in Scozia, una
cameriera, che si sapeva avere avuto illeciti rapporti con
l’apprendista di un
chirurgo, scomparve improvvisamente. Poiché non vi erano
circostanze che
portassero a sospettare un delitto, non venne condotta su
di lei alcuna
particolare indagine,
In quei tempi, nelle città scozzesi, non era permesso ad
alcuno di mostrarsi
per strada o in pubblico durante le ore del servizio
divino; e questa
proibizione era rafforzata dalla presenza di ispettori
autorizzati a prendere i
nomi dei trasgressori.
Due di questi ispettori, facendo il loro giro, giunsero a
un muro che
costituiva il confine più basso del «Verde», come veniva
chiamato il
principale parco pubblico della città. Lì, sdraiato
sull’erba, videro un giovane
in cui riconobbero l’assistente del chirurgo. Gli chiesero
perché non fosse in
chiesa e si misero a registrare il suo nome; ma, invece di
tentare una scusa,
egli si limitò ad alzarsi dicendo: «Sono un miserabile:
cercate nell’acqua!».
Poi scavalcò uno steccato ed entrò in un sentiero che
portava alla via
Rutherglen. Gli ispettori, stupiti, andarono al fiume,
dove trovarono il corpo
di una giovane, che fecero trasportare in città. Mentre lo
accompagnavano
nelle vie cittadine, passarono davanti a una delle
principali chiese di dove, in
quel momento, usciva la congregazione, e nella folla
scorsero l’apprendista.
Ma questo non li sorprese, pensando che aveva avuto il
tempo di fare un giro
ed entrare in chiesa verso la fine della funzione.
Il corpo risultò essere quello della ragazza scomparsa. Fu
trovata incinta,
ed era stata evidentemente uccisa con uno strumento
chirurgico, che era
rimasto impigliato nella sua veste. L’apprendista, che era
stato l’ultima
persona vista in compagnia di lei prima della sua
scomparsa, fu arrestato e, in
seguito alla testimonianza degli ispettori, sarebbe stato
riconosciuto
colpevole, se durante il giudizio, non avesse presentato
un alibi
incontrovertibile, dimostrando, oltre ogni possibile
dubbio, di essere stato in
chiesa durante l’intero servizio. Venne quindi assolto.
L’opinione pubblica del
tempo ne fu profondamente commossa, ma tutti gli sforzi
fatti per ottenere
una spiegazione naturale fallirono (4).
245
Se questa storia può essere creduta, è conclusiva.
Entrambi gli ispettori
videro, o credettero di vedere, la stessa persona; una
persona che non stavano
cercando e che non si aspettavano di trovare in quel
luogo. Entrambi udirono
le stesse parole, che li diressero al fiume e permisero
loro di scoprire la salma:
la salma, per di più, di una ragazza con cui l’apprendista
era stato nelle
relazioni più intime e sospette, sia che ne fosse stato
l’assassino o no. Quando
mai un’allucinazione portò a scoperte simili?
Nel caso seguente, se si tratto di allucinazione, furono
ingannati due sensi.
VISTA E UDITO
Nell’inverno del 1839-40, il dott. J. E. viveva, con sua
zia, la signora L. in
una casa della Quattordicesima Strada, presso New York
Avenue, nella città di
Washington.
Un giorno, salendo dal terreno al salotto, vide sua zia
che scendeva le scale.
Indietreggiò per lasciarla passare, cosa che ella fece
passandogli vicino, ma
senza parlare. Egli salì immediatamente le scale ed entrò
nel salotto, dove
trovò la zia che sedeva tranquilla accanto al fuoco.
La distanza dal punto in cui aveva visto dapprima la
figura a quello in cui la
zia stava realmente seduta era da trenta a quaranta piedi.
La figura appariva
vestita esattamente come lei, ed egli aveva udito
distintamente il fruscio delle
sue vesti mentre passava.
Poiché la figura, nello scendere le scale e nel passare
davanti al dott. E.,
aveva tutte le apparenze di una persona reale, e poiché il
fatto era avvenuto in
pieno giorno, il dott. E. pensò a lungo che, se non si era
trattato di semplice
allucinazione, poteva essere un presagio di morte; ma
nulla avvenne che
giustificasse questa previsione (5).
L’esempio successivo è molto più conclusivo dei
precedenti, eccetto la
narrazione della signora Crowe.
APPARIZIONE DI UN
VIVENTE (VISTA DA MADRE E FIGLIA)
Nel mese di maggio dell’anno 1840, il dott. D., noto
medico di Washington,
risiedeva con sua moglie e con sua figlia Sarah (adesso
signora B.) nella loro
casa di campagna presso Piney Point, in Virginia, un
piacevole buon ritiro per
i mesi estivi.
246
Un pomeriggio, verso le cinque, le due signore
passeggiavano in un
boschetto non lungi dalla casa, quando, a una certa
distanza, videro sulla
strada un signore che veniva verso di loro. «Sally», disse
la signora D., «ecco
tuo padre che ci viene incontro». «Credo di no», rispose
la figlia, «non può
essere papà: questo non è alto come lui».
Quando il signore si fu avvicinato, il giudizio della
figlia venne confermato.
Le due signore si accorsero che non era il dott. D., ma un
certo Thompson, un
signore che conoscevano bene e che, in quel periodo,
sebbene esse non lo
sapessero, era un paziente del dott. D. Esse notarono
anche, mentre si
avvicinava, che era vestito con una giacca turchina,
panciotto di seta nera e
calzoni e cappello neri. Inoltre, confrontando in seguito
le loro osservazioni, le
due signore, a quanto sembra, avevano notato che la sua
biancheria era
particolarmente fine e che tutto il suo abbigliamento
sembrava
particolarmente accurato.
Venne così vicino che esse stavano per rivolgergli la
parola; ma in quel
momento si fece da parte, come per lasciarle passare, e
poi, mentre gli
occhi delle due signore erano su di lui, improvvisamente scomparve.
Possiamo immaginarci lo stupore della signora D. e di sua
figlia. Potevano
appena credere ai loro occhi. Si soffermarono per un poco
sul luogo, come
aspettandosi di vederlo riapparire; poi, con quello strano
sentimento che
sopravviene in noi quando siamo stati testimoni di qualche
cosa di inaudito e
di incredibile, si affrettarono verso casa.
Più tardi seppero dal signor D. che il suo paziente,
signor Thompson,
seriamente indisposto, era costretto al letto e che non
aveva lasciato la
sua stanza e nemmeno il letto per tutto il giorno.
Sarà opportuno notare che, sebbene il signor Thompson
fosse in familiarità
con le signore e da loro molto rispettato come uomo degno
di stima, non vi
erano ragioni per cui esse dovessero interessarsi a lui
più che a qualsiasi altro
amico o conoscente.
Questo racconto è di indubbia autenticità. Fu comunicato a
Washington
nel giugno 1859 dalla stessa signora D., e il manoscritto,
sottoposto alla sua
revisione, fu giudicato esatto. E’ stato più volte
riferito, dalla madre e dalla
figlia alla signora - loro amica - che per prima me ne
diede notizia.
Che dobbiamo pensarne? Quale elemento di autenticità
sembra mancare? I
fatti sono relativamente recenti e sono stati riferiti da
coloro stessi che hanno
osservato il fenomeno. Le circostanze escludono anche
l’ipotesi della
suggestione. Le parole della madre alla figlia furono:
«Ecco tuo padre che ci
viene incontro». La figlia dissenti notando che si
trattava di un uomo più
basso. Quando l’apparenza si avvicina, entrambe le signore
riconoscono la
247
stessa persona e con tale sicurezza che si fanno avanti
per incontrarla e
parlarle, senza il minimo sospetto. Fu evidentemente
un’apparenza vista
indipendentemente dalle due osservatrici.
Inoltre fu vista in pieno giorno e senza che influisse
alcuna eccitazione. Le
signore facevano una tranquilla passeggiata pomeridiana.
Non vi era alcuna
paura che le accecasse, alcuna ansietà o emozione che
potessero creare (come
gli scettici vorrebbero immaginare) il fantasma
dell’assente. L’incidente è di
carattere molto comune: il signore che esse vedono
avanzarsi, è una loro
qualsiasi conoscenza - in quel momento malata, è vero; ma
anche questo fatto
era loro sconosciuto. Entrambe continuano a vederlo finché
è a distanza da
potergli parlare. Entrambe osservano il suo abito nei più
minuti particolari,
così che la stessa precisa serie di impressioni agisce sui
sensi dell’una e
dell’altra. Ed esse lo accertano con un successivo
confronto delle loro
sensazioni.
Né lo perdono di vista in modo dubbio o durante un momento
di
distrazione. Egli scompare davanti ai loro occhi nel
momento stesso in cui
esse stavano per rivolgergli la parola.
Come è forte, in questo caso, la prova presuntiva contro
l’allucinazione!
Anche mettendo da parte la teoria dei libri, che non
esistono allucinazioni
collettive, come potremmo immaginare che, nello stesso
momento, senza
suggestione alcuna, né aspettativa, né eccitazione di
qualsiasi genere, potesse
essere prodotta, sul cervello di due persone diverse, una
percezione della
stessa immagine, minutamente particolareggiata, senza che
un oggetto
esterno la producesse? In questo caso, quell’immagine fu
impressa nella
retina sia della madre che della figlia? Come può essere
se nel mondo esterno
non vi era nulla che potesse imprimerla? Oppure non vi fu
alcuna immagine
sulla retina? Fu un’impressione puramente soggettiva? Fu
una falsa
percezione dovuta a indisposizione? Ma tra i milioni di
impressioni che
possono essere prodotte, se solo l’immaginazione è
l’agente creativo, quanto
infinite sono le probabilità contro il fatto che, di
questi milioni, solo questo
particolare oggetto si presentasse in due casi
indipendenti! Non solo una
particolare persona, vestita in un particolare modo, ma
che tale persona
avanzasse lungo la via, si avvicinasse fino a pochi passi
dalle osservatrici e poi
sparisse! E anche questo non è il limite delle probabilità
contrarie. Non solo vi
è identità di oggetto, ma anche perfetta coincidenza di
tempo. Le due signore
percepiscono la stessa cosa nello stesso momento; e questa
coincidenza
continua per alcuni minuti.
Qual è la conclusione naturale e necessaria? Che vi fu
un’immagine
prodotta sulla retina, e che vi fu una
realtà oggettiva che la produsse.
248
Può sembrare meraviglioso, può sembrare difficile a
credersi che
l’apparenza di un essere umano, nel suo abito consueto,
possa presentarsi
quando questo essere umano non c’è. Ma sarebbe una cosa
mille volte più
meravigliosa, diecimila volte più difficile a credersi che
la fortuita azione di
una indisposizione, disponendosi liberamente nell’infinita
varietà di
contingenze possibili, produca, per puro caso, una massa
di coincidenze tale
da creare, in questo caso, la parallela e contemporanea
sensazione della
madre e della figlia.
Potrei addurre qui un esempio che molti scrittori hanno
citato; e
precisamente l’apparizione al dott. Donne, a Parigi, di
sua moglie con i capelli
sciolti e un bambino morto fra le braccia, nello stesso
giorno e nella stessa ora
in cui ella si sgravava di un bambino nato morto a Drewry
House, residenza
del patrono del dott. Donne, Sir Robert Drewry, allora
ambasciatore alla
Corte di Francia. E’ riferito e garantito dallo “onesto
Izaak”, come gli amici
usavano chiamare l’autore di The Compleat Angler (Il
perfetto pescatore)
(6); ma risale a duecento cinquant’anni fa. Preferisco
dunque passare al
seguente episodio, di data più recente e di diretta
autenticazione.
APPARIZIONE IN MARE
Nell’autunno del 1857, il signor Daniel M., un giovane
americano, dopo
avere viaggiato per la Germania, tornava negli Stati Uniti
su di una nave
postale di Brema.
Una sera di tempesta sua madre, signora A.M., che viveva
presso New
York, sapendo che probabilmente suo figlio era allora in
mare, divenne molto
preoccupata per lui, e pronunciò una segreta preghiera per
la sua salvezza.
In quel tempo viveva con lei una sua nipote, di nome
Louisa, la quale era
solita ricevere impressioni di carattere, per così dire,
chiaroveggente. La
nipote aveva udito le espressioni di spavento della zia,
ma, come il resto della
famiglia, ignorava che i suoi timori si fossero tradotti
in una preghiera per la
salvezza del cugino. Il giorno dopo la tempesta, ella ebbe
un’impressione così
viva e distinta che fu indotta a metterla per iscritto.
L’impressione era che sua
zia non aveva ragione di temere poiché l’oggetto della sua
ansietà era in salvo
e, nell’ora stessa della precedente sera, in cui la madre
aveva così
fervidamente pregato per lui in segreto, suo figlio,
nella sua cabina, si
era reso conto della presenza di lei.
Il giorno stesso lesse questo alla zia, pensando che
potesse esserle di
conforto.
249
Poi attese con grande ansietà il ritorno del cugino, che
avrebbe risolto i
suoi dubbi sulla verità o meno della misteriosa
impressione relativa a lui.
Egli arrivò tre settimane più tardi, salvo e in buona
salute; ma durante il
pomeriggio e la sera che seguirono il suo arrivo, nessuna
allusione venne fatta
da alcuno alle circostanze narrate. Quando il resto della
famiglia fu andato a
letto, Louisa rimase proponendosi di interrogare il cugino
sull’argomento.
Egli era uscito, ma dopo pochi minuti tornò in salotto,
andò all’estremità
opposta del tavolo, dove lei era seduta, con aspetto
agitato, e, prima che lei
potesse pronunciare una parola, disse molto commosso:
«Cugina, devo dirti
una cosa molto notevole che mi è capitata». E, così
dicendo, con grande
meraviglia di lei, scoppiò in lacrime.
Lei si rese conto che la soluzione dei suoi dubbi era
vicina; e così risultò.
Egli le disse che una notte, durante il viaggio, subito
dopo essersi coricato,
aveva visto sul lato della cabina opposto alla sua
cuccetta, l’immagine di sua
madre. Era simile a una persona reale in modo così
impressionante, che egli
si alzò e le andò vicino. Tuttavia non riuscì a toccarla,
convincendosi così che
era solo un’apparizione. Ma, tornato nella sua cuccetta,
l’aveva vista ancora
come prima per alcuni minuti.
Confrontando le note, fu accertato che la sera in cui il
giovane aveva visto
l’apparenza di sua madre in mare, era stata la stessa in
cui ella aveva così
ferventemente pregato per la sua salvezza: e la stessa che
sua cugina Louisa
aveva indicato per scritto, tre settimane prima, come
quella in cui era
avvenuta l’apparizione in questione. E, per quanto
potessero appurarlo, anche
l’ora corrispondeva.
Questo racconto mi fu comunicato (7) dalle due signore
interessate, la zia e
la nipote, che erano insieme quando me lo raccontarono.
Sono persone
intelligenti e colte. Le conosco bene e so che si può dare
completo credito alle
loro affermazioni.
In questo caso, come in quello in cui l’apparizione del
signor Thompson si
mostrò alla madre e alla figlia, vi sono due persone che
ebbero sensazioni
coincidenti: Louisa ebbe l’impressione che suo cugino
fosse conscio della
presenza di sua madre, e il cugino ebbe questa stessa
coscienza. Diversamente
dal signor Thompson, il cugino era a molte centinaia di
miglia distante
dall’una e dall’altra. Una suggestione era impossibile e
così pure un qualsiasi
errore da ripensamento. Louisa affidò la propria impressione
a uno scritto,
nel momento stesso, e lo lesse alla zia. Lo scritto
rimase, reale e preciso, come
prova di quell’impressione. E la giovane non fece domande
al cugino per
avere conferma o diniego delle sue sensazioni
relativamente a lui. Egli stesso
espose spontaneamente la sua storia; e le sue lacrime di
commozione
attestarono l’impressione che l’apparizione gli aveva
fatto.
250
Come ognuno può vedere, la coincidenza casuale era fuori
questione.
Bisogna cercare altre spiegazioni.
La narrazione seguente, di vita marinara, ci presenta
coincidenze
indubbiamente prodotte da un agente diverso dal caso.
IL SALVATAGGIO
Il signor Robert Bruce, che discendeva da qualche ramo
della famiglia
scozzese di tal nome, era nato, in umili condizioni, verso
la fine del secolo
scorso a Torbay, nell’Inghilterra meridionale, ed educato
alla vita marinara.
A circa trent’anni, e cioè nel 1828, era ufficiale in
seconda su di una nave
mercantile che navigava tra Liverpool e St. John nel New
Brunswick.
In uno dei suoi viaggi verso ovest, dopo cinque o sei
settimane di
navigazione, in vicinanza del lato orientale dei Banchi di
Newfoundland, il
capitano e il secondo erano sul ponte, a mezzogiorno,
facendo osservazioni
solari; dopo di che scesero per calcolare la rotta di quel
giorno.
La cabina, piuttosto piccola, era immediatamente a poppa,
e la breve scala
che vi scendeva, correva da un fianco all’altro della
nave. Immediatamente di
fronte a questa scala, subito dopo un piccolo pianerottolo
quadrato, c’era la
cabina del secondo, e sul pianerottolo v’erano due porte
vicine, l’una che si
apriva verso poppa nella cabina del capitano, l’altra, di
fronte alle scale, che
dava nella cabina del secondo. In questa cabina, lo
scrittoio era nella parte
anteriore, presso la porta, così che chi vi stesse seduto,
guardando di fianco,
poteva vedere nella cabina del capitano.
Il secondo, assorto nei suoi calcoli, che non tornavano
come si aspettava e
che differivano considerevolmente dalle sue congetture,
non aveva badato a
quello che faceva il capitano.
Quando ebbe portato a termine il calcolo, gridò senza
guardarsi attorno:
«La latitudine e la longitudine mi risultano così e così.
E’ giusto? A voi come
risultano?».
Non ricevendo risposta, ripeté la domanda guardando di
fianco e vedendo,
a quanto gli parve, il capitano occupato a scrivere sulla
sua lavagna. Di nuovo
nessuna risposta. Allora si alzò, e, quando fu di fronte
alla porta della cabina
del capitano, la figura che aveva preso per il capitano
stesso alzò la testa e
mostrò allo stupito secondo i lineamenti di un perfetto
sconosciuto.
Bruce non era un codardo; ma, il vedere quello sguardo
fisso, diretto verso
di lui in solenne silenzio, e la certezza che si trattava
di qualcuno che non
251
aveva mai visto, erano troppo per lui. E, invece di
fermarsi a interrogare
l’intruso, salì sul ponte in uno stato di così evidente
allarme che il capitano se
ne accorse subito. «Bene, signor Bruce», disse, «che
diavolo succede?».
«Che succede, signore? Chi è quel tale alla vostra
scrivania?».
«Nessuno, che io sappia».
«Ma c’è, signore: c’e un estraneo!».
«Un estraneo? Andiamo, avrete sognato. Avrete visto il
dispensiere o il
vostro secondo. Chi sarebbe andato là senza ordini?».
«Ma, signore, era seduto sulla vostra poltrona, davanti
alla porta, e
scriveva sulla vostra lavagna. Poi mi ha guardato in
faccia; e non ho mai visto
un uomo chiaramente e distintamente come ho visto lui».
«Lui chi?».
«Lo sa Dio, signore; io no. Ho visto un uomo, e un uomo
che non avevo
mai visto in vita mia».
«State diventando matto, signor Bruce. Un estraneo dopo
circa sei
settimane di navigazione!».
«Lo so, signore, ma lo ho visto».
«Andate giù a vedere chi è».
Bruce esitò. «Non ho mai creduto negli spettri», disse,
«ma se devo dire la
verità, preferirei non andarci solo».
«Su, su. Scendete subito e non fatevi deridere
dall’equipaggio».
«Spero che mi abbiate sempre trovato pronto a fare il
ragionevole», rispose
Bruce cambiando colore; «ma, se non avete nulla in
contrario, signore,
preferirei che ci andassimo insieme».
Il capitano scese la scala e il secondo lo seguì. Nella
cabina non c’era
nessuno. Esaminarono le altre cabine. Non c’era anima
viva.
«Bene Bruce», disse il capitano, «non ve l’avevo detto che
avete sognato?».
«E’ facile a dirsi signore; ma se non ho visto quell’uomo
scrivere sulla
vostra lavagna possa non rivedere più la mia casa e la mia
famiglia».
«Ah, scrivere sulla lavagna! Allora lo scritto ci sarà ancora». E così dicendo
il capitano la prese.
«Perdio!» esclamò. «Ecco qualche cosa di sicuro. Lo avete
scritto voi,
signor Bruce?».
Il secondo prese la lavagna; e lì, in chiari caratteri, si
leggevano le parole:
«Fate rotta a nord-ovest».
252
«Avete voluto scherzare con me, signore?» chiese il
capitano con aria
severa.
«Sulla mia parola di uomo e di marinaio», rispose Bruce,
«ne so quanto
voi. Vi ho detto l’esatta verità».
Il capitano si sedette alla scrivania con la lavagna
davanti, pensieroso. Poi,
rovesciata la lavagna e porgendola a Bruce, disse:
«Scrivete “Fate rotta a
nord-ovest”». Il secondo obbedì; e il capitano, dopo avere
confrontato
attentamente le due scritture, aggiunse: «Signor Bruce,
andate a dire al vostro
secondo di venire qui».
Quello venne e il capitano chiese anche a lui di scrivere
le stesse parole. E
così pure fecero il dispensiere e, l’uno dopo l’altro,
tutti gli uomini
dell’equipaggio che sapevano scrivere. Ma nessuna delle
varie calligrafie
assomigliava a quella dello scritto.
Quando l’equipaggio si fu ritirato, il capitano si mise a
pensare. «Può
esserci qualche clandestino?» chiese infine. «Bisogna
cercare per tutta la
nave, e se non scovo quel tipo, deve essere molto bravo a
giocare a
nascondino. Chiamate tutti gli uomini».
Fu rovistato in ogni angolo del vascello, da prua a poppa,
con lo zelo di una
curiosità eccitata, poiché si era sparsa la voce che un
estraneo era apparso a
bordo; ma non fu trovata anima viva eccetto l’equipaggio e
gli ufficiali.
Tornando alla cabina dopo la vana ricerca, «Signor Bruce»,
disse il
capitano, «che diavolo pensare di tutto questo?».
«Non saprei che dire, signore. lo ho visto scrivere
quell’uomo; voi avete
visto lo scritto. Ci dev’essere pur sotto qualche cosa».
«Bene, vedremo. Andate sul ponte e fate volgere la rotta a
nord-ovest. E,
signor Bruce», aggiunse mentre il secondo si era alzato
per andare, «fate
mettere una vedetta in coffa e che sia un uomo di cui vi
possiate fidare».
Gli ordini vennero eseguiti. Verso le tre, la vedetta
avvistò un iceberg dritto
a prua, e, poco dopo, quello che gli sembrava un vascello
presso di esso.
Nell’avvicinarsi, il capitano, con il suo cannocchiale,
scoprì che si trattava
di una nave smantellata, apparentemente prigioniera dei
ghiacci e con molti
uomini a bordo. Poco dopo si misero in panna lì presso e
mandarono delle
scialuppe a rilevare i naufraghi.
Risultò che era un vascello di Quebec diretto a Liverpool
con passeggeri a
bordo. Si era impigliato nei ghiacci rimanendovi bloccato,
e aveva trascorso
parecchie settimane in una situazione molto critica. Era
sfondato, col ponte
spezzato, un semplice rottame; tutte le provvigioni e quasi
tutta l’acqua erano
finite. L’equipaggio e i passeggeri avevano perso ogni
speranza di essere
253
salvati, e la loro gratitudine per l’inatteso salvataggio
fu grande in
proporzione.
Mentre uno degli uomini che erano stati portati via con la
terza scialuppa
che aveva raggiunto il rottame, stava salendo sul fianco
della nave, il secondo,
datagli un’occhiata, trasalì sbigottito. Era lo stesso
volto che aveva visto tre o
quattro ore prima fissarlo dalla scrivania del capitano.
Dapprima cercò di convincersi che doveva essere una
fantasia; ma più
esaminava quell’uomo e più si sentiva sicuro di avere
ragione. Non solo il
volto, ma la persona e il vestito corrispondevano
esattamente.
Appena l’equipaggio esausto e i passeggeri affamati furono
ristorati, e la
nave ebbe ripreso la sua rotta, il secondo chiamò a parte
il capitano. «Sembra
che quello che ho visto non fosse uno spettro, signore: è
un uomo vivo».
«Che intendete dire? Chi è vivo?».
«Ecco, signore, uno dei passeggeri che abbiamo appena
salvato è lo stesso
uomo che ho visto scrivere a mezzogiorno sulla vostra
lavagna. Lo giurerei in
tribunale».
«Sulla mia parola, signor Bruce, questa faccenda diventa
sempre più
singolare. Andiamo a vedere quest’uomo».
Lo trovarono in conversazione con il capitano della nave
salvata. Entrambi
si fecero avanti ed espressero la loro fervida gratitudine
per essere stati
liberati da un destino orribile: una lenta morte di freddo
e di fame.
Il capitano rispose di avere fatto solo quello che, certo,
essi avrebbero fatto
per lui in simili circostanze, e li pregò di scendere
nella sua cabina. Poi, voltosi
al passeggero, disse: «Spero, signore, che non penserete
che voglia scherzare,
ma vi sarei molto obbligato se voleste scrivere poche
parole su questa
lavagna». E gli porse la lavagna dal lato su cui non era
la misteriosa scritta.
«Farò tutto quello che mi chiedete», rispose il
passeggero. »Che cosa devo
scrivere?».
«Mi bastano poche parole. Per esempio: “Fate rotta a
nord-ovest”».
Il passeggero, evidentemente incapace di capire il motivo
di quella
richiesta, obbedì tuttavia sorridendo. Il capitano prese
la lavagna e la esaminò
attentamente: poi si fece da parte così da nasconderla al
passeggero, la
rovesciò e gliela restituì mostrandogli l’altro lato.
«Voi assicurate che è la vostra calligrafia?» chiese.
«Per forza», rispose l’altro, «mi avete visto scrivere».
«E questa?» chiese il capitano rovesciando ancora la
lavagna.
254
L’uomo guardò prima un lato, poi l’altro, molto confuso.
Alla fine chiese:
«Che significa questo? Io ho scritto da una arte sola. Chi
ha scritto
sull’altra?».
«E’ quello che vorrei sapere. Il mio secondo dice che
l’avete scritto voi,
seduto alla mia scrivania, oggi a mezzogiorno».
Il capitano della nave naufragata e il passeggero si
guardarono
scambiandosi occhiate di intelligenza e di sorpresa; e il
primo chiese all’altro:
«Avevate sognato di scrivere su questa lavagna?».
«No, che mi ricordi».
«Avete parlato di sogno», intervenne il capitano della
nave. «Che cosa
faceva questo signore quest’oggi verso mezzogiorno?».
«Capitano», rispose l’altro, «tutta la faccenda è quanto
mai misteriosa e
straordinaria, e io intendevo parlarvene appena avessimo
avuto un momento
di calma. Questo signore, (e indicò il passeggero)
«essendo molto stanco,
cadde in un sonno profondo, o in qualche cosa che sembrava
tale, un poco
prima di mezzogiorno. Dopo un’ora o poco più si svegliò e
mi disse:
“Capitano, saremo salvati quest’oggi stesso”. Quando gli
chiesi su che cosa si
fondava per dirlo, rispose di avere sognato di trovarsi a
bordo di una nave che
veniva in nostro aiuto. Descrisse il suo aspetto e la sua
attrezzatura, e, con
nostro grande stupore, quando la vostra nave fu in vista
corrispose
esattamente alla descrizione. Non avevamo riposto molta
fede nelle sue
parole, tuttavia speravamo che ci potesse essere qualche
cosa di vero perché,
lo sapete, quelli che stanno per annegare si aggrappano a
ogni pagliuzza.
Vedendo come sono andate le cose non posso dubitare che
tutto era stato
predisposto, in qualche modo incomprensibile, da una Provvidenza
superiore
perché fossimo salvati. Grazie al Signore per la sua
bontà».
«Non c’e dubbio», aggiunse l’altro capitano, «che questo
scritto sulla
lavagna, comunque sia stato ottenuto, vi ha salvato. In
quel momento io
facevo rotta sensibilmente a sud-ovest e la ho modificata
a nord-ovest
mandando una vedetta in coffa per vedere cosa sarebbe
successo. Ma voi
dite», e si rivolse al passeggero, «di non aver sognato di
scrivere sulla
lavagna?».
«No, non ho alcun ricordo di averlo fatto. Ho avuto
l’impressione che la
nave da me veduta in sogno venisse in nostro aiuto, ma come
abbia avuto
questa impressione non saprei dirlo. E c’e un’altra cosa
molto strana»,
aggiunse. «Tutto qui a bordo mi sembra famigliare, e
tuttavia sono sicuro di
non avere mai visto la vostra nave prima di ora. Per me è
tutto un enigma.
Che ha visto il vostro secondo?».
255
Allora il signor Bruce gli raccontò tutti i particolari
che abbiamo detto. La
conclusione a cui infine arrivarono fu che vi era stato
uno speciale intervento
della Provvidenza per salvarli da quella che sembrava una
condizione
disperata.
Questa narrazione mi fu comunicata dal capitano J.S.
Clarke, della goletta
«Julia Hallock» (8), che l’aveva saputa dallo stesso
signor Bruce. Avevano
navigato insieme per diciassette mesi, negli anni 1836 e
1837; così che il
capitano Clarke ebbe la storia dal secondo circa otto anni
dopo che avvenne.
Poi lo perse di vista e attualmente ignora se sia ancora
vivo. Tutto quello che
sa di lui da quando navigavano insieme è che continuò ad
andare nel New
Brunswick, che divenne capitano del brigantino «Comet» e
che la nave andò
perduta.
Chiesi al capitano Clarke se aveva conosciuto bene Bruce e
che uomo era.
«L’uomo più franco e leale che abbia conosciuto in vita
mia», mi rispose.
«Eravamo come fratelli, e due uomini non possono stare
insieme, chiusi per
diciassette mesi nella stessa nave, senza sapere se si
possono fidare, l’uno
dell’altro. Egli parlò sempre della vicenda con rispetto,
come di qualche cosa
che sembrava portarlo più vicino a Dio e al mondo al di
là. Scommetterei la
mia vita che non ha mentito».
Si noterà che ho avuto questa storia solo di seconda mano,
e riferita dopo
un intervallo di più di vent’anni da quando era stata
raccontata al capitano
Clarke. Io non ho avuto modo di interrogare i principali
testimoni. Quindi
qualche inesattezza, pur con le migliori intenzioni da
parte di tutti gli
interessati, può esservisi insinuata. Tuttavia, la prova,
pur con gli
inconvenienti accennati, è abbastanza diretta. E il
capitano Clarke dà la
miglior prova di sincerità permettendomi di usare il suo
nome come referenza
a sostegno di ciò che ho riferito.
Una prova di seconda mano, per quanto attendibile possa
apparire,
potrebbe, a rigore, essere giudicata non conclusiva se la
storia fosse unica. Ma
se ne troviamo altre, come ne abbiamo trovate,
direttamente autenticate,
dello stesso genere, che forniscono le prove di fenomeni
strettamente
analoghi a quelli che appaiono in questo racconto, non
sembra esservi ragione
sufficiente per considerarla apocrifa, o rifiutarci di
accettare la sua validità
mettendola da parte come vana fiaba di marinai.
Il racconto di Bruce, a esempio, non è caratterizzato da
fenomeni più
meravigliosi di quelli presentati dalla seguente storia,
di data molto più
recente e direttamente confermata dal testimonio
principale.
256
LA MADRE MORENTE E
IL SUO BAMBINO
Nel novembre del 1843, la signorina H., una giovanetta
allora fra i tredici e
i quattordici anni, era in visita presso una famiglia di
sua conoscenza, il
signore e la signora E., che risiedevano in una loro casa
di campagna nel
Cambridgeshire, in Inghilterra. La signora E. si era
ammalata e, poiché la
malattia cominciava a divenire seria, le fu raccomandato
di andare a Londra
per consultare un medico. Così ella fece; e suo marito la
accompagnò
lasciando a casa la loro ospite e i loro due bambini, di
cui il più piccolo era
solo di dieci settimane.
Il viaggio, tuttavia, risultò inutile: la malattia si
aggravò e così rapidamente
che, dopo un breve soggiorno nella metropoli, la paziente
non fu più in grado
di affrontare il viaggio di ritorno.
Frattanto il minore dei bambini, la piccola Fannie, si
ammalò e, dopo breve
malattia, morì. Scrissero immediatamente al padre, allora
trattenuto presso
quello che sapeva essere il letto di morte di sua moglie,
ed egli partì
immediatamente. La bambina morì il lunedì; il martedì
arrivò il signor E.,
diede le disposizioni per il funerale e ripartì il
mercoledì per tornare dalla
moglie, alla quale, tuttavia, celò la morte della piccola.
Il giovedì la signorina H. ricevette una sua lettera nella
quale egli la
pregava di andare nel suo studio e di prendere dalla
scrivania alcune carte che
gli urgevano. Nello studio vi era la bara e la salma della
bambina. Mentre la
giovinetta si avviava là per eseguire la commissione, una
delle domestiche le
disse: «Oh, signorina, non avete paura?». Lei rispose che
non c’era nulla da
temere, ed entrò nello studio, dove trovò le carte
richieste. Nel voltarsi per
dare uno sguardo alla piccola prima di lasciare la stanza,
scorse, reclinata su
di un sofà lì vicino, la figura di una signora in cui
riconobbe la madre.
Abituata fin dall’infanzia a vedere apparizioni ogni
tanto, non si spaventò, ma
si avvicinò al sofà per accertarsi che fosse l’immagine
della sua amica.
Fermatasi per alcuni minuti a due o tre piedi dalla
figura, si assicurò della sua
identità. L’apparizione non parlò, ma, alzato un braccio,
prima indicò il corpo
della bambina e poi accennò all’alto. Subito dopo, e prima
che la visione
sparisse, la fanciulla lasciò la stanza.
Questo avvenne pochi minuti dopo le quattro del
pomeriggio. La signorina
H. poté notare l’ora avendo sentito battere le quattro
poco prima di entrare
nello studio.
Il giorno dopo, ricevette una lettera del signor E., il
quale l’informava che
sua moglie era morta il giorno precedente (giovedì) alle
quattro e mezza. E,
quando tornò pochi giorni dopo, egli affermò che la
signora E. aveva perso
257
evidentemente la conoscenza prima di morire; ma, un attimo
prima della fine,
come uscendo da un deliquio, aveva chiesto al marito
«perché non le aveva
detto che la sua bambina era in cielo». Poiché egli
rispondeva evasivamente
desiderando ancora celarle la morte della piccola per tema
che il colpo
affrettasse quella di lei, ella gli disse: «E’ inutile che
lo neghi, Samuel, perché
sono stata a casa proprio adesso e l’ho vista nella
piccola bara.
Me ne dispiace per te, ma sono felice che sia andata in un
mondo migliore,
perché la incontrerò presto là». Poco dopo spiro.
Questa narrazione mi fu riferita nel gennaio 1859 dalla
signora che vide
l’apparizione. Ella è adesso moglie di un dotto professore
e attiva e rispettata
madre di famiglia, senza alcun vano entusiasmo né tendenze
visionarie. Abita
presso Londra (9).
Si noterà che, poiché la fanciulla entrò nello studio
pochi minuti dopo le
quattro e la madre parlò della sua visita poco prima della
morte, che avvenne
alle quattro e mezza, la coincidenza del tempo è esatta
quanto può esserlo.
In questo racconto, come nella maggior parte di quelli che
ci sono giunti
relativamente alle apparizioni di viventi, il soggetto era
insensibile mentre
avveniva il fenomeno. Ma questo non sembra essere una
condizione
necessaria. Si possono trovare esempi in cui non solo la
persona della quale
appare il «doppio» non è addormentata né in trance, ma è
presente al
momento dell’apparizione e ne è testimone lei stessa. Ho
avuto la fortuna di
ottenere un esempio simile direttamente autenticato da due
testimoni
presenti. Eccolo (10).
LE DUE SORELLE
Nel mese di ottobre 1833, il signor C., della cui famiglia
vari membri sono
stati conosciuti e apprezzati nel mondo letterario, viveva
in una casa di
campagna nella Contea di Hamilton, Ohio. Aveva appena
portato a termine
una nuova residenza, a circa settanta o ottanta iarde da
quella in cui abitava
allora, e intendeva trasferirvisi entro pochi giorni. La
nuova casa si poteva
vedere benissimo dalla vecchia perché non vi si
interponevano né alberi né
cespugli; ma i due edifici erano separati, a circa mezza
strada, da una gola
piuttosto scoscesa. Un giardino si stendeva dalla vecchia
casa fino all’orlo di
questa gola e la sua ultima estremità giungeva a una
quarantina di iarde dal
nuovo edificio. Entrambe le costruzioni erano rivolte a
ovest, su di una strada
pubblica, e il lato sud della vecchia abitazione era
direttamente di fronte al
lato nord della nuova. Sul retro della nuova casa annessa
era un’ampia cucina,
la cui porta si apriva a nord.
258
La famiglia, in quel tempo, comprendeva il padre, la
madre, uno zio e nove
ragazzi. Una delle figlie maggiori, allora fra i quindici
e i sedici anni, si
chiamava Rhoda; e un’altra, la penultima, Lucy, era fra i
tre e i quattro.
Un pomeriggio di quel mese di ottobre, dopo una forte
pioggia, il cielo si
era schiarito; e, fra le quattro e le cinque, era apparso
il sole. Verso le cinque,
la signora C. uscì in un cortile sul lato sud
dell’abitazione che occupavano, dal
quale, nel sole pomeridiano, si poteva distintamente
vedere la nuova casa con
la cucina di cui abbiamo parlato.
Improvvisamente chiamò la figlia A. dicendole: «Che cosa
sta facendo
Rhoda laggiù con la bambina fra le braccia? Dovrebbe
saperlo che il tempo è
umido». A., guardando nella direzione indicata dalla
madre, vide chiaramente
e inequivocabilmente, seduta in una sedia a dondolo,
proprio sulla porta della
cucina della nuova casa, Rhoda con Lucy fra le braccia.
«Strano!» esclamò.
«Solo pochi minuti fa le ho lasciate al piano di sopra».
Dopo di che, andata in
cerca di loro, le trovò in una delle stanze superiori e le
fece scendere. La
signora C. si unì a loro con altri membri della famiglia.
Si può facilmente
immaginare il loro stupore e quello di Rhoda in
particolare. Le figure erano
sedute sulla soglia, e le due fanciulle che adesso si
trovavano effettivamente in
mezzo a loro, erano assolutamente identiche nell’aspetto e
nei particolari dei
vestiti.
Passarono cinque minuti, senza che alcuno osasse trarre
respiro, e le figure
erano sempre là; quella di Rhoda sembrava dondolarsi col
movimento della
sedia su cui stava. Tutta la famiglia riunita, e ogni
singolo membro di essa -
quindi dodici persone in tutto - videro le figure e le
osservarono dondolarsi; e
si convinsero oltre ogni possibile dubbio che vi era là
l’apparizione di Rhoda e
di Lucy.
Allora il padre, signor C., decise di andare sul luogo e
trovare la spiegazione
del mistero; ma, avendo perso di vista le figure scendendo
nella gola, quando
risalì l’altra sponda esse erano scomparse.
Frattanto la figlia A. si era spinta fino all’estremo più
basso del giardino per
vedere meglio; ed il resto della famiglia era rimasto a
guardare dal punto in
cui avevano osservato dapprima l’inesplicabile fenomeno.
Subito dopo che il signor C. ebbe lasciato la casa, tutti
loro videro
l’apparenza di Rhoda alzarsi dalla sedia con la bambina
fra le braccia e poi
sdraiarsi sulla soglia della porta della cucina; dopo
essere rimasta così per un
minuto o due, sempre abbracciando la piccola, le due
figure furono viste
lentamente sprofondare nascondendosi a ogni sguardo.
Quando il signor C. raggiunse l’entrata, non vi era
traccia né apparenza di
esseri umani. La sedia a dondolò, che era stata portata
nella cucina qualche
259
tempo prima, era ancora lì, proprio sulla porta, ma era
vuota. Cercò
attentamente per tutta la casa, dalla soffitta alla
cantina; ma non c’era nulla
da vedere. Osservò il fango, molle di pioggia, davanti
all’uscita posteriore
della cucina, e tutt’intorno alla casa, ma non poté
scoprire alcuna impronta di
piedi. Non c’erano nei pressi alberi né cespugli dietro i
quali ci si potesse
nascondere, poiché la casa era eretta sul nudo fianco di
una collina.
Il padre tornò dalla sua inutile ricerca e ascoltò
rabbrividendo quello che la
famiglia, frattanto, aveva osservato. La cosa, come si può
supporre, fece su di
loro una profonda impressione imprimendosi indelebilmente
nelle menti di
tutti. Ma si cercò poi sempre di evitare ogni riferimento
a essa, come cosa
troppo seria per divenire argomento di comune
conversazione.
Io la ho avuta direttamente da due dei testimoni (11), la
signorina A. e sua
sorella, signorina P. Entrambe mi dissero che i loro
ricordi erano vivi come se
tutto fosse avvenuto poche settimane prima.
Non si ebbe mai un indizio per una qualsiasi spiegazione;
a meno che non
si voglia considerare come tale il fatto che Rhoda, una
fanciulla molto bella e
colta, a quel tempo nel fiore della salute, morì
improvvisamente l’11 novembre
dell’anno seguente, e che Lucy, che a quel tempo stava
pure benissimo seguì
la sorella il 10 dicembre dello stesso anno. Si noterà che
entrambe le morti
avvennero in poco più di un anno dal giorno in cui la
famiglia vide
l’apparizione delle due sorelle.
Vi è un seguito di questa storia, meno conclusivo, ma
degno di essere
riferito.
La casa nuova, dopo un certo tempo, fu occupata da un
figlio del signor C.
e, fin dai primi tempi cominciò ad avere la reputazione di
essere, ogni tanto e
in modo non imponente, infestata. Il fenomeno più notevole
avvenne così.
Un figlio del fratello del signor C., Alexander, di sette
anni, stava un giorno
giocando, nel 1858, in una stanza del piano superiore,
quando,
improvvisamente, notò una bambina dell’apparente età di
quattro anni, con
un abito rosso acceso. Sebbene non l’avesse mai vista
prima, le si avvicinò
sperando di avere una compagna di giuoco, quando d’un
tratto ella sparì
davanti ai suoi occhi, o, come il fanciullo si espresse
più tardi, «se ne andò
subito». Sebbene fosse un ragazzino ardito, si spaventò
molto per questa
improvvisa scomparsa, e corse giù per le scale per
riferirla, atterrito, alla
madre.
Ci si ricordò in seguito che, durante l’ultima malattia
della piccola Lucy,
stavano preparando per lei un abito rosso che le piaceva
molto, e lei era
ansiosa di vederlo finito.
260
Un giorno aveva detto a una sorella: «Finirete il mio
abito anche se sono
malata, non è vero?». Al che la sorella aveva risposto:
«Certo che lo finiremo,
cara; è naturale». «Oh, no che non è naturale», ribatté la
bambina, «finirlo
bene». Questa espressione di cui risero al momento, valse
a mantenere nella
famiglia il ricordo dell’ansia sempre mostrata dalla
piccola malata per il suo
nuovo vestito rosso, che tuttavia non poté mai indossare.
E’ inutile aggiungere che il piccolo Alexander non aveva
mai sentito parlare
di sua cugina Lucy, morta bambina venticinque anni prima.
L’impressione
prodotta da questo incidente sulla mente del fanciullo,
pur di carattere
audace, fu così profonda e durevole che, per mesi, nulla
poté indurlo a entrare
in quella stanza.
Forse non dovremmo trascurare un indizio, anche lieve,
come quello
suggerito da quest’ultimo incidente. La «passione
dominante che si rafforza
nella morte» è divenuta un’espressione proverbiale; e, per
una bambina di
quattro anni, il desiderio di un nuovo vestito rosso può
prendere il posto di
più maturi desideri: dell’amore, per un giovane, dell’ambizione
per un uomo
più maturo. Perché una fantasia fanciullesca, nutrita fino
all’ultimo momento
della vita terrena, debba operare in un’altra fase
dell’essere fino a modificare
un’apparenza spirituale, non è chiaro; forse è improbabile
che sia così:
l’apparizione può non essere stata quella di Lucy; la
coincidenza può essere
stata puramente fortuita. Tuttavia non sono sicuro che sia
stato così e che
nessun legame tra la piccola morente ansiosa e la forma
scelta (seppure fu
scelta) dalla cuginetta (se realmente apparve) al suo
sbigottito cugino.
In questo esempio, come nell’altro già dato del signor
Thompson che
apparve alla madre e alla figlia, è evidente che
l’apparizione delle due sorelle,
quale che fosse il suo carattere, deve essere stata in
certo senso oggettiva; in
altre parole deve avere prodotto un’immagine sulla retina,
poiché la stessa
precisa impressione venne fatta sui sensi di dodici
testimoni. Tutti
riconobbero nelle figure sedute sulla porta aperta, a
settanta o ottanta iarde di
distanza, le sorelle Rhoda e Lucy. Tutti osservarono il
movimento della sedia a
dondolo. Tutti, a eccezione del signor C., videro
l’apparenza di Rhoda alzarsi
dalla sedia, sdraiarsi sulla soglia della porta e poi
sparire come sprofondando
nel terreno. Una dei presenti, la signorina A., una delle
due signore la cui
deposizione personale garantisce questo racconto, osservò
l’apparente alzarsi
dalla sedia e sprofondare nel terreno dal margine più
basso del giardino, a
una distanza di sole quaranta iarde. Infine, l’effettiva
presenza di Rhoda e
Lucy, in forma corporea, fra gli spettatori, elimina la
possibilità di trucco o di
illusione ottica.
La presenza delle due sorelle, nelle loro condizioni
normali, ci suggerisce
anche una lezione salutare. Non dobbiamo affrettarci a generalizzare
da pochi
261
fatti. Nella maggior parte degli esempi precedenti la
persona che appariva era
addormentata o in trance, e la teoria che più facilmente
ci si presenta è che,
quando il «fratello della morte» esercita il suo potere,
il corpo spirituale, in
parte staccato, può assumere, a distanza dal corpo
naturale, le forme del suo
associato terreno. Ma nel caso presente questa teoria
sembra inapplicabile. La
controparte delle due sorelle, vista da loro stesse come
dagli altri, appare un
fenomeno di diverso carattere, più simile a una pittura o,
forse, a una
rappresentazione; da quale agente o per quale ragione
fosse presentato,
probabilmente lo cercheremmo invano.
In realtà è completamente illogico, in ogni particolare
caso di apparizione o
di altro fenomeno raro e inesplicabile, negare la sua
realtà finché non
possiamo spiegare gli scopi del suo manifestarsi;
respingere effettivamente
ogni fenomeno straordinario finché non sarà chiaramente
spiegato per quale
grande scopo Dio lo ordini o lo permetta. Nel presente
esempio non troviamo
una sufficiente ragione per cui due morti, che sarebbero
avvenute dopo più di
un anno, dovessero essere così oscuramente indicate, se
pure furono indicate.
L’unico effetto che possiamo immaginare sia stato
prodotto, sarebbe la vaga
apprensione di una disgrazia, senza causa certa né
indicazione definita. E
allora? Il fenomeno appartiene a una classe diretta, senza
dubbio, da leggi
generali. Possiamo giustamente inferire di avere buone
ragioni per l’esistenza
di questa classe; ma non abbiamo il dovere di mostrare il
particolare scopo
che deve essere raggiunto da ogni esempio. Come
proposizione generale noi
crediamo all’utilità degli uragani perché tendenti a
purificare l’atmosfera; ma
chi ha il diritto di pretendere che sveliamo i disegni
della Provvidenza, se,
durante la lotta degli elementi Amelia cade esanime dalle
braccia di
Celadone?
Mi manca lo spazio per moltiplicare gli esempi di
apparizioni di viventi e,
d’altra parte, sarebbe inutile. Chiudo dunque la serie
ponendo davanti al
lettore una narrazione in cui, forse, egli troverà alcune
tracce, per quanto
vaghe, indicanti il carattere di tanti dei precedenti
esempi riferendosi ad
apparenze che si presentano durante il sonno o la trance;
e che ci danno un
cenno, per quanto vago, di come possano avvenire. Posso
fornirlo di prima
mano.
L’ESCURSIONE IN
VISIONE
Nel giugno del 1857 una signora che indicherò come signora
A. risiedeva
con suo marito, colonnello nell’esercito britannico, e il
figlio ancora lattante,
nel comune di Woolwich, presso Londra.
262
Una notte, nei primi di quel mese, svegliandosi di
soprassalto, ebbe
l’impressione di stare a fianco del suo letto e di
guardare su di esso il proprio
corpo, che giaceva accanto al marito addormentato. La sua
prima impressione
fu di essere morta improvvisamente; e questa idea le fu
confermata
dall’aspetto pallido ed esanime del suo corpo, col volto
privo di espressione e
tutto l’insieme che non dava segno di vita. Lo guardò con
curiosità per
qualche tempo, paragonando la sua apparenza inerte con il
fresco aspetto del
marito e del bambino addormentato nella culla vicina. Per
un momento provò
un senso di sollievo per essere sfuggita alle angosce
della morte; ma poi
rifletté a quale dolore la sua scomparsa sarebbe stata per
i sopravviventi, e
allora sentì che avrebbe desiderato potere dar loro la
notizia gradualmente.
Mentre era assorta in questi pensieri, si sentì
trasportata verso la parete della
stanza con l’impressione che vi si sarebbe arrestata. Ma
no: le parve di
passare attraverso di essa all’aperto. Fuori della casa vi
era un albero; e le
sembrò di attraversare anche quello senza incontrare alcun
ostacolo. Tutto
questo avvenne senza alcun desiderio da parte sua. Ed
egualmente, senza
averlo desiderato né atteso, si trovò, dopo un certo
tempo, sul lato opposto del
comune, a Woolwich, presso l’ingresso di quello che viene
chiamato il
Deposito, un magazzino di armi e munizioni. Vide là, come
al solito, una
sentinella, e osservò da vicino la sua uniforme e il suo
aspetto. Dai suoi modi
noncuranti ebbe la certezza che, sebbene le sembrasse di
essere vicina
all’uomo, egli non la vedeva. Poi, dopo essere passata per
l’arsenale, dove vide
un’altra sentinella, tornò alla caserma, e lì udì
l’orologio battere le tre. Subito
dopo si trovò nella camera da letto di un’intima amica, la
signorina L. M.,
allora residente a Greenwich. Ebbe l’impressione di
iniziare con lei una
conversazione, ma più tardi non riuscì a ricordarne
distintamente
l’argomento perché presto ebbe la coscienza di non vedere
e non udire altro.
Le sue prime parole nello svegliarsi al mattino furono:
«Così non sono
morta, dopo tutto». E quando il marito le chiese il
significato di una così
strana esclamazione, gli riferì la visione (se era una
visione) della notte.
Questo avveniva durante una notte di mercoledì; ed essi
aspettavano una
visita della signorina L. M. per il prossimo venerdì. Il
marito volle che sua
moglie gli promettesse di non scrivere nel frattempo a
questa sua giovane
amica né di cercar di comunicare in alcun modo con lei; ed
ella gli diede la sua
parola.
Fino a questo punto sembrava che non si trattasse di altro
che di uno di
quei normali fenomeni che avvengono regolarmente in sogno.
Non è abituale,
tuttavia, sognare di vedere il proprio corpo; ma chi può
mettere dei limiti alle
divagazioni di una fantasia dormiente?
263
Il seguito, comunque, contiene il vero enigma e, si può
pensare, uno di
quegli accenni chiarificatori degni di nota e di
riflessione.
Il colonnello A. era con sua moglie quando, il venerdì seguente,
ella
incontrò la sua amica, signorina L. M. Bisogna avvertire
che questa signorina,
fin dall’infanzia, aveva visto abitualmente apparizioni.
Non venne fatta alcuna
allusione al soggetto che occupava tutti i loro pensieri,
e dopo un poco tutti e
tre andarono a passeggiare in giardino. Le signore si
misero a parlare di un
nuovo cappello, e la signora A. disse: «Il mio ultimo era
ornato con nastri
viola, e questo colore mi piace tanto che penso di
sceglierlo ancora». «Sì»,
rispose l’amica, «so che è il tuo colore preferito». «Come
lo sai?», chiese la
signora A. «Perché quando sei venuta da me l’altra
notte... vediamo, quando
fu? Ah, ricordo, l’altro ieri notte... mi apparisti
vestita di lilla». «Io ti sono
apparsa l’altra notte?». «Sì, verso le tre; e facemmo una
bella conversazione.
Non ricordi?».
Questa fu considerata, tanto dalla moglie che dal marito,
come la prova
conclusiva che era necessaria qualche cosa oltre la
consueta ipotesi del sogno
per spiegare l’escursione immaginaria di Woolwich.
Fu questa l’unica volta che un simile fatto avvenne alla
signora A. Suo
marito è ora in India, brigadiere generale; ed ella ha
spesso profondamente
desiderato che il suo spirito potesse, nelle veglie
notturne, andare a visitarlo
laggiù. Per un certo tempo, incoraggiata da quello che era
avvenuto, lo attese.
Ma il desiderio e l’attesa si rivelarono egualmente
inutili. Non pensato e non
desiderato, il fenomeno avvenne; intensamente desiderato e
appassionatamente atteso, non si ripeté. Un’attenta
aspettativa, dunque, non
è evidentemente una spiegazione di questo caso.
Questo mi fu riferito nel febbraio del 1859 dalla prima
signora, la visitatrice
notturna, e mi fu confermato, pochi giorni dopo, dalla
seconda, la visitata.
Simile nei caratteri generali, al sogno di Wilkins, questo
ne differisce
soprattutto in questo, che la narratrice sembra aver
osservato più
minutamente il succedersi delle sue sensazioni,
suggerendoci così l’idea che il
corpo apparentemente senza vita che le era sembrato
restare alle sue spalle,
fosse stato diviso da quella che potremmo chiamare una
parte spirituale di noi
stessi (12); e questa parte, muovendosi senza i nostri
consueti mezzi di
locomozione, può rendersi percepibile, a una certa
distanza, da un’altra
persona.
Chi considera questa un’ipotesi fantastica e assurda, ne
suggerisca un’altra
capace di spiegare il fenomeno che abbiamo esaminato.
Questo fenomeno, quale che sia stato il suo esatto
carattere, è
evidentemente lo stesso che, con il nome di wraith,
ha per secoli costituito
264
uno dei principali motivi delle cosiddette superstizioni
della Scozia. In quel
paese è popolarmente considerato un presagio di morte
(13). Questa, senza
dubbio, è una superstizione; e, con l’aiuto dell’esempio
precedente, si può
razionalmente congetturare come ha avuto origine.
Le indicazioni sono:
Che durante un sogno o una trance parziale o completa la
controparte della
persona vivente può mostrarsi a una maggiore o minore
distanza dal punto in
cui questa persona è realmente.
E che, come regola generale, con probabili eccezioni,
questa controparte
appare là dove si può supporre che si volgano i pensieri e
gli affetti fortemente
eccitati (14).
Nel caso di Mary Goffe (vedi il capitolo sui sogni) il
tipo è molto distinto. Il
suo era quell’incontrollabile e struggente desiderio che
solo una madre
conosce. «Se non posso stare seduta, mi sdraierò sul
cavallo; perché devo
andare a vedere i miei poveri bambini». Così quando i
pensieri della signora
E., morente a Londra, si volsero alla sua piccola, che
giaceva in una bara nel
Cambridgeshire. E così pure quando l’ecclesiastico
irlandese andò a desinare
dal vescovo lasciando a casa la moglie malata, ed ella
parve uscire all’aperto
per andare incontro all’assente di ritorno.
All’apprendista, probabile omicida,
non possiamo attribuire qualche cosa che meriti il nome di
affetto. Ma
possiamo immaginare con quale terribile vivacità i suoi
sentimenti e le sue
apprensioni si siano rivolti, durante il lungo servizio
divino scozzese, al luogo
in cui erano i corpi della vittima e del suo bambino non
nato.
Alcuni degli altri casi sono meno distintamente
caratterizzati, come quello
di Joseph Wilkins, che non era particolarmente ansioso per
sua madre; o
quello dello sposo - dell’Indiana, Hugh, separato solo per
un’ora o due dalla
moglie; quello del servitorello Silas, andato a pescare; e
infine quello della
signora A., che non aveva altro motivo se non quello di
andare a fare una
visita a un’amica. Si noterà che, in alcuni di questi
casi, la morte seguì
rapidamente; in altri no. Joseph Wilkins visse
quarantacinque anni dopo il
suo sogno. Hugh sopravvisse alla moglie, Silas è vivo ed è
un prospero
commerciante. La signora A. vive ancora in eccellente
salute. E’ evidente che
una rapida morte non segue necessariamente queste
apparizioni.
Le ragioni per cui, in molti casi, il fenomeno precede la
morte sono
probabilmente che, durante una malattia mortale il
paziente cade spesso in
uno stato di trance favorevole, con ogni probabilità, al
fenomeno stesso; che,
nella previsione della morte, i pensieri si volgono con
peculiare vivacità verso
gli oggetti e gli affetti assenti; e infine che, forse, il
principio spirituale,
prossimo a liberarsi del fardello terreno, può,
nell’avvicinarsi della liberazione
265
totale, trovar più facile l’allontanamento temporaneo,
guidato nella sua corsa
dall’influenza della simpatia.
Ma è evidente che la prossimità della morte non è
necessaria per conferire
questo potere e che esso può essere indotto da un’ansietà
proveniente da altre
cause che dalla previsione di una prossima fine. Una
tempesta suscitò le
paure di una madre per il figlio allora in viaggio per
mare, ed ella gli apparve
nella sua cabina. E tuttavia tanto la madre quanto il
figlio sono ancora vivi.
In questo, come in cento altri casi, l’esame spassionato
di un fenomeno
reale e della sua probabile causa è una cura molto
efficiente contro le
eccitazioni superstiziose e le paure volgari.
Note
(1) Theorie der Geisterkunde (Teoria della
conoscenza degli spiriti)
vol. IV delle Opere complete di Stilling, pagg. 501-03. Ho
un poco abbreviato
nel tradurre.
(2) Il primo giugno 1859.
(3) Comunicatomi a Washington il 24 giugno 1859.
(4) Night Side of Nature, di Catherine
Crowe, 16a edizione, Londra,
1854, pagg. 183-86.
(5) Questo fatto mi è stato riferito dallo stesso dott. E.
a Washington, il 5
luglio 1859; e il mio manoscritto fu sottomesso alla sua
revisione.
(6) The Lives of Dr. John Donne, Sir Henry Wotton
ecc., di Isaac
Walton, edizione di Oxford, 1824, pagg. 16-19.
(7) L’8 agosto 1859.
(8) Nel luglio 1859. La «Julia Hallock» era allora
ancorata ai piedi di
Rutgers Slip, New York: fa servizio commerciale fra New
York e St. Jago
nell’isola di Cuba. Il capitano mi ha permesso di fare il
suo nome e di riferirmi
a lui come prova di ciò che è stato qui scritto.
(9) La storia venne da me sottoposta, in manoscritto, alla
signora in
questione e da lei approvata.
Come esempio del modo con cui tali fenomeni sono spesso
tenuti nascosti,
posso aggiungere che la signorina H., pur presentendo
istintivamente come la
cosa sarebbe stata accolta, subito dopo avere lasciato lo
studio si arrischiò a
dire a una signora, che risiedeva nella casa, che credeva
di avere appena visto
266
la signora E. e sperava che non giungessero cattive
notizie da Londra il giorno
dopo. In conseguenza venne così aspramente rimproverata e
perentoriamente
diffidata dal non nutrire in sé tali ridicole fantasie,
che, anche quando
arrivarono le notizie a conferma e il signor E. tornò a
casa, ebbe paura di
raccontargli il fatto. E fino a oggi egli lo ignora.
(10) Nella prima edizione di quest’opera è stato dato qui
un altro racconto
relativo all’apparizione abituale di una persona vivente.
Lo ho sostituito con
quello delle «Due sorelle» per le seguenti ragioni. Un
amico di una delle parti
interessate, avendo fatto ricerche relative alla storia,
me ne comunicò
gentilmente il risultato; e le prove così addotte
tendevano a invalidare parti
essenziali del racconto. Una recente visita in Europa mi
permise di fare
ulteriori ricerche; e, sebbene per certi riguardi, queste
confermassero i fatti,
venni a sapere che una parte considerevole della storia in
questione, che mi
era stata presentata come direttamente attestata, era in
realtà di seconda
mano. Questa circostanza, insieme con le constatazioni
contrastanti suddette,
mette questo racconto fuori delle regole di autenticazione
a cui, in queste
pagine, ho cercato scrupolosamente di attenermi; e di
conseguenza lo ometto.
E’ soddisfacente trovare che, sei mesi dopo che la mia
opera è stata
pubblicata, l’autenticità di un solo racconto, dei
settanta o ottanta che sono
contenuti in questo volume, è stata messa in discussione. Nota
all’edizione
inglese, luglio 1860.
(11) A New York, il 22 febbraio 1860. Il 27 febbraio
sottomisi loro il
manoscritto della relazione ed esse riconobbero la sua
esattezza.
(12) Il dott. Kerner riferisce che, il 28 maggio 1827,
verso le tre del
pomeriggio mentre era con madame Hauffe, che a quel tempo
era a letto
malata, ella improvvisamente percepì l’immagine di se
stessa, seduta su di
una sedia e con indosso un abito bianco; non quello che
allora portava, ma un
altro. Ella cercò di gridare, ma non poté né parlare né
muoversi. I suoi occhi
rimasero sbarrati e fissi; ma ella non vide altro che
l’apparizione e la sedia su
cui era seduta. Dopo qualche tempo vide la figura alzarsi
e avvicinarsi a lei.
Quando le fu molto vicina, ella provò qualche cosa come
una scarica elettrica,
il cui effetto fu percepito dal dott. Kerner; e, con un
grido improvviso
riacquistò la facoltà di parlare e riferì quello che aveva
visto e sentito. Il dott.
Kerner non vide nulla. Seherin von Prevorst,
pagg. 138-39.
(13) «Barbara Mac-Pherson, vedova del defunto signor
Alexander Mac-
Leod, già ministro di St. Kilda, mi informò che i nativi
di quell’isola hanno un
particolare tipo di seconda vista, che è sempre un
annuncio della loro
prossima fine. Alcuni mesi prima di ammalarsi, sono
visitati da
un’apparizione simile a loro stessi sotto tutti i
rispetti, quanto alla persona, ai
lineamenti, all’abito». Treatise on Second Sight,
Dreams and
267
Apparitions (Trattato
sulla seconda vista, i sogni e le apparizioni),
Edimburgo, 1763, di Theophilus Insulanus, Relazione X.
(14) «Sono venuti a mia conoscenza esempi di persone
malate, che colte da
un irresistibile desiderio di vedere un amico assente,
sono cadute in deliquio
e, durante tale deliquio, sono apparse al lontano soggetto
del loro affetto».
Jung Stilling: Theorie der Geisterkunde,
paragrafo 100.
268
3 - Apparizioni di defunti
«… Oserò dire
Che nessuno spirito mai spezzò il legame
Che lo tiene lontano dalla terra nativa
Dove per la prima volta mise il piede quando fu
chiuso nella creta?
«Non un’ombra visibile dello scomparso
Ma lui, il suo spirito stesso, può venire
Dove tutti i nervi e tutti i sensi sono muti,
Spirito a spirito, fantasma a fantasma».
Tennyson
Se, come san Paolo insegna e i swedenborghiani credono, un
corpo
naturale e un corpo spirituale concorrono a formare la
personalità di un uomo
(1); se questi due corpi coesistono, finché dura la vita
terrena, in ognuno di
noi; se, come l’apostolo afferma più avanti (2), e il
precedente capitolo sembra
provare, il corpo spirituale - una controparte del corpo
naturale, a quanto può
sembrare a un giudizio umano - può, durante la vita,
staccarsi
occasionalmente, in qualche misura e per un certo tempo,
dalla carne e dal
sangue che, per pochi anni, pervade in intima
associazione; e se la morte è
solo l’uscire del corpo spirituale dal suo temporaneo
associato; allora, al
momento di questa uscita, è proprio questo corpo
spirituale - che, durante la
vita può essere stato occasionalmente o parzialmente
distaccato dal corpo
naturale, e che infine divorzia da esso così interamente e
per sempre - quello
che passa in un altro stato di esistenza.
Ma se questo corpo spirituale, mentre è connesso con il
suo associato
terreno, può, in certe circostanze, apparire distinto e
distante dal corpo
naturale, e percepibile dalla vista umana, se non dal
tatto, che cosa si oppone
alla supposizione che, dopo la sua definitiva
emancipazione, lo stesso corpo
spirituale possa ancora, a volte, mostrarsi all’uomo? (3).
Se non vi è questa presunzione in contrario, dovremmo
avvicinarci al
soggetto non già come se vi fosse in esso qualche cosa di
stravagante, indegno
di essere preso in considerazione, al margine delle possibilità,
ma come a un
problema rispettabile ed eminentemente serio, degno della
nostra attenzione
più profonda e su cui, quali che siano le nostre
decisioni, bisogna molto
discutere, in un senso o nell’altro, prima di giungere a
una decisione.
269
L’apparizione di un defunto non è un fenomeno (o preteso
fenomeno) la
cui realtà possa essere affermata o negata con semplici
speculazioni. Cento
teorici, così speculando, possono decidere, con loro
soddisfazione, che non
dovrebbe o che non può essere. Ma, se sufficienti
osservazioni mostrano che
è, ne segue solo che
questi teorici da tavolino non hanno una corretta
concezione di quello che è proprio e di quello che è
possibile.
Sul campo, e non al tavolino, fu risolta la questione se
gli aeroliti cadevano
ogni tanto sulla terra. Chladni e Howard avrebbero potuto
teorizzare sulle
loro scrivanie per tutta la vita, lasciando la questione
tuttavia aperta. Ma si
portarono nel mondo reale. Loro stessi non videro cadere
aeroliti, ma
esaminarono masse meteoriche che si diceva fossero
cadute. Ne fecero un
elenco. Esaminarono i testimoni; raccolsero prove. E
finalmente convinsero il
mondo degli scettici scientifici che le leggende relative
alle pietre cadenti,
diffuse in ogni epoca, fin dai tempi di Socrate, erano
qualche cosa di più di
semplici fiabe.
Nel procedere a un’inchiesta ancora più importante,
propongo di seguire
l’esempio di Chladni e Howard, col successo che il tempo e
gli eventi possono
stabilire.
Si possono trovare innumerevoli esempi di persone che
affermano di avere
visto apparizioni, e fra queste uomini eminenti per
intelligenza e dirittura. Un
esempio conosciuto è quello di Oberlin, il ben noto
filantropo alsaziano,
benefico pastore di Ban-de-la-Roche.
Egli fu visitato, due anni prima della sua morte - e precisamente
nel 1824 -
da un certo Smithson, che pubblicò una relazione della sua
visita (4). Di qui
tolgo i seguenti particolari.
OBERLIN
La valle di Ban-de-la-Roche, o Steinthal, in Alzazia,
teatro, per più di
cinquant’anni, delle benefiche fatiche di Oberlin,
circondata da alte
montagne, per più di metà dell’anno è tagliata fuori dal
resto del mondo dalle
nevi che ostruiscono i passi.
Là Oberlin trovò che i contadini avevano credenze molto
peculiari. Egli
disse al signor Smithson che, nei primi tempi della sua
residenza fra gli
abitanti di Steinthal, essi avevano quelle che giudicò
«molte nozioni
superstiziose relativamente alla vicinanza del mondo
spirituale e alle
manifestazioni, in questo mondo, di vari oggetti e
fenomeni che di tanto in
tanto erano visti da alcuni degli appartenenti al suo
gregge. Per esempio non
270
era insolito che una persona defunta apparisse a qualcuno
della vallata». ...
«La relazione di ogni nuovo caso di questo genere veniva
portata a Oberlin, il
quale, alla fine, ne fu tanto annoiato da decidersi a
metter termine a questa
specie di superstizione, come egli la chiamava, dal
pulpito, e, per un tempo
notevole, cercò di raggiungere questo scopo, ma con scarsi
o non desiderabili
risultati. I casi divennero più numerosi, e le circostanze
così impressionanti
da scuotere lo scetticismo dello stesso Oberlin» (pag.
157).
Infine il pastore passo dalla parte dei suoi parrocchiani.
E, quando il signor
Smithson gli chiese che cosa lo aveva portato a questa
convinzione, rispose
«che lui stesso aveva avuto un’esperienza oculare e
dimostrativa su questo
così importante soggetto». E aggiunse di avere «un gran
fascio di carte da lui
scritte su questo genere di fenomeni spirituali,
contenenti i fatti e le sue
riflessioni su di essi». Affermò inoltre al signor
Smithson che queste
apparizioni erano state particolarmente frequenti dopo il
terribile incidente
che seppellì villaggi (la frana di Rossberg, nel 1806).
Subito dopo, come
racconto Oberlin, un considerevole numero di abitanti
della vallata «si
aprirono alla vista spirituale» (pag. 159), e videro le
apparizioni di molte delle
vittime.
Stöber, il pupillo e il biografo di Oberlin, e amico
intimo della famiglia per
tutta la sua vita, afferma che il buon pastore era
pienamente persuaso della
reale presenza di sua moglie per parecchi anni dopo la
morte di lei. La sua
costante convinzione fu che, come un angelo custode, ella
vegliasse su di lui,
fosse con lui in comunicazione e divenisse visibile ai
suoi occhi; che gli desse
ammaestramenti sull’altro mondo e lo proteggesse dai
pericoli di questo; e
che, quando considerava qualche nuovo piano di pubblica
utilità sui cui
risultati era incerto, ella lo incoraggiasse nei suoi
sforzi o lo frenasse nel suo
progetto. Egli considerava i suoi incontri con lei non
come cosa dubitabile, ma
ovvia e certa al pari di qualsiasi avvenimento che cade
sotto i nostri occhi
corporei. Quando gli fu chiesto come facesse a distinguere
le sue apparizioni e
le sue comunicazioni da un sogno, rispose: «Come fate voi
a distinguere un
colore da un altro?» (5).
Io stesso, a Parigi, durante il mese di maggio 1859,
incontrai Monsieur
Matter, un signore francese che aveva un’importante
posizione ufficiale nel
Ministero della Pubblica Istruzione, il quale aveva fatto
visita a Oberlin
qualche tempo prima della sua morte, e al quale il degno
pastore aveva
mostrato il «gran fascio di carte» di cui parlava Smithson
(6). Trovò che
conteneva, fra l’altro, la descrizione di una serie di
apparizioni della sua
defunta moglie e dei suoi incontri con lei
(7).
Monsieur Matter, che gentilmente mi fornì note scritte
sull’argomento,
aggiunge: «Oberlin fu convinto che gli abitanti del mondo
invisibile possono
271
apparirci, e noi a loro, quando Dio lo permette; e che noi
siamo apparizioni
per loro, come loro per noi (8).
Né l’intelligenza né la buona fede di Oberlin possono essere messe in
discussione. Ma si dirà che l’intelligenza e l’onestà non
sono garanzia contro
le allucinazioni, e che il pastore, nella sua valle
appartata, dopo la morte della
moglie da lui teneramente amata, poté a poco a poco essere
contagiato dalle
superstizioni dei suoi parrocchiani. Sebbene le opinioni
di un uomo come
Oberlin contino sempre qualche cosa, dobbiamo ammettere
che non abbiamo
prove da opporre a una tale ipotesi.
Ci occorre qualche legame circostanziato che colleghi le
pretese apparizioni
con il mondo materiale. Possiamo ottenerlo. La seguente
proviene da una
fonte rispettabile.
LORENZO IL MAGNIFICO E L’IMPROVVISATORE
Condivi riferisce una straordinaria storia relativa a
Piero de’ Medici, figlio
di Lorenzo il Magnifico, comunicata a lui da Michelangelo,
il quale, a quanto
sembra, era divenuto intimo amico di Cardiere, un
improvvisatore che
frequentava la casa di Lorenzo e divertiva le sue serate
cantando sul liuto.
Subito dopo la morte di Lorenzo, Cardiere informò
Michelangelo che Lorenzo
stesso gli era apparso, vestito solo di un nero e logoro
mantello sulle membra
nude, ordinandogli di avvertire Piero de’ Medici che in
breve sarebbe stato
bandito da Firenze. Cardiere, che, giudiziosamente, parve
temere il
risentimento del vivo più di quello del morto, non eseguì
l’incarico, ma, poco
dopo, Lorenzo, entrato nella sua stanza a mezzanotte, lo
svegliò e,
rimproverandolo della sua noncuranza, gli diede un
violento colpo sulla gota.
Dopo aver comunicato questa seconda visita all’amico, il
quale lo consigliò di
non rimandare oltre la commissione, egli si mise in
viaggio per Careggi, dove
risiedeva allora Piero; ma, incontratolo col suo seguito a
circa mezza strada
fra quel luogo e Firenze, gli comunicò lì il messaggio con
grande divertimento
di Piero e dei suoi seguaci, uno dei quali - Bernardo
Dovizi, poi Cardinale
Bibbiena - gli chiese sarcasticamente se era verosimile
che Lorenzo, se voleva
dare quell’avvertimento a suo figlio, avesse preferito
quel messaggero a una
comunicazione personale. Il biografo aggiunge: «La vision
del Cardiere, o
delusion diabolica, o predizion divina, o forte
immaginazione ch’ella si fosse,
si verificò» (9).
Vi è qui una predizione e il suo compimento. Ma la
politica seguita da Piero
fu tale che non era necessaria una facoltà profetica per
capire la possibilità
che egli dovesse perdere un giorno la sua posizione a
Firenze. D’altra parte chi
272
conosce la società italiana sarà sicuro che un dipendente
come Cardiere molto
difficilmente si sarebbe preso una tale libertà se non
costretto da quello che
considerava un ordine vero e proprio.
Quanto all’obiezione del cardinale, è molto comune e
spesso espressa con
leggerezza. «E’ notevole», dice Grose, «che i fantasmi non
si comportino
come la gente di questo mondo. Nel caso di un omicidio, un
fantasma, invece
di andare dal più vicino giudice di pace e fare la sua
deposizione, o di
rivolgersi al più prossimo parente della persona uccisa,
appare a qualche
povero operaio che non conosce alcuna delle parti o tira
le cortine del letto di
qualche governante decrepita o di qualche mendicante,
oppure gironzola
attorno al luogo in cui è sepolto il suo corpo» (10).
Se il cardinale o l’antiquario meritano una seria risposta,
è questa. Se
l’apparenza, o l’apparizione, è un fenomeno reale, è senza
dubbio regolata da
qualche legge generale. E, a giudicare dagli esempi
riferiti, sembrerebbe che,
per questa legge, solo raramente, in certe condizioni e a
date persone, tale
apparenza è possibile.
Più notevole è la coincidenza nel caso seguente.
IL VISITATORE DI ANNA MARIA PORTER
Quando la celebre Anna Maria Porter risiedeva a Esher, nel
Surrey, un
vecchio signore di sua conoscenza, che viveva nello stesso
villaggio, era solito
frequentare la sua casa, venendo quasi ogni sera a leggere
il giornale e a
prendere una tazza di te.
Una sera la signorina Porter lo vide entrare come al
solito e sedersi al
tavolo, ma senza parlare. Gli rivolse qualche parola alle
quali non diede
risposta; e, dopo pochi minuti, lo vide alzarsi e lasciare
la stanza senza dir
motto.
Stupita, e temendo che si fosse improvvisamente sentito
male, ella mandò
subito la domestica alla casa di lui per prendere
informazioni. La risposta fu
che il vecchio signore era morto improvvisamente circa
un’ora prima.
Questo fu riferito dalla stessa signorina Porter al
colonnello H. del Secondo
Guardie del Corpo, e fu ripetuto a me dalla vedova del
colonnello H. a Londra,
nel febbraio del 1829.
A meno che immaginiamo in questo caso un’evasione dalle
cure
dell’infermiera, simile a quello del membro di circolo di
Plymouth
nell’esempio tratto da Sir Walter Scott (11), è difficile
evitare la conclusione
che questa fu un’apparizione del defunto. La stessa
signorina Porter la
273
credeva tale; e sembra che ella abbia mandato la domestica
immediatamente e che
il vecchio signore sia morto un’ora prima.
Si ammetterà che l’esempio seguente non è meno difficile
da spiegare.
IL CADAVERE E IL
MANTELLO DA MARINAIO
Non troviamo in alcun’altra classe sociale una così netta
avversione a
essere accusati di qualche cosa che abbia a che fare con
la superstizione come
nella classe delle persone mondane. Per questo la seguente
storia, tratta dal
diario privato di una di queste persone, che passò la vita
nei circoli più
aristocratici di Londra e di Parigi, intimo amico di
nobili e di principi di
sangue, ha qualche titolo per essere creduta. La riserva
con cui tali racconti
sono comunicati, quando i soggetti appartengono a quella
che si chiama l’alta
società, è manifestata dalla sostituzione delle iniziali
ai nomi interi. La
narrazione è fatta nel modo più diretto da chi aveva le
migliori opportunità
per conoscere l’esattezza dei fatti.
«Mercoledì, 6 dicembre 1832. Il capitano … ha raccontato
un curioso
aneddoto avvenuto nella sua famiglia. Lo ha detto con le
seguenti parole:
«Sono circa quindici mesi da quando la signorina M., una
conoscente della
mia famiglia, andò con un gruppo di amici a un concerto
delle Argyle Rooms.
Là parve colta da un’improvvisa indisposizione, e, sebbene
persistesse per
qualche tempo a lottare contro quello che sembrava un
violento attacco di
nervi, alla fine il malessere divenne così opprimente che
gli amici furono
costretti a chiamare la sua carrozza e condurla a casa.
Per un po’ lei si rifiutò
di palesare la causa della sua indisposizione; ma,
interrogata con maggiore
insistenza, confessò infine che, appena arrivata nella
sala del concerto, era
stata atterrita da un’orribile visione, che si presentava
continuamente davanti
ai suoi occhi. Le sembrava che un corpo nudo giacesse sul
pavimento ai suoi
piedi; i lineamenti del volto erano in parte coperti da un
mantello, ma poteva
vederne abbastanza per capire che era il corpo di Sir J.
Y. Venne fatto ogni
sforzo, da parte dei suoi amici, per calmarla, facendole
notare che era una
follia permettere a tali illusioni di travolgere il suo
spirito; e così ella si ritirò
per coricarsi. Ma il giorno dopo, la famiglia ricevette la
notizia che Sir J. Y. si
era annegato nel Southampton quella stessa notte,
essendosi rovesciata la sua
barca; il suo corpo era stato trovato più tardi avvolto in
un mantello da
marinaio. E’ questo un caso autenticato di seconda vista e
di data molto
recente» (12).
Devo il seguente alla cortesia del mio amico dott. Ashburner,
di Londra.
274
APPARIZIONE IN INDIA
«Nell’anno 1814, conobbi il colonnello Nathan Wilson, uomo
di forti poteri
intellettuali, che aveva servito molti anni in India sotto
Sir Arthur Wellesly,
poi duca di Wellington. Fui presentato a lui da Sir Charles
Forbes in un casino
di caccia, e avemmo così l’opportunità di diventare amici.
Ebbi dalle sue
labbra il racconto che sto per riferirvi e a cui farò
precedere poche parole sulle
opinioni del narratore.
«Il colonnello Wilson non faceva segreto del suo ateismo.
Specialmente in
India, come ho osservato io stesso, la tendenza di molti,
influenzati
dall’osservazione dei vari credo religiosi che li
circondano, è verso lo
scetticismo. Il colonnello Wilson, sostenuto dalle letture
di Volney,
D’Holbach, Helvetius, Voltaire e altri del genere,
respingeva come
insostenibile la dottrina di un futuro stato di esistenza,
e mal sopportava
qualsiasi argomento su di un soggetto sul quale, a quanto
sembrava pensare,
nessuno poteva dargli altre luci.
«Nell’anno 1811, essendo allora al comando del 19°
reggimento dei dragoni
(o forse del 17°, perché li comandò entrambi), di
guarnigione a Tellicherry, e
dilettandosi di letteratura francese, fece intima amicizia
con Monsieur
Dubois, un missionario cattolico, ardente e zelante propagandista
e uomo di
talento. Nonostante la grande differenza delle loro
credenze, il francese era di
mente così aperta e liberale, così vario nel suo sapere,
così piacevole e
avvincente nei suoi modi, che il missionario e il soldato
stavano molto
insieme e infine si attaccarono molto l’uno all’altro. Il
primo non mancava di
valersi di quella intimità per tentare di convertire il
suo amico. Parlavano
spesso e liberamente di argomenti religiosi; ma lo
scetticismo del colonnello
Wilson rimaneva incrollabile.
«Nel luglio del 1811, il prete si ammalò con molto
dispiacere del piccolo
circolo di Tellicherry, dove era molto amato. Nello stesso
tempo, essendo
avvenuto un ammutinamento a Vellore, il colonnello Wilson
fu chiamato là e,
avanzando a marce forzate, si accampo davanti alla città.
«La notte era afosa e il colonnello Wilson, abbigliato
come di solito in quei
climi, in camicia e lunghe mutande di tela leggera col
piede, cercava invano di
riposarsi su di un lettuccio nella sua tenda. Incapace di
dormire, rivolse a un
tratto l’attenzione all’ingresso della tenda: e vide
alzarsi il lembo e
presentarglisi il sacerdote Dubois. Il volto pallido e
l’espressione seria del suo
amico, che stava immobile e silenzioso, tenevano
concentrata la sua
275
attenzione. Lo chiamò per nome, ma senza risposta; poi il
lembo ricadde e la
figura scomparve.
«Il colonnello balzò su e, infilate in fretta le
pantofole, corse fuori dalla
tenda. L’apparizione si vedeva ancora mentre scivolava
attraverso il campo
dirigendosi verso la pianura più oltre. Il colonnello
Wilson si affrettò dietro di
essa e a passo così rapido che, quando i suoi ufficiali,
avvertiti dalle sentinelle,
lo inseguirono, fecero fatica a raggiungerlo. Poiché
l’apparizione era stata
vista dal solo colonnello, gli ufficiali conclusero che
tutto era stato effetto di
un leggero delirio causato dalla stanchezza. Ma il medico
del reggimento,
dopo avergli tastato il polso, dichiarò che era regolare e
senza alcuna
accelerazione.
«Il colonnello Wilson fu certo di avere ricevuto un avviso
della morte del
suo amico missionario, il quale gli aveva più volte
promesso, qualora fosse
morto prima, di apparirgli come spirito. Chiese ai suoi
ufficiali di annotare
l’ora. Essi lo fecero, e quando da Tellicherry giunsero
lettere che
annunciavano la morte di Dubois, si trovò che era spirato
nell’ora stessa in cui
la sua apparizione si presentava all’amico.
«Volendo accertare quale effetto questa apparizione avesse
prodotto sulle
opinioni del colonnello Wilson relativamente allo stato
futuro, glielo chiesi
direttamente. “Penso che sia stato un fenomeno molto
curioso”, mi rispose,
“non spiegabile nello stato attuale delle nostre
conoscenze e che dovrebbe
essere studiato. Ma non è sufficiente per modificare le
mie convinzioni.
Qualche proiezione energetica da parte del cervello di
Dubois, al momento del
prossimo annichilimento, può essere forse sufficiente a
dare ragione
dell’apparizione che indubbiamente ho visto”» (13).
Potremmo difficilmente trovare una più valida prova della
viva realtà di
questa apparizione per l’osservatore, dell’espediente al
quale oggi egli è
costretto a ricorrere per spiegarla. Egli ha «visto
indubbiamente», ma
argomenta che «avrebbe forse potuto essere una proiezione
del cervello di
Dubois al momento della dissoluzione». Quale forse è
questo! Una
proiezione del cervello di un morente appare a miglia di
distanza dal letto di
morte e, dopo avere assunto forma umana, imita il modo di
camminare di un
uomo! Che sorta di proiezione? Non un’anima né un corpo
spirituale, perché
un ateo non ammette tali entità; nulla che abiti, o stia
per abitare, un mondo
futuro, di cui un ateo nega l’esistenza. Che cosa dunque?
Una porzione della
sostanza fisica del cervello, distaccata da esso e sparata
come un proiettile di
artiglieria da Tellicherry a Vellore? Ammettiamo pure
questa ipotesi
mostruosa. Che cosa ha guidato tale proiezione
direttamente all’amico a cui il
possessore di quel cervello aveva promesso di apparire
come spirito in caso di
morte? Ma supponiamo che sia arrivata in qualche modo alla
tenda del
276
colonnello Wilson: che cosa ha dato, a una porzione
distaccata di cervello, il
potere di rivestirsi di una completa forma umana, con una
testa e un aspetto
riconoscibili, con braccia, gambe e corpo? E il potere di
sfuggire a una
persona che la inseguiva?
Ma è una pura perdita di tempo cercar di risalire alla
fonte di un’ipotesi
assurda come questa. In quale labirinto di assurdità può
chiudersi un uomo
considerato intelligente quando è diretto dalla
predeterminazione di ignorare
la possibilità di un mondo futuro nel quale i nostri
spiriti possano esistere e
dal quale possano eventualmente tornare.
Le storie di apparizioni al momento della morte, o intorno
a quel
momento, sono forse le più frequenti. Sono debitore di uno
degli esempi più
impressionanti e direttamente autenticati di questo genere
al mio amico
William Howitt, il cui nome è familiare su questo lato
dell’Atlantico come nel
suo paese. Lo presento con le sue parole.
UN FRATELLO APPARE
ALLA SORELLA
«L’episodio che mi chiedete, io lo ho sentito più volte
raccontare da mia
madre. Fu un evento familiare per noi e per i nostri
vicini, e si collega ai miei
primi ricordi essendo avvenuto circa il tempo della mia
nascita, nella casa di
mio padre a Heanor, nel Derbyshire, dove sono nato.
«Il nome di famiglia di mia madre, Tantum, è poco comune;
non ricordo di
averlo incontrato se non in un romanzo della signorina
Leslie. Mia madre
aveva due fratelli, Francis e Richard. Il più giovane,
Richard, lo ho conosciuto
bene perché è vissuto fino a tarda età. Il maggiore,
Francis, al tempo del fatto
che sto per riferire, era un allegro giovanotto sulla
ventina, scapolo, bello,
schietto, affettuoso e quanto mai amato dalla gente di
ogni condizione in tutta
quella parte del paese. In quell’epoca di cipria e di
codini, viene descritto con i
capelli biondo rame sciolti in riccioli sulle sue spalle,
come un nuovo
Assalonne, ed era molto ammirato sia per la sua grazia
personale sia per la
gaia vivacità dei suoi modi.
«In un bel pomeriggio tranquillo, mia madre, ancora fresca
di parto, ma
perfettamente convalescente, era a letto godendosi, dalla
finestra, quel senso
di bellezza estiva e di pace; in alto un cielo brillante
e, dinanzi a lei la calma
del villaggio. In questo stato, si rallegrò nell’udire dei
passi che prese per
quelli di suo fratello Frank, come egli era chiamato in
famiglia, sempre più
vicini alla porta della camera. Il visitatore bussò ed
entrò. Il piede del letto era
verso la porta; e su quel lato le cortine, nonostante la
stagione, erano tirate
per prevenire qualche corrente. Suo fratello le divise e
guardò nell’interno,
277
verso di lei. Il suo sguardo era serio e privo dell’usuale
gaiezza, ed egli non
disse una parola. “Caro Frank”, esclamò mia madre, “come
sono lieta di
vederti! Passa di fianco a letto: voglio fare quattro
chiacchiere con te”.
«Chiuse le cortine come per obbedirle; ma, con suo
stupore, mia madre lo
udì invece lasciare la stanza, chiudersi la porta alle
spalle e cominciare a
scendere le scale. Sbigottita, ella suonò il campanello e,
quando la cameriera
apparve, le ordinò di richiamare suo fratello. La ragazza
obiettò di non averlo
visto entrare in casa, ma mia madre insisté dicendo: “Era
qui un momento fa.
Corri, presto! Fallo tornare, devo vederlo!”.
«L’altra si affrettò, ma tornò dopo un certo tempo dicendo
di non avere
potuto trovarlo, né alcuno, nella casa o nei dintorni, lo
aveva visto entrare o
uscire.
«La casa di mio padre era all’estremità del villaggio,
presso la strada
principale, che era dritta; così che chiunque passasse di
lì rimaneva in vista
per molto tempo prima di scomparire. La ragazza disse di
avere guardato alle
due estremità della strada e poi cercato in giardino, un
grande giardino
all’antica con viali ombrosi. Ma non lo aveva visto né lì
né sulla strada. Aveva
chiesto alla più vicina casa del villaggio, ma nessuno lo
aveva notato passare.
«Mia madre, sebbene molto pia, era lontana da ogni
superstizione; tuttavia
la stranezza della circostanza la colpì profondamente.
Mentre se ne stava
coricata meditando sul fatto, si udì un improvviso
accorrere sulla strada e
delle voci concitate. Mia madre tese l’orecchio: il rumore
aumentava, sebbene
fin allora il villaggio fosse stato assolutamente
tranquillo. E lei si convinse che
doveva essere avvenuto qualche cosa di inconsueto. Suonò
ancora il
campanello per sapere la causa di quel trambusto. Questa
volta le rispose
l’infermiera, che cercò di tranquillizzarla come fanno le
infermiere con i loro
pazienti. “Oh, non è nulla di particolare, signora”,
disse, “una cosa da niente”.
E cercò di riferirgliela sorvolando i particolari. Ma il
suo malcelato
turbamento non sfuggì a mia madre. “Ditemi subito la
verità”, esclamò. “Sono
sicura che è successo qualche cosa di molto brutto”. La
donna continuò a
tergiversare, temendo l’effetto che la verità avrebbe
potuto fare su di lei nelle
sue condizioni. E, in un primo momento, anche la famiglia
tentò di celargliela.
Infine, tuttavia, l’ansia e le insistenze di mia madre
strapparono loro la
terribile verità: suo fratello era stato appena pugnalato
all’estremità del
villaggio e ucciso sul posto.
«Il triste evento si era svolto così. Mio zio, Francis
Tantum, era stato a
desinare a Shipley Hall, con il signor Edward Miller
Mundy, membro del
Parlamento per la contea. Shipley Hall si trovava alla
sinistra del villaggio,
guardando la strada principale dalla casa di mio padre, e
a circa un miglio di
distanza da essa; mentre Heanor Fall, residenza di mio
zio, era situata sulla
278
destra. La strada da una dimora all’altra incrociava quasi
ad angolo retto la
parte superiore della strada del villaggio, in un punto in
cui vi era una delle
due osterie del paese, lo “Admiral Rodney”
rispettabilmente gestita dalla
vedova H…ks. La ricordo benissimo: una donna alta e di
buona apparenza,
che doveva essere stata molto bella in gioventù e che,
anche dopo la mezza
età, manteneva un’aria superiore alla sua condizione.
Aveva un unico figlio,
allora appena ventenne. Era un bel ragazzo vivace e di
buon carattere.
Tuttavia, come i fatti mostrarono, doveva essere
estremamente impulsivo.
«Francis Tantum, cavalcando verso casa da Shipley Hall,
dopo il desinare,
forse un po’ esaltato dal vino, si fermò all’osteria della
vedova e disse al figlio
di portargli un bicchiere di birra. Mentre l’altro si
voltava, mio zio, dando un
forte colpo di scudiscio sul dorso del giovane, gridò nel
suo solito modo
scherzoso: “Presto, Dick; presto!”.
«Il giovane, invece di considerare quel colpo come uno
scherzo, lo prese
come un insulto. Corse nell’osteria, afferro un coltello
e, tornato nella strada,
colpì mio zio al cuore mentre era a cavallo, così che egli
cadde morto
all’istante nella via.
«Si può immaginare la sensazione nel tranquillo villaggio.
Gli abitanti, che
idolatravano l’ucciso, furono trattenuti dal far sommaria
vendetta
sull’omicida solo dagli agenti che lo portarono
all’ufficio del più vicino
magistrato.
«Il giovane H...ks venne giudicato alla vicina assise di
Derby; ma, (senza
dubbio giustamente, considerando l’improvvisa irritazione
causata dal colpo)
fu condannato solo per omicidio preterintenzionale, e,
dopo pochi mesi di
prigione, tornò al villaggio, dove, nonostante la forte
avversione popolare
contro di lui, continuò a tenere l’osteria anche dopo la
morte della madre. Lo
ricordo ancora, un uomo calmo e riservato, che non si rese
mai colpevole di
altre irregolarità di condotta e che sembrava portare con
sé il ricordo del suo
delitto, silenziosa macchia della sua vita.
«Tale era il rispetto per mio zio, e così profonda fu
l’impressione per la sua
tragica fine, che, finché visse quella generazione, le
campane del villaggio
rintoccarono regolarmente a ogni anniversario della sua
morte.
«Confrontando le circostanze e il tempo esatto in cui
avvennero, risulto che
l’apparizione si presento a mia madre quasi immediatamente
dopo che suo
fratello ebbe ricevuto il colpo fatale» (14).
Quasi la sola condizione che manca in questa relazione è
che l’apparizione
avrebbe dovuto essere testimoniata da più persone, ognuna
delle quali
avrebbe dovuto percepirla indipendentemente dalle altre.
Questa ulteriore
garanzia si trova nella relazione seguente.
279
IL NOBILE E IL SUO
SERVITORE
Il defunto Lord M., essendo andato negli Highlands verso
la fine del secolo
scorso, lasciò sua moglie a Londra in perfetta salute. La
notte dell’arrivo alla
sua casa, fu svegliato da una luce brillante nella stanza.
Aperte le cortine del
letto, vide l’apparizione di Lady M., che era lì in piedi.
Suonò per il servitore, e
gli chiese che cosa vedesse; l’altro esclamò atterrito:
«E’ Milady!». Lady M.
era morta improvvisamente a Londra in quella notte. La
storia fece molto
rumore a suo tempo; e Giorgio III, mandato a chiamare Lord
M. e accertata
da lui la verità del fatto, lo pregò di descrivere tutto
come era avvenuto; e il
servitore controfirmò la dichiarazione.
Circa un anno dopo, una fanciullina di cinque anni, la
figlia minore di Lord
M., si precipito senza fiato nella stanza dei bambini
gridando: «Ho visto la
mamma in cima alle scale, che mi faceva cenno». Quella
notte la bambina, la
piccola Annabella M., si sentì male e morì.
Posso garantire in modo assoluto l’autenticità dei due
fatti avendone
ricevuto un resoconto scritto da un membro della famiglia
di Lord M.
Nell’esempio seguente la testimonianza di due osservatori
della stessa
apparizione è ottenuta in circostanze egualmente
conclusive. Mi fu riferito a
Napoli, il 2 gennaio 1857, da uno di questi testimoni, una
intelligente signora
inglese di famiglia altamente rispettabile, che aveva
trascorso molti anni in
Russia.
LOUISE
Nella prima metà dell’anno 1856, la signora F. visse per
alcuni mesi con la
famiglia del principe ..., un nobile che aveva occupato
un’alta posizione
ufficiale sotto l’imperatore Nicola.
Una sera, tra le undici e le dodici, la signora F. era in
un salottino adiacente
alla stanza da letto della principessa, e separato solo da
tende, quando udì
aprirsi la porta della stanza da letto e la principessa
(così lei suppose) entrare,
posare il candeliere e camminare. Pensando che sarebbe
entrata nel salottino,
come soleva fare, ella attese; ma invano. Poi udì ancora
aprire la porta e
scendere le scale. Una ventina di minuti più tardi, udì di
nuovo passi che
salivano le scale e la principessa stessa entrò e le
parlò. La signora F. seppe
così, con sua sorpresa, che la principessa non era entrata
nella stanza in
280
precedenza; quest’ultima, tuttavia, non mostrò alcuno
stupore quando la
signora F. le raccontò quello che aveva udito.
Il mattino dopo, venuta a sapere che nemmeno la cameriera
della
principessa era entrata nella stanza, e che nessun altro
vi era entrato, la
signora F. parlò ancora del singolare evento; e la
principessa le comunicò
francamente quello che la signora F. apprese allora per la
prima volta, e cioè
che erano abituati a queste visite misteriose, che esse in
genere annunciavano
qualche avvenimento insolito in famiglia, e che suo marito
aveva venduto un
palazzo da loro occupato un tempo, in un’altra strada,
solo per cercar di
sfuggire ai ripetuti rumori e altri disturbi da cui erano
tormentati. Uno di
questi era il frequente risuonare di passi pesanti, nel
cuore della notte, lungo
un certo corridoio. Il principe, durante il verificarsi di
questi rumori, aveva
più volte provveduto a far chiudere l’uscita di questo
corridoio mettendovi
anche un uomo di guardia; ma invano. Il mistero non poté
mai essere
chiarito.
La principessa aggiunse che i rumori li avevano seguiti,
ripetendosi a
intervalli, nel nuovo palazzo in cui ora abitavano e le
cui finestre davano sulla
Neva. Una delle sue figlie, prima di sposarsi, aveva
regolarmente avuto la
sensazione che qualcuno le si avvicinasse, preceduto da un
rumore di passi e
da quello che sembrava il fruscio di una veste di seta, e
talora accompagnato
come dal rumore di acqua versata sul tavolo.
A quel tempo vi era nella casa una cameriera chiamata Louise,
una giovane
tedesca di buona famiglia, di un’educazione superiore alla
sua condizione, da
lei accettata solo in seguito a una delusione amorosa
dovuta all’ostinata
opposizione dei genitori del giovane alla loro unione. Per
il suo carattere
allegro e gentile e per la sua intelligenza, era divenuta
una favorita della casa e
specialmente della signora F. da lei curata durante una
malattia.
Quando, in seguito, la stessa Louise cadde malata, tutta
la famiglia si
interesso molto a lei, e la signora F. fu spesso al suo
capezzale.
Una sera il medico di famiglia, dopo averla visitata,
disse che stava bene e
che si sarebbe certamente rimessa; così che la signora F.
andò a letto senza
alcuna preoccupazione.
Quella notte, verso le due, fu disturbata dalla sensazione
che qualche cosa
la toccasse; e, pensando che fosse un topo, si svegliò del
tutto, atterrita. Allora
sentì, più distintamente che il tocco era di una mano
umana che la premeva
leggermente su varie parti del corpo. La sensazione era
così netta e
inconfondibile da darle la certezza che qualcuno era nella
sua stanza. Ma non
poteva vedere né udire nulla; dopo un certo tempo cesso.
Il mattino seguente
281
la domestica la svegliò con la notizia che Louise era
improvvisamente morta
quella notte verso le due.
Gli effetti della ragazza, le sue vesti, le sue lettere
(alcune delle quali del suo
amato che ancora nutriva affetto per lei) insieme con un
ritratto di lui, furono
riuniti e posti, in attesa che fossero reclamati dalla
famiglia di lei, non nella
stanza in cui ella era morta, ma in un’altra, che divenne
la stanza da letto della
cameriera che le succedette.
Poiché la famiglia aveva spesso perduto la servitù a causa
della paura
suscitata dai misteriosi disturbi, fu presa ogni misura.
Perché questa donna
non sentisse parlare di questi fenomeni. Ella tuttavia, in
tempi diversi, udì
rumori notturni e dichiaro di avere più volte visto
distintamente attraversare
la stanza da una figura che non aveva mai visto e la cui
descrizione
corrispondeva esattamente all’aspetto della povera Louise.
Questa
apparizione la spinse a chiedere se non fosse quella la
stanza in cui era morta
colei che l’aveva preceduta. Ma, rassicurata su questo, ed
essendosi vantata,
quando si erano manifestati i primi rumori, che nessun
fantasma le avrebbe
fatto paura, si vergognò di manifestare il desiderio di
dormire con un’altra
cameriera; e pertanto continuò a occupare la stanza.
Circa cinque settimane dopo la morte di Louise, e pochi
minuti dopo la
mezzanotte, la signora F. saliva le scale con una candela
in mano, e, giunta al
pianerottolo, una vaga forma passo improvvisamente dalla
sua sinistra alla
destra, non così rapidamente, tuttavia, da non permetterle
di distinguere che
era trasparente; perché scorse nettamente attraverso di
essa la finestra
opposta. Mentre si passava una mano sugli occhi -
essendole balenata l’idea
che poteva essere solo un’allucinazione - fu scossa da un
violento grido di
angoscia che veniva dalla stanza della cameriera, situata
a sinistra del
pianerottolo. Il grido fu così forte da svegliare tutta la
casa, e la principessa e
altri si affrettarono, con la signora F., a cercarne la
causa. Trovarono la
ragazza in preda a violente convulsioni, e quando, dopo un
po’, ella si fu
rimessa, racconto con accenti di estremo terrore che la
figura da lei già vista
molte altre volte, le era apparsa nel modo più evidente,
si era avvicinata al
letto e si era chinata su di lei così che le era parso
sentirne il respiro e il
contatto, dopo di che aveva perso conoscenza e non sapeva
cosa fosse
avvenuto in seguito. Non poté essere indotta a dormire
ancora in quella
stanza, e, dopo che la ebbe lasciata, i disturbi
continuarono.
Dopo un certo tempo, il giovane che era stato fidanzato
con Louise scrisse
per avere i suoi effetti, chiedendo che gli venissero
spediti a sue spese. La
nuova cameriera era presente mentre venivano impaccati.
Nel prendere uno
degli abiti di Louise, lo lasciò cadere atterrita
dichiarando che la figura che si
282
era chinata su di lei, facendola cadere in deliquio, indossava
proprio
quell’abito.
Dal giorno in cui gli effetti furono portati via dalla
stanza in cui erano stati
posti, tutti i rumori e i disturbi cessarono (15).
Ci avviciniamo gradualmente a un punto, in questa serie di
narrazioni, in
cui diviene molto difficile spiegare i fenomeni con
qualsiasi altra ipotesi che
non sia spiritica. Nel caso precedente, per esempio come
spiegare la
coincidente visione della signora F. e della ragazza che
era succeduta a Louise
se non supponendo una realtà oggettiva?
Troviamo storie conclusive al pari di questa, comunemente
narrate e di
solito screditate dai commentatori superficiali, talora
giustamente, perché
molte di esse sono apocrife; a volte, a mio parere,
ingiustamente.
Scelgo, da quest’ultima classe, tra quelle che sono dette
moderne storie di
fantasmi, una che, dati la condizione e il carattere dei
due osservatori (Sir
John Sherbroke e il generale Wynyard) si è diffusa in
Inghilterra forse più di
ogni altra. Fu pubblicata dai giornali del tempo e, in
forma alquanto estesa, ci
è stata conservata almeno in una delle pubblicazioni
moderne (16). Vi si
allude, dando solo le iniziali dei nomi, nell’edizione di
Plutarco
dell’arcidiacono Wrangham, in una nota che suona così:
«Una storia molto singolare, tuttavia, potrebbe essere raccontata
a questo
proposito dai generali S. e W., entrambi uomini di onore e
di spirito
indiscutibili e distinti per le loro attività a servizio
del paese». E’ riferita in
modo succinto dal dott. Mayo nella sua opera sulle
superstizioni popolari, ed
egli la accompagna con questa garanzia: «Ho avuto modo di
informarmi
presso due stretti parenti del generale Wynyard, sulla cui
parola si fonda
questa storia. Entrambi mi hanno detto di averla udita
dalle sue labbra. Più di
recente un signore la cui accuratezza di informazione è
fuori del comune, mi
disse di avere udito il defunto Sir John Sherbroke,
l’altro protagonista del
racconto, narrarla in modo molto simile durante un pranzo»
(17). La storia é
la seguente.
L’APPARIZIONE DI WYNYARD
Nel 1785, Sir John Sherbroke e il generale George Wynyard,
allora giovani,
erano ufficiali - il primo capitano e il secondo tenente -
nello stesso
reggimento, il 33°, allora comandato dal tenente
colonnello Forke, di
guarnigione a Sydney, nell’isola di Cape Breton, nella
Nuova Scozia.
283
Il 5 ottobre di quell’anno, fra le otto e le nove di sera,
questi due ufficiali
erano seduti davanti al fuoco, a prendere il caffè nel
salotto di Wynyard. Era
una stanza nella nuova caserma che era stata costruita
l’estate precedente, e
aveva due porte l’una che dava su di un corridoio e
l’altra che metteva nella
stanza da letto degli ufficiali nella quale non vi era
altra uscita.
Sherbroke, alzando per caso gli occhi, vide presso la
porta che dava sul
corridoio la figura di un giovane alto, apparentemente sui
vent’anni, ma
pallido ed emaciato. Stupito dalla presenza di un
estraneo, Sherbroke
richiamò sul visitatore l’attenzione del suo collega, che
gli sedeva vicino.
«Avevo sentito parlare», disse poi raccontando
l’incidente, «di uomini pallidi
come la morte, ma non ho mai visto un volto vivente
assumere l’aspetto di un
cadavere come quello di Wynyard in quel momento». Entrambi
rimasero
silenziosi guardando la figura che adesso attraversava
lentamente la stanza ed
entrava nella stanza da letto, gettando sul giovane
Wynyard, nel passare, uno
sguardo, come apparve, al suo amico, di malinconico
affetto. Appena superata
l’oppressione della sua presenza, Wynyard, afferrando il
braccio dell’amico,
esclamò con voce appena articolata: «Gran Dio! Mio fratello!».
«Tuo fratello? Che vuoi dire?» rispose Sherbroke.
«Dev’esserci stata una
qualche illusione». E così dicendo entrò immediatamente
nella stanza da letto
seguito da Wynyard. Non c’era alcuno. Cercarono in ogni
parte e si convinsero
che la stanza era assolutamente vuota. Un altro ufficiale,
il tenente Ralph
Gore, venuto subito dopo, si unì alla ricerca ma con
eguale inutilità. Wynyard
insisteva ad affermare di avere visto lo spirito di suo
fratello; ma, per un certo
tempo, Sherbroke inclinò a pensare di essere stati in
qualche modo illusi,
forse dallo scherzo di qualche ufficiale. Tuttavia, dietro
suggerimento del
tenente Gore, il giorno dopo il capitano Sherbroke prese
nota della data; e
tutti attesero con grande ansietà di ricevere lettere
dall’Inghilterra.
L’ansietà, alla fine, divenne così evidente da parte di
Wynyard, che i suoi
colleghi, nonostante la sua decisione in contrario, ebbero
da lui la confessione
di ciò che aveva visto. Subito la storia si divulgò e
suscito molta eccitazione
nel reggimento. Quando arrivò l’attesa nave postale, non
vi era alcuna lettera
per Wynyard ma una per Sherbroke. Appena questo ufficiale
la ebbe aperta,
chiamò con un cenno Wynyard fuori dalla stanza.
L’aspettativa era al culmine
specialmente perché i due amici rimasero appartati per
un’ora. Al ritorno di
Sherbroke il mistero fu risolto. Era la lettera di un
altro ufficiale che pregava
Sherbroke di dare al suo amico Wynyard la notizia della
morte del suo fratello
preferito, spirato
il 15 ottobre alla stessa ora in cui gli amici avevano
visto
l’apparizione nel fortino (18).
Rimane da dire che, alcuni anni dopo, Sir John Sherbroke,
che non aveva
mai visto John Wynyard da vivo, e che era tornato in
Inghilterra, stava
284
passeggiando in Piccadilly, a Londra, quando, sull’altro
lato della strada vide
un signore in cui riconobbe immediatamente la controparte
del misterioso
individuo. Attraversata la strada, lo avvicinò, scusandosi
per la sua intrusione,
e seppe così che era il fratello (non il gemello, come
alcuni hanno riferito) di
Wynyard (19). Tale è la storia, della cui realtà ho avuto
la fortuna di trovare
garanti oltre a quelli già indicati.
Il capitano Henry Scott, residente a Blackheath, presso
Londra, che ho il,
piacere di conoscere, circa trent’anni fa, quando Sir John
Sherbroke era
Governatore della Nuova Scozia, si trovava sotto il suo
comando come
Assistente Sovrintendente Generale di quella provincia; e,
mentre desinava
un giorno con Sir John, un commensale noto che un giornale
inglese, appena
ricevuto, riportava una straordinaria storia di fantasmi
in cui appariva il suo
(di Sir John) nome. Allora Sherbroke, con molta emozione,
si affrettò a
rispondere: «Prego che questo argomento non sia più
menzionato».
L’impressione di tutti i presenti fu che egli considerava
l’argomento troppo
serio per parlarne a tavola.
Ma non abbiamo solo impressioni suggerite da questa
testimonianza
indiretta. Io comunicai al capitano Scott, in manoscritto,
l’intera storia; e, nel
restituirmela, egli mi scrisse, col permesso di usare il
suo nome, quanto
segue:
«Circa sei anni fa, desinando da soli col mio caro amico -
ora nel numero
dei più - generale Paul Anderson, gli raccontai la storia
dell’apparizione di
Wynyard, sostanzialmente come avete fatto voi. Quando ebbi
finito mi disse:
“E’ straordinario che abbiate raccontato questa storia
quasi con le stesse
parole con cui la ho udita dalle labbra dello stesso Sir
John Sherbroke poco
prima della sua morte” (20). Chiesi al generale se Sir
John aveva espresso
qualche opinione sull’ incidente.
«“Sì”, mi rispose: “mi assicurò nel modo più solenne di
considerare
l’apparenza un fantasma o uno spirito; e aggiunse che la
sua credenza era
condivisa dal suo amico Wynyard”.
«Il generale Anderson fu un distinto ufficiale della
Guerra Iberica,
maggiore sotto Sir John Moore, e uno di coloro che
assistettero alle esequie
del valoroso generale» (21).
Non mi si obietterà, credo, che questa prova non è diretta
ed esauriente
come avrebbe potuto essere, in mancanza di una relazione
scritta lasciata
dall’uno o dall’altro degli osservatori, che non sembra
essere stata trovata.
L’ufficiale che per primo entrò nella stanza dopo che
l’apparizione era stata
vista, testimonia per scritto i fatti principali. Sir John
Sherbroke stesso, dopo
quarant’anni, conferma a un ufficiale la sua inalterata
convinzione che si era
285
trattato dello spirito del fratello del suo amico (22),
apparso loro nella
caserma di Sidney, e che questo amico era pienamente
convinto, al pari di lui,
del fatto in sé.
Molto probativo, inoltre, è il fatto che i lineamenti
dell’apparizione si
impressero così fortemente nella memoria di Sherbroke, da
permettergli di
rievocarne il ricordo, alcuni anni dopo, in base
all’aspetto di un estraneo
incontrato per caso nelle strade di Londra, spingendolo ad
avvicinare questo
estraneo che risultò essere, se non un fratello, una
persona che assomigliava
singolarmente al defunto.
Nella relazione seguente troviamo un esempio di tre
persone che videro la
stessa apparizione sebbene in tempi diversi.
APPARIZIONE DI UN
ESTRANEO
Nel marzo del 1854, il barone di Guldenstubbe risiedeva
solo in un
appartamento al N° 23 di Rue St. Lazare, a Parigi.
Il 16 di quel mese, tornato dopo mezzanotte da un
ricevimento serale, si
ritirò per coricarsi, ma, incapace di dormire, accese una
candela e si mise a
leggere. Presto fu distratto dalla lettura
dall’impressione di una scossa
elettrica, poi di un’altra finché se ne ripeterono otto o
dieci. Questo lo
sorprese notevolmente e gli tolse ogni voglia di dormire:
si alzò, indossò una
calda vestaglia e accese il fuoco nel salotto adiacente.
Dopo pochi minuti, tornato nella stanza da letto, senza
candela, per cercare
un fazzoletto, notò, alla luce che veniva dal salotto
attraverso la porta aperta,
proprio davanti al camino (che era in un angolo della
stanza nella diagonale
opposta alla porta) quello che sembrava una leggera
colonna di vapore grigio,
appena luminosa. La considerò per un momento, ma, pensando
che fosse solo
effetto della luce riflessa dalle lampade del cortile, non
vi pensò più e rientrò
nel salotto.
Dopo un certo tempo, poiché il fuoco stava spegnendosi,
tornò nella stanza
da letto per prendere una fascina. Questa volta
l’apparenza di fronte al
camino richiamò la sua attenzione. Arrivava fin quasi al
soffitto, che era alto
un dodici piedi. Il suo colore era mutato da grigio in
azzurro: quella
sfumatura azzurra che si presenta quando si brucia spirito
di vino. Era inoltre
più distinta e un poco più luminosa di prima. Mentre il
barone la guardava
stupito, a poco a poco divenne visibile in essa la figura
di un uomo. I contorni
dapprima erano vaghi e il colore azzurro, come quello
della colonna, solo più
286
cupo. Il barone la considerò un’allucinazione, ma continuò
a esaminarla
attentamente da una distanza di tredici o quattordici
piedi.
Gradatamente i contorni della figura divennero più netti,
i lineamenti
assunsero una forma più precisa e l’insieme prese il
colore della carne e dei
vestiti di un uomo. Infine si presentò chiaramente nella
colonna giungendo a
circa metà della sua altezza la figura di un vecchio alto
e corpulento, dal
colorito fresco, gli occhi azzurri, capelli nivei, folti
favoriti bianchi, ma senza
barba né baffi, e vestito con grande cura. Sembrava
portare una bianca
cravatta e un lungo panciotto bianco, alto colletto rigido
e una lunga giacca
nera molto aperta sul petto come sogliono le persone
corpulente quando fa
caldo. Sembrava appoggiarsi su di un grosso bastone
bianco.
Dopo pochi minuti, la figura si staccò dalla colonna e
venne avanti, come
lentamente fluttuando attraverso la stanza, finché fu a
tre piedi dal
meravigliato osservatore. Lì si fermò, alzò una mano come
in cenno di saluto
e si inchinò leggermente.
Il primo impulso del barone, al suo avvicinarsi, era stato
di suonare il
campanello. La visione era così distinta, la figura
dinanzi a lui sembrava così
assolutamente materiale, che egli non riusciva a resistere
all’impressione che
un qualche estraneo (perché il volto gli era del tutto
sconosciuto) fosse
penetrato nel suo appartamento. Ma l’età e il comportamento
amichevole
dell’intruso fermarono la sua mano. Fosse di questo mondo
o dell’altro, non
sembrava esservi nulla di ostile né di temibile
nell’apparenza che si
presentava.
Dopo un certo tempo, la figura si mosse verso il letto,
che era a destra della
porta e immediatamente di fronte al camino; poi,
volgendosi a sinistra, tornò
davanti al camino, dove era apparso dapprima, e avanzò una
seconda volta
verso il barone. E questo giro continuò, fermandosi a
intervalli, otto o dieci
volte. Il barone non udì alcun suono, né voce, né rumore
di passi.
L’ultima volta che la visione tornò al camino, dopo essere
venuta di fronte
al barone, rimase lì. Lentamente i contorni persero la
loro nettezza, e, mentre
svaniva, la colonna tornò a poco a poco a formarsi
racchiudendola come
prima. Questa volta, tuttavia, fu molto più luminosa
perché la sua luce era
sufficiente a permettere al barone di leggere della stampa
minuta, come egli
accertò prendendo la Bibbia dal suo tavolino da toletta e
leggendo un paio di
versi. Mi mostrò la copia: era in caratteri molto piccoli.
Gradualmente la luce
scomparve, guizzando ogni tanto come una lampada che si
spegne.
Dal momento in cui la figura era apparsa a quello in cui
cominciò a svanire
mischiandosi con la colonna, erano passati circa dieci
minuti, così che il
testimone di questa notevole apparizione ebbe tutto il
tempo di esaminarla
287
appieno. Ogni volta che si voltava verso il camino, vedeva
distintamente il suo
dorso. Non provò alcuno spavento essendo soprattutto
occupato, finché durò
la visione, nel cercar di accertare se si trattava di una
semplice allucinazione o
di una realtà oggettiva. Un paio di volte, durante la sua
vita, aveva visto
apparizioni simili, tuttavia meno distinte e scomparse più
rapidamente; e,
poiché erano di persone da lui conosciute in vita, le
aveva considerate solo
soggettive: forse proiezioni della sua fantasia in uno
stato anormale del
sistema nervoso.
Meditando sul fatto, andò a letto e, dopo un poco, si
addormentò. In sogno
gli apparve la stessa figura che aveva appena visto,
vestita esattamente come
prima. Essa gli ricordò alcune riflessioni che avevano
occupato la sua mente
prima di coricarsi. Gli parve di sentirgli dire in
sostanza: «Finora non hai
creduto nella realtà delle apparizioni considerandole solo
rievocazioni della
memoria: adesso che hai visto un estraneo, non puoi
considerarle
riproduzioni di idee precedenti». Il barone assentì, in
sogno, a questo
ragionamento; ma il fantasma non gli diede alcuna notizia
sul suo nome o
sulla sua condizione di quando era vivo.
Il mattino, incontrando la moglie del portiere, Madame
Matthieu, che
soleva riordinargli le stanze, le chiese chi era stato il
precedente inquilino
dell’appartamento, aggiungendo che le faceva questa
richiesta perché durante
la notte aveva visto un’apparizione nella sua stanza da
letto. Dapprima la
donna apparve molto spaventata e poco disposta a essere
comunicativa, ma,
in seguito alle pressioni, ammise che l’ultima persona che
aveva abitato
l’appartamento ora occupato dal barone era stata il padre
della proprietaria
della casa, un certo Monsieur Caron, che un tempo era
sindaco della provincia
della Champagne. Era morto circa due anni prima e le
stanze erano rimaste
vacanti fino a quando erano state affittate dal barone.
La descrizione di lui, non solo nell’apparenza personale
ma in ogni
particolare dell’abito, corrispondeva a quanto il barone
aveva visto: un bianco
panciotto che scendeva molto in basso, una cravatta
bianca, una lunga giacca
nera erano il suo abbigliamento consueto. La sua statura
era superiore alla
media; era corpulento, con gli occhi azzurri, capelli e
favoriti bianchi; e non
aveva né barba né baffi. La sua età era fra i sessanta e i
settanta. Anche i
particolari minori erano esatti: l’alto colletto duro, la
giacca aperta sul petto e
il grosso bastone bianco, che portava sempre quando
usciva.
Madame Matthieu confessò inoltre al barone che egli non
era il solo a cui
l’apparizione di Monsieur Caron si fosse manifestata. Una
volta una
domestica lo aveva visto sulle scale. A lei stessa era
apparsa parecchie volte:
una volta proprio di fronte all’ingresso del salotto;
un’altra volta in un
corridoio oscuro che passava dietro la stanza da letto
conducendo in cucina; e
288
più volte nella stessa stanza da letto. Monsieur Caron era
caduto proprio in
quel corridoio in seguito a un colpo apoplettico, era
stato portato nella stanza
da letto, ed era morto nel letto ora occupato dal barone.
Gli disse inoltre che, come forse aveva notato, cercava
sempre di riordinare
la sua stanza da letto quando lui era in salotto, e che
aveva voluto più volte
scusarsi di questo, ma si era trattenuta non sapendo che
scusa dare. La vera
ragione era che aveva paura di vedere ancora l’apparizione
del vecchio
signore.
La cosa, infine, venne agli orecchi della figlia, la
proprietaria della casa. Lei
fece celebrare delle messe per l’anima del padre, e si
dice - con quanta verità
non so - che da allora l’apparizione non sia più stata
vista nell’appartamento.
Ho avuto questa narrazione dallo stesso barone de Guldenstubbe
(23).
Questo signore mi assicurò che, al tempo in cui vide
l’apparizione, non aveva
mai sentito parlare del signor Caron e quindi non aveva la
minima idea del
suo aspetto personale o del suo modo di vestire; né, come
si può supporre, gli
era mai stato detto che qualcuno fosse morto, due anni
prima, nella stanza in
cui dormiva.
La storia trae gran parte del suo valore dal modo calmo e
spassionato con
cui il testimone sembra avere osservato la successione dei
fenomeni, e dai.
particolari che, in conseguenza, egli ha potuto fornirci.
E’ anche notevole sia
per le influenze elettriche che precedettero
l’apparizione, sia per la
corrispondenza fra l’apparizione vista dal barone in stato
di veglia e quella
vista in seguito in sogno: la prima percepita da un solo
senso - la vista - la
seconda interessante (sebbene solo in visione onirica)
anche l’udito.
Le coincidenze relative alle caratteristiche personali e
ai particolari
dell’abito sono troppo numerose e minutamente esatte per
essere fortuite,
quale che sia la teoria adottata per spiegare il fatto.
Le serie di queste narrazioni sarebbe incompleta senza
alcuni esempi di
quelle storie di carattere tragico che sembrano indicare
come le malvagie
azioni commesse in questo mondo possano richiamare
dall’altro il criminale o
la vittima.
Un esempio veramente straordinario di tali storie è dato
nelle memorie di
Sir Nathaniel Wraxall, uomo noto al suo tempo e, dal 1780
al 1794, membro
del Parlamento inglese. Fu riferita a Sir Nathaniel,
quando era in visita a
Dresda, dal conte di Felkesheim. Di lui Wraxall dice: «Era
un gentiluomo
della Livonia stabilitosi in Sassonia, di elevata
intelligenza, superiore alla
credulità e alla superstizione». La conversazione avvenne
nell’ottobre del
1778.
289
Dopo avere alluso alla celebre esibizione, da parte di
Schrepfer,
dell’apparizione del Chevalier de Saxe, esprimendo
l’opinione che «sebbene
non potesse spiegare per quale processo o marchingegno
fosse condotta
questa faccenda, aveva tuttavia sempre considerato
Schrepfer un abile
impostore», il conte continuò dicendo di non essere così
decisamente scettico,
quanto alla possibilità delle apparizioni, da metterle in
ridicolo o da
respingerle come non filosofiche. Educato all’università
di Königsberg, aveva
seguito le lezioni di etica e di filosofia morale di un
certo professore, un uomo
veramente superiore ma che, sebbene ecclesiastico, era
sospettato di opinioni
molto peculiari in fatto di religione. In realtà, quando,
durante il suo corso, il
professore affrontava l’argomento di uno stato futuro, il
suo linguaggio
tradiva un così visibile imbarazzo che il conte,
incuriosito, si arrischiò
privatamente a parlarne con il suo maestro invitandolo a
dire se aveva celato
qualche cosa che aveva in mente. La risposta del
professore fu inclusa nella
seguente strana storia.
LA STUFA DI FERRO
«L’esitazione che avete notato», egli disse, «è risultata
dal conflitto che
avviene in me quando tento di raccogliere le idee su di un
soggetto in cui la
mia intelligenza non coincide con la testimonianza dei miei
sensi. Per
ragionamento e per riflessione sono incline a considerare
con incredulità e
disprezzo l’esistenza di apparizioni. Ma un’apparenza che
ho visto con i miei
occhi, per quanto si possa credere in essi come in
qualsiasi altra percezione, e
che ha anche ricevuto una sorta di conferma successiva da
altre circostanze
connesse con i fatti originali, mi lascia in questo stato
di scetticismo e di
incertezza che pervade i miei discorsi. Ve ne comunicherò
la causa.
«Allevato alla carriera ecclesiastica, ebbi in dono da
Federico Guglielmo I,
defunto re di Prussia, un piccolo beneficio, situato
all’interno del paese, a una
considerevole distanza a sud di Königsberg. Io mi vi recai
per prendere
possesso dei miei redditi, e trovai una graziosa
parrocchia, dove passai la
notte nella stanza da letto del mio predecessore.
«Era il più lungo giorno d’estate; e la mattina seguente,
che era domenica,
mentre ero a letto, sveglio, con le cortine del letto
tirate e in pieno giorno, vidi
la figura di un uomo, in vestaglia, seduto a una scrivania
su cui era un grosso
libro, intento a voltarne ogni tanto le pagine. A ognuno
dei suoi lati vi era un
bambino che ogni tanto guardava attentamente in volto, e
ogni volta
sembrava trarre un profondo sospiro. Il suo aspetto
pallido e sconsolato
indicava una qualche intima angoscia. Io vedevo
perfettamente tutto ciò, ma,
290
troppo impaurito e impressionato per alzarmi e rivolgermi
all’apparizione che
mi stava davanti, rimasi per alcuni minuti spettatore
silenzioso e senza fiato,
senza pronunciare parola o tentare di muovermi. Alla fine
l’uomo chiuse il
libro e poi, prendendo i due bambini per mano, attraverso
lentamente la
stanza. I miei occhi intenti lo seguirono finché le tre
figure disparvero, o si
perdettero, dietro una stufa di ferro che era all’angolo
estremo della stanza.
«Per quanto profondamente e paurosamente colpito dalla
visione che
avevo avuto e per quanto incapace di spiegarla in modo
soddisfacente, potei
riprendere possesso delle mie facoltà tanto da alzarmi, e,
dopo essermi vestito
in fretta, lasciai la casa. Il sole si era levato già da
tempo; e, direttomi in
chiesa, la trovai aperta sebbene il sacrestano se ne fosse
andato. Nel varcare il
cancello, la mia mente e la mia immaginazione erano ancora
così interamente
impressionate dalla scena che avevo visto, che cercai di
allontanarne il ricordo
guardando gli oggetti che mi circondavano. In quasi tutte
le chiese del
dominio prussiano è abitudine appendere ai muri o ad altre
parti del
fabbricato i ritratto dei pastori che, successivamente,
hanno lasciato il
beneficio. Un certo numero di queste pitture, rozzamente
tracciate, erano
appese in una navata; ma non appena ebbi rivolto gli occhi
sull’ultima della
fila, che era il ritratto del mio immediato predecessore,
tutte si collegarono
all’oggetto della mia visione, perché immediatamente
riconobbi lo stesso volto
che avevo visto nella mia stanza da letto, sebbene non
adombrato dalla stessa
profonda espressione di malinconia e di angoscia.
«Il sacrestano entrò mentre stavo ancora contemplando
questo volto
interessante, e io cominciai immediatamente a parlare con
lui di coloro che
mi avevano preceduto. Egli ricordò parecchi beneficiari,
relativamente ai
quali feci varie domande, finche giunsi all’ultimo, nei
riguardi del quale fui
particolarmente curioso. “Lo consideravamo”, disse il
sacrestano, “come uno
dei più dotti e simpatici uomini che avessimo avuto fra
noi. Il suo carattere e
la sua bontà lo avevano reso caro a tutti i suoi
parrocchiani, che piangeranno
a lungo la sua perdita. Ma ci fu portato via nel mezzo
dell’età da una lenta
malattia la cui causa ha fatto sorgere molte spiacevoli
voci fra noi e su cui si
fanno ancora congetture. Comunque si pensa che sia morto
di crepacuore”.
«Questo accese ancor più la mia curiosità, e insistetti
presso di lui perché
mi dicesse tutto quello che sapeva o aveva udito in
proposito. “Non sappiamo
nulla di preciso”, mi rispose. “Ma si è diffusa una storia
scandalosa circa una
sua relazione illecita con una ragazza del vicinato da cui
si affermava che
avesse avuto due figli. A conferma di ciò so di certo che
vi erano due bambini,
di quattro o cinque anni, che sono stati visti alla
parrocchia; ma essi
scomparvero improvvisamente qualche tempo prima della
morte del loro
supposto padre, sebbene nessuno sappia dove siano stati
mandati o che cosa
sia avvenuto di loro. Ed è egualmente certo che le
supposizioni e i giudizi
291
sfavorevoli su questa misteriosa faccenda, che di sicuro
giunsero ai suoi
orecchi, affrettarono, se pure non provocarono, la malattia
di cui morì il
nostro pastore: ma lui ormai è andato a render conto della
sua vita, e noi
dobbiamo pensare caritatevolmente dello scomparso”.
«E’ inutile dire con quale emozione ascoltai questa
relazione, che
richiamava alla mia immaginazione tutto ciò che avevo
visto e sembrava
confermarne la realtà. Tuttavia, non volendo che la mia
mente divenisse
schiava di fantasmi, che possono essere effetto di errore
e di illusione, non
comunicai mai al sacrestano i fatti di cui ero stato
testimone, né mi permisi di
lasciare la stanza in cui erano avvenuti. Continuai a
dormire lì senza mai
osservare alcuna apparizione del genere, e lo stesso
ricordo cominciò a
dileguarsi via via che avanzava l’autunno.
«Quando l’approssimarsi dell’inverno rese necessario
accendere il fuoco
nella casa, ordinai che fosse accesa, per riscaldare
l’appartamento, la stufa di
ferro che era nella stanza e dietro la quale era sembrata
scomparire la figura
che avevo visto con i due bambini. Si trovò qualche
difficoltà nel farlo: la stufa
non solo faceva fumo in maniera insopportabile, ma esalava
un odore
ripugnante. Mandato a chiamare un fabbro perché la
esaminasse e la
riparasse, egli scoprì nell’interno, molto in fondo, le
ossa di due piccoli corpi
umani, corrispondenti nelle dimensioni alla descrizione
datami dal sacrestano
dei due bambini visti nella parrocchia.
«Quest’ultima circostanza completò il mio sbigottimento e
parve conferire
una sorta di realtà a un’apparenza che altrimenti avrebbe
potuto essere
considerata un’illusione dei sensi. Rinunciai al
beneficio, lasciai il luogo e mi
ritirai a Königsberg; ma l’evento ha prodotto sulla mia
mente la più profonda
impressione e ha, in realtà, fatto sorgere in me
quell’incertezza e quella
contraddizione di sentimenti che avete notato nel mio
ultimo discorso» (24).
Wraxall aggiunge: «Tale fu il racconto del conte
Felkesheim, che, per la sua
singolarità, mi sembra meritevole di riflessione, per
quanto si possano
disprezzare simili aneddoti».
Se possiamo dar fede a questo racconto e ai motivi che
sono in esso
impliciti, quale luce essi proiettano sui vari modi di una
punizione futura
diretta e inevitabile! Inevitabile finché la malvagità è
inerente ai fatti malvagi,
a meno che la coscienza muoia con il corpo. Ma la
coscienza è un attributo
dello spirito immortale, e non della struttura terrena. E
se, dall’aldilà, trascina
realmente il malfattore sulla scena materiale dei suoi
misfatti, come è falsa la
nostra frase quando, parlando di un omicida che ha eluso
la giustizia, diciamo
che è sfuggito al castigo! I suoi operati non muoiono.
Anche se il braccio
vendicatore di una divinità offesa non colpisce il
peccato, il peccato si colpisce
da solo. Anche nel caso di un criminale indurito, quando
l’anima, intorpidita
292
in una ostinata noncuranza finché legata a un’ottusa e
degradata
organizzazione fisica, rimane impervia agli stimoli della
coscienza, la morte,
rimuovendo la dura invoglia, può esporre alla sensibilità
e alla sofferenza lo
spirito disincarnato.
Vi sono tuttavia indizi, in qualche modo simili, nel loro
carattere generale,
a questi, i quali sembrano insegnarci che anche nel mondo
futuro il
pentimento, con la sua influenza rigeneratrice, può
gradualmente cambiare il
carattere e la condizione del criminale; e oserò
presentare un esempio a
illustrazione di ciò, senza temere di essere accusato di
insegnamenti cattolici.
La vera filosofia è eclettica.
L’esempio a cui mi riferisco è addotto e garantito dal
dott. Kerner, che può
testimoniare in parte per osservazione personale. E’ la
storia della stessa
apparizione a cui abbiamo già brevemente alluso (25),
parlando di apparizioni
che venivano annunciate a Madame Hauffe da colpi e picchi
udibili da tutti. Io
lo intitolo
LE OSSA DEL
FANCIULLO RITROVATE
L’apparizione si presentò a Madame Hauffe la prima volta
durante
l’inverno del 1824-25, un mattino alle nove, mentre ella
era in preghiera. Era
quella di un uomo di carnagione scura e di bassa statura,
la testa un po’
cadente, il volto rugoso per l’età, avvolto in una scura
tonaca monastica. Egli
la guardò fisso in silenzio. Lei provò un brivido nel
rispondere al suo sguardo
e lasciò in fretta la stanza.
Il giorno dopo, e quasi ogni giorno per un intero anno, la
figura tornò
apparendo in genere alle sette di sera, che, per Madame
Hauffe, era l’ora della
preghiera. Nella sua seconda apparizione le parlò
dicendole di essere venuto
da lei per conforto e guida. «Trattami come un fanciullo»,
le disse, «e
insegnami la religione». Con particolare insistenza la
scongiurò di pregare per
lui. In seguito le confesso di avere sulla sua anima il
peso di un omicidio e di
altre gravi colpe; di essere andato vagando per lunghi
anni senza riposo e di
non avere mai saputo rivolgersi alla preghiera.
Ella appagò la sua richiesta; e di tanto in tanto, durante
tutto il lungo
periodo in cui continuò ad apparirle, gli diede
un’istruzione religiosa ed egli si
unì a lei nelle sue devozioni.
Una sera, all’ora solita, apparve con lui la figura di una
donna alta e magra,
portando fra le braccia un bambino che sembrava appena
morto. Si
inginocchiò insieme a lui e pregò con loro. La figura
femminile era già
293
apparsa una volta alla veggente; e la sua venuta era in
genere preceduta da
suoni simili a quelli che si ottengono con un triangolo di
acciaio.
Talora ella vedeva la figura dell’uomo durante le sue
passeggiate. Sembrava
scivolare davanti a lei. Una volta era andata in visita a
Gronau, con i suoi
genitori e i suoi. fratelli e sorelle; e, prima che
giungesse a casa, l’orologio
batté le sette. Improvvisamente ella si mise a correre, e,
quando gli altri
riuscirono a raggiungerla per chiedergliene la ragione,
esclamò: «Lo spirito
mi precede e chiede le mie preghiere». Mentre proseguivano
in fretta, la
famiglia udì distintamente un battito, come di mani, che
sembrava provenire
dall’aria davanti a loro; altre volte furono dei colpi
come provenienti dai muri
delle case davanti a cui passavano. Quando furono a casa,
un battito di mani
risuonò davanti a loro mentre salivano le scale. La
veggente si affrettò ad
andare nella sua stanza, e lì, in ginocchio, lo spirito
pregò con lei.
Via via che ella conversava con lui e che lui veniva per
la preghiera, il suo
contegno si fece più disinvolto, più sereno e amichevole.
Quando le loro
devozioni erano finite, soleva dire: «Adesso sorge il
sole!» o: «Adesso sento il
sole brillare in me».
Una volta ella gli chiese se poteva udir parlare le altre
persone come udiva
lei. «Le posso udire attraverso di te», fu la sua
risposta. «In che modo?» gli
chiese ancora; e lui rispose: «Perché quando tu odi
parlare gli altri, pensi a
quello che dicono; e io posso leggere i tuoi pensieri».
Fu osservato che ogni volta che lo spirito appariva, un
terrier nero che era
nella casa sembrava sentire la sua presenza; perché non
appena la figura
diveniva percettibile alla veggente, il cane correva, come
per cercare
protezione, da qualcuno dei presenti, spesso mugolando
forte; e, dopo averlo
visto la prima volta, non volle più restare solo di notte.
Una notte questa apparizione si presentò a Madame Hauffe
dicendo: «Non
verrò da te per una settimana, perché il tuo spirito
custode è impegnato
altrove. Qualche cosa di importante sta per accadere nella
tua famiglia: ne
avrai notizia il prossimo mercoledì».
Questo fu ripetuto da Madame Hauffe alla sua famiglia il
mattino dopo.
Arrivò il mercoledì e, insieme, una lettera con la notizia
che il nonno della
veggente, della cui malattia non erano stati informati,
era morto.
L’apparizione non tornò a mostrarsi fino alla fine della
settimana.
Lo «spirito custode» di cui aveva parlato l’apparizione,
si manifestava
spesso alla veggente sotto la forma di sua nonna, la
moglie defunta di colui
che era appena morto, e affermava di essere lo spirito di
sua nonna e di
vegliare sempre su di lei. Quando lo spirito dell’omicida
confesso riapparve
dopo l’intervallo di una settimana, ella gli chiese perché
il suo spirito custode
294
l’avesse lasciata in quei giorni. Lui rispose: «Perché era
occupato presso il
letto di colui che è morto». E aggiunse: «Mi sono evoluto
tanto da poter
vedere lo spirito di tuo nonno, subito dopo la morte,
entrare in una bella valle.
Presto mi sarà permesso di entrare a mia volta».
La madre di Madame Hauffe non vide mai l’apparizione, e
nemmeno sua
sorella. Ma entrambe, quando lo spirito appariva alla
veggente, avevano
spesso la sensazione che una brezza soffiasse su di loro.
Un amico della famiglia, una guardia forestale di nome
Böheim, non voleva
credere all’apparizione ed espresse il desiderio di essere
presente con
Madame Hauffe all’ora solita in cui arrivava. Lui e lei
erano soli nella stanza.
Dopo che furono passati alcuni minuti, si udirono dal di
fuori i consueti colpi
e, poco dopo, il rumore di un corpo caduto. Quelli che
entrarono, videro
Böheim a terra svenuto. Quando si riebbe, disse che,
subito dopo l’inizio dei
colpi, si era formata, in un angolo, una nube grigia, la
quale a poco a poco si
avvicinò alla veggente e a lui stesso e, giunta molto
vicino, assunse forma
umana. Era fra lui e la porta, così da sbarrare l’uscita.
Era tornato alla
coscienza all’arrivo degli aiuti e fu stupito di vedere
delle persone che
passavano attraverso la figura senza accorgersene.
Al termine di circa un anno dal tempo della prima
apparizione - e cioè la
sera del 5 gennaio 1826 - lo spirito disse alla veggente:
«Presto ti lascerò per
sempre». E la ringraziò per l’aiuto e gli ammaestramenti
che gli aveva dato e
per le sue preghiere. Il giorno dopo (6 gennaio, il giorno
in cui il figlio di lei fu
battezzato) le apparve per l’ultima volta. Una ragazza di
servizio, che era con
la veggente in quel momento, vide e udì, con grande
stupore, la porta aprirsi e
chiudersi; ma solo la veggente vide entrare l’apparizione
e non disse nulla alla
ragazza.
In seguito, al battesimo, il padre di Madame Hauffe vide
distintamente la
stessa figura, che sembrava luminosa e gradevole. E,
andato poco dopo
nell’anticamera, vide anche l’apparizione della donna
alta, magra e
malinconica con il bambino fra le braccia. Dopo quel
giorno, nessuna delle
due figure apparve più alla veggente.
Ma il fatto più rigorosamente probativo deve ancora essere
detto. Dietro
insistenza della veggente, fu scavato in un luogo da lei
indicato nel cortile
dietro la casa, presso la cucina, e lì, a notevole
profondità, si trovarono lo
scheletro e altri resti di un bambino (26).
Un solo episodio è prova sufficiente per una nuova teoria;
e molti
giudicheranno nuova la teoria secondo la quale la speranza
di un
miglioramento non muore con il corpo, il progresso è la
grande regola
fondamentale oltre la tomba come in questo mondo, e non
solo possiamo ogni
295
tanto ricevere comunicazioni dagli abitatori di un altro
mondo, ma, in certe
condizioni, possiamo dar loro conforto e ammaestramento in
contraccambio.
Non trovo tuttavia, nemmeno per analogia, nella Scrittura
o altrove, alcuna
presumibile prova contraria a questa ipotesi (27). La
nostra narrazione la
conferma. Tutto quello che si può dire è che altre prove
convergenti sono
necessarie prima che si possa affermare razionalmente di
avere ottenuto una
tale massa di prove da potere essere considerata conclusiva.
Dobbiamo tuttavia concedere che la storia di Kerner ha
forti indizi di
autenticità. La buonafede dell’autore non è stata messa in
dubbio nemmeno
dai suoi avversari. Le sue possibilità di osservazione
furono quasi senza
precedenti. «Ho visitato Madame Hauffe come medico», egli
dice,
«probabilmente tremila volte. Spesso sono rimasto per ore
intere al suo
capezzale; conoscevo il suo ambiente meglio di lei, e mi
sono dato infinita
cura di accertare ogni diceria, ogni sospetto di frode,
senza mai trovarne la
minima traccia (28).
Bisogna anche notare che in questo esempio vi sono molte
circostanze a
sostegno oltre le percezioni della veggente: i colpi e i
battiti uditi da tutti; la
brezza fredda sentita dalla madre e dalla sorella; la
paura del cane; la
realizzazione della profezia comunicata alla famiglia a
proposito della morte
del nonno. Si aggiunga a questo il fatto che la stessa
apparizione fu vista in
tempi diversi da tre persone: Madame Hauffe, suo padre e
Herr Böheim.
Vengono dati nomi, date, luoghi e ogni minimo incidente.
La relazione fu
pubblicata sul luogo e in quel tempo. Sedici anni dopo,
all’uscita della quarta
edizione dell’opera, il dott. Kerner ripete nel modo più
solenne la sua
convinzione nella verità.
E’ vano affermare che dovremmo trascurare testimonianze
come questa.
Nei due precedenti racconti, che sembrano indicare il
ritorno di uno spirito
malvagio sulla scena delle sue malefatte, l’atto compiuto
era uno dei delitto
più gravi, l’omicidio. Ma possiamo trovare esempi in cui
la causa del ritorno
sembra essere una mancanza molto semplice. Uno di questi è
dato dal dott.
Binns nella sua Anatomy of Sleep (Anatomia
del sonno). Fu comunicato
dal reverendo Charles McKay, un prete cattolico allora
residente in Scozia, in
una lettera da lui indirizzata alla contessa di Shrewbury,
datata Perth, 21
ottobre 1842. Questa lettera fu comunicata dal conte al
dott. Binns, che la
pubblicò per intero aggiungendo che «forse non vi è un
caso meglio
autenticato». Ne do il seguente estratto.
IL DEBITO DI TREDICI
PENCE
296
«Nel luglio del 1838 lasciai Edimburgo per assumere la
direzione delle
missioni di Perthshire. Arrivato a Perth, la sede
principale, fui visitato da una
presbiteriana (si chiamava Anne Simpson) che da più di una
settimana era
ansiosa di vedere un sacerdote. Quando le chiesi che cosa
desiderava da me,
mi rispose: “Oh, signore, sono stata terribilmente
tormentata per parecchie
notti dall’apparizione di una persona”. “Siete cattolica,
buona donna?” “No,
signore, sono presbiteriana”. “Perché allora venite da me?
Io sono un prete
cattolico”. “Ma, signore, lei (intendendo la
persona che le era apparsa) voleva
che andassi da un prete, ed è una settimana che lo cerco”.
“Perché voleva che
andaste da un prete?”. “Diceva di essere debitrice di una
piccola somma e che
il prete l’avrebbe pagata.” “Di quanto era debitrice?”.
“Di tredici pence,
signore”. “E a chi li doveva?”. “Non lo so, signore”.
“Siete sicura di non avere
sognato?”. “Oh, Dio mi perdoni! Mi appare ogni notte; non
riesco a dormire”.
“Conoscete la donna che, a quanto dite, vi appare?”.
“Aveva un misero
alloggio presso la caserma, e la vedevo spesso e le
parlavo quando usciva dalla
caserma o vi entrava. Si chiamava Maloy”.
«Feci un’inchiesta e trovai che una donna di tal nome era
morta, era
lavandaia e seguiva il reggimento. Continuando l’inchiesta
trovai un droghiere
che lei conosceva e, richiestogli se una donna di nome
Maloy gli doveva
qualche cosa, egli consultò i suoi libri e mi disse che
gli doveva tredici
pence. Pagai
la somma. Il droghiere non sapeva nulla di lei né della sua
morte, se non che lavorava per il reggimento. In seguito
la presbiteriana
venne da me per dirmi di non avere più avuto noie» (29).
In questo caso non è plausibile supporre che, per una
somma così piccola,
un negoziante si sia messo d’accordo con una vecchia (lei
aveva superato la
settantina) per inventare la storia di un’apparizione e
approfittare del buon
carattere e della credulità di un prete. Inoltre, se ci
fosse stato questo
imbroglio, non si può supporre che la vecchia avrebbe
taciuto il nome del
droghiere lasciando al reverendo il compito di cercare il
creditore come
meglio poteva.
Se tutta la storia fu riferita in buona fede, sembrerebbe
indicare che
l’umano carattere possa essere poco alterato dalla morte,
e mantenga talora in
un altro stato di esistenza non solo ricordi di poco conto
ma anche
preoccupazioni triviali.
Alcune relazioni sembran favorire la supposizione che non
solo il criminale
ma anche la vittima del suo delitto, possa, a volte,
essere attratta in spirito
sulla scena terrena delle sue sofferenze. La storia di
Hydesville può esserne un
esempio. Quando ero a Parigi, nella primavera del 1859, ne
ottenni un altro, o
tale da sembrarlo. La relazione mi fu comunicata da un
ecclesiastico della
Chiesa anglicana, il reverendo dott. ..., cappellano della
Legazione inglese a ...
297
Avendo udito da un suo collega qualche cosa su questa
storia, gli chiesi, per
lettera, l’intero racconto spiegandogli in termini
generali lo scopo del mio
lavoro. Egli soddisfece la mia richiesta dandomi un
interessante contributo a
questo ramo dell’argomento.
LE MACCHIE DI SANGUE
«Nell’anno 185..., mi trovavo con mia moglie e i miei
figli nella nostra
favorita stazione termale di ... Per sbrigare alcuni
affari, decisi di lasciare lì la
mia famiglia per tre o quattro giorni, e così in un giorno
di agosto, presi la
ferrovia e arrivai la sera, ospite inatteso, a ... Hall,
residenza di un signore che
avevo conosciuto di recente e presso il quale si trovava
mia sorella.
«Arrivai sul tardi, andai subito a letto e in breve mi
addormentai.
Svegliatomi dopo le tre o le quattro, non mi sorpresi di
non avere più sonno,
perché non riposo mai bene in un letto non mio. Dopo avere
tentato invano di
riassopirmi, cominciai a fare i miei piani per il giorno.
«Ero da poco così occupato quando avvertii improvvisamente
che vi era
una luce nella stanza. Voltatomi, scorsi distintamente una
figura femminile, e,
cosa che attrasse in particolare la mia attenzione, la
luce in cui la vedevo
proveniva da lei stessa. La osservai attentamente. I lineamenti non erano
percettibili. Dopo essersi spostata per un breve tratto,
scomparve
all’improvviso come era apparsa.
«La mia prima idea fu che ci fosse qualche trucco. Mi
alzai
immediatamente, accesi una candela e trovai la mia stanza
ancora chiusa a
chiave. Allora esaminai attentamente le pareti per
accertarmi se vi fosse una
qualche possibilità nascosta per entrare o uscire; ma non
trovai nulla. Tirai le
tende e aprii gli scuri; fuori tutto era buio e silenzio
non essendoci la luna.
«Dopo avere esaminato bene la stanza in ogni parte, tornai
a letto e
considerai tutta la cosa con calma. La mia ultima
impressione fu di aver
veduto qualche cosa di soprannaturale che, se tale, doveva
essere collegato
con mia moglie. Chi era l’apparizione? Che cosa voleva
significare? Mi
sarebbe apparsa se fossi stato addormentato invece che
sveglio? Erano tutte
domande facili a farsi ma difficili da appagare.
«Anche se la mia stanza non fosse stata chiusa a chiave, o
se vi fossero state
altre entrate nascoste, uno scherzo era praticamente fuori
questione.
Anzitutto perché non avevo col mio ospite una tale
intimità da permettergli
una libertà di questo genere; e secondariamente perché
anche se egli fosse
298
stato incline a un procedimento così discutibile, in qual
momento stava
troppo male per permettermi una tale supposizione.
«Passai il resto della notte nel dubbio e nell’incertezza;
e al mattino sceso
di buon’ora, dissi immediatamente a mia sorella quello che
era avvenuto
descrivendole minutamente ciò che si riferiva alla visione
da me osservata.
Parve molto colpita da quello che le avevo detto, e
rispose: “E’ molto strano;
perché credo che tu sappia che, molti anni fa, una signora
è stata uccisa in
questa casa, ma non nella stanza in cui hai dormito”.
Risposi di non avere mai
sentito parlar di qualche cosa del genere, e stavo per
farle altre domande
sull’omicidio, quando fui interrotto dall’arrivo del
nostro ospite e di sua
moglie, e poi dalla colazione.
«Dopo colazione uscii, senza avere avuto modo di
continuare la
conversazione. Ma tutto l’episodio mi aveva fatto
un’impressione che cercavo
invano di dimenticare. Avevo sempre davanti agli occhi
quella figura
femminile, e cominciai a sentirmi inquieto e preoccupato
per mia moglie. Non
facevo che domandarmi se la cosa potesse essere in qualche
modo collegata
con lei. E questo influì tanto su di me che, invece di
portare a termine l’affare
per cui avevo lasciato i miei, tornai da loro col primo
treno, e solo quando li
vidi sani e salvi mi sentii tranquillo e convinto che,
quale che fosse la natura
dell’apparizione, essa non aveva nulla a che fare con
qualche disgrazia che li
minacciasse.
«Il mercoledì seguente ricevetti una lettera di mia
sorella nella quale mi
informava che, dopo la mia partenza, aveva accertato che
l’omicidio era stato
commesso proprio nella stanza in cui avevo dormito.
Aggiunse che si
proponeva di farci una visita il giorno dopo e mi pregava
di mettere per scritto
una relazione di ciò che avevo visto, con una pianta della
stanza e
l’indicazione dei punti in cui la visione era apparsa e
sparita.
«Lo feci immediatamente; il giorno dopo, quando mia
sorella arrivò, mi
chiese se avevo soddisfatto la sua richiesta. Risposi
indicando la tavola del
salotto: “Sì, ecco la relazione e la pianta”. Mentre si
alzava per esaminarle, la
prevenni dicendo: “Non guardarle prima di avermi detto
tutto quello che devi
dirmi, perché potresti involontariamente colorire la
storia in base a quello che
leggerai qui”.
«Allora mi informò di avere esaminato il tappeto tolto
dalla stanza da me
occupata, e che le tracce di sangue della persona uccisa
erano lì, chiaramente
visibili in un dato punto del pavimento. A mia richiesta
tracciò anche lei una
pianta della stanza e segnò i luoghi in cui vi erano
tracce di sangue.
«Le due piante, quella di mia sorella e la mia, vennero
allora confrontate, e
verificammo il fatto notevolissimo che i luoghi
da lei segnati come il
299
principio e la fine delle tracce di sangue coincidevano
esattamente con quelli segnati sulla mia pianta come
quelli in cui
la figura era apparsa e scomparsa.
«Non saprei aggiungere altro a questa semplice
constatazione di fatti. Non
so dare alcuna spiegazione di quello che ho visto. Sono
convinto che nessun
essere umano entrò nella mia stanza quella notte, ma so
che, da sveglio e in
buona salute, vidi distintamente una figura femminile. E
se, come devo
credere, fu un’apparenza soprannaturale, non riesco a
immaginare alcuna
ragione per la quale debba essermi apparsa. Né posso dire
se, qualora non
fossi stato in quella stanza, o fossi stato addormentato,
la figura sarebbe stata
egualmente lì. Così come avvenne, il fatto non parve
collegato con alcun
avvertimento né presagio. Nessuna disgrazia mi colpi,
allora né in seguito, me
né i miei. E’ vero che l’ospite, nella cui casa mi trovavo
quando avvenne
l’incidente, e anche uno dei suoi figli, morirono pochi
mesi dopo, ma io non
posso pretendere di indicare un legame fra queste morti e
l’apparizione da me
osservata. Non posso dunque cercare di spiegare il “cui
bono”. Descrivo solo
quello che ho visto chiaramente e quello soltanto» (30).
In questo caso la narrazione testimonia l’accuratezza e la
spassionata
freddezza dell’osservatore. Ed è anche uno degli esempi
che sembrano
confermare come questi fenomeni si presentino spesso senza
uno scopo
particolare, per quanto possiamo capire. E’ inoltre
evidente che furono prese
sufficienti precauzioni per evitare la possibilità che la
suggestione fosse la
causa della coincidenza fra le due piante della stanza,
quella eseguita dal
fratello e quella disegnata in seguito dalla sorella.
Furono senza dubbio
tracciate indipendentemente l’una dall’altra. E, se è
così, a che cosa possiamo
attribuire la loro coincidenza? Evidentemente non al caso.
In questo episodio l’attrazione alla terra sembra essere
stata dolorosa. Ma
un più frequente e influente motivo sembra essere quel
grande principio di
amore, che anche in questo mondo, per quanto sia freddo, è
il più potente
incentivo alla virtù, e che, in un altro, affermerà senza
dubbio in modo molto
superiore il suo dominio. Può essere l’affetto di remoti
parenti,
apparentemente manifestato da qualche antenato, o il più
forte amore di un
fratello per una sorella, di un genitore per un figlio, di
un marito per la
moglie. Si troverà un esempio di quest’ultimo nella
narrazione seguente, che
devo alla gentilezza di amici di Londra; e sebbene in
obbedienza ai desideri
della famiglia, alcuni nomi siano dati con le sole
iniziali, tutti sono a me noti.
Della buona fede dei narratori non è possibile dubitare.
300
IL QUATTORDICI
NOVEMBRE
Nel mese di novembre 1857, il capitano C. W. del 6°
(Inniskilling) Dragoni,
partì per l’India per raggiungere il suo reggimento.
Sua moglie rimase il Inghilterra, a Cambridge. Nella notte
fra il 14 e il 15
novembre 1857, verso il mattino, ella sognò di vedere suo
marito con l’aspetto
ansioso e malato; immediatamente si svegliò, molto
agitata. Vi era un fulgido
chiaro di luna, e, alzati gli occhi, ella vide la stessa
figura a fianco del suo letto.
Appariva in uniforme, le mani premute sul petto, i capelli
scarmigliati e
pallidissimo in volto. I suoi grandi occhi scuri erano
fissi su di lei; e la loro
espressione era di estrema inquietudine, ed egli aveva una
particolare
contrazione della bocca che gli era abituale in stato di
agitazione. Lo vide in
ogni minimo particolare del suo vestito, distintamente
come lo aveva sempre
visto nella realtà; ed ella ricorda di avere notato fra le
sue mani il bianco della
camicia, tuttavia non macchiato di sangue. La figura sembrava
piegarsi in
avanti, come in pena, e fare uno sforzo per parlare; ma
non vi fu alcun suono.
Rimase visibile, a quanto pensa la moglie, per circa un
minuto, poi
scomparve.
La sua prima idea fu di accertarsi di essere ben sveglia.
Si strofinò gli occhi
col lenzuolo e sentì che il contatto era reale. Il suo
nipotino era nel letto con
lei; si chinò sul bambino addormentato e ascoltò il suo
respiro: il suono era
distinto; ed ella si convinse che quello che aveva visto
non era un sogno.
Inutile dire che, per quella notte, non dormì più.
Il mattino racconto tutto alla madre esprimendo la sua
convinzione che,
sebbene non avesse visto macchie di sangue sull’abito, il
capitano W. doveva
essere stato ucciso o gravemente ferito. Era così certa
della realtà della visione
che, da allora, rifiutò ogni invito. Una sua giovane amica
insistette, subito
dopo, per andare a un concerto con lei ricordandole che
aveva ricevuto da
Malta, inviatole da suo marito, un bell’abito che non
aveva ancora indossato.
Ma lei si rifiutò ostinatamente affermando che, incerta
com’era di non essere
già vedova, non sarebbe mai entrata in un luogo di
divertimento prima di
ricevere lettere di suo marito (se era ancora in vita) con
data posteriore al 14
novembre.
Un martedì del mese di dicembre 1857 fu pubblicato a
Londra il
telegramma relativo al vero destino del capitano W. Diceva
che egli era stato
ucciso davanti a Lucknow il quindici di
novembre.
Questa notizia, pubblicata dai giornali del mattino,
attrasse l’attenzione del
signor Wilkinson, un procuratore di Londra che curava gli affari del capitano
W. Quando più tardi questi incontrò la vedova, ella gli
disse di essere stata
301
preparata alla triste notizia, ma di essere sicura che suo
marito non poteva
essere stato ucciso il 15 novembre, perché le era apparso
nella notte tra il 14 e
il 15 (31).
Tuttavia il certificato del Ministero della Guerra,
ottenuto dal signor
Wilkinson, confermò la data indicata dal telegramma; esso
suona così:
Ministero della Guerra
30 gennaio 1858
N° 9579/1
«Si certifica che dai documenti di questo ufficio risulta
che il capitano G.
W., del 6° Guardie Dragoni, è stato ucciso in azione il 15
novembre 1857»
(32).
(Firmato) B. Hawes
Mentre il signor Wilkinson rimaneva incerto circa la data,
avvenne un
notevole incidente che parve gettare nuovi sospetti
sull’esattezza del
telegramma e del certificato. Questo signore fece visita a
un amico, la cui
moglie ha percepito apparizioni per tutta la vita, mentre
suo marito è ciò che
si suole chiamare un medium molto sensibile; fatti che,
tuttavia, sono noti
solo ai loro intimi amici. Sebbene li conosca
personalmente, non sono
autorizzato a dare i loro nomi. Li chiameremo signore e
signora N.
Il signor Wilkinson riferì loro, come caso straordinario,
la visione della
vedova del capitano relativa alla sua morte, e descrisse
la figura quale le era
apparsa. La signora N., volgendosi al marito, disse
subito: «Deve essere la
stessa persona che ho visto quella sera in cui parlavamo
dell’India e tu
disegnasti un elefante con un palanchino sul dorso. Il
signor Wilkinson ne ha
descritto esattamente la posizione e l’aspetto: l’uniforme
di ufficiale inglese, le
mani premute sul petto, il volto chino in avanti come per
sofferenza. La
figura», aggiunse, «apparve proprio dietro mio marito e
sembrava guardare
sopra la sua spalla sinistra».
«Avete tentato di ottenere qualche comunicazione da lui?»
chiese il signor
Wilkinson.
«Sì, ne ottenemmo una attraverso la medianità di mio
marito».
«Ne ricordare il contenuto?».
«Diceva di essere stato ucciso in India quel pomeriggio,
da un colpo al
petto; e ricordo che aggiunse distintamente: “Quella cosa
in cui ero solito
302
andare in giro non è ancora sepolta”. Ricordo in
particolare questa
espressione».
«Quando avvenne, questo?».
«Verso le nove di sera alcune settimane fa, ma non ricordo
la data esatta».
«Non potete ricordare qualche cosa che ci aiuti a
stabilire il giorno
preciso?».
La signora N. rifletté. «Non ricordo nulla», disse infine,
«se non che,
mentre mio marito stava disegnando e io parlavo con un’amica
che era venuta
da noi, fummo interrotti da un domestico che portava il
conto di un certo
aceto tedesco, e che, mentre io lo raccomandavo come
superiore a quello
inglese, ce ne fu portata una bottiglia perché lo
esaminassimo».
«Avete pagato quel conto subito?».
«Sì, ho mandato il denaro
per mezzo del domestico».
«Avete avuto una ricevuta?».
«Credo di sì. La ho al piano di sopra e posso
controllare».
La signora N. mostrò il conto. Il saldo portava la data
del quattordici
novembre.
La conferma della certezza della vedova circa il giorno
della morte di suo
marito fece tanta impressione sul signor Wilkinson, che
egli si rivolse
all’ufficio di Cox e Greenwood, agenti dell’esercito, per
accertare se non vi
fosse un errore nel certificato. Ma nulla parve confermare
una qualsiasi
inesattezza. La morte del capitano W. era menzionata in
due diversi dispacci
di Sir Colin Campbell; e in entrambi la data corrispondeva
a quella fornita dal
telegramma.
Così restarono le cose finché, nel mese di marzo 1858, la
famiglia del
capitano W. ricevette dal capitano G. C. del Treno
Militare una lettera data da
Lucknow il 18 dicembre 1857. Questa lettera informava che
il capitano W. era
stato ucciso davanti a Lucknow, mentre conduceva
valorosamente il suo
squadrone, non il 15 novembre, come riferito nei dispacci
di Sir Colin
Campbell, ma nel pomeriggio del quattordici.
Il capitano C. cavalcava
quel giorno accanto a lui e lo vide cadere. Era stato
colpito al petto da un
frammento di granata e non parlò più dopo essere caduto.
Era stato sepolto a
Dilkoosha; e, su di una croce di legno, eretta dal suo
amico tenente R., del 9°
Lanceri, sulla sua tomba, furono incise le iniziali G. W.
e la data della sua
morte, 14 novembre 1857 (33).
Il Ministero della Guerra fece infine la correzione della
data di morte, ma
solo dopo che fu trascorso un anno. Il signor Wilkinson,
avendo chiesto una
303
seconda copia del certificato nell’aprile del 1859, vi
trovò esattamente le
stesse parole di quello che aveva già avuto, solo che il
14 novembre era stato
sostituito al 15 (34).
Questa straordinaria storia fu ottenuta direttamente da me
dalle parti
stesse. La vedova del capitano W. ha gentilmente
consentito a esaminare e
correggere il manoscritto, e mi ha permesso di esaminare
la lettera del
capitano C. in cui si davano particolari della morte del
marito. Il manoscritto
è stato sottoposto anche al signor Wilkinson il quale ha
riconosciuto la sua
esattezza per quanto lo concerneva. La parte che si
riferisce alla signora N. la
ho ottenuta da lei stessa. Non ho dunque trascurato alcuna
precauzione per
procurarmi una garanzia di autenticità.
E’ forse l’unico esempio conosciuto in cui l’apparizione
di ciò che viene
comunemente detto un fantasma ha fornito i mezzi per
correggere una data
sbagliata nei dispacci di un comandante in capo e di
scoprire una inesattezza
in un certificato del Ministero della Guerra.
E’ inoltre di particolare valore in quanto fornisce un
esempio di doppia
apparizione. Né si può addurre (anche se avesse qualche
peso) che il racconto
di una signora causò l’apparizione della stessa figura
all’altra. La signora W.
era a quel tempo a Cambridge, e la signora N. a Londra; e
solo dopo settimane
seppero ognuna quello che l’altra aveva visto.
Coloro che vogliono spiegare il tutto sulla base della
coincidenza casuale,
devono prendere in considerazione un triplice evento:
l’apparizione alla
signora N., quella alla signora W. e il momento effettivo
della morte del
capitano W., ognuno coincidente esattamente con gli altri.
Gli esempi di apparizioni al momento della morte
potrebbero essere
moltiplicati all’infinito. Molte persone – specialmente in
Germania - che non
credono in nessun altro genere di apparizioni, le
ammettono. Il termine
tedesco per indicare queste apparizioni di persone appena
morte è
Anzeigen.
Per mancanza di spazio devo chiudere l’elenco delle
narrazioni collegate
con presunte apparizioni di defunti presentandone una - e
non certo la meno
notevole - di cui una parte delle prove a sostegno furono
cercate e ottenute da
me stesso.
IL VECCHIO MANIERO
DEL KENT
Nell’ottobre del 1857, e per vari mesi in seguito, la
signora R. (35), moglie
di un ufficiale di alto grado nell’esercito inglese,
risiedette nel maniero di
304
Ramhurst, presso Leigh, nel Kent. Fin dal momento in cui
occupo questa
antica residenza, ogni abitatore della casa fu più o meno
disturbato di notte -
in genere non mai durante il giorno - da colpi e rumori di
passi ma più
particolarmente da voci inesplicabili. Queste ultime
venivano di solito udite in
alcune camere non occupate; talora come se parlassero ad
alta voce, a volte
come se leggessero pure ad alta voce e talora come se
gridassero. La servitù
era molto spaventata. Non videro mai nulla, ma la cuoca
disse alla signora R.
che una volta, in pieno giorno, udendo il fruscio di una
veste di seta dietro di
sé, si era voltata improvvisamente credendo che fosse la
sua padrona, ma, con
sua grande sorpresa e terrore, non vide alcuno. Il
fratello della signora R., un
giovane ufficiale ardito e generoso, amante degli sport e
senza la minima fede
nella realtà delle visioni ultraterrene, fu molto
tormentato da queste voci che,
secondo lui, dovevano essere quelle di sua sorella e di
una sua amica che
chiacchieravano tutta notte. Due volte, quando una voce
che egli credeva
simile a quella della sorella, si elevò fino a un grido,
quasi implorando aiuto, si
precipito fuori della sua stanza, alle due o alle tre del
mattino, con una pistola
in mano, ed entrò in quella della sorella, che trovò
tranquillamente
addormentata.
Il secondo sabato di quell’ottobre, la signora R. andò in
carrozza alla
stazione ferroviaria di Tunbridge per prendere la sua
amica, signorina S., che
aveva invitato a passare alcune settimane con lei. Questa
giovane signora era
abituata fin dalla prima fanciullezza a vedere ogni tanto
apparizioni.
Tornate verso le quattro del pomeriggio, mentre la
carrozza si avvicinava
all’ingresso del maniero, la signorina S. scorse sulla
soglia due figure,
apparentemente una vecchia coppia, in abito settecentesco.
Sembravano
poggiare i piedi a terra. Non udì alcuna voce, e, non
volendo mettere a disagio
l’amica, in quel momento non le disse nulla di tale
apparizione.
Vide più volte le stesse figure, nello stesso abito, nei
dieci giorni successivi,
ora in una stanza della casa, ora in un corridoio, sempre
di giorno. Le
apparivano circondate da un
alone di quella che si chiama solitamente tinta
neutra. La terza volta esse le parlarono affermando di
essere state marito e
moglie, di avere un tempo posseduto e abitato quel maniero
e che il loro nome
era Children. Sembravano tristi e abbattute;
e, quando la signorina S. chiese
la ragione della loro malinconia, risposero di avere
letteralmente idolatrato
quella loro proprietà, di avere accentrato in essa ogni
piacere e ogni orgoglio,
di avere rivolto ogni loro pensiero a migliorarla, e che
li addolorava sapere che
non apparteneva più alla loro famiglia e vederla nelle
mani di estranei che
poco se ne curavano.
Chiesi alla signorina S. come parlavano. Mi
rispose che la loro voce era per
lei udibile come quella di una voce umana, e che ella
credeva fosse udita
305
anche da altri nella stanza vicina. Era indotta a pensarlo
dal fatto che spesso,
in seguito, le avevano chiesto con chi stesse parlando
(36).
Dopo una settimana o due, la signora R., cominciando a sospettare
che
qualche cosa di insolito, collegata con i continui
disturbi della casa, fosse
capitata alla sua amica, la interrogò in proposito; e
allora la signorina S. le
riferì quello che aveva visto e udito descrivendo le
apparizioni e
comunicandole la conversazione tenuta con le figure che si
facevano chiamare
signore e signora Children.
Fino a quel tempo la signora R., sebbene il suo riposo
fosse stato spesso
turbato dai rumori della casa, e sebbene anche lei avesse
di tanto in tanto la
facoltà di percepire apparizioni, non aveva visto nulla; e
nulla le apparve per
tutto il mese successivo. Un giorno, tuttavia, verso la
fine di quel periodo,
quando aveva ormai rinunciato a vedere lei stessa qualche
apparizione, si
stava vestendo in fretta per il pranzo: suo fratello, che
era appena tornato da
una partita di caccia, le aveva gridato con impazienza che
il pranzo era servito
e che lui aveva una gran fame. Portata a termine la sua
toeletta e voltatasi in
fretta per lasciare la stanza, senza pensare a nulla di
spirituale, ecco lì sulla
soglia la stessa figura femminile che la signorina S. le
aveva descritto, identica
nell’apparenza e nel costume, perfino nel vecchio pizzo
del suo abito di seta
braccata, mentre presso di lei, a sinistra, ma meno
distintamente visibile, era
la figura del marito. Non dissero parola, ma sopra la
figura della signora,
come scritte al fosforo nella penombra che la circondava,
erano le parole
«Signora Children» con alcune altre parole
che spiegavano come, non
essendosi mai elevata oltre le gioie e i crucci di questo
mondo, era rimasta
«legata alla terra». La signora R., tuttavia, non indugiò
a decifrare tutte
queste parole, perché un ripetuto appello del fratello,
che si domandava
quando mai sarebbero andati a pranzo quel giorno, la spinse
avanti. La figura,
che occupava la soglia, rimase ferma. Non c’era tempo per
esitare: lei chiuse
gli occhi, si scagliò attraverso la visione ed entro nella
sala da pranzo alzando
le braccia e dicendo alla signorina S.: «Oh, mia cara,
sono passata attraverso
la signora Children».
Fu questa l’unica volta, durante la sua residenza nel
vecchio maniero, che
la signora R. osservò l’apparizione delle due figure.
E bisogna notare che la sua camera da letto, in quel
momento, era
illuminata non solo da candele ma anche da un bel fuoco e
che nel corridoio
che portava alla stanza da pranzo vi era una lampada
accesa.
Questa ripetizione della parola «Children» spinse le due
signore a fare
ricerche tra la servitù e nel vicinato se una famiglia di
quel nome avesse mai
occupato il maniero. Fra coloro da cui esse pensavano di
poter sapere qualche
cosa vi era una signora Sofia O. una governante della
famiglia che aveva
306
passato la vita nelle vicinanze. Ma tutte le ricerche
furono vane: tutti coloro a
cui posero la domanda, compresa la governante,
dichiararono di non avere
mai sentito tale nome. Così esse persero ogni speranza di
potere risolvere il
mistero.
Avvenne tuttavia che, circa quattro mesi dopo, questa
governante, tornata
in famiglia per una vacanza a Riverhead, a circa un miglio
da Seven Oaks, e
ricordando che una delle sue cognate, che abitava presso
di lei, una vecchia di
settant’anni, cinquant’anni prima era stata domestica
presso una famiglia che
allora risiedeva a Ramhurst, le chiese se avesse mai
sentito parlare di una
famiglia di nome Children. La cognata rispose che una
famiglia di questo
nome non occupava il maniero quando vi era stata lei; ma
che si ricordava di
avere conosciuto un vecchio il quale le aveva detto di
avere aiutato, da
fanciullo, a tenere i cani della famiglia Children, che
risiedeva allora a
Ramhurst. La governante, al suo ritorno, comunicò questa
informazione alla
signora R., e così questa fu informata per la prima volta
che una famiglia di
nome Children aveva realmente occupato un tempo il
maniero.
Ebbi tutti questi particolari nel dicembre del 1858,
direttamente dalle
signore stesse, che in quel periodo si trovavano insieme.
Fino a questo punto il caso, quale si. presentava, era
certamente molto
notevole. Ma io decisi, se possibile, di ottenere altre
conferme in proposito.
Chiesi alla signorina S. se l’apparizione le aveva
comunicato altri
particolari relativi alla famiglia. Mi rispose di
ricordarne uno ricevuto da loro,
e precisamente che il nome del marito era Richard.
In un periodo successivo
aveva egualmente ottenuto la data di morte di Richard
Children, che, come le
fu comunicato, era il 1753. Ricordava anche che, una
volta, era apparso con
loro un terzo spirito che essi affermarono essere loro
figlio, ma non diedero il
suo nome. Alle mie successive domande circa i costumi nei
quali i (presunti)
spiriti apparivano, la signorina S. rispose che «erano del
periodo della regina
Anna o di uno dei primi due Giorgi, non sapeva quale
perché la moda in
entrambi i casi era molto simile». Furono queste le sue
precise parole. Né lei
né la signora R., tuttavia, avevano ottenuto qualche
informazione che potesse
confermate o respingere questi particolari.
Essendo stato invitato da alcuni amici residenti presso
Seven Oaks, nel
Kent, a passate con loro la settimana di Natale del 1858,
ebbi una buona
occasione per proseguire le mie inchieste.
Andai con un amico, il signor F., dalla governante,
signora Sofia O. Senza
alludere ai disturbi, le chiesi semplicemente se sapeva
qualche cosa di una
famiglia di nome Children. Mi rispose di saperne molto
poco, eccetto quello
che aveva saputo da sua cognata, e cioè che un tempo
abitavano in un
307
maniero chiamato Ramhurst. Le chiesi se vi era mai stata.
«Sì», mi rispose,
«circa un anno fa, come governante della signora R.». «E
la signora R.», le
chiesi, «sapeva qualche cosa della famiglia Children?».
Rispose che una volta
la sua padrona le aveva rivolto domande in proposito,
desiderando sapere se
quella famiglia aveva mai occupato il maniero, ma che in
quel tempo lei
(signora Sofia) non ne aveva mai sentito parlate: così che
non aveva potuto
darle soddisfazione.
«Come mai», chiesi, «la signora R. supponeva che questa
famiglia avesse
un tempo occupato la casa?».
«Be’, signore, questo non potrei dirvelo. A meno che (e
qui esitò
abbassando la voce) non sia stato mediante una signorina
che stava con la
signora. Avete mai sentito parlare, signore», aggiunse
guardandosi attorno
con aria di mistero, «di quelli che chiamano spiriti
battitori?».
Dissi di averli sentiti nominate.
«Io non ho paura di queste cose», proseguì lei: «Non ho
mai pensato che
potessero farmi del male; e non sono di quelli che credono
ai fantasmi. Ma
allora, di certo, ve ne sono stati in quella vecchia
casa».
«Ah! e che facevano?».
«Colpi, signore, e rumore di passi, e gente che parlava di
notte. Più volte ho
udito le voci quando passavo per il corridoio alle due o
alle tre del mattino per
portare il piccolo alla padrona. Io non credo nei
fantasmi, ma potete essere
sicuro, signore, che ci fu qualche cosa di serio quando il
fratello della padrona
si alzò nel cuore della notte e andò nella stanza della
sorella con la pistola in
pugno. E c’era allora anche un altro fratello, che una
notte salto giù dal letto
affermando che vi erano i ladri in casa».
«Avete mai visto nulla?».
«No, signore, mai».
«E nemmeno gli altri della servitù?».
«Non credo, signore; ma la cuoca era così spaventata!».
«Che cosa le successe?».
«Be’, signore, nulla di male: solo che un mattino stava
inginocchiata per
accendere il fuoco quando balzò su con un grido. Io la
udii e corsi a vedere che
cosa succedeva. “Oh,” dice, “ho sentito il fruscio di una
veste di seta
attraversare la cucina”. “Bene, cuoca”, dico io, “non
posso certo essere stata
io, perché non porto mai vesti di seta”. “No,” dice, e si
mette a ridere; “no,
sapevo che non eravate voi, perché ho udito lo stesso
rumore già tre o quattro
volte; e quando mi guardavo intorno non c’era nessuno”.
308
Ringraziai la buona donna e poi andai a vedere sua
cognata, che confermò
la storia per quello che la riguardava.
Ma, poiché tutto ciò non dava alcun indizio né sul nome di
battesimo, né
sull’epoca in cui il maniero era stato occupato, né
sull’anno in cui il signor
Children era morto, visitai la chiesa e il cimitero di
Leigh, i più vicini alla
proprietà di Ramhurst, e la vecchia chiesa di Tunbridge
facendo ricerche su
questo soggetto. Tutto quello che potei sapere fu che un
certo George Children
lasciò, nel 1718, una distribuzione settimanale di pane ai
poveri, e che un
discendente della famiglia, anche lui di nome George,
morto una quarantina
di anni prima e non residente a Ramhurst, aveva una lapide
di marmo eretta
alla sua memoria nella chiesa di Tunbridge.
Poiché non avevo potuto ottenere nulla né dai sacrestani
né dalle tombe,
un amico mi suggerì che avrei potuto forse avere le
informazioni cercate da un
ecclesiastico dei dintorni. Lo feci e con un ottimo
risultato. Dopo avergli detto
semplicemente che mi ero preso la libertà di andare da lui
per raccogliere
alcuni particolari riguardanti l’antica storia di una
famiglia del Kent, di nome
Children, mi rispose che, cosa singolare, era in possesso
di un documento,
pervenutogli da fonte privata e contenente, a quanto
pensava, proprio i
particolari che cercavo. Me lo mostrò gentilmente, e vi trovai,
fra numerosi
particolari relativi a un altro membro della famiglia,
morto non molti anni
prima, certi estratti dei «documenti Hasted», conservati
nel British Museum,
che erano contenuti in una lettera indirizzata da un
membro della famiglia
Children al signor Hasted. Di questo documento, che può
essere consultato
nella biblioteca del Museo, trascrivo la parte seguente.
«La famiglia Children dimorò per molte generazioni in una
casa chiamata,
dal loro nome, Children, situata in una località detta
Nether Street, o
altrimenti Lower Street, a Hildenborough, nella parrocchia
di Tunbridge.
George Tunbridge di Lower Street, che fu alto sceriffo del
Kent nel 1698, morì
senza discendenza nel 1718 e lasciò per testamento il
complesso dei suoi averi
a Richard Children, figlio maggiore del suo
defunto zio, William Children, di
Hedcorn e ai suoi eredi. Questo Richard Children, che
si stabilì a
Ramhurst, nella
parrocchia di Leigh, sposò Anne, figlia di John Saxby, della
parrocchia di Leeds, dalla quale ebbe quattro figli e due
figlie», ecc.
Così potei accertare che il primo della famiglia Children
che stabilì la sua
residenza a Ramhurst si chiamava Richard e che vi venne
nella prima parte
del regno di Giorgio I. Tuttavia non era dato l’anno della
sua morte.
Quest’ultimo particolare potei accertarlo solo parecchi
mesi dopo, quando
un amico studioso di antichità, al quale parlai delle mie
ricerche, mi disse che
lo stesso Hasted, di cui avevo avuto un estratto dei
documenti, aveva
pubblicato nel 1778 una storia del Kent e che, in
quell’opera, avrei
309
probabilmente trovato l’informazione che cercavo. In
effetti, dopo molte
ricerche, trovai il seguente paragrafo:
«Nella parte orientale della parrocchia di Lyghe (oggi
Leigh), presso il
fiume Medway, vi è un antico edificio chiamato Ramhurst,
un tempo noto
maniero, appannaggio del titolo di Gloucester»...
«Continuò nella famiglia
Culpepper per varie generazioni»... «Passò per vendita a
quello di Saxby, e il
signor William Saxby lo trasferì per vendita ai Children.
Richard Children,
Esq., vi risiedette e morì in possesso di esso nel
1753 all’età di ottantatrè
anni. Gli succedette il suo figlio maggiore, John
Children, di Tunbridge, Esq.,
il cui figlio, George Children, di Tunbridge Esq., è
l’attuale proprietario» (37).
Potei così controllare l’ultimo particolare, la data della
morte di Richard
Children. Appare inoltre da quanto sopra che Richard
Children fu l’unico
rappresentante della famiglia che visse e morì a Ramhurst,
poiché suo figlio
John è indicato non come di Ramhurst ma di Tunbridge.
Dalle memorie
private surriferite avevo già accertato che la sede della
famiglia dopo i tempi
di Richard fu Ferox Hall, presso Tunbridge.
Rimane da dire che, nel 1816, in conseguenza di eventi che
non gettano
alcun discredito sulla famiglia, essa perse tutte le sue
proprietà e fu costretta a
vendere Ramhurst, che fu poi occupata, sebbene spaziosa,
non come
residenza di famiglia ma come fattoria. Io la ho visitata
e chi la occupava mi
assicurò che, eccetto i ratti o i topi, oggi nulla più la
disturba.
Non credo di aver mai trovato, tra quelle che sono
generalmente chiamate
storie di fantasmi, una narrazione meglio autenticata di
questa. Essa, in
realtà, non comprende particolari impressionanti o
romantici, non annunci di
morte, non rivelazioni di omicidi, non circostanze di
terrore o di pericolo; ma
proprio per questo è tanto più credibile: perché non sono
chiamate in giuoco
quelle passioni che sogliono eccitare e sviare
l’immaginazione.
Mi fu comunicata solo quattordici mesi circa dopo gli eventi,
da entrambe
le testimoni principali confermate casualmente, poco dopo,
da una terza.
La posizione sociale e il carattere personale delle due
signore a cui
apparvero le figure impedisce fin dall’inizio ogni idea di
inesattezza volontaria
o di inganno. Le visioni e i suoni di cui danno
testimonianza si presentarono
effettivamente ai loro sensi. Se i loro sensi
rappresentarono loro il falso, è
un’altra questione. La teoria dell’allucinazione deve
essere ancora discussa.
Guardiamo se è applicabile nel presente caso.
La signorina S. vide per prima le figure non nell’oscurità
o di notte, non fra
il sonno e la veglia, non in qualche vecchia camera
considerata infestata, ma
all’aria aperta, mentre stava scendendo da una carrozza,
in pieno giorno. In
seguito, ella non solo le vide, ma udì le loro parole; e
questo sempre di giorno.
310
Sono tuttavia ricordati dei casi in cui i sensi della
vista e dell’udito furono
supposti entrambi allucinati; per esempio quello del Tasso
(38). E se il caso si
fermasse qui, sarebbe questa l’interpretazione che quel
medico sosterrebbe.
Ma alcune settimane più tardi un’altra signora vede
l’apparenza delle
stesse figure. Questo complica il caso. Perché, come
abbiamo mostrato altrove
(39), è generalmente ammesso dagli scrittori medici
sull’argomento che,
mentre i casi di illusione collettiva sono comuni, è
dubbio che sia stato
registrato un solo caso di allucinazione collettiva,
presumendosi che, se due
persone vedono la stessa apparenza, non si tratti di
semplice immaginazione:
vi è in questo un fondamento oggettivo.
E’ vero, e bisogna tenerne conto, che la signorina S.
descrisse l’apparizione
alla sua amica e che, per un certo tempo, quest’ultima si
aspettò di vederla a
sua volta. Questo suggerirà allo scettico, come
spiegazione, la teoria
dell’attenzione aspettante. Ma, in primo luogo, non è mai
stato provato (40)
che una semplice attenzione aspettante possa produrre
l’apparizione di una
figura con tutti i particolari del costume, per non dir
nulla delle lettere
fosforescenti apparse su di essa, che certamente la
signora R. non si
aspettava; secondariamente la signora R. mi affermò
esplicitamente che,
poiché erano passate quattro settimane senza che vedesse
nulla, aveva
rinunciato a qualsiasi aspettativa. Ancor meno possiamo
immaginare che i
suoi pensieri fossero occupati dall’argomento in un
momento in cui, incalzata
da un fratello impaziente e affamato, stava
frettolosamente portando a
termine, in una stanza bene illuminata, la sua toeletta
per il pranzo. Sarebbe
stato difficile scegliere, fra le ventiquattro ore del
giorno, un momento in cui
l’immaginazione fosse meno probabilmente occupata da
fantasie spirituali o
potesse essere meno supposta in un grado di eccitazione
necessaria per
riprodurre (seppure può essere riprodotta) l’immagine
dell’apparizione
descritta.
Ma anche concedendo queste estreme improbabilità, che cosa
dobbiamo
pensare del nome Children comunicato a una signora per il
senso dell’udito e
all’altra per quello della vista?
Il nome è pochissimo comune, ed entrambe le signore mi
assicurarono di
non averlo mai udito prima, per non parlare della loro
completa ignoranza
che una famiglia di tal nome avesse occupato un tempo la
vecchia casa.
Cercarono di chiarire quest’ultimo punto, ma né la servitù
né i vicini poterono
dire loro qualche cosa in proposito. Rimangono per quattro
mesi senza
spiegazione. Alla fine di questo periodo una domestica,
andata a casa sua,
accerta incidentalmente che circa cento anni prima o più,
una famiglia di
nome Children occupava proprio quella casa.
311
Che cosa può avere a che fare con tutto questo
l’immaginazione o
l’aspettativa? Le immagini delle due figure possono essere
considerate, per
quanto riguarda le due signore, allucinazioni; ma rimane
il nome, tenace
legame, a collegarle con il mondo reale.
Se anche volessimo argomentare - cosa che nessuno crederà
- che la
coincidenza del nome di famiglia fu semplicemente casuale,
rimangono da
spiegare altre coincidenze prima che tutte le difficoltà
siano superate. Vi é il
nome di battesimo oltre al nome di famiglia: Richard
Children; v’è la data
indicata dal costume: “il regno della regina Anna o uno
dei primi Giorgi”, e
infine vi è l’anno della morte di Richard Children.
Queste signore mi fecero la loro comunicazione senza
sapere, al momento,
la realtà dei fatti. Tali fatti io li ho in seguito
riesumati, ottenendo in un
documento conservato al British Museum la prova che
Richard Children
aveva effettivamente ereditato la proprietà di Ramhurst
nel quarto anno di
regno di Giorgio I e aveva fatto del maniero di Ramhurst
la sua residenza di
famiglia. E fu l’unico rappresentante della famiglia che
visse e morì in quella
località. Suo figlio John può esservi risieduto per
qualche tempo, ma, prima
della morte, aveva lasciato il luogo per un’altra dimora
presso Tunbridge.
Poi vi è la circostanza che delle disgrazie costrinsero i
discendenti, di
Richard Children a vendere la proprietà di Ramhurst e che
la casa dei loro
antenati, passando in mani estranee, fu degradata (come
Richard avrebbe
senza dubbio considerato) a semplice fattoria. Tutto
questo concorda con le
comunicazioni fatte.
In tali circostanze è perfettamente inutile parlare di
fantasie o di
coincidenza fortuita. Qualche cosa di diverso
dall’immaginazione e dal caso,
sia quello che sia, determinò le minute indicazioni
ottenute dalle apparizioni
del vecchio maniero del Kent.
La lezione insegnata da questa storia - se ammettiamo che
le figure
presentatesi alle due signore siano state realmente le
apparizioni della
famiglia Children - è che un delitto non è necessario per
attrarre nuovamente
sulla terra gli spiriti dei defunti; che una forma mentale
di tipo
esclusivamente terreno, un carattere che non abbia mai
rivolto un pensiero a
qualche cosa di superiore a questa terra e si sia
preoccupato solo di ciò che
possedeva e dei suoi guadagni, può egualmente trarre giù
lo spirito, per
quanto libero dal corpo, a raccogliere difficoltà e pene
sulla scena delle sue
preoccupazioni di un
tempo. Se è così, a quanto maggior ragione non
dobbiamo permettere che il presente e il temporale,
sebbene necessari e
opportuni a loro tempo e luogo, ci occupino così
totalmente da usurpare il
posto del futuro e dello spirituale escludendo da essi
ogni pensiero!
312
Non voglio anticipare il giudizio che il lettore può dare
sulle prove che ho a
lui sottoposto. Se egli viene alla conclusione che, in
nessuno dei precedenti
esempi vi è alcuna prova che una realtà oggettiva, quale
che sia la sua natura,
è stata presentata ai sensi degli osservatori, allora
farebbe bene a considerare
se la regola delle prove secondo le quali è giunto a
questa conclusione, una
volta applicata alla storia sacra o profana, non
cancellerebbe nove decimi o
più di tutto ciò in cui .siamo abitati a credere come base
della deduzione
storica e del credo religioso.
Se, d’altra parte, adottando in questa investigazione le
stesse regole seguite
giorno per giorno, nella vita ordinaria, nell’esaminare le
testimonianze da cui
siamo diretti, il lettore deciderà che deve essere ammessa
qualche altra cosa
oltre l’allucinazione, e che i sensi di alcuni di questi
osservatori ricevettero
effettive impressioni prodotte da una realtà esterna,
rimane il problema di
quale precisa natura sia questa realtà. Daniel Defoe ha su
questo soggetto
un’opera elaborata, illustrata da molti esempi, alcuni dei
quali, bisogna
ammetterlo, mostrano piuttosto quel talento inimitabile
che fece di Robinson
Crusoe una delle più vive realtà dell’infanzia, che non
quella prosaica
precisione che non disprezza i nomi, le date e le
garanzie.
L’opinione di Defoe è: «Il problema non è, a mio parere,
se gli abitanti
degli spazi invisibili vengano realmente o no, in questo
mondo, ma chi sono
coloro che vengono» (41).
Dalla «volgarità di alcune delle occasioni in cui spesso
queste cose
avvengono» egli deduce che non può trattarsi di veri e
propri angeli come
quelli che apparvero a Gedeone o a Davide. «Ecco qui»,
egli dice, «una
vecchierella defunta che ha un po’ di denaro nascosto
nell’orto o in giardino; e
una supposta apparizione arriva e lo rivela conducendo sul
luogo la persona a
cui appare e facendo segno che bisogna scavare lì per
trovare qualche cosa.
Oppure muore un uomo lasciando un legato al tale o al tal
altro, l’esecutore
non paga e arriva un’apparizione che lo perseguita finché
non ha fatto
giustizia. E’ verosimile che un angelo sia mandato dal
cielo per ritrovare la
scodella della vecchia con dentro trenta o quaranta
scellini, o che un angelo
sia mandato a tormentare quell’uomo per una eredità di
cinque o dieci
sterline? E quanto a un diavolo, come possiamo accusare
Satana di darsi tanta
pena perché venga fatta giustizia? Quelli che lo conoscono
dovrebbero
guardarsi dal giudicarlo così severamente» (pag. 34).
«E nemmeno», egli argomenta, «può essere l’anima o lo
spettro di un
defunto, perché se l’anima è felice, è forse ragionevole credere
che la felicità
dei cieli possa essere interrotta per cose così triviali e
fatti così frivoli? Se
l’anima è infelice, ricordiamoci del grande abisso: non vi
è ragione di credere
313
che queste anime dannate abbiano il tempo e la libertà di
tornare sulla terra
per commissioni di questo genere».
L’idea di un Ade, o di uno stato intermedio, evidentemente
non era passata
per la mente di Defoe; e così egli si trovò dinanzi a un
dilemma. «Non vi è
altro», egli dice, «se non questa difficoltà in entrambi i
casi. Le apparizioni
esistono, non vediamo modo di dubitare della realtà di
questo punto; ma che
cosa siano, chi siano e di dove vengano è una difficoltà
che non so come
risolvere se non supponendo l’esistenza, nel mondo invisibile,
di una classe
apposita di spiriti stazionari che vengono a noi e ci
appaiono in queste
occasioni. Questi abitanti dell’invisibile, o spiriti
(potete chiamarli angeli, se
volete: corpi non sono e non possono essere, né mai essi
sono stati incarnati),
quali che siano, hanno il potere di parlare con noi e
possono, mediante sogni,
impulsi e forti avversioni, sommuovere i nostri pensieri,
dare speranze,
sollevare dubbi, abbattere oggi le nostre anime,
sollevarle domani e agire in
molti modi sulle nostre passioni e i nostri affetti» (42).
Dice anche: «Gli spiriti di cui parlo devono essere nati
in cielo: compiono
un lavoro celeste e sono onorati da questo speciale
incarico; sono impiegati
nell’immediata attività divina, di provvedere cioè al bene
comune dell’uomo»
(43).
Se non vi è uno stato intermedio nel quale lo spirito
entra al momento della
morte e dal quale può occasionalmente tornare, l’ipotesi
di Defoe può essere
buona come un’altra. Ma, se ammettiamo uno Sheol o un Ade,
evitando così
ogni necessita di turbare l’estatica felicità dei cieli o
di fuggire dall’abisso e
dalle solide catene dell’inferno, perché dovremmo
rifiutare la vita più piana e
respingere l’ipotesi più diretta che, se Dio permette
realmente le apparizioni,
queste siano quello che dicono di essere? Perché dovremmo
gratuitamente
creare, per l’occasione, una non descritta specie di
spiriti, non uomini e un
poco meno che angeli, protettori che simulano, custodi che
mentono, ministri
di Dio che ingannano gli uomini assumendo false forme
apparendo all’uno
come una zia, all’altro come una nonna, ora impersonando
un omicida che
chiede preghiere, ora facendo la parte di un assassinato
che invoca pietà? E’
questa un’opera di Dio? Sono queste delle. autentiche
credenziali di origine
divina, delle plausibili prove di un incarico divino?
Rimane il problema dell’esistenza di uno stato intermedio
dal quale si può
supporre che gli spiriti umani che hanno subito il grande
cambiamento,
possono avere ogni tanto la possibilità di tornare in
terra. Prima di affrontare
questo argomento, mi soffermò per aggiungere alcuni esempi
di quelle che
sembrano visite da sfere sconosciute, interferenze di cui
alcune assumono
l’aspetto di una retribuzione, altre di una protezione,
tutte di un peculiare
carattere personale.
314
Note
(1) Corinzi, XV, 44. La frase non è «un corpo naturale e
uno spirito»; ma è
detto espressamente: «Vi è un corpo naturale e vi è un corpo
spirituale».
(2) Corinzi, XII, 2.
(3) Il reverendo dott. George Strahan, nella prefazione
alla sua raccolta di
Prayers and Meditations (Preghiere e meditazione) del suo amico dott.
Samuel Johnson (Londra 1785). ha il seguente passo:
«L’improbabilità sorgente dalla rarità dei fatti e dalla
singolarità della loro
natura, non costituisce una prova in contrario: è una
presuntiva ragione di
dubbio troppo debole per opporsi alla convinzione indotta
da positive e
credibili testimonianze, come quelle che sono state
portate alle spettrali
riapparizioni di defunti». ... «Una vera relazione che uno
spirito è stato visto
può dare occasione e nascita a molte false relazioni di
fatti simili; ma
l’universale e spontanea testimonianza di una casualità
soprannaturale non
può sempre essere falsa. Uno spirito che si palesa è un
prodigio di natura
troppo singolare per divenire soggetto di una comune
invenzione». ... «Per
una mente non influenzata da pregiudizi popolari, sarebbe
appena possibile
credere che delle apparizioni siano state garantite in
tutti paesi se non fossero
state mai viste».
(4) Intellectual Repository, aprile 1840.
pagg. 151-62.
(5) Vie de J. F. Oberlin, di Stöber, pag.
223.
(6) Il manoscritto era intitolato Journal des
apparitions et
instructions par rêves (Diario delle apparizioni e istruzioni in sogno).
(7) La parola usata era entretiens.
(8) Questa sembra essere stata l’opinione di Jung
Stilling, che Oberlin
conosceva bene. Vedi Theorie des Geisterkunde,
paragrafo 3.
(9) L’aneddoto è tratto dalla Vita di Lorenzo de’
Medici di William
Roscoe, cap. X.
(10) Provincial Glossary and Popular Superstitions (Glossario
provinciale e superstizioni popolari) di Francis Grose,
seconda edizione,
Londra 1799, pag. 10.
(11) Vedi il capitolo sui sogni.
315
(12) A Portion of the Journal kept by Thomas Raikes,
Esq., from
1831 to 1847 (Parte
del diario tenuto da Thomas Raikes Esq. dal 1831 al
1847). seconda edizione Londra, 1856, vol. I, pag. 131.
(13) Estratto da una lettera in mio possesso inviatami dal
dott. Ashburner,
datata Hyde Park Place, N. 7, Londra, 12 marzo 1859.
(14) Estratto da una lettera indirizzatami dal signor
Howitt, datata
Highgate, 28 marzo 1859.
(15) Ho letto questa relazione alla signora F. e vi ho
fatto alcune correzioni
dietro suo suggerimento, dopo di che ella la ha giudicata
esatta in ogni
particolare.
(16) Signs before Death (Avvisi prima della
morte) raccolti da Horace
Welby, Londra 1825. pagg. 77-82.
(17) On the Truths contained in Popular
Superstitions (Verità
contenute nelle superstizioni popolari) di Herbert Mayo, professore di
anatomia e fisiologia nel King’s College, terza edizione,
Edimburgo e Londra,
1841, pagg. 63-64.
(18) Il tenente Gore qui menzionato, nel 1823 aveva
raggiunto il grado di
tenente colonnello e fu allora mandato di guarnigione a
Quebec. Il 3 ottobre
di quell’anno, essendo sorta una discussione
sull’apparizione di Wynyard
durante una riunione tenuta nella casa del defunto Capo di
Giustizia Sewell,
che risiedeva a Quebec, sulla Esplanade, Sir John Harvey,
aiutante generale
delle forze del Canada, chiese per iscritto al colonnello
Gore alcuni
chiarimenti sul soggetto. Questo ufficiale rispose lo
stesso giorno e le sue
affermazioni confermano tutti i particolari qui dati,
almeno per ciò che lo
riguarda. Egli aggiunge che «lettere dall’Inghilterra
portarono la notizia della
morte di John Wynyard avvenuta la stessa notte in cui suo
fratello e
Sherbroke videro la sua apparizione». Le domande rivolte
al colonnello Gore
e le sue risposte sono date per esteso in Notes and
Queries del 2 luglio
1859, n. 183. pag. 14. Il colonnello è qui accusato di
inesattezza per aver
parlato del tenente Wynyard, nel 1785, come se fosse stato
capitano.
(19) Vi è qui una lieve ma importante variante nel
racconto del colonnello
Gore. Egli riferisce questo incidente in sostanza come lo
abbiamo riferito; ma
dice che la persona che attrasse l’attenzione di Sherbroke
suscitando in lui
l’esclamazione «Mio Dio!» era un signore che crede si
chiamasse Hayman e
che «era così simile a John Wynyard da essere preso spesso
per lui tanto più
che affettava di vestirsi come lui». Aggiunge che questo
improvviso
riconoscimento indusse Villiam Wynyard (poi vice aiutante
generale), che in
quel momento stava passeggiando con Sherbroke, a credere
nella «storia del
fantasma».
316
Il punto essenziale è che Sherbroke incontro a Londra, e
riconobbe come
controparte dell’apparizione, una persona, fratello o no,
che assomigliava
esattamente all’ufficiale defunto. E in questo tutti i
racconti concordano.
(20) La sua morte è annunciata nel Blackwood’s
Magazine del giugno
1830.
(21) Estratto da una lettera inviatami dal capitano Henry
Scott in data 26
gennaio 1859.
(22) Il nome del fratello era John Otway Wynyard; al tempo
della sua
morte, 15 ottobre 1785, era tenente nel 3° reggimento
delle Guardie a piedi.
(23) A Parigi, l’11 maggio 1859.
(24) Historical Memoirs of my Own Time (Memorie
storiche del mio
tempo), di Sir N. William Wraxall, Londra, 1815, pagg.
218-26.
(25) Vedi Libro III, cap. 2 della Veggente di
Prevorst. I fatti, come
abbiamo gia detto, avvennero presso Löwenstein, nel regno
di Wurtemberg. Il
dott. Kerner, la veggente e la sua famiglia erano
protestanti.
(26) Die Seherin von Prevorst, di Justinus
Kerner, Stoccarda e
Tubinga, quarta edizione 1846, pagg. 367-374.
(27) In un capitolo successivo (sul Cambiamento dopo la
morte) avrò
occasione di parlare della dottrina - vagamente concepita
dagli antichi,
adottata in modo più definito dagli Ebrei e universalmente
accolta dal
cristianesimo primitivo - di ciò che è comunemente
chiamato uno stato
intermedio dopo la morte, uno stato in cui possono essere
ricevuti
ammaestramenti, in cui il pentimento può ancora operare e
in cui gli errori
della vita presente possono essere corretti in una vita
futura.
Non pochi dei primi Padri cristiani furono dell’opinione
che il Vangelo fu
predicato, da Cristo e dagli apostoli, sia per i morti che
per i vivi: tra di essi
Origene e Clemente Alessandrino. Quest’ultimo esclama:
«Come? La Scrittura
non rivela forse che il Signore ha predicato la buona
novella a coloro che
perirono nel Diluvio, a coloro che erano legati, in
prigione o in custodia? Mi è
stato mostrato che gli apostoli, a imitazione del Signore,
predicarono il
vangelo a coloro che erano nell’Ade». Citato da Sears, Foregleams
of
Immortality (Barlumi
di immortalità), pag. 264.
(28) Seherin von Prevorst, pag. 324.
L’intera opera ripagherà
un’attenta lettura.
(29) Anatomy of Sleep del medico Edward
Binns, pagg. 462-63.
(30) Comunicatomi, in data 25 aprile 1859, in una lettera
del reverendo
dott. ..., il quale mi informa che la relazione è stesa
con le stesse parole, per
317
quanto possa ricordare, con le quali il narratore, suo
fratello, gliela riferì.
Sebbene non mi sia stato permesso di stampare il nome del
reverendo, mi è
stata data licenza di fornirlo privatamente in qualsiasi
caso potesse essere
utile ad appoggiare la causa per la quale queste pagine
sono state scritte.
(31) La differenza di longitudine fra Londra e Lucknow è
di circa cinque
ore, così che le tre o le quattro del mattino a Londra
corrispondono alle otto o
alle nove a Lucknow. Ma, come si vedrà in seguito, il
capitano W. fu ucciso nel
pomeriggio e non nel mattino. Se fosse dunque caduto il
15, la sua apparizione
alla moglie sarebbe avvenuta alcune ore prima del
combattimento in cui era
stato ucciso, quando era ancora vivo e in buona salute.
(32) In questo certificato, di cui posseggo l’originale,
vi è un errore. Il
capitano G. W. era del 6° (Inniskilling) Dragoni e non del
6° Guardie Dragoni.
(33) Al tempo della sua morte il capitano W. non serviva
nel suo
reggimento, che si trovava allora a Meerut. Appena
arrivato dall’Inghilterra a
Cawnpore, aveva offerto i suoi servigi al colonnello
Wilson del 64°. Dapprima
fu respinto, poi accettato, e si unì al Treno Militare che
partiva allora per
Lucknow. Cadde combattendo nelle loro file.
(34) Gli originali di entrambi i certificati sono in mio
possesso: il primo
recante la data 30 gennaio 1858 e recante, come abbiamo
visto, il 15; il
secondo datato 5 aprile 1859 e recante il 14.
(35) Le iniziali dei due nomi qui dati non sono quelle
vere; ma io ho il
piacere di conoscere personalmente entrambe queste
signore.
(36) Questo, tuttavia, non è conclusivo. Può darsi che sia
stata udita solo la
voce della signorina S. e non le risposte - sebbene udite
da lei - date dalle
apparizioni. Visibili per lei non lo erano per gli altri.
Udibili per lei possono
non esserlo state per gli altri.
(37) Ossia nel 1778, quando l’opera fu pubblicata. Vedi
per queste citazioni
la History of Kent di Hasted, vol. I, pagg.
422-23.
(38) Essay towards a Theory of Apparitions (Saggio
per una teoria
delle apparizioni), del medico John Ferriar, Londra 1813,
pag. 75.
(39) Vedi Libro IV, cap. I.
(40) Sembra, se mai, il contrario.
(41) Universal History of Apparitions, di
Andrew Moreton Esq.,
terza edizione, Londra 1738 pag. 2. I biografi di Defoe
attribuiscono a lui
questa opera. La prima edizione apparve nel 1727.
(42) Universal History of Apparitions, pag.
35.
(43) Opera citata, pag. 52.
318
LIBRO V - INDICAZIONI DI INTERFERENZE PERSONALI
1 - Retribuzione
Fin dai tempi di Oreste, l’idea di un agente spirituale
retributivo e
inevitabile è prevalsa, in certe forme, nel mondo intero.
Se oggi non crediamo
nelle Furie dai capelli serpentini, ministre della divina
vendetta, che
perseguitano con i loro pungiglioni di scorpioni il
criminale prostrato,
parliamo correttamente dei giudizi di Dio, che si
presentano in qualche rapida
e improvvisa punizione colpendo, come per diretto ordine
del Cielo, la colpa
impenitente.
D’altra parte il cristianesimo sanziona, in linea
generale, l’idea di una guida
spirituale che dirige i passi dell’uomo per preservarlo da
pericoli imprevisti. Il
protestantesimo, in realtà, non ammette la dottrina dei
santi patroni, ai quali
si possono rivolgere preghiere opportune e dai quali ci si
può
ragionevolmente aspettare un aiuto. Tuttavia dobbiamo
negare non solo
l’autorità di san Paolo, ma anche, sembrerebbe, quella del
suo Maestro, se
respingiamo la teoria degli spiriti protettori e custodi,
che guidano
l’inesperienza dell’infanzia e assistono almeno una parte
favorita del genere
umano (1).
Tra le relazioni moderne di pretese influenze ultraterrene
troviamo
indicazioni che favoriscono, in certa misura, entrambe le
idee: quella di un
castigo per il male fatto e quella di una vigilanza
esercitata per il bene
dell’uomo. Quest’ultima è più frequente e più nettamente
marcata della
prima. Non vi è nulla che sembri dar corpo all’idea di una
facoltà di infliggere
gravi punizioni, e ancor meno alla nozione di una vendetta
implacabile (2). Il
potere contro colui che agisce male sembra essere molto
limitato giungendo
non oltre un semplice fastidio di lieve effetto, a meno
che la coscienza non
renda più dolorosa la pena. D’altro lato il potere di
guidare e proteggere
appare non solo più comune ma anche più influente;
tuttavia con i suoi limiti,
così come un saggio genitore può agire sulla libera azione
di un figlio. Se
vengono dati degli avvertimenti, questo avviene piuttosto
nella forma di
oscuri accenni, di vaghe ammonizioni, che di precise
profezie. Se vengono
suggerite regole di azione, queste sono di carattere
generale, tali da non
liberare il pupillo spirituale dal dovere di prevedere e
dal compito di decidere,
e neppure da permettergli di rallentare l’impiego di
quella ragione senza il cui
319
costante esercizio egli sarebbe presto degradato dalla sua
condizione presente
a quella di animale.
Gli esempi moderni a cui ho fatto riferimento sono più o
meno definiti nel
loro carattere.
Fra le narrazioni, a esempio, che sembrano implicare
un’attività
retributiva, il dott. Binns ne garantisce una che ammette
varie interpretazioni.
La definisce «un notevole caso di giustizia retributiva
che avvenne molto
recentemente in Giamaica». La storia è la seguente:
«Una giovane e bella mulatta, di nome Duncan, fu trovata
uccisa in un
luogo appartato, a pochi passi dalla strada principale.
Dalle prove ottenute
durante l’inchiesta risultò chiaramente che era stata
violentata prima di
essere uccisa. Fu offerta una grossa ricompensa per ogni
informazione che
potesse portare all’arresto dell’omicida; ma passò quasi
un anno senza che si
potesse ottenere alcun indizio. Avvenne che, trascorso
questo periodo, due
negri chiamati Pendril e Chitty, fossero imprigionati
separatamente per
piccoli reati, l’uno nel Penitenziario di Kingston, nel
sud, l’altro nella prigione
di Falmout, sul lato nord dell’isola. Nessuno di loro
sapeva
dell’imprigionamento dell’altro e la distanza fra le
prigioni era di ottanta
miglia. Ognuno di loro divenne inquieto e si mise a
parlare nel sonno,
comportandosi di continuo come se fosse in presenza della
fanciulla uccisa e
pregandola di lasciarlo. Questo avvenne così di frequente
da provocare
un’inchiesta che si concluse con l’incriminazione dei due
uomini» (3).
Il caso può essere considerato o come un esempio di sogni
sincroni
accidentali, o anche come un’apparizione che si presentasse
simultaneamente, o quasi, ai sensi addormentati dei due
uomini distanti l’uno
dall’altro. La prima è una spiegazione che può essere
supposta. Si può
concepire che la coscienza abbia perseguitato i pensieri
di uomini colpevoli di
una tale infamia. Ma che per entrambi, distanti e senza
relazioni reciproche, e
dopo un anno, i ricordi abbiano assunto la stessa forma, e
nello stesso tempo,
per semplice coincidenza, è certo possibile ma molto
improbabile.
E perché dovremmo considerare inverosimile che operasse,
in questa
occasione, un qualche agente diverso dal caso? Sappiamo
che in sogno
vengono dati avvertimenti: perché non dovrebbero anche
essere dati castighi?
Ma, poiché tale caso presenta due possibili
interpretazioni, passiamo a un
altro di carattere meno dubbio.
QUELLO CHE DOVETTE
SOPPORTARE UN’ATTRICE FRANCESE
320
Mademoiselle Claire-Josèphe Clairon fu la grande tragica
Francese del
secolo scorso. Ella aveva, ai suoi tempi, una posizione
simile a quella che ha
oggi la Rachel. Marmontel fu uno dei suoi più caldi
elogiatori, e i suoi talenti
furono celebrati in versi di Voltaire.
La sua bellezza, la sua grazia, il suo genio le
accattivarono molti ammiratori
entusiasti, gli uni con affermazioni di amicizia, gli
altri con profferte di amore.
Fra questi ultimi, nell’anno 1743, v’era un giovane,
Monsieur de S., figlio di un
mercante di Brittany, il cui attaccamento sembra essere
stato della più
profonda devozione.
Le circostanze collegate con la morte di questo giovane e
gli eventi che
seguirono sono straordinari; ma ci sono giunti di prima
mano e molto bene
autenticati essendo descritti nei particolari della stessa
Mademoiselle Clairon
nella autobiografia, da cui traduco la parte essenziale
del racconto.
«Il linguaggio e i modi di Monsieur de S. dimostravano un’eccellente
educazione e l’abitudine all’alta società. Il suo riserbo,
la sua timidezza che gli
impedivano ogni iniziativa eccetto alcune piccole
attenzioni e il linguaggio
degli occhi, mi indussero a distinguerlo dagli altri. Dopo
averlo incontrato
spesso in società, gli permisi infine di venirmi a
visitare nella mia casa, e non
gli nascosi l’amicizia che mi ispirava. Potendomi vedere
liberamente e bene
inclinata verso di lui, si contentò di essere paziente
aspettando che il tempo
potesse creare in me un sentimento più ardente. Non saprei
dire - chi lo
potrebbe? - quale sarebbe stata la conclusione. Ma, quando
cominciò a
rispondere candidamente alle domande che la mia ragione e
la mia curiosità
gli presentavano, distrusse lui stesso le possibilità che
aveva. Vergognandosi
di essere un semplice cittadino, aveva cambiato i suoi
beni in moneta corrente
ed era venuto a Parigi per spendere il suo denaro imitando
un rango superiore
al suo. Questo mi dispiacque. Chi arrossisce di sé si fa
disprezzare dagli altri.
Inoltre era un temperamento malinconico e misantropo:
diceva di conoscere
troppo bene gli uomini per non disprezzarli ed evitarli.
Progettava di non
vedere altri che me e di portarmi via in un luogo dove
potessi vedere soltanto
lui. Questo, come si può immaginare, non mi conveniva
affatto. Io volevo
essere guidata da un nastro fiorito, non essere messa in
catene. Da questo
momento vidi la necessita di distruggere interamente le
speranze da lui
nutrite e di cambiare le sua assiduità di ogni giorno in
visite occasionali,
poche e distanziate. Questo gli provocò una grave
malattia, durante la quale
gli fu vicina con ogni possibile attenzione. Ma i miei
costanti rifiuti
aggravarono il suo caso; e, disgraziatamente per il povero
ragazzo, suo
cognato, a cui aveva affidato la cura dei propri beni,
venne meno ai suoi
versamenti, così che fu costretto ad accettare lo scarso
sostegno dei miei
contanti per avere cibo e assistenza medica». ... «Infine
rientrò in possesso
321
dei suoi averi, ma non della salute; e, volendo per il suo
bene, tenerlo lontano
da me, rifiutai fermamente le sue lettere e le sue visite.
«Passarono due anni e mezzo dal tempo della nostra prima
conoscenza a
quello della sua morte. Nei suoi ultimi momenti mandò a
pregarmi di
concedergli la felicità di vedermi ancora una volta; ma i
miei amici mi
dissuasero dal farlo. Morì senza avere vicino altri che i
suoi servitori e una
vecchia signora che per qualche tempo era stata la sua
sola compagnia. I suoi
appartamenti erano sul Rempart, presso la Chaussée
d’Antin; i miei in Rue de
Bassy, presso il monastero di Saint-Germain.
«Quella sera mia madre e vari amici erano a cena da me, e
fra loro
l’Intendente dei Menus-Plaisirs, di cui ho sempre
richiesto l’aiuto
professionale, quella brava persona di Pipelet, e Rosely,
un mio collega,
giovane di buona famiglia, spiritoso e di talento. La cena
fu allegra. Io avevo
appena finito di cantare per i miei ospiti, ed essi mi
applaudivano, quando,
appena furono suonate le undici, si udì un grido acuto. Il
suo tono angoscioso
e la sua lunghezza ci sbigottirono tutti. Io venni meno e
rimasi per un quarto
d’ora totalmente priva di conoscenza». ... «Quando tornai
in me, li pregai di
restarmi vicini per una parte della notte. Parlammo
parecchio dello strano
grido; e decidemmo di mandare qualcuno nella strada così
per scoprirne la
causa e l’autore nel caso che si ripetesse.
«Ogni notte successiva, sempre alla stessa ora, lo stesso
grido si ripeté
risuonando immediatamente sotto le mie finestre, come se
provenisse
dall’aria. Il mio personale, i miei ospiti, i vicini, la
polizia, tutti lo udirono
egualmente. Non ebbi dubbi che era rivolto a me. Raramente
cenavo fuori
casa, ma quando lo facevo non si udiva nulla; e più volte,
tornando dopo le
undici, mentre chiedevo a mia madre o alla servitù se si
era udito qualche
cosa, immediatamente risuonò in mezzo a noi.
«Una sera il Presidente de B., col quale avevo cenato, mi
accompagnò a
casa e, nel momento in cui mi augurava la buona notte
sulla porta del mio
appartamento, il grido echeggiò fra lui e me. Egli
conosceva la storia, perché
tutta Parigi la conosceva; tuttavia fu portato alla sua
carrozza più morto che
vivo.
«Un altro giorno pregai il mio collega Rosely di
accompagnarmi dapprima
in Rue Saint-Honoré per fare alcune compere, poi dalla mia
amica
Mademoiselle de Saint P., che abitava presso la Porte
Saint-Denis. L’unico
argomento della nostra conversazione per via fu il mio
fantasma, come ero
solito chiamarlo. Il giovane, brillante e miscredente, mi
pregò di evocare il
fantasma promettendomi di crederci se il grido si
ripeteva. Non so se per
debolezza o audacia, cedetti alla sua richiesta. Subito,
per tre volte, il grido
risuonò, rapido e terribile nel suo ripetersi. Quando
arrivammo alla casa della
322
mia amica, Rosely e io dovemmo esservi trasportati a
braccia. Eravamo
distesi, privi di sensi, nella carrozza.
«Dopo questa scena, per alcuni mesi non udii più nulla; e
cominciavo a
sperare che il disturbo fosse cessato. Ma mi sbagliavo.
«Erano state disposte delle recite teatrali a Versailles,
in occasione delle
nozze del Delfino. Dovevamo rimanere lì tre giorni. Gli
alloggi erano scarsi.
Madame Grandval non lo aveva. Aspettammo gran parte della
notte nella
speranza che gliene fosse assegnato uno. Alle tre del
mattino le offrii uno dei
due letti della mia stanza, che era nell’Avenue de
Saint-Cloud. Lei accettò. Io
occupai l’altro letto; e, mentre la mia cameriera si
spogliava per coricarsi
accanto a me, io le dissi: “Qui siamo ai confini del
mondo, e con un tempo così
orribile! Credo che il fantasma sarebbe molto imbarazzato
nel trovarci qui”.
In quell’istante lo stesso grido! Madame Grandval credette
che l’inferno si
fosse scatenato nella stanza. In camicia da notte si
precipito giù per le scale,
da cima a fondo. Quella notte nessuno nella casa chiuse
occhio. Tuttavia fu
l’ultima volta che lo udii.
«Sette o otto giorni più tardi, mentre chiacchieravo col
mio solito circolo di
amici, il battere delle undici fu seguito da un colpo di
moschetto, che
sembrava sparato a una delle mie finestre. Ognuno di noi
udì la detonazione,
ognuno di noi vide il lampo; ma la finestra non fu
danneggiata. Concludemmo
che era stato un attentato alla mia vita; per questa volta
era fallito, ma
bisognava prendere delle precauzioni per il futuro.
L’Intendente si affrettò ad
andare dal signor de Marville, il Luogotenente di Polizia,
suo personale
amico. Furono mandati immediatamente degli ufficiali a
esaminare le case
davanti alla mia. Nei giorni successivi esse vennero
vigilate da capo a fondo.
Anche la mia casa fu completamente ispezionata. La strada
fu riempita di
osservatori. Ma, a dispetto di tutte queste precauzioni,
per tre interi mesi ogni
sera, alla stessa ora, fu udito e visto lo stesso colpo di
moschetto diretto
contro i vetri della stessa finestra; e tuttavia nessuno
riusciva a scoprire donde
provenisse. Questo fatto è attestato dalla sua relazione
ufficiale sui registri
della polizia.
«A poco a poco, in un certo modo, mi abituai al mio
fantasma, che
cominciai a considerare un buon diavolo dato che si accontentava
di scherzi
che non producevano gravi danni; e una sera molto calda,
senza badare
all’ora, l’Intendente e io, dopo avere aperto la finestra
infestata, ci
sporgevamo dal balcone. Batterono le undici; seguì
immediatamente la
detonazione e ci proiettò mezzi morti nel mezzo della
stanza. Quando ci
riprendemmo e trovammo che nessuno di noi era ferito,
cominciammo a
confrontare le nostre impressioni, e dovemmo riconoscere
di avere ricevuto,
323
lui sulla gota sinistra e io sulla destra, un grande schiaffo
tirato a tutta forza.
Scoppiamo entrambi a ridere.
«Il giorno dopo non successe nulla. Quello successivo,
avendo ricevuto un
invito da Mademoiselle Dumensil a una festa notturna in
casa sua, presso la
Barrière Bianche, salii in vettura da nolo con la mia
cameriera alle undici.
V’era un bel chiaro di luna e costeggiammo i Boulevards,
che cominciavano
allora a essere costruiti. Guardavamo fuori dal finestrino
le case in
costruzione, quando la cameriera mi disse: “Non è da
queste parti che è morto
Monsieur de S.?”. “Da quanto mi hanno detto”, risposi,
“deve essere stato in
una di queste case che abbiamo di fronte”, e le indicai.
In quel momento lo
stesso colpo di moschetto che mi perseguitava fu sparato
da una delle case e
attraversò la carrozza (4). Il cocchiere mise i cavalli al
galoppo pensando di
essere aggredito dai ladri; e noi, quando arrivammo a
destinazione, ci
eravamo appena rimesse.
Confesso che, per mia parte, ero stata così atterrita
che mi occorse molto tempo per riprendermi. Ma questa
esibizione fu l’ultima
del suo genere: non udii più altri colpi di arma da fuoco.
«A questi colpi seguì un batter di mani, a ritmo ripetuto
a intervalli. Questi
suoni, a cui il favore del pubblico mi aveva abituata, mi
davano poca noia, e io
non persi tempo a cercare la sua origine. Tuttavia lo
fecero i miei amici.
“Abbiamo esplorato nel modo più attento”, mi dissero. “I
suoni avvengono
sotto la vostra porta. Li udiamo ma non vediamo alcuno. E’
una nuova fase
degli stessi disturbi che vi hanno seguito tanto a lungo”.
Poiché questi suoni
non avevano nulla di allarmante in se stessi, non ricordo
per quanto tempo
siano continuati.
«Né presi particolarmente nota dei suoni melodiosi da cui,
dopo un certo
tempo, furono sostituiti. Era come se una voce celestiale
modulasse il
preludio di una nobile aria che stesse per eseguire. Una
volta la voce cominciò
al Carrefour de Bussy e continuò per tutta la strada
finché non giunsi alla mia
porta. In questo caso, come nel precedente, i miei amici
fecero la guardia,
seguirono i suoni, li udirono come li udivo io, ma non
poterono mai vedere
nulla.
«Infine tutti i suoni cessarono, dopo essere continuati, a
intervalli, per
poco più di due anni e mezzo».
Sia che quello che seguì abbia dato, o no, una spiegazione
sufficiente, è
opportuno riferirlo con le parole di Mademoiselle Clairon.
Poiché ella desiderava cambiare di residenza ed era stato
messo
«l’affittasi», all’appartamento da lei occupato, varie
persone vennero a
visitarlo. Fra gli altri fu annunciata una signora già
avanzata negli anni. Ella
mostrò una grande commozione che si comunicò a
Mademoiselle Clairon.
324
Alla fine confessò di non essere venuta per vedere
l’appartamento, ma per
conversare con la sua abitatrice. Disse di aver pensato di
scrivere, ma di aver
temuto che i suoi motivi potessero essere male
interpretati. Mademoiselle
Clairon chiese una spiegazione, e la conversazione che
seguì è così riferita da
lei stessa.
«“Io sono stata, mademoiselle”, disse la signora, “la
migliore amica di
Monsieur de S.: la sola che egli volesse vedere durante
l’ultimo anno della sua
vita. Le ore e i giorni di quell’anno furono da noi
passati a parlare di voi, a
volte considerandovi un angelo, a volte un demonio. Da
parte mia, lo spingevo
continuamente a cercare di dimenticarvi, mentre lui protestava
che avrebbe
continuato ad amarvi anche oltre la tomba. Voi piangete”,
continuò dopo una
pausa, “e forse mi permetterete di chiedervi perché lo
avete reso così infelice e
perché, con il vostro carattere retto e affettuoso, gli
avete rifiutato, negli
ultimi momenti, la consolazione di vedervi ancora una
volta”.
«“Non sempre possiamo controllare i nostri affetti”,
risposi. “Monsieur de
S. aveva molte qualità meritorie e stimabili; ma il suo
carattere era cupo,
misantropo, dispotico così da farmi temere egualmente la
sua compagnia, la
sua amicizia e il suo amore. Per renderlo felice avrei
dovuto rinunciare a ogni
rapporto umano e anche alla mia arte. Io ero povera e
orgogliosa. E’ sempre
stato mio desiderio e mia speranza di non accettare
favori, di dovere tutto alla
mia attività. L’amicizia che nutrivo per lui mi spinse a
tentare tutti i mezzi per
riportarlo a sentimenti più calmi e ragionevoli. Non
essendovi riuscita, e
convinta che la sua ostinazione fosse dovuta meno
all’estremo della sua
passione che alla violenza del suo carattere, presi e
mantenni la decisione di
separarmi da lui per sempre. Ho rifiutato di vederlo nel
suo letto di morte
perché la vista della sua angustia mi avrebbe reso
infelice senza alcuna utilità.
Inoltre mi trovavo nel dilemma di rifiutare quello che mi
chiedeva, con
apparente crudeltà, di concederlo con il sicuro prospetto
di un’infelicità
futura. Questi, signora, sono i motivi che mi hanno
spinto. Spero che non
vorrete considerarli degni di censura”.
«“Sarebbe ingiusto condannarvi”, mi rispose. “Possiamo
essere
ragionevolmente chiamati a fare dei sacrifici solo per
mantenere le nostre
promesse o per adempiere ai nostri doveri verso i parenti
o i benefattori. So
che non gli dovevate gratitudine; lui stesso sapeva che
ogni obbligazione era
dalla sua parte; ma lo stato della sua mente e la passione
che lo dominava
erano fuori del suo controllo; e il vostro rifiuto di
vederlo affrettò la sua fine.
Egli contò ogni minuto fino alle dieci e mezza, quando il
suo servitore tornò
col messaggio che quasi certamente non sareste venuta.
Dopo un momento di
silenzio, egli mi prese la mano e, in uno stato di
disperazione che mi atterrì,
esclamò: - Barbara creatura! Ma non ci guadagnerà
niente. La
perseguiterò dopo la mia morte per tutto il tempo in cui
lei mi ha
325
perseguitato in vita. - ... Cercai di calmarlo, ma era già un corpo
esanime”» (5).
Questa è la storia come la riferisce la stessa
Mademoiselle Clairon. Ella
aggiunge: «non c’è bisogno di dire quale effetto fecero su
di me queste parole.
La coincidenza fra esse e i disturbi che mi avevano
tormentato mi riempì di
terrore… Io non so che cosa sia realmente il caso, ma sono
sicura che ciò che
siamo abituati a chiamare così ha una grande influenza
sulle cose umane».
Nelle Memorie della duchessa d’Abrantès scritte da lei
stessa, e contenenti
tanti interessanti particolari sulla rivoluzione francese
e gli emozionanti
eventi che la seguirono, ella afferma che, durante il
Consolato, quando
Mademoiselle Clairon aveva circa settant’anni, lei (la
duchessa) fece la sua
conoscenza e udì dalle sue labbra questa storia, di cui ci
dà un breve e non
accurato compendio. Relativamente all’impressione che fece
su di lei il modo
con cui la signorina Clairon la narrò, la duchessa nota:
«Non so se in tutto questo non vi fu una piccola
esagerazione; ma lei, che
generalmente parla in un tono che sa di esaltazione,
quando venne a riferirmi
questo incidente, sebbene parlasse con dignità, lasciò da
parte ogni
affettazione e tutto ciò che avrebbe potuto essere considerato
una ricerca di
effetto. Albert, che credeva nel magnetismo, dopo avere
udito Mademoiselle
Clairon cercò di persuadermi che la cosa poteva essere
vera. Allora lo derisi.
Ahimè! da allora ho io stessa imparato una terribile
lezione in fatto di
credulità» (6).
Non è conforme ai principi dell’evidenza il negar credito
a una narrazione
così bene autenticata. I fenomeni furono osservati non
dalla sola
Mademoiselle Clairon, ma da numerosi altri testimoni,
compresi i più oculati
e sospettosi degli esseri: gli ufficiali di polizia di
Parigi. Quei fenomeni non
furono osservati solo per una, due o cinquanta volte, ma
per più di due anni di
seguito. Il colpo contro una certa finestra fu tirato, a
quanto Mademoiselle
Clairon ci dice espressamente, ogni notte, alla stessa ora
per tre mesi, quindi
per novanta volte consecutive. Quale teoria, quale
spiegazione può valere per
un giuoco di questo genere, sfuggire per tanto tempo agli
occhi d’Argo della
polizia francese? Poi il grido al momento in cui, dietro
suggerimento di
Rosely, fu evocato il fantasma: il colpo contro la
carrozza dalla casa in cui era
risieduto Monsieur de S.: quale frode potrebbe essere
immaginata dietro tutto
ciò?
Gli incidenti avvennero
durante la giovinezza di Mademoiselle Clairon,
cominciando quando aveva ventidue anni e terminando quando
ne aveva
venticinque. Circa cinquant’anni dopo, verso la fine della
sua vita, in quel
periodo di calma riflessione che viene con la vecchiaia,
lei manteneva ancora
326
una profonda convinzione nella realtà di questi fatti
singolari, che diede al
tono e al modo della sua narrazione la suadente semplicità
della verità.
Infine la coincidenza a cui Mademoiselle Clairon allude è
doppia: anzitutto
gli incidenti stessi, poi il periodo durante il quale
continuarono. Monsieur de
S., con il suo ultimo respiro, dichiarò che l’avrebbe
perseguitata, ed ella
ignorò questo finché la persecuzione, cominciata mezz’ora
dopo la morte di
lui, non fu finita. Egli disse inoltre che sarebbe stata
perseguitata dal suo
spirito per un periodo di tempo eguale a quello in cui lei
l’aveva tenuto sotto il
suo fascino. E in realtà dal momento in cui la conobbe
fino a quello della sua
morte trascorsero due anni e mezzo, e due anni e mezzo
trascorsero, come lei
stessa ci dice, dalla morte di lui alla fine dei disturbi.
Tuttavia, anche ammettendo in questo caso la realtà di un
agente
ultraterreno, non voglio affermare come corollario
effettivamente provato che
fu lo spirito di Monsieur de S. ad attuare la minaccia da
lui fatta. Questa è
certo la prima spiegazione più naturale che ci si
presenti. E, se non è la vera, il
semplice caso è insufficiente a dar ragione dell’esattezza
con cui la minaccia
del morente coincise con le pene sofferte da colei che fu
oggetto del suo
disgraziato e inutile amore.
Se accettiamo questa storia, essa ci offre un altro
insegnamento.
Supponendo che l’agente dei disturbi fosse spirituale, non
possiamo
considerarlo come ordinato da Dio così come non possiamo
considerare tali le
noie che un vicino ingiustamente offeso può dare in questo
mondo, per
ripicco, al suo offensore. La condotta di Mademoiselle
Clairon sembra essere
stata giustificabile e prudente, certo non meritevole di
persecuzione e di
castigo.
Perché, dunque, questi disturbi furono permessi? Quando
potremo dire
perché si permette così spesso che afflizioni terrene
si abbattano
sull’innocente, allora potremo chiedere una risposta al
problema spirituale.
I fenomeni naturali avvengono secondo leggi naturali, non
per un
particolare decreto. E i disturbi qui ricordati erano
senza dubbio fenomeni
naturali.
Possiamo immaginare che tutto, nel mondo del futuro, sia
governato da
principi completamente diversi da quelli che vediamo
operare nel nostro. Ma
perché dovremmo immaginarlo? Non è forse la stessa
Provvidenza quella che
domina al di qua e al di là di Acheronte?
Un esempio in qualche modo più somigliante a una punizione
realmente
meritata ed espressamente inviata è il seguente: un
racconto che devo alla
gentilezza della signora S. C. Hall, la scrittrice, e
della cui verità, come si
vedrà, ella porta testimonianza personale. Ma anche in
questo caso possiamo
327
noi affermare qualche cosa di più se non che l’agente fu
permesso ma non
ordinato?
Presento la storia con le parole stesse della signora
Hall. L’episodio
avvenne a Londra.
QUELLO CHE DOVETTE
SOPPORTARE UN UFFICIALE INGLESE
«Tutte le ragazze hanno delle amiche; e, quando avevo
diciassette anni, la
mia amica preferita era Kate L. Era una giovanetta
irlandese, maggiore di me
di tre anni, una graziosa creatura gentile e affettuosa,
molto devota alla sua
vecchia madre e sempre pronta a sopportare uno sgradevole
fratello che si
ostinava a suonare il flauto, sebbene lo suonasse fuori
tempo e fuori tono.
Questo fratello era la mia bête noire; e
ogni volta che mi lamentavo che
suonasse così male, Kate mi diceva: “Ah, aspetta che torni
a casa mio fratello
Robert; suona e canta come un angelo, ed è così bello!”.
«Questo Robert era stato alcuni anni in Canada con il suo
reggimento, e il
suo ritorno formava la felicità della madre e della
figlia. Per i tre mesi che lo
precedettero non si parlò di altro. Se avessi avuto
qualche inclinazione a
innamorarmi, lo avrei fatto in anticipo con Robert L.; ma
non era questa la
mia debolezza; e mi divertii molto alle congetture della
mia amica su chi si
sarebbe innamorato prima se io di lui o lui di me.
«Quando ci incontrammo, per fortuna, non ci fu pericolo
per nessuno. Lui
disse a Kate che la sua amica non faceva che ridere, e io
pensai di non avere
mai visto un volto così bello nei lineamenti e tuttavia
così truce ed emaciato. I
suoi grandi occhi azzurri erano profondi, ma sembravano
sempre cercare
qualche cosa che non riuscissero a trovare. Il solo
guardarlo mi metteva a
disagio. Tuttavia il cambiamento che, dopo qualche tempo,
divenne evidente
in Kate fu ancora più strano. In meno di una settimana si
era fatta fredda e
imbarazzata. Avrei dovuto passare un giorno con lei, ma
trovò delle scuse e,
nel farlo, scoppiò in lacrime. Evidentemente qualche cosa
andava male, e
pensai che il tempo avrebbe chiarito tutto.
«Circa una settimana dopo venne a trovarmi; sembrava di
dieci anni più
vecchia. Chiuse la porta della mia stanza e mi disse che
desiderava parlarmi di
qualche cosa a cui difficilmente avrei creduto, ma che, se
non avevo paura,
avrei potuto giudicare personalmente.
«Mi disse che, dopo il ritorno di Robert, era stata per
una settimana
pienamente felice. Ma presto - pensava verso il decimo
giorno, o piuttosto
verso la decima notte -, fu impressionata da forti colpi e
battiti nella camera di
328
Robert. Era la stanza sul retro dello stesso piano in cui
la Signora L. e sua
figlia dormivano insieme in una grande stanza sulla
fronte. Lo avevano udito
imprecare a quei rumori come se si rivolgesse al suo
domestico, ma
quell’uomo non dormiva in casa. Da ultimo aveva scagliato
i suoi stivali
contro i disturbi, ma, quanto più
egli diveniva violento, tanto più violento
sembrava divenire il fracasso.
«Alla fine sua madre si arrischiò a battere alla porta e a
chiedere che cosa
stesse succedendo. Lui le disse di entrare. Lei prese una
candela accesa e la
pose sul tavolo. Mentre entrava, il pointer favorito di
suo figlio si precipito
fuori della stanza. “Così”, disse lui, “il cane se n’è
andato! Per anni non sono
riuscito a tenere un cane nella mia stanza di notte, ma in
casa tua, mamma,
pensavo e speravo di poter sfuggire alla persecuzione che
a quanto vedo mi ha
seguito anche qui. Mi dispiace per il canarino di Kate che
è stato messo dietro
la tenda. Lo ho sentito svolazzare subito dopo l’inizio.
Naturalmente è morto”.
«La vecchia signora si alzò tremante a andò a vedere il
povero uccellino di
Kate. Giaceva morto in fondo alla gabbia, con tutte le
penne arruffate.
«“Non hai una Bibbia nella stanza?” chiese lei. “Sì”, e ne
trasse una di sotto
il cuscino: “credo che questa mi protegga dall’essere
colpito”. Sembrava così
paurosamente esausto che sua madre voleva uscire per
andare a prendergli
del vino. “No, rimani qui, non mi lasciare”, la pregò lui.
Aveva appena cessato
di parlare quando qualche cosa di grosso e pesante parve
rotolare giù dal
camino e abbattersi a terra; ma la signora L. non vide
niente. Un momento
dopo, come per un forte vento, la luce si spense mentre
colpi, battiti e
grattamenti passavano per tutta la stanza. Robert L.
pregava e bestemmiava
alternatamente; e la vecchia signora, di solito padrona di
sé, faceva fatica a
impedirsi di venir meno. Il rumore continuò a volte come
cupi tonfi, a volte
come un gocciolare in tutta la stanza.
«Infine l’altro figlio, svegliato dai disturbi, entrò o trovò
la madre
inginocchiata in preghiera.
«Quella notte dormì nella stanza di suo figlio, o meglio
tentò di farlo
perché il sonno era impossibile sebbene il suo letto non
fosse toccato né
scosso. Kate rimase fuori della porta aperta. Era
impossibile vedere perché,
subito dopo il primo colpo giù dal camino, le luci si
erano spente.
«Il mattino dopo, Robert disse alla famiglia che da più di
dieci anni era
vittima di questa persecuzione spiritica. Se dormiva sotto
la tenda, il rumore
era lì disturbando gli ufficiali suoi colleghi, i quali
evitavano la compagnia
“dell’uomo infestato”, come lo chiamavano: uno che “deve
avere fatto qualche
cosa per tirarsi dietro questo castigo”. In genere, quando
era in licenza, i
disturbi lo lasciavano in pace per tre o quattro notti; ma
poi tornavano. Non
329
era mai riuscito a rimanere in un alloggio: i padroni di
casa, che non volevano
subire i disturbi, lo invitavano regolarmente a “filar
via”.
«Dopo la colazione, i vicini della porta accanto mandarono
a lamentarsi dei
rumori della notte precedente. Nelle notti successive,
vari amici (io ne
conoscevo due o tre) vegliarono con la signora L. e
cercarono di scoprire la
causa con tutti i mezzi umani. Invano. Verificarono il
fatto, ma la causa
rimase avvolta nel mistero.
«Kate voleva che udissi anch’io; ma io non ebbi il
coraggio di farlo e mia
madre non me lo avrebbe permesso.
«Nulla poté indurre il pointer a tornare nella stanza del
suo padrone, di
giorno o di notte. Era stato comprato da poco e, finché
non avvenne il primo
disturbo a Londra, aveva corrisposto all’affetto di
Robert. Ma in seguito fu
evidente che non amava il suo padrone. “Anche questa è una
vecchia storia”,
disse Robert. “Non ho mai potuto tenere un cane. Ho voluto
provare ancora,
ma non avrò mai nulla da amare e nulla potrà mai amare
me”. L’animale poco
dopo se ne andò e si suppose che fosse fuggito o fosse
stato rubato.
«Il giovane, vedendo che sua madre e sua sorella
deperivano per l’ansietà e
la mancanza di riposo, disse loro che avrebbe meglio
sopportato i suoi guai da
solo e che sarebbe andato in Irlanda, sua terra natale,
per rifugiarsi in qualche
casetta di campagna, dove poter pescare e andare a caccia.
«Se ne andò. Prima della sua partenza, udii una volta il
povero ragazzo
dire: “E’ duro essere puniti così, ma forse me lo sono
meritato”.
«Seppi più tardi che vi era più di un sospetto che egli
avesse abbandonato
una disgraziata ragazza che lo “Aveva amato non
saggiamente, ma troppo
bene”, e che era morta in America. Sia come sia, in
Irlanda come altrove
l’infestazione lo seguì senza requie.
«Lo spirito non parlò mai né rispose a domande: il modo di
comunicare,
oggi così comune, non era allora conosciuto. Se lo fosse
stato, forse il risultato
sarebbe stato diverso.
«Allo stato delle cose, il tenore di vita di Robert L. nel
suo paese natale
tenne la madre in grande ansietà. Tuttavia non ebbi
notizie del suo ultimo
destino; perché sua sorella non volle dirmi in quale parte
d’Irlanda avesse
posto la sua triste residenza.
«La mia amica Kate si sposò subito dopo la partenza del
fratello, e, entro
un anno, fu moglie, madre e corpo esanime. La sua morte
spezzò il cuore di
sua madre, così che in due anni la famiglia si dissolse,
come se non l’avessi
mai conosciuta. Spesso ho pensato che, se quella buona
signora non fosse
stata così colpita dal visitatore spiritico di suo figlio,
non si sarebbe tanto
330
angosciata per la perdita della figlia; ma mi disse di non
avere ormai più nulla
che la legasse a questo mondo.
«Mi sono spesso rammaricata di non avere vegliato una notte
con la mia
giovane amica; ma i fatti che ho raccolto erano noti a una
ventina di persone a
Londra» (7).
Si trova raramente una narrazione meglio autenticata di
questa o che
indichi con maggior forza la realtà di un agente
ultraterreno. E’ attestata dal
nome di una signora bene e favorevolmente nota nel mondo
letterario. E’ vero
che, a causa della sua paura, non osservò personalmente i
disturbi; ma, se lo
avesse fatto, avrebbe forse aggiunto un peso materiale
alla sua testimonianza
così com’è? Poteva forse dubitare della realtà di queste
terribili
dimostrazioni? E possiamo dubitarne noi? La testimonianza
della sorella e
della madre, le cui esistenze furono adombrate, se non
abbreviate, da questo
pauroso fenomeno, per non parlare delle prove a sostegno
fornite dagli amici
che vegliarono con loro appunto per cercare una qualche
spiegazione, si
possono forse mettere in dubbio? L’aspetto truce ed
emaciato del
perseguitato, la sua vita rovinata, potevano essere forse
simulati? La
confessione fatta alla sua famiglia e a lui strappata dal
ripetersi, in casa di sua
madre, di un tormento che non poteva celare più a lungo,
poteva essere una
menzogna? Degli animali attestarono il contrario. La morte
del canarino, il
terrore del cane, potevano essere provocati dalla fantasia?
O ci volgeremo
all’ipotesi di un agente umano? Per dieci anni i rumori vendicatori avevano
perseguitato lo sciagurato giovane. Sotto la tenda o in
un’osteria, in ,città o in
campagna, dovunque andasse, la terribile Intrusione
seguiva i suoi passi. La
casa materna non fu luogo sacro per il persecutore, che
seguì il colpevole
anche nel suo rifugio nelle regioni selvagge dell’Irlanda.
Se anche è
concepibile una tale vendetta umana, le capacita umane non
sono forse
impotenti a sostenerla?
Ma, se ammettiamo la realtà e il carattere spirituale
della manifestazione,
dobbiamo ammettere anche la spiegazione ipoteticamente
suggerita dalla
narratrice? Robert L. fu realmente così punito, durante la
vita, per uno dei
peccati umani peggiori, perché dei più egoistici, dei più
crudeli e dei più
apportatori di infelicità? Lui stesso sembrava essere di
questa opinione; il
verdetto della sua coscienza era stato: «Forse me lo sono
meritato». Può
essere avventato, con la nostra attuale limitata
conoscenza delle leggi
ultraterrene, affermare senz’altro qualche cosa, sapendo,
come sappiamo, che
decine di migliaia di tali colpevoli passano la vita senza
essere colpiti dalla
giustizia (8). E tuttavia, se rifiutiamo questa ipotesi,
quale altra ipotesi più
plausibile ci rimane?
331
Anche accettando questa spiegazione, tuttavia, non bisogna
ammettere
come causa naturale che fu lo spirito della sua povera
vittima a perseguire
così ostinatamente colui che l’aveva lasciata tradendo la
sua fiducia. L’amore
può mutarsi per qualche tempo in violenta repulsione: ma è
difficile pensare
che, quando i legami terreni si sono disciolti, arda in
odio eterno e
implacabile. E possiamo concepire che altri spiriti di
defunti, di cattiva
natura, avendo ottenuto un potere sul disgraziato, con
l’aiuto di un
temperamento impressionabile, preparato da una coscienza
ossessionata dal
rimorso, siano stati lasciati intervenire (chi può dire
per quale legge o per
quale proposito?) per punir così la mala azione.
Ma qui entriamo nel campo delle congetture. Questi eventi
avvennero
molto prima che la parola spiritismo avesse acquistato un
significato. Non fu
fatto alcun tentativo di comunicare con i rumori. Non fu
dunque raggiunta
alcuna spiegazione, vera o falsa che fosse. Non fu data
alcuna possibilità a una
conciliazione; non vi fu modo di placare lo spirito
offeso.
E’ stato notato che, in molti casi moderni di ciò che
aveva assunto il
carattere di una interferenza spirituale, i disturbi
cessarono quando fu cercata
e ottenuta una comunicazione per mezzo di battiti. Così
avrebbe potuto
avvenire, come suggerisce la signora Hall, nel caso di
Robert L. E, se è così, i
colpi spiritici, per quanto poco considerati dai più,
avrebbero potuto portare
al pentimento e salvato da disperate sofferenze - forse
anche da una morte
prematura - un giovane certo molto colpevole ma tuttavia
non il più colpevole
fra tutti gli abitanti di Londra.
Note
(1) Matteo, XVIII, 10; Ebrei, I, 4.
(2) I Greci stessi non rappresentano le Furie come
implacabili. Queste
erano considerate aperte - come implica il loro nome di
Eumenidi - a impulsi
di benevolenza e di misericordia e, con mezzi opportuni,
era possibile
renderle propizie.
(3) Anatomy of Sleep, di Edward Binns,
seconda edizione, Londra 1845,
pag. 152.
(4) Non appare chiaramente se una palla passò attraverso
la carrozza.
L’espressione è: «D’une des maisons partit ce même coup de
fusil qui me
poursuivait; il traversa notre volture».
332
(5) Mémoires de Mademoiselle Clairon, actrice du
Théatre
Français, écrit par elle-même, seconda edizione, Parigi 1822, pagg. 78-
96. L’editore afferma che queste memorie sono state
pubblicate «senza
cambiare una sola parola dal manoscritto originale».
(6) Mémoires de Madame la Duchesse d’Abrantès,
écrits par
ellemême,
seconda edizione, Parigi, 1835, vol. II, pag. 39.
(7) Estratto da una lettera a me inviata dalla signora
Hall, datata Londra,
31 marzo 1859.
(8) Non ne segue, però, minimamente che, per il fatto che
tanti di questi
colpevoli rimangono impuniti, non vi sia niente di
retributivo negli incidenti
qui riferiti. In questo mondo misteriosamente governato,
molti criminali
sfuggono, mentre altri, forse meno colpevoli, vengono
raggiunti. «Quei
diciotto su cui si abbatté la torre di Siloam uccidendoli,
credete forse che
fossero più peccatori di tutti gli altri abitanti di
Gerusalemme?» Luca XIII, 4.
333
2 - Spiriti custodi
Rimane uno studio più piacevole: quello, cioè, degli
indizi a noi giunti di
aiuti ultraterreni e di protezione spirituale.
Tre storie sono venute a mia conoscenza in ognuna delle
quali il
protagonista è supposto essere stato salvato da morte da
un’apparizione che
sembrava la controparte di lui stesso. L’una è riferita da
un ecclesiastico
inglese che passava a notte alta per un sentiero solitario
e al cui fianco
apparve d’improvviso la figura, distogliendo così
dall’aggredirlo due uomini
che (come l’ecclesiastico poté accertare in seguito)
stavano per assassinarlo e
derubarlo. Gli altri due - l’uno occorso a uno studente di
Edimburgo, l’altro a
un giovane di mondo berlinese - sono esempi in cui il
veggente sembra sia
stato messo in guardia dall’occupare la sua solita stanza:
se l’avesse occupata
sarebbe perito per il franamento di una parte della casa.
Ma questi aneddoti, sebbene vi siano per ognuno plausibili
prove, non
rispondono alla regola che mi sono imposto di avere
sufficienti autenticazioni.
Una storia simile è riferita e garantita da Jung Stilling,
riguardante un
certo professor Böhm, di Marburgo, nel cui caso, tuttavia,
l’avvertimento
giunse solo sotto forma di un vivo presentimento, non di
una vera e propria
apparizione (1).
Un simile caso di presentimento, sebbene il pericolo
riguardasse un altro,
non il soggetto del presentimento stesso, mi fu
gentilmente riferito, di prima
mano, da una signora, in questi termini.
COME FU SALVATA LA
VITA DEL SENATORE LINN
Quelli che sono familiari con la storia politica del
nostro paese vent’anni fa,
ricordano il dott. Linn del Missouri. Noto per i suoi
talenti e la sua abilità
professionale, ma ancor più per la sua bontà di cuore,
egli ricevette -
distinzione rara quanto onorevole - il voto unanime della
Legislatura per la
carica di senatore degli Stati Uniti.
Per adempiere ai suoi doveri nel Congresso, egli risiedeva
con la famiglia a
Washington durante la primavera e l’estate del 1840,
l’ultimo anno
dell’amministrazione di Van Buren.
Un giorno, durante il mese di maggio di quell’anno, il
dottore e la signora
Linn ricevettero un invito a un importante pranzo ufficiale, dato da un
334
pubblico funzionario, e al quale erano invitati i più
eminenti membri del
governo, compresi il Presidente stesso e il nostro attuale
Primo Magistrato,
signor Buchanan. Il dott. Linn desiderava molto essere
presente; ma, quando
venne il giorno, colpito da un attacco di indigestione,
pregò la moglie di
portare personalmente le sue scuse e di prendere parte al
pranzo lasciandolo a
casa. Ella acconsentì con riluttanza e fu accompagnata
alla porta del loro
ospite da un amico, il generale Jones, che promise di
tornare e restare col
dott. Linn durante la sera.
A tavola, la signora Linn sedette presso il generale
Macomb, che era il suo
compagno; di fronte a lei sedeva Silas Wright, senatore di
New York, il più
intimo amico di suo marito, e la cui morte, avvenuta poco
dopo, fu
un’irreparabile perdita per il paese.
Durante la prima parte del pranzo la signora Linn si sentì
molto inquieta
per suo marito. Tentò di calmarsi col ragionamento,
sapendo che si trattava di
un’indisposizione senza alcuna gravita, ma invano. Parlò
di questa
inquietudine al generale Macomb, ma egli le ricordò quello
che lei stessa gli
aveva detto poco prima, che cioè il generale Jones aveva
promesso di restare
col dott. Linn e che, nel molto improbabile caso di un
improvviso aggravarsi
del male, glielo avrebbe certo fatto sapere. Tuttavia,
quanto più il pranzo si
avvicinava alla fine, tanto più aumentava questo
inspiegabile disagio, fino a
divenire un così incontrollabile impulso di tornare a
casa, che, come ella mi
disse, sentì di non potere rimanere lì seduta un momento
di più. Il suo
improvviso pallore fu notato dal senatore Wright, che ne
fu allarmato. «Sono
sicuro che vi sentite male, signora Linn», disse. «Che
succede?». Lei rispose
che stava benissimo, ma che doveva tornare a
casa per suo marito. Il signor
Wright cercò, come aveva fatto il generale Macomb, di
calmare i suoi timori;
ma lei rispose: «Se volete farmi un favore di cui vi sarò
grata per tutta la vita,
fate le nostre scuse al nostro ospite, in modo che
possiamo allontanarci da
tavola». Vedendola così eccitata, egli soddisfece alla sua
richiesta, sebbene si
stesse servendo il dessert, e, con la signora Wright,
accompagnò la signora
Linn a casa.
Nel congedarsi sulla porta dell’alloggio di lei, il
senatore Wright disse:
«Verrò a trovarvi domani mattina, e faremo tutti insieme
una risata sui vostri
timori».
Salendo in fretta le scale, la signora Linn incontrò la
padrona della casa e le
chiese con ansia: «Come sta il dott. Linn?». «Benissimo,
credo,» fu la
risposta. «Ha fatto un bagno più di un’ora fa e direi che
adesso sia in pieno
sonno. Il generale Jones ha detto che stava ottimamente».
«Il generale è con lui, non è vero?».
335
«Credo di no. Mi sembra di averlo visto uscire circa
mezz’ora fa».
In parte rassicurata, la signora Linn si affrettò verso la
camera del marito,
la cui porta era chiusa. Appena l’aprì, ne uscì un denso
fumo, in tale quantità
e così soffocante che ella barcollò e cadde sulla soglia.
Ripresasi dopo pochi
secondi, si precipito nella stanza. Il cuscino era in
fiamme e le coperte
ardevano con un odore soffocante. Corse al letto, ma il
fuoco, smorzato in
parte fino a quel momento, fu rianimato dalla corrente che
proveniva dalla
porta aperta, e, avvampando d’improvviso, si appiccò ai
suoi abiti leggeri che,
in un attimo, furono in fiamme. In quel momento vide la
vasta tinozza che era
stata usata dal marito, e vi balzò dentro spegnendo il suo
abito; poi, tornata al
letto, afferrò il cuscino e le coperte in fiamme,
bruciandosi le braccia, e li gettò
nell’acqua. Finalmente, con le ultime forze, trasse dal
letto il marito privo di
sensi. Solo allora chiamò in aiuto la gente di casa.
Fu mandato immediatamente a chiamare il dott. Sewell, ma
ci volle una
buona mezz’ora prima che la vittima desse qualche segno di
vita. Non lasciò il
letto per quasi una settimana, e solo dopo tre mesi poté
dirsi completamente
ristabilito dagli effetti di quell’incidente.
«E’ stata una vera fortuna», disse il dott. Sewell alla
signora Linn, «che
siate arrivata proprio in quel momento. Sarebbe bastato un
ritardo di cinque
minuti, anzi, di tre, e con ogni probabilità non avreste
più rivisto vostro
marito vivo».
Il signor Wright arrivò, come aveva promesso, il mattino
dopo. «Bene,
signora Linn», disse, sorridendo, «vi siete finalmente
accorta di quanto fosse
fantastico quel vostro strano presentimento?».
«Venite di sopra», rispose lei. E lo condusse dal suo
amico, che poteva
appena parlare. Poi gli mostrò i resti del cuscino e delle
lenzuola mezzo
bruciati.
Se quella vista mutò le sue opinioni in fatto di
presentimenti, non potrei
dire; ma mi disse la signora Linn che divenne pallido come
un cadavere e non
pronunciò parola.
Ebbi tutti questi particolari dalla stessa signora Linn
(2), con il permesso di
pubblicarli a illustrazione del soggetto che sto
trattando, attestati da date e da
nomi.
V’è un punto di questa narrazione che merita di essere
particolarmente
esaminato. Qualora ammettiamo che l’irresistibile impulso
della signora Linn
a lasciare la tavola, sia stato un’ impressione
spirituale, rimane il problema: fu
l’avviso di un pericolo gia esistente, o fu il presentimento
di un pericolo che
doveva ancora delinearsi? In altre parole fu un fenomeno
di chiaroveggenza, o
di natura chiaramente profetica?
336
A quanto ella stessa mi disse, l’impressione si produsse
distintamente nella
mente della signora Linn almeno mezz’ora prima che
divenisse così urgente
da spingerla a lasciare il pranzo. Quando lo ebbe fatto,
poiché le carrozze
erano state ordinate solo per le undici e non vi era sul
luogo alcuna vettura da
nolo, lei e i signori Wright, come mi disse, erano tornati
a piedi. Poiché la
distanza era di un miglio e mezzo, dovettero camminare per
una buona
mezz’ora. Ne segue che la signora Linn ebbe il primo
impulso di tornare a
casa più di un’ora prima che aprisse la porta della stanza
da letto.
E’ altamente improbabile che il fuoco si sia appiccato o
che sia avvenuta
qualche cosa che potesse provocarlo, un’ora o anche
mezz’ora prima
dell’arrivo della signora. Ma se è così - se nel momento
in cui la signora Linn
ebbe la prima impressione, non esisteva una condizione di
cose che potesse
indicare un pericolo a un’umana percezione - allora, a
meno che non
riferiamo il tutto a una semplice coincidenza casuale, il
caso è tale da
implicare non solo un senso di allerta ma un istinto
profetico.
Ancora più netto, come esempio di ciò che sembra un agente
protettivo, è il
seguente, tratto da una recente opera del reverendo dott.
Bushnell.
AIUTO NELLA TEMPESTA
DI NEVE
«Mentre sedevo davanti al fuoco, in una tempestosa notte
di novembre,
nella sala di un albergo della Napa Valley in California,
entrò una persona
dall’aspetto quanto mai benevolo e venerabile, con sua
moglie, e si sedettero
nel circolo. Lo straniero, come seppi più tardi, era il
capitano Yount, un uomo
arrivato in California come cacciatore una quarantina di
anni fa. Era vissuto
lì, lontano dal gran mondo e dai suoi problemi, divenendo
proprietario di un
immenso territorio e una specie di patriarca riconosciuto
nella regione. La sua
persona alta e virile e il suo aspetto dolce e paterno
dall’espressione
assolutamente genuina come se non avesse mai conosciuto un
dubbio
filosofico o un problema in vita sua, lo caratterizzavano
come un vero
patriarca. La conversazione si volse, non so come, sullo
spiritismo e la
negromanzia moderna; ed egli mostrò una certa inclinazione
a credere nei
misteri riferiti. Sua moglie, molto più giovane di lui e,
a quanto sembrava,
cristiana, spiegò che probabilmente egli era disposto a
questo genere di fede
in seguito a una sua peculiare esperienza personale; ed
evidentemente
desiderava che egli fosse indotto, da qualche intelligente
discussione, a
parlare delle sue ricerche.
«A mia richiesta, egli mi raccontò la storia. Circa sei o
sette anni prima, in
una notte di pieno inverno, aveva avuto un sogno nel quale
vedeva quello che
337
sembrava un gruppo di emigranti arrestato dalla neve sulle
montagne e
rapidamente stremato dal freddo e dalla fame. Notò tutti i
particolari dello
scenario, caratterizzato da un enorme dirupo
perpendicolare di roccia bianca;
vide gli uomini tagliare quelle che sembravano cime di
alberi emergenti dai
profondi abissi nevosi; distinse perfino i lineamenti
delle persone e il loro
aspetto disperato. Si svegliò profondamente impressionato
dalla nettezza e
dall’apparente realtà del sogno. Poi tornò ad
addormentarsi e sognò ancora
esattamente lo stesso sogno. Al mattino non poté
toglierselo di mente. Poco
dopo, incontrato un vecchio compagno cacciatore, gli
racconto la storia, e
rimase ancor più impressionato dal fatto che l’altro
riconobbe senza
esitazione lo scenario del dramma. Questo cacciatore aveva
attraversato la
Sierra dal passo di Carson Valley e dichiarò che un punto
del passo
rispondeva esattamente alla sua descrizione. Il nostro
patriarca prese la sua
decisione. Radunò immediatamente un gruppo di uomini con
muli, coperte e
ogni provvigione necessaria. Frattanto i vicini ridevano
della sua credulità.
“Poco importa”, disse lui. “Posso farlo e voglio farlo;
perché sono convinto che
il fatto corrisponde al mio sogno”. Gli uomini furono
mandati sulle montagne,
a circa cento cinquanta miglia di distanza, direttamente
al passo di Carson
Valley. E là trovarono la carovana nelle esatte condizioni
del sogno, portando
a salvamento i superstiti» (3).
Il dott. Bushnell aggiunge che uno dei presenti gli disse:
«Non dovete avere
alcun dubbio su questo, perché tutti noi californiani
conosciamo i fatti e i
nomi delle famiglie salvate, che adesso considerano il
nostro venerabile amico
come una specie di Salvatore». Gli diede i nomi e gli
indirizzi di ognuno; e il
dott. Bushnell dichiara di avere trovato i Californiani
sempre pronti a
confermare la testimonianza del vecchio. «Nulla sembrava
più naturale»,
continua il dottore, «per questo benefico patriarca, che
aggiungere che la cosa
più luminosa della sua vita, e quella che gli dava la
gioia maggiore, era la
semplice fede nel suo sogno».
Questo è un fatto conosciuto e confermato da un’intera
comunità. Che sia
avvenuto è fuori discussione. Ma come poté avvenire per
semplice caso? Nella
infinita zona selvaggia invernale, con centinaia di passi
e migliaia di
emigranti, come si può supporre che una fantasia puramente
accidentale,
senza interferenze ultraterrene, possa dare forma in
sembianza di realtà a una
scena realmente esistente a centocinquanta miglia di
distanza, sebbene del
tutto sconosciuta al sognatore, e non solo alla regione
con i suoi bianchi picchi
e i suoi alberi sepolti dalla neve, ma anche ai
viaggiatori stremati che
tagliavano le cime di quegli alberi nel vano sforzo di
combattere il freddo e la
fame? Chi dà credito a questo, crede in una meraviglia
ancora più grande
dell’ipotesi di una provvidenza spirituale.
338
A sostegno di questa ipotesi, comunque, vi sono relazioni
bene attestate
che indicano, più direttamente di questa storia del
cacciatore californiano,
un’amorosa cura da parte dei defunti. Una di queste si può
trovare in
un’opera sul soprannaturale del reverendo dott. Edwards.
Egli la comunica in
forma di un «estratto da una lettera di un illuminato e
dotto teologo della
Germania settentrionale». Il fatto, a quanto ci dice,
avvenne a Levin, un
villaggio appartenente al Ducato di Mecklenburgo, non
lungi da Demmin,
nella Pomerania prussiana, la domenica prima della festa
di san Michele,
nell’anno 1759. Tale estratto (con l’aggiunta, da mia
parte, del solo titolo) è il
seguente.
CONSOLAZIONE
INATTESA
«Vi narrerò ora, come conclusione, la storia molto
edificante di
un’apparizione di cui posso garantire la verità su tutto
ciò che mi è caro. La
mia defunta madre, un modello di vera pietà, sempre in
preghiera, perse
inaspettatamente, dopo una breve malattia dovuta a un male
di gola, la mia
sorella più giovane, una ragazzina di circa quattordici
anni. Poiché durante la
sua malattia aveva parlato poco con lei di cose
spirituali, non supponendo
minimamente una fine così vicina (sebbene mio padre la
sospettasse), si
rammaricò e si rimproverò severamente non solo per questo
ma anche per
non averla sufficientemente curata o per avere trascurato
qualche cosa che
forse le era stata fatale. Questi sentimenti influirono
tanto su di lei che ella
non solo mutò aspetto per la perdita di appetito, ma
divenne così taciturna da
non parlare più se non veniva interrogata. Tuttavia
continuò a pregare
diligentemente nella sua stanza. Poiché a quell’epoca ero
già grande, ne parlai
con mio padre chiedendogli che cosa si potesse fare per
lei e come le si
potesse dare conforto. Lui si strinse nelle spalle
facendomi capire che, se Dio
non interveniva, temeva il peggio.
«Qualche giorno dopo, avvenne che, mentre noi tutti
eravamo in chiesa, la
domenica mattina, a eccezione di mia madre che era rimasta
a casa, questa,
alzatasi dalla preghiera, nel suo salottino, udì un rumore
come se qualcuno
fosse con lei. Nel guardarsi attorno per scorgere donde
provenisse il rumore,
qualche cosa di invisibile l’afferrò e la strinse, come se
qualcuno la
abbracciasse, e nello stesso momento ella udì - senza
vedere nulla - molto
distintamente la voce della figlia defunta che le diceva
piano: “Mamma!
Mamma! Sono così felice! Così felice!”. Subito dopo queste parole, la
pressione venne meno e mia madre non udì più nulla. Ma
quale cambiamento
scorgemmo nella nostra cara tornando a casa! Aveva
ritrovato la parola e la
gaiezza di un tempo; mangiò e bevve e si rallegrò con noi
della grazia che il
339
Signore le aveva concesso, e per tutta la vita non parlò
mai, con dolore, della
grande perdita che aveva sofferto con la morte di quella
eccellente figlia».
Che questo sia stato un caso di allucinazione di due
sensi, l’udito e il tatto,
può essere considerato probabile solo se si potranno trovare
inequivocabili
esempi di un simile agente. E se ad alcune persone la voce
di un abitante di un
altro mondo, udibile sulla terra, sembra un fenomeno
impossibile, le
invitiamo a leggere il seguente episodio, comunicato a me
per scritto da un
signore alla cui moglie, come i nostri lettori hanno
visto, devo una delle più
impressionanti narrazioni collegate con interferenze
personali.
GASPAR
«A Worcester, poche settimane fa, incontrai per caso, in
casa di un
banchiere di quella città, una signora che non avevo mai
conosciuto; e dalle
sue labbra udii una storia di un carattere così
straordinario che, agli occhi di
molti, nessuna garanzia sulla sincerità di chi narrava
sarebbe sufficiente per
assicurarne l’autenticità.
«Il nostro ospite non mi fornì su di lei un semplice
attestato di stima. Mi
disse di conoscere la signora da più di trent’anni. “E’
così sincera”, aggiunse,
“mi ha dato tali prove di correttezza, che non posso avere
il minimo dubbio
sulla sua assoluta buona fede in quello che dice”. Data
l’irreprensibilità di lei
nel comportamento e nella conversazione, considerava
incredibile che ella
potesse cercare di ingannare. E gli era non meno difficile
immaginare che,
nella storia che le aveva udito tante volte narrare in
modo chiaro e
circostanziato, ella, intelligente e acuta qual era su
ogni soggetto, avesse
potuto ingannare se stessa. Si trovava così di fronte a un
dilemma. Perché i
fatti erano di un genere che egli si rifiutava di
ammettere, mentre le prove
erano tali da non potere essere messe in questione.
«L’impressione che mi fece la signora, a me completamente
sconosciuta,
confermò tutto quello che il banchiere suo amico mi aveva
detto in suo favore.
Vi era, nel suo volto e nei suoi modi, e perfino nel tono
della sua voce, quel
qualche cosa di inesprimibile, e raramente delusivo, che
dà la certezza della
verità; e questo soprattutto perché parlava con evidente
riluttanza. “E’ raro”,
disse il banchiere “che si lasci indurre a riferire questo
fatto, perché gli
ascoltatori sono di solito scettici, più disposti a
deriderla che a simpatizzare
con lei”.
«Si aggiunga che né la signora né il banchiere credevano
allo spiritismo
non avendo udito “quasi nulla” in proposito.
340
«Ne riferire i fatti, non commetto un abuso di confidenza.
“Se parlerete di
questo”, mi disse la signora, “vi prego di sopprimere il
nome del luogo, in
Francia, in cui avvenne il caso”. E così ho fatto. Posso
aggiungere che gli
incidenti qui riferiti sono stati frequente soggetto di
conversazione e di
commento per la signora e i suoi amici.
«Premesso questo, procedo al racconto, quasi con le stesse
parole della
signora stessa.
«“Verso l’anno 1820”, disse, “risiedevamo nella città
portuale di ..., in
Francia, essendo passati là dalla nostra residenza nel
Suffolk. La nostra
famiglia comprendeva mio padre, mia madre, mia sorella, un
fratellino di
circa dodici anni e me, oltre una domestica inglese. La
nostra casa era in un
luogo solitario, alla periferia della città, con una vasta
spiaggia attorno, senza
alcun edificio nelle vicinanze.
«“Una sera mio padre vide, seduta su di un frammento di
roccia, a poche
iarde dalla nostra porta, una figura avvolta in un largo
mantello. Avvicinatosi,
le disse: - Buona sera; - ma, non ricevendo risposta, si
volse per entrare in
casa. Prima, tuttavia, guardò indietro e, con sua
sorpresa, non vide alcuno. Il
suo stupore fu poi al massimo quando, tornato alla roccia
dove la figura era
apparsa e cercando tutt’in giro, non poté scoprire alcuna
traccia di quella
persona, sebbene non vi fosse lì il minimo riparo dietro
cui qualcuno avrebbe
potuto nascondersi.
«“Entrando nel salotto, disse: - Ragazzi, ho veduto un
fantasma! - al che,
naturalmente, ci mettemmo tutti a ridere.
«“Quella notte, tuttavia, e per alcune notti successive,
udimmo strani
rumori in varie parti della casa: qualche cosa che
somigliava a lamenti sotto le
nostre finestre, scricchiolii contro le persiane, mentre
altre volte sembrava
che una quantità di persone camminassero sul tetto. Non
facemmo che aprire
la finestra gridando se non c’era alcuno, ma non
ricevevamo risposta.
«“Dopo alcuni giorni i rumori entrarono nella nostra
stanza da letto, dove
mia sorella e io (lei di vent’anni e io di diciotto)
dormivamo insieme. Lo
dicemmo in casa, ma ricevemmo solo rimproveri perché i
nostri genitori
erano convinti che fossero bizzarre fantasie. I rumori
nella nostra stanza
erano di solito colpi, spesso ripetuti venti o trenta
volte in un minuto, altre
volte a un minuto di distanza l’uno dall’altro.
«“Alla fine anche i nostri genitori udirono i colpi nella
nostra stanza e i
rumori al di fuori, e cominciarono ad ammettere che non si
trattava di
immaginazione. Poi fu ricordato l’incidente del fantasma.
Ma nessuno di noi
fu seriamente allarmato. Ci abituammo ai disturbi.
341
«“Una volta, durante i consueti colpi, dissi ad alta voce:
- Se sei uno spirito
batti sei volte. - Immediatamente udii sei colpi molto
distinti e non più.
«“Col passar del tempo, i rumori divennero così familiari
da perdere ogni
effetto terrificante o solo sgradevole; e così si andò
avanti per varie settimane.
«“Ma la parte più notevole della storia deve essere ancora
detta. Io esiterei
a riferirvela se tutti i membri della mia famiglia non ne
fossero stati testimoni.
Mio fratello - allora solo un ragazzo, oggi un uomo fatto
e già avviato nella sua
professione - potrà confermare ogni particolare.
«“Oltre ai colpi nella nostra stanza, cominciammo a udire
- di solito in
salotto - quella che sembrava una voce umana. La prima
volta che avvenne
questo impressionante fenomeno, la voce fu udita unirsi a
uno dei canti
familiari mentre mia sorella era al piano. Potete
immaginarvi il nostro
stupore. Ma non fummo lasciati a lungo nel dubbio che
fossimo stati
ingannati dall’immaginazione. Dopo un poco, la voce
cominciò a parlarci in
modo chiaro e intelligibile unendosi ogni tanto alla
conversazione. Il tono era
basso, lento e solenne, ma molto distinto; il linguaggio
era sempre il francese.
«“Lo spirito - perché così lo chiamavamo - diede il suo
nome: Gaspar, ma
rimaneva in silenzio ogni volta che gli facevamo richieste
sulla sua storia e le
condizioni della sua vita. Né diede alcuna spiegazione per
le sue
comunicazioni con noi. Avemmo l’impressione che fosse uno
spagnolo, ma
non ricordo con esattezza per quale ragione. Egli ci
chiamava sempre con i
nostri nomi di battesimo. Ogni tanto ci ripeteva versi di
poesie. Non parlò mai
di soggetti religiosi, ma ci inculcava sempre massime di
moralità cristiana
sembrando desideroso di imprimerci nelle menti una
virtuosa saggezza e la
bellezza dell’armonia domestica. Una volta che mia sorella
e io avemmo una
piccola disputa, udimmo la voce dire: - M. ha torto; S. ha
ragione. - Dal
momento della sua prima manifestazione, ci diede
continuamente consigli e
sempre per il nostro bene (5).
«“Una volta mio padre desiderava ardentemente ricuperare
alcuni
documenti che temeva fossero andati perduti. Gaspar gli
disse esattamente
dove erano, nella nostra vecchia casa nel Suffolk; e
furono infatti trovati là nel
punto preciso da lui indicato.
«“Le cose andarono avanti in questo modo per più di
tre anni. Ogni
membro della famiglia, compresi i domestici, udì la voce.
La presenza dello
spirito - poiché non potevamo fare a meno di considerarlo
presente - fu
sempre un piacere per noi tutti. Finimmo col considerarlo
un compagno e un
protettore. Un giorno disse: - Non sarò con voi per vari
mesi. - E infatti per
alcuni mesi le sue visite furono sospese. Quando una sera,
alla fine di quel
342
periodo, udimmo ancora la sua voce ben nota: - Eccomi
ancora con voi! -
salutammo con gioia il suo ritorno.
«“Nel periodo in cui si udì la voce, non vedemmo mai
alcuna apparenza.
Ma una sera mio fratello disse: - Gaspar, sarei lieto di
vederti. - E la voce
rispose: - Mi vedrai. Mi incontrerai se andrai sul limite
estremo della piazza. -
Egli vi andò e tornò subito dicendo: - Ho visto Gaspar.
Aveva un grande
mantello e un cappello a tesa larga. Ho guardato sotto il
cappello e lui mi ha
sorriso - Sì, - disse la voce, - ero io.
«“Ma il modo in cui avvenne il suo ultimo congedo fu
ancora più
commovente della sua gentilezza durante il tempo che fu
con noi. Tornammo
nel Suffolk; e lì, come in Francia, per alcune settimane
dopo il nostro arrivo,
Gaspar continuò a conversare con noi come al solito. Un
giorno tuttavia,
disse: - Sto per lasciarvi per sempre. Potrebbe venirvene
danno se restassi con
voi in questo paese dove le nostre comunicazioni sarebbero
mal comprese e
male interpretate.
«“Da quel tempo”, concluse la signora con quel tono di
tristezza con cui si
parla di un caro amico portato via dalla morte, “da quel
tempo non udimmo
più la voce di Gaspar”.
«Questi sono i fatti come li ho uditi. Mi hanno fatto
pensare, e forse
faranno pensare i vostri lettori. Non voglio aggiungere
spiegazioni né opinioni
eccetto questo: sulla buona fede della narratrice non ho
il minimo dubbio. A
conferma di questa storia quale mi è stata riferita,
sottoscrivo col mio nome.
Londra, 25 giugno 1859
«S. C. Hall.»
Che cosa dobbiamo pensare di una narrazione venuta a noi
così
direttamente dalla sua fonte e raccontata in modo così
franco? Quale ipotesi
di frode, di illusione o di allucinazione potremmo
avanzare? Uno, due, una
dozzina di incidenti durati per una settimana o due,
potrebbero, come ultima
ipotesi, essere spiegati quale risultato, forse, di una
mistificazione, o di
qualche inganno dei sensi. Ma una serie di fenomeni che si
estende per tre
anni, testimoniata, molto prima dell’era dello spiritismo,
nella quiete
dell’intimità domestica, da ogni membro di una famiglia
illuminata -
osservata inoltre senza il minimo terrore, che sviasse, né
la minima
eccitazione che squalificasse le testimonianze, tale da
fare, giorno per giorno,
la stessa impressione su tutti i testimoni - con quale
giustificazione
ragionevole, con quale sospetto di inganno potrebbe essere
messa da parte
come indegna di fede?
343
Cerco invano qualche via di mezzo. O è possibile una
comunicazione orale,
che provenga apparentemente da una fonte ultraterrena, o
una famiglia colta
e intelligente, di condizione elevata e di onorabilità
ineccepibile, si é accordata
per imporre ai loro amici una completa menzogna? Non solo
la narratrice, ma
anche suo padre, sua madre, suo fratello e sua sorella
devono tutti avere preso
parte a un grosso e gratuito inganno durato tutta una
vita: un inganno non
solo senza motivo, ma evidentemente e certamente
pericoloso in senso
sociale: perché una tale storia, come tutti sanno, con gli
attuali pregiudizi
dell’opinione pubblica, non può essere narrata a meno che
il narratore sia
altamente rispettato senza richiamare commenti penosi e
ingiuriosi sospetti.
D’altra parte, che uno spirito disincarnato parli alle
orecchie mortali è uno
dei fenomeni ultraterreni, presentato in alcune delle
narrazioni precedenti,
che il lettore può avere giudicato più difficili a
credersi e a concepirsi (6).
Ma il mio compito di compilatore volge alla fine. Devo
porre un limite al
numero di episodi dati come prova, se non voglio
distaccarmi dalla regola che
mi sono imposto di essere breve e di mettere queste prove,
per quanto mi è
possibile, alla portata di tutti riducendo questo trattato
nei limiti di un unico
volume. Chiudo dunque, per il momento, l’elenco, con un
ultimo racconto
tratto da una grande quantità di altri che mi rimangono
fra mano.
L’INNAMORATO RESPINTO
In una bella casa di campagna, non molto lungi da Londra,
in una delle più
piacevoli regioni dell’Inghilterra vivono un signore e sua
moglie, che
indicherò come signore e signora W. Sono sposati da sedici
anni ma non
hanno figli.
Quattro o cinque anni fa, venne ad abitare con loro un
amico di famiglia,
un vecchio signore che aveva già passato l’ottantina e le
cui forze in declino e
le infermità sempre più gravi richiedevano cure costanti.
La signora W. lo
assisté con il vigile affetto di una figlia; e quando,
dopo circa quattro anni,
morì, lo pianse come se avesse perso un padre. Il suo
dolore per la perdita di
lui fu particolarmente profondo per quella bella
caratteristica del suo sesso,
che induce una donna di buon cuore ad affliggersi
maggiormente per la
perdita di un debole fanciullo o di un sofferente anziano
i quali, per la loro
incapacità, le siano gravati come un continuo fardello ma
che, proprio per la
loro dipendenza, le sono divenuti così cari da farle
provare, dopo la loro
morte, piuttosto un senso di vuoto che un sollievo dalle
fatiche del giorno e
dalle veglie della notte.
344
In questo stato di mente e con i sentimenti più depressi
del solito, la
signora W., non molto dopo la morte del vecchio amico,
andò un mattino nel
suo giardino cercando un sollievo al dolore che la
opprimeva. Era lì solo da
pochi minuti quando sentì un forte impulso di tornare in
casa e mettersi a
scrivere.
Dobbiamo qui dire che la signora W. non era, e non era mai
stata, quello
che oggi diremmo una spiritista. Quello che aveva sentito
dire dello spiritismo
alcuni anni prima glielo aveva fatto anzi apparire come
una pericolosa
illusione; e, sebbene in seguito avesse cominciato a
dubitare di avere forse
ceduto a un ingiusto pregiudizio, non si era mai seduta a
un tavolino né aveva
altrimenti evocato fenomeni spiritici. Non può essere
considerato tale il fatto
che, una o due volte, per semplice curiosità, aveva
cercato di vedere se la sua
mano potesse scrivere automaticamente; l’unico risultato
erano stati pochi
sgorbi inintelligibili e alcune parole senza senso.
Questa volta, tuttavia, l’impulso di scrivere aumentò
sempre più, e,
accompagnato da una sgradevole sensazione nervosa al
braccio destro,
divenne così forte che ella infine gli cedette; e, tornata
in casa, prese un foglio
di taccuino e una piccola cartella, si sedette sugli
scalini della porta d’ingresso,
si mise la cartella sulle ginocchia con il foglio su di
essa e pose la mano, con
una matita, sull’angolo superiore sinistro, dove in genere
si comincia a
scrivere. Dopo un poco la mano fu gradualmente tratta
verso l’angolo
inferiore destro e cominciò a scrivere all’indietro,
terminando la prima riga
verso il lato sinistro del foglio, poi cominciandone una
seconda e poi una
terza, sempre a destra e finendo lo scritto pressappoco
nel punto in cui aveva
posato la matita dapprima. Non solo l’ultima lettera della
frase fu scritta per
prima e così via fino alla prima lettera che fu scritta
per ultima, ma ogni
singola lettera venne scritta all’indietro, cominciando
dalla fine: la matita
scrisse le righe andando sempre da destra a sinistra.
La signora W. mi dichiarò (come si può facilmente capire)
di non avere
avuto la minima percezione di ciò che la sua mano stesse
scrivendo; nessuna
idea passo per la sua mente in quel momento. Quando la sua
mano si fermò,
ella lesse la frase come avrebbe letto ciò che altri
avesse scritto per lei. Lo
scritto era contorto e irregolare, ma, come si vede dalla
riproduzione (7),
abbastanza leggibile. La frase suona così: Ye are
sorrowing as one
without hope. Cast thy burden upon God, and he will help
thee (Vi
addolorate come chi non ha speranza. Rimetti a Dio il tuo
fardello ed egli ti
aiuterà).
345
La signora W. mi disse poi che, se un angelo del cielo le
fosse
improvvisamente apparso pronunciando queste parole, non si
sarebbe più
meravigliata di quando le lesse. Si sentì colpita da un
reverenziale terrore
come se fosse stata in presenza di qualche potere
superiore. Rimase a lungo lì
seduta in silenziosa contemplazione. Poi lesse ancora, più
e più volte la frase
che le stava davanti, senza quasi credere alla evidenza
dei suoi sensi. Dopo
poco prese nuovamente la matita e tentò di scrivere
qualche cosa all’indietro.
Ma una semplice parola di tre o quattro lettere era troppo
difficile per lei. Si
affaticò a lungo senza riuscire a scriverla in modo che
poi fosse leggibile.
Allora le sorse nella mente una domanda: «Di dove proviene
tutto ciò? Chi
mi ha spinto a scrivére questa frase?».
I suoi pensieri tornarono involontariamente al vecchio
amico che aveva
appena perduto. Poteva forse il suo spirito, dalla sua
dimora ultraterrena
averle dettato quelle parole di consolazione? Poteva avere
avuto il permesso
di guidare la sua mano così da darle la sicurezza che
simpatizzava con il suo
dolore e si preoccupava di alleviarglielo?
Fu questa la conclusione a cui ella si volse infine.
Tuttavia, desiderando
un’ulteriore conferma, pregò silenziosamente che lo
spirito che aveva scritto
quella frase mediante la sua mano avesse anche il permesso
di sottoscrivere il
suo nome con lo stesso mezzo. Poi mise la matita al piede
del foglio
aspettando fiduciosa che vi fosse scritto il nome del
vecchio amico perduto.
346
Il risultato deluse tuttavia la sua aspettativa. La
matita, tratta nuovamente
verso il margine destro del foglio, scrisse, all’indietro
come prima, non già il
nome atteso ma le iniziali R. G. D.
La signora W., nel leggerle, ebbe un brivido e impallidì.
La tomba
sembrava restituire i suoi morti. Le iniziali erano quelle
di un giovane che,
diciotto anni prima, aveva chiesto la sua mano, ma che
ella, sebbene lo
conoscesse da molto tempo e molto lo stimasse, aveva
respinto non sentendo
per lui un sentimento più caldo dell’amicizia, e avendo
forse altre preferenze.
Egli aveva accolto il suo rifiuto senza rammarichi né
proteste. «Non mi avete
mai dato motivi», disse cortesemente, «per attendermi di
essere accettato. Ma
volevo conoscere il mio destino, non potendo sopportare
oltre l’incertezza. Vi
ringrazio per la vostra sincerità. Vedo che non sarete mai
mia moglie, ma
nessun’altra lo sarà. Almeno questo è in mio potere».
E con queste parole l’aveva lasciata. Dodici anni dopo,
morì scapolo.
Quando la signora W. seppe della sua morte, provò per un
momento un senso
di angoscia al pensiero che, forse, attraversando la sua
vita, aveva oscurato e
resa solitaria la sua esistenza. Ma, poiché non aveva
nulla da rimproverarsi e
non aveva provato per lui nulla di più che non provasse
per gli altri amici,
presto non vi pensò più; e mi assicurò solennemente di non
ricordarsi che il
suo nome fosse tornato alla memoria per parecchi anni, fino
al momento in
cui le fu così improvvisamente e inaspettatamente
rievocato.
Questo avveniva nel pomeriggio di martedì primo marzo
1859. Poco più di
un mese dopo, e cioè il lunedì 4 aprile, verso le quattro
del pomeriggio,
mentre la signora W. stava leggendo nel suo soggiorno, udì
improvvisamente
tre colpi distinti che sembravano venire da un tavolino
addossato al muro
presso di lei. Tese l’orecchio, e i colpi si ripeterono.
Ancora incerta se non si
trattasse di rumori accidentali, disse: «Se è uno spirito
che si annuncia lo
prego di ripetere i colpi». Immediatamente i rumori furono
ripetuti in modo
ancor più netto, e la signora W. ebbe la certezza che
provenivano dal tavolino.
Allora disse: «Se prendo carta e matita potrò sapere chi
è?». Subito
risuonarono tre colpi, come di assenso; e, quando si mise
a scrivere, la sua
mano, scrivendo all’indietro, formò le stesse iniziali: R.
G. D.
Allora chiese: «Perché questi colpi?». La risposta, anche
questa volta
scritta all’indietro, fu: «To shaw you that we are
thinking and
working for you (Per
mostrarvi che stiamo pensando e operando per voi)».
Né questo fu tutto. Dieci giorni dopo quest’ultimo
incidente, precisamente
il pomeriggio di giovedì 14 aprile, la signora W.,.
ricordandosi per caso che
una volta R. G. D. le aveva regalato un bel cane Terranova
nero, penso fra sé:
«Quanto mi piacerebbe avere adesso un animale come
quello!». E una delle
347
sue domestiche, che le era vicina in quel momento,
commento: «Vorrei avere
anch’io un bel Terranova da portare a passeggio».
Il mattino seguente, dopo colazione, venne annunciato un
signore. Risultò
essere un perfetto estraneo che la signora W; non
ricordava di avere mai visto.
Era un ispettore di 413.una città vicina e portava con sé
un superbo Terranova
nero, alto fino al tavolo. Dopo essersi scusato per la sua
intrusione, disse di
essersi preso la libertà di venire per chiedere alla
signora W. se avrebbe
accettato il cane che aveva con sé. «Non potreste farmi un
dono più gradito»,
disse la signora W., «ma posso chiedervi che cosa vi ha
indotto a portarlo
proprio da me?». «L’ho portato», rispose l’altro, «perché
ho deciso di non
tenere più cani in futuro e perché sono sicuro che lui
troverà in voi una buona
padrona».
La signora W. mi assicurò di avere l’assoluta certezza che
la ragazza con cui
aveva parlato della cosa non aveva fatto cenno ad alcuno
del suo desiderio di
avere un cane, che l’osservazione casuale le era passata
di mente e che lei
stessa non vi aveva più pensato. Si noterà che solo poche
ore passarono tra
l’espressione del desiderio e l’offerta dell’animale.
Coloro che conoscono la signora W. al pari di me sanno che
la rettezza e la
coscienziosità sono tipiche del suo carattere e che questi
avvenimenti possono
essere accolti con fiducia come assolutamente veri. Io li
ho avuti direttamente
dalla stessa signora W. pochi giorni dopo che avvennero, e
la signora mi ha
ceduto gentilmente il manoscritto delle due comunicazioni.
348
Le circostanze qui considerate sono, nel loro genere, le
più straordinarie di
cui sia venuto a conoscenza. E il lettore non si
meraviglierà nel sapere che la
signora W., fin allora scettica sulla realtà di qualsiasi
intervento diretto da
parte di un altro mondo, mi ha confessato di non avere più
dubbi, di sentirsi
consolata e tranquilla e di accettare gli indizi a lei
così concessi, non cercati e
non previsti, come sufficiente garanzia di essere, in
certa misura, sotto una
protezione spirituale: pensata e guidata perfino
dall’oltretomba.
Prima di decidere se una fede così consolatrice sia infondata,
consideriamo
i fatti di questo caso.
Di dove proveniva l’improvviso impulso provato in
giardino? La gente non
è solita immaginarsi di volere scrivere se non ha qualche
cosa da dire. La
signora W. non era una spiritista né viveva fra
spiritisti, così che non si può
invocare come spiegazione un agente epidemico, anche se
una tale ipotesi
avesse qualche peso. Il fenomeno presentatosi era
strettamente spontaneo.
Perché la scrittura all’indietro? In questo non entrava la
volontà, e
nemmeno l’aspettativa. La signora W., in condizioni
normali, non sapeva
scrivere così. Certo avrebbe potuto imparare a farlo dopo
una diligente
pratica. Ma non aveva tale pratica, e non aveva imparato.
Era dunque
nell’impossibilità fisica di scrivere spontaneamente in
tal modo, così come è
impossibile a un uomo prendere un violino per la prima
volta ed eseguire a
prima vista qualche elaborato brano di Handel o di
Beethoven.
E così pure, di dove proveniva l’intenzione di scrivere in
un modo così
singolare e difficile. Dove c’è un’intenzione deve esservi
un’intelligenza. E tale
intenzione non era della signora W., perché il risultato
la riempì di stupore,
quasi di costernazione. Non era dunque la sua intelligenza
quella che agiva.
Che intelligenza era?
Né possiamo ragionevolmente dubitare degli scopi. Se la
mano della
signora W. avesse già scritto in precedenza, ella, con
tutta probabilità,
avrebbe potuto chiedersi se, forse in uno stato di
semicoscienza, non avesse
lei stessa dettato le parole. Ma il fatto della scrittura
all’indietro precludeva
ogni supposizione del genere: perché ella non poteva fare
inconsciamente una
cosa che non sapeva fare affatto. E questo espediente
sembra essere stato
ingegnosamente escogitato per tagliar corto a ogni
supposizione di questo
tipo. Dunque abbiamo qui l’invenzione di un espediente,
una manifestazione
di ingegnosità. Ma chi è l’inventore? Chi manifesta
l’ingegnosità? Confesso di
non essere capace di rispondere a queste domande.
L’incidente del cane, se fosse isolato, sarebbe meno
notevole. Una cosa può
avvenire anche se vi sono diecimila probabilità contrarie.
Una signora può,
oggi, esprime il desiderio di un cane di Terranova, e un
perfetto estraneo, che
349
nulla sapeva di quel desiderio, può, domani, offrirgliene
uno. E tutto questo
può avvenire, come siamo soliti dire, per caso. Ma nella
vicenda che
esaminiamo vi sono circostanze concomitanti di cui si deve
tener conto. R. G.
D., un tempo, aveva appunto regalato un, cane di quella
razza alla signora W.
Lei aveva pensato a lui e al suo dono. Aveva saputo, dieci
giorni prima,
attraverso un agente che aveva giudicato impossibile
considerare come
naturale, che lui stava pensando e lavorando per lei. Era
forse superstiziosa
quando mi disse, come mi disse, che «nulla poteva
convincerla che uno spirito
non avesse indotto il padrone del cane a portarlo a lei?».
Io penso che la sua conclusione, date le circostanze,
fosse molto naturale.
Credo che pochi, dopo avere avuto la stessa esperienza
personale, vi
avrebbero resistito. Era anche razionale al pari che
naturale? E’ difficile dire
che non lo fosse a meno che non consideriamo fuori
discussione, come cosa
impossibile, che lo spirito di un defunto possa comunicare
con un vivente,
leggere i suoi pensieri, influenzare le sue azioni.
Ma si spreca il tempo esaminando una questione che abbiamo
deciso in
anticipo di risolvere in senso negativo.
E, se non abbiamo preso questa decisione, non faremo bene
a prendere in
considerazione i problemi che questa e le precedenti
storie suggeriscono? Se,
fuori da questa esistenza materiale, viene talora
esercitato un pensiero a
protezione del benessere degli uomini; se, talora, può
giungerci un conforto
per opera di agenti che operano in nostro favore da quel
mondo verso il quale
tutti ci andiamo affrettando; se vi è un amore terreno più
forte della morte:
tutte queste influenze - se sono vere influenze - sono
forse così indesiderabili
in se stesse, ricche di così scarsa consolazione, così
incapaci di allietare
un’anima afflitta, così deboli per sostenere uno spirito
che affonda, così
impotenti a ravvivare la fede nell’aldilà, da permetterci
di respingerle a buon
diritto, già sulla soglia, come sgraziate aberrazioni, o
di scartarle senza esame
come empie o incredibili?
Note
(1) Theorie der Geisterkunde.
(2) A Washington, il 4 luglio 1859.
(3) Nature and the Supernatural, di Horace
Bushnell, New York,
1858, pagg. 475-476.
350
(4) The Doctrine of the Supernatural Established (Dimostrazione
della dottrina del sovrannaturale), di Henry Edwards,
Londra, 1845, pagg.
226-28.
(5) Il corsivo è nel manoscritto originale.
(6) Questa storia fu riprodotta, nel giugno 1860, nelle
colonne del
Worcester Herald;
e questo giornale, nel riferirla, espresse l’opinione che
fosse una burla giocatami dal signor Hall. Pochi giorni
dopo, tuttavia, il
direttore, con encomiabile franchezza, ritratto quanto
aveva scritto con queste
parole: «Dobbiamo delle scuse al signor Hall. Il banchiere
nella cui casa le
parti si incontrarono, a Worcester - ossia il signor Hall
e la signora che riferì
la sua esperienza di Gaspar, spirito familiare - ci
assicura che il signor Hall ha
raccontato la storia nel modo più fedele ed esatto quale
la signora stessa
l’aveva narrata a lui; e quanto alle circostanze
accessorie - la descrizione del
carattere e della condizione della signora, l’impressione
fatta su di lui dai suoi
modi schietti, la serietà delle sue convinzioni - sono
egualmente rese molto
fedelmente. Confidiamo che il signor Carter Hall vorrà
scusarci per averlo
sospettato di avere scherzato sulla credulità di un amico.
Non conosciamo
nessun uomo più dotato della grande arte peculiare a
Defoe, di dare alla
finzione il carattere della realtà».
Mi considero fortunato di avere così ottenuto un nuovo
garante per una
delle più straordinarie narrazioni di questo volume. Nota
all’edizione
inglese,
luglio 1860.
(7) Vedi Tavola I. Sembrerebbe che si debba leggere Thau
art
sorrowing (ti
addolori) ecc. Se mi chiedete il perché di questo errore di
costruzione grammaticale, rispondo che non posso spiegarlo
così come non
posso spiegare lo scritto stesso. Non si potrebbe scrivere
più correttamente
della signora W. L’errore non proviene dunque da lei, come
si potrebbe
supporre nel caso di uno scriba illetterato. Esso
costituisce una prova in più
che la sua mente non operava nel fenomeno, sebbene sarebbe
forse spingere
la congettura troppo oltre l’immaginare che sia stato
fatto appunto a questo
scopo.
351
LIBRO VI - I RISULTATI SUGGERITI
1 - Il cambiamento della morte
«Natura non fecit saltum».
Linneo
Non è sufficiente che una teoria sia sostenuta da un forte
corredo di prove.
Per essere presa in seria considerazione o sfidare delle
concezioni razionali,
non deve implicare risultati in se stessi assurdi.
Ma come stanno le cose relativamente alla teoria per cui,
nelle precedenti
pagine, ha dato una serie di prove? Parlo dell’ipotesi
secondo la quale, quando
lo spirito umano, liberato dal, corpo, passa in un’altra
esistenza, i suoi
pensieri e i suoi affetti possono tornare sulla terra, ed
esso, in realtà, può
rendersi occasionalmente percepibile ai viventi, sia in
sogno, sia alla luce del
giorno, talora al senso della vista, talora a quelli
dell’udito o del tatto, talora
mediante un’impressione che noi scopriamo nei suoi effetti
senza poterne
risalire alle cause. Questi vari agenti spiritualmente
hanno a volte un aspetto
frivolo, a volte uno solenne; ora assumono la forma di un
piccolo disturbo ora
di un severo castigo, ma più spesso si manifestano come
gentile aiuto e
amorosa vigilanza.
Se queste cose non possono essere ammesse senza lasciar
adito a inferenze
evidentemente assurde, poco vale la forza delle prove che
possono essere
addotte in loro favore: l’ultima decisione deve essere
contro di esse.
Così pensava Defoe. Discepolo di Lutero, e partecipe di
tutte le sue
avversioni, egli respingeva, con quel gagliardo
riformatore, non solo il
Purgatorio della teologia romana, ma anche l’idea di
qualsiasi stato
intermedio fra il cielo e l’inferno. Quindi, egli arguiva,
i morti non possono
tornare in terra. Non possono tornarvi dal cielo: chi potrebbe
immaginare la
beatitudine dell’eterno redento rudemente turbata per
scopi così triviali? E
quanto ai dannati dell’inferno, come possiamo supporre per
loro la facoltà o il
permesso di lasciare, per escursione terrene, una prigione
le cui porte sono
loro sbarrate per sempre?
Ammesse le premesse, queste conclusioni conseguono necessariamente.
Non si può ragionevolmente immaginare che i morti tornino
né dal cielo né
352
dall’inferno. Se quindi non vi è uno stato intermedio dopo
la morte, la teoria
di una apparizione spirituale o di un’azione terrena da
parte di coloro che ci
hanno preceduti nell’aldilà è inammissibile.
Questo deve essere concesso soprattutto perché le
occasioni dei pretesi
ritorni sono a volte veramente futili. Una ragazza di
servizio è attratta alla
terra dalle lettere e dal ritratto del suo amato. I
proprietari di una vecchia casa
tornano per lamentarsi della sua decadenza e si addolorano
perché è cambiata
di proprietario. Un padre appare al figlio per impedirgli
di sborsare senza
necessita alcune sterline. Una povera lavandaia di
reggimento ha lasciato
morendo un debito che non raggiunge nemmeno il dollaro, e,
per ottenere che
sia pagato, il suo spirito abbandona, notte dopo notte, la
sua sede eterna!
E qui arriviamo a un’altra conseguenza necessaria. Se
queste storie sono
vere, lo spirito appena partito mantiene, per un periodo
più o meno lungo,
non solo il suo modo di pensare in genere e i motivi delle
sue attività, ma
anche le sue minute peculiarità e le sue predilezioni. Al
momento della morte
non deve esservi dunque alcun improvviso cambiamento di
individualità, né
in meglio né in peggio. Gli uomini devono svegliarsi in
un’altra vita lasciando
il corpo dietro di sé, e con esso gli istinti corporali,
le infermità fisiche, e
tuttavia ognuno resterà lo stesso individuo, moralmente,
socialmente,
intellettualmente, quale era sul suo letto di morte
terreno.
In tutto questo non vi è nulla che miri a influenzare
positivamente o
negativamente la dottrina del Giudizio finale. Mi
riferisco solo allo stato
dell’anima al momento in cui viene liberata dalla morte e
per un periodo
successivo.
Ma entro questi limiti è evidentemente così, è inutile
negarlo. La teoria
secondo cui gli amici defunti possono tornare a visitarci
e vegliare su di noi,
implica chiaramente due postulati.
Anzitutto che, quando la morte prostra il corpo, lo
spirito non rimane
sonnecchiante nella tomba, presso la carne e le ossa che
cadono in polvere,
ma entra subito in una fase di vita nuova e attiva; non
uno stato di ineffabile
beatitudine e di disperata miseria, ma uno in cui i suoi
sentimenti e i suoi
pensieri possono essere influenzati da preoccupazioni,
impegnati da doveri,
richiamati da simpatie.
Secondariamente, che il mutamento della morte raggiunge
solo il corpo
non il cuore o la mente, lasciando da parte il primo senza
trasformare i
secondi.
In altre parole, la morte non distrugge in alcun senso né
la vita né l’identità
dell’uomo. E non fa dello spirito un angelo
improvvisamente immacolato che
353
subito aspiri al cielo, né, tanto meno, lo condanna come
demonio subitamente
degradato che debba sprofondare nell’inferno.
Tutto questo può sembrare eterodosso. Ma è più importante
vedere se è
irrazionale. Non era eterodosso, ma strettamente canonico
prima che
passassero molti secoli fra gli insegnamenti di Cristo e
le dottrine dei suoi
seguaci. Se lo adottiamo adesso, possiamo andare contro i
prevalenti
sentimenti del protestantesimo moderno, ma torniamo alla
fede,
universalmente confessata, della cristianità primitiva
(1). Non affermo questo
come un argomento per la sua verità, ma solo per ricordare
le sue origini.
Lutero, per il suo tempo e per il suo compito, fu un uomo
degno di lode e di
ammirazione, coraggioso, con un pensiero libero e una
volontà di ferro. Ma
Lutero, come altri, non manca di errori e di colpe di cui
deve rispondere.
Tutto intorno a lui era forte, compresi i suoi pregiudizi.
Quando la sua volontà
reagiva a ostacoli profondamente radicati, il potere dei
suoi ostinati slanci lo
portava talora oltre la verità e la ragione. Egli maneggiò
sempre la sua scopa
riformatrice con effetti giganteschi, non sempre con
deliberata
considerazione. Considerò che il Purgatorio era un abuso,
e, per farne un
lavoro radicale, spazzò via l’Ade con esso (2).
E’ un problema di enorme importanza se egli non abbia
commesso,
sradicando la fede delle età precedenti (3), non solo un
grave errore di fatto,
ma anche un deplorevole danno in pratica.
Quando il grande riformatore negò uno stato intermedio
dopo la morte, la
negazione implicò un’ipotesi di valore eccezionale. Poiché
senza Ade non
possono esservi né speranza, né redenzione, né
preparazione dopo la tomba;
siamo costretti a supporre, nel caso dell’uomo, ciò che
Linneo afferma
introvabile in tutta l’economia della natura: un vero e
proprio salto attraverso
l’abisso, un cambiamento trasformante immediato e
completo. Siamo
costretti a immaginare che tale cambiamento non sia
preceduto da alcun
progresso graduale né influenzato da alcuno sforzo umano.
Secondo le varie dottrine dei credenti in questa
improvvisa metamorfosi,
essa può avvenire al momento della dissoluzione oppure in
un’epoca
indefinitamente distante. Una parte dei seguaci di Lutero,
non sapendo che
fare dell’anima umana nell’intervallo fra la separazione
del corpo e il suo
richiamo, in un’epoca remota, da parte della tromba
finale, adotta
parzialmente, per risolvere la difficoltà, la dottrina
greca di un tranquillo
riposo. Secondo essi, l’anima, travolta dalla morte, come
ogni cosa mortale, e
caduta nell’incoscienza, subisce una virtuale sepoltura,
una sospensione
dell’esistenza senziente, una specie di temporaneo
annichilimento di cui solo
Colui che ha fissato il giorno del Giudizio conosce la
durata. Altri luterani,
tuttavia, sbigottiti da questo avvicinamento al motto della
filosofia
354
rivoluzionaria promulgata in Francia nei giorni del
Terrore - «La morte è un
sonno eterno» - cercano di evitare il dilemma supponendo
che non vi sia un
remoto giorno del Giudizio universale e che il giorno
della morte sia anche,
per ognuno di noi, il giorno della retribuzione: che
l’anima, al momento
dell’emancipazione, salga al tribunale di Dio per essere
immediatamente
eletta al cielo o consegnata all’inferno.
In entrambe le ipotesi è chiaramente implicita la
concezione di una
improvvisa rivoluzione dei pensieri e dei sentimenti.
L’uomo, per quanto
fulgide siano le sue virtù, o nere le sue colpe, finché
rimane in terra non è né
un serafino né un demone. Fra i nostri simili, intimi
amici o lontane
conoscenze, quanti, anche i migliori, sono pronti a
entrare nel cielo? E quanti,
anche dei peggiori, sono degni solo dell’inferno? Quale
enorme maggioranza è
troppo imperfetta per il primo e tuttavia, per qualche
virtù redentrice, troppo
buona per il secondo! Con quale eccezione, se pur ve ne
sono, troppo rara per
invalidare la regola generale, l’uomo non raggiunge sulla
terra né la
perfezione della virtù né l’estremo della degradazione.
Ma quale futuro possiamo ragionevolmente aspettarci per un
essere così
fatto, nelle mani di un Dio nelle cui opere nessun
principio brilla così
luminoso come quello di un universale adattamento? Un
giudizio finale o un
ulteriore noviziato? Quale dei due?
L’ultimo, evidentemente, a meno che non si presuma che
l’adattamento
debba essere precipitato come per un miracolo senza
esempi; a meno che, in
un batter d’occhio, l’uomo relativamente buono debba
essere purificato, senza
alcuno sforzo da parte sua, da ogni fragilità indegna di
un celestiale consesso,
mentre l’uomo relativamente cattivo debba essere privato,
egualmente da un
agente che non può controllare, di ogni latente scintilla
o indugiante scrupolo
che, per quanto piccoli, siano superiori a una congrega
infernale.
Non diciamo nulla dell’ingiustizia apparentemente
implicita in tale teoria.
Ma dove troviamo, in una sola pagina del grande libro che
è stato aperto fin
dalla creazione del mondo a tutte le creature razionali di
Dio, una indicazione,
anche minima, che sostenga questa teoria con le
probabilità dell’analogia?
Troviamo ogni parte dell’opera divina fondata sul
principio del progresso.
Il seme, la pianta, il fiore, il frutto: sono questi i
modelli del graduale agire
della natura. Ogni mutamento è una successione armonica e
continua.
Graduali soprattutto sono le influenze attraverso le
quali, sotto la visibile
economia divina, si forma il carattere umano. Il costante
presentarsi delle
circostanze, il lento costituirsi delle abitudini, il
dispiegarsi per gradi
impercettibili degli affetti, il susseguirsi un per uno
dei motivi dirigenti, il
lento espandersi, dall’infanzia alla maturità, dei poteri
intellettuali: sono
355
questi i mezzi che operano, agendo così silenziosamente,
modificando per
gradi così microscopici che, come il movimento della
lancetta delle ore sul
quadrante di un piccolo orologio, il progresso sfugge alla
nostra percezione.
Solo quando mesi o anni sono trascorsi, ci accorgiamo di
aver superato un
piccolo spazio. Sappiamo che la continua catena delle
influenze si è allungata
sebbene i suoi anelli siano invisibili agli occhi mortali.
In questo modo, così strettamente graduale, così
costantemente operante
per l’intervento di lentissimi agenti, e in questo
soltanto, viene influenzato,
qui sulla terra, il carattere umano. E non avrebbe potuto
essere altrimenti a
meno che l’uomo fosse stato creato non come il progressivo
e libero agente
che è, ma come una creatura essenzialmente diversa.
E nello sviluppo dell’essere umano, quale è, non troviamo
mai che Dio si
permetta (se così possiamo dire) di allontanarsi dalle
leggi inerenti
all’organizzazione e agli attributi della creatura da Lui
fatta. Progressivamente
e mediamente, con l’intervento di motivi presentati, con
l’azione della
volontà, con l’influenza dell’ambiente fisico e sociale,
così e non altrimenti
Dio permette che l’uomo gradualmente divenga quello che le
circostanze,
agendo giornalmente su di una costituzione come la sua,
determinano che
debba essere. Così e non altrimenti, per quanto possiamo
seguirlo, l’uomo è
ammaestrato e guidato,
Infine questo essere progressivo raggiunge un punto in cui
il corpo, che
durante il suo primo vigore asseconda, in una certa
misura, i suggerimenti del
suo associato immortale, viene meno e cade. E’ servito al
suo scopo come un
vecchio albero ormai secco. Quello che era stato sentito
fin allora come un
conforto e un aiuto diventa un fardello e un ingombro.
L’immortale ha
superato la sua deperibile invoglia. La larva cade. Lo
spirito libero se ne va
oltre i limiti della nostra conoscenza.
Nel seguire mentalmente i suoi invisibili progressi,
poiché i più abili teologi
differiscono nella loro interpretazione dell’autorità,
quale guida terrena
possiamo seguire più sicuramente dell’analogia? Dove, se
non nelle regole del
passato, possiamo trovare un attendibile indizio relativo
alle probabili regole
del futuro?
La conclusione è evidente. Colui che conduce l’anima sul
margine
dell’Acheronte non l’abbandona sulla riva. Né quella riva
è il confine del Suo
regno. Le sue leggi operano anche al di là. Ma queste
leggi, per quanto
possiamo conoscerle, non mostrano variabilità né ombra di
mutamento. E
non vedo ragione né probabilità nella supposizione che in
qualche parte del
creato esse si interrompano o si rovescino. Non vedo
ragione né probabilità
nella teoria che in qualche parte del creato il progresso
e lo sforzo cessino di
356
provocare un miglioramento o che l’uomo sarà degradato da
un agente che
non sia suo proprio.
Non trovo dunque nulla di assurdo né di irrazionale nei
postulati impliciti
nella teoria dell’interferenza spirituale. Al contrario,
mi sembra molto
probabile che l’attenzione degli uomini sia stata
particolarmente richiamata,
nei nostri tempi moderni, su questa stessa teoria per
correggere un grave
errore e porre così termine a un danno che quell’errore
aveva provocato.
Se è vero che l’Ade esiste, si tratta di una importante
verità. E le
conseguenze negative che risultano dalla negazione di una
verità sono in
proporzione con l’importanza di quella verità stessa.
Questo si applica a ciò che consideriamo? Conseguono gravi
e seri danni
dal respingere la dottrina di uno stato intermedio dopo la
morte?
L’uomo è così fatto che stimoli remoti agiscono debolmente
su di lui.
L’esperienza dimostra che il potere di una ricompensa,
come incentivo, è in
rapporto inverso con la distanza a cui la ricompensa è
posta. E nessuna
massima giuridica è meglio stabilita di questa: che la
punizione, per essere
efficace, deve seguire da vicino l’offesa.
Se dunque ammettiamo - come fanno i filosofi - che la
credenza in una
futura ricompensa e in una futura punizione è l’incentivo
principale verso la
verità e la virtù, è essenziale che il loro effetto non
sia indebolito dalla
lontananza.
Ma questo è precisamente quello che Lutero fece nel suo
desiderio di
liberarsi del Purgatorio. Egli pospose a un giorno del
Giudizio, che può. essere
impensabilmente lontano, la ricompensa e la punizione dei
fatti terreni. Poco
vale aggiungere che l’intervallo sarà trascorso in un
sonno incosciente, e dire,
come spesso sentiamo dire, che mille anni di un sonno
senza sogni sono per il
dormiente come un attimo: una distinzione così sottile non
raggiunge i
sentimenti né convince la mente comune.
Quale meraviglia, allora, se l’omicida è trattenuto dalla
paura della
punizione terrena, per quanto sia incerta, in migliaia di
casi in cui il timore
del giorno del Giudizio, poco distinto in una distanza
senza limiti, esercita
un’influenza troppo debole per arrestare la sua mano?
Quale meraviglia se il gaudente, come un bambino che
vanamente si cerchi
distogliere da un pericoloso piacere attuale con la
promessa di uno più grande
in futuro, si abbandona incurante a ogni gioia sensuale
presente, non
trattenuto dal rischio di perdere una felicità celestiale
che non sa quando avrà
inizio?
357
Quale meraviglia se il pulpito declama in continuazione
contro la cecità e la
follia degli uomini che preferiscono le passeggere gioie
di un momento alle
beatitudini della vita eterna, e se la declamazione cade
così spesso in orecchie
sorde e cuori chiusi?
Quando lo scienziato pone un magnete oltre la sfera della
sua azione
abituale, non si meraviglia di non potere più scorgere le
sue manifestazioni. Il
teologo, meno ragionevole, pone a una distanza resa
infinita dall’effetto
dell’incertezza, tutte le attrattive di un premio futuro e
i timori di un futuro
castigo, e tuttavia si aspetta che l’azione magnetica di
un Aldilà mantenga la
sua forza e il suo potere di convinzione.
Si obietterà che il mio argomento non si applica a coloro
i quali credono
che Dio sieda in eterno giudizio e che ogni momento che
passa è testimone
della sentenza.
In una estensione limitata l’obiezione è valida, ma solo
in una estensione
limitata. Si può ottenere una quasi altrettanto completa
separazione fra le due
vite con altri mezzi che non siano la distanza. Nella
parabola, l’abisso che
divide il ricco epulone da Lazzaro non è rappresentato
come di grande
larghezza: è possibile vedere attraverso di esso, si
possono fare domande e
ricevere risposte, e tuttavia è presentato come
invalicabile.
Ma, abbattendo la vecchia dottrina dell’Ade - il ponte
spirituale che collega
il Qui con l’Aldilà - non abbiamo forse lasciato aperto un
grande abisso, se
non invalicabile tuttavia difficile a valicare per una
concezione umana? Non
abbiamo forse separato, per gli umani sentimenti, con un
praticamente
infinito intervallo di tempo, l’esistenza dell’uomo su
questa terra dalla sua vita
futura?
La questione dell’identità - tema degli antichi sofisti -
è ardua. In un senso
fisico, strettamente parlando, un uomo non è, oggi, lo
stesso individuo che era
ieri e che sarà domani. Nondimeno il cambiamento da un
giorno all’altro è di
solito così impercettibile che istintivamente concepiamo
l’individuo come lo
stesso.
Ma se i cambiamenti che avvengono adesso in vent’anni
fossero condensati
in una sola notte; se un bambino, quale ci appare quando sono
trascorsi solo
dodici mesi dalla sua nascita, messo a letto stasera, si
svegliasse domani
esattamente lo stesso, nel corpo e nella mente, quale sarà
quando avrà
raggiunto la maggiore età, non sarebbe per noi lo stesso
ma un altro. Il caso,
in forma modificata, avviene realmente. Ci separiamo da un
bambino di due o
tre anni e lo rivediamo uomo di venticinque. Teoricamente
lo consideriamo la
stessa persona; praticamente è una nuova conoscenza che
non abbiamo mai
incontrato in precedenza.
358
Vi è tuttavia una differenza fra i due casi. Nell’ultimo,
l’individuo assente
ha mantenuto, nei suoi sentimenti, la propria identità,
sebbene noi abbiamo
perduto ogni percezione di essa. Nel primo, in cui abbiamo
supposto che la
trasformazione sia avvenuta in una sola notte, l’identità
sarebbe andata
perduta quasi certamente per la persona trasformata come
per noi, testimoni
della trasformazione.
Ma non possiamo supporre che il cambiamento dall’infanzia
all’età adulta,
per quanto grande, possa essere paragonato per un attimo,
nella sua
interezza, alla trasformazione radicale che sola può
abilitare il migliore di noi
a unirsi alla schiera serafica o rendere un nostro
fratello errante o una fragile
sorella un compagno dei demoni nell’inferno di Lutero.
Ancor meno possiamo immaginare che il Dio di un mondo come
questo,
che dispiega a ogni passo che facciamo in esso infiniti
adattamenti in numero
e in carattere, meravigliosi oltre ogni umana concezione,
consegni ognuna
delle sue creature a una dimora per cui essa non è strettamente
adattata.
E se il cambiamento che succede immediatamente al
momentaneo sonno
della morte è tanto maggiore di quello che abbiamo
immaginato in una
creatura che si addormenti a sera come bambino e si
risvegli uomo fatto al
mattino, qualora, in quest’ultimo caso l’identità andasse
perduta, quanto più
dovrebbe esserlo nel primo!
Il corpo se n’è andato: quale continuo legame di identità
rimane? La mente
e i sentimenti. Trasformiamo anche questi e spezzeremo
ogni legame che
collega, per noi, un Aldiquà con un Aldilà.
Praticamente non siamo più noi, che sopravviviamo, ma un
altro. Muore
sulla terra un essere umano; un serafino o un demone
appaiono in cielo o
nell’inferno (4).
Sarebbe ozioso dire che questa è una sottile distinzione
teorica, il puro
sofisma di un logico. E’ proprio per il suo carattere
pratico che sono stato
indotto ad avanzarla.
Non affermo che gli uomini si confessino di non credere di
essere destinati
a esistere in uno stato futuro come gli stessi individui
che adesso pensano e
sentono. Non è questa la forma che assume il male.
I cristiani praticanti sono soliti dichiarare che vivranno
di nuovo, in cielo,
come angeli glorificati. E, in un certo senso teorico, lo
credono. Si
sentirebbero offesi se qualcuno affermasse che non hanno
fede in un’altra vita
che li attende. Per quanto un essere umano possa
identificarsi con un’altra
creatura essenzialmente diversa, essi credono che loro
stessi, attualmente
viventi, e gli angeli glorificati che vivranno
nell’Aldilà, sono le stesse persone.
359
Ma proprio le espressioni da loro usate correntemente
tradiscono
l’imperfetto carattere di questa fede. Essi dicono:
«Vivremo nuovamente».
L’espressione implica una frattura. Ed essi intendono
realmente quello che
dicono. La loro fede non richiama l’idea di una continuità
di vita. La morte,
per loro, non è un messaggero ma un distruttore: un
crudele sterminatore,
non un liberatore benvenuto (5). Il salice piangente, il
cupo cipresso sono i
suoi emblemi; non il mirto e l’alloro.
La loro concezione è quella di due vite con un pauroso
abisso in mezzo. La
discesa in questo abisso è giustamente accompagnata, essi
pensano, da
lamenti. I dolenti vanno per le strade. Non si tratta di
un oscuro ingombro
senza valore, tolto di dosso e lasciato alla terra affine,
mentre un libero spirito
gioisce della sua emancipazione: siamo noi che
scendiamo nella buia tomba
dove non vi è attività, né iniziativa, né conoscenza, né
saggezza, dove la stessa
speranza è estinta.
«Nella fredda tomba verso cui ci affrettiamo
Non vi sono atti di perdono;
Ma rimane fisso il giudizio di tutti
E regna un eterno silenzio».
E’ forse possibile che concezioni come queste si
diffondano fra noi senza
interporre fra l’uomo e la sua dimora celeste alcun
termine medio travisatore,
alcun velo oscuro?
Ma vi è un altro importante punto di vista da considerarsi
su questo
argomento.
La venerazione è uno dei sentimenti più influenti della
nostra natura,
prevalentemente universale o quasi; e nessun legislatore
con una giusta
conoscenza del genere umano, ignora o trascura la sua
influenza. Ma quando
la venerazione invade tutto il carattere umano, quando,
come nel caso degli
antichi anacoreti ed eremiti, la vita umana è interamente
dedicata
all’adorazione e alla contemplazione estatica di Dio e
delle cose celesti, non
solo il carattere viene ristretto e offeso, ma i
sentimenti diventano morbosi e il
sano giudizio scompare. Qui, sulla terra, nessun
sentimento può occupare
esclusivamente un uomo senza produrre anormali condizioni
di mente, che
pregiudicano grandemente la sua evoluzione e la sua
utilità.
Se l’improvvisa trasformazione di carattere che il sistema
di Lutero
presuppone, avviene realmente subito dopo la morte o
subito prima del
giorno del Giudizio, allora tutto questo può essere
cambiato. L’uomo, non
essendo più la creatura che troviamo qui, può subito
divenire adatto a uno
stato di essere in cui la preghiera e la lode sono le sole
ed eterne occupazioni.
360
Frattanto, tuttavia, da questa parte della tomba l’uomo
non è così cambiato.
Finché gli esseri umani rimangono qui sulla terra, dunque,
essi non sono né
potranno mai essere preparati per il cielo, nella comune
accezione della
parola.
Ma, in accordo con un’altra legge della nostra natura, noi
simpatizziamo
poco con ciò per cui non siamo preparati. Se cerchiamo di
immaginare come
saremmo se fossimo interamente diversi da quello che
siamo, il risultato è
una percezione sorda e fredda che non raggiunge mai i
sentimenti e non
riscalda il cuore. Può forse un giovane baldo, attivo e
poco colto, la cui gioia si
accentra negli sport, rendersi conto, con uno sforzo
mentale, della felicità
dell’artista pervaso da visioni di bellezza, o della
profonda soddisfazione dello
studioso circondato dai suoi libri e tripudiante nel vasto
regno di pensiero che
essi gli rivelano? Egli sente parlare di queste gioie e
forse non ne nega
l’esistenza; ma il suo freddo assenso non raggiunge mai il
grado di un motivo
dirigente né è sufficiente a influenzare la sua vita.
Per gli esseri umani, dunque, così come sono sulla terra,
la vita eterna
«dell’estasi serafica che arde e adora» non ha un fascino
vivente. Gli uomini
possono costringersi con la ragione e talora vi riescono
in un artificiale slancio
di entusiasmo, sotto la cui influenza sperimentano un
effettivo anelito a unirsi
alle schiere angeliche e a partecipare alla loro attività
immutabile. Ma, a meno
che non si siano più o meno distaccati dai doveri della
vita attiva, o si siano
abbandonati, in qualche eremo appartato, a una continua
sequela di esercizi
pii e contemplativi, si tratta, per la maggior parte,
della ragione che
argomenta freddamente, non del geniale impulso dei
sentimenti che sceglie e
approva. Nella cristianità protestante il cuore di milioni
di uomini non è
raggiunto dall’immagine che viene loro comunemente
presentata di una vita
eterna.
Questa non è un’affermazione che il cielo, quale ci è
stato dipinto, non sarà,
in qualche epoca futura, uno stato adatto alla razza
umana. Non sappiamo
dove potrà condurre il progresso ultraterreno. Non
possiamo dire che cosa
diverrà l’uomo quando, in un altro stato di esistenza,
avrà percorso un’altra
via di miglioramento. Avremo abbastanza tempo di speculare
su questo
quando avremo cominciato la futura strada. Ma sappiamo che
tipo di creatura
sia adesso l’uomo; e sappiamo che, finché sarà qui, sarà
diretto dalle leggi del
suo essere. Deve sapere apprezzare prima di essere in
grado di gioire. E se ciò
di cui non è capace di gioire gli viene promesso a certe
condizioni, la
previsione di esso, come regola generale, non stimolerà i
suoi sforzi perché
non risveglierà in lui alcun vivo desiderio.
Né si dica che solo per l’uomo di bassi desideri e di
istinti inferiori un cielo
prima di un Ade preliminare è troppo distante nel tempo e
troppo remoto dai
361
sentimenti per potere essere apprezzato e ambito. Quanto
numerose e distinte
sono adesso le virtuose emozioni che muovono il cuore
umano! Gli
incitamenti a fatti di benevolenza e di misericordia, gli
impulsi della
magnanimità, gli sforzi dell’abnegazione; fortezza,
coraggio, energia,
perseveranza, rassegnazione; la devozione dell’amore e il
fervore della
compassione: è un elenco quanto mai vario. E nell’uomo che
confessa le
effettive deficienze della sua vita, che sente quanto la
sua natura fosse
migliore delle sue manifestazioni, che sa quanto spesso in
questo mondo
siano stati repressi nobili istinti, quante generose
aspirazioni non siano state
messe in atto: nel cuore di quest’uomo non deve esservi
forse una forte
speranza che la vita attuale possa avere un seguito e un
complemento in
quella che deve venire? Chi si è affaticato a lungo e
pazientemente per
controllare e disciplinare una natura ribelle, chi ha
lottato in questo mondo
con tenace e paziente sforzo per educarsi moralmente e
intellettualmente, può
forse non desiderare e ragionevolmente attendersi che gli
sia permesso di
proseguire il lavoro così imperfettamente iniziato in
terra, là dove non vi è
una carne che opponga la sua debolezza allo spirito che
vuole? Sarà biasimato
il filantropo, la cui vita è stata una lunga serie di atti
benefici per la sua razza,
se non potrà abbandonare al momento della morte, senza
rammarico,
l’impulso divino che gli impone di soccorrere gli afflitti
e di risanare i cuori
dolenti? Anche colui che ha passato i suoi giorni
nell’esplorare i segreti della
natura, può forse abbandonare, impassibile, insieme al
corpo terreno, il
perseguimento di quella scienza a cui era legato il suo
cuore? (6). Ma, più
ancora, una natura ricca di amore e di compassione
prevederà forse con
compiacenza il periodo in cui la sua anima, tutta
consacrata all’adorazione o
riempita della sua propria felicità suprema, non potrà più
scegliere, tra le
creature sue compagne, i suoi oggetti di pietà e di amore?
In una parola, sono forse solo i malvagi coloro che
possono guardare
freddamente la prospettiva di uno stato che offre scarse
possibilità per
l’esercizio delle qualità che siamo stati soliti ammirare
e delle simpatie che ci
hanno finora legato alla nostra razza ? Solo il vizioso
potrà provare scarsa
attrattiva per un futuro in cui un sentimento universale,
per quanto santo,
sostituirà tutti gli altri? in cui una sola virtù, un solo
dovere dovrà
istantaneamente prendere il posto, nel carattere e nel
comportamento
dell’uomo, delle varie virtù, dei mille doveri che, qui in
basso, il suo Creatore
ha messo a sua portata?
Gli uomini possono rimproverare i loro simili per
l’indifferenza con cui
considerano un cielo che non sono preparati ad apprezzare
né capaci di
godere; non così Dio, che ha fatto del cuore umano quella
cosa multiforme e
riccamente dotata che è.
362
Anticipo un’obiezione che può essermi fatta. Le nostre
concezioni possono
non elevarsi all’altezza di quel cielo trascendente che ci
è stato descritto: i
nostri sentimenti possono restare freddi a questa
descrizione; ma, se non
conosciamo niente di uno stato di esistenza intermedio se
non che esiste, se
abbiamo solo un vago barlume della sua natura, dei suoi
privilegi, delle sue
gioie, in qual modo ci sentiremo meglio e più felici per
una credenza così
informe e indefinita? Meglio un cielo le cui glorie
beatifiche risplendono senza
attirare, che un paradiso i cui contorni sono indistinti.
Come possiamo
desiderare intensamente una vita sconosciuta o essere
confortati e influenzati
dalla previsione di uno stato così incerto e pieno
d’ombre?
Se coloro che così parlano si riferiscono solo a fatti che
devono essere
accettati, l’obiezione sarebbe decisiva. Essi presumono
che non si possa
conoscere nulla dell’Ade nel futuro. Lo fanno a buon
diritto?
Oltre le scarse e (riconosciamolo) insufficienti
indicazioni che si possono
spigolare dalla Scrittura, vedo due fonti da cui tale
conoscenza può essere
derivata: anzitutto l’analogia, e secondariamente quelle
rivelazioni che
possono giungerci da narrazioni simili a quelle che ho
raccolto in questo
volume, o da altra fonte ultraterrena.
Studiamo troppo poco i nostri istinti. Ascoltiamo con
troppo scarsa
attenzione i loro insegnamenti. Gli istinti vengono da
Dio.
Nessuno degli istinti che osserviamo nelle razze animali
diverse dalla
nostra è inutile, o non adatto, o incompleto. L’impulso
induce un’azione
strettamente corrispondente alle future contingenze che si
presentano
effettivamente. In un certo senso, gli istinti sono di
carattere profetico.
Quando l’ape, prima che il fiore sia stato depredato del
suo nettare, prepara le
cella di cera, quando un uccello, in vista
dell’incubazione, prepara il suo
morbido nido, l’adattamento è perfetto come se ogni
avvenimento futuro
fosse stato esattamente predetto.
L’uomo ha la ragione e gli istinti. Talora lo dimentica.
E’ suo diritto e
dovere, nell’esercizio della sua ragione, giudicare i
propri istinti; e tuttavia
deve farlo con reverenza, come cosa in cui può esservi una
saggezza nascosta.
Gli uomini, a volte per un errore religioso, più spesso
per un errore mondano,
sono soliti pensare che è opportuno scartarli o
reprimerli.
Vi è uno strano mistero che pervade la società umana. E’
l’apparente
anomalia presentata dal carattere dell’uomo in relazione
con la sua posizione
su questa terra.
Parliamo della miglior parte del genere umano, dei veri e
degni tipi della
razza. Qual è, in breve, la storia delle loro vite? Una
luminosa visione e un
363
disincanto. Una lotta fra due influenze: l’una nativa e
inerente, l’altra estranea
e terrena; una guerra fra la natura dell’uomo e la sua
situazione.
Non che il mondo in cui entra possa essere considerato
inadatto a
riceverlo. Perché in esso vi sono cognizioni da impartire,
esperienze da vivere,
sforzi da fare, progressi da raggiungere; vi sono prove
per mettere alla prova il
coraggio e la fermezza; vi sono creature eguali a noi da
amare; vi sono
creature sofferenti per cui provare pietà. Vi è molto a
cui interessarsi e non
poco da migliorare. Il presente è, senza dubbio, un
appropriato e necessario
stadio nel viaggio della vita. Nondimeno è un
mondo la cui influenza non
sviluppa mai pienamente il carattere dei suoi più nobili
abitanti. E’ un mondo
le cui più fortunate combinazioni, le cui più alte gioie
lasciano delusi e
insaziati alcuni dei più alti istinti dell’uomo. Tutte le
religioni, più o meno
distintamente, lo ammettono.
Noi parliamo della nostra migliore natura
come se ve ne fossero due. Ve
n’è solo una: una e la stessa nell’infanzia, nella
gioventù, nell’età adulta, fino
alla morte.
La stessa, perché l’Immortale non perisce; non mai
cancellata, ma quanto
spesso, nel corso di questa vita terrena, smorzata,
indebolita, offuscata!
Quanto pesa su di essa l’invoglia della carne! E quale
tirocinio deve affrontare
quando è esposta alle critiche della società! Ardente e impulsiva,
si imbatte
con la freddezza del calcolo; generosa, incontra regole di
egoismo; sincera
viene iniziata all’inganno; credente è sopraffatta dal
dubbio e truffata dalla
menzogna. E le immagini della sua venerazione, come
vengono infrante e
spogliate! Essa le ha poste su di un piedistallo terreno,
le ha rivestite, sebbene
tutte ne fossero indegne, nelle vesti della sua ricca
immaginazione. I suoi
impulsi creativi hanno forse assunto la loro fase più alta
e più sacra, quella
dell’amore; e poi ha incarnato in un’esistenza materiale
quella che era solo
una parte eterea di lei stessa, rivestendo - ahimè quanto
spesso - qualche
idolo di piombo con i paludamenti dell’eroe o le vesti di
un dio. Amaro il
risveglio! Pagata a caro prezzo la delusione! E tuttavia l’ornamento
era
celeste, sebbene l’idolo frantumato fosse di terra.
Così, per ogni incoraggiamento alle sue aspirazioni più
sacre, riceve venti
squallide lezioni dai figli di questo mondo che hanno
imparato l’accortezza
della loro generazione, così accorti da disprezzare e
biasimare, nella loro
mentalità, un figlio della luce. Essi deridono il suo
disinteresse e si fanno beffe
del suo entusiasmo. Assumendo il tono di mentori, gli
rivolgono prudenti
ammonimenti contro la follia della filantropia e la
stoltezza del romantico.
E così, in diecimila casi, gli istinti divini vengono meno
come il seme
caduto ai margini della strada su un terreno duro e
pietroso. Non
364
germogliano. Ogni loro sviluppo è impedito. Felice se il
seme divino riesce
appena a penetrare nella dura superficie!
O questo è un esempio di fallimento nell’adattamento, o è
solo la
considerazione di una parte di un più vasto intero.
Dobbiamo supporre un fallimento? Dobbiamo immaginare che
Colui che,
negli inferiori, provvide a che l’impulso innato
corrispondesse esattamente
alla situazione futura, non sia riuscito a esercitare
questa provvidenza negli
esseri più elevati? Che gli istinti dell’ape e
dell’uccello trovino teatri di azione
perfettamente adatti al loro attuarsi, mentre quelli di
una creatura molto
superiore a loro debbano essere immiseriti nel loro
sviluppo e delusi nella
loro realizzazione?
Adottando questa ipotesi offendiamo ogni analogia.
Dobbiamo accettare
questa anomalia, se l’accettiamo, come un’eccezione -
l’unica a noi nota
nell’intera economia divina - alla regola che abbraccia
tutto l’universo.
Ma se, incapaci di dar credito all’esistenza di questa
singolare anomalia,
dobbiamo tornare all’altra ipotesi, che cioè stiamo
considerando qui solo una
frazione della vita umana, allora da questa frazione
potremo farci una certa
idea del rimanente. Allora potremo dire in linea generale,
e con forti
probabilità, qualche cosa della natura e delle occupazioni
dell’Ade.
Vi sono momenti favorevoli - almeno nella vita di ogni
uomo onesto -
momenti in cui ciò che è duro, egoista e terreno viene
tenuto a freno,
momenti in cui l’anima si libera come un uccello dalla
gabbia, pronta a ogni
sforzo, capace di ogni sacrificio; quando nulla sembra
troppo alto per essere
raggiunto, nulla troppo lontano per poterlo abbracciare,
quando lo spirito
esultante riconosce la santa confessione del proprio cuore
come se
zampillasse in un altro o lampeggiasse in vera poesia come
questa:
«Oltre le alte nubi che fluttuano nell’alto,
Dove l’aquila non giunge,
Oltre i cori di milioni di stelle...
Attraverso la nebbia delle basse opinioni,
Delle passioni fiammeggianti, del fango dei sensi,
Ai sereni domini della mente,
Io aspiro!»(7).
Sono questi i momenti in cui la calma, piccola voce -
quella dell’Immortale,
afferma la sua supremazia. Sono questi i momenti in cui
l’uomo sente che, se
la vita fosse fatta solo di questo, non avrebbe bisogno di
altro cielo.
365
E sono questi i momenti in cui lo spirito umano, al pari
della Sibilla, può
essere interrogato sul futuro: perché la furia divina è su
di lui, e i suoi istinti
profetici sono la garanzia di ciò che deve essere.
Il lettore si accorgerà che l’argomento fondato
sull’analogia è simile a
quello di cui ci siamo così spesso valsi per provare
l’immortalità dell’anima.
Un desiderio universale deve avere una conclusiva
corrispondenza. Ma, se
guardiamo più da vicino, si vedrà che l’argomento prova
molto più del
continuarsi dell’esistenza. Il desiderio ha una certa
definitezza.
Nella sua forma più pura non è un vago e pavido terrore
dell’annichilimento, non è un’egoistica brama di esistere.
L’istinto ha un più
nobile bersaglio e uno scopo più vasto: è la voce
dell’Ideale nell’uomo, e non
insegna una sola lezione, ma molte. Esso evoca dinanzi a
lui mille varie
immagini del Grande, del Buono e del Bello, e gli dice:
«Queste sono per te».
Esso fa appello alla divinità che è in lui e afferma: «Tu
puoi essere questo».
Ma, poiché parla all’uomo, così parla dell’uomo: delle
capacità umane,
dell’umana evoluzione, dell’eccellenza che può raggiungere,
lui, la creatura
umana, e non altri. I desideri che risveglia sono di un
carattere
corrispondente.
Ma, se vogliamo prendere un desiderio presente come prova
di una
condizione futura, chiariamoci ciò che questo desiderio
richiede. Esige forse,
in questo stadio del suo progresso, un’altra natura o
sogni più sublimi? No;
ma solo che la sua natura possa mantenere l’altezza che le
sue aspirazioni
hanno talora raggiunto: solo che i suoi momentanei barlumi
di sogno possano
avere realtà e durata in un’atmosfera più pura e sotto un
cielo più fulgido.
E’ uno stadio dell’incontrollato esercizio delle virtù
terrene verso il quale,
finora, punta il magnete del cuore. Vorremmo ancora fare
il bene che
avremmo voluto fare e non facemmo. Vorremmo ancora serbare
in cuore e
attuare le virtù umane che abbiamo piuttosto amato che
praticato. Anche gli
umani affetti che sono naufragati anelando a un porto
tranquillo, sperano
ancora di essere esercitati e bramano soddisfazione. Anche
i nostri impulsi
religiosi abbondano, pieni di aspirazione, implorando una
migliore
conoscenza e una luce più chiara. E tuttavia rappresentano
solo un’emozione
fra le tante. Interessano profondamente, elevano, ma non
ci assorbono
completamente.
La voce profetica, allora, il divino presagio, ci parla
non di una vita che è
finita e di un’altra che deve cominciare. Non indica, come
nuova fase di
esistenza, un giorno del Giudizio nel quale ogni speranza
si spegne e (ma solo
per il beato) si apre un cielo troppo immacolato per il
progresso, troppo santo
per l’attività e i tentativi dell’uomo. Ha il
presentimento di un mondo
migliore, ma di un mondo che è ancora la dimora di spiriti
emancipati e
366
tuttavia umani: un mondo in cui vi è ancora del lavoro da
fare, una corsa da
correre, una meta da raggiungere, un mondo in cui
troveremo, trapiantati
dalla terra in una regione più mite, energia, coraggio,
perseveranza, alte
risoluzioni, azioni benefiche, speranze da incoraggiare,
misericordie da
perorare, e amore - una volta scossi gli impedimenti terreni
che oscuravano la
sua purezza - sempre scegliendo i suoi eletti ma non più
separata da loro.
Questo dice la voce presaga. Dunque uno stato raggiunto
improvvisamente,
nel quale solo una classe dei nostri impulsi emotivi
trovasse possibilità di
sviluppo e opportunità di azione, lascerebbe l’istinto
umano frustrato e
insoddisfatto a eccezione di una sola fase. Vi sarebbe
iniziativa senza
corrispondenza, promessa senza appagamento, preparazione
senza risultato.
La nostra vita terrena sarebbe, in realtà, seguita da
un’altra, ma in se stessa
rimarrebbe frammentaria e incompleta.
Se, dunque, abbiamo accettato l’universale desiderio di
immortalità
proprio dell’uomo come una prova che il suo spirito è
immortale, accettiamo
anche gli orientamenti di questo desiderio come presagi
del paradiso a cui
questo spirito è legato.
Così, alla luce della sola analogia, troviamo ogni
probabilità in favore della
conclusione che, in una successiva fase della nostra
esistenza, l’uomo non
cesserà di essere una creatura umana e che le virtù, le
occupazioni e le gioie
che lo attendono nell’Ade saranno non minori né meno varie
di quelle che lo
circondano qui: anzi, migliori, più luminose, di un tipo
più nobile e di più
esteso raggio, ma tuttavia solo supplementari, come
appartenenti a un
secondo stadio di progresso, a un ambiente più bello di
questo eppure non del
tutto separato da esso, a una regione non ancora divina,
ma nella quale
possono essere realizzate le più alte aspirazioni terrene.
Forse ci è permesso far ancora un passo avanti. Se
possiamo mettere il
piede sui confini di un altro mondo, ascoltiamo gli echi e
prendiamo nota
degli indizi che possono derivare dai nostri passi.
Non pretendo che negli esempi addotti in questo volume vi
siano sufficienti
indizi per stabilire pienamente e distintamente il
carattere della nostra
successiva fase di vita; e, per ora, non voglio andare
oltre questi esempi.
Tuttavia, per quanto pochi siano questi indizi, essi
toccano le principali
influenze.
Eccelle fra queste una che può essere chiaramente derivata
da molte delle
precedenti narrazioni (8), una garanzia di progresso
sociale nel futuro, che
possiamo salutare con gioia e accettare con gratitudine.
Se possiamo porre
una certa fiducia in alcuni dei meglio autenticati episodi
ricordati nelle pagine
precedenti, essi non solo provano (cosa che in realtà
possiamo razionalmente
367
accettare) che solo il corpo impone i ceppi della
distanza, ma dimostrano
anche che lo spirito liberato cerca istintivamente le
persone amate e
raggiunge in un attimo il luogo in cui si raccolgono i
suoi affetti.
Ma se, oltre a un corpo sano, a una chiara coscienza e
all’assenza del timore
del bisogno, noi cerchiamo in questo mondo quella
circostanza che sola, sopra
ogni altra, caratterizza il nostro destino in questa vita
come fortunato o
disgraziato, dove la troveremo? Quando ci raffiguriamo
qualche felice
prospetto nel futuro, qualche tranquillo rifugio dal quale
siano esclusi gli
affanni e dove regni la soddisfazione, che cosa ci appare
essenziale in questo
paradiso terreno? Chi può meritare tutte queste felicità
se non sa rispondere a
questa domanda?
Nei più profondi rimpianti del passato come è chiaramente
scritta questa
risposta! Fra i nostri simili incontriamo alcuni di cui
sentiamo quanto sia
forte il loro potere, per il bene, sulle nostre menti e
sui nostri cuori; abbiamo
barlumi di altri la cui atmosfera versa su di noi un
ardore di felicità. Poi la
corrente ci spinge da parte e noi non troviamo più sulla
terra la stessa
influenza.
Ma se, nella vita futura, il principio di isolamento che
prevale nel nostro
pellegrinaggio terreno deve dar luogo allo spirito di
comunione non
ostacolato dallo spazio; se, in un’altra fase di vita, il
desiderio corrisponde al
movimento; se, laggiù, desiderare la compagnia significa
ottenerla e amare
significa incontrarsi con l’amato, quale elemento non già
di sentimento
passivo ma di organizzazione attiva è destinata a divenire
la simpatia! E
quanto di ciò che renderebbe questo mondo troppo felice
per abbandonarlo,
ci attende in un altro!
Se, nei nostri momenti più calmi e spassionati,
consideriamo quanti dei
nostri più alti e meno egoistici piaceri, morali, sociali,
intellettuali, sono
dovuti a uno scambio giornaliero di pensieri e di
sentimenti tra menti e cuori
affini; e se riflettiamo che tutte le perdite e i crucci
della vita sono nulla a
confronto con quelli sofferti dalle nostre simpatie e dai
nostri affetti divisi
dalla distanza o dalla morte, possiamo essere indotti a
concludere che il solo
cambiamento qui indicato quale proprio della nostra
successiva fase di vita
sarà sufficiente a garantire una felice esistenza alle
menti pure e ai cuori
socievoli, a coloro che in questo mondo, per quanto
traviati e deboli abbiano
potuto essere, non hanno interamente spento lo spirito
della luce, per i quali
la voce interna è stata più potente del tumulto esterno,
che hanno nutrito,
anche se spesso in silenzio e in segreto, i santi istinti
divini, i fiori che devono
ancora sbocciare, e che possono sperare di trovare in
quell’aldilà, dove il
simile attrae il suo simile, una casa in cui mai entrerà
l’angelo annunziatore a
368
intimare la separazione degli abitanti, una casa di
affetti inseparabili fra i
giusti e i buoni.
Potrei continuare a toccare altri indizi poco meno
importanti e
incoraggianti dei precedenti, ma che, negli esempi forniti
in quest’opera (9),
sono meno palpabilmente marcati. Come quello che, al
momento della morte,
cade la maschera terrena, la mente e il cuore vengono
svelati e i pensieri si
palesano senza l’intervento delle parole; così che, nel
mondo spiritico,
«conosceremo come saremo conosciuti». Sarà dunque una
terra della Verità,
dove l’inganno non troverà un luogo in cui nascondersi e
dove la parola
«falsità» indicherà un peccato impossibile. Possiamo forse
immaginare
un’influenza più salutare, più nobilmente rigeneratrice e
più grata al cuore di
questa?
Ma mi fermo e freno l’impulso di ampliare questo quadro.
Più avanti, forse,
quando sia in possesso di un materiale più copioso, potrò
meglio portare
avanti questo compito.
Per ora, nel perseguimento del mio immediato oggetto, non
vi è forse
bisogno di ulteriore elaborazione. Forse ho addotto
sufficienti argomenti a
prova che l’ipotesi di una comunicazione spiritica non
implica alcun postulato
assurdo. Forse ho anche provato con soddisfazione di una
parte dei miei
lettori, che le comuni concezioni della morte sono false,
che la morte non è,
come pensava Platone e come milioni di persone credono,
l’opposto della vita
ma solo l’agente grazie al quale la vita cambia di fase.
Tuttavia so quanto siano radicate le opinioni a lungo
nutrite. Anche nello
scrivere queste pagine sono stato talora costretto a
indulgere a frasi correnti
di significato inesatto. Sebbene nelle pagine precedenti,
per amore di
chiarezza, abbia impiegato espressioni come «da questo
lato della tomba»,
«oltre la tomba» o simili, tali espressioni, applicate
agli esseri umani, sono,
rigorosamente parlando, inesatte. Noi non abbiamo niente a
che fare con la
tomba. Noi non scendiamo nella tomba. E’ un abito usato
messo in una bara
quello a cui dedichiamo i riti della sepoltura.
Note
(1) «Così stanno storicamente le cose. Nell’ultimo quarto
del secondo
secolo, quando le chiese cristiane vengono chiaramente
alla luce, le troviamo
universalmente in possesso dell’idea di un luogo
intermedio per le anime: un
369
luogo che non era né il cielo né l’inferno ma preliminare
a entrambi. Non fu
un’idea sostenuta qua e là dagli eretici. Fu la credenza
della chiesa universale,
che nessuno metteva in discussione». Foregleams of
Immortality, di
Edward H. Sears, quarta edizione, Boston, pubblicato dalla
American
Unitarian Association, 1858, pag. 268.
Non potendo, per mancanza di spazio, affrontare le prove
storiche di
quanto sopra rimando il lettore all’opera del Sears, dove
le troverà
succintamente dimostrate. Si veda anche The Belief
of the First Three
Centuries concerning Christ’s Mission in the Under-World (La
credenza dei primi tre secoli relativa alla missione di
Cristo nel mondo
sotterraneo), di Frederick Huidekoper, dove si leggera il
seguente passaggio
con numerose citazioni dei Padri a sostegno: «E’ difficile
che all’inizio del
secondo secolo o alla fine del primo, la dottrina della
missione di Cristo nel
mondo sotterraneo, almeno per quanto riguarda le preghiere
ai defunti e la
loro liberazione, non fosse vastamente diffusa e
profondamente radicata fra i
cristiani»... «Sui lineamenti fondamentali di questa
dottrina, i cattolici e gli
eretici erano d’accordo. Era un punto troppo stabilito per
ammettere
discussioni». Pag. 138, citato da Sears, pag. 262.
(2) Un uomo più scrupoloso sarebbe stato arrestato dalla
considerazione
che Pietro, il quale dovette conoscere le idee del suo
Maestro in proposito,
parla del vangelo come comunicato ai morti e di Cristo
stesso come
predicante agli spiriti di coloro che erano periti nel
Diluvio (I Pietro III, 19, 20
e IV, 6). Ma dove può essere avvenuto questo se non
nell’Ade?
Se si obietta che la parola Ade non è
nemmeno nominata nel Nuovo
Testamento, la risposta è che Lutero - seguito dai nostri
traduttori inglesi -
l’abolì senza cerimonie. Fece in modo che le due parole Gehenna
e Ade
fossero egualmente tradotte Hell (Inferno).
«Tuttavia», (cito da Sears),
«come il dott. Campbell ha mostrato in modo conclusivo nel
suo ammirevole
e luminoso saggio, queste due parole non hanno lo stesso
significato, e solo la
prima corrisponde all’idea moderna e cristiana
dell’inferno. La parola Ade,
ricorrente undici volte nel Nuovo Testamento, non
risponde mai a questa
idea e non dovrebbe mai essere tradotta così». Opera citata pag. 277.
Se si obietta inoltre che, per lo meno, non vi è nella
Scrittura una deliberata
esposizione della dottrina dell’Ade, la risposta è che un
articolo di fede
universalmente ammesso come fuori discussione dagli Ebrei
come dai
cristiani, non aveva bisogno di essere inutilmente
elaborato e bastava solo
citarlo incidentalmente.
(3) I Greci avevano il loro Ade; tuttavia, con una
riverenza di tipo cinese
per i riti della sepoltura, pensavano che fosse abitato
soprattutto dalle ombre
inquiete e vaganti di coloro le cui ossa restavano
esposte, neglette e
370
abbandonate; e se, infine, venivano concessi gli onori
funebri per placare
quelle anime, la loro ricompensa non era il cielo, ma
l’eterno riposo. Non
sembra che essi abbiano avuto l’idea della protezione
spirituale, se non come
esercitata dagli dei. L’eroe troiano non preannuncia alcun
suo ritorno dal
regno di Plutone per vigilare sulla sposa amata, ma
piuttosto un’eterna
separazione:
«Il tuo Ettore, avvolto in eterno sonno,
Non udirà i tuoi singhiozzi né vedrà le tue lacrime».
Lo Sheol degli ebrei - almeno secondo gli
attuali rabbini - ha tre regioni:
una sfera superiore di relativa felicità, dove sono i
patriarchi, i profeti e altri
degni della loro compagnia; una seconda regione più bassa,
triste e buia,
temporanea dimora del malvagio; e la più bassa di tutte,
la Gehenna, ora
disabitata e che rimarrà vuota finché il giorno del
Giudizio avrà mandato i
dannati a occuparla.
(4) Un’idea simile è stata espressa altrimenti: «Un
cambiamento
istantaneo dal bene al male o dal male al bene, se
effettuato in modo
superiore da un potere estraneo e senza rispetto per una
economia dei motivi,
sarebbe piuttosto l’annichilimento di un essere e la
creazione di un altro che
non il cambiamento di carattere dello stesso essere.
Perché è proprio della
natura di un cambiamento di carattere che vi sia un
processo interno, una
concorrenza della volontà, il cedere di facoltà razionali
a richiami razionali, e
anche la sostituzione di una data specie di desideri e di
una data classe di
abitudini a un’altra». Physical Theory of Another
Life (Teoria fisica di
un’altra vita), Londra 1839, cap. XIII, pag. 181.
(5) Se fossi il sovrintendente di un cimitero pittoresco,
sull’ingresso farei
mettere questi versi della signora Homans:
«Perché colui il cui tocco dissolve le nostre catene
Non dovrebbe indossare le sue vesti più belle, quando
viene
Come liberatore?».
(6) Se si dubita che simili rimpianti aleggino sul letto
di morte di uno
scienziato, quanto segue può confermarlo: «Berzelius
allora si rese conto che
l’ultima sua ora era giunta e che doveva dire addio a
quella scienza che aveva
tanto amato. Chiamato al suo letto uno dei suoi devoti
amici, che si avvicinò
piangendo, anche Berzelius scoppiò in lacrime; poi,
superata la prima
emozione, esclamò: “Non meravigliarti se piango. Non mi
crederai un debole
né penserai che sia spaventato da quello che il medico
deve annunciarmi.
Sono preparato a tutto. Ma devo dire addio alla scienza, e
non devi
371
meravigliarti che mi costi molto”... Fu questo il saluto
di Berzelius alla
scienza, invero un commovente addio». Siljeström’s
Minnesfest öfver
Berzelius,
Stoccolma, 1849, pagg. 79-80.
(7) Sono versi di Barry Cornwall.
(8) Come nel caso di Mary Goffe e in quello della signora
E. (vedi «La
madre morente e il suo bambino»); così pure in quello del
signor Wynyard,
del capitano G. (vedi «Il quattordici novembre»); e in
tutti i casi in cui si
riferisce di uno spirito apparso subito dopo la morte a un
sopravvivente a lui
caro.
(9) La preghiera offerta dalla signora W. (vedi «Il
corteggiatore
respinto») era
silenziosa; e coloro che hanno ottenuto simili comunicazioni
sanno bene che una domanda mentale spesso è sufficiente a
procurare una
risposta pertinente, Questo fenomeno di lettura del
pensiero lo ho verificato
io stesso più volte.
372
2 - Conclusione
«Nel portare a termine questo mio intento, non ignoro né
la
grandezza dell’opera, né la mia incapacità. Spero tuttavia
che, se l’amore per il mio soggetto mi ha portato troppo
lontano, io possa almeno essere scusato per il mio
affetto.
Non è concesso all’uomo amare ed essere saggio».
Bacone
Prima che io prenda congedo dal lettore, egli può
desiderare domandarmi
se credo che sia stata qui decisivamente dimostrata la
realtà di una
occasionale interferenza spirituale.
Preferisco che egli tragga la risposta dal suo deliberato
giudizio. In un certo
senso, egli è meglio qualificato di me a giudicare. Non è
nell’umana natura
ponderare a lungo e profondamente una teoria, dedicare
anni alla ricerca
delle sue prove e all’esame delle sue probabilità, e
mantenere tuttavia quella
bella equanimità che accetta o respinge senza alcun
pregiudizio estraneo.
Colui che si limita a osservare può discriminare più
giustamente di colui che
ha rivolto tutti i suoi sforzi a raccogliere e
confrontare.
Tuttavia, non mi rifiuterò di ammettere che, dopo essermi
messo
severamente in guardia contro favoritismi e parzialità,
non posso spiegare
molto di ciò che la mia ragione mi costringe a considerare
come vero, senza
ricorrere ad altra ipotesi che non sia l’ultraterrena.
Là dove sono chiare e palpabili prove di pensiero, di
intenzione, di
previsione, non vedo come si possa fare altrimenti che
riferirle a un essere che
pensa, vuole e prevede. Tale riferimento mi sembra non
solo razionale ma
necessario. Se mi rifiuto di accettare tali manifestazioni
di intelligenza come
indizi dell’attività di una mente razionale, se comincio a
dubitare che una
qualche combinazione meccanica o chimica di elementi
fisici possa costituire
un’apparenza di ragione e imitare le espressioni del
pensiero, allora non vedo
più le basi su cui si fonda il mio diritto di supporre che
le forme umane che mi
circondano abbiano menti per pensare e cuori per sentire.
Se le nostre
percezioni delle foreste, dei mari e delle pianure devono
essere accettate come
prove che vi è realmente un mondo materiale intorno a noi,
dovremo
rifiutarci di accogliere le nostre percezioni di pensieri
e sentimenti diversi dai
nostri come prove che altri esseri, diversi da noi,
esistono là d’onde quei
pensieri e quelle sensazioni provengono? (1). E se quegli
esseri non
373
appartengono al mondo visibile, non siamo forse
giustificati nel concludere
che esistono nell’invisibile?
Il fatto che gli esseri razionali di cui scopriamo così
l’attività siano
invisibili, non invalida affatto la prova che riceviamo.
E’ solo una logica
infantile quella che deduce che dove nulla si vede, nulla
esiste.
Quanto al modo e al luogo di esistenza di questi esseri
invisibili, può essere
giusta la congettura di Taylor quando suppone:
«Che entro il campo occupato dall’universo visibile e
ponderabile e
tutt’intorno a noi esista e si muova un altro elemento,
pieno di altre specie di
vita, corporeo e vario nei suoi ordini, ma non aperto alla
conoscenza di coloro
che sono limitati alla condizione di organizzazione
animale, tale da non potere
essere visto, né udito né sentito dall’uomo (2). Noi
presumiamo qui», egli
continua, «la possibilità astratta che i nostri cinque
modi di percezione siano
parziali, non universali, mezzi per conoscere quello che
può esserci intorno, e
che, poiché le scienze fisiche ci danno prova della
presenza e dell’azione di
certi poteri del tutto impercepibili dai sensi se non in
alcuni dei loro effetti
remoti, non abbiamo il diritto di concludere di essere
consapevoli di tutte le
reali esistenze entro la nostra sfera» (3). O, come dice
altrove, «Entro ogni
dato confine possono essere corporalmente
presenti il genere umano e il
genere extra-umano, e quest’ultimo naturalmente e
semplicemente presente
al pari del primo».
Per questi esseri, di solito invisibili e inaudibili per
noi, noi, a nostra volta,
possiamo essere invisibili e inaudibili (4). Sembrerebbe
che vi siano certe
condizioni, che si presentano ogni tanto e che causano
eccezioni, a entrambe
le parti, a questa regola generale. Se gli esseri umani
debbano semplicemente
aspettare queste condizioni o cercare di crearle è una
questione che non
rientra nel piano di quest’opera.
Quanto alle prove dell’azione di questi Invisibili sulla
terra, io le fondo non
su di una sola classe di osservazioni fra quelle
presentate in questo volume,
non particolarmente sui fenomeni del sogno, o sui disturbi
inesplicabili, o
sulle apparizioni sia di viventi sia di defunti, o su
quelli che sembrano esempi
di retribuzione ultraterrena o indizi di protezione
spirituale, ma sull’insieme e
la convergenza di tutti questi fenomeni. E’ una solida
conferma di ogni teoria
il fatto che le prove convergenti da molte e varie classi
di fenomeni si
uniscano per stabilirla.
Queste prove sono diffuse in tutta la società.
L’attenzione del pubblico
civile è stata richiamata da esse ai nostri giorni come
non lo era stata per lo
meno da alcuni secoli. Se le narrazioni qui pubblicate
come esempio, per
quanto scarse e imperfette, otterranno, come potrebbe
darsi, una vasta
374
diffusione, stimoleranno nuove ricerche, porteranno alla
luce nuovi fatti a
conferma o in contrario, e, in ogni caso, quella che
trionferà sarà la verità.
Se dovesse infine essere provato che, attraverso i
fenomeni riferiti, noi
possiamo raggiungere qualche conoscenza della nostra
successiva fase di vita,
sarà impossibile continuare a negare l’importanza pratica
del loro studio. E
tuttavia, come risultato di questo studio dovremmo forse
aspettarci piuttosto
un abbozzo visto come attraverso un vetro affumicato che
un quadro
completo della nostra dimora futura. Possiamo
ragionevolmente immaginare
che una informazione troppo abbondante o troppo sicura che
ci venisse da un
altro mondo, interferirebbe dannosamente nelle faccende di
questo. I doveri
del presente potrebbero essere trascurati nella
contemplazione estatica del
futuro. Il sentimento intimo che la morte sia un guadagno
potrebbe prevalere,
farci prendere in disgusto questa variegata vita terrena e
perfino tentarci ad
anticipare temerariamente il richiamo stabilito, troncando
così
prematuramente gli anni di noviziato che solo Dio, e non
l’uomo, può
determinare opportunamente.
Tuttavia molto può essere scoperto per produrre
l’influenza quanto mai
salutare sulla condotta umana e per illuminare i più
oscuri giorni del nostro
pellegrinaggio terreno con la confidente assicurazione che
tutte le aspirazioni
al bene, tutti i sogni di bellezza, che impallidiscono e
svaniscono in questa
fase terrena della vita, troveranno un nobile campo di
azione e una
realizzazione completa quando il pellegrino avrà gettato
il suo fardello e
raggiunto la fine del suo viaggio.
Frattanto, quale motivo per esercitare un’autoeducazione
può essere
proposto all’uomo, più potente dell’assicurazione che non
un solo sforzo per
rafforzare il nostro cuore e arricchire la nostra mente,
nel tempo, rimarrà
senza risultati e senza ricompensa nell’eternità? Noi
siamo gli architetti del
nostro destino: ci infliggiamo i nostri castighi,
scegliamo i nostri premi. La
nostra perfezione è una ricompensa che deve essere
pazientemente
guadagnata, non concessa miracolosamente o misteriosamente
attribuita.
Anche la malvagità, e il giudizio che comporta, ce la
imponiamo da soli. Noi
scegliamo: e la nostra scelta prende il posto di un
giudice inesorabile, che sale
in tribunale ed emette la sua sentenza su di noi. La sua
giurisdizione non è
limitata alla terra. L’efficacia dei suoi decreti, di
condanna o di assoluzione, si
estende su questa fase della nostra esistenza come sull’altra.
Quando ci
chiama la morte, egli non ci priva delle virtù né ci
libera dai vizi che sa in
nostro possesso. Le une e gli altri vengono con noi. Le
qualità morali, sociali,
intellettuali che ci hanno distinto in questo mondo
rimarranno nostre anche
in un altro, costituendo là la nostra identità e
determinando la nostra
posizione. Così per il buono come per il malvagio.
L’oscura veste di colpa di
cui, nell’umano avanzare durante la vita, può essersi
gradualmente avvolto,
375
gli rimarrà aderente, come una camicia di Nesso,
attraverso il cambiamento
della morte. Ognuno rimane l’essere che era. Ognuno
mantiene la sua mala
identità e stabilisce la sua degradata condizione. Ognuno
si sveglia nel
tormento degli stessi pensieri inferiori e delle stesse brutali
passioni che lo
hanno controllato in vita e che attrarranno a lui, nelle
compagnie della sua
nuova vita, pensieri altrettanto inferiori e passioni
altrettanto brutali. Vi è
forse nella previsione di un Inferno materiale, circondato
di fiamme, un più
forte potere di distoglierci dal vizio di quanto ve ne sia
nel terribile profilarsi
di un fatto inevitabile come questo?
Inevitabile, ma non eterno. Là dove è vita vi è speranza;
e oltre il velo, vi è
vita.
Ma comincerei un altro volume, invece di terminare questo,
se mi
dilungassi sui benefici che possono provenire da un
intervento spirituale. Il
compito che mi sono proposto era di svolgere un’inchiesta
che li precede:
un’inchiesta sulla realtà, non sui vantaggi, di un
intervento ultraterreno.
Termino dunque qui il mio lavoro con un’ultima
osservazione relativa alla
portata di questa ricerca sulle credenze del mondo
cristiano.
Non è possibile lasciare la lettura delle scritture,
antiche o nuove, senza
portare con noi la certezza che la verità di comunicazioni
col mondo invisibile
è la base di tutto ciò che abbiamo letto. Non è cosa che
richieda induzioni o
ricostruzioni, nulla di simile a varianti cronologiche o
storiche che il
commentatore possa conciliare o il filologo spiegare. E’
una questione
essenziale, inerente, fondamentale. Pur ammettendo che
molto è allegoria, e
tenendo conto della fraseologia delle lingue orientali,
del linguaggio delle
parabole e delle licenze della poesia, rimane tuttavia la
vasta, serena,
inequivocabile e sicura fede nella realtà di quel vecchio
mondo e della
saltuaria influenza, direttamente esercitata, del mondo
degli spiriti. Scalzata
questa fede, l’intera sovrastruttura biblica è distrutta
dalle fondamenta.
Parlo del grande fatto d’insieme, non dei minuti
particolari. La
pneumatologia della Bibbia è generale, non specifica, nel
suo carattere. Non
affronta il modo o le condizioni in cui gli abitanti di
un’altra sfera possono
divenire agenti per modificare il carattere o influenzare
il destino del genere
umano. Lascia all’uomo il compito di trovare la sua via
lungo
quell’interessante direzione alla luce dell’analogia,
forse con l’aiuto di
rivelazioni come quelle che questo libro ricorda. La luce
può essere
imperfetta, le rivelazioni insufficienti ad appagare una
viva curiosità.
Nell’oscurità del presente, le nostre brame di luce
possono non essere mai
soddisfatte. Siamo forse destinati ad attendere. Ciò che
l’ingegno e l’industria
umana non possono abbracciare in questo mondo
crepuscolare, può essere
376
una scoperta rimandata solo al momento in cui saremo
ammessi, oltre il
confine, nell’alba di un altro mondo.
Note
(1) Così argomenta una mente logica ed elegante: «Sulla
tavola di fronte a
noi, un ago ben bilanciato trema e si volge, con la
costanza dell’amore, verso
un certo punto delle regioni artiche; ma una massa di
ferro, posta vicino a
esso, disturba questa tendenza e le dà una nuova
direzione. Noi presumiamo
allora la presenza di un elemento universalmente diffuso,
del quale non
abbiamo assolutamente alcuna percezione. Immaginiamo che i
fogli di un
manoscritto, sparsi disordinatamente sul tavolo e sul
pavimento, siano visti
radunarsi lentamente da soli secondo l’ordine delle
pagine, e che alla fine ogni
foglio e ogni frammento disperso sia andato al suo posto
esatto e sia pronto
per il compositore. In questo caso dovremmo, senza alcuno
scrupolo,
presumere la presenza di un agente razionale, proprio
come, nel caso delle
oscillazioni dell’ago, abbiamo presunto la presenza di un
invisibile potere
elementare». Taylor, Physical Theory of Another Life,
Londra 1839, pag.
244.
(2) L’espressione corretta sarebbe stata: «da non potere, usualmente,
essere, visto, sentito ecc.».
(3) Physical Theory of Another Live, pagg.
232-33.
(4) Vedi l’opinione di Oberlin a questo proposito (pag.
263). Vedi anche
una curiosa ipotesi suggerita da una pretesa osservazione
di Madame Hauffe,
alle pagine 289-90.
377
APPENDICE
Nota A
Circolare di una società istituita da alcuni membri
dell’università di Cambridge, in Inghilterra, coi
proposito di
investigare i fenomeni popolarmente detti soprannaturali.
L’interesse e l’importanza di una seria e attiva ricerca
sulla natura dei
fenomeni che vengono vagamente chiamati «soprannaturali»,
non possono
essere messi in discussione. Molti credono che questi
avvenimenti
apparentemente misteriosi siano dovuti o a cause puramente
naturali, o a
illusioni della mente o dei sensi, o a volontario inganno.
Ma molti altri
credono possibile che esseri di un mondo invisibile si
manifestino a noi per
vie straordinarie, e non sono capaci di spiegare
altrimenti molti fatti la cui
evidenza non può essere messa in dubbio. Entrambe le parti
hanno
ovviamente un comune interesse a che i casi di supposta
origine
«soprannaturale» siano completamente vagliati. Se l’opinione della seconda
classe fosse da ultimo confermata, i limiti raggiunti
finora dalla conoscenza
umana relativamente al mondo spiritico potrebbero essere
accertati con un
certo grado di sicurezza. Ma, in ogni caso, anche se
dovesse risultare che
morbose e irregolari attività della mente o dei sensi
diano sufficiente ragione
di queste meraviglie, si sarebbe fatto tuttavia qualche
progresso nell’accertare
le leggi che regolano il nostro essere arricchendo così la
nostra scarsa
conoscenza di un’oscura ma importante provincia della
scienza. Il maggior
impedimento alle investigazioni di questo genere è la
difficoltà di ottenere un
numero sufficiente di casi chiari e bene attestati. Molte
delle storie correnti
nella tradizione o sparse nei libri, possono essere
esattamente vere; altre
devono essere pure finzioni; altre ancora - probabilmente
il maggior numero -
consistono in un miscuglio di vero e di falso. Ma è
inutile esaminare il
significato di un preteso fatto di tal natura finché non
sono state accertate
l’attendibilità e l’estensione delle sue prove. Con tale
convinzione, alcuni
membri dell’Università di Cambridge desiderano, se
possibile, fare una vasta
collezione di casi autenticati di supposti agenti
«soprannaturali». Quando
l’inchiesta sia cominciata, sarà evidentemente necessario
cercare
informazioni oltre i limiti immediati del circolo. Essi
richiedono dunque
comunicazioni scritte da tutti coloro che possono
aiutarli, con particolari
378
completi delle persone, dei tempi e dei luoghi; ma non
verrà richiesto che i
nomi possano essere pubblicati senza speciale permesso, a
meno che siano già
divenuti di pubblico dominio. E’ comunque indispensabile
che la persona che
invia una qualsiasi comunicazione conosca i nomi e dia
garanzia personale
della verità della narrazione per una sua propria
conoscenza o convinzione.
Il primo scopo sarà dunque quello di raccogliere un valido
insieme di fatti:
l’uso che se ne farà sarà oggetto di ulteriore
considerazione. Ma in ogni caso la
semplice collezione di informazioni degne di fede avrà un
suo valore. Ed è
chiaro che grande aiuto nell’inchiesta può derivare da
relazioni di eventi che
in un primo tempo sono stati considerati «soprannaturali»
e in seguito si
rivelarono dovuti a illusioni della mente o dei sensi, o a
cause naturali (come
per esempio, l’azione di quelle forze strane e sottili che
sono state scoperte e
imperfettamente investigate in tempi recenti); e, in
generale, da ogni
particolare che possa gettar luce, indirettamente, per
analogia o altrimenti,
sui soggetti a cui si volge più espressamente la presente
investigazione.
La seguente classificazione provvisoria dei fenomeni per i
quali si cerca
informazione, può servire a mostrare l’estensione e il
carattere dell’inchiesta
proposta.
I. Apparizioni di angeli.
1) Buoni.
2) Cattivi.
II. Apparizioni spettrali di:
1) Lo spettatore stesso (a esempio «Sosia» o «Doppi»).
2) Altre persone, riconosciute o no.
A) Prima della morte (a esempio «seconda vista»).
a) A una persona.
b) A più persone.
B) Al momento della morte.
a) A una persona.
b) A più persone.
1. Nello stesso luogo.
2. In luoghi diversi
- Simultaneamente
379
- Successivamente
C) Dopo la morte. In connessione con
a) Particolari luoghi notevoli per
1. Avvenimenti buoni.
2. Avvenimenti cattivi.
b) Tempi particolari ( a esempio l’anniversario di un
evento,
o a dati periodi).
c) Particolari eventi (a esempio prima di una disgrazia o
di
una morte).
d) Particolari persone (a esempio un omicida perseguitato)
III. «Forme» che non rientrano in alcuna delle classi
precedenti.
1) Ricorrenti. In connessione con
A) Particolari famiglie [a esempio la «Banshee» (1)]
B) Particolari luoghi (a esempio il «Cane di Mawth»)
2) Episodiche.
A) Visioni che alludono a fatti passati presenti o futuri.
a) Per rappresentazione attuale (a esempio «Seconda
vista»).
b) Per simbolo.
B) Visioni di natura fantastica.
IV. Sogni notevoli per coincidenze:
1) Per il loro presentarsi:
A) Alla stessa persona più volte.
B) Nella stessa forma a più persone.
a) Simultaneamente.
b) Successivamente.
2) Con fatti
A) Passati.
a) Sconosciuti.
380
b) Conosciuti ma dimenticati.
B) Presenti ma sconosciuti.
C) Futuri.
V. Sentimenti. Una definita coscienza di un fatto
1) Passato: un’impressione che un dato evento sia
avvenuto.
2) Presente: simpatia con una persona sofferente o agente
a distanza.
3) Presentimento del futuro.
VI. Effetti fisici
1) Suoni
A) Con uso di mezzi ordinari (a esempio campanelli).
B) Senza uso di alcun mezzo apparente (esempio voci).
2) Impressioni di tocchi (ad esempio il respiro di una
persona).
Ogni relazione di agenti «soprannaturali» che può essere
comunicata sarà
molto più istruttiva se accompagnata da alcuni particolari
quali il naturale
temperamento dell’osservatore (sanguigno, nervoso ecc.),
la sua costituzione
(soggetto a febbre, sonnambulismo ecc.) e il suo stato al
momento (agitato
nella mente o nel corpo ecc.).
Le comunicazioni possono essere indirizzate al
Reverendo B. F. Westcott, Harrow, Middlesex.
Nota B (Poscritto)
Testimonianza
Considerazione di essa da parte di due scuole opposte
381
Mentre queste pagine erano in tipografia, ho ricevuto, e
letto con molto
piacere, un opuscolo appena pubblicato a Londra e a
Edimburgo, intitolato:
Testimonianza: sua posizione nel mondo scientifico, di Robert
Chambers, primo di una serie di «Fogli di Edimburgo» che saranno
pubblicati
da questo vigoroso pensatore, un uomo che ha contribuito
forse più di ogni
altro oggi vivente a diffondere utili informazioni tra le
masse del mondo civile.
E questo opuscolo non è uno dei minori contributi.
Il signor Chambers riconsidera la posizione di due scuole
filosofiche
relativamente alla forza della testimonianza: quella dei
fisicisti, di cui il signor
Faraday è il modello, e quella dei filosofi mentali e
morali, rappresentata da
Abercrombie e da Chalmers.
Egli ci ricorda che la prima, considerando «l’estrema
fallacia dei sensi
umani» non ammette la realtà di qualsiasi fatto naturale
straordinario «che
non possa essere assolutamente spiegato». Se il fisicista
può presumere un
qualsiasi errore di osservazione, ha il dovere di respingere
il fatto.
«Praticamente» (aggiunge Chambers), «tutti questi fatti
sono respinti,
perché, naturalmente, non vi è alcun fatto straordinario
fondato sulla sola
testimonianza in cui non sia possibile supporre un qualche
errore di
osservazione o di relazione, se vogliamo trovarlo» (pag.
2).
Così il signor Faraday, «difendendo lo scetticismo della
sua classe»,
argomenta che «non ci si può fidare dei nostri sensi a
meno che il giudizio
non sia stato largamente educato a guidarli». Egli parla
come se non vi fosse
alcuna possibilità che un uomo non regolarmente educato
all’osservazione
scientifica possa vedere i fatti come sono.
Non così Abercrombie e Chalmers. Il grande teologo
scozzese «dichiara di
seguire le orme della filosofia di Bacone. Egli riconosce
che la conoscenza può
essere fondata solo sull’osservazione e che noi impariamo
“assoggettandoci
all’assennato lavoro di vedere, sentire e sperimentare”.
Egli preferisce ciò che
è stato “visto da un paio di occhi” a ogni ragionamento e
a ogni supposizione...
Egli non propone che noi accettiamo semplicemente i
meravigliosi fatti della
Scrittura se non riusciamo a spiegarli... Non ci chiede di
prendere l’avvio con
una chiara conoscenza di quello che è possibile e di
quello che è impossibile...
Quello che ci chiede “nell’entrare in ogni forma di
inchiesta”, come la
preparazione migliore, è una cosa molto diversa, e
precisamente “quella
docilità di mente che si fonda sul senso della nostra
totale
ignoranza del soggetto”» (2).
«Nessun contrasto», continua Chambers, «potrebbe essere
più completo.
Nel primo caso la testimonianza relativa a fatti e
avvenimenti naturali ma
nuovi è trattata con un rigore che ci permette di
sbarazzarci di tutto
ciò che non vogliamo accogliere, se non può essere immediatamente
382
sottoposta a un esperimento o immediatamente ripetuta, e
forse nemmeno
allora. Nel secondo, la facoltà umana di osservare
correttamente ogni fatto
palpabile e di riferirlo con esattezza è sostenuta senza
eccezioni né riserve... E’
chiaro che l’uno o l’altro di questi due punti di vista
sulla testimonianza deve
essere interamente, o in parte, errato, perché essi si
trovano in reciproco
contrasto. E’ importante, relativamente al nostro
progresso nella filosofia e al
nostro codice di credenze religiose, accertare quale dei
due implichi la
maggior somma di verità» (pag. 6).
Quanto ai risultati dell’accogliere, nella vita di ogni
giorno, il punto di vista
scientifico sulla testimonianza, egli dice: «Supponiamo
per un momento che
ogni fatto a noi riportato da altri, sia considerato alla
luce del sistema scettico
per quanto riguarda la fallacia dei sensi e la tendenza a
illuderci. Non ci
troveremmo da quel momento a un arresto in tutti i
principali movimenti
della nostra vita? Un banchiere potrebbe mai scontare un
assegno? Un
mercante potrebbe mai credere in un rapporto di mercato?
Potremmo
fondarci con sicurezza su di un atto legale o su di un
documento per quanto
essenziale al mantenimento della proprietà? Si potrebbe
ottenere una prova
per la condanna dei più audaci e pericolosi criminali?
Quale sarebbe il
progresso della scienza se ogni geologo diffidasse dei
suoi colleghi quanto alla
realtà delle loro scoperte di fossili in certi strati? Con
quale faccia potremmo
chiedere ai giovani di credere a un solo fatto storico o
geografico, o in
qualsiasi scienza relativa all’educazione? Che cosa
potrebbe essere più
seriamente dannoso ai mortali, eccetto la scomparsa del
sole dal firmamento,
che il togliere dall’insieme della vita sociale il
semplice principio che tutti
possiamo abbastanza bene apprendere la natura di un evento
o fatto
presentatici dai sensi e darne poi una buona descrizione
con le parole?
«Devo anche spingermi a dire che il punto di vista
scettico non mi sembra
in armonia con la filosofia induttiva. Bacone ci mette più
volte in guardia
contro le opinioni preconcette e i pregiudizi; ma non ci
impone di non credere
di potere accertare i fatti sulla base dei nostri sensi e
delle testimonianze. Egli
riconosce che non si può ottenere una conoscenza completa
mediante il senso
della vista essendo esso incapace di penetrare
“l’operazione spirituale nei
corpi tangibili” (3); ma non ci dice che la vista sia così
fallace che ci sia
necessario un potere correttivo per assicurarci che stiamo
veramente vedendo
qualche cosa» (pag. 8).
Accennando all’assioma di Faraday, che dobbiamo partire
con idee chiare
su ciò che è possibile e ciò che è impossibile, Chambers
nota acutamente:
«Questo metodo scettico consiste sostanzialmente in un
circolo vizioso. Non
si può sapere se un fatto è un fatto se non abbiamo
accertato le leggi della
natura in quel caso; e non si possono conoscere le leggi
della natura finché
non abbiamo accertato i fatti. Non si può affermare di
avere conosciuto
383
qualche cosa finché non si è accertato che è possibile, e
non si può accertare
che una cosa è impossibile finché non l’abbiamo
conosciuta» (pag. 9).
Tutto l’opuscolo è singolarmente logico non meno che
pratico nel suo
orientamento, e ripaga la lettura. Costretto, per mancanza
di spazio, a non
prolungare oltre le mie citazioni, non posso tuttavia
tralasciare l’intero
paragrafo conclusivo, riguardante da vicino il rispetto e
il credito dovuti a
quella classe di fatti che questo libro presenta al
pubblico. Chambers dice:
«Se ho dato qui un esatto panorama della testimonianza
umana, ne segue
che, tra la vasta moltitudine di cose spesso riferite come
vere e abitualmente
respinte, ve ne sono molte che meritano maggior rispetto
di quanto
generalmente ricevano. E’ una strana idea, ma è probabile
che alcune verità
abbiano bussato alla porta della fede umana per migliaia
di anni e siano
destinate a non essere accolte per altre migliaia, o al
massimo a ricevere una
poco onorevole sanzione da parte del volgo, solo per
questo principio di
scetticismo secondo il quale i fatti sono privi di valore
senza un ovvio
riferimento a leggi accertate. Se fosse adottato il
principio contrario, e (a mio
parere) più induttivo, che i fatti giustamente
testimoniati sono degni di essere
ascoltati col proposito di accertare alcune leggi sotto le
quali possono essere
classificati, un liberale esame retrospettivo della storia
della conoscenza ci
mostrerebbe probabilmente che anche fra ciò che abbiamo
considerato
superstizione umana vi sono valide realtà. Dovunque vi sia
perseveranza e
uniformità nelle relazioni su quasi ogni soggetto, per
quanto eterodosso possa
apparire, possiamo indagare con la speranza di trovare un
principio o una
legge, se debitamente cercati. Vi è un’intera classe di
fenomeni, di un
carattere misticamente psichico, dispersi nelle cronache
di false religioni e
nell’agiografia, nei quali non sembra improbabile che si
possano scoprire
alcuni grani d’oro. Forse, anzi, probabilmente, qualche
legge mistica,
profondamente centrata nella nostra natura, e sfiorante le
lontanissime sfere
“dell’essere non sperimentato”, passa attraverso questi
fenomeni indefiniti -
che, se accertati, getteranno non poca luce sulle passate
credenze e azioni
dell’uomo - e forse può rafforzare la nostra sicurezza che
vi è in noi una parte
immateriale e immortale e che esiste un altro mondo oltre
quello che preme
sui nostri sensi» (4).
Note
(1) Fantasma, generalmente femminile; la cui apparizione,
in alcune
famiglie, annuncia la morte vicina di uno dei loro membri.
(U.D.)
384
(2) Opuscolo citato, pag. 6. Il corsivo è di Chambers.
(3) Novum Organum , Libro I, aforisma 5o.
(4) Opuscolo citato, pag. 24.
F I N E
Preghiera al Padre - 20/01/2001
Padre Dolce,
Padre Buono.
Tu che sei nell’universo,
Tu che sei nelle cose,
Tu che sei in noi.
Tu che nutri il nostro corpo materiale,
Tu che nutri il nostro corpo spirituale;
Aiutaci in questa esistenza.
Aiutaci a perdonare per il male che ci fanno, perché
anche noi abbiamo fatto del male.
Aiutaci a cercare cibo per il corpo fisico e pane per la
nostra anima.
Aiutaci a superare le prove della vita con serenità;
e che Tu, assieme ai nostri fratelli spirituali, ci sia
sempre vicino.
Amen.