PASSI SUI CONFINI DI UN ALTRO MONDO di Robert Dale Owen

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Pagina INDICE

3 Presentazione

9 Avvertenza dell’autore all’edizione inglese

11 Prefazione all’edizione americana

Libro I - Preliminari

15 1 - Esposizione del soggetto

50 2 - L’impossibile

58 3 - Il miracoloso

75 4 - L’improbabile

Libro II - Considerazioni su alcune fasi del sonno

95 1 - Il sonno in generale

110 2 - I sogni

Libro III - Disturbi popolarmente detti infestazioni

162 1 - Carattere generale dei fenomeni

165 2 - Narrazioni

225 3 - Riepilogo

Libro IV - Delle apparenze comunemente dette

apparizioni

228 1 - Dell’allucinazione

239 2 - Apparizioni di viventi

268 3 - Apparizioni di defunti

Libro V - Indicazioni di interferenze personali

318 1 - Retribuzione

333 2 - Spiriti custodi

Libro VI - I risultati suggeriti

351 1 - Il cambiamento della morte

372 2 - Conclusione

377 Appendice

 

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«Così come è metodo peculiare dell’Accademia non interporre

alcun giudizio personale, ma accogliere quel le opinioni che

appaiono più probabili, confrontare gli argomenti e scegliere

tutto ciò che può essere ragionevolmente constatato in favore

di ogni proposizione, senza imporre minimamente la propria

autorità e lasciando libero e impregiudicato il giudizio degli

ascoltatori egualmente seguiremo questa usanza, che risale a

Socrate; e a questo metodo, caro fratello Quinto, ci atterremo il

più possibile in tutti i dialoghi che terremo insieme».

Cicerone, De Divinatione, II, 72.

PRESENTAZIONE

Passi sui confini di un altro mondo (Footfalls on the Boundary of

Another World), come suona letteralmente il titolo, è l’opera più importante

scritta sui fenomeni paranormali nel primo periodo dello spiritismo. Uscita

negli Stati Uniti nel 1860 e a Londra nel 1861, vale a dire circa una dozzina

d’anni dopo i famosi fenomeni di Hydesville, che diedero origine al

movimento, ebbe subito quella vasta diffusione che ottenevano allora i libri di

questo genere nel mondo anglosassone (dieci edizioni americane in un anno),

ma molto più per il suo interesse aneddotico che per il suo reale valore critico

e speculativo che la differenzia da tutte le altre numerose opere affini che

vennero pubblicate intorno a questo periodo. Tale valore si cominciò a capirlo

solo più tardi, circa una ventina di anni dopo, e anche più, quando si delineò il

cosiddetto spiritismo scientifico, di cui l’Owen deve essere considerato a buon

diritto il fondatore.

Abbiamo parlato di spiritismo, e in realtà l’Owen fu uno spiritista convinto.

Ma il suo libro rientra molto più nella storia della parapsicologia che in quella

dello spiritismo. Troviamo qui le basi di tutti gli studi sul paranormale

condotti con intenti scientifici nell’ultimo trentennio del secolo scorso e nel

primo del nostro. I suoi argomenti e il suo metodo di ricerca sono quelli che

hanno dominato in questo sessantennio, esposti con una chiarezza e una

consapevolezza che non vennero più superate.

Il metodo dell’Owen è quello sintetizzato dal Bozzano, suo più diretto

seguace, nell’espressione «analisi comparata e convergenza delle prove».

 

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L’Owen lo considerava un metodo scientifico, e come tale fu accolto dagli

studiosi fino all’avvento del metodo quantitativo affermato ufficialmente dal

Rhine negli anni Trenta. Oggi è stato ripudiato perlomeno in gran parte, e

alcuni parapsicologi rigidamente ortodossi lo respingono nel modo più

deciso; altri lo seguono, in modo informale, accanto al metodo quantitativo.

Dobbiamo soffermarci un poco sulla questione.

Diciamo subito che, se consideriamo la scienza in senso strettamente

galileiano, come traduzione del fenomeno in numeri, il metodo dell’Owen non

può essere giudicato scientifico. Ma, se ammettiamo che la storiografia sia

una scienza, le indagini del diplomatico americano hanno pieno diritto a

questo titolo, perché in realtà si tratta di un metodo storiografico. L’Owen ne

era chiaramente consapevole: egli presenta la sua ricerca anzitutto come

un’indagine storica e mette chiaramente l’accento sul carattere storico del suo

studio. E’ questo un punto che, più tardi, verrà del tutto dimenticato. I fatti

paranormali, egli dice in sostanza, sono fatti umani, e lo studio dei fatti umani

trova la sua prima sede adeguata nell’opera dello storico che li analizza, li

confronta e dà loro un significato fondandosi sulla convergenza delle prove in

una visione globale dell’insieme. La stessa psicologia è rimasta a lungo legata

a questo metodo, che, del resto, non ha del tutto abbandonato. Dove c’è un

fatto umano, il metodo storico non è mai totalmente superabile perché dove

c’è un fatto umano c’è storia. L’uomo non si può ridurre tutto in numeri, e c’è

da domandarsi anche se una storiografia non sia, o non dovrebbe essere, un

approccio complementare anche delle altre scienze, non solo quali la biologia,

la geologia, l’astronomia, ma anche delle scienze fisiche. Dovunque appare

un’evoluzione vi è una storia.

Con il suo metodo, Owen ha raccolto un’ottantina di fatti che, se anche

risalgono a epoche relativamente lontane, appaiono solidamente attestati e

rientrano in una realtà storica che non può essere trascurata, schierandosi

decisamente a sostegno delle più moderne ed elaborate conquiste

dell’indagine quantitativa.

D’altra parte Owen non sostiene affatto che il metodo storico sia l’unico di

cui lo studioso può disporre per l’approccio al paranormale. Egli fu

indiscutibilmente il primo ad avere l’idea esatta che i fatti paranormali

rientrano nel complesso della natura e che, come tutti i fatti naturali, devono

essere regolati da leggi loro proprie, tali da non contrastare con le leggi

conosciute ma da completarle e integrarle nell’insieme di una legislazione

molto più vasta di quella nota al suo tempo e, possiamo dire, anche al nostro.

Questa idea verrà ripresa dagli studi successivi ed è oggi dominante. Con un

certo orgoglio egli afferma, nella prefazione all’edizione inglese, che il

successo della sua opera deve essere attribuito soprattutto al fatto «che le

varie classi di fenomeni raggruppati nel presente volume, vi sono presentate

 

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non come al di là della natura, ma come in armonia con essa; non come

eccezioni che interrompano l’uniformità di un vasto sistema, ma come una

parte necessaria e integrante di questo sistema stesso; non, infine, come una

violazione o una trascendenza delle leggi generali che vediamo regolare

l’universo, ma come occorrenti nella più stretta conformità con queste leggi

…».

Ci si può semmai domandare se questa seconda concezione non sia in

contrasto con la prima: se, una volta riconosciuto che la vicenda umana,

normale o paranormale, deve essere anzitutto avvicinata col metodo dello

storico, che accerta la realtà dei fatti e ne trae una sua interpretazione, non sia

una contraddizione ammettere che questa stessa vicenda possa essere

soggetta a rigorose leggi matematiche che l’uomo potrà un tempo conoscere

come ha conosciuto le leggi della gravitazione o della termodinamica. In

realtà Owen non affronta questo problema, si può anzi dire che lo ignori. La

sua concezione della legge è ancora mistica, 0, perlomeno, filosofica e

speculativa. Per lui la legge naturale è ancora indizio di un ordine divino che

imbriglia il caos del caso e permette a una mente universale di agire nella

regola. Egli non esprime mai esplicitamente questa idea ma tutto il suo libro

ne è permeato: la materia è legislificata perché possa servire da mezzo allo

spirito che la pervade, e lo scienziato, rivelando la legge, non raggiunge una

conoscenza conclusiva, ma solo le fondamentali di una conoscenza più

completa che, su quella base, deve edificare un sistema spirituale. Di qui

l’accordo naturale tra scienza esatta e storiografia: nello studio dell’uomo e

dei viventi in genere, esse devono procedere di accordo integrandosi a

vicenda: la storiografia nutre la scienza offrendole il materiale di studio, e la

scienza permette alla storiografia di giungere a conclusioni esatte su dati

sicuri. Di qui anche la preferenza che Owen dà ai fenomeni spontanei e una

sua certa diffidenza per quelli provocati artificialmente nelle sedute

medianiche del suo tempo, in cui egli sospetta l’infiltrarsi, insieme alla

volontà degli sperimentatori, di elementi estranei che possono inquinare il

fenomeno e falsarne la genuina storicità: critica, questa, che solo in anni

recenti è stata chiaramente formulata.

Così, dal punto di vista parapsicologico, Owen ci appare decisamente un

anticipatore: non solo pone le basi di più di un sessantennio di studi, ma

stabilisce fatti e motivi che, anche quando questi studi saranno superati e volti

nella direzione del metodo quantitativo, rimarranno a ricordare agli studiosi

la necessità di non perdere di vista una problematica propria della

fenomenologia paranormale molto più vasta di quella che può essere

affrontata e risolta da una scienza galileiana.

 

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Ma, abbiamo detto, Owen è inequivocabilmente uno spiritista. Tutta la sua

ricerca ha uno scopo preciso: risolvere il problema della sopravvivenza, e, al

termine dell’indagine, la sua risposta è affermativa. Gran parte dei fenomeni,

dal Poltergeist all’apparizione di defunti, vengono da lui attribuiti a entità

intelligenti che sono realmente quello che dicono di essere. Dobbiamo

considerare anche questo lato della sua opera. Egli dedica molte pagine alla

confutazione della dottrina luterana secondo cui l’anima umana, dopo la

morte, entrerebbe immediatamente - o dopo un lungo sonno protratto fino al

giorno del Giudizio - in uno stato beatifico o in uno stato di eterna

dannazione. Questo gratuito dono di ogni perfezione al giusto (che, per

quanto tale, rimane tuttavia una creatura imperfetta) e questa non meno

gratuita eliminazione di ogni virtù nell’ingiusto (che, per quanto malvagio,

non è mai assolutamente tale) non solo offendono la giustizia divina, ma

costituiscono un’intima deformazione della personalità per cui il beato e il

dannato verrebbero a costituire due esseri diversi da quelli che erano nella

vita terrena. Per Owen, l’aldilà non può essere che una continuazione

dell’aldiquà, in cui lo spirito mantiene tutti i suoi caratteri terreni e continua

quell’evoluzione iniziata nella spoglia mortale, in una condizione che, se da un

lato la facilita per la mancanza di un corpo materiale e degli impacci che ne

derivano, dall’altra la rende più ardua per la stessa maggiore vibratilità dello

spirito, per la sua maggiore libertà, per le maggiori possibilità che gli si

offrono. Tra la fase terrena e la fase ultraterrena vi è dunque una perfetta

continuità, che porterà, probabilmente, a una terza fase in cui lo spirito

raggiungerà la perfetta armonia col tutto.

Così l’Owen getta le basi dello spiritismo anglosassone che, come dottrina a

fondo religioso, trova nella sua opera una prima enunciazione ragionata e

coerente, al di fuori di arbitri mistici e visionari, fondata sull’osservazione di

fatti secondo il criterio della convergenza delle prove. Perché l’Owen non è, e

non vuole essere, un veggente. Anche se legato intimamente alla sua fede

protestante e all’autorità delle Scritture, continua è in lui l’esigenza

dell’osservazione e del ragionamento, così che, anche da questo punto di vista,

il suo libro rimane un documento umano in cui ognuno può vedere riflessi i

propri problemi e trovare un chiarimento.

Dobbiamo chiederci a questo punto quale valore il lettore di oggi possa

concedere alla vasta casistica che l’autore ci presenta in questa opera e su cui

fonda le proprie speculazioni. I più remoti di questi casi risalgono al secolo

XVI, i più recenti a circa la metà dell’Ottocento: sono dunque tutti molto

distanti da noi nel tempo. Oggi l’aneddoto è in discredito, e l’aneddoto vecchio

 

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di più di un secolo è considerato addirittura trascurabile. Ma questo

atteggiamento è fondato piuttosto su di una convenzione che su di un

ragionamento: si è voluto mettere da parte il più possibile il «fatto

raccontato», che si può scarsamente controllare e sa di fiaba. Ma, così

facendo, si è rinunciato praticamente a tutta la fenomenologia spontanea, la

più completa e la più genuina.

Innegabilmente la scienza non può fondarsi su di un sentito dire, ma non

può nemmeno escludere drasticamente il sentito dire perché in tal caso

dovrebbe rinunciare alla storia. Finché il fatto umano manterrà una

differenza dal fatto fisico, un’indagine storica dovrà necessariamente

accompagnare un’indagine di tipo galileiano ed entrambe le ricerche

dovranno egualmente meritare il titolo di scienze. L’aneddoto entra dunque di

diritto nello studio del paranormale quando sia studiato con il metodo che è

suo proprio, ossia con il metodo storico. Quando diciamo che la formula

dell’acqua è H2O, enunciamo una forma di realtà indiscutibile; quando

diciamo che Augusto fu il primo imperatore romano, enunciamo egualmente

una forma di realtà non meno indiscutibile, che però è di natura

essenzialmente diversa dalla prima e accertata con un metodo del tutto

diverso. Ma queste due forme di realtà rientrano egualmente nel panorama

della conoscenza umana, e sarebbe un grave errore considerare l’una meno

reale dell’altra.

Su di un piano storico, che è quello su cui si è posto l’Owen decidendo di

studiare solo i fenomeni spontanei, lo studio aneddotico è dunque

perfettamente lecito, non solo, ma presenta anche alcuni vantaggi sullo studio

quantitativo, anche se non si possono negare degli svantaggi. Di questi

vantaggi l’Owen è perfettamente consapevole. Anzitutto il fenomeno

spontaneo si presenta nella sua forma più integra, interamente calato nel

soggetto 0 nei soggetti in cui si manifesta, mentre il fenomeno sperimentale

include necessariamente la figura dello sperimentatore, che può essere

addirittura dominante. In secondo luogo, studiato storicamente, nel suo

ripetersi per vaste estensioni di tempo, il fenomeno spontaneo può offrirci

maggiori garanzie della sua realtà. A esempio, un fenomeno di tiptologia

avvenuto nel secolo XVII fra persone che non avevano la minima idea del suo

manifestarsi, per le quali esso rappresentava un fatto assolutamente nuovo -

permettendoci così di escludere che fra le sue cause potessero esservi

l’aspettativa del soggetto o degli astanti, la loro immaginazione, i loro desideri

ecc. - e tuttavia manifestatosi con le stesse precise modalità degli stessi

fenomeni quali ci si presentano oggi, ha, per questo fatto stesso, una forza di

convinzione che manca a qualsiasi moderno fenomeno sperimentale.

L’importante è di vedere se la casistica dell’Owen è, «storicamente»,

autenticata a sufficienza. E, per lo meno per la grande maggioranza dei casi,

 

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possiamo rispondere affermativamente. L’Owen ha scelto la sua casistica con

grande scrupolo e con molta accortezza. Molti episodi sono di prima mano,

tutti sono riferiti da persone su cui uno storico riporrebbe ogni fiducia

qualora si trattasse di relazioni di fatti sociali e politici. Per gli eventi più

vicini, sebbene ormai vecchi per noi, l’autore ha potuto parlare con gli stessi

protagonisti. Non vi è dunque ragione di dubitare della realtà storica dei vari

episodi. E questa realtà è tale non solo da indurci a meditare su questa vasta

fenomenologia, ma da poter anche servire allo studioso galileiano per

inquadrare in un campo più aperto e più genuino le sue stesse ricerche. Non

crediamo che siano molti gli studiosi attuali che hanno letto il libro dell’Owen,

specialmente in Italia: anche a loro offriamo questa traduzione. Le due

ricerche, lo ripetiamo, dovrebbero andare di pari passo; e, se siamo certo

molto lontani dal momento in cui potranno (seppure è possibile) fondersi in

una ricerca unica, la loro integrazione non può meno sicuramente attuarsi

nell’intima certezza morale dello scienziato e dell’uomo.

La traduzione che presentiamo è stata condotta sull’edizione inglese del

1861, corretta e aumentata dall’autore dopo le prime dieci edizioni americane.

E’ integrale e fedele anche se talora la prosa dell’Owen può apparire, al gusto

attuale, un tantino verbosa e se a volte l’autore indulge a considerazioni

religiose piuttosto lontane da una mentalità non protestante: certe opere

bisogna accoglierle nel clima del loro tempo.

Il testo dell’opera, oggi praticamente introvabile, ci è stato cortesemente

fornito dal dottor Gastone De Boni, come tutti quelli della nostra collana, che,

se non avesse potuto attingere alla sua biblioteca, unica in Italia, non avrebbe

potuto essere realizzata.

Ugo Dèttore

 

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Avvertenza dell’autore all’edizione inglese

Sei mesi trascorsi dalla data di pubblicazione permettono a un autore di

riconsiderare la propria opera alle luci delle varie critiche e di giudicare in

certa misura i suoi effetti sulla mente del pubblico.

Cercando di approfittare di tale opportunità, e delle numerose

comunicazioni private che mi sono giunte e mi giungono ogni giorno in

relazione al soggetto trattato in questo volume, non ho trovato finora che

approvazione e incoraggiamento. L’accoglienza fatta a questo libro, sia per

quel che riguarda le copie vendute, sia per l’estensione e il genere di

recensioni che ha suscitato, ha superato grandemente perfino le previsioni

dell’autore.

Considero che questo soddisfacente risultato sia dovuto soprattutto al fatto

che le varie classi di fenomeni raggruppati nel presente volume, vi sono

presentate non come al di là della natura, ma come in armonia con essa; non

come eccezioni che interrompano l’uniformità di un vasto sistema, ma come

una parte necessaria e integrante di questo sistema stesso; non, infine, come

una violazione o una trascendenza delle leggi generali che vediamo regolare

l’universo, ma come occorrenti nella più stretta conformità con queste leggi:

anche se solo con una parte di esse - l’ultraterrena - che non abbiamo

l’abitudine di studiare per quanto possano essere eminentemente degne di

studio accurato.

Presentati come miracoli, i fenomeni ultraterreni sono giustamente

respinti come incredibili, come contrastanti il progresso della nostra

conoscenza attuale e inconciliabili con gli insegnamenti della scienza

moderna. Ma, se presentati come classi di avvenimenti naturali - certo

inesplicati, diretti da leggi ancora sconosciute o solo oscuramente distinte, ma

sicuramente comprese nell’ordinata economia del mondo come la luce del

sole o un uragano - l’aspetto del problema cambia. Non si tratta più di cercare

se Dio, per affrontare un’emergenza particolare, sospende di tempo in tempo

l’una o l’altra delle sue leggi, ma solo se non abbiamo finora trascurato una

parte di queste leggi stesse: quella parte che serve a collegare la seconda fase

della nostra esistenza con la presente.

Credo che la mia opera debba soprattutto a questo modo di presentare il

problema, la rapida vendita e la favorevole accoglienza che ha incontrato.

Ma questa è la ricompensa minore. La maggiore è nelle espressioni di

simpatia e di gratitudine che mi sono state rivolte. Una madre a cui la morte

aveva strappato il figlio diletto, e che rifiutava ogni conforto perché egli non

 

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era più, confessa di dovere a queste pagine la sua salutare e fiduciosa

concezione della morte, i suoi rinnovati spiriti, il suo coraggio di operare e di

attendere. Uno scettico nelle cui mani il volume era caduto poche settimane

prima del suo trapasso, ha chiesto che, dopo la sua morte, io venissi

informato che a questo volume, e in particolare al capitolo al cambiamento al

momento della morta egli doveva la rivoluzione delle sue idee e la prima

convinzione consolante che avesse mai raggiunto sull’esistenza di un altro

mondo più bello e migliore verso il quale egli si stava affrettando.

Queste e altre simili testimonianze, vero premio per un autore, mi fanno

rallegrare che un editore inglese stia per ripubblicare la mia opera. Questa

edizione è stata rivista da me e contiene alcune correzioni e aggiunte.

Robert Dale Owen

Londra, luglio 1860

 

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Prefazione all’edizione Americana

Può interessare il lettore, prima che egli scorra questo volume, conoscere

alcune delle circostanze che lo precedettero e portarono alla sua stesura.

I soggetti qui trattati vennero per la prima volta a mia conoscenza in un

paese in cui, eccetto che per lo straniero privilegiato, essi sono proibiti: a

Napoli nell’autunno del 1855. Fino a questa data avevo considerato l’intero

argomento come un’illusione, che invero nessun pregiudizio mi avrebbe

impedito di esaminare con cura, ma in cui, in mancanza di questo esame, non

avevo alcuna fede.

Rimarrò sempre debitore a un ottimo amico ed ex collega, il visconte di St.

Amaro, ministro del Brasile a Napoli, per avere richiamato per la prima volta

la mia attenzione sui fenomeni di carattere magnetopsicologico, e sullo studio

degli argomenti analoghi. Nei suoi appartamenti, il 4 marzo 1856, e in

presenza di lui e di sua moglie, insieme con un membro della famiglia reale di

Napoli, fui per la prima volta testimone, con sentimenti misti di sorpresa e di

incredulità, di certi movimenti fisici apparentemente senza agente materiale.

Tre settimane più tardi, a una serata presso il ministro di Russia, avvenne un

incidente fortuito, come lo chiamiamo, che, dopo il più rigoroso esame, mi

trovai incapace di spiegare senza riferirlo a qualche agente intelligente

estraneo agli spettatori presenti, nessuno dei quali, dobbiamo aggiungere,

conosceva o aveva praticato alcunché che avesse a che fare con il cosiddetto

spiritismo o medianità. Da quel giorno decisi di studiare a fondo la materia. I

miei doveri pubblici mi lasciavano, d’inverno, poche ore libere, ma parecchie

nei mesi d’estate e di autunno. E, per più di due anni, dedicai questi periodi di

libertà a una ricerca (condotta in parte con osservazioni personali in privato,

in parte con la lettura di libri) sul gran problema se agenti di un’altra fase di

esistenza intervengano e operino in questi fenomeni per il bene o per il male

del genere umano.

Per qualche tempo le osservazioni da me fatte furono molto simili a quelle

che, negli ultimi dieci anni, tante migliaia di sperimentatori hanno compiuto

nel nostro paese e in Europa, e le mie letture si limitarono alle opere pro e

contro il magnetismo animale e pro e contro la moderna teoria spiritista. Ma,

via via che il campo si apriva dinanzi a me, trovai opportuno allargare la mia

sfera di ricerche, consultare le migliori opere di fisiologia per professionisti,

sul sonno, sull’allucinazione, sulla pazzia, sulle grandi epidemie mentali in

Europa e in America, insieme con i trattati sull’imponderabile, comprese le

curiose osservazioni di Reichenbach e le relazioni di interessanti ricerche

 

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recentemente fatte in Prussia, in Italia, in Inghilterra e altrove a proposito

dell’elettricità umana connessa con la sua influenza sul sistema nervoso e sui

tessuti muscolari.

Raccolsi anche le più importanti tra le vecchie opere che contenevano

racconti di apparizioni, infestazioni, presentimenti e simili, insieme a

dissertazioni sul mondo invisibile, e avanzai faticosamente attraverso enormi

pile di paglia per raccogliere qualche chicco di buon grano.

A poco a poco mi convinsi che tutto ciò che da molti era considerato come

un insieme di fenomeni nuovi e senza eguali, non era che la fase moderna di

qualche cosa che era sempre esistito. E infine giunsi alla conclusione che, per

capire adeguatamente molto di ciò che ha eccitato e reso perplessa la

mentalità del pubblico sotto il nome di manifestazioni spiritiche, bisognava

far precedere la ricerca storica a ogni altra ricerca: che avremmo dovuto

esaminare le varie classi di fenomeni del passato tentando di ordinarli ognuno

nella sua nicchia più appropriata.

Mi resi anche conto della necessità che lo studioso di questo campo

(almeno in un primo momento) dedicasse la sua attenzione ai fenomeni

spontanei piuttosto che a quelli provocati: alle apparizioni e ai disturbi che si

presentavano solo occasionalmente, è vero, ma non ricercati né attesi, come

l’arcobaleno, o l’aurora boreale, o il vento che soffia dove vuole, incontrollati

dai desideri o dall’intervento dell’uomo. Limitando la ricerca a questi

fenomeni viene completamente eliminato ogni sospetto di essere sviati da

un’eccitazione epidemica o da intense aspettative.

Una relazione di tali fenomeni, accuratamente scelti e autenticati,

rappresenta il nucleo fondamentale del presente volume. Nel pubblicarlo non

posso essere accusato, non più di un naturalista o di un astronomo, di

immischiarmi in cose sacre. Per quel che riguarda il particolare scopo di

quest’opera, nessuna accusa di necromanzia o di ricerca illegale deve essermi

posta poiché non è applicabile in alcun modo. L’accusa, se mai può essercene

una, sarà d’altro carattere. Se incorro in un sospetto, non sarà quello di

stregoneria ma quello di superstizione: di un tentativo, forse, di far rivivere

illusioni popolari che le luci della scienza moderna hanno da lungo tempo

sgominato, o di essermi abbassato a esumare relazioni di fatti che non sono

altro che fiabe da ragazzi.

Accettando questa accusa, mi limito a fare appello al paese. Chiedo un

giusto giudizio davanti a una giuria che non abbia pregiudizi. Chiedo per la

mia testimonianza un uditorio paziente, sicuro che il verdetto finale, quale

che possa essere, sarà in accordo con la ragione e con la giustizia.

 

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Io non voglio costruire una teoria. Dubito che vi sia un vivente preparato a

farlo su questo soggetto. Il mio meno ambizioso scopo è di raccogliere solide

pietre che potranno servire a qualche futuro architetto. Già oltre la mezza età,

non è probabile che io rimanga in questo mondo tanto da vedere l’edificio

costruito. Ma altri lo potranno. La razza permane, sebbene l’individuo passi a

un altro stadio di esistenza.

Se non stimassi di grande importanza il mio soggetto, sarei indegno di

accingermi a trattarlo. Se avessi trovato altri scrittori pronti ad accordargli

quell’attenzione che la sua importanza merita, sarei rimasto in silenzio. Ma,

stando così le cose, penso, con uno scrittore moderno, che «nascondere al

mondo una grande verità può essere il tradimento di una fiducia ancora più

grande» (1).

Sono consapevole, d’altra parte, che si è sempre pronti a sopravvalutare

l’importanza del proprio lavoro. Tuttavia anche uno sforzo come questo può

essere sufficiente a dare una giusta o una sbagliata direzione all’opinione

pubblica. Grandi risultati sono talora determinati da piccole cause. «Una

tegola sulla cuspide di una villetta nel Derbyshire», dice Gisborne, «decide se

la pioggia che cade dal cielo sarà diretta nel Mare del Nord o nell’Atlantico».

Prego il lettore, prima che si addentri nella ricerca se le interferenze

ultramondane siano una grande realtà o un’immensa illusione, di concedermi

ancora un’osservazione. Egli troverà che, nel trattare questa ipotesi, ho

lasciato molte cose oscure e non interpretate. Quando nessuna teoria era

chiaramente indicata, ho preferito constatare i fatti e rinunciare a ogni

spiegazione, avendo raggiunto quel periodo della vita in cui, se è stato fatto

buon uso degli anni passati, non ci si vergogna di dire: «Non lo so»; in ogni

caso quello in cui il dir questo è semplice verità. Dobbiamo tuttavia tenere a

mente che una difficoltà non risolta non costituisce un argomento in contrario

(2).

Queste pagine devono il loro principale valore ai molti amici il cui affetto

ha aiutato la mia impresa. Ad alcuni, nominati nell’opera, posso manifestare

la mia grande riconoscenza. Ad altri, che mi hanno assistito in privato, non

sono meno debitore.

Non dubito che, se differissi di alcuni anni la pubblicazione di questo libro,

troverei molto da modificare e qualche cosa da ritrattare. Ma, in questo

mondo, se rimandiamo il nostro lavoro fino a quando lo si possa considerare

perfetto, la morte ci coglie in questa esitazione, e non riusciamo a far niente

per l’inutile avidità di fare troppo.

Robert Dale Owen

 

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Note

(1) Friends in Council (Amici a consiglio), Art. Truth.

(2) «Quando non possiamo rispondere a tutte le obiezioni, siamo tenuti,

secondo ragione e onestà, ad accettare l’ipotesi meno improbabile».

Elements of Logic (Elementi di logica), dell’Arcivescovo Whately.

«E’ considerato probabile ciò che ha migliori argomenti a favore che non

contro». South.

 

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LIBRO I - PRELIMINARI

1 - Esposizione del soggetto

«Come ho sempre ritenuto, può esservi altrettanta vanità nel

frenare e trattenete le presunzioni umane (a meno che non

siano di una ha natura), quanta ve ne è nell’imporle; così, in

questi particolari: ho fatto la parte dell’Inquisitore, e non ho

trovato in essi nulla che, a mia opinione, fosse contrario o

dannoso per lo stato o i modi della religione, ma piuttosto,

credo, salutare».

Bacone, Dedica dei Saggi, 1597.

In un’epoca così utilitaristica come la presente, nessuna ricerca può

verosimilmente impegnare l’attenzione del pubblico, se non è pratica nei suoi

portati.

E anche allora, se il corso di tale inchiesta conduce all’esame di fenomeni

straordinari, si troverà che le prove più dirette, apparentemente sufficienti, a

dimostrare la realtà di essi, lasciano le menti umane incredule o dubbiose, se

le apparenze appaiono di carattere isolato, prive di veri precedenti nel passato

e tali da non potere essere classificate in una loro propria nicchia, fra risultati

analoghi; e tanto più se implicano una sospensione delle leggi della natura.

Se ho una qualche speranza di farmi udire dal pubblico mentre intavolo,

vastamente e francamente, la questione se occasionali interferenze da un altro

mondo in questo siano una realtà o un’illusione, è, anzitutto, perché confido

di poter mostrare che la ricerca è di natura pratica; e, secondariamente,

perché i fenomeni che mi propongo di esaminare in connessione con ciò non

sono di carattere isolato e tanto meno miracoloso. Nel senso etimologico della

parola, non sono inverosimili in quanto molti di essi possono essere

adeguatamente attestati come veri nella storia. Essi appaiono in gruppi e, al

pari di tutti gli altri fenomeni naturali, si prestano a una classificazione.

Di solito vengono considerati straordinari e perfino stupefacenti; e questo

non tanto perché siano realmente eccezionali, quanto perché sono stati, in

certa misura, tenuti fuori di vista. E questo avviene a sua volta in parte perché

pochi osservatori spassionati li hanno esaminati pazientemente; in parte

 

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perché il pregiudizio, che li scredita, ha trattenuto migliaia di coloro a cui si

sono presentati dal dare pubblica o anche privata testimonianza di ciò che

hanno osservato; in parte perché, sebbene questi fenomeni non siano affatto

di origine moderna, o determinati da leggi solo di recente operative,

sembrano essere molto aumentati in frequenza e varietà e avere raggiunto un

nuovo stadio di sviluppo negli ultimi pochi anni; e infine perché sono tali da

far facilmente sorgere nelle menti deboli la cieca credulità o il terrore

superstizioso, abbondanti fonti di stravaganza e di esagerazione. Così che gli

intelligenti li celano e gli ignoranti non li capiscono. Questa condizione di cose

complica il soggetto e aumenta di molto la difficoltà di trattarlo.

Inoltre, sebbene nessun articolo della fede umana sia meglio fondato della

credenza nel definitivo prevalere della verità, tuttavia, in tutto ciò che si

riferisce al progresso terreno, il tempo interviene come elemento essenziale. Il

frutto non cade se non è maturo: se attaccato dal golpe o colto prima dei

tempo, è imperfetto e senza valore. E il mondo della mente, come quello della

natura fisica, ha le sue stagioni; le sue primavere in cui le linfe si risvegliano;

le sue estati fiorite; i suoi autunni dorati dal grano. In nessun campo bisogna

mietere prima del tempo della raccolta.

Tuttavia, per quanto graduali siano le innovazioni del tempo e i

corrispondenti progressi della mente umana, vi sono certe epoche in cui, per

ciò che le nostre limitate vedute chiamano caso, particolari soggetti escono

alla luce per un subito impulso, attirando l’attenzione generale e così

inducendo le menti umane a impegnarsi nell’investigazione di essi. In tali

epoche, parole che in altri tempi sarebbero cadute senza essere ascoltate

possono penetrare profondamente e dare buoni frutti.

Accade comunque raramente che, al primo esprimersi di qualsiasi grande

eccitazione, quando strane novità sembrano erompere nel mondo, le menti,

sia dei sostenitori sia degli avversari, mantengano la dovuta moderazione

nell’affermare come nel negare. L’ardore di un nuovo zelo e il senso del

pregiudizio da lungo tempo dominante, pronti all’offesa quando per la prima

volta si contrastano, sono egualmente sfavorevoli per una calma inchiesta e

un giudizio critico.

Così al giorno d’oggi (in cui il tumulto degli inizi si è placato e anche una

piccola voce pub essere udita), forse meglio che in qualsiasi altro momento

degli ultimi dieci anni durante i quali il nostro paese è stato testimone del

sorgere e del progredire di ciò che puh essere chiamato un risveglio di

pneumatologia, il soggetto può essere discusso con minor passione e accolto

con minor pregiudizio. E se uno scrittore, nel trattarlo in tali condizioni,

sfugge ad alcune di quelle secche sulle quali i primi ricercatori si sono arenati,

 

17

questo può esser dovuto tanto a una felice scelta del momento quanto al

merito di un superiore discernimento.

Inoltre, per quel che riguarda la questione di cui mi propongo di esaminare

le probabilità, eventi recenti hanno non solo richiamato l’attenzione

dell’udienza, ma anche, in certa misura, aperto la via al conferenziere. Il

rigore del tabù si è allentato. E questo era particolarmente desiderabile.

Poiché, dato che l’inchiesta tocca la probabilità di un intervento ultraterreno -

sebbene non si possa dire che esso sia stato perso di vista in un qualsiasi

momento a cominciare dall’alba della civiltà, sebbene le Scritture ne diano

testimonianza fin dalle prime epoche, e sebbene, negli ultimi tempi, abbia

sfidato spesso, in varie forme di superstizione, il terrore degli ignoranti - è

sembrato, nel secolo scorso, che essa perdesse gradualmente credito e

reputazione, fino a essere esclusa dalla società rispettabile e dai circoli

filosofici. Gli uomini più accorti si guardavano bene dal mettere a repentaglio

la reputazione del loro buon senso, occupandosene in qualche modo.

Questo, tuttavia, con onorevoli eccezioni. Fra queste non ne ho mai

incontrata una così originale nel pensiero e così filosofica nello spirito come

Isaac Taylor. Tuttavia egli ha trattato con mano maestra una sola branca

dell’argomento: quella analogica (1).

Un’altra parte di questo campo di ricerche è stata parzialmente occupata,

ogni tanto, da una classe di scrittori, spesso tedeschi, generalmente

considerati superstiziosi sognatori; fra questi Jung Stilling è forse uno dei

migliori esempi (2), pio, franco, abile, di una probità oltre ogni sospetto, ma

anche in qualche modo mistico, il Consigliere aulico del Baden cercò prove

della sua speculazione in pretesi avvenimenti oggettivi (come apparizioni,

case infestate e simili) di cui accettò le relazioni e sui quali eresse la sua teoria

spiritista con una facilità di fede per la quale l’apparente evidenza sembra

essere, in molti degli esempi citati, insufficiente garanzia. Ai nostri giorni

molti hanno seguito una simile linea di argomentazione accogliendo la

simpatia del pubblico almeno in un caso, se sedici edizioni in sei anni possono

esserne conferma (3).

Si può ammettere tuttavia che queste narrazioni sono state lette in genere

piuttosto per passare un’ora piacevole che per scopi più seri. Hanno spesso

suscitato la meraviglia, di rado ispirato convinzioni. Ma questo, credo, è

dovuto, non a una vera insufficienza in questo campo, ma piuttosto, anzitutto,

a un modo non filosofico di presentare il soggetto, parlando di meraviglie e di

miracoli là dove era solo questione di fenomeni naturali anche se ultraterreni;

e, secondariamente, a un indiscriminato frammischiarsi del vero con

l’apocrifo, alla mancanza di giudizio nella cernita e di attività nella verifica. Io

non mi sono fatto scrupolo di scegliere da queste fonti, cercando tuttavia di

 

18

separare il grano dalla paglia, e contento, nel far così anche se il materiale

utilizzabile che restava si riduceva a ben poco.

Essenzialmente collegati con questa inchiesta, e tali da essere studiati da

chiunque vi si impegni, sono i fenomeni raggruppati in quello che

abitualmente viene chiamato magnetismo animale. Il magnetismo animale,

palesatosi dapprima in Francia tre quarti di secolo fa, vide i suoi progressi

arrestati all’inizio, quando le sue affermazioni erano ancora vaghe e i suoi

principali fenomeni non erano stati ancora osservati, dal celebre rapporto di

Bailly (4). Spesso è caduto nelle mani di osservatori inesperti e superficiali,

talora di ciarlatani matricolati, le sue pretese sono state stravagantemente

sostenute da alcuni e arrogantemente negate da altri. Ma si è fatto tuttavia

strada attraverso gli errori degli amici e le denunce dei nemici e (cosa che è

ancor più difficile a combattersi) attraverso le frequenti mistificazioni di

impostori e i grossi abusi occasionali dei suoi poteri, fino a essere oggetto di

considerazione e di studio da parte di uomini di talento e di reputazione

indubbi - fra i quali eminenti membri del corpo medico - e ha per lo meno

ottenuto un posto modesto anche negli accreditati e popolari trattati di

scienza fisiologica (5).

Le prove e gli argomenti analogici a cui abbiamo alluso in favore degli

eventi ultraterreni, insieme a conferme come quelle portate dai fenomeni di

sonnambulismo, erano già note al mondo prima che, nell’oscuro villaggio di

Hydesville, una ragazzina (6), rispondendo agli insistenti colpi che per più

notti avevano turbato il sonno di sua madre e delle sue sorelle, ebbe la

ventura di scoprire che questi suoni sembravano mostrare caratteristiche di

intelligenza.

Da quel giorno una nuova e importante fase si offrì allo studioso di

pneumatologia, e con essa un nuovo dovere: quello di determinare il vero

carattere di quella che fu talora chiamata Epidemia americana, più

meravigliosa nelle sue manifestazioni, più vasta nella sua espansione di ogni

altra fra le epidemie mentali - talune delle quali accompagnate da straordinari

fenomeni - ricordate dai medici e dagli psicologi dell’Europa continentale.

Da quel giorno, inoltre, venne gradualmente alla luce un nuovo settore

della scienza dell’anima: quello positivo e sperimentale. Fino a ora, il maggior

numero di opere di psicologia o pneumatologia sono consistite

esclusivamente in speculazioni tratte o dall’analogia o dalla storia, sacra o

profana: fonti eminenti ma non uniche. Oggi un tale lavoro non può essere

considerato completo senza un esame dei fenomeni e una citazione delle

autorità. E così sebbene una parte del presente volume consista di ricordi

storici, poiché le meraviglie del presente non possono essere

appropriatamente giudicate senza l’aiuto del passato, un’altra e più vasta

 

19

parte abbraccia racconti di data moderna, fenomeni avvenuti relativamente di

recente, le cui prove sono state raccolte con la stessa cura con cui un membro

della professione legale deve esaminare le sue testimonianze e preparare il

caso per un processo.

Nello scorrere un’opera di questo carattere, il lettore farà bene a tenere a

mente che i fenomeni esistono indipendentemente da ogni opinione relativa

alla loro natura e alla loro origine. Un fatto non deve essere trascurato o

respinto perché può essere stata avanzata una falsa teoria per spiegarlo. Se è

importante, la sua importanza non dipende dalle teorie.

E se si replicasse, per questa classe di fatti, che essi non hanno importanza

intrinseca, la risposta è, anzitutto, che, sebbene l’età presente, come ho

ammesso fin dall’inizio, sia utilitaristica - in quanto cerca il positivo e tende al

pratico - tuttavia il positivo e il pratico possono essere intesi in un senso

falsamente restrittivo. Non si vive di solo pane. Si vive per svilupparci e

migliorarci non meno che per esistere. E lo sviluppo e il miglioramento sono

cose reali quanto l’esistenza stessa. Ciò che porta alla nostra coscienza nobili

idee, gioie raffinate, ciò che produce buoni frutti nella mente, anche se non lo

percepiamo con gli occhi e non lo tocchiamo con le mani, è talora qualche

cosa di più di un sogno ozioso. La poesia della vita è qualche cosa di più di

una metafora. Il sentimento è legato all’azione. E il mondo, con tutto il suo

rude materialismo, non è morto per questa verità. Vi è un angolo, anche nelle

nostre anime prosaiche, in cui si annida l’ideale e dal quale esso può essere

evocato per divenire non una mera fantasia ma il prolifico genitore del

progresso. E, di tempo in tempo, esso è realmente evocato per nobilitare ed

elevare. Non si tratta solo di aspirazioni entusiaste. Che cosa è la civiltà se non

la realizzazione delle aspirazioni umane?

Tuttavia non mi fondo su sole generalità. Quando mi si dice che studi come

quelli che formano la base di questa opera sono soltanto curiosi e di carattere

speculativo, che non portano a niente di solido e che quindi non meritano di

attirare l’attenzione di un mondo affaristico, la mia seconda risposta è che tale

obiezione è una virtuale richiesta di quei problemi stessi che mi propongo di

discutere in questo volume. E’ un assumere in anticipo un atteggiamento

negativo; è un prendere per dimostrato che i fenomeni in questione non

possono stabilire la realtà di un intervento ultraterreno.

Perché, se la stabiliscono, deve essere ben rozzo e trascurato l’uomo che

chiede: «Qual è l’utilità?». Questa non è la nostra dimora definitiva; e sebbene

durante il nostro soggiorno di sessanta o settant’anni si debbano dedicare le

nostre migliori energie alla causa del miglioramento terreno e della felicità,

sebbene sia nostro stretto dovere, finché siamo qui, di provvedere in certa

misura al benessere terreno di tutti e in particolare alle esigenze e ai conforti

 

20

del focolare domestico, e sebbene, in quanto esseri umani attivi, la parte di

gran lunga maggiore dei nostri pensieri e del nostro tempo debba, o dovrebbe,

essere impiegata in tal modo, tuttavia, se la nostra definitiva abitazione deve

essere presto stabilita altrove, se via via che gli anni passano i nostri affetti ci

sfuggono laggiù, dinanzi a noi, se il nostro cerchio domestico dissolvendosi

qui si ricostituisce nuovo e durevole in altre regioni (7), dovremo considerare

quella nostra futura dimora una mera e oziosa curiosità, una fantasia che non

val la pena di accertare, anche se, in verità, un cenno di essa può sempre

raggiungerci qui, nel nostro pellegrinaggio, prima del distacco?

Non possiamo risolvere frettolosamente questo problema, come alcuni

credono di poter fare, con un argomento a priori contro la possibilità di un

rapporto umano con gli abitatori di un altro mondo. In particolare la Bibbia ci

impedisce di farlo. Quello che è avvenuto un tempo può ancora avvenire (8).

Le Scritture insegnano che tali rapporti vi furono nei tempi antichi, e in

nessun luogo affermano che in seguito non sarebbero più avvenuti.

E quando, anticipando ogni accurato esame di questo problema, decidiamo

che, almeno ai nostri giorni, un tale intervento è impossibile, sarebbe bene

che considerassimo se il nostro sadduceismo non vada oltre quello che

pensiamo; se, forse inconsciamente, non colpisca più a fondo di un semplice

scetticismo nei moderni agenti spirituali. Guardiamo se, scartando

sprezzantemente ciò che è di moda considerare superstizione, non neghiamo

virtualmente anche ciò che è essenzialmente fede (9). L’esistenza attuale di un

altro mondo è in noi come una verità vivente? Crediamo noi veramente di

essere circondati da esseri di un’altra sfera che ci proteggono e ci amano? Con

il nostro cuore, o solo con le labbra, accogliamo, se pur la accogliamo (10) la

dottrina contenuta nei versi di Milton:

Milioni di esseri spirituali passano sulla terra

non visti, sia che vegliamo o dormiamo?

Se tutto ciò è per noi qualche cosa di più di un puro suono, con quale

ombra di ragione possiamo considerare sicuro e stabilito, prima di ogni

discussione in proposito, che una comunicazione con un altro mondo non ci è

più concessa in questo?

Ogni ragionamento a priori, se vi si fa ricorso, parla in favore di tale

intervento. Uno dei più forti argomenti naturali a prova dell’immortalità

dell’anima è sempre stato considerato il fatto dell’universale credenza

dell’uomo nell’aldilà; sentimento, questo, così comune a tutte le età e a tutti i

paesi che può rivendicarsi i caratteri di un istinto (11).

 

21

Ma la credenza nella occasionale comparsa o influenza negli affari umani di

spiriti disincarnati (12), non è meno generale né meno istintiva, sebbene si

debba ammettere che nei secoli oscuri degenerò di solito nella demonologia

(13). Il principio, tuttavia, può essere vero e la forma sbagliata, cosa che

ricorre costantemente nella storia della mente umana, come quando una

religione, per esempio, assunse e mantenne per secoli la forma pagana.

La materia in discussione deve dunque essere affrontata più da vicino. Non

abbiamo il diritto di considerarla una questione chiusa, di respingerla

bruscamente in quanto implica assunti incredibili o di liquidarla con

conclusioni anticipate negandola genericamente (14). Non è né logico né

conveniente decidere, prima dell’investigazione, che la presenza di

interferenze ultraterrene sarebbe contraria all’economia divina. E’ nostro

compito esaminare le opere del Creatore, e di lì, se proprio dobbiamo, trarre

conclusioni circa le Sue intenzioni. Rientra nella nostra attività cercare e

stabilire fatti e poi costruire su di essi; non erigere sulla sabbia di preconcette

teorie arrischiate che la scienza, nel suo progresso, può assalire e rovesciare

come il sistema di Galileo fece con gli inquisitori di Roma (15).

Così pure è biasimevole, qualora nella nostra ricerca di prove ci si imbatta

nella testimonianza di persone umili e incolte, il respingere un fatto bene

accertato perché consideriamo la sua origine scarsamente reputabile.

Possiamo imparare da ogni classe di persone. Dobbiamo trovare le verità in

ogni rango sociale. Cose che sfuggono a chi è reputato saggio e prudente

possono essere percepite da coloro che in fatto di conoscenza tecnica sono

solo dei fanciulli al confronto. Il semplice. sapere non sempre illumina: può

essere distorto e oscuro. E’ un’acuta ironia, spesso applicabile nella vita

pratica, che Goethe pone in bocca all’uomo dalla Mano di Ferro, il forte «Götz

di Berlichingen». Quando il suo figlioletto, dopo avere ripetuto la sua lezione

di geografia, bene imparata a memoria, sul villaggio e il castello di

Jaxthausen, sede della famiglia Berlichingen sulle rive del Jaxt, non riesce a

rispondere alla domanda del padre, di qual castello stesse parlando, il vecchio

guerriero esclama: «Povero bambino! Non conosce, per averlo veramente

appreso, la casa di suo padre!».

La maggior parte delle persone colte respinge senza scrupoli tutte le storie

di case infestate, tutti i racconti di apparizioni, tutte le affermazioni di

previsioni impressionanti o di sogni chiaroveggenti e simili come volgari

manifestazioni di superstizione. Tuttavia vi è stata di recente una reazione. Ne

vediamo i segni qua e là. So che da alcuni anni, in una delle principali

università inglesi, si è formata una società fra i suoi membri più distinti con lo

scopo di istituire, come dice la loro circolare a stampa, «una seria e franca

inchiesta sulla natura dei fenomeni che vengono vagamente chiamati

soprannaturali». I membri hanno sottoposto questi fenomeni a un’accurata

 

22

classificazione, hanno pregato i loro amici fuori della società di aiutarli a

formare una vasta raccolta di casi autentici, come di sogni notevoli e di

apparizioni sia da parte di persone viventi sia da parte di defunti; l’uso che ne

verrà fatto sarà sottoposto a futura considerazione (16).

Bisogna tuttavia riconoscere che esempi come questo, per quanto

significativi, sono solo eccezioni. La regola è di considerare le prove di

rivelazioni in sogno, o del carattere oggettivo delle apparizioni, o della realtà

di quei disturbi che vanno sotto il nome di infestazioni, come dovute o a

coincidenze accidentali, o a malattie, o a illusioni, o a voluto inganno. Uno

degli scopi del presente volume è di cercare se, facendo così, non

trascureremo qualche fenomeno effettivo.

Oltre questo, non ho intenzione di affrontare un soggetto affine. Non

investigherò in quest’opera ciò che va sotto il nome di manifestazioni

spiritiche, come movimenti di tavoli, colpi, medianità e simili. Come il

geologo preferisce esaminare dapprima la roccia in situ, così io reputo

meglio, in questo momento e in questo contesto, esaminare i fenomeni

spontanei piuttosto che quelli che vengono provocati: i fenomeni che

sembrano presentarsi non richiesti, o, come di solito diciamo, per intervento

divino, piuttosto di quelli che sembrano essere stati richiamati mediante il

deliberato sforzo dell’uomo. Io ho studiato i primi molto più accuratamente

dei secondi; e, in un solo volume, mi mancherebbe lo spazio per trattarli

entrambi.

Ma, se avessi spazio, e mi sentissi al livello dell’impresa, non sarei

spaventato dal fatto che il soggetto sia ancora considerato con molta

diffidenza e spesso sia affidato a mani disgraziate. So che è di moda - una

moda molto reprensibile - coprire di ridicolo e disprezzo i risultati

straordinari che sembrano presentarsi in questi casi. Comunque stiano le

cose, un tale atteggiamento non è né politico né saggio. Non si corregge

l’errore disprezzandolo. Nessun uomo sensato, bene informato dei fatti, nega

che, come ogni altro procedimento che tenda a spiegare la conoscenza oltre la

tomba, anche questo abbia i, suoi fanatici, traviati da fantasie e perduti nei

meandri dell’immaginazione. Ma non abbiamo giustificazione nel mettere

sommariamente da parte, senza farne prova, ogni classe di fenomeni asseriti,

solo perché abbiamo scoperto fra i loro sostenitori osservazioni superficiali e

falsa logica. Le opinioni razionali possono essere sostenute irrazionalmente.

Un credo può essere vero anche se i suoi difensori possano dare insufficienti

ragioni per la loro fede. Origano, maestro di astronomia del famoso Seni, al

servizio del Wallenstein, fu uno dei primi difensori del sistema copernicano; e

tuttavia i suoi argomenti per provare il movimento della terra sono

esattamente sullo stesso piano, quanto all’assurdità del loro carattere, di

quelli avanzati dalla parte opposta per provare l’immobilità di essa.

 

23

Non vi è dunque nulla di conclusivo nel fatto che l’investigatore di questo

soggetto incontri migliaia di esagerazioni. Che a ogni passo si scoprano errori

e assurdità, non risolve la questione. Il vero problema è molto più profondo.

«Vi sono errori», dice Coleridge, «che nessun saggio tratterà severamente

finché c’è una probabilità che siano il riflesso di qualche grande verità ancora

nascosta dietro l’orizzonte» (17). E deve essere uno scettico incorreggibile

colui che abbia esaminato criticamente i fenomeni in questione senza

giungere alla conclusione che, per quanto inesattamente essi possano essere

stati interpretati fino a oggi, i nostri migliori poteri della ragione hanno il

compito di determinare il loro esatto carattere.

In questi fatti vi sono meraviglie che si dischiudono alla mente umana.

Possono essere puramente scientifiche nella loro natura, ma, in tal caso,

meritano un posto accanto alle meraviglie dell’elettricità nelle sue varie fasi.

Anche se alla fine risultassero essere fenomeni esclusivamente fisici, non

dovremmo umiliare e scoraggiare coloro che cercano scoprirvi agenti

ultraterreni. Vi sono ricerche in cui, se non si risparmiano pene e lavoro,

cadere onestamente è onorevole come, trionfare in altre. E alcune delle più

importanti scoperte sono state fatte durante una ricerca dell’impossibile. Si

dice che Muschenbroeck sia inciampato nell’invenzione della bottiglia di

Leida mentre cercava di raccogliere e imprigionare l’effluvio elettrico di

Talete.

Anche i moralisti e gli uomini di stato dovrebbero mettersi in mente di

avere qui a che fare con un argomento che influenza già seriamente l’opinione

umana. I fenomeni talora detti spiritici, genuini o spuri che siano, hanno

richiamato l’attenzione e si sono accattivati più o meno la fiducia non solo di

migliaia ma di milioni di persone (18). E se queste stupefacenti novità hanno

modo di espandersi fra noi senza carte geografiche né bussola con cui guidare

il nostro viaggio attraverso un inesplorato oceano di mistero, possiamo

trovarci alla mercé di ogni sinistra influenza.

Fra le comunicazioni comunemente ottenute, che pretendono essere

ultraterrene, ve ne sono parecchie che sembrano giustificare il vecchio detto

di Pitagora: «Non con ogni pezzo di legno può essere fatto un Mercurio». Sia

che ci vengano da un altro mondo o da questo, non poche di esse contengono

un vasto frammischiarsi di verità e di falsità e una massa di puerilità che si

alternano con la ragione. A volte manifestano passioni inferiori; ogni tanto

sono caratterizzate da espressioni blasfeme; e alcune di esse, anche quando

non sono da presumere una frode o un agente cosciente, mostrano

inconfondibili prove di un’origine o di una influenza terrestri: come

ammettono anche i più candidi e sensibili sostenitori della teoria spiritista

dopo una sufficiente esperienza (19).

 

24

Da questo proviene senza dubbio un grande pericolo per le menti deboli e

troppo credule.

Questo pericolo è enorme perché gli uomini sono inclini a considerare

sicuro che, quando avremo dimostrato (se potremo dimostrarlo) il carattere

spiritico di una comunicazione, non occorrerà altra dimostrazione della verità

dei fatti affermati e delle opinioni espresse in essa.

Questa è una conclusione molto illogica, sebbene uomini di valore vi siano

spesso pervenuti (20). Altra cosa è determinare l’origine ultraterrena di una

comunicazione e altra cosa è provare la sua infallibilità o anche la sua

autenticità. In realtà vi sono più plausibili ragioni che non si creda a favore

dell’opinione propria di alcuni uomini di talento, protestanti o cattolici (21),

che le comunicazioni in questione provengano dai Poteri delle Tenebre e che

«entriamo sulla soglia di un processo di manifestazione demoniaca, i cui

risultati non possono essere previsti». Ma non vedo una qualsiasi giusta causa

per tale opinione. Le ragioni per questo risveglio di credenze antiquate mi

sembrano solo plausibili. Dio ha permesso che il diavolo esista in questo

mondo; tuttavia non dobbiamo concludere, per questa ragione, che l’inferno

regni sulla terra. Pensiamo che forse in questo antagonismo possa celarsi la

via del progresso. O, almeno, pesiamo il bene contro il male e contiamo nella

benevolenza del Creatore. Ma il Suo potere non è limitato a questa vita

terrena. E se Egli permette comunicazioni con l’altra sponda, sarebbe forse

in accordo con i Suoi attributi che tali comunicazioni si risolvano in una mera

ossessione demoniaca?

Le ragioni di una credenza così tetra e scoraggiante mi sembrano

soprattutto fondate, almeno presso i protestanti, su di un errore di influenza

molto negativa e del quale, in un capitolo successivo, sul «Cambiamento della

morte», avrò occasione di parlare a lungo. Alludo all’opinione, nutrita da

molti, che il carattere dell’uomo sia sottoposto, dopo la morte, a una

subitanea trasformazione; e che le peculiarità e i pregiudizi che distinguono

l’individuo in questo mondo non passino con lui nell’altro. Ma se invece

passano, l’eterogeneo carattere delle comunicazioni ottenute di là (se tali

comunicazioni esistono) non deve sorprenderci. E’ precisamente quanto

possiamo ragionevolmente attenderci. Dio permette che dagli esseri di

molteplice carattere di questo mondo, verità e menzogna frammiste possano

raggiungerci: perché non dovrebbe avvenire altrettanto con gli esseri di un

altro mondo, se vi prevale la stessa varietà di sentimenti e di opinioni? Noi

siamo di continuo chiamati, dall’esercizio della nostra ragione, a separare il

vero dal falso nel primo caso. Chi può assicurarci che siamo dispensati da

questo dovere nell’altro? Affinchè non immaginassimo che, quando ci si

comanda di provare tutte le cose, questa ingiunzione si limitasse ai soli

 

25

agenti terreni, è stato aggiunto espressamente un testo (22) per dichiarare che

anche gli spiriti devono essere sottomessi a prova.

Un mondo in cui gli uomini fossero esonerati dal dovere, o privati del

diritto, di mettere in giuoco il proprio giudizio, di separare, secondo i rigorosi

dettami della coscienza, il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, sarebbe un

mondo disgraziato e degradato. Se un tal principio venisse portato alle ultime

conseguenze, vi sarebbe infine un mondo privo non solo dell’esercizio della

ragione, ma della ragione stessa. L’uso, per un’estensione che è difficile

determinare, è essenziale per il continuare dell’esistenza. Quello che cessa di

adempiere ai suoi compiti, in definitiva cessa di esistere. Gli occhi dei pesci

trovati nell’interno della Caverna di Mammoth nel Kentucky, chiusi per

sempre alla luce del giorno, sono solo rudimentali (23).

Ma non è concepibile che nella divina economia sia mai permesso un

ordine di cose in cui l’uomo sia privato del suo più nobile attributo, quello

che, più di ogni altro, stabilisce la sua superiorità, in questa terra, sopra le

inferiori razze animali che condividono con lui le sue attività e le sue gioie. La

ragione umana è il pilota designato dell’umana civiltà; certo fallibile come

tutti i timonieri, ma tuttavia essenziale al progresso e alla sicurezza.

Allontanate questo pilota dalla barra e la barca avanzerà a caso abbandonata

alla capricciosa influenza di ogni corrente casuale e di ogni vento che spiri.

Immaginiamo a esempio un caso. Supponiamo che, da qualche innegabile

sorgente spirituale, come le parole di un’apparizione o una voce che risuoni

nell’aria, giunga a noi l’ingiunzione di adottare il principio della poligamia sia

come sistema legalmente riconosciuto, come in Turchia, sia nella forma non

dichiarata che appare nelle grandi città del mondo civile. Che faremo, in

questo caso? Il mondo è opera divina. L’esperienza del mondo è la voce di

Dio. Dovremo mettere da parte questa esperienza, la quale ci proclama che

solo sotto il principio della monogamia i poteri fisici e gli attributi morali

dell’uomo hanno sempre mantenuto il loro ascendente, mentre debolezza e

decadenza nazionale seguono il costume della poligamia sia apertamente

praticato come nel deserto e a Costantinopoli o segretamente seguito come a

Londra o New York? Abbandoneremo il certo per l’incerto? Cederemo gli

insegnamenti di Dio, attraverso le sue opere, per i comandi di non sappiamo

chi?

La follia e il pericolo di una tale condotta sono evidenti. Le ingiunzioni che

provengono da un altro mondo (supponendo la loro realtà) possono essere

utili; possono essere altamente suggestive; possono fornire preziosi materiali

per il pensiero: esattamente come i consigli di un saggio o i pareri di qualche

amico giudizioso su questa terra. Ma nessuna opinione, nessun consiglio di

un amico o di un estraneo devono essere accolti come infallibili o accettati

 

26

come regola di azione finché la ragione non abbia emesso il suo giudizio e

deciso, meglio che può, sulla loro verità e il loro valore.

Non esistono, né possono sorgere, circostanze che giustifichino

l’accoglimento, da parte dell’uomo, di una tale comunicazione come infallibile

e ingiuntiva. Supponiamo un caso estremo. Immaginiamo che da qualche

intelligenza evidentemente ultraterrena, ci giunga una certa comunicazione

che, esaminata, dalla ragione, ci appaia superare in profondità e saggezza

tutto ciò che la ragione, da sola, può creare. Dovremo forse, in considerazione

dell’evidente eccellenza di questa comunicazione, accogliere con assoluta

acquiescenza tutte le comunicazioni seguenti che sembrino provenire dalla

stessa fonte? Nel capitolo sul Sonno vengono presentati alcuni casi a prova

che i nostri poteri intellettuali durante il sonno talora sorpassano ogni sforzo

mentale che possiamo fare durante la veglia. E tuttavia quale uomo

ragionevole concluderebbe di qui che dobbiamo lasciarci dirigere dai nostri

sogni?

Mi sono soffermato e ho insistito anche a costo di ripetermi su questo

argomento a causa dei diffusissimi errori che, in tal connessione, la cieca

credulità ha fatto sorgere specialmente in questi ultimi tempi; a causa

dell’urgente necessita di distinguere giudiziosamente e di esaminare

cautamente. Ma egualmente urgente è la necessita di ricordare che il giudizio

e la cautela sono esattamente l’opposto della negazione e del pregiudizio.

Nella supposizione che gli spiriti comunichino effettivamente, se coloro che

dovrebbero dare tono e direzione alla pubblica opinione si limitano a

denunciare arrogantemente tutto l’insieme come un’enorme impostura,

vengono a perdere ogni facoltà e ogni opportunità di regolare una realtà di cui

negano l’esistenza (24). E, nel caso qui supposto, le nostre guide morali e

religiose rischiano di perdere la loro influenza e la loro posizione trascurando

una importantissima ricerca, cosa che tutti loro sembrano non avere notato.

Le lagnanze in proposito da parte del clero e di altri pubblici insegnanti

non sono fondate solo sul fatto che questa eresia (se di eresia si tratta) è

penetrata in ogni classe sociale e adesso influenza più o meno le opinioni e la

condotta di milioni di persone in tutto il mondo civile. Queste lagnanze vanno

più oltre, provenendo dalla necessita del caso. La questione circa

l’investigazione o la non investigazione è solo una questione di tempo. Una

volta venuta in discussione e afferrata dalla simpatia popolare, una materia

come questa deve essere accertata nelle sue basi. Non c’è altra via di uscita,

non possiamo liberarcene altrimenti. Non potremo passarla sotto silenzio se

volessimo, e non dovremmo farlo se potessimo. Considerata nel suo aspetto

scientifico, potremmo con la stessa ragione vietare lo studio dell’elettricità o

l’impiego dei fili magnetici. E quanto alle sue pretese spirituali, o sono

pericolose illusioni che devono essere scoperte e demolite, come deve esserlo

 

27

ogni illusione, per mezzo di ricerche accuratamente condotte, o sono una

realtà più importante di tutte le altre in cui ci imbattiamo ogni giorno nel

nostro cammino. Se sono un’illusione che svia il gregge, a chi spetta il

compito di denunciarla più che al pastore? Ma si tratta di denunciarla dopo

averla investigata; poiché, secondo le parole di un saggio degli antichi

tempi, «Chi risponde prima di avere ascoltato avrà stoltezza e vergogna» (25).

Se d’altra parte fosse provato che sono una realtà, come sarebbe grave la loro

responsabilità nell’opporvisi ciecamente! In questo caso una ricerca da parte

dei pubblici insegnanti sale al livello di un sacro dovere, se non vogliono

sciaguratamente trovarsi come i miscredenti di tempi di Gamaliele, a

combattere contro Dio.

E questo dovere è sacro soprattutto a causa di una grande difficoltà,

suggerita dalle narrazioni che formano il tessuto di questo volume, che si

presenta necessariamente alla politica della non investigazione. Si tratta di

vedere fino a che punto si possa portare avanti questa politica. Negli ultimi

dieci anni, specialmente nel nostro paese, gli uomini, in questo campo, hanno

rivolto in particolare la loro attenzione a quella che, in un certo senso, può

essere chiamata la fase artificiale del soggetto. Si sono soprattutto preoccupati

di esaminare i fenomeni che avvengono come risultato di una intenzione

espressa e di un metodo calcolato; fenomeni che sono stati provocati e non

semplicemente osservati: come le manifestazioni che si presentano attraverso

la cosiddetta medianità nei circoli spiritisti, attraverso la scrittura automatica,

il sonnambulismo artificiale e simili. Questi costituiscono solo una piccola

frazione di un soggetto di studi molto più vasto. Per la maggior parte si sono

presentati solo da pochi anni, mentre la vasta massa dei fenomeni

evidentemente collegata con essi, ma puramente spontanei, si distendono nei

secoli e ci giungono da tutta la storia trascorsa. Questi ultimi si presentano

non solo inattesi e non cercati, ma spesso non desiderati, deprecati, talora

anche nonostante suppliche e preghiere. Spesso, è vero, assumono il carattere

di manifestazioni da parte di spiriti benevoli e gentili; ma altre volte hanno le

sembianze di persecuzioni punitrici e terribili (26). I primi appaiono esporre

la dottrina di custodi celesti, mentre i secondi sembrano mandati da Dio così

come Egli manda sul mondo gli uragani e i terremoti. Ma entrambi sono

indipendenti dal volere o dall’azione umana: avvengono come cadono la

pioggia e i fulmini.

Questo complica il caso. Noi possiamo condannare come pitonismo o

denunciare come illegale necromanzia, la ricerca dei fenomeni spiritici (27).

Ma, così facendo, ci riferiamo solo a un ramo secondario del soggetto.

Come dobbiamo comportarci con le manifestazioni ultraterrene qualora sia

provato che spesso avvengono non solo senza la nostra azione ma a dispetto

dei nostri scongiuri? Ammettiamo che sia poco saggio e perfino peccaminoso

 

28

andare in cerca di interventi spiritici: ma che dobbiamo dire se il fenomeno ci

coglie all’improvviso e non sollecitato, e, per il bene o per il male, si presenta

come un intruso sul nostro cammino terreno? Anche in questa fase (qualora

sia dimostrato realmente presente) dobbiamo ignorare la sua esistenza.

Dovremo negarlo e respingerlo senza alcuna ricerca sul carattere della sua

influenza? Quale che sia la forma che assume, dovremo, come la principessa

Parizade delle Mille e una notte, tapparci le orecchie col cotone contro le

voci che ci sono attorno?

Il diritto astratto di investigare il vasto problema della realtà delle

interferenze ultraterrene, non sarà mai messo seriamente in dubbio negli

Stati Uniti. Non vi è mai stato un periodo nella storia del mondo in cui la

tirannia umana abbia precluso, salvo per un momento, la strada a un

qualsiasi ramo del sapere che Dio ha posto realmente alla portata dell’uomo;

tanto meno un ramo che implicasse interessi così vitali come questo. Né vi è

alcun paese del mondo civile in cui il tentativo possa essere fatto con minore

probabilità di successo che nel nostro.

Molti, tuttavia, che concedono tale diritto, giudicano la sua pratica densa di

pericoli per il benessere e la felicità dell’uomo. Indubbiamente qualche

pericolo vi è. Quale cosa in natura presenta un solo lato? Quale dei nostri

studi può essere intrapreso senza giudizio o seguito senza prudenza? In tutte

le imprese umane qualche cosa bisogna rischiare; e questo rischio, in genere,

è tanto maggiore quanto più importanti sono le mete. Le ricerche religiose

comportano maggior rischio delle secolari: esse richiedono dunque una

maggior cautela e uno spirito più spassionato. Dobbiamo evitarle per questa

ragione? La loro interdizione metterebbe al sicuro il benessere e la felicità

dell’uomo?

La teoria del sistema solare, che è oggi ammessa da ogni astronomo e

insegnata in ogni scuola, veniva considerata un tempo piena di pericoli per il

bene e la felicità della razza umana, e il suo autore fu costretto a

inginocchiarsi e giurare che non l’avrebbe mai più propagata con parole o con

scritti. E tuttavia quale ipotesi scientifica gli uomini di oggi si farebbero

scrupolo di esaminare? E se è così di una teoria scientifica, perché non

dovrebbe esserlo di una teoria spirituale? Saremo pronti a confidare nella

nostra ragione nel primo caso, ma ne respingeremo le conclusioni nel

secondo? Dobbiamo dire di questa nobile facoltà quello che un cavillatore

tedesco espresse a riguardo del telescopio che per primo rivelò agli uomini la

presenza dei satelliti del pianeta Giove: «Fa meraviglie sulla terra, ma

rappresenta falsamente gli oggetti celesti?» (28).

Fatevi coraggio e confidate nei sensi che Dio vi ha dato. Nella codardia non

vi è alcuna salvezza, e l’evasione, anche se fosse possibile, non serve a nulla.

 

29

Se dovremo giungere, prima o poi, a investigare questa materia, è saggio e

virile farlo subito.

Una gran parte dei periodici moderni hanno finora o totalmente ignorato

l’argomento delle interferenze ultraterrene, o lo hanno sorvolato con qualche

cenno superficiale e sprezzante fra non molto vi sarà un cambiamento (29). Il

soggetto va gradualmente aumentando di ampiezza e di importanza, e

guadagnandosi un livello di attenzione che sarà avvertito dalla miglior parte

della stampa così da ottenere quella rispettabile valutazione che è dovuta a un

avversario onorato. Certo così dovrebbe essere. Comunque stiano le cose, si

adempie meglio al dovere della stampa e del pulpito e meglio si allontanano i

danni inerenti al soggetto, promuovendo la ricerca che scoraggiandola (30);

ma una ricerca, completa, minuziosa, accurata e imparziale nel senso più

stretto della parola.

Il primo requisito per chi intraprenda una tale investigazione - ancora più

importante di una preparazione scientifica a una ricerca accurata - è che ci si

avvicini a essa senza pregiudizi e con mente libera, senza portare con sé

alcuna teoria favorita da costruire, né opinioni preconcette che possano essere

soddisfatte o contrariate, e nemmeno il desiderio che i risultati siano di

questo o quel carattere, ma solo con il vivo interesse di scoprire di quale

carattere siano.

Fino a che punto io abbia dimostrato questi requisiti nel mio lavoro, è cosa

che potranno decidere i lettori di queste pagine. Nessuno è giudice imparziale

della propria imparzialità. Io diffido della mia. Sono consapevole di un

elemento di disturbo: un’inclinazione della mia mente, distinta dal semplice

desiderio di scoprire la realtà. Non che, in una severa autocritica, possa

accusarmi di voler insinuare in tale ricerca qualche preconcetto scientifico o

teologico, e nemmeno della minima contrarietà ad accettare o ad arrendermi

a una qualche opinione, ortodossa o eterodossa, che il progresso dell’indagine

possa affermare o negare. Questo no. Ma sono consapevole di un sentimento

che si è rafforzato in me via via che le ricerche procedevano; un desiderio

diverso dalla pura tendenza a esaminare con spassionata equanimità i

fenomeni quali si presentavano; una viva speranza, in particolare, che essi

finissero col fornire alla prova dell’esistenza indipendente e dell’immortalità

dell’anima, un contributo tratto da una fonte in cui tale prova, fino a tempi

molto recenti, è stata raramente cercata.

L’esploratore di un campo come questo dovrebbe stare particolarmente in

guardia contro l’inclinazione di questa speranza così intrecciata all’umana

natura. E’ una delle tante difficoltà con cui lo studioso deve combattere. «E’

facile», diceva giustamente Bonnet, il dotto ginevrino, «è facile e piacevole

credere; dubitare richiede uno sgradevole sforzo». E la tendenza a concludere

 

30

sulla base di una prova insufficiente è più grande quando cerchiamo qualche

cosa che desideriamo intensamente trovare. Le nostre passioni sopraffanno il

nostro giudizio. Ma che cosa è più fortemente desiderabile della certezza che

la morte, la più temuta, sia un amico piuttosto di un nemico aprendoci,

quando il nero sipario cala sulle scene terrene, le porte di una migliore e più

felice esistenza?

E’ comune opinione che l’unica fonte sufficiente e appropriata da cui

derivare questa convinzione è la storia sacra.

Ma, per quanto fortemente si possa affermare che le prove date dalla

Scrittura dell’immortalità dell’anima dovrebbero guidare la fede di tutto il

genere umano, rimane il fatto che non è così (31). Molti rimangono scettici;

ancora di più portano con sé, riguardo al futuro destino dell’anima, una fede

smorta e sterile; e anche fra coloro che la professano più intensamente, il loro

credo si può per lo più riassumere in questa esclamazione: «Signore, io credo:

vieni in aiuto alla mia mancanza di fede!» (32).

Poiché dunque, nessuna lagnanza è più comune, perfino a pulpito, di

quella sulla contraddizione, discussa in tutto il mondo, anche tra i più zelanti

fedeli, tra fede e pratica, non possiamo forse rintracciare le cause di questa

contraddizione nella debolezza della fede, così al disotto della certezza che i

nostri sensi ci danno della realtà delle cose, e che ci tiene così incerti? (33).

E’ anche importante distinguere fra coloro che sono chiamati

genericamente miscredenti. Pochi di essi negano che l’uomo abbia un’anima

immortale; gli altri si limitano ad affermare di non avere ancora trovato una

prova conclusiva dell’esistenza ultraterrena dell’anima; e questi sono molto

più numerosi dei primi.

La differenza fra i due è grande: il credo degli uni può essere tacciato di

presunzione, quello degli altri solo di insufficienza. Gli uni affermano di avere

già raggiunto lo scopo; gli altri riconoscono di essere ancora sulla via della

ricerca.

Ma per questi ultimi, ogni classe di prove che noi possiamo trovare

relativamente alla natura dell’anima ha una particolare importanza. E qui

giungiamo al punto fondamentale della questione. Perché, considerando che

gli uomini sono così variamente costituiti e diversamente educati a trovare se

stessi, la stessa prova non convincerà mai tutti. Ed è ugualmente non

cristiano (34), non filosofico e ingiusto condannare il nostro prossimo perché

le testimonianze che convincono noi lasciano lui nel dubbio e nella

miscredenza. Possiamo immaginare che un Dio giusto si unisca a noi in

questa condanna? O non possiamo, più razionalmente, credere come più

probabile che, nell’ulteriore corso della Sua economia, Egli possa provvedere

 

31

per ogni genere di mentalità quel tipo di prova che è meglio adatto alla

peculiare natura di ognuno?

Un medico parigino del più alto livello, il dott. Georget, noto autore di un

trattato di fisiologia del sistema nervoso (35), fece testamento il primo marzo

1826 morendo poco dopo. In questo documento vi è una clausola nella quale,

dopo avere alluso al fatto che nel trattato citato egli aveva apertamente

professato il materialismo, dice: «Avevo appena pubblicato la Physiologie

du système nerveux, quando nuove meditazioni su di un fenomeno

straordinario, il sonnambulismo, non mi permisero più di dubitare

dell’esistenza, in noi e fuori di noi, di un principio intelligente, del tutto

diverso dalle esistenze materiali». E aggiunge: «Questa dichiarazione vedrà la

luce quando la mia sincerità non potrà più essere messa in dubbio né le mie

intenzioni sospettate». Concludendo con una viva richiesta, rivolta a coloro

che sarebbero stati presenti all’apertura del testamento, di dare alla

dichiarazione tutta la pubblicità possibile.

Troviamo così un uomo di valore, vivente in un paese cristiano, dove aveva

accesso a tutte le consuete prove della nostra religione, che rimane un

materialista per la maggior parte della vita e, verso la sua fine, trova in un

fenomeno psicologico una prova sufficiente per dargli la profonda

convinzione che il suo credo di vita è stato un errore e che l’anima umana ha

un’esistenza immortale.

La Bibbia non era riuscita a convincerlo dei suoi errori. Ma ogni credente

nell’immortalità dell’anima non dovrebbe forse rallegrarsi del fatto che una

miscredenza risultata inconquistabile dalla testimonianza dalle Scritture

abbia ceduto di fronte a una prova tratta dall’esame di una delle meraviglie

esibite da ciò che tutti, a eccezione degli atei, dichiarano essere opera di Dio?

E poiché tale meraviglia appartiene a una classe di fenomeni negata da

molti e messa in dubbio dai più, ogni amico della religione non dovrebbe forse

augurare buona fortuna al ricercatore che spinge la sua indagine nelle regioni

che hanno prodotto frutti così importanti?

Non è certo un vero amico della religione né della propria razza colui il

quale non desidera che gli uomini ottengano la più convincente prova

dell’immortalità dell’anima e della realtà di una vita futura. Ma se v’è

realmente una prova fisica, conoscibile con i sensi, di queste grandi verità,

essa è, e dovrà sempre essere, più forte di qualunque altra possa risultare

dalla testimonianza delle Scritture. I cristiani intelligenti, anche i più

ortodossi, lo ammettono; Tillotson, per esempio. Esso forma in realtà il

tessuto del suo argomento contro la reale presenza. Dice questo dotto

prelato: «La miscredenza non sarebbe possibile all’uomo se tutti gli uomini

 

32

avessero, in favore della religione cristiana, le stesse prove che hanno contro

la transustanziazione; ossia la chiara e irresistibile prova dei sensi» (36).

Le Scritture e il senso comune sostengono egualmente questa dottrina,

addirittura il nostro linguaggio di ogni giorno presuppone la sua verità. Se un

amico, anche il più fidato, ci racconta qualche incidente a cui è stato presente,

in quali termini esprimiamo la nostra convinzione che egli ci ha detto la

verità? Diciamo forse: «Conosco la sua testimonianza?». Una tale espressione

non esiste nella lingua inglese. Noi diciamo. «Credo nella sua testimonianza»

(37). E’ vero che questa prova, soggetta comunque a controprova, decide, in

una corte di giustizia, delle vite e degli averi umani; ma solo per la necessità

del caso; solo perché i giudici e la giuria non possono essere essi stessi

testimoni oculari e auricolari dei fatti che devono essere provati; e, anche

esaminando con ogni cura tali testimonianze, sono già stati mandati al

patibolo degli innocenti. Né, salvo casi straordinari ed eccezionali, nel nostro

sistema vengono accettate in giudizio testimonianze di seconda mano (38). E

quando un testimone prende a ripetere quello che altri hanno visto o udito,

qual è la frase usata per richiamarlo nei limiti del suo dovere? «Non diteci

quello che gli altri vi hanno detto; limitatevi a quello che potete deporre per

vostra propria conoscenza».

Così pure, quando nella Scrittura ci si riferisce a persone che hanno fede o

che ne sono prive, come vengono designate? Forse come conoscitori e non

conoscitori? No, ma come credenti e non credenti. «Colui che crede» -

non colui che conosce - «sarà salvo». Per quel che riguarda le cose spirituali,

la Bibbia (con rare eccezioni) parla della nostra fede al di qua della tomba, e

della nostra conoscenza solo al di là. «Allora conosceremo, così come siamo

conosciuti».

Ma discutere per esteso un tal punto è eccessivo. Vi sono alcune verità la

cui evidenza non può essere rafforzata da alcun argomento perché fanno

appello direttamente alla nostra coscienza e sono subito accolte senza

contestazione. Una pia madre perde il suo bambino - sebbene la frase sia

inesatta: ella si diparte da lui un certo tempo - ma nel linguaggio del mondo e

in quello del suo cuore, perde il suo bambino perché è morto. Ebbene, se

proprio nel momento in cui il suo lutto è sentito nel modo più disperato, forse

nel momento più amaro, mentre la bufera invernale infuria al di fuori,

quando le balena il pensiero che la fredda tormenta batte sulla tomba ancor

fresca e deserta del suo caro, se in questo terribile momento la raggiungesse

subito e inatteso un segno visibile ai. sensi, un’apparizione in forma corporea,

o forse un effettivo messaggio che lei sapesse provenire direttamente dal suo

fanciullo, un’apparizione o un messaggio ad assicurarla che colui che aveva

pensato come esanime, strappato al suo affetto, sotto le zolle battute dalla

tempesta non è là ma si sente molto più felice di quanto lei abbia mai saputo

 

33

renderlo, più protetto di quanto sia mai stato fra le sue braccia: in un tal

momento quanto povere e incapaci si rivelerebbero tutte le arti della logica

per provare che la luce di tale assicurazione inattesa, venuta attraverso le

tempestose nubi del suo dolore per riaccendere le sue morte speranze, non ha

aggiunto niente al grado della sua fede nell’immortalità, non ha accresciuto la

forza delle sue convinzioni relative al Gran Futuro, non ha alzato dalla fede

alla conoscenza il credo con cui può ripetere alla sua anima le parole ispirate

che, sebbene la polvere sia tornata alla terra da cui veniva, lo spirito è nelle

mani, di Dio suo creatore!

Se dunque avvenisse che la «Notte sconosciuta», potesse essere conosciuta

in certa misura anche qui; se avvenisse che il Grande drammaturgo avesse

avuto torto nel descrivere l’aldilà come «la sconosciuta landa dai cui

confini nessun viaggiatore fa ritorno;» se fosse vero che in certe

occasioni abbiamo diretta prova dei nostri sensi per dimostrare il continuarsi

dell’esistenza e degli affetti degli amici che hanno oltrepassato questi confini

stessi; se fosse volere divino che, a questo stadio del continuo progresso

umano, fenomeni più chiaramente distinti che, almeno nei tempi moderni,

sono stati usualmente disprezzati o negati, raggiungessero un punto in cui la

fede, la più alta convinzione che la Scrittura o l’analogia possano offrire,

possa salire al grado della conoscenza; se tutto questo divenisse una realtà

di fatto, non sarebbe questa una realtà magnifica, da desiderarsi

intensamente e da accogliersi con animo grato?

E coloro che, con l’occhio rivolto alla verità, interrogano la natura con

fiducia e pazienza per scoprire se è realtà o illusione, non dovrebbero forse,

questi onesti e zelanti investigatori, essere confortati nel loro cammino e

lodati per i loro studi? Se è un sacro e solenne dovere studiare le Scritture in

cerca di fede religiosa, è forse un dovere meno sacro e meno solenne studiare

la natura in cerca di una religiosa conoscenza?

Nel proseguire questa ricerca, se alcuno teme di peccare oltrepassando i

limiti di un’indagine permessa, passando su di un terreno empio e proibito, si

ricordi che Dio, il quale nasconde i suoi misteri, ha reso impossibile questa

colpa; prosegua pure, certo con reverenza, ma liberamente e senza esitazioni.

Se Dio ha sbarrato la via, l’uomo non potrà passare al di là. Ma se Egli la ha

lasciata aperta, chi può proibire di entrarvi?

E’ bene prendere con noi, come compagno nella nostra vita, un grande e

incoraggiante soggetto; e ne sentiamo il bisogno quanto più avanziamo negli

anni. Tra le varie citazioni che ho potuto scegliere, particolarmente vera è la

felice espressione di uno scrittore moderno, che «viaggiando con esso si va

verso il sole, lasciando cadere dietro di noi le ombre del nostro fardello» (39).

 

34

Qualcuno ha suggerito che, se vogliamo veramente stabilire se in ogni

momento agiamo in modo degno di un essere razionale e immortale,

dobbiamo chiedere al nostro cuore se siamo disposti ad accogliere la morte

nel momento della nostra azione. Non vi è prova più severa. E se la

applichiamo in ricerche come queste, come ne risulterà chiaramente il loro

carattere superiore! Se, mentre si dedica a questo intento, l’osservatore sarà

sopraffatto dalla morte, il distruttore non ha il potere di arrestare le sue

osservazioni. L’esito fatale non farà che estendere il suo campo. La torcia non

si spegne nella tomba. Arde ancora più fulgida di quanto non abbia mai fatto

in questo nostro oscuro mondo. Qui il ricercatore brancola e inciampa,

vedendo come attraverso un vetro affumicato. La morte, che ha liberato

dall’infelicità tanti milioni di uomini, dissiperà i suoi dubbi e risolverà i suoi

problemi. La morte, la grande spiegazione, trarrà da parte il velo lasciando la

chiara luce. Quello che è debolmente iniziato in questa fase di esistenza sarà

molto meglio proseguito in un’altra. L’indagine raggiungerà il suo fine laggiù?

Chi può dirlo?

Note

(1) Physical Theory of Another Life, by the Autor of the Natural

History of Enthusiasm; Teoria fisica di un’altra vita, dell’autore

della Storia naturale dell’entusiasmo - Isaac Taylor, Londra 1839.

(2) Theorie der Geisterkunde (Teoria dello spiritismo, o, letteralmente,

della conoscenza spiritica) di Jung Stilling, 1809. Johann Heinrich Jung,

meglio noto con l’aggiunta del nome Stilling, nato nel Ducato di Nassau nel

1740, salì dalla povertà e dalla condizione più umile fino a essere, prima,

professore di economia politica a Heidelberg, e poi membro del consiglio

Aulico del Granducato dr Baden.

Jacob Böhme è da alcuni messo in prima fila fra i pneumatologi; ma io

confesso la mia incapacità di scoprire gran che di pratico o solo di intelligibile

nelle mistiche effusioni del degno calzolaio di Görlitz. La colpa, tuttavia, può

essere mia; perché, come ha detto qualcuno: «egli è sempre il mistico che vive

in un mondo lontanissimo dal nostro».

Swedenborg, il grande spiritualista del diciottesimo secolo, è uno scrittore

della cui voluminosa opera sarebbe presuntuoso dare un giudizio senza averla

accuratamente studiata; e io non sono stato ancora capace di farlo. Si può

tuttavia con una certa sicurezza affermare questo, che qualunque giudizio si

dia su quella che il veggente svedese chiama la sua esperienza spirituale, e per

 

35

quanto poco si sia pronti a sottoscrivere le decise affermazioni poco

saggiamente attribuitegli dai suoi discepoli, un eminente e poderoso spirito

parla dai suoi scritti, che, anche a uno sguardo superficiale, richiamano

l’attenzione di chi ha mente chiara. La sua idea di Gradi e Progressi, che

giungono dalla terra al cielo; la sua dottrina degli Usi egualmente lontana da

una ascetica fantasticheria e da un utilitarismo nel rude senso moderno; la

sua asserzione dell’Influsso, o, in altre parole della costante influenza

esercitata dal mondo spirituale su quello materiale; perfino la sua teoria delle

Corrispondenze, e, ultima e fondamentale, la sua ardente valutazione di quel

principio di Amore che è il compimento della Legge: queste e altre affini

caratteristiche del sistema swedenborghiano sono di troppo profonda e

genuina importanza per essere sorvolate alla leggera. Per non dire altro, sono

perlomeno meravigliosamente suggestive e quindi altamente apprezzabili.

D’altra parte si può apprezzare Swedenborg al di fuori del

swedenborghianismo. «Quanto a noi», scrive Margaret Fuller, «Swedenborg

ci interessa non come veggente di fantasmi ma come veggente della verità».

(3) Night Side of Nature (Il Lato oscuro della natura, Londra), di

Catherine Crowe. L’opera, pubblicata nel 1848, raggiunse la sedicesima

edizione nel 1854. Al pari delle antiche collane narrative di Glanvil, Mather,

Baxter, Beaumont, Sinclair, Defoe e altri dello stesso genere, è esposta alle

stesse critiche di quella di Stilling; tuttavia, chi si senta disposto a mettere da

parte il volume come semplice ingannevole raccolta di storie di fantasmi, farà

bene, prima, a leggere la sua introduzione e il decimo capitolo: «Il futuro che

ci attende».

Un recente volume della stessa autrice (Ghosts and Family Legends -

Fantasmi e leggende di famiglia, 1859) non ha pretese di autenticità né mira a

più alti scopi che di aiutare a passare una sera d’inverno.

(4) Presentato al re di Francia l’11 agosto 1784. Era firmato, fra gli altri

membri della commissione, da Franklin e da Lavoisier.

Dovrebbe essere in particolare ricordato che i membri della commissione,

in questo rapporto, mentre parlavano in duri termini contro il magnetismo

del 1784, con le sue tinozze magnetiche, le sue crisi isteriche e le sue

convulsioni - e anche contro la teoria di Mesmer di un fluido universale che

fluisce e rifluisce, mezzo di influenza dei corpi celesti sul sistema umano e

agente curativo universale -, non espressero alcuna opinione, favorevole o

sfavorevole, riguardo al sonnambulismo propriamente detto. Si ammette in

generale che il sonnambulismo, con i suoi fenomeni annessi nella forma in cui

li conosciamo, sia stato osservato per la prima volta dal marchese de Puységur

nella sua proprietà di Buzancy presso Soissons il 4 marzo 1784; ma Puységur

rese pubbliche le sue osservazioni solo alla fine di quell’anno, quattro mesi

 

36

dopo che il rapporto della commissione era stato fatto. Bailly e i suoi colleghi,

dotti e candidi com’erano, non devono essere citati come responsabili della

condanna di ciò che non avevano mai visto e di cui non avevano mai sentito

parlare. Di questo fatto dà onestamente testimonianza Arago, un uomo che si

elevò al di sopra dei comuni pregiudizi dei suoi colleghi. Traduco dal suo

resoconto sulla vita e la carriera dello sfortunato Bailly, pubblicato

«nell’Annuaire du Bureau des Longitudes» del 1853. «Il rapporto di Bailly»,

scrive, «sconvolge dalle sue fondamenta le idee, il sistema, la pratica di

Mesmer e dei suoi discepoli: permetteteci di aggiungere in piena sincerità, che

non abbiamo il diritto di appellarci alla sua autorità contro il

sonnambulismo moderno. La maggior parte dei fenomeni raggruppati

sotto questo nome non erano né conosciuti né annunciati nel 1783. Un

magnetizzatore dice indubbiamente una delle cose meno probabili di questo

mondo quando afferma che un tale individuo, in stato di sonnambulismo, può

vedere qualsiasi cosa nell’oscurità perfetta, o leggere attraverso un muro, o

anche senza l’aiuto degli occhi. Ma l’improbabilità di queste asserzioni non

risulta dal famoso rapporto. Bailly non accenna a queste meraviglie né per

sostenerle né per negarle. Il naturista, il fisico o il semplice investigatore

curioso, che si impegnano negli esperimenti di sonnambulismo, che

considerano loro dovere cercare se, in certi stati di eccitamento nervoso dati

individui sono realmente dotati di facoltà straordinarie - quella, ad esempio,

di leggere mediante l’epigastrio o i talloni -, che desiderano accertare di fatto

fino a qual punto i fenomeni annunciati con tanta sicurezza dai moderni

magnetizzatori appartengono solo al dominio dell’inganno e della frode, tutti

questi ricercatori, dico, non devono, in questo caso, combattere contro un

giudizio reso: non si oppongono, in realtà, a un Lavoisier, a un Franklin, a un

Bailly. Essi entrano in un mondo completamente nuovo, nel vivo

dell’esistenza di ciò che questi illustri scienziati non sospettavano». (pagg.

444-445).

Un poco più oltre nello stesso articolo, Arago aggiunge: «Il mio scopo è

stato di mostrare che il sonnambulismo non dovrebbe essere respinto a

priori specialmente da coloro che hanno seguito i progressi della moderna

scienza fisica». E a riprova di questa presunzione, che tanto spesso nega senza

avere esaminato, cita questi versi che, egli dice, i veri scienziati dovrebbero

avere sempre in mente:

«Croire tout découvert est une erreur profonde:

C’est prendre l’horizon pour les bornes du monde».

(Credere che tutto sia stato scoperto è un profondo errore: è prendere

l’orizzonte per i confini del mondo).

 

37

(5) Se ne può trovare un esempio nei Principles of Human

Physiology di William Carpenter, dottore in medicina e membro della

Royal Society, quinta edizione 1855, paragrafo 696, sotto il titolo

«Mesmerismo». Il dott. Carpenter respinge i più alti fenomeni della

chiaroveggenza, ma ammette:

1° Uno stato di completa insensibilità durante il quale possono essere

compiute alcune operazioni chirurgiche senza che il paziente ne abbia

coscienza.

2° Un sonnambulismo artificiale con manifestazioni degli ordinari poteri

della mente, ma senza che ne permanga il ricordo nello stato di veglia.

3° Esaltazioni dei sensi durante tale sonnambulismo così che il

sonnambulo percepisce ciò che in condizioni naturali non potrebbe percepire.

4° Azioni, durante tale sonnambulismo sull’apparato muscolare così da

produrre, a esempio, una catalessi artificiale; e 5° forse effetti curativi.

Il dott. Carpenter dice di essersi convinto della realtà di questi fenomeni e

che «non vede perché dovrebbero essere tenuti in qualche discredito». (Nota

a pag. 649).

Le numerose opere di fisiologia e scienza medica di questo scienziato sono

troppo note perché il suo carattere e la sua reputazione abbiamo bisogno di

garanzia.

(6) Kate, la figlia più giovane dei coniugi Fox, che aveva allora nove anni.

Fu nella notte del 31 marzo 1848. Questa, comunque, come vedremo in

seguito, non fu affatto la prima volta che venne osservato come simili suoni

mostrassero un’apparenza di intelligenza.

Per i particolari della storia di Hydesville, si veda l’ultimo racconto del

Libro III.

(7) «Iniziamo la vita in una compagnia compatta; fratelli e sorelle, amici ed

esseri amati, vicini e camerati sono con noi: si formano circoli entro circoli e

ognuno di noi ne è piacevolmente al centro dove gli affetti del cuore sono

ardenti e di dove si irraggiano sulla società fuori di noi. La giovinezza è

esuberante di gioia e di speranza; la terra sembra bella perché scintilla delle

rugiade di maggio e nessuna ombra è caduta su di essa. Siamo tutti qui e

potremmo vivere qui per sempre. Il nostro centro domestico è sul lato al di

qua del fiume, e perché dovremmo tendere il nostro sguardo per guardare al

di là? Ma questo stato di cose non dura a lungo. Il nostro circolo si accresce

sempre meno. Si spezza sempre di più per poi richiudersi, ma ogni volta

diviene più angusto e più piccolo. Forse prima che il sole sia al meridiano, la

maggior parte è passata sull’altra sponda; laggiù il circolo è grande come

 

38

quello di qui, e noi siamo tratti in direzioni opposte e vibriamo fra i due.

Ancora un poco e quasi tutti sono passati al di là; la bilancia pende dal lato

spirituale e il centro domestico si trasferisce nella sfera superiore. Alla fine

non vediamo altro che un vecchio pellegrino, solitario sulla riva, che fissa

Intento la regione sull’altro lato». Foregleams of Immortality (Barlumi

di immortalità) di Edmund H. Sears, quarta edizione Boston 1858; cap. XVI,

«Casa», pag. 136.

(8) «Perché gli spiriti, dal regno della gloria

Non vengono a visitare la terra come un tempo…

Il tempo degli antichi scritti e della storia sacra?

Il cielo è più distante? o la terra si è raffreddata?

La musica di Betlemme fu il loro ultimo canto,

Quando altre stelle si oscurarono dinanzi all’Unico?

La loro ultima presenza si manifestò nella prigione di Pietro,

o là dove i martiri esultanti intonarono l’inno?

Julia Wallice

(9) Di dove i ragionatori abili come il dott. Strauss traggono le loro più

valide armi contro la fede? Dalla moda moderna di negare ogni intervento

ultraterreno. Ciò che respingiamo come incredibile, se avvenuto oggi, per

quale processo diviene credibile se fatto regredire a duemila anni fa?

«La totalità delle cose finite», dice Strauss, «forma un vasto circolo che,

eccetto il fatto che deve la sua esistenza e le sue leggi a un potere superiore,

non accetta intrusioni dal di fuori. Questa convinzione è così abituale al

pensiero moderno, che nella vita attuale la credenza in una manifestazione

soprannaturale, in una immediata azione divina, viene subito attribuita a

ignoranza o impostura». (Vita di Gesù, I, pag. 71).

(10) «Gli uomini sono sempre stati familiari con l’idea che lo spirito non

resta col corpo nella tomba, ma passa d’un tratto in nuove condizioni di

essere. Questa opinione ha molti aderenti e contrasta con quella più materiale

che resti addormentato col corpo, per attendere un comune giorno di risveglio

e di giudizio; e le idee in proposito sono così confuse che si può udire un

sacerdote, nel suo sermone funebre, esprimere entrambe le opinioni nello

stesso contesto e dire, in un sol fiato, che la signora appena defunta è una

paziente abitatrice della tomba e un membro dei cori angelici. Ma l’idea di

una vita ininterrotta fa tanta presa sugli affetti, i quali non possono adattarsi a

pensare anche una temporanea estinzione di ciò a cui si aggrappano, da

 

39

rimaner legata istintivamente a quasi tutti coloro che hanno sentito

profondamente la morte o la hanno vista faccia a faccia». (Londra, National

Review del luglio 1853.)

Il problema di uno stato di esistenza intermedio che abbia inizio al

momento della morte, l’Ade degli antichi e del cristianesimo primitivo, sarà

toccato più avanti in questo volume.

Vi sono coloro che ammettono la realtà oggettiva delle apparizioni e

tuttavia, negando l’esistenza di uno stato intermedio dopo la morte, adottano

la teoria che si tratti di angeli di un rango inferiore, che, per buoni fini,

impersonano ogni tanto persone defunte, perché chi si è dipartito non torna

più. Questa è l’ipotesi di Defoe, ed è abilmente difesa da lui nella sua

Universal History of Apparitions, Londra 1727.

Il problema è se «creature spirituali», angeli o anime di defunti, siano

realmente intorno a noi.

(11) I migliori argomenti analogici che ricordi di avere incontrato in favore

dell’immortalità dell’anima sono contenuti nella già citata opera di Isaac

Taylor, la Physical Theory of Another Life, da pag. 64 a 69. Questo

argomento fondato sull’analogia, a mio parere, è molto più convincente della

logica astratta con cui gli antichi filosofi cercavano di stabilire la verità in

questione. Quando Cicerone, seguendo Socrate e Platone, dice dell’anima:

«Nec discerpi, nec distrahi potest, nec igitur interire», (Non può essere né

lacerata né fatta a pezzi, dunque non può morire), l’ingenuità del

ragionamento è più evidente della sua conclusività.

(12) Disincarnati, ossia separati dal corpo naturale; non nonincarnati;

perché non impugno affatto l’ipotesi di un corpo spirituale. Vedi I, Corinzi,

XV, 44.

(13) «Negare la possibilità, anzi, l’attuale esistenza della magia e della

stregoneria è contraddire in pieno la parola rivelata di Dio in vari passi

dell’Antico e del Nuovo Testamento; la cosa stessa è una verità di cui ogni

paese del mondo ha dato, a suo turno, testimonianza, sia con esempi bene

comprovati, sia con leggi repressive che presuppongono almeno la possibilità

di avere commercio con cattivi spiriti. Blachstone Commentaries, IV, 6.

Cito quanto sopra da una fonte così distinta in considerazione dei suoi

contributi all’universalità della credenza umana nelle comunicazioni

ultraterrene e alla confutazione delle presunzioni contro queste

comunicazioni, oggi in voga; non come prove della realtà di questi rapporti.

(14) Bisogna qui ricordare al lettore che per uomini come Johnson e Byron

l’universale credenza umana nelle comunicazioni con gli spiriti dei defunti era

considerata come prova probabile della sua occasionale realtà. Si ricorderà

 

40

che il primo, nel suo Rasselas, pone in bocca del saggio Imlac questa

sentenza: «Che i morti non siano più visti non cercherò di sostenerlo contro le

testimonianze concordi di tutti i tempi e di tutti i paesi. Non vi è alcun popolo,

per quanto rozzo e incolto, nel quale apparizioni di defunti non siano riferite e

credute. Questa opinione, che prevale dovunque sia diffusa l’umana natura, è

potuta divenire universale solo per la sua verità: genti che non sono mai

venute a contatto fra loro non avrebbero potuto essere concordi su di una

fiaba che solo l’esperienza può rendere credibile. Che sia messa in dubbio da

singoli cavillatori non può indebolire l’evidenza generale; e alcuni che la

negano con la lingua la confermano con le loro paure».

A questo passo Byron allude nei versi:

«Intendo solo dire quello che dice Johnson,

Che, nel corso di circa seimila anni,

Tutti i popoli hanno creduto che dai morti

Giunga ogni tanto un visitatore.

E quel che c’è di più strano in questo strano argomento E’ che, qualunque

ostacolo venga eretto dalla ragione

Contro tale credenza, vi è qualche cosa di ancora più forte

In suo favore, lo neghi chi vuole».

L’opinione di Addison su tale soggetto è ben nota. E’ contenuta in uno dei

numeri dello Spectator certo di suo pugno, e precisamente il n° 110

pubblicato venerdì 6 luglio 1711, con queste parole:

«Considero una persona, che sia atterrita dall’immaginazione di spettri e

fantasmi, molto più ragionevole di una che, contraria alle relazioni di tutti gli

storici, sacri o profani, antichi o moderni, e alle tradizioni di tutte le nazioni,

consideri fantastiche e senza fondamento le apparizioni degli spiriti. Se non

potessi arrendermi a questa generale testimonianza del genere umano, dovrei

farlo dinanzi alle relazioni di particolari persone attualmente viventi, alle

quali non posso non prestar fede in altri argomenti».

Un altro distinto collaboratore dello Spectator sembra avere condiviso la

stessa opinione: l’autore di A Treatise on Second Sight, Dreams and

Apparitions (Trattato sulla seconda vista, sui sogni e sulle apparizioni), un

ecclesiastico scozzese, credo, di nome Macleod, ma che scrive sotto la fuma di

Theophilus Insulanus, dice:

«Ciò che mi fece indagare più a fondo il soggetto fu una conversazione che

ebbi con Sir Richard Steele, che mi indusse a cercare prove ben confermate».

Edimburgo 1763, pag. 97.

 

41

(15) Taylor ha, su questo soggetto, un passo che merita di essere citato.

Parlando della credenza in «occasionali comunicazioni dei morti con i vivi»,

che, dice, «non dovrebbero essere liquidate sommariamente come semplici

follie popolari», aggiunge:

«Nel considerare problemi di questo genere, non dovremmo ascoltare, per

un momento, quelle frequenti ma non pertinenti massime che vengono

avanzate con lo scopo di arrestare l’inchiesta; a esempio: “Che bene deriva dai

cosiddetti fenomeni extranaturali?” o: “E’ forse degno della Suprema

Saggezza permetterli?” e così via. E’ una questione, anzitutto, di

testimonianze, che devono essere giudicate in base ai principi stabiliti

dell’evidenza, e poi di fisiologia; ma non di teologia né di morale. Alcuni

pochi esseri umani camminano dormendo e, immersi in un profondo sonno,

compiono con precisione e sicurezza, atti della vita quotidiana, tornando poi

nel loro letto e restando tuttavia inconsci, quando si svegliano, di quello che

hanno fatto. Ebbene, considerando questa o qualsiasi altra classe di fatti

straordinari, il nostro compito è, anzitutto,, di ottenere un certo numero di

casi confermati da distinte e impeccabili testimonianze di osservatori

intelligenti; e poi, giunti così in possesso dei fatti, farli concordare meglio che

si può con le altre parti della nostra filosofia sull’umana natura. Dovremo

forse permettere a un obiettore di ostacolare la nostra curiosità scientifica sul

soggetto, per esempio, del sonnambulismo, dicendo: “Una quantità di questi

racconti sono risultati esagerati o totalmente falsi”, o: “Questo camminare nel

sonno non dovrebbe essere considerato possibile né permesso dal Benevolo

Guardiano del benessere umano?” Physical Theory of Another Life»

(Teoria fisica di un’altra vita). pag. 27.

(16) Tale società fu formata sul finire dell’anno 1851 a Cambridge, da alcuni

membri dell’Università, taluni dei quali attualmente a capo di note istituzioni,

molti dei quali ecclesiastici e membri del Trinity College e quasi tutti uomini

insigniti dei più alti onori. I nomi dei più attivi fra di loro mi sono stati

gentilmente forniti dal figlio di un pari inglese, lui stesso uno dei principali

membri. A lui devo anche una copia della circolare a stampa della società, un

documento abile ed equilibrato che sarà trovato per esteso nell’Appendice

(Nota A). Questo stesso signore mi ha informato che le ricerche della società

hanno portato alla convinzione, condivisa, a suo credere, da tutti i membri,

che vi siano sufficienti testimonianze per le apparizioni, sia al momento della

morte sia dopo di essa, di persone defunte, mentre, per altre classi di

apparizioni, le prove finora ottenute sono state giudicate troppo deboli per

dimostrare la loro realtà.

Scrissi a un signore che era stato uno dei membri più attivi della società, il

reverendo W., dandogli il titolo della presente opera ed esponendogli in

termini generali lo spirito e il modo con cui intendevo scriverla. Nella sua

 

42

risposta mi dice: «Vorrei essere capace di portare qualche contributo all’opera

che vi proponete, proporzionato all’interesse che sento a suo riguardo, ... Sono

felice di sapere che l’argomento sarà trattato in modo pacato e filosofico. E’

quello che richiede; e, per mia parte, non dubito che dalla pubblicazione

dell’opera che state preparando risulterà un gran bene. La mia esperienza mi

ha portato a una conclusione, simile a quella che mi avete comunicato: che la

possibilità di interferenze ultraterrene è un tema che attrae sempre più

l’attenzione, specialmente fra gli uomini colti. E questo mi rende tanto più

desideroso che sia loro presentata chiaramente una scelta dei fatti».

La società, popolarmente conosciuta come il «Circolo del Fantasma» ha

richiamato molta attenzione al di fuori della sua cerchia. La sua natura e i suoi

scopi vennero per la prima volta a mia conoscenza mediante il vescovo di ...,

che si interesso alla sua attività e si diede da fare per ottenere contributi ai

suoi rapporti.

(17) Nel suo primo «Sermone profano».

(18) Il mio amico William Howitt, noto scrittore, che, con la sua gentile

moglie, ha dedicato molto tempo e molto studio a questo soggetto, dice, in

una recente replica ai discorsi del reverendo Edward White pronunciati nella

cappella di San Paolo a Kentish Town nell’ottobre, novembre e dicembre

1858: «A quanto si dice, lo spiritismo ha convertito tre milioni di persone

nella sola America. In Europa credo che non siano meno di un altro milione; e

la rapidità con cui si va diffondendo in ogni rango e classe, letteralmente dalle

più alte alle più umili, dovrebbe far pensare. Qualcuno dovrebbe scoprir in

quanti palazzi reali di Europa si è fermamente insediato e con qual vigore si

vada diffondendo in tutte le classi e professioni che non si curano di

nasconderlo: uomini e donne di fama letteraria, religiosa o scientifica».

Io non ho mezzi per giudicare l’esattezza della valutazione totale di Howitt.

Deve essere necessariamente poco esatta. Ma quanto all’ultima parte della sua

osservazione, posso sostenerlo per conoscenza personale. In Europa ho

trovato ricerche interessate e attive su questo soggetto in ogni strato sociale,

dalla regalità in giù: principi, nobili, uomini di stato, diplomatici, ufficiali

dell’esercito e della marina, dotti professori, scrittori, giuristi, mercanti,

privati, signore alla moda, madri di famiglia. Molti di costoro, è vero,

conducono le loro ricerche in privato, e confidano le loro opinioni solo ad

amici intimi o simpatizzanti. Ma nondimeno queste idee si diffondono e si

allarga sempre più la cerchia di coloro che le accolgono.

Se si chiedessero ulteriori prove di queste affermazioni per quanto riguarda

l’Inghilterra, si possono trovare in uno degli ultimi numeri di un noto

trimensile londinese, di cui sarebbe difficile trovare un periodico più opposto

al movimento. Nella Westminster Review del gennaio 1858, in un

 

43

elaborato articolo dedicato al soggetto, lo scrittore dice: «Saremmo in grande

errore se supponessimo che le tavole giranti o quel gruppo di pretesi

fenomeni che in questo paese vengono così chiamati e che in America

assumono il più nobile nome di spiritismo, pur cessando di occupare

l’attenzione del pubblico in generale, abbiano anche cessato di richiamare

l’attenzione di ogni parte di esso. Le cose stanno molto diversamente. I nostri

lettori sarebbero sbigottiti se mettessimo sotto i loro occhi i nomi di parecchi

di coloro che ne sono irriducibili credenti o che si dedicano allo studio o alla

riproduzione di tali meraviglie. Non solo sopravvivono ma sopravvivono con

tutto il fascino e tutte le stimolanti attrattive di una scienza segreta. Finché la

mentalità pubblica inglese sarà pronta ad ascoltarli, o finché le prove saranno

presentate in forma da rafforzare la convinzione generale, la politica attuale

del movimento sarà di alimentarlo senza far rumore e di allargare la cerchia

della sua influenza in un tacito sistema di estensione. Se questa politica avrà

successo è cosa che rimane da vedersi, ma non vi è dubbio che, se venisse il

tempo di un risveglio di questo movimento, i suoi capi sarebbero uomini e

donne le cui qualifiche intellettuali sono note al pubblico e che godono della

sua fiducia e della sua stima». Pag. 32.

(19) De Gasparin considera un argomento decisivo contro la teoria

spiritista il fatto che «le particolari opinioni di ogni medium possono essere

riconosciute nei dogmi che egli promulga in nome degli spiriti». (Des tables

tournantes, du Surnaturel en general et des esprits, del conte

Agénor de Gasparin, Parigi, 1855, vol. II, pag. 497). Questo è vero solo

parzialmente. Colui che interroga, forse non meno spesso del medium, riceve

in risposta le sue proprie opinioni. Ma questo è vero solo qualche volta in

entrambi i casi. Comunque, senza dubbio, talora è vero; e il fatto, comunque

venga spiegato, mette in rilievo, con molti altri, la necessità urgente, da parte

di coloro che accettano l’ipotesi spiritista, di accogliere con estrema prudenza,

e solo dopo un rigoroso esame, qualsiasi comunicazione, quali che siano le

loro opinioni.

Finché gli spiritisti non prenderanno tali precauzioni, finché non

giudicheranno quello che ricevono, separando il grano dalla paglia, essi non

potranno lagnarsi se la maggioranza degli uomini intelligenti respingeranno il

tutto perché una parte è chiaramente priva di valore. Frattanto, sebbene

un’arguta satira non provi nulla, non ,può essere negato ciò che Saxe lancia

contro alcuni cosiddetti spiriti comunicatori del nostro tempo:

«Se non potete avere riposo nel vostro nuovo stato,

E dovete tornare, oh, esaudite la nostra richiesta:

Venite con un’aria nobile e celestiale,

E dimostrate il vostro diritto ai nomi che portate;

Date qualche prova della vostra nascita celeste;

 

44

Scrivete in buon inglese come scrivevate sulla terra:

E, cosa che un tempo era superfluo aggiungere,

Non dite, vi prego, tante solenni menzogne».

(20) Vedi, per esempio, Esperimental Examination of the Spirit

Manifestations (Esame sperimentale delle manifestazioni spiritiche), di

Robert Hare, dottore in medicina, professore emerito di chimica

nell’università di Pennsylvania, quarta edizione 1856, pagg. 14-15. Quando il

venerabile autore ottenne, secondo le sue parole, «la sanzione degli spiriti in

condizioni di prova», ossia con mezzi molto ingegnosamente da lui ideati per

prevenire ogni illusione, o (per usare ancora le sue parole) per fare in modo

«che fosse assolutamente fuori del potere umano falsare i risultati in modo

che non fossero una pura emanazione degli spiriti i cui nomi erano dati»,

accetto come autentiche, senza ulteriori dubbi né richieste, certe straordinarie

credenziali che sostenevano di provenire da un altro mondo. Il prof. Hare è

adesso lui stesso un abitatore di quel mondo in cui gli errori onesti vengono

corretti e dove l’onestà ha la sua ricompensa.

(21) Come il reverendo Charles Beecher nella sua Review of Spiritual

Manifestations (Esame delle manifestazioni spiritiche), cap. VII, dove si

troverà la citazione data nel testo.

De Mirville (Des esprits et de leurs manifestations fluidiques, del

marchese de Mirville, Parigi, terza edizione 1854) è il più abile esponente

moderno della dottrina cattolica della demonologia. La quarta edizione di

questa opera, come gli editori mi informano, è oggi (maggio 1859) quasi

esaurita. La Chiesa Romana, come è risaputo, riconosce come articolo di fede

la dottrina della possessione da parte di cattivi spiriti: «Quod daemon corpora

hominum possidere et obsidere possit, certum de fide est (Che il demonio

possa possedere e ossessionare i corpi umani è certo per fede, Theologia

Mystica ad usum directoru animarum, Parigi 1848, vol. I, pag. 376). Il

Rituale Romano (Cap. «De exorcizandis obsessis a Demonio») offre

particolareggiatamente le regole per esorcizzare il demonio; e di fatto gli

esorcismi, a Roma e altrove nei paesi cattolici, sono oggi di occorrenza

giornaliera, sebbene di solito condotti in privato e senza farne parola fuori

dell’ambito della Chiesa.

(22) I, Giovanni, IV, 1.

(23) Questo fatto è stato verificato dalla dissezione. Il pesce in questione

(l’unica specie conosciuta del genere Amblyopsis spelaeus) si trova

tuttavia, credo, solo in località simili. Né è certo che questo pesce non abbia la

possibilità di distinguere la luce dalle tenebre; perché il lobo ottico è rimasto.

 

45

I dottori Telkampf, di New York, e Wyman, di Boston, hanno pubblicato

articoli su questo argomento.

Sarebbe un esperimento interessante portare alcuni di questi pesci alla luce

e vedere se, nel corso di generazioni, i loro occhi tornerebbero gradualmente

perfetti.

(24) Nel febbraio del 1859, mentre desinavo presso un ricco e noto

capitalista londinese, seduto a fianco della padrona di casa, questa affrontò

l’argomento dello spiritismo. Le chiesi se era stata testimone di qualcuno dei

pretesi fenomeni. Mi rispose di no; che, da quanto aveva udito, era convinta

che ci fosse in essi qualche realtà; ma che, essendo di temperamento nervoso

e non sicura del suo autocontrollo, si era trattenuta dall’esaminare le

manifestazioni. «E poi so che lo spiritismo ha prodotto tanti guai. Non è

vero?» (E si rivolse a un signore vicino). Questi confermo energicamente. Io

lo pregai di darmi un esempio. «Posso darvene parecchi», rispose, «solo nella

cerchia delle mie conoscenze; ma ne ricordo uno in particolare. La figlia di un

mio amico, di una famiglia della massima rispettabilità, e lei stessa graziosa e

intelligente, proprio in questi tempi è travolta dalle sue illusioni. Ottiene colpi

dal tavolo, e ha preso l’abitudine di chiudersi ogni giorno nell’abbaino della

casa di suo padre sillabando comunicazioni che immagina provenire da spiriti

di defunti. Non vuole nemmeno fare il moto necessario alla sua salute con la

scusa che, quando è fuori, pub perdere l’occasione di ricevere qualche

messaggio divino. Non valgono le rimostranze dei suoi genitori, che non sono

per nulla affetti da questa mania; e questo li addolora molto».

Comunque si possano interpretare quelli che sono stati chiamati colpi

spiritici e le comunicazioni così ottenute, è evidente che questo caso sa di

fanatismo e chiede di essere urgentemente regolato. Nessuna condizione della

mente può essere salutare se ritrae ogni pensiero dai doveri della vita terrena,

perfino dalla cura della salute fisica, per accogliere solo il nutrimento di tali

comunicazioni; soprattutto quando queste sono accettate senza critica, come

rivelazioni divine e infallibili.

Ma negare i fenomeni effettivi non è il miglior modo per curare una mente

sviata o malata.

(25) Proverbi, XVIII, 13.

(26) Vedi, come esempio dei primi, il racconto intitolato «Il corteggiatore

respinto», e, come esempio dei secondi, quello intitolato: «Quello che dovette

sopportare un ufficiale inglese», entrambi presentati nei capitoli seguenti di

questo libro.

(27) Nei documenti del passato, di tanto in tanto incontriamo la prova che

gli uomini sono stati inclini a considerare misteriosamente empio quello che

 

46

non riuscivano a capire. Nel racconto di Chaucer del «Valletto del canonico, si

parla della chimica come di un’arte degli elfi, ossia insegnata o condotta da

spiriti. Questa, secondo Warton, è un’idea araba. Vedi Storia della poesia

inglese di Warton, vol. I pag. 169.

(28) Martin Korky, in una delle Kepleri Epistolae. Fu colui che dichiarò

al suo maestro Keplero: «Non concederò mai a questo italiano di Padova i

suoi quattro pianeti, dovesse costarmi la vita», e quello di cui, quando in

seguito prego di essere perdonato per il suo presuntuoso scetticismo, Keplero

scrisse a Galileo: «Gli ho nuovamente concesso il mio favore a questa esplicita

condizione, da lui accettata, che io gli avrei mostrato i satelliti di Giove e che

lui li avrebbe guardati ammettendo che esistono».

Oggi vi sono molti Martin Korky con i quali, per quel che riguarda alcuni

fenomeni esposti in questo libro, bisognerebbe fare lo stesso accordo.

(29) Rispettabili periodici, liberi da opinioni preconcette, hanno già

cominciato a trattare il soggetto in generale, con maggior deferenza di un

tempo. Per esempio, in un lungo articolo intitolato: «Fantasmi della vecchia e

della nuova scuola», in uno dei trimestrali londinesi, mentre vengono

screditati i principali fenomeni detti spiritici, si trovano ammissioni come la

seguente: «Vi sono serie di fatti che richiedono una più profonda ricerca e una

più perseverante investigazione di quanta ne abbiano avuta fin ora, sia che

debbano essere definitivamente giudicati falsi, sia che possano essere ridotti a

un ordine scientifico. Tali sono l’apparenza di fantasmi, il potere di una

seconda vista, la chiaroveggenza e altri fenomeni di magnetismo e

mesmerismo; la natura del sonno e dei sogni, delle illusioni fantomatiche (in

se stesse prova decisiva che il senso della vista pub essere sperimentato

appieno indipendentemente dall’occhio); i limiti e l’attività dell’illusione

mentale e dell’eccitazione entusiasta». National Review, luglio 1858, pag.

13.

(30) «Eclairons-nous sur les vérités, quelles qu’elles soient, qui se

présentent à notre observation; et, loin de craindre de favoriser la superstition

en admettant de nouveaux phenomènes, quand ils sont bien prouvés, soyons

persuadés que le seul moyen d’empêcher les abus qu’on peut en faire, c’est

d’en répandre la connaissance». (Chiariamoci le idee sulla verità, quali che

siano, che si presentano alla nostra osservazione; e lungi dal credere di

favorire la superstizione ammettendo dei nuovi fenomeni, quando sono bene

provati, persuadiamoci che il solo mezzo di impedire gli abusi che se ne

possono fare, è di diffonderne la conoscenza). Bertrand.

(31) Il numero dei materialisti tra la parte colta della società civile,

specialmente in Europa, è molto più grande di quanto appaia alla superficie.

Se si interpellano soggetti seri, il fatto si rivela da sé. Conversavo un giorno

 

47

con una signora francese dell’alta società, intelligente e speculatrice più della

media della sua classe, e mi capitò di esprimere l’opinione che il progresso è

probabilmente una regola del mondo futuro come di questo. «Credete dunque

davvero in un altro mondo?» mi chiese.

«Certo, contessa».

«Ah, siete un uomo fortunato», ribatté vivacemente. «Quanti di noi non vi

credono!».

(32) Troviamo spesso nelle espressioni usate da persone superiori

(specialmente fra i rappresentanti della scienza) per manifestare quanto

considerino importante una sicura fede religiosa, piuttosto il desiderio di

ottenerla e l’invidia per coloro che la possiedono, che non l’affermazione di

avere loro stessi trovato tutto quello che cercavano. Ecco un esempio

eloquente:

«Invidio negli altri non già le qualità della mente e dell’intelletto, né il

genio, né il potere, né lo spirito né la fantasia; ma, se potessi scegliere quello

che sarebbe per me più piacevole e, credo, più utile, preferirei una sicura fede

religiosa a qualsiasi altra dote. Perché essa fa della vita una disciplina nel

bene, crea nuove speranze quando ogni speranza terrena vien meno e getta

sulla decadenza e la distruzione dell’esistenza la luce più splendida; risveglia

la vita nella morte, ed evoca dalla corruzione e dallo sfacelo la bellezza e la

gloria eterna». Sir Humphry Davy.

(33) Uno fra i mille esempi di questa contraddizione si può trovare

nell’amara angoscia - tale da rifiutare ogni conforto - con cui spesso i

sopravviventi piangono i morti; un’angoscia infinitamente più intensa di quel

che proverebbero nel vederli imbarcarsi per un altro emisfero senza attesa del

loro ritorno e senza certezza della loro felicità. Se non lo abbiamo

dimenticato, dovremmo renderci conto di quell’articolo di fede che ci insegna

che essi sono morti solo per noi. L’espressione idiomatica tedesca, a questo

proposito, è giusta quanto bella:

«Den Oberlin hatte zuweilen die Ahnung wie ein kalter Schauer

durchdrunghen, dass sein geliebtes Weib im sterben könne» (Oberlin era

talora preso dal presentimento, quasi lo attraversasse un freddo brivido, che

la sua amata sposa gli potesse morire). Des grosse Geheimniss der

menschlichen Doppelnatur (Il grande mistero della doppia natura

dell’uomo) Dresda 1855.

(34) Matteo, VII, 1. E’ del tutto contrario alla realtà sostenere che gli

scettici, in genere, siano volontariamente ciechi. Molti, è vero, specialmente

nel vigore della gioventù, cadono nella miscredenza o in una indifferenza che

 

48

molto le somiglia, per semplice negligenza; mentre altri evitano

deliberatamente di pensare a un altro mondo per tema che ciò diminuisca i

piaceri di questo; ma i migliori, e probabilmente i più numerosi, non

appartengono a queste due classi. Essi dubitano perché incontrano delle

difficoltà: dubitano involontariamente e costretti. L’autore dell’Eclipse of

Faith (Eclisse della fede), scritto in risposta alle Phases of Faith (Fasi della

fede) di Newman, dà come confessione di uno di costoro quello che potrebbe

riferirsi a centinaia di migliaia:

«Sono stato rudemente strappato alle mie antiche credenze; la mia fede

cristiana di un tempo ha ceduto al dubbio; la piccola capanna sul fianco del

monte, dove pensavo di abitare in semplicità pastorale, è stata travolta dalla

tempesta ed io mi sono trovato in mezzo alla raffica senza un riparo. Ho

vagato in lungo e in largo ma non ho trovato il riposo che a quanto mi dite

bisogna trovare. Quando esamino tutte le altre teorie, mi sembrano oppresse

da difficoltà almeno eguali a quella a cui sono stato abbandonato. Non posso

accontentarmi, come altri fanno, di non credere a nulla. E tuttavia non ho

nulla in cui credere. Ho lottato a lungo e duramente contro i Titani miei

nemici, ma senza successo. Mi sono volto invano verso ogni parte

dell’universo. Ho interrogato la mia anima ma non ho avuto risposta. Ho

fissato la natura, ma le sue mille voci non parlano un linguaggio articolato per

me; e, in particolare, quando guardo la brillante pagina dei cieli notturni,

quegli astri versano su di me una luce così fredda e in un silenzio così

assoluto, che mi sento, con Pascal, atterrito allo spettacolo di un’infinita

solitudini», pag. 70.

(35) De la physiologie du système nerveux, et spécialement du

cerveau, del signor Georget, dottore in medicina della facoltà di Parigi, ex

interno di prima classe della divisione degli Alienati dell’Ospizio della

Salpêtrière, Parigi, 1821.

Il testo originale della clausola del testamento di Georget, qui citato, si

troverà in Rapports et discussions de l’Academie Royale de

Médicine sur le magnetisme animal, del dott. P. Foissac, Parigi, 1833,

pag. 289. Le precise parole della sua confessione sono: «A peine avais-je mis

au jour la Physiologie du sistéme nerveux, que de nouvelles méditations

sur un phénomène bien extraordinaire, le somnambulisme, ne me permirent

plus de douter de l’existence, en nous et hors de nous, d’un principe

intelligent, tout-à-fait différent des existences materielles».

Husson, membro dell’Accademia di Medicina di Parigi, in una relazione

fatta a quel corpo accademico nel 1825, parla di Georget come del «notre

estimable, laborieux et modeste colleghe». Foissac, Rapports et

discussions, pag. 28.

 

49

(36) Opere del reverendissimo dott. John Tillotson, già

arcivescovo di Canterbury, ottava edizione Londra 1720, Sermone XXVI.

(37) Nel presente volume avrò occasione di testimoniare molte cose che ho

visto e udito. Né immagino che uomini, in se stessi sinceri, sospetteranno in

me una mancanza di sincerità; perché quando un uomo onesto che cerca solo

la verità espone chiaramente e imparzialmente la sua esperienza, ciò che dice

porta generalmente con sé, per le menti rette, un’intima garanzia di sincerità.

Ma anche la mia testimonianza è, e deve essere, per il lettore una prova molto

minore e meno convincente di quella che avrebbe ottenuto se fosse stato lui

stesso testimone di quello che racconto. La differenza è inerente alla natura

delle cose.

(38) Parlo dei principi di prova riconosciuti dalla legge comune; un sistema

sotto il quale i diritti personali e le salvaguardie della libertà dei cittadini sono

probabilmente meglio garantiti che sotto ogni altro; sebbene, per quanto

riguarda alcuni principi di proprietà, il sistema legislativo civile possa

rivendicarsi la superiorità.

La prova di seconda mano è ammissibile nel caso di un morente,

consapevole di avvicinarsi alla morte, o di quello che è stato detto, non

contraddetto, in presenza e a portata di voce di un prigioniero; ma queste

sono eccezioni che confermano la regola generale.

(39) Essays written during the Intervals of Business (Saggi scritti

durante gli intervalli fra gli affari, Londra 1853, pag. 2).

 

50

2 - L’impossibile

«Chi, al di fuori della matematica pura, pronuncia la parola

impossibile, manca di prudenza».

Arago: Annuaire du Bureau des Longitudes, 1853 (1).

Nell’aprile del 1492, avvenne nella città di Barcellona una di quelle grandi

scene che si riscontrano solo raramente nella storia della nostra razza.

Un marinaio genovese, di umile nascita e condizione, un entusiasta, un

sognatore, un seguace di Marco Polo e di Mandeville convinto della realtà

delle loro belle fiabe - le spiagge dorate di Cipango, il paradiso profumato di

spezie del Catai - aveva concepito il magnifico progetto di cercare la prova di

un altro emisfero del mondo conosciuto. Era andato mendicando appoggi e

sussidi di paese in paese, di monarca in monarca. Respinte le sue proposte

dalla città natale, le aveva presentate alla Spagna, allora governata da due dei

sovrani più abili che avesse mai avuto. Ma laggiù la sua consueta sfortuna

parve seguirlo. Il suo miglior protettore era un umile frate guardiano di un

convento dell’Andalusia; la sua dottrina fu respinta dal confessore della

regina in quanto sapeva di eresia; le sue ambiziose pretese vennero

disprezzate dalla nobiltà e dall’alto clero come quelle di un avventuriero

straniero e squattrinato; il suo progetto fu giudicato dai dotti magnati del

collegio di Salamanca (quando mai la scienza ufficiale si è messa

all’avanguardia?) «vano, irrealizzabile e troppo poco fondato per meritare

l’aiuto del Governo». Alla fine era riuscito a racimolare, dalla pur illuminata e

intraprendente regina Isabella, una somma che ogni dama della sua corte

avrebbe potuto spendere in un braccialetto di diamanti o in una collana di

perle (2).

E adesso, tornato quasi da morte, sopravvissuto a un viaggio cui

sovrastavano orrori soprannaturali, dopo avere risolto trionfalmente il suo

grande problema a dispetto degli uomini e della natura, il visionario veniva

accolto come un trionfatore; l’avventuriero squattrinato veniva riconosciuto

Ammiraglio dell’Oceano Occidentale e Vicerè di un nuovo continente, veniva

ricevuto in forma solenne dai più grandi sovrani del mondo che si alzavano

per accoglierlo e invitato (formalismo castigliano superato dal potere

intellettuale) a sedersi dinanzi a loro. Egli raccontò la sua meravigliosa storia

e mostrò, come prove della sua veridicità, gli abbronzati selvaggi e l’oro

barbaro. Il re, la regina e la corte caddero in ginocchio e risuonò il Te Deum

come per una vittoria trionfale.

 

51

Quella notte, nel silenzio della sua camera, quali pensieri saranno passati

nella mente di Colombo? Quali esultanti emozioni avranno gonfiato il suo

cuore? Il vecchio mondo aveva considerato l’emisfero orientale come l’unica

terra abitabile. I secoli erano seguiti ai secoli senza far cadere l’interdetto che

proibiva all’uomo di esplorare oltre i pilastri montani (3). E tuttavia lui, scelto

da Dio per risolvere i più grandi misteri terrestri, affrontando quella che i rudi

marinai di Palos avevano sempre considerato come distruzione sicura - lui

che era rimasto fiducioso quando tutti avevano disperato - aveva compiuto ciò

che la concorde voce del passato aveva dichiarato impossibile.

Ma adesso, nella quiete di quella notte, se a quell’uomo entusiasta, pieno di

fede e sognatore qual era, fosse apparso un qualche Nostradamus del XV

secolo, dotato di mente profetica, e avesse dichiarato al dominatore

dell’oceano che non sarebbero passati quattro secoli prima che l’immensa

distesa di acque - dalla più remota spiaggia da cui, in mesi di tempesta, aveva

appena compiuto il faticoso ritorno - non opponesse più alcun ostacolo alla

libera comunicazione del pensiero umano, che un uomo, dai lidi occidentali

dell’Europa avrebbe potuto, entro trecento settant’anni da quel giorno,

conversare con un amico che fosse sui lidi orientali del nuovo mondo, e,

meraviglia delle meraviglie, che quello stesso fulmine che durante il suo

terribile viaggio aveva tante volte illuminato la distesa d’acque intorno a lui,

sarebbe divenuto l’agente della comunicazione attraverso l’oceano

tempestoso, che creature mortali, senza l’aiuto di angeli né di demoni, senza

interventi celesti o patti diabolici, avrebbero addomesticato quel fulmine e lo

avrebbero impiegato come un corriere o un colombo viaggiatore per portare i

loro messaggi quotidiani: a una predizione così stravagante da oltrepassare

l’assurdo, quale fede avrebbe potuto prestare Colombo? Quale risposta

possiamo immaginare che avrebbe potuto dare a una tale visione profetica,

con tutta la sua esperienza delle anguste vedute dell’uomo? Probabilmente

una risposta di questo genere; che, per quanto nel futuro potessero avvenire

molte cose strane, una tale manomissione della natura - a meno di un

miracolo divino - era impossibile.

Arago aveva ragione. Con le verità esatte possiamo comportarci in modo

positivo. In un esagono regolare inscritto in un cerchio, ogni lato ha la stessa

lunghezza del raggio: è impossibile che sia più lungo o più corto. La

superficie contenuta nel quadrato dell’ipotenusa è esattamente la stessa di

quella contenuta nella somma dei quadrati dei cateti dello stesso triangolo

retto: è impossibile che sia maggiore o minore. Possiamo dichiarare

impossibili queste cose con la stessa sicurezza ed esattezza con cui

dichiariamo di esistere, e non vi è maggiore presunzione nell’affermare l’una

cosa che nel sostenere l’altra. Ma, fuori dal dominio della matematica pura o

 

52

delle affini regioni della verità astratta e intuitiva, la fallibile e limitata

creatura umana deve essere cauta e modesta nelle sue affermazioni. In base a

quale garanzia può determinare ciò che la legge divina permette e ciò che

nega? Con quale autorità può affermare che tutte queste leggi sono da lui

conosciute? Il termine della sua vita fino al giorno, i limiti della sua

conoscenza fino al millesimo: di dove gli proviene, mentre va brancolando

nella breve spanna del suo presente, l’autorità di proclamare arrogantemente

quello che avverrà e quello che non avverrà nel suo futuro? La storia non

presenta forse in ogni pagina la condanna di questa empietà? L’esperienza di

ogni giorno non testimonia forse a gran voce contro questa solenne

presunzione?

Non parlano e non ragionano così coloro a cui una profonda ricerca ha

insegnato quanto piccolo sia il loro sapere. L’umile saggezza di questi uomini

si rende conto che possono esistere leggi di natura totalmente a loro

sconosciute (4); e forse alcune di esse non si sono mai attuate da quando

l’uomo è qui per osservarle.

Sir John Herschel ha opportunamente illustrato questa verità. «Fra tutte le

possibili combinazioni, scrive questo illuminato filosofo, «dei cinquanta o

sessanta elementi che i chimici hanno mostrato esistenti sulla terra, è certo

che alcune non si sono mai formate; questi elementi, in certe proporzioni e in

certe circostanze, non sono ancora mai stati messi in relazione gli uni con gli

altri. Tuttavia nessun chimico dubita che è già stabilito che cosa farebbero

se se ne desse il caso. Essi obbedirebbero a certe leggi, di cui attualmente

nulla sappiamo, ma che devono essere già stabilite perché altrimenti non

sarebbero leggi» (5).

E quello che è vero per le leggi dell’affinità chimica è egualmente vero per

le leggi fisiologiche o psicologiche. Invero è molto più probabile che vi sia una

frequente verità nelle leggi della mente che in quelle della materia, perché nel

mondo non vi è niente in così costante progresso come la mente dell’uomo.

Solo la sua razza, fra tutte le razze animate che conosciamo, cambia e si eleva

di generazione in generazione. L’elefante e il castoro di oggi non sono, che si

sappia, più intelligenti o più sviluppati che non fossero l’elefante e il castoro

di tremila anni fa. Il loro destino è stazionario mentre quello dell’uomo

progredisce, avanzando dagli istinti selvaggi ai sentimenti civili, dalla rozzezza

primitiva alle arti, alle scienze, alla letteratura, dall’anarchia all’ordine, dal

fanatismo al cristianismo.

Ma proprio nel caso di un essere il cui progresso è costante e il cui destino

avanza e si eleva, noi possiamo con maggiore fiducia attendere, in certe

epoche del suo sviluppo, che si rivelino nuove relazioni e si dispieghino nuove

leggi fin allora solo imperfettamente conosciute.

 

53

Vi è, è vero, un altro punto di vista da cui guardare la cosa. Ad alcuni

sembrerà un’analogia arbitraria e forzata affermare che, poiché nel settore

della chimica possiamo prevedere combinazioni non ancora formate, dirette

da leggi non ancora operanti, si debba concludere che anche nel settore della

mente ci si possano aspettare simili fenomeni. Si può obiettare che la mente e

la materia sono separate da una così ampia linea di demarcazione che quello

che è vero per l’una può essere falso per l’altra.

Ma sono esse così ampiamente separate? Distinte lo sono di certo - nulla è

così insostenibile come gli argomenti dei materialisti - e tuttavia quanto sono

intimamente connesse! Basta una pressione sulla sostanza cerebrale perché il

pensiero sia interrotto; applichiamo alle narici una spugna con poche gocce di

anestetico, e sopravviene l’insensibilità; inaliamo un’altra sostanza volatile e

si estingue la vita.

E se l’azione della materia sulla mente è tale, non meno rigoroso è il

controllo della mente sulla materia. L’influenza dell’immaginazione è

proverbiale; tuttavia è sempre stata sottovalutata. La mente eccitata può

curare il corpo sofferente. La fede esaltata fino all’estasi ha arrestato malattie

(6). Il dominio della volontà, interamente esercitato, spesso trascende i poteri

curativi del fisico e del medico.

Ma non in sole considerazioni generali come queste l’argomento viene a

toccare l’intima connessione tra le influenze materiali e i fenomeni mentali.

Lo studio moderno degli imponderabili, già produttivo di risultati fisici che ai

nostri antenati sarebbero parsi puri miracoli, ha portato lampi di progresso in

un’altra direzione che può affermarsi in scoperte di fronte alle quali

l’attraversare l’oceano con un filo elettrico diventa insignificante. Le prime

affrettate inferenze di Galvani sull’elettricità animale sono state in certa

misura confutate dalle più rigorose esperienze di Volta. Ma in Italia, in

Prussia e in Inghilterra, esperimenti di recente data, seguendo la giusta per

quanto imperfetta idea del professore bolognese, hanno stabilito il fatto che le

contrazioni muscolari, volontarie o automatiche, che producono l’azione delle

membra viventi, corrispondono a correnti elettriche che esistono lì in

quantità apprezzabili (7). Lo scopritore del creosoto ha dato al mondo i

risultati di dieci anni di lavoro; si può dire, nello stesso campo; distinguendo

comunque ciò che chiama forza Odica dall’elettricità (8). Arago giudicò il

caso di Angélique Cottin (nota sotto il nome di «Ragazza elettrica») degno di

essere portato a conoscenza dell’Accademia delle Sciente di Parigi (9) e,

parlando, sette anni più tardi, «dell’effettivo potere che un uomo può

esercitare su di un altro senza l’intervento di alcun agente fisico conosciuto»,

dichiara che anche il rapporto di Bailly contro l’ancor grezza teoria di Mesmer

mostra «come le nostre facoltà dovrebbero essere studiate sperimentalmente,

e con quali mezzi la psicologia potrà un giorno ottenere un posto fra le scienze

 

54

esatte» (10). Cuvier, più familiare di Arago con i fenomeni della natura

vivente, paria più decisamente di lui sullo stesso soggetto. «Non vi è dubbio»,

dice l’insigne naturalista, «che la vicinanza di due corpi viventi, in certe

circostanze e con certi movimenti, ha un effetto reale indipendentemente da

ogni partecipazione dell’immaginazione dell’uno dei due»; e aggiunge inoltre

che «appare adesso abbastanza chiaro che gli effetti sono dovuti a qualche

comunicazione stabilita fra i loro sistemi nervosi» (11). Questo significa

ammettere il principio che è alla base del mesmerismo, ammissione che è

sostenuta da infinite osservazioni, in alcuni casi poco credibili, ma in altri,

specialmente recenti, accuratamente condotte da sperimentatori onesti e

capaci, nel contestato campo del sonnambulismo artificiale e dei fenomeni

affini.

Senza fermarci qui a cercare fino a quanto queste varie sorprendenti novità

richiedano una conferma o in che misura le deduzioni che se ne possono

trarre possano essere modificate o negate dalle osservazioni future, vi si

possono trovare elementi abbastanza sicuri se non per indicare che ci

troviamo già sul lido di quel Grande Oceano che svela lentamente i suoi

misteri e la cui esplorazione ci offrirà più ricompense di quelle date

dall’Atlantico a Colombo, per lo meno per convincerci che l’osservazione

filosofica di Herschel può avere un’estensione più vasta di quella che egli

intendeva darle; che in fisiologia e in psicologia, come in chimica, possono

esservi combinazioni che non si sono ancora formate sotto i nostri occhi,

nuove relazioni e nuove condizioni che devono ancora esistere o apparire, e

che dovranno tutte essere dirette, quando si manifesteranno, da leggi che in

realtà esistono fin dalla creazione del mondo, ma che sono rimaste finora, se

non inattive, per lo meno nascoste all’osservazione generale.

Dico all’osservazione generale; perché, sebbene non riconosciute dalla

scienza, esse non devono essere considerate come sconosciute. Uno degli

scopi che ci proponiamo nelle pagine seguenti è di spigolare, dal passato come

dal presente, indizi sparsi dell’esistenza di leggi in base alle quali è stato

indotto che l’uomo può trarre, da fonti diverse dalla rivelazione e

dall’analogia, qualche sicurezza relativa al mondo e venire. E poiché è

evidente che nessuna verità astratta è violata dall’ipotesi dell’esistenza di tali

leggi, non posso forse addurre nomi come quelli di Arago e di Herschel per

sostenere il mio asserto che mancano di prudenza coloro i quali affermano in

anticipo che chiunque affronti questo tema si impegna in una ricerca

dell’impossibile?

Note

 

55

(1) L’originale del contesto è: «Le doute est une preuve de modestie, et il a

raremen nui aux progrès des sciences. On ne purrait dire autant de

l’incredulité. Celui qui, en dehors des mathematiques pures, prononce le

mot impossible, manque de prudente. La réserve est sourtout un devoir

quand il s’agit de l’organisme animale». (Il dubbio è una prova di modestia e

raramente ha nociuto al progresso delle sciente. Non si potrebbe dire

altrettanto dell’incredulità. Chi, al di fuori della matematica pura, pronuncia

la parola impossibile, manca di prudenza. La riserva è soprattutto un

dovere quando si tratta dell’organismo animale.) Annuaire, pag. 445.

(2) Settemila fiorini costituirono la modesta somma che l’organizzazione

della prima spedizione di Colombo costò alla corona di Castiglia. Quanto sono

sproporzionati, talora, anche i nostri successi con l’importanza di qualche

nobile, ma nuovo oggetto di ricerca!

(3) …quella foce stretta

Ov’Ercole segnò li suoi riguardi,

Acciocché l’uom più oltre non si metta.

Dante, Inferno, Canto XVI.

(4) Traduco dalla Théorie analytique des probabilités di La Place:

«Siamo così lontani dal conoscere tutti gli agenti della natura e i loro vari

modi di azione che non sarebbe filosofico negare un qualsiasi fenomeno solo

perché, nell’attuale stato della nostra conoscenza, esso è inesplicabile. Solo

questo dovremmo fare: prestare una tanto più scrupolosa attenzione al suo

esame quanto più difficile sembra ammetterlo». Introduzione, pag. 43.

Da un’autorità vastamente accettata e ancora più conosciuta, estraggo,

nello stesso contesto, la seguente citazione, nella cui ultima riga, tuttavia, la

parola possibilità sarebbe più esatta invece di probabilità:

«Un illimitato scetticismo è proprio di una mente angusta, che ragiona su

dati imperfetti o fa delle proprie conoscenze e delle proprie osservazioni il

modello e la prova delle probabilità …

«Accogliendo, da testimonianze, constatazioni che sono respinte dal volgo

come totalmente incredibili, un uomo di mente colta è influenzato dal ricordo

di molte cose che un tempo gli apparivano meravigliose e che adesso sa essere

vere e di qui conclude che possono esservi, nella natura, ancora molti

fenomeni e molti principi dei quali è interamente all’oscuro. In altre parole,

ha imparato dall’esperienza a non fare della sua conoscenza la misura delle

probabilità, Intellectual Powers, (Poteri intellettuali) di Abercrombie,

pagg. 55 e 60.

 

56

(5) Preliminary Discourse on the Study of Natural Philosophy

(Discorso preliminare allo studio della filosofia naturale) di Sir John F.W.

Herschel, Londra, seconda edizione 1851, pag. 36.

(6) Queste opinioni trovano ampia conferma - per scegliere uno fra molti

esempi - in un ramo di studio che interessa egualmente il medico e lo

psicologo: e cioè la storia delle grandi epidemie mentali nel mondo. Il lettore

le troverà brevemente riassunte più avanti.

(7) La prima feconda osservazione di Galvani su di un agente elettrico che

produce contrazioni muscolari negli animali, fatta il 20 settembre 1786, fu,

dopo tutto, il punto di partenza delle interessanti ricerche di Du Bois-

Reymond, Zantedeschi, Matteucci e altri nel continente europeo, e di Rutter e

Leger in Inghilterra. Du Bois-Reymond, membro dell’Accademia delle scienze

di Berlino, ammette molto candidamente questo fatto. In una introduzione

storica alla sua opera sul magnetismo animale (Untersuchungen über

thierische Elecktricität, Berlino, 1848-49), questo scrittore dice:

«Galvani, in realtà, non scoprì solo il fondamentale esperimento fisiologico

del galvanismo propriamente detto (la contrazione della rana quando toccata

da due metalli diversi), ma anche quello dell’elettricità inerente ai nervi e ai

muscoli. Entrambe queste scoperte, tuttavia, erano nascoste in una tale

confusione di circostanze che il risultato, in un caso come nell’altro, appariva

egualmente dipendere dalle membra o dai tessuti degli animali impiegati».

Il lettore che desideri seguire più a fondo questo soggetto può consultare

un’opera del medico H. Bence Jones, intitolata On Animal Electricity:

being an Abstract of the Discoveries of Emile Du Bois-Reymond

(Sull’elettricità animale: estratto dalle scoperte di Emile Du Bois-Reymond)

Londra 1852. E anche il Trattato dei fenomeni elettro-fisiologici degli

animali, di Carlo Matteucci, professore nell’università di Pisa, 1844; nonché

l’opera del barone Humboldt sulle Fibre nervose e muscolari stimolate

(Versuche über die gereizte Muskel-und Nervenfaser, u.s.w.).

In Inghilterra esperimenti in questo ramo sono stati portati più avanti che

in qualsiasi altro paese, specialmente da Rutter, di Brighton, e dal dott. Leger,

la cui morte prematura è stata una perdita per le scienze fisiologiche come per

le psicologiche. Ho avuto l’opportunità, grazie alla gentilezza del signor

Rutter, di osservare di persona gli straordinari risultati a cui aveva portato la

sua paziente ricerca, e deploro che lo spazio non mi permetta qui di darne più

diffusamente notizia. Non posso che rimandare alla sua opera Human

Electricity: the Means of its Development, illustrated by

Experiments (Elettricità umana: i mezzi del suo sviluppo illustrati da

esperimenti). Londra 1854, e a un altro breve trattato sullo stesso soggetto del

dott. T. Leger, intitolato The Magnetoscope: an Essay on the

 

57

Magnetoid Characteristics of Elementary Principles, and their

Relations to the Organization of Man (Il magnetoscopio: saggio sulle

caratteristiche magnetoidi di principi elementari, e delle loro relazioni con

l’organismo umano) Londra 1852.

L’intero soggetto è singolarmente interessante e ripaga generosamente lo

studio che può esservi dedicato.

(8) Mi riferisco qui all’eleborato trattato su ciò che egli chiama «forza

odica», senta esprimere alcuna opinione sull’esattezza delle conclusioni

dell’autore. Reichenbach scoprì il creosoto nel 1833.

(9) La relazione di Arago su questo soggetto fu fatta il 16 febbraio 1846. C’è

da deplorare, in questo caso, che un osservatore così sagace non abbia avuto

l’opportunità di continuate i suoi primi frettolosi esperimenti.

(10) Biographie de Jean-Sylvain Bailly, di Arago, pubblicata

dapprima nell’Annuaire du Bureau des Longitudes del 1853, pagg. 345-

625.

(11) Leçons d’anatomie comparée di G. Cuvier, Parigi. An. VIII. vol. II,

pagg. 117- 18. Il testo originale è il seguente:

«Les effets obtenus sur des personnes déja sans connaissance avant que

l’opération commençat, ceux qui ont lieu sur les autres personnes après que

l’opération leur fait perdre connaissance, et ceux que présentent les animaux,

ne permettent guère de douter que la proximité de deux corps animés, dans

certaines positions et avec certains mouvements, n’ait un effet réal,

independant de toute partecipation de l’immagination d’une des deux. Il

parait assez clairement, aussi, que les effets sont due à une comunication

quelconque qui s’établi entre leurs systèmes nerveux». (Gli effetti ottenuti su

persone già senza conoscenza prima che l’operazione cominciasse, quelli che

avvengono sulle altre persone dopo che l’operazione ha fatto loro perdere

coscienza, e quelli che vengono presentati dagli animali, non permettono di

dubitare che la vicinanza di due corpi viventi ecc.).

 

58

3 - Il miracoloso

«La causa universale

agisce non per leggi parziali, ma generali»

Pope

Gli uomini sono generalmente concordi nel considerare colpito dalla

superstizione o accecato dalla credulità colui che crede in un qualsiasi

miracolo nei tempi moderni. E quanto più il mondo invecchia, tanto più

questo scetticismo di fronte al soprannaturale acquista forza e universalità.

La ragione sembra essere che, quanto più attentamente la scienza esplora il

meccanismo dell’universo e svela il piano del suo governo, tanto più evidente

appare l’opinione del poeta secondo il quale l’universo è diretto non da leggi

parziali ma universali.

In tale dottrina non è affatto implicata la questione dell’onnipotenza di

Dio. Non si tratta di sapere se Egli può fare eccezioni in un sistema di leggi

universali, ma se lo fa. Se possiamo permetterci di parlare delle scelte e delle

intenzioni di Dio, non si tratta di sapere se, per far fronte a un’esigenza

occasionale, Egli ha il potere di sospendere l’ordine di quelle sequenze

costanti che, appunto per la loro costanza, noi chiamiamo leggi; ma solo se,

come dato di fatto, egli sceglie questo modo occasionale per realizzare i suoi

propositi o se non consideri più opportuno porli in atto secondo un piano più

stabile e con mezzi meno arbitrari ed eccezionali. E’ una questione

fondamentale.

Ma la scienza moderna, nel suo progresso, non solo elimina l’uno dopo

l’altro ogni articolo di quella che si era soliti considerare la lista delle eccezioni

all’ordine generale della natura: ci mostra anche, ogni giorno con maggiore

chiarezza, la semplicità della legge naturale e il principio di unità sotto il quale

i vari rami del sapere sono connessi come parti di un unico sistema.

Così, considerando quello che avviene oggi, l’insieme dell’esperienza toglie

credito alla dottrina delle cause occasionali e alla credenza nel miracoloso. Se

qualcuno ci riferisce, anche per sua propria esperienza, qualche incidente che

implichi chiaramente un agente soprannaturale, le ascoltiamo con una

spallucciata di compassione. Se abbiamo una troppo buona opinione

dell’onestà del narratore per sospettare che egli voglia farsi giuoco della

nostra credulità, concludiamo senza esitare che si è ingannato. Non ci

 

59

fermiamo a esaminare la realtà di un miracolo moderno: lo respingiamo per

principio generale.

Ma, nell’accogliere questo scetticismo, faremmo meglio a considerare che

cosa sia un miracolo. Hume, nel suo noto capitolo su questo argomento, porta

un utile chiarimento. Il principe indiano, dice, che respinse ogni

testimonianza sull’esistenza del ghiaccio, rifiutò di accettare fatti che

derivavano da uno stato di natura a cui non era abituato e che presentava

scarsissime analogie con quegli eventi di cui aveva avuto costante e uniforme

esperienza. Di questi fatti egli dice che «sebbene non fossero contrari alla sua

esperienza, non erano conformi a essa» (1). E, a spiegazione della distinzione

fatta, aggiunge in una nota: «Nessun indiano, è evidente, poteva avere

esperienza di acqua che non gela nei climi freddi» (2).

Questa distinzione è sostanziale? Se lo è, porta molto più lontano di quanto

Hume si proponesse.

Non solo il principe indiano non aveva mai visto acqua allo stato solido; fin

allora non ne aveva nemmeno sentito parlare. Non solo la sua esperienza si

opponeva ai fatti sostenuti, ma le esperienze dei suoi padri, le tradizioni del

suo paese, tutto affermava che l’acqua era sempre stata, ed era, un fluido. Non

aveva dunque il diritto di dire che un’acqua solida era cosa contraria alla sua

esperienza? O non avrebbe dovuto, con filosofica moderazione, limitarsi a

dichiarare che il fenomeno del ghiaccio, se pure esiste veramente, «derivava

da uno stato di natura a cui non era abituato?».

Noi, che abbiamo tante volte camminato su acqua solida, non troviamo

difficoltà nel sostenere che così avrebbe dovuto dire. Perdoniamo dunque

all’ignorante selvaggio la sua presuntuosa negazione, poiché noi stessi, in un

caso simile, avremmo dovuto essere perdonati.

Pensiamo a quanta cauta saggezza, che non troviamo neppure fra i meglio

informati e i più dotti di noi, pretendiamo da un barbaro incolto.

Domandiamoci se Hume, calmo e filosofico qual era, non viene meno a quella

stessa saggezza che esige. Egli dice nello stesso capitolo:

«Un miracolo è la violazione delle leggi della natura; e, poiché una sicura e

inalterabile esperienza ha stabilito queste leggi, la prova contro il miracolo,

proveniente dalla natura stessa dei fatti, è completa al pari di ogni argomento

che possiamo immaginare proveniente dall’esperienza» (3).

Vi sono qui due proposizioni: l’una che ciò che una sicura e inalterabile

tradizione stabilisce è una legge di natura; l’altra che una variante di questa

legge è un miracolo.

Ma nessuna esperienza umana è inalterabile. Possiamo solo dire che

finora è stata inalterata. E anche questo è sempre rischioso dirlo.

 

60

Se qualcuno ha il diritto di parlare così delle esperienze sue e dei suoi

compagni, non era forse giustificato, quel principe indiano, nel considerare

provato da un’inalterabile esperienza che una pietra, posta sulla superficie di

uno specchio d’acqua, va a fondo? Non era forse pienamente giustificato,

secondo le stesse premesse di Hume, nel deridere le affermazioni in contrario

del viaggiatore, come se affermassero un miracolo, e nel respingerlo come

impossibile in quanto tale?

«Nessun indiano», dice Hume, «poteva avere esperienza di acqua che non

gela nei paesi freddi». No, naturalmente. Questo era un fatto che oltrepassava

la sua esperienza. E non vi sono fatti che oltrepassano la nostra? Non vi sono

forse stati di natura a cui non siamo abituati? Quel principe indiano era forse

il solo ad avere un’esperienza limitata e fallibile?

Quando un uomo parla dell’esperienza del passato come regolatrice delle

sue credenze, si riferisce - può riferirsi - solo a quella esperienza che è venuta,

mediatamente o immediatamente, a sua conoscenza. In tal caso, dunque, per

esprimersi correttamente, non dovrebbe dire «l’esperienza del passato», -

perché questo implicherebbe che egli conosce tutto quello che è avvenuto, -

ma solamente «la mia passata esperienza».

Allora l’asserzione di Hume nel paragrafo citato, è che la sua passata

esperienza, essendo sicura (4) e inalterabile, gli permette di stabilire quali

sono le leggi invariabili della natura e, di conseguenza, che cosa sono i

miracoli.

Né la sua argomentazione si ferma qui. Altrove, nello stesso capitolo,

l’autore dice «che un miracolo sostenuto da qualsiasi testimonianza umana è

piuttosto un soggetto di derisione che un argomento» (5).

In connessione con il paragrafo citato sopra, quale mostruosa dottrina

viene qui svolta! In parole semplici essa afferma: «Io considero la mia passata

esperienza come sicura e inalterabile. Se un testimone, per quanto credibile,

sostiene in qualsiasi caso qualche cosa di contrario a questa esperienza, io

non discuto con costui: è solo degno di derisione».

Sebbene ai nostri giorni, centinaia di persone che dovrebbero essere meglio

informate agiscano secondo questa dottrina, non voglio affermare che Hume

intendesse esporla. Spesso non ci rendiamo conto delle legittime conseguenze

delle nostre premesse.

Ma facciamo ancora un passo avanti. Cerchiamo di sapere in quali

circostanze abbiamo il diritto di dire: «Questo fatto è incredibile perché

sarebbe miracoloso».

La questione ci riporta alla nostra prima domanda su che cosa è un

miracolo. Esaminiamo la definizione di Hume:

 

61

«Un miracolo può essere esattamente definito una trasgressione di una

legge di natura per una particolare volizione della divinità o per

l’interposizione di qualche agente invisibile» (6). Io noto di passaggio, che

l’espressione «per l’interposizione di qualche agente invisibile», non è esatta.

Il freddo è un agente invisibile: e non è nemmeno un agente positivo perché si

tratta di una diminuzione di calore. E tuttavia contravviene a quella che il

principe indiano aveva forti ragioni per considerare una legge di natura.

Rimane tuttavia l’affermazione principale: «Un miracolo è la trasgressione

di una legge di natura per una particolare volizione della divinità».

Anche qui l’espressione non è felice. Quando parliamo di una cosa che

avviene per volere di Dio, intendiamo, con questa espressione, solo ciò che è

atto divino; perché le intenzioni di Dio sono per noi imperscrutabili eccetto in

quanto si manifestano nei suoi atti. Possiamo forse parlare di qualche cosa

che non avvenga per volere divino?

Anche la parola «trasgressione» non sembra essere la migliore (7).

Naturalmente deve essere presa nel senso originale di andare o passare al di

là. L’autore evidentemente intende un contravvenire temporaneo in seguito a

una particolare emergenza; e questa sarebbe stata l’espressione più

appropriata.

L’idea di Hume, dunque sembrerebbe più esattamente espressa in questi

termini: «Un miracolo è una sospensione, in una particolare emergenza e solo

temporaneamente, di una legge di natura per diretto intervento della

divinità». Potremmo aggiungere, per completare la comune concezione di

miracolo, le parole: «in attestazione di qualche verità».

E qui sorge la questione principale, già accennata. Come possiamo

conoscere, di fronte a un fenomeno inconsueto che ci si presenti, che esso è

realmente un effetto dello speciale intervento di Dio? In altre parole se è o no

miracoloso?

Ma non voglio nemmeno porre la questione a noi, finiti e limitati come

siamo. Essa può essere posta ancora più energicamente. Immaginiamo un

saggio, dotato più di ogni altro mortale, di una mente così lucida, di una

cultura così vasta che l’intera esperienza del mondo passato, secolo per secolo,

fin dalla creazione dell’uomo, gli si dispieghi chiaramente dinanzi.

Immaginiamo che la domanda sia rivolta a lui. Ebbene, un essere così

soprannaturalmente dotato, avrebbe il diritto di decidere, avrebbe i mezzi

per decidere, in ogni evento che possa capitare oggi, se è o non è un miracolo?

Egli può sapere, cosa che noi mai potremo, che un’uniforme esperienza,

continuata per migliaia di anni e non mai interrotta da una sola eccezione ha

stabilito, per quanto una passata esperienza possa stabilire, l’esistenza di una

 

62

legge naturale o di una sequenza costante; e può osservare una variazione, la

prima mai capitata, a questa legge. Ma gli è forse dato di conoscere se la

divinità, per certe esigenze, ho sospeso le sue proprie leggi o se questa

variazione non è parte integrale della stessa legge originale? In altre parole, se

la legge apparente, giudicata da un’induzione che corre per migliaia di anni, è

la piena espressione di quella legge, o se l’eccezione che appare adesso per la

prima volta non è compresa nella primaria espressione della legge stessa

quando agì per la prima volta nel grande meccanismo dell’universo?

Forse il Creatore del mondo non ha il potere di stabilire, per dirigerlo,

leggi, per così dire, di carattere cangiante? Ossia tali da mantenere per il corso

di molti secoli, una sequenza costante e poi, a un certo momento, per virtù di

questo carattere (impresso dallo stesso originale comando che aveva

determinato la diuturna costanza di prima), manifestare una variazione?

Noi, sue creature, anche con poteri limitati, sappiamo come imprimere ai

meccanismi umani leggi di un tale carattere. L’esempio fornito dalla

macchina calcolatrice di Babbage, per quanto familiare, si presenta così

naturalmente a questo proposito, che posso essere scusato se lo presento.

La macchina di Babbage, intesa a calcolare e stampare tavole matematiche

e astronomiche per il Governo Britannico, offre interessanti risultati

accidentali. Ne è un esempio il seguente, fornito dall’inventore stesso; e di tal

carattere che non è necessaria né la conoscenza del meccanismo né una

familiarità con le scienze matematiche per capirlo.

Egli ci invita a immaginare che la macchina sia stata messa a punto. Essa

viene posta in movimento da una forza, e lo spettatore, seduto davanti a essa,

osserva una ruota che si muove di un piccolo angolo attorno al suo asse

presentando successivamente al suo occhio, a brevi intervalli, una serie di

numeri stampati sulla sua superficie graduata. Ci chiede di supporre che le

figure così viste siano la serie dei numeri naturali, 1, 2, 3, 4, ecc. ognuno

superiore di un’unità a quella precedente. Allora così continua:

«Adesso, lettore, permettetemi di chiedervi quanto a lungo avrete contato

prima di esservi fermamente convinto che il congegno, supponendo che la sua

regolazione sia rimasta inalterata, continuerà, finché è in moto, a produrre la

stessa serie di numeri naturali. Forse alcune menti sono tali che, dopo che

siano passati i primi cento numeri, si convincano di avere capito le legge.

Dopo avere visto cinquecento numeri pochi ne dubiteranno, e dopo

cinquemila, la tendenza a credere che il numero successivo sarà cinquemila e

uno diverrà quasi irresistibile. Questo numero, infatti, sarà cinquemila e uno,

e la stessa regolare successione continuerà: il cinque milionesimo e il

cinquanta milionesimo numero appariranno nell’ordine atteso, e una

 

63

ininterrotta catena di numeri naturali passera dinanzi ai vostri occhi da uno

a cento milioni.

«Secondo la vasta induzione che è stata così fatta, il prossimo numero sarà

di cento milioni e uno; ma, in seguito, il successivo numero presentato dal

margine della ruota, invece di essere cento milioni e due è cento milioni

diecimila e due. L’intera serie dall’inizio, sarà:

1

2

3

4

. . .

. . . . .

99.999.999

100.000.000

regolare fino a 100.000.001

100.010.002 la legge cambia

100.030.003

100.060.004

100.100.005

100.150.006

100.210.007

. . . . . . . . . . .

«La legge che sembrava dapprima governare questa serie è venuta meno al

centomilionesimo secondo numero, che è superiore di 10.000 al numero

atteso. Il numero seguente è superiore di 30.000, e l’eccesso dei numeri

seguenti a quello che ci aspettavamo è di 10.000, 30.000, 60.000, 100.000,

150.000 ecc; si tratta infatti di una serie di cosiddetti numeri triangolari».

Babbage continua dicendo che questa nuova legge, dopo essere continuata

per 2761 numeri, viene meno al duemila settecento sessantaduesimo numero,

quando entra in azione una terza legge che continua per 1430 numeri, dopo di

che cede il posto a un’altra che si estende per 950 numeri, e questa, come le

precedenti, viene meno a sua volta ed è sostituita da altre leggi che appaiono a

differenti intervalli.

Babbage così commenta questo straordinario fenomeno:

 

64

«Si noterà che la legge che ogni numero presentato dalla macchina

supera di un’unità il precedente, dedotta dall’osservatore da

un’induzione di cento milioni di prove, non era la vera legge che

regolava l’azione; che il presentarsi del numero 100.010.002 al

centomilionesimo secondo termine era una necessaria conseguenza della

regolazione originale e poteva essere preveduta all’inizio al pari della

successione regolare dei numeri intermedi al loro immediato precedente. Lo

stesso si può notare della successiva apparente deviazione dalla nuova legge

fondata su di un’induzione di 2761 numeri, e di tutte le successive leggi; con

solo questa limitazione che, mentre la loro consecutiva introduzione a vari

dati intervalli è una necessaria conseguenza della struttura meccanica

dell’apparecchio, la nostra conoscenza dell’analisi non ci permette ancora di

predire i periodi nei quali le leggi più lontane verranno introdotte» (8).

L’esempio non deve. essere preso per dimostrare più di quanto non

dimostri. E’ certo non solo un saggio ma un necessario provvedimento della

natura il fatto che la costanza di ogni sequenza nel passato ci ispiri la fiducia

che continuerà nel futuro. Senza tale fiducia la comune economia della vita si

arresterebbe. Se dubitassimo che il sole si alzerà domani come ha fatto oggi o

che le stagioni continueranno ad alternarsi regolarmente, vivremmo in mezzo

a scrupoli ed esitazioni. Ogni calcolo verrebbe deluso, ogni attività sarebbe

scoraggiata.

Le probabilità, così incalcolabilmente grandi, nella maggioranza dei casi,

da divenire praticamente certezza, sono in favore della costanza delle

sequenze naturali. E la corrispondente aspettativa, comune a uomini e

animali, è istintiva.

Tutto questo non è soltanto vero ma è palpabile dalla nostra coscienza

quotidiana: una verità su cui è fondata l’intera superstruttura delle nostre

speranze e delle nostre azioni di ogni giorno. La ruota con la sua superficie

graduata, sempre in moto, presenta effettivamente agli occhi umani, secolo

dopo secolo, uniformità di sequenza; e quando la catena continua è scorsa per

migliaia e milioni di volte, siamo giustificati, ampiamente giustificati se

aspettiamo che il prossimo termine obbedirà alla stessa legge che ha

determinato il precedente. Tutto quello che ho voluto fare, nella mia

argomentazione, è di tener viva nella nostra mente la convinzione che può

esservi un centomilionesimo secondo termine nel quale la vasta induzione

viene meno; e che, se questo avviene, non abbiamo il diritto di concludere che

il cambiamento, per quanto appaia senza precedenti, non sia una necessaria

conseguenza di una regolazione originaria come lo era l’infinita uniformità

che lo precedeva.

 

65

Bisogna ammettere l’estrema rarità di ciò che ho chiamato leggi cangianti

della natura; ma non l’improbabilità della loro esistenza. In un mondo che

porta stampata in ogni parte l’insegna del progresso e che, per quanto

sappiamo, può continuare a durare per innumerevoli secoli, leggi di tal

carattere, che si adattano a nuovi stati di cose, possono essere considerate

molto verosimili (9).

Ma, per il presente argomento, basta stabilire la possibilità di tali leggi. Se

esse sono possibili, allora relativamente a ogni evento dei tempi moderni (sia

pure di carattere strano, ma bene attestato), non possiamo più sostenere che,

poiché contrario alla passata esperienza, esso sarebbe miracoloso e di

conseguenza impossibile. Non possiamo farlo così come chi osservi

l’apparecchio di Babbage non può affermare, quando la lunga uniformità di

una frequenza trascorsa viene inaspettatamente violata, che l’autore è ricorso

alla magia nera ed è sconfinato nel soprannaturale (10).

In verità, vi sono molte più forti ragioni contro tale supposizione nel nostro

caso che in quello di un supposto osservatore davanti alla macchina

calcolatrice. Egli ha osservato l’intera serie fino a cento milioni. Quanto

insignificante è la frazione che è passata dinanzi ai nostri occhi! Quanto

imperfetta la nostra conoscenza della frazione passata sotto gli occhi dei

nostri antenati! Quanto insufficienti sono dunque i dati per decidere che

l’uniformità del passato è stata continua!

E qui, oltre ogni dubbio, troviamo una fonte di errore infinitamente più

frequente di quanto non sia l’errore nel riconoscere una legge cangiante. Io ho

avanzato l’esistenza di tali leggi come una possibilità che l’uomo non può

negare; e tuttavia solo come un argomento per far fronte a un caso estremo,

un caso così estremamente raro, che, nonostante la sua sicura possibilità, può

non presentarsi mai alla nostra osservazione. Per quanto estesa sia la portata

della nostra limitata esperienza, l’argomento, innegabile, può non avere

alcuna applicazione pratica. Forse non avremo mai la fortuna di trovarci

davanti alla macchina nel momento in cui il cento milionesimo secondo

termine, presentandosi inaspettamente, indica un allontamento da tutti i

precedenti.

Fra le leggi che vediamo all’opera, può darsi che non ne osserviamo mai

una che i nostri antenati non abbiamo già visto operare. E’ molto probabile.

In altre parole, se ci si presenta ora un fenomeno che noi siamo tentati di

considerare come una violazione della legge naturale, è più probabile -

diecimila probabilità contro una - che un simile fenomeno si sia già

manifestato più o meno frequentemente nel passato che non che si presenti

ora per la prima volta nella storia della nostra razza.

 

66

La fonte del nostro errore, dunque, quando scambiamo lo straordinario per

il miracoloso, è molto più frequente nella nostra ignoranza di ciò che è stato,

che nella nostra falsa concezione di ciò che può essere.

L’errore stesso, quali che ne siano le fonti, è grave, comportando

importanti conseguenze pratiche che hanno variato i loro principali caratteri

nei vari periodi del mondo. Ai nostri giorni il risultato usuale è l’incredulità,

prima ancora dell’esame, su tutti i fenomeni che sembrano, alla nostra

limitata esperienza, incapaci di spiegazione razionale. Uno o due secoli fa lo

stesso errore ha assunto spesso forme diverse. Quando si presentava agli

uomini di allora un fenomeno di cui non comprendevano le cause e che, per

questo, sembrasse loro fuori del corso della natura, essi erano indotti a

considerare certo che avveniva o per opera del diavolo o per intervento della

divinità per affermare qualche verità contestata. Così Racine riferisce quella

che chiama la miracolosa guarigione della signorina Perrier, nipote di Pascal,

allora interna del celebre Convento di Port-Royal; e Pascal stesso cerca di

provare che questo miracolo era necessario alla religione, e che venne attuato

per giustificare le suore di quel convento, ardenti gianseniste e per questo

messe al bando dai Gesuiti. La Place, considerando tutto ciò come impostura,

lo presenta come un increscioso esempio - «penoso a vedersi e a leggersi» - di

quella cieca credulità che è spesso la debolezza dei grandi uomini (11).

La verità in questo caso, come in molti altri, può essere razionalmente

cercata fra queste opinioni estreme. A tanta distanza di tempo, non possiamo

stabilire con esattezza i fatti; ma, senza mettere in dubbio la buonafede di una

folla di rispettabili testimonianze, possiamo giudicare probabile che la

guarigione sia stata veramente straordinaria, dovuta forse all’influenza di una

mente eccitata sul corpo, o a qualche agente magnetico o non ancora

riconosciuto dalla scienza; a ogni modo a qualche causa naturale sebbene

nascosta. Pascal e La Place sono senza dubbio ugualmente in errore:

quest’ultimo negando che fosse avvenuta una meravigliosa guarigione, il

primo cercando le sue cause nello speciale intervento di un potere

soprannaturale e immaginando che Dio avesse sospeso per l’occasione una

grande legge naturale allo scopo di sostenere le cinque proposizioni di

Giansenio, di ammonire un certo ordine religioso e di offrire un momentaneo

trionfo a poche suore perseguitate.

Errori simili avvengono di frequente. Forse il più impressionante esempio

che si ricordi è contenuto in quello straordinario episodio della storia delle

epidemie mentali d’Europa, la storia di coloro che sono stati chiamati i

Convulsionari di St. Médard. A questo allude Hume nel paragrafo da cui ho

già tratto citazioni quando scrive:

 

67

«Non vi è certo mai stato un maggior numero di miracoli attribuiti a una

persona di quelli che ultimamente si disse fossero avvenuti in Francia sulla

tomba dell’abate François de Pâris, il famoso giansenista, della cui santità il

popolo si illuse così a lungo. Le guarigioni dei malati, che davano udito ai

sordi e vista ai ciechi, erano celebrate dappertutto come consueti effetti di

questo santo sepolcro. Ma, cosa ancor più straordinaria, molti dei miracoli

erano immediatamente provati sul luogo, davanti a giudici di indubbia

attendibilità, attestati da testimoni onorevoli, in un secolo dotto, e sulla scena

più eminente che ci sia oggi al mondo. Né è tutto: una relazione di quei

miracoli fu pubblicata e diffusa dappertutto; e i Gesuiti, ordine dotto,

sostenuti dalla magistratura civile e nemici dichiarati di quelle opinioni in

favore delle quali si diceva che i miracoli fossero avvenuti, non riuscirono mai

a respingerli decisamente o a smascherarli. Dove potremo trovare un tal

numero di circostanze concordanti per corroborare un fatto? E che cosa

possiamo opporre a un tale stuolo di testimonianze se non l’assoluta

impossibilita della natura miracolosa degli eventi riferiti? Certo solo questo,

agli occhi di tutte le persone ragionevoli, sarà considerato una sufficiente

confutazioni».

Hume si pone qui nella categoria di coloro che Arago considera scarsi di

prudenza. Egli afferma che certi eventi sono impossibili perché contrari alla

sua esperienza. E’ ingannato dalle pretese di coloro che riferivano i fatti.

L’eminente magistrato alla cui elaborata opera dobbiamo il racconto di questi

eventi (Carré de Montgéron) afferma che essi erano stati prodotti dallo

speciale intervento di Dio, inteso, per intercessione del defunto abate, a

sostenere la causa dei Giansenisti Appellanti e a condannare le dottrine della

bolla Unigenitus (13). Hume non può ammettere la ragione e la giustizia di

tali pretese. Non possiamo farlo neppure noi. Ma qui bisogna distinguere.

Una cosa è rifiutare credito alla realtà del fenomeno, e un’altra respingere

l’interpretazione che ne viene data. Possiamo ammettere l’esistenza delle

comete e tuttavia negare che esse indichino la nascita o la morte di un eroe.

La prima è una questione di fatto, la seconda è solo un’ inferenza

dell’immaginazione.

Questo punto di vista non sembra essersi presentato, a suo tempo, né ai

sostenitori né ai negatori. Gli inquisitori gesuiti, incapaci di contestare i fatti,

non trovarono altra spiegazione che attribuirli alla stregoneria e al diavolo. Né

venne loro in mente altro modo per confutare l’opera di Montgéron che di

farla bruciare per mano del carnefice il 18 febbraio del 1739.

La scienza moderna è più discriminatrice. I migliori fra coloro che hanno

scritto sull’insania e soggetti affini, dopo aver fatto le debite concessioni alle

esagerazioni proprie del calore della controversia e delle inesattezze in cui

l’ignoranza della fisiologia faceva sicuramente cadere osservatori inesperti,

 

68

trovano tuttavia sufficienti prove residue per accertare, senza cavilli, la realtà

di certe guarigioni e di altri meravigliosi fenomeni esibiti; ma ne cercano la

spiegazione in cause naturali (14). Non immaginano che la divinità sospenda

le leggi di natura per disapprovare una bolla papale; ma nemmeno

dichiarano, con Hume, l’impossibilita dei fatti detti miracolosi.

Un giudizio simile a quello che lo storico scozzese, più di un secolo fa, diede

sui miracoli di St. Médard, viene dato ai nostri giorni, da una vasta

maggioranza in tutto il mondo, per tutte le cosiddette apparizioni o altri fatti

di carattere ultraterreno. L’opinione comune è che tali cose non possono

avvenire se non miracolosamente, ossia per speciale intervento divino e

temporanea sospensione da parte di esso, in favore di certe persone, di una o

più leggi che governano l’universo. E coloro che non credono ai miracoli

respingono, senza esame, ogni prova tendente a stabilire la realtà di questi

fenomeni.

Io non sto qui ad affermare che tali fenomeni avvengono. Cerco solo di

sostenere l’opinione che, se avvengono, sono il risultato di leggi naturali come

la pioggia o il tuono. Cerco di presentare a chi crede nella loro esistenza le

ragioni per cui dovrebbero cessare di appigliarsi a ogni tendenza verso il

soprannaturale.

Nei capitoli seguenti si troveranno numerosi esempi di questi fenomeni.

Frattanto, ammettendo per un momento la realtà di questo punto, potrei

avanzare, su semplici principi generali, un argomento che si riconnette a esso.

A una domanda che si presenta naturalmente, a cioè a qual fine Dio permetta

(se lo permette) eventi ultraterreni, io posso rispondere che questo avviene

indubbiamente per un proposito comprensivo quanto benevolo; che possiamo

ragionevolmente immaginare che Egli apra alla nostra razza un mezzo per

conoscere con maggiore certezza un altro mondo, onde dare nuovo impulso al

nostro progresso verso la saggezza e la bontà in questo, e più specialmente per

correggere quella assorbente mondanità, vizio assillante della nostra epoca,

che si insinua nella sua civiltà e avvilisce le aspirazioni più nobili. E, se si

ammette che questa sia una congettura razionale, posso andare oltre e

chiedere come possiamo supporre, con qualche probabilità, che Dio attui

questo intento: se in modo parziale ed eccezionale, con una inopportuna

sospensione delle Sue stesse leggi a beneficio di alcuni dei suoi figli favoriti, o

per l’opera dell’ordine universale della natura a comune vantaggio di tutte le

Sue creature, in silenziosa imparzialità e armonia, così come fa sorgere il sole

al mattino e cadere la rugiada alla sera.

Potrei fare ancora un passo e chiedere se, qualora una tale estensione del

nostro orizzonte terreno entri nel disegno divino, si possa ragionevolmente

immaginare che il Grande Costruttore trovi il suo proposito ostacolato dalle

 

69

leggi da Lui stesso costruite; o se non si adatti meglio all’idea della

onnipotenza e onnipresenza divina concludere che, nell’originale regolazione

dell’economia del mondo, una tale contingenza era stata prevista

provvedendo in proposito, come certo è avvenuto per ogni altra esigenza

umana.

Questi argomenti possono non essere inopportuni. Tuttavia ogni

ragionamento a priori che riguardi le intenzioni divine e i mezzi che

immaginiamo possano essere scelti da Dio per attuarle, mi sembra arrischiato

e inconclusivo. Penso che facciamo meglio a prender nota di quello che Dio fa,

piuttosto che a congetturare i Suoi pensieri, che, ci è stato detto, non sono

come i nostri. E’ più sicuro ragionare secondo la nostra esperienza delle Sue

opere, che secondo la nostra concezione dei Suoi attributi; perché questi sono

avvolti nel mistero, mentre quelle sono aperte dinanzi a noi.

Fondo dunque il caso non sull’indefinitezza di un’induzione generale, ma

sulle dirette prove dei fenomeni osservati. Queste prove verranno date a suo

tempo. Per il momento mi limiterò a esprimere la mia convinzione, fondata

sulla prova sperimentale, che se la divinità sta adesso permettendo una

comunicazione fra le creature mortali in questo stadio di esistenza e gli spiriti

disincarnati, in un altro stadio, Essa si vale di cause naturali e di leggi generali

per raggiungere il Suo scopo, senza ricorrere per questo all’occasionale e al

miracoloso.

Nota

Sarà evidente per l’attento lettore che l’argomento trattato nel presente

capitolo vale solo in quanto possiamo accettare la popolare definizione di

miracolo; la stessa adottata da Hume. Alcuni illustri teologi ne hanno assunta

una molto diversa; Butler, per esempio, nella sua nota Analogia della

religione, nella quale inclina per una concezione del soggetto non dissimile

da quella che io stesso ho accolto. «Vi è una vera credibilità», egli dice, «nella

supposizione che può far parte del piano originale delle cose il fatto che vi

siano interventi miracolosi». E lascia in dubbio se non dovremmo «chiamare

miracoloso tutto quello che la Provvidenza ci dispensa come incomprensibile

senza una Rivelazione e al di fuori del noto corso delle cose» (15).

Un altro distinto prelato parla ancora più chiaramente. In uno dei suoi

sermoni l’arcivescovo Tillotson dice: «L’essenza di un miracolo non è, come

molti pensano, il fatto che sia un immediato effetto del Potere Divino. E’

 

70

sufficiente che ecceda ogni potere naturale a noi noto come capace di

produrlo» (16).

Questo cambia totalmente la definizione comune. Se non dobbiamo

considerare «l’essenza di un miracolo il fatto che sia un immediato effetto del

Potere Divino», se possiamo chiamare propriamente miracoloso ogni fatto

che è «al di fuori del noto corso delle cose», se possiamo considerare miracolo

qualsiasi fenomeno «che ecceda ogni potere naturale a noi noto come capace

di produrlo», allora è evidente che il miracolo di un’epoca può essere un

evento naturale in un’epoca successiva. In questo senso noi stiamo vivendo,

anche adesso, fra i miracoli.

E seguendo in questo Butler e Tillotson, non stiamo affatto invalidando

l’efficacia dei primi miracoli cristiani. La loro influenza sulle menti umane fu

la stessa sia che fossero il risultato di leggi parziali o generali. Praticamente

attrassero l’attenzione, rafforzandoli, sugli insegnamenti di un sistema la cui

innata bontà e la cui grandezza morale erano insufficienti a sostenerlo nella

semibarbarie dei tempi. Quale che fosse il loro carattere, assolsero al loro

compito. E gli errori su questo carattere, se vogliamo chiamarli errori,

possono essere stati i mezzi stessi offerti dalla Provvidenza per favorire e far

progredire, nella sua infanzia, una religione di pace e di buona volontà che

zampillava in un’epoca di guerre e di discordie. E, in un certo senso, non fu un

errore, se vogliamo considerarlo tale, di essenza, ma piuttosto di modo. I

segni e le meraviglie che si affermarono sull’indifferenza e risvegliarono la

fede degli Ebrei e dei Gentili, sia che fossero prodotti dalla momentanea

sospensione di una legge o da una sua attività preordinata, erano egualmente

opera di Colui da cui procede ogni legge. E dovremo giudicare minore l’opera

di Dio solo perché, nel progresso dei suoi insegnamenti, Egli ci mostra

gradualmente i modi con cui agisce per attuarla? In tal caso Lo venereremmo

meno in cielo che sulla terra.

E’ forse una supposizione irragionevole quella che può essere proposito

divino alzare il velo di mille e ottocento anni a seconda che i nostri occhi siano

in grado di sostenere la luce? A seconda che le nostre menti possano

accogliere le tante cose che Cristo non insegnò ai suoi tempi a coloro che non

potevano comprenderle? A seconda che siamo preparati a ricevere il

cristianesimo per la sua intrinseca eccellenza e per la sua intima evidenza,

senza l’aiuto di garanzie esterne?

Ma io avanzo queste supposizioni che toccano solo incidentemente e

ipoteticamente materie che sono oltre la nostra conoscenza. Esse non sono

essenziali per il mio ragionamento né strettamente incluse nei propositi di

esso che sono quelli di trattare i miracoli moderni, e non gli antichi.

 

71

Note

(1) Essays and Treatise on Various Subjects, (Saggi e trattati su vari

soggetti), di Hume, seconda edizione, Londra 1784, vol. II pag. 122.

(2) Saggi di Hume, vol. II, Nota K, pag. 479.

(3) Saggi di Hume, vol. II, pag. 122.

(4) In un altro passo (pag. 119) Hume usa la parola infallibile in questo

contesto: «Un uomo saggio proporziona le sue credenze all’evidenza. In tali

conclusioni, fondate su di un infallibile esperienza, egli attende l’evento con

l’estremo grado di sicurezza, e considera la sua passata esperienza come una

completa prova della futura esistenza di quell’evento».

(5) «Saggi» di Hume, vol. II, pag. 133.

(6) «Saggi» di Hume, vol. II, nota K, pag. 480

(7) Sarebbe ipercritico opporci a questa espressione genericamente. I

migliori autori la hanno usata nel senso di Hume, sebbene piuttosto in poesia

che in prosa. Così Dryden:

«A lungo rimase il nobile giovane, oppresso da sacro terrore,

E stordito dalle meravigliose cose che vedeva,

Tali da sorpassare la fede comune e da trasgredire le leggi della natura».

Ma l’approssimatività di un’espressione che adorna una frase poetica, o

passa senza biasimo in un testo letterario, dovrebbe essere evitata in un

argomento strettamente logico e in particolare in una definizione.

(8) Ninth Bridgwater Treatise, di Charles Babbage, seconda edizione

Londra 1838, pagg. 34-39. Il passo è stato già citato da altri a proposito di una

questione fisiologica.

(9) La scienza moderna ci sta rivelando alcune luci che possono brillare

come prove positive di questa ipotesi. Sir John Herschel, scrivendo al geologo

Lyell e alludendo a ciò che chiama «il mistero dei misteri, la sostituzione di

specie estinte da parte di altre», dice:

«Per parte mia, non posso che considerare una inadeguata concezione del

Creatore credere sicuro che le Sue combinazioni siano esaurite nei vari teatri

del loro primitivo manifestarsi. In questa come in altre Sue opere, noi siamo

indotti da tutte le analogie a supporre che Egli agisca attraverso una serie di

cause intermedie, e che, in conseguenza, l’origine di nuove specie, se mai

 

72

potesse venire a nostra conoscenza, risulterebbe un processo naturale e non

miracoloso; sebbene non si possa scorgere indizio di alcun processo,

attualmente in atto, tale da portare verosimilmente a questi risultati».Lettera

di Herschel del 20 febbraio 1836, pubblicata in appendice all’opera citata di

Babbage, pag. 266.

(10) Rileggendo questo capitolo un anno dopo - e precisamente nel marzo

del 1859 - in un circolo privato di amici a Londra, uno di loro richiamò la mia

attenzione, riguardo all’argomento di esso, su di un articolo appena

pubblicato sull’Athenaeum di Londra, attribuito (credo esattamente) al

professor De Morgan dell’università londinese. Si trattava di un esame di

quello strano incarico assuntosi da un uomo di prim’ordine, virtualmente

seguace delle false direttive di Hume: la straordinaria conferenza di Faraday

sull’Educazione mentale, pronunciata dinanzi al principe Alberto alla

Royal Insitution. E fu per me una soddisfazione trovare in questo articolo

scritto dalla penna di uno dei primi matematici di Europa, un paragrafo come

il seguente:

«Il filosofo naturale, quando immagina una impossibilità fisica, che

non sia qualche cosa di inconcepibile, afferma semplicemente che il suo

fenomeno è contrario a tutto ciò che è stato fin allora conosciuto nel corso

della natura. Prima di poter sostenere una impossibilità egli deve fare

accettare al suo lettore o ascoltatore un postulato che la natura non ha mai

insegnato: ossia che il futuro concorda sempre col passato. Come possiamo

sapere che questa sequenza di fenomeni sarà sempre tale? Si risponde: perché

è sempre stato così. Ma, anche ammettendo che è sempre stato così, come

possiamo sapere che quello che è sempre stato sempre sarà? Si risponde:

sento che la mia mente mi costringe a questa conclusione. E come potete

sapere che le inclinazioni della vostra mente sono sempre dirette verso la

verità? La risposta dovrebbe essere: perché sono infallibile; ma questa

risposta non viene mai data». Athenaeum, n° 1637, 12 marzo 1859, pag.

350.

(11) Vedi l’introduzione alla sua Théorie analytique des Probabilités,

VII vol. delle sue opere, Parigi 1847, pag. 95.

Per la storia stessa il lettore può riferirsi all’Abregé de l’histoire de

Port-Royal, di Racine, Parigi 1673. 11 cosiddetto miracolo avvenne nel 1656.

La giovane Perrier era afflitta da una fistola lacrimale. All’occhio malato

venne applicata una reliquia: si diceva una spina della corona che i soldati

ebrei avevano posto per derisione sulla testa di Cristo. La ragazza disse che il

contatto l’aveva guarita. Alcuni giorni dopo venne esaminata da vari medici e

chirurghi, che confermarono il fatto della sua guarigione ed espressero

l’opinione che esso non fosse stato compiuto per trattamento medico né per

 

73

cause naturali. Inoltre la guarigione fu attestata non solo da tutte le suore del

convento - famose in tutta Europa per la loro austerità - ma confermata da

tutte le prove che una moltitudine di testimonianze di indubbio carattere -

uomini di mondo e medici - potevano dare in proposito. La Regina Reggente

di Francia, che aveva molti pregiudizi contro Port-Royal come covo di

giansenisti, mandò il suo stesso chirurgo, il signor Felix, a esaminare il

miracolo; ed egli tornò totalmente convertito. Esso appariva così

incontestabile, anche ai nemici delle suore, che salvò letteralmente, per

qualche tempo, il convento dalla rovina da cui era minacciato da parte dei

Gesuiti: rovina che tuttavia avvenne cinquantatrè anni dopo, con la

soppressione del convento; esso fu chiuso nell’ottobre del 1709 e raso al suolo

l’anno successivo.

A Racine - che scriveva nel 1673 e quindi non poteva essere al corrente di

questi fatti - non venne in mente che Dio stesso non accetta di essere deriso

dall’uomo, e che è difficile immaginare che interferisca, oggi, a sostegno di

una causa, permettendo che domani essa precipiti dinanzi agli sforzi dei suoi

nemici.

Ma qui ci avviciniamo a un soggetto nascosto ai nostri limitati sguardi: le

intenzioni dell’Infinito. Noi non siamo maggiormente giustificati

nell’affermare che Dio non aveva particolari propositi nel permettere un

fenomeno straordinario che all’ignoranza dei tempi sembrava un miracolo,

che nell’affermare quali questi propositi potessero essere.

(12) Saggi di Hume. vol. II, pag. 133.

(13) La Verité des miracles opérés par l’intercession de M. de

Paris et autres Appelans, del signor Carré de Montgéron, Consigliere al

Parlamento di Parigi, seconda edizione, Colonia 1745.

Copio dalla sua «Avvertenza», a pag. 5: «Il s’agit de miracles qui prouvent

evidemment l’existence de Dieu et sa providence, la vérité du Christianisme,

la sainteté de l’église Catholique et la justice de la cause de Appellans de la

bulle Unigenitus». (Si tratta di miracoli che provano evidentemente

l’esistenza di Dio e della sua provvidenza, la verità del cristianesimo. la santità

della Chiesa cattolica e la giustizia della causa degli Appellanti contro la bolla

Unigenitus).

Il peso delle prove portate, in questa singolare opera, a favore dei principali

miracoli considerati sicuri, sarebbe sufficiente a una giuria di venti uomini in

una corte di giustizia. Non credo che una tal massa di testimonianze sia mai

stata raccolta per sostenere dei fatti contestati.

Avevo preparato e intendevo inserire in questo volume, un capitolo che

conteneva un riassunto di tale meravigliosa epidemia e dei fenomeni da essa

 

74

portati alla luce; e volevo anche dedicare vari altri capitoli ai particolari di

altri episodi storici di simile carattere. Ma il soggetto mi crebbe fra le mani

fino a tali dimensioni che fui costretto a rinunciarvi.

(14) Consultare, per esempio, l’eccellente opera del dott. Calmeil, De la

folie, considérée sous le point de vue pathologique, philosophique,

historique et judiciaire, Parigi 1845. Si troverà nel vol. II, pagg. 313-400,

nel capitolo intitolato «Théomanie extato-convulsive parmi les Jansénistes»,

in cui il soggetto viene esaminato nei particolari da un punto di vista medico e

spiegazioni naturali vengono offerte per i fenomeni in questione, molti dei

quali sono così impressionanti che Hume, ignaro com’era degli effetti prodotti

dal sonnambulismo, dalla catalessi e da altri stati normali dell’uomo, può

essere perdonato per la sua incredulità.

Calmeil crede - e sembra molto probabile - che queste convulsioni

costituissero una malattia nervosa di carattere grave, probabilmente isteria

complicata da sintomi estatici e catalettici. Egli dice: «Dès 1732, l’hystérie se

complique de phénomènes extatiques, et phénomènes cataleptiformes». Vol.

II pag. 395.

(15) Analogy of Religion to the Constitution and Course of

Nature. (Analogia della religione con la costituzione e il corso della natura).

Parte II, cap. 2.

(16) Sermone CLXXXII.

 

75

4 - L’improbabile

«Si può dire, rigorosamente parlando, che questi tutta la

nostra conoscenza consiste di sole possibilità».

La Place; Théorie des Probabilités, Introduzione.

Nella ricerca della verità vi sono due modi di procedere: l’uno è di mettersi

lì con una massa di preconcetti; stabilire, prima di cominciare la ricerca,

quello che può essere, o non può essere, o deve essere; farci in anticipo quelle

che chiamiamo idee chiare su ciò che è naturalmente possibile o impossibile;

e poi partire, armati contro tutte le novità che non si conformano alle nostre

idee, col fermo proposito di non perder tempo a esaminarle. L’altro, modesto

e baconiano, è di avanzare nel mondo con gli occhi e gli orecchi aperti, come

liberi osservatori, col nostro pacco di opinioni non ancora legato e

incompleto; senza alcun paravento di deve essere innalzato per impedirci di

vedere e udire tutto quello che si presenti; senza alcuna impossibilità già

pronta per eliminare testimonianze attendibili; senza pregiudizi che

ostacolino la via contro prove di cose improbabili.

Pochi si rendono conto di quanto arbitrarie e inattendibili possano essere

le loro nozioni su ciò che è improbabile. Noi ridiamo della madre di Jack, che,

quando suo figlio, marinaio, cercò di convincerla che esistevano dei pesci

volanti, considerò il tentativo come un’offesa al suo buon senso, ma accettò

senza riserve la storia di quel briccone circa una ruota del cocchio del faraone

portata su da un dente dell’ancora dal fondo del Mar Rosso. Tuttavia quella

vecchia signora fa parte di una vasta classe che annovera fra i suoi membri

celebrità dotte e letterate, le quali hanno i loro pesci volanti che offendono il

loro buon senso al pari di lei. Sono fenomeni frequenti nell’ambito di

accademie scientifiche e di istituzioni reali.

Noi dimentichiamo, dopo un certo tempo, quelli che sono stati i pesci

volanti del passato. Sono necessarie referenze ufficiali per convincerci che per

quasi mezzo secolo dopo la brillante scoperta di Harvey, l’Accademia di

Medicina di Parigi fece parte di coloro che la classificavano fra le impossibilità

(1). Abbiamo quasi dimenticato che, fino all’inizio del nostro secolo, le vecchie

signore del mondo scientifico respingevano, con lo stesso sdegno del

prototipo della storiella, ogni fatto che provasse la realtà degli aeroliti (2).

Le pietre meteoriche e la circolazione del sangue hanno perduto adesso il

loro carattere di pesci volanti, sono state tolte dalla lista delle impossibilita e

 

76

inserite nel catalogo accreditato delle verità scientifiche. Un tempo era

volgare e ridicolo ammetterle; oggi la volgarità e l’assurdità consistono nel

negarne l’esistenza.

I fenomeni di Mesmer, d’altra parte, sono un esempio delle improbabilità

non ancora accettate.

«Quando ero a Parigi», scrive il poeta Rogers nei suoi Discorsi da

tavola «andai da Alexis e lo pregai di descrivermi la mia casa in Piazza St.

James. Sulla mia parola mi strabiliò. Descrisse nel modo più esatto tutti i

particolari delle scale; disse che non lontano dalla finestra del salotto c’era il

quadro di un uomo armato (il dipinto del Giorgione) e così via. Il colonnello

Gurwood, poco prima della sua morte, mi assicurò che Alexis gli aveva fatto

ricordare alcune circostanze che gli erano capitate in Spagna, e che egli non

riusciva a concepire come un qualsiasi essere umano, eccetto lui stesso,

potesse conoscere. Tuttavia non posso credere alla chiaroveggenza perché è

impossibile» (3).

Non perché le possibilità di osservazione erano troppo poche e gli

esperimenti richiedevano di essere ripetuti: questa sarebbe stata un’obiezione

valida. Non perché la prova era imperfetta e richiedeva una conferma:

l’opposizione di Rogers era più radicale. Nessuna prova sarebbe stata

sufficiente. I pesci non possono avere le ali: era cosa impossibile.

Un esempio ancora più grave e più ricco di influenze si può trovare in una

conferenza pronunciata nel 1854 alla Royal Institution dinanzi al Principe

Alberto e a una scelta udienza dal massimo studioso inglese di elettricità. Il

pesce volante di Rogers era la chiaroveggenza, quello di Faraday erano le

tavole giranti (4).

Ma, se i grandi uomini cadono in un estremo, non lasciamoci per questo

trascinare all’estremo opposto. Ricordiamoci che, prima che fossero addotte

sufficienti prove per accertarli, la circolazione del sangue, la caduta di

meteoriti, i fenomeni di chiaroveggenza, la realtà delle tavole giranti erano - o

sono ancora - delle improbabilità.

Ma vi sono poche proposizioni che il senso comune, confermando le più

accreditate autorità scientifiche, accolga più prontamente e con maggior

giustizia di questa: che quanto più un evento o un fenomeno sono per loro

natura improbabili, tanto più convincente deve essere la prova richiesta per

assicurarci della loro realtà (5).

E’ vero che il contrario di questa proposizione è stato talora plausibilmente

sostenuto quando meno ci saremmo aspettati una scusante per la credulità

(6); ma gli uomini sono stati tanto spesso mendaci, e tanto ancor più spesso,

ingannati, che, quando viene addotta la loro testimonianza come prova di

 

77

qualche cosa di meraviglioso e di unico, ogni insegnamento dell’esperienza ci

sconsiglia di accettarlo se non dopo il più severo esame e, se possibile, con il

concorso di molte testimonianze disinteressate e indipendenti l’una dall’altra.

Comunque l’argomento relativo al valore della prova ottenuta mediante

questo concorso di testimonianze su di uno stesso fatto, è stato spinto spesso,

a mio giudizio, oltre la sua portata. Quando la testimonianza umana entra

come elemento nel calcolo, la sua forza di disturbo può essere tale da

indebolire, fin quasi al punto di annullarla, la forza di ogni dimostrazione

strettamente matematica.

In sostanza l’argomento è stato posto così (7). Supponiamo due persone, A

e B, così veritiere e di mente lucida da potersi considerare molto probabile che

dicano la verità e che non vengano ingannate in dieci casi su undici. E

supponiamo che queste due persone, assolutamente sconosciute l’una all’altra

e senza rapporti reciproci, debbano testimoniare su qualche fatto. Se le loro

testimonianze sono concordi, quante sono le probabilità che il fatto sia

realmente accaduto?

Evidentemente cento a una. Perché, se la loro testimonianza concorda e il

fatto non è avvenuto, deve esservi l’intervento di una menzogna o di un

errore. Ma, siccome, anzitutto, vi sono dieci probabilità contro una che A non

menta e non sia ingannato, e, qualora questo avvenisse, vi sono ancora dieci

probabilità contro una che B riferisca la verità, è evidente che le probabilità

contro il doppio evento sono dieci volte dieci (ossia cento) contro una.

Proseguendo lo stesso calcolo, troviamo che, qualora le testimonianze

relative allo stesso fatto fossero tre, le probabilità sarebbero mille a una

contro la falsità della loro testimonianza, diecimila contro una se le

testimonianze fossero quattro, e così via. E’ dunque necessario solo un piccolo

numero di tali testimonianze per stabilire un grado di probabilità che, in

pratica, è molto vicino alla certezza.

E, seguendo ancora questo principio, si troverà che, se possiamo procurarci

testimonianze tali che sia solo più probabile la loro esattezza che la loro

falsità, ne troveremo sempre in numero sufficiente per stabilire l’avvenimento

di qualsiasi fatto o la realtà di qualsiasi fenomeno per quanto improbabili o

meravigliosi possano essere se considerati in se stessi.

Se i postulati sono sicuri, queste conclusioni ne seguono con evidenza; e

sono state usate dal dott. Chalmers (8) e da altri, a proposito dei miracoli, per

illustrare la grande massa di probabilità che risulta dal concorso di

testimonianze indipendenti.

 

78

La difficoltà sta nei postulati. A prima vista sembra facile trovare

testimonianze di così modesta veracità e intelligenza da poter dichiarare più

probabile la loro verità che la loro falsità.

Per quel che riguarda la falsità voluta, la cosa è fuor di dubbio. Comunque

il cinismo voglia presentarci il mondo, vi è in esso più sincerità che falsità. Ma

quanto alla certezza di non ingannarsi, questa è molto più difficile da

ottenere. In gran parte dipende dal genere dell’evento testimoniato o del

fenomeno osservato.

Un caso estremo ci può assicurare di questo. Se due testimoni indipendenti

di buona veracità depongono di aver visto una venditrice di mercato trarre sei

dozzine di uova da un paniere evidentemente abbastanza grande per poterle

contenere, giudicheremo il fatto sufficientemente provato. Ma se duemila

testimoni, egualmente di buona veracità, affermano di aver visto il Signor

Blitz o Robert Houdin trarre lo stesso numero di uova da un cappello

normale, non riusciranno a convincerci che quel cappello le conteneva

realmente, e noi diremo che sono stati ingannati da una destrezza di mano.

In questo caso, dunque, il postulato deve essere respinto. E, senza parlare

di impossibilità. matematiche, nei riguardi delle quali, ovviamente, nessun

numero di testimonianze concordi può valere come prova, il carattere

dell’evento o del fenomeno testimoniati avrà sempre molta importanza; e,

qualunque cosa un teorico possa dire, influenzerà sempre notevolmente la

nostra opinione non forse per quello che riguarda l’onesta ma per quello che

riguarda la possibilità di essere ingannati propria dei testimoni. Così che, nel

caso in cui sia in questione la prova di qualche meraviglia, la condizione

assunta, e cioè che ci varremo di testimoni capaci piuttosto di dire la verità

che di mentire o di essere ingannati, può non essere sufficientemente

rispettata.

La difficoltà di ottenere tale sicurezza, può inoltre, in certe circostanze,

aumentare grandemente. Vi sono epidemie mentali come ve ne sono di

fisiche, e durante la loro prevalenza le menti umane possono essere eccitate

così morbosamente e l’immaginazione così esaltata, che intere masse

diverranno incapaci di presentarsi come testimoni spassionati.

Vi è un’altra considerazione notata da Hume nel suo capitolo sui miracoli,

che non deve essere trascurata. «Sebbene si sia pronti a respingere», egli dice,

«ogni fatto che è inconsueto e incredibile in un grado ordinario, tuttavia,

andando oltre, le menti non osservano sempre la stessa regola». Egli pensa

che spesso accettiamo una affermazione fattaci, proprio per quella ragione

che dovrebbe indurci a respingerla, per il suo carattere più che meraviglioso.

E ne è spiegata, acutamente la ragione: «Poiché la sorpresa e la meraviglia che

sorgono dai miracoli sono emozioni piacevoli, ne deriva una sensibile

 

79

tendenza a credere a quegli eventi da cui tali emozioni provengono» (9). In

una parola dovremmo stare in guardia da quell’amore per il meraviglioso che

è inerente alla nostra natura.

Queste e simili considerazioni avranno sempre un peso per l’osservatore

prudente e riflessivo. Tuttavia bisogna ammettere che il principio surriferito,

del vasto accumularsi delle prove per il concorrere di testimonianze

attendibili, non solo è giusto se matematicamente considerato, ma, in una

quantità di casi, strettamente applicabile in pratica.

Troviamo, per esempio, in diverse epoche del mondo e in varie nazioni,

esempi costantemente ricorrenti di uomini che attestano certi fenomeni di

questo o simile carattere, e per quanto tali fenomeni ci sembrino altamente

improbabili, non saremmo giustificati se attribuissimo al caso il concorso di

queste testimonianze o considerassimo il tutto come sciocca superstizione,

sebbene al giorno d’oggi sia molto di moda farlo, orgogliosi di avere superato

le favole da ragazzi. Disgustati di avere scoperto un certo frammischiarsi di

errore e di follia, spesso mettiamo da parte un’intera classe di racconti come

assurdi e privi di fondamento, dimenticando che quando, in periodi remoti e

in luoghi distanti, senza possibilità di collusione, si manifestano

ripetutamente le stesse o simili apparenze, questa coincidenza dovrebbe

suggerirci la probabilità che qualche cosa di più consistente di un’illusione

possa entrare nel contesto delle cause che li producono (10). E’ vero solo

quello che è aderente alla vita e che nasce, con ricorrente sforzo, attraverso lo

scorrere dei secoli rimanendo elastico sotto la pressione e il disprezzo.

Prendiamo, per esempio, quelle descrizioni popolari che si riferiscono a

case infestate, la cui universale prevalenza è ammessa da coloro stessi i quali

si fanno beffe dell’idea che possano provare qualche cosa di diverso dalla

follia e dalla creduloneria del genere umano (11). E’ forse filosofico ignorare

presuntuosamente ogni prova che può presentarsi in favore della realtà di

questi disturbi?

Si può ammettere senz’altro che per molte di queste storie non si possa

trovare altro fondamento che i terrori panici da cui sono aggredite le menti

ignoranti; che altre siano certamente dovute a un semplice spirito di

malignità che vuole trarre divertimento da queste paure; e infine che in alcuni

casi la mistificazione possa avere coperto intenti più gravi (12). Ma per il fatto

che vi sono monete false dovremo escludere che ve ne siano delle buone? Le

imitazioni non hanno forse un originale?

In un’altra parte di quest’opera darò le prove che si presentano

spontaneamente a chi cerchi di rispondere con serietà a queste domande (13).

 

80

A coloro che affermano in anticipo che la risposta non merita di essere

cercata, ricorderemo che vi sono venti rapporti degni di esame per ogni

rapporto che può essere accolto senza esitazioni.

Vi è inoltre una classe di fenomeni, non meno diffusi dei disturbi a cui

abbiamo accennato - probabilmente collegati in qualche modo con essi, ma

più importanti - ai quali si applica perfettamente lo stesso principio relativo

alla concordanza delle testimonianze nelle varie epoche e nei vari paesi; e cioè

quelle strane manifestazioni che, per mancanza di un termine più preciso,

possono essere raggruppate come mesmeriche.

Senza cercare tra le ombre della remota antichità una spiegazione per tutto

quello che leggiamo delle cosiddette arti occulte - come tra i maghi dell’Egitto,

i precognitori e gli indovini della Giudea, le sibille e gli oracoli della Grecia e

di Roma (14) - troveremo, in tempi più recenti, ma cominciando da molto

prima della comparsa di Mesmer, una serie di fenomeni abbastanza simili per

far pensare a un’origine comune ed evidentemente riferibili alle stesse cause

inesplicabili e nascoste che operano durante uno stato anormale del sistema

umano da cui provengono le varie fasi del sonnambulismo e di altre

manifestazioni analoghe, fisiche e mentali, osservate dagli studiosi del

magnetismo animale.

Di tempo in tempo, nella storia psico-medica del medioevo e dell’Europa

moderna - talora fra i cattolici, altre volte fra i protestanti - questi fenomeni

ricorrono, per lo più in forma epidemica finché durano, pur rimanendo

tuttavia ogni fenomeno indipendente dagli altri e separato da essi dal tempo e

dallo spazio. Tutti sono narrati da scrittori che assumono le posizioni più

diverse quanto alla loro natura e alle loro cause, e tuttavia tutti, quale che sia

il narratore, con tratti di somiglianza familiare tanto più evidenti quanto più

studiati da vicino.

Gli esempi sono numerosi: la cosiddetta ossessione (dal 1632 al 1639) delle

Orsoline di Loudun con il suo seguito, nel 1642, fra le suore di Santa

Elisabetta a Louiviers; l’aberrazione mentale dei Profeti o Shakers

(Trembleurs) delle Cevennes (dal 1686 al 1707) causata dalle persecuzioni che

seguirono la revoca dell’Editto di Nantes; e gli pseudomiracoli dei

convulsionari di San Medardo (dal 1731 al 1741) sulla tomba dell’abate Pâris

(15).

Tutto ciò avvenne, sarà stato osservato, prima che il nome di Magnetismo

Animale fosse conosciuto o che fosse sospettata qualche naturale spiegazione

per queste strane manifestazioni; in un tempo in cui la loro investigazione era

considerata campo dei tribunali ecclesiastici e non della professione medica o

del ricercatore psicologo.

 

81

E per questa ragione, considerando che molti dei fenomeni in questione, in

quasi tutti gli esempi dati, assomigliano più o meno da vicino ad altri riportati

come osservati dai magnetizzatori moderni, la notevole concordanza di

testimonianze fra i narratori di essi diviene tanto più convincente della realtà,

in una forma o in un’altra, dei fatti narrati.

Poiché, quando troviamo, in una successione di esempi, una classe di

fenomeni, per quanto straordinari e inesplicabili, la probabilità che siano

genuini aumenta considerevolmente. Un fenomeno può essere giudicato

improbabile finché ci si presenta come unico della sua classe. Ma, appena ne

abbiamo raggruppati attorno a esso altri simili, raggiungiamo uno dei più

solidi argomenti a sostegno della probabilità della sua esistenza.

Ma, oltre alla probabilità o improbabilità inerenti a ogni fenomeno riferito,

e oltre alle considerazioni generali, universalmente ammesse, relative al

numero e alla concordanza dei testimoni, al loro carattere veritiero, alla loro

indipendenza da ogni interesse in quello che affermano, oltre tutto ciò, il

modo proprio di ogni deposizione o narrazione individuale ha molta

importanza per la fiducia che possiamo accordare al narratore. Se la

testimonianza è orale, vi sono sguardi e accenti di verità che ispirano

un’istintiva fiducia. E, sebbene in una testimonianza scritta la simulazione sia

più facile, anche in questo caso, tuttavia, un’aria di candore, o un certo senso

della mancanza di esso, sono in genere così legati a uno scritto che, se

abbiamo una qualche esperienza del mondo, possiamo formarci un’idea

esatta sull’onestà di chi scrive.

La modestia e la moderazione nel narrare richiamano la nostra fiducia: noi

siamo inclini a credere a ciò che viene affermato con minore arroganza. La

franchezza di convinzione del teste è in realtà necessaria per provocare una

corrispondente convinzione in chi ascolta; ma non ci sono due cose più

opposte della franchezza e il dogmatismo. Noi perdiamo ogni fiducia in un

uomo che, a starlo a sentire, è sempre nel giusto, che non fa alcun calcolo che

non sia esatto, non conduce alcuna esperienza che non riesca. Un parziale

fallimento spesso ci ispira più fiducia di un completo successo.

Né la probabilità di una osservazione, in se stessa attendibile, viene

materialmente indebolita dal fatto che altri sperimentatori in cerca di eguali

risultati, non li abbiano ottenuti. Un esperimento riuscito, sufficientemente

provato, non viene annullato da venti non riusciti. Il fatto che altri non lo

abbiano visto non toglie nulla a quello che ho visto io. Le condizioni di

successo possono essere difficili e precarie, specialmente quando sono

soggetto dell’esperimento esseri viventi. E anche per quello che riguarda le

sostanze inanimate, non vi è naturalista che abbia raggiunto alla fine qualche

importante scoperta senza prima essere fallito cento volte durante la sua

 

82

ricerca. Se anche molti osservatori intelligenti affermano di non avere

ottenuto risultati, la loro testimonianza negativa, a meno che non sia quasi

universale, può ridursi solo a una supposizione contraria e provare la realtà

del fenomeno studiato (16).

Se ad alcuni sembra che questa osservazione sia così evidente da essere

inutile, possono venire addotti esempi eminenti per mostrare che si tratta di

un errore a cui gli uomini sono particolarmente inclini.

Il 28 febbraio 1826, venne formata una commissione fra i membri della

Reale Accademia di Medicina, di Parigi, per esaminare il soggetto del

magnetismo animale. Dopo un’investigazione durata più di cinque anni, ossia

fino al 21 giugno 1831, la commissione si pronunciò, con molti particolari,

attraverso il suo presidente, dott. Husson, in favore della realtà di certi

fenomeni sonnambolici, fra i quali l’insensibilità, la visione con gli occhi

chiusi, la precognizione sulle proprie malattie e, in un caso, la precognizione

sulle malattie altrui. Il rapporto fu firmato all’unanimità. Alcuni anni più

tardi, e precisamente il 14 febbraio 1837, la stessa Accademia formò una

seconda commissione per lo stesso scopo; e questa, dopo circa sei mesi (il 7

agosto 1837), si pronunciò pure all’unanimità, attraverso il suo presidente,

dott. Bubois, esprimendo la sua convinzione che nessuno di questi fenomeni

avesse alcun fondamento eccetto che nell’immaginazione degli osservatori. Si

giunse a questa conclusione dopo avere esaminato due soli sonnambuli.

Il dott. Husson, commentando dinanzi all’Accademia (17) le conclusioni di

quest’ultimo rapporto, osserva giustamente che «le esperienze negative così

ottenute non avrebbero mai potuto distruggere i fatti positivi osservati dalla

commissione precedente, poiché, sebbene diametralmente opposti, entrambi

potevano essere egualmente veri» (18).

E’ un fatto curioso e degno di essere ricordato a questo proposito, che lo

stesso dogmatico scetticismo che spesso mette le pastoie al progresso della

conoscenza, può tradursi, in certe occasioni, nell’errore esattamente opposto.

Perché vi sono alcuni che passano dallo scetticismo estremo all’estrema

credulità. Una volta convinti del loro errore nel negare ostinatamente un fatto

evidente, ammettono d’un tratto non solo quel fatto ma venti altri non

contestati a seguito del primo. Difendono fino all’ultimo il muro esterno della

fortezza, ma, una volta che questo sia stato espugnato, abbandonano senza

ulteriore sforzo l’intera cittadella. «Tale», dice Buffon, «è la comune tendenza

della mente umana, che, quando è stata impressionata una volta da un

oggetto meraviglioso, si compiace di fare affidamento sulle sue proprietà

chimeriche e spesso assurde». Dovremo sempre stare in guardia contro

questa tentazione.

 

83

Rimane da trattare, relativamente all’osservazione di fenomeni in se stessi

improbabili, una considerazione di una certa importanza. Fino a quando e in

quali circostanze è ragionevole non fidarsi dell’evidenza dei sensi?

Vi sono centinaia di esempi del modo in cui l’uno o l’altro dei nostri sensi

può momentaneamente ingannarci (19). I più comuni sono forse quelli detti

trucchi di prestigiatori. Coloro che, come me, hanno passato una sera con

Robert Houdin, mantengono forse un vivo ricordo di come questo

meraviglioso artista realizzava quello che sembrava assolutamente

impossibile davanti agli occhi del suo pubblico mistificato. Ma questo

avveniva nel suo teatro, dopo che per mesi e anni aveva preparato il suo

macchinario nascosto e il suo apparato magico, e dopo un’intera vita spesa a

perfezionare la sua destrezza di mano. Vi è una scarsa analogia tra queste

esibizioni di professionisti e i fenomeni che si presentano spontaneamente o

almeno senza calcolata preparazione, in una casa privata o all’aria aperta,

spesso con persone che non se li aspettano e non li desiderano.

Ma qui si presenta inoltre l’ipotesi di una allucinazione. Questo soggetto

sarà trattato in un prossimo capitolo (20). Qui basti dire che, secondo la

dottrina contenuta nelle più accreditate opere sull’argomento, se due o più

persone, facendo indipendentemente uso dei loro sensi, percepiscono nello

stesso tempo e nello stesso luogo la stessa apparenza, non si tratta di

allucinazione: ossia vi è in quell’apparenza un qualche fondamento. Entrambe

possono prendere una cosa per un’altra; ma vi è sempre qualche cosa su cui

sbagliare.

D’altra parte, se una sola persona percepisce un qualche prodigio, può

trattarsi solo di pura allucinazione specialmente se questa persona è sotto

l’influenza di una grande agitazione o di un sistema nervoso indebitamente

eccitato. Se questa persona percepisce quello che altre, attorno a lei, non

percepiscono, si può supporre, prima facie, che sia stata soggetto di

un’allucinazione. E tuttavia possiamo immaginare circostanze che respingono

tale supposizione. Se, per esempio, fosse sufficientemente provato, in un dato

caso, che una data apparenza percepita da un solo testimone fra molti

presenti, abbia comunicato a questo testimone, con indubbia esattezza,

precise informazioni relative al lontano futuro, impossibili a ottenersi con

mezzi normali, dovremmo concludere che in questo caso vi è stata qualche

cosa di più di un’allucinazione. La cosiddetta seconda vista in Scozia e

specialmente nell’isola di Skye (21), se perfettamente accertata in ogni

esempio in cui una precognizione casuale o una congettura non possono

essere immaginate, sarebbero un caso del genere. Non vi è comunque alcun

dubbio che questi casi dovrebbero essere scrupolosamente esaminati. Che

una predizione improbabile si realizzi, mentre altre cento falliscono, può

essere solo una rara coincidenza ascrivibile a ciò che chiamiamo caso.

 

84

Cicerone riferisce che Diagora, quando era in Samotracia, essendogli state

mostrate in un tempio, come prova del potere della divinità ivi adorata, le

numerose offerte votive di coloro che, dopo avere invocato il suo aiuto, erano

stati salvati da un naufragio, chiese quante altre persone, nonostante questa

invocazione, fossero perite (22).

Le predizioni, tuttavia, possono essere di tal natura e così particolareggiate

che le probabilità contro una loro realizzazione casuale siano sufficienti a

rendere impossibile questa supposizione.

In linea generale si può dire che qualora un fenomeno osservato da varie

persone, per quanto straordinario e unico possa essere, ha un aspetto chiaro

ed evidente, percepibile con i sensi, specialmente con la vista, non possiamo

diffidare della prova dei sensi a suo riguardo (23).

Supponiamo per esempio (24) che, in un locale bene illuminato, dove non

sia possibile nascondere ordigni o altri trucchi, in compagnia di tre o quattro

amici, tutti buoni osservatori, intorno a una grande tavola del peso di ottanta

o cento libbre, mentre tutti i presenti vi posano le mani, uno veda e senta la

tavola stessa, mentre il suo piano resta orizzontale, sollevarsi

improvvisamente inaspettatamente all’altezza di otto o dieci pollici dal

pavimento, restare sospesa nell’aria per il tempo in cui si può contare fino a

sei o sette e poi tornare a terra; e supponiamo che tutti gli spettatori

concordino nel testimoniare questo avvenimento con solo piccole varianti

circa l’esatto numero di pollici al quale la tavola si è alzata e il preciso numero

di secondi durante il quale è rimasta sospesa: i testimoni di questa apparente

sospensione della legge di gravità potranno pensare che i loro sensi affermino

il falso?

Il signor Faraday sostiene che, se non fanno così, sono non solo «ignoranti

per quel che riguarda l’educazione del giudizio», ma anche «ignoranti della

loro ignoranza» (25). Un giudizio educato, secondo lui, sa che «è impossibile

creare della forza». Ma, «se potessimo, con le dita, alzare senza sforzo una

pesante tavola di legno e poi tornarla a posare, produrremmo, data la sua

gravità, uno sforzo eguale al suo peso, cosa che sarebbe una creazione di

energia e che è impossibile» (26). La sua conclusione è che il tavolo non si

alza mai. E’ cosa impossibile.

Questo è un modo comodo per tagliar corto a ogni difficoltà. C’è solo la

piccola obiezione che i fatti lo contraddicono. E’ giustissimo che il signor

Faraday pretenda nei testimoni un giudizio educato. Ma questo non si applica

al caso. Questo giudizio educato, a meno che non li persuada di non avere

visto quello che hanno visto e di avere sentito quello che hanno sentito, non

darà mai loro la certezza che quanto è avvenuto dinanzi ai loro occhi è

impossibile, come il signor Faraday vorrebbe.

 

85

Essi potrebbero più giustamente domandarsi se quello che hanno visto e

sentito era veramente una sospensione di una legge universale come quella

della gravità. Farebbero molto male ad affermare, come Faraday ha la

certezza che avrebbero dovuto, di avere «tirato su con le dita, senza sforzo, un

pesante mobile di legno» (27): potrebbero prendere il post hoc per il

propter hoc. Tutti loro sarebbero nel giusto dicendo che posavano la mani

sulla tavola e che questa si alzò.

Se poi il signor Faraday ribattesse che la tavola non si alzò perché non

poteva, presenterebbe un eminente esempio di un verità vecchia come

Giobbe, che cioè «i grandi uomini non sempre sono saggi». Quello che accade

realmente, può accadere, e cercare di indurre gli uomini a credere il

contrario con argomenti è fatica persa.

Io non affermo che le tavole siano alzate da agenti spirituali. Ma

supponiamo che il signor Faraday, respingendo ogni altra ipotesi, conduca

qualcuno a questa (28): sarebbe molto più filosofico adottarla che rifiutare la

chiara e palpabile prova dei sensi.

Perché, se assumiamo qualsiasi altro principio, tutte le regole accettate

dell’evidenza devono essere giudicate nulle (29); e la nostra vita stessa

sarebbe fatta di incertezze e di congetture. Potremmo cominciare a dubitare

dei più comuni eventi quotidiani (30), e forse, infine, a sognare, con Berkeley,

che il mondo esterno esiste solo nelle nostre sensazioni. In verità se i sensi di

un’intera comunità umana concorressero a imporre loro visioni e suoni

irreali, che apparissero gli stessi a tutti, chi potrebbe chiamare ciò un’illusione

e con quali mezzi si potrebbe provarla tale?

E non è irrazionale credere all’evidenza dei nostri sensi in casi così

meravigliosi che respingeremmo le comuni testimonianze per sentito dire

presentate come prova. «Devo vederlo per crederci» è spesso l’espressione di

uno scrupolo non irragionevole (31).

La Place afferma che non dovremmo credere alla testimonianza di una

persona la quale sostenga di avere gettato in aria cento dadi e di averli visti

cadere tutti sulla stessa faccia, ma che, se vedessimo accadere la cosa dopo

avere accuratamente esaminato i dadi a uno a uno, dovremmo lasciar cadere

ogni dubbio. Scrive: «Dopo un tale esame non dovremmo più esitare ad

ammettere il fatto, nonostante la sua estrema improbabilità, e nessuno

dovrebbe tentare, per spiegarlo, di ricorrere all’ipotesi di una illusione

provocata da qualche infrazione delle leggi della vista. Di qui possiamo

concludere che la probabilità della costanza delle leggi naturali è per noi

maggiore della probabilità che l’evento in questione non avvenga».

 

86

E così può benissimo avvenire per i fenomeni testimoniati da me stesso o

da altri, ai quali è stata fatta allusione, in particolare il movimento, senza

apparenti agenti fisici, di tavoli o altri oggetti materiali. Questi fenomeni sono

così straordinari che la prova delle testimonianze, per quanto credibili, può

non convincere il lettore della loro realtà. Se è così, egli non fa che trovarsi

nella stessa condizione in cui ero io prima di averli testimoniati. Al pari di

quel tale che La Place suppone avere udito la storia dei cento dadi, io dubitavo

di ciò che avevo sentito dire anche da persone la cui testimonianza, in altri

casi, sarebbe stata accolta senza esitazioni. Ma mi limitavo a dubitare: non

negavo. Decisi di esaminare di persona alla prima occasione, e la prova dei

miei sensi mi diede una convinzione che le testimonianze non mi avevano

dato. Se il lettore, dubitando al pari di me, cercherà semplicemente lo stesso

modo per risolvere i suoi dubbi, io gli avrò forse reso un servigio. Chieda pure,

come Tomaso, di vedere e di toccare, esamini i dadi l’uno dopo l’altro, eviti,

come ho cercato di indurlo a fare nelle precedenti pagine, di cadere negli

estremi della credulità e dello scetticismo; ma non pensi che i sensi che il

Creatore gli ha dato siano testimoni menzogneri solo perché testimoniano

contro i suoi preconcetti.

E così, forse, imparerà anche una lezione salutare: la lezione di guardarsi

da quella assoluta fiducia nella propria saggezza che, a quanto si dice, è più

disperata della stessa follia.

Così anche, forse, potrà essere indotto, come lo sono stato io, ad ascoltare

pazientemente le testimonianze altrui, come quelle contenute in molte delle

pagine seguenti, relative a ciò che io una volta consideravo, e che lui può

considerare ancora, semplici superstizioni fantastiche. E così può essere

condotto, al pari di me, a sopportare accuratamente le probabilità

contrastanti di questi strani fenomeni. Non pretendo di avere raggiunto

un’assoluta certezza. Quanto raramente questa viene raggiunta in qualsiasi

ricerca. Quando la natura del caso ammette solo delle deduzioni più o meno

probabili, è sufficiente presentare un buon peso di prove in favore delle

conclusioni che ipotizziamo. E non è irragionevole fondarsi su questa ipotesi

sebbene non comporti prove infallibili. Di tutte le varie conoscenze che

regolano le nostre azioni giornaliere, quanta parte, come ci ricorda La Place,

appartiene, a rigore di termini, solo alle varie ombre del possibile!

E di questa conoscenza, quanta parte è stata tolta a poco a poco

dall’oscurità dove era nascosta da secoli, velata dalla nebbia dell’incredulità,

sotto il bando dell’improbabile!

 

87

Note

(1) Nel rapporto della Accademia Reale di Medicina di Parigi, leggiamo che,

ancora nel 1672, un candidato all’Accademia stessa, François Bazin, cercò di

conciliarsi il favore di questa dotta istituzione scegliendo come argomento

l’impossibilità della circolazione del sangue («ergo sanguinis motus

circularis impossibilis»). Harvey aveva dato al mondo la sua grande scoperta

nell’anno 1628; ma quarantaquattro anni non bastarono a procurargli la

sanzione dell’autorità medica ufficiale nella capitale francese.

(2) La caduta di masse minerali grandi o piccole, generalmente chiamate

meteoroliti, fu a lungo considerata dal mondo scientifico come favola

popolare, nonostante la testimonianza di tutta l’antichità in suo favore. Pietre

che si dicevano cadute dal cielo erano conservate in vari antichi templi, come

nel tempio di Cibele. Plutarco, nella sua vita di Lisandro, descrive un celebre

aerolite caduto in Tracia, presso la foce dell’Egospotamos. Ma questo, e altre

centinaia di casi analoghi riferiti da tutto il passato, non riuscirono a

disperdere l’incredulità scientifica, finché Chladni, un naturalista di

Wurtemburg, verificò la caduta di un meteorite a Siena, in Toscana, il 16

giugno 1794. Il suo rapporto di quella meraviglia scosse lo scetticismo di

molti. E tuttavia solo nove anni più tardi, quando cioè, il 26 aprile 1803, un

aerolite cadde in pieno giorno a l’Aigle, in Normandia, ogni dubbio fu

superato. L’Accademia delle Scienze di Parigi nominò una commissione che

facesse un’inchiesta sul caso, e il rapporto di essa risolse la questione.

Howard, un naturalista inglese, preparò in seguito una lista di tutti gli aeroliti

conosciuti caduti sul nostro pianeta fino all’anno 1818, e Chladni continuò

l’elenco fino all’anno 1824.

(3) Siamo leali con la Scienza e diamole il credito di questa citazione. La

trovo nel Medical Times and Gazette di Londra, n° 444, nuova serie; il

corsivo non è mio ma dell’editore scientifico.

(4) Rogers evidentemente non aveva mai letto la celebre opera di La Place

sulle probabilità, o per lo meno non accettava la sua dottrina. Leggiamo

questo passo: «E’ troppo antifilosofico negare i fenomeni magnetici solo

perché non sono spiegabili nell’attuale stato delle nostre conoscenze» Calcul

des probabilités, pag. 348.

E’ notevole come, in una materia come questa, generalmente considerata

intinta di immaginazione, il matematico biasimi l’incredulità del poeta.

(5) «Plus un fait est extraordinaire, plus il a besoin d’être appuyé de fortes

preuves. Car ceux qui l’attestent pouvant se tromper, ou avoir été trompés, ces

deux causes sont d’autant plus probables que la réalité du fait l’est moins en

 

88

elle-même». (Più un fatto è straordinario e più ha bisogno di essere sostenuto

da forti prove. Poiché coloro che lo attestano possono ingannarsi o essere stati

ingannati, e queste due cause sono tanto più probabili quanto meno probabile

è la realtà del fatto) La Place: Théorie analitique des probabilités,

Introduzione, pag. 12.

(6) Come nell’Enciclopedia francese alla voce Certitude (certezza).

(7) Il lettore può consultare la Teoria analitica delle probabilità di La

Place, dove sono dati nei particolari i calcoli connessi con tale argomento; o,

se non è preparato alle difficoltà del calcolo, troverà la materia riassunta in

forma più popolare da Babbage nel suo Ninth Bridgwater Treatise,

seconda edizione pagg. 124-131; e alla nota E, nell’Appendice della stessa

opera.

L’argomento, come si è detto, è esposto in forma molto popolare, e, a rigore

di termini, piuttosto alla buona e superficialmente. Lo spazio non mi permette

di dire di più.

(8) Evidences of Christian Revelation (Prove della rivelazione

cristiana), vol. I pag. 129.

(9) Saggi di Hume, vol. II pag. 125.

(10) «Prendete uno qualsiasi di quelli che sono chiamati errori o

superstizioni popolari, e, osservandolo attentamente, vi troverete certo un

solido sostrato di verità. Vi potranno essere ancor più follie e sciocchezze che

non sospettiate; ma, quando le avete tolte, rimane ancora abbastanza di

solido, che non appartiene alle persone o ai periodi ma che è comune di ogni

età, per lasciare interdetto il dotto e ridurre al silenzio il derisore». Rutter:

Human Electricity, Appendice, pag. VII.

Lo stesso significato ha l’espressione di un celebre filosofo francese: «In

ogni errore vi è un nucleo di verità: cerchiamo di strappare questo nucleo

dall’involucro che lo nasconde ai nostri occhi». Bailly.

(11) «Chi non ha visto o sentito parlare di qualche casa, chiusa e disabitata,

caduta in decadenza, tetra e smorta, dalla quale, a notte alta, sono stati uditi

uscire strani suoni, colpi aerei, stridore di catene o lamenti di spiriti in pena?

Una casa che il popolo considera pericoloso avvicinare di notte, che per anni

nessuno ha voluto abitare anche se fosse stato pagato per farlo? Oggi vi sono

centinaia di case simili in Inghilterra, centinaia in Francia, in Germania e in

quasi ogni paese d’Europa, marcate con il marchio della paura, luoghi tali che

le persone pie si fanno il segno della croce e chiedono protezione quando vi

passano accanto, abitazioni di fantasmi e di malvagi spiriti. Di case simili ve

ne sono molte a Londra: e se qualche vano millantatore del progresso

dell’intelletto si prendesse la briga di individuarle e di contarle, si

 

89

convincerebbe che l’intelletto deve fare ancora enormi passi prima che questa

antica superstizione venga sradicata». Popular Delusions (Illusioni

popolari), di Mackay, vol. II, pag. 113. L’autore non giudica degna di

considerazione, neppure come semplice possibilità, l’ipotesi che in questi

fenomeni vi sia qualche cosa di reale.

L’idea delle case infestate non era meno diffusa nell’antichità che ai nostri

giorni. Plauto ha una commedia intitolata Mostellaria (La commedia dei

fantasmi) da uno spettro che si diceva si fosse mostrato in una certa casa,

rimasta per questo deserta. La storia particolare può essere stata inventata dal

commediografo, ma basta a indicare l’antichità dell’idea.

(12). Uno di questi casi è riferito da Garinet nella sua Histoire de la

magie en France (pag. 75); un astuto tiro giocato da certi monaci a quel re

la cui pietà doveva procurargli il titolo di Il Santo, Luigi IX di Francia.

Avendo udito il suo confessore magnificare la bontà e la dottrina dei

monaci di San Bruno, il re espresse il desiderio di fondare una comunità di

questi monaci presso Parigi. Bernard de la Tour, il superiore, inviò sei

confratelli, e Luigi assegnò loro come residenza un bell’edificio nel villaggio di

Chantilly. Avvenne che, dalle loro finestre, essi avessero una piena vista del

vecchio palazzo di Vauvert, eretto in origine come residenza reale dal re

Roberto, ma che era rimasto deserto per anni. I degni monaci, dimentichi del

decimo comandamento, pensarono che il luogo conveniva loro, ma

vergognandosi, probabilmente, di farne formale domanda al re, misero, a

quanto pare, le loro menti al lavoro per escogitare uno stratagemma. Certo è

che il palazzo di Vauvert, la cui reputazione era rimasta intatta finché quei

monaci non divennero suoi vicini, cominciò quasi subito dopo ad avere una

cattiva fama. A notte si udivano uscire di là paurose strida, luci azzurre, rosse

e verdi furono viste abbagliare alle sue finestre e subito scomparire. Seguì un

rumore di catene insieme con i gemiti di persone in gran pena. Poi un truce

spettro in vesti verdi, con una lunga barba bianca e coda di serpente apparve

alla finestra principale mostrando i pugni ai passanti. Questo andò avanti per

mesi. Il re, al quale, naturalmente tutti questi prodigi vennero debitamente

riferiti, deplorò lo scandalo e mandò una commissione a vedere quello che

succedeva. A questa commissione i sei monaci di Chantilly, sdegnati che il

demonio giocasse tali scherzi sotto il loro naso, suggerirono che, se avessero

avuto il palazzo come loro residenza, sarebbero riusciti a sbarazzarlo al più

presto da ogni intruso spettrale. Un atto munito del sigillo reale ratificò la

cessione di Vauvert ai monaci di San Bruno. Porta la data 1259. Da quel

momento tutti i disturbi cessarono; e lo spettro verde, secondo le credenze

delle anime pie, fu costretto a restare per sempre sotto le onde del Mar Rosso.

 

90

Un altro esempio, avvenuto nel castello di Arsillier in Picardia, si trova

nelle Causes Célèbres, vol. XI, pag. 374; l’amministratore del castello si era

travestito da bianco fantasma proteggendosi da un colpo di pistola con una

pelle di bufalo bene aderente al corpo. Finalmente fu scoperto e l’inganno

denunciato.

(13) Vedi più avanti al capitolo «Disturbi popolarmente detti infestazioni».

(14) Il curioso di tali argomenti può consultare la Geschichte der Magie

(Storia delle magie), del dott. Josep Ennemoser, Lipsia 1844, di cui, se non è

familiare col tedesco, troverà una traduzione inglese di William Howitt,

History of Magic, Londra 1854.

Inoltre Cradle of the Twin Giants: Science and History (Origine dei

giganti gemelli: scienza e storia), del reverendo Henry Christmas, Londra

1849. Entrambe sono opere molto consultate.

(15) Per particolari sui disturbi di Loudun consultare La démonomanie

de Loudun, di La Flèche, 1634; Cruels effets de la vengeance du

Cardinal Richelieu, ou Histoire des diables de Loudun, Amsterdam

1693; Examen et discussion critiques de l’Histoire des diables de

Loudun del signor de la Ménardaye, Parigi 1747; Histoire abrégé de la

possession des Usulines de Loudun, del Padre Tissot, Parigi 1828. Per

quelli di Louviers, vedi: Réponse à l’examen de la possession des

religieuses de Louviers, Rouen, 1643. Per i Profeti delle Cevennes, vedi:

Théatre Sacré des Cevennes, del signor Misson, Londra 1707; An

Account of the French Prophets and their Pretended Inspirations,

Londra, 1708; Histoire des troubles des Cevennes, del signor Court,

Alais 1819. Delle opere sui disturbi di St. Médard si parla altrove.

(16) In una parte successiva di questo lavoro («Disturbi popolarmente detti

infestazioni») si troverà la celere storia di Glanvil generalmente chiamata «Il

tambureggiatore di Tedworth». A suo tempo richiamo tanto l’attenzione che il

re mando alcuni gentiluomini di corte a esaminare il fatto, i quali passarono

una notte nella casa ritenuta infestata senza però udire nulla; e questo fu

considerato come una decisiva prova contro gli eventi narrati. Glanvil (nella

terza edizione del suo Saddicismus Triumphatus, pag. 337). nota

giustamente in proposito:

«E’ vero che quando i gentiluomini inviati dal re furono qui, la casa rimase

silenziosa e nulla fu visto né udito in quella notte, cosa che fu senza esitazioni

e trionfalmente addotta come una confutazione della storia. Ma è cattiva

logica concludere su dati di fatto in base a una sola prova negativa contro

tante altre affermative, e sostenere così che una cosa non è mai avvenuta

perché non è avvenuta in un dato momento, o che nessuno ha visto quello che

 

91

un dato uomo non è riuscito a vedere. Con lo stesso modo di ragionare, potrei

sostenere che non vi sono mai stati furti a Salisbury Plain, a Hounslow Heath,

o in altri noti luoghi, perché ho spesso viaggiato in queste contrade e non sono

mai stato derubato: e bene avrebbe ragionato quello spagnolo che disse: “In

Inghilterra il sole non esiste: ci sono stato sei settimane e non l’ho mai

visto”».

Glanvil ci ricorda a ragione che «il disturbo non era costante, ma

intermittente, talora per alcuni giorni, talora per settimane». In tali

circostanze è evidente che un suo non manifestarsi durante una sola notte

non prova niente.

(17) Si ricordi l’aneddoto di quel buffone il quale voleva respingere la

testimonianza di una persona attendibile che aveva giurato di avere udito una

certa frase, presentando dieci testimoni pronti a giurare di non averla udita.

(18) Sessione del 22 agosto 1837. Il discorso del signor Husson è riportato

letteralmente nel Traité du magnetisme animal, précis historique, di

Ricard, pagg. 144-164.

(19) Ogni senso può ingannarci. Noi abbiamo continuamente la

convinzione che la luna, quando sorge, appaia più grande di quando è vista al

meridiano. Tuttavia, se per mezzo di un piccolo telaio con due fili di seta

messi opportunamente misuriamo la grandezza apparente della luna

all’orizzonte e poi la stessa al meridiano, ci accorgeremo che è la stessa. Così

per il senso del tatto. Se con gli occhi chiusi, tocchiamo con due dita incrociate

una pallina o un pisello messi sul tavolo e li facciamo rotolare fra di esse,

avremo l’impressione di toccare due palline o due piselli.

Una trattazione popolare degli errori dei sensi si può trovare nel Museum

of Sciences and Art di Lardner, vol. I, pag. 81-96.

(20) Vedi Capitolo I del libro IV, «Apparenze comunemente chiamate

apparizioni».

(21) Il curioso potrà trovare molti particolari sulla seconda vista scozzese e

in particolare delle Ebridi in Description of the Western Island of

Scotland, del signor Martin, Londra 1706. L’autore considera

sufficientemente provato questo fenomeno, specialmente fra gli abitanti

dell’isola di Skye. Egli sostiene che il dono della seconda vista è generalmente

ereditario; che gli animali percepiscono, insieme al veggente, apparizioni che

lui solo fra tutti gli esseri umani presenti percepisce, e ne sono violentemente

impressionati. Aggiunge che il dono sembra endemico, poiché i nativi di Skye

noti come veggenti perdono il loro potere se si trasferiscono in luoghi lontani,

ma lo ricuperano appena tornano nella terra natale.

 

92

L’argomento è menzionato anche in Journey to the Western Islands

of Scotland (Viaggio alle isole occidentali della Scozia), del dott. Johnson,

pag. 247, e nel Journal of a Tour to the Hebrides with Samuel

Johnson (Diario di un giro alle Ebridi con Samuel Johnson), di Beswell,

1785, pag. 490.

Anche Scheffer, History of Lapiland (Storia della Lapponia), dà vari

esempi che gli sembrano indicativi di una seconda vista fra i popoli di quella

regione. Ma questa sembra differire formalmente dalla seconda vista scozzese

ed essere più vicina al sonnambulismo; perché il veggente, secondo Scheffer,

è immerso in un profondo sonno, o letargia, durante il quale vengono

pronunciate le sue profezie. Vedi la sua opera tradotta in francese

dall’originale latino, dal geografo del re, e intitolata Histoire de Laponie,

Parigi, 1778, vol. IV pag. 107 e seguenti.

(22) Cicerone, De natura deorum, libro III.

(23) Un distinto teologo fa notare: «In alcune circostanze i sensi possono

ingannarci; ma nessuna facoltà ci inganna così poco né così raramente; e,

quando i sensi ci ingannano, solo con l’aiuto dei sensi stessi quell’errore può

essere corretto». Opere di Tillotson, Sermone XXVI.

(24) Il caso supposto non è immaginario. E’ avvenuto nei miei

appartamenti a Napoli l’11 marzo 1856 e, con piccole varianti, in due occasioni

successive. Avevo pesato la tavola e la lampada che usavamo in questi casi. Il

peso della prima era di settantasei libbre e quello della seconda di quattordici:

complessivamente novanta libbre.

(25) Questa affermazione si trova nella conferenza del signor Faraday alla

Royal Institution a cui abbiamo già accennato, tenuta il 6 marzo 1854. Si può

supporre che rappresenti la deliberata opinione dell’autore perché dopo

cinque anni è stata ripubblicata da lui nelle sue Experimental Researches

in Chemistry and Physics, Londra 1859. Il passo citato nel suo essenziale

contesto, suona così:

«Si sente dire, ai nostri giorni, che alcune persone possono posare le dita

su di un tavolo e poi alzare le mani in modo che il tavolo si sollevi seguendole;

che il mobile, per quanto pesante, si alza realmente e che le loro mani non

sentono alcun peso né sono tratte in giù dal legno …

Queste affermazioni vengono accolte in ogni strato sociale e in classi che

vengono stimate colte. Ebbene, questo non implica forse che la società,

generalmente parlando, non solo è ignorante per quel che riguarda

l’educazione del giudizio, ma è anche ignorante della propria ignoranza?»

pag. 470.

(26) Opere citate, pag. 479. Il corsivo è di Faraday.

 

93

Questo signore è fra coloro che pensano che «prima di considerare

qualsiasi questione implicante principi fisici, dobbiamo avere idee chiare su

ciò che è naturalmente possibile e impossibile». pag. 478. Ma non serve a

nulla avere quello che chiamiamo idee chiare se, cammin facendo,

incontriamo fenomeni che le contraddicono. Il signor Faraday è uno di quegli

imprudenti di cui parla Arago (Vedi la sentenza in testa al cap. II, libro I).

(27) L’imposizione delle mani non è una condizione necessaria. Nella sala

da pranzo di un nobile francese, il conte d’Ourches, presso Parigi, ho visto, il

1° ottobre 1858, in pieno giorno, al termine di un déjeuner à la

fourchette, una tavola da pranzo con sette persone attorno e con sopra

frutta e vino, alzarsi e abbassarsi come già descritto mentre tutti gli ospiti vi

erano seduti intorno e nessuno la toccava minimamente. Tutti i

presenti videro la stessa cosa. Il signor Kyd, figlio del defunto generale Kyd,

dell’esercito inglese, e la sua signora mi dissero (a Parigi nell’aprile del 1859)

che nel dicembre del 1857, durante una visita serale a un amico residente in

via De la Ferme des Mathurins, 28, a Parigi, la signora Kyd, mentre era seduta

in una poltrona, la senti improvvisamente muoversi come se qualcuno la

spingesse in alto dal di sotto. Poi, lentamente e gradualmente, si alzò nell’aria

e vi rimase sospesa per lo spazio di circa trenta secondi, mentre i piedi della

signora erano a quattro o cinque piedi dal pavimento; poi si riabbassò piano e

gradualmente così che non si senti alcun urto quando toccò di nuovo il

tappeto. Nessuno toccava la poltrona quando si solleva, ne vi si avvicinò

mentre era sospesa nell’aria, a eccezione del signor Kyd, il quale, temendo un

incidente, si fece avanti e toccò la moglie. La stanza in quel momento era

chiaramente illuminata, come sono di solito i salotti francesi, e tutte le otto o

nove persone presenti videro la stessa cosa nello stesso modo. Io presi nota

dell’episodio mentre il signore e la signora Kyd me lo narravano; ed essi mi

permisero gentilmente di usare i loro nomi a garanzia della verità.

Qui non si tratta di oggetti pesanti tirati su con le dita senza sforzo,

concomitanza che il signor Faraday considera indispensabile. E il fenomeno

avvenne in un salotto privato, fra persone di alta posizione sociale, colte e

intelligenti. Migliaia di persone, nelle più illuminate regioni del mondo

possono testimoniare altrettanto. Dobbiamo considerarli tutti «ignoranti

della propria ignoranza?».

(28) Egli disprezza questa idea. Nella sua lettera sulle tavole giranti

pubblicata sul Times di Londra il 30 giugno 1853. dice: «L’effetto prodotto

da coloro che fanno girare le tavole è stato collegato all’elettricità, al

magnetismo, all’attrazione, ad alcuni sconosciuti o finora non riconosciuti

poteri fisici capaci di agire sui corpi inanimati, alla rivoluzione terrestre e

perfino ad agenti diabolici o soprannaturali. Il filosofo può investigare tutte

queste supposte cause eccetto l’ultima: questa, per lui, è troppo collegata con

 

94

la credulità e la superstizione per richiedere una qualsiasi attenzione da parte

sua». Opere citate, pag. 382.

E’ un rifiuto comodo e sommario, più comodo che soddisfacente. Il signor

Faraday pensa degli agenti ultraterreni ciò che Hume pensava dei miracoli,

che «sostenuti dalla testimonianza umana, sono piuttosto soggetto di

derisione che di discussione». Sta venendo il tempo in cui, in questo mondo o

in un altro, si renderà conto del suo errore.

(29) Il lettore troverà nell’eccellente opera di Reid sulla mente (Saggio 2

«Percezione») alcune note molto opportune. Egli scrive: «Nessun giudice

penserà mai che i testimoni possano essere respinti perché si sono fidati dei

loro occhi e dei loro orecchi; e se un avvocato scettico perorasse contro la

validità di testimoni adducendo che non hanno altra prova di quello che

affermano eccetto quello che hanno visto e udito e che non dobbiamo fidarci

dei nostri sensi a tal punto da privare un uomo della vita e degli averi in base

alla loro testimonianza, nessun giudice saggio ammetterebbe mai una tesi di

questo genere. Credo che nessun avvocato, per quanto scettico, abbia mai

osato esporre questo argomento; e che, se questo avvenisse, sarebbe respinto

con sdegno».

(30) Le relazioni legali del medioevo ci forniscono esempi appena credibili

di questo scetticismo. Durante i mille processi per stregoneria che avvennero

in Francia nel sedicesimo secolo, le donne sospette erano in genere accusate

di avere partecipato alla danza delle streghe, a mezzanotte, sotto una quercia

disseccata. «I mariti di parecchie di queste donne (due delle quali erano

giovani e belle) giurarono che, in quel momento, le loro mogli dormivano

tranquille nelle loro braccia; ma invano. La loro parola fu creduta, ma

l’arcivescovo disse che erano stati ingannati dal demonio e dai loro stessi

sensi. E’ vero che potevano avere avuto l’apparenza delle loro mogli nel loro

letto, ma gli originali erano lontani, alla danza diabolica sotto la quercia».

Popular Delusions di Mackay, capitolo sulla mania delle streghe.

(31) «In definitiva sono giunto a pensare che, per quel che riguarda i

fenomeni di carattere straordinario, si possa, a forza di argomenti avere la

convinzione che vi sono sufficienti ragioni per credervi, ma che ci si crede

realmente solo dopo averli visti». Bertrand: Traité de somnambulisme,

pag. 165.

 

95

LIBRO II - CONSIDERAZIONI SU ALCUNE FASI DEL SONNO

1 - Il sonno in generale

«Passiamo metà dei nostri giorni neLle ombre terrestri, e il

fratello della morte ci porta via un terzo della nostra vita».

Sir Thomas Browne

Se cerchiamo di chiarirci che cosa sia e che cosa non sia lo straordinario, di

definire con precisione il meraviglioso, troviamo forse molto maggiori

difficoltà che non supponiamo. Lo straordinario, in genere, ci sorprende di

più; ma l’ordinario può essere non solo molto più degno di attenzione, ma

anche molto più inesplicabile.

Siamo abituati a chiamare naturali le cose che si presentano

costantemente alla nostra osservazione, e a pensare che questa sola parola

comporti una sufficiente spiegazione per esse. E tuttavia vi sono meraviglie

quotidiane, miracoli casalinghi che, se non fossero familiari, se non fossero di

ricorrenza giornaliera, verrebbero da noi considerati - solo che vi ponessimo

attenzione - il mistero dei misteri. Ogni notte, se siamo tranquilli e in buona

salute, passiamo, in un momento inconscio, il confine dell’esistenza

materiale, entrando in un altro mondo nel quale vediamo, ma non con i nostri

occhi; dove udiamo senza che i nostri orecchi ci portino alcuna percezione;

dove parliamo e ascoltiamo parlare sebbene nessun suono esca dalle nostre

labbra o raggiunga i nostri organi dell’udito.

In quel mondo siamo spinti alla gioia o al dolore, siamo mossi a pietà o

siamo travolti dall’ira; e tuttavia queste emozioni non sono state provocate da

realtà oggettive. Laggiù il nostro giudizio è di solito oscurato e le nostre

facoltà intellettive sono per lo più in difetto; e tuttavia l’anima, quasi in

anticipazione dei poteri che l’ultimo sonno le potrà conferire, sembra liberata

dagli ostacoli terreni. Il tempo ha perso i suoi confini, gli oceani non

interpongono barriere, il passato restituisce i suoi spenti fantasmi, la tomba

restituisce i suoi morti.

Noi possiamo gettare qualche sguardo in quel mondo. Una parte di esso ci

è oscuramente rivelata nei ricordi di alcuni pensieri di sogno. Ma una parte è

imperscrutabile, quasi quanto l’altro mondo oltre la tomba.

 

96

Quali mezzi abbiamo per conoscere quello che passa per la nostra mente

nel sogno? Nessuno eccetto la nostra memoria, a meno che non si parli in

sogno e qualcuno ci ascolti. I pensieri avuti in sogno e non ricordati, sono per

noi, nello stato di veglia, come se non fossero mai esistiti. Ed è certo che molti

di tali pensieri sono del tutto obliati prima che ci svegliamo. Ne abbiamo la

prova sicura nel caso di persone che parlino in sogno indicandoci così il

soggetto dei loro sogni. E’ regola che queste persone, interrogate al mattino,

neghino di avere sognato, e anche se l’argomento dei loro discorsi fatti in

sogno viene loro suggerito, esso non suscita alcun ricordo (1).

La questione se possiamo dormire senza sognare - vecchia sin dai tempi di

Aristotele - è non meno curiosa che difficile a risolversi. A sostegno della

teoria secondo la quale nessun momento del sonno è privo di pensieri o di

sensazioni, abbiamo alcuni nomi come Ippocrate, Leibnitz, Descartes e

Cabanis. La più formidabile autorità nel campo opposto è Locke. Ma questa

illustre personalità, evidentemente, non aveva dinanzi a sé tutti i fenomeni

necessari per una completa comprensione di questo soggetto. La sua

definizione del sogno è difettosa (2), e l’argomento con cui sostiene il suo

punto di vista, e cioè che «l’uomo non può pensare in nessun caso, sveglio o

dormiente, senza averne coscienza» (3), evidentemente non si adatta al caso.

Fra gli scrittori più moderni, Macnish e Carpenter concludono che il sonno

profondo è senza sogni; mentre Holland, Macario e (per quanto si esprimano)

Abercrombie e Brodie, sono del parere opposto. Per entrambe le opinioni

possono essere addotte ragioni plausibili.

Quali che siano le condizioni di quel misterioso meccanismo che collega il

principio immateriale dell’uomo con il cervello, questo è certo, che per tutta

l’esistenza in stato di veglia un’azione cerebrale di qualche genere è il

necessario antecedente o concomitante del pensiero. Questa azione, in

qualche forma modificata, sembra continuare almeno in quei periodi di sonno

in cui avvengono sogni di tal carattere da essere ricordati o tali che la loro

presenza sia attestata da segni esteriori di emozione nel dormiente.

Il dott. Perquin, un medico francese, ha riferito il caso di una donna di

ventisei anni che aveva perso per malattia una buona parte delle ossa craniche

e della dura mater così che una corrispondente porzione del cervello era nuda

e aperta all’esame. Egli scrive: «Quando dormiva senza avere sogni il suo

cervello era immobile e rimaneva nel cranio. Quando il suo sonno era

imperfetto ed ella era agitata da sogni, il cervello si muoveva e sporgeva dal

cranio formando un’ernia cerebrale. Nei sogni più vividi, riferiti come tali da

lei stessa, la protrusione era considerevole; e quando lei era perfettamente

sveglia, specialmente se impegnata in una conversazione vivace, era ancora

più grande. La protrusione non avveniva a tratti alternati con regressione,

 

97

come se fosse causata dall’impulso del sangue arteriale. Rimaneva stabile per

tutta la durata della conversazione» (4).

Qui abbiamo tre distinti stati mentali con una corrispondente azione

cerebrale manifesta, per quanto le manifestazioni esterne possano essere un

indizio: lo stato di veglia, in cui il cervello dà segni di piena attività; uno stato

considerato di sogno durante il quale vi è ancora azione cerebrale ma in un

grado minore; e un terzo stato che non esibisce alcuna prova di sogno né

lascia dietro di sé alcun ricordo, e durante il quale l’attività cerebrale non è

più percepibile dall’osservatore.

Ma spingiamo l’induzione troppo avanti se affermiamo, come alcuni

fisiologi fanno (5), che in questo terzo stato non vi è attività cerebrale e non vi

sono sogni.

Tutto quello che possiamo concludere è che, durante questo periodo di

apparente riposo, l’attività cerebrale, se continua come tale, è molto diminuita

(6), e i sogni, se sogni vi sono, sono separati, dalla memoria o da altro, dalla

nostra vita di veglia.

Se spingiamo oltre le nostre ricerche e indaghiamo su quale può essere lo

stato dell’anima e quali le condizioni dei suoi legami con il cervello durante lo

stato di quiescenza, entriamo in un campo dove incontreremo migliaia di

speculazioni e forse nessuna verità attendibile oltre il semplice fatto che,

finché vi è vita, deve essere mantenuta qualche connessione fra mente e

materia. Possiamo immaginare questa connessione come solo intermedia,

sostenuta forse da quello che Bichât chiama il sistema della vita organica (7),

e solo attraverso la mediazione di questo sistema, per anastomosi o

altrimenti, con il sistema della vita animale e il suo centro, i lobi cerebrali, o

possiamo supporre la connessione in continuazione diretta con il cervello.

Tutto quello che sappiamo è che, in ogni momento, nel sonno sano, un suono

più o meno alto, un tocco più o meno rude sono sufficienti per riportare il

cervello alla sua completa attività e a ristabilire, se pure si è mai interrotta, la

diretta comunicazione con la mente.

La dottrina cartesiana, che l’anima non dorme mai, è incapace di essere

confutata come di essere praticamente applicata. Se immaginiamo che

l’anima abbia bisogno di riposo, dobbiamo ammettere, come corollario, che il

sonno è un fenomeno proprio dell’altro mondo come di questo. Se invece

affermiamo che non può esservi un momento in cui uno spirito immortale sia

privo di pensieri e di sensazioni, si può rispondere che le parole pensiero e

sensazione, quando sono usate da esseri umani relativamente alla loro

attuale fase di vita, si applicano propriamente solo alle condizioni mentali che

presuppongono l’azione del cervello umano; e che, per quel che riguarda

l’attività dell’anima senza quella del cervello, se un tale stato può esistere

 

98

finché l’anima è collegata con il corpo, è poco saggio occuparcene. Nulla

possiamo dire di questo perché nel vocabolario umano mancano perfino le

parole necessarie a esprimere ogni concezione di questi fenomeni.

Così anche quando ammettiamo che solo l’organismo corporeo, non il

principio spirituale, sperimenta un senso di fatica e la necessita di una pausa

nell’azione, non dobbiamo concedere, con questa ammissione, che i sogni, nel

preciso significato del termine, pervadano tutto il sonno.

Meglio ci avviciniamo a una soluzione quando cerchiamo se, come regola

generale, persone che vengono bruscamente svegliate da un sonno profondo,

al momento del risveglio sono consapevoli di avere sognato. Ma qui i fisiologi

non sono d’accordo sui fatti. Locke sembra avere accolto la negativa. Macnish

afferma, in base a certi esperimenti fatti in proposito, che, nella maggioranza

dei casi, il dormiente, al momento del risveglio, non conservava questa

coscienza (8). Io ne dubito molto. Certo è che, se questi esperimenti non sono

stati condotti con cura scrupolosa, i veri risultati possono facilmente sfuggirci.

Se, due anni fa, mi fosse stato chiesto se avevo l’abitudine di sognare, avrei

risposto di sognare molto raramente, perché allora, come adesso, raramente

ricordavo i miei sogni o potevo riferirli al mattino stesso a colazione. Ma,

dopo che la mia attenzione si è rivolta, recentemente, a questo soggetto così

da farmi prendere l’abitudine di tenere particolarmente conto delle mie

sensazioni al momento del risveglio, mi sono accorto, dopo ripetute

osservazioni, che in ogni caso ero consapevole di avere sognato. Tuttavia, con

pochissime eccezioni, il ricordo del mio pensiero nel sonno era così vago e

labile, che anche dopo dieci o addirittura cinque secondi, era scomparso, e

così completamente che mi era del tutto impossibile risovvenirmi del mio

sogno e riferirlo. Dopo quel periodo non ricordavo più nulla eccetto che ero

stato realmente cosciente di avere sognato; e anche per ottenere la certezza di

questo dovevo svegliarmi con l’intenzione di notarlo. Queste percezioni

erano così brevi, vaghe e sfuggenti che, nella grande maggioranza dei casi,

non potevo fare alcuno sforzo per arrestarle: mi sfuggivano nel momento

stesso in cui cercavo di fissarmele nella memoria.

E’ vero che queste osservazioni erano generalmente fatte nel momento in

cui mi svegliavo naturalmente dal sonno notturno, e che i più decisi

sostenitori della teoria del sonno senza sogni (come Lord Brougham nel suo

Discourse on Natural Theology (Discorso sulla teologia naturale),

ammettono che un sonno imperfetto, sul limite dello stato di veglia, è pieno di

sogni. Ma tuttavia la realtà di pensieri in stato di sonno così deboli ed

evanescenti da richiedere uno sforzo intenzionale per scoprire la loro

esistenza, dovrebbe indurci ad accogliere con molte riserve le affermazioni di

coloro che sostengono di non avere sogni (9).

 

99

Un altro argomento a questo proposito è il fatto, probabilmente notato

spesso da tutti, che di rado ci svegliamo da un breve sonno, per quanto

profondo e tranquillo, senza avere coscienza del tempo trascorso da quando ci

siamo addormentati. Ma il tempo, o meglio l’umana percezione di esso, può

esistere solo in rapporto con una serie di pensieri e di sensazioni. Di qui la

probabilità che essi, anche durante un sonno profondo, influenzino la mente.

Nel complesso, sebbene non si possa provare falsa la teoria del sonno senza

sogni avanzata dal Locke e da altri sostenitori, le probabilità mi sembrano

contrarie a essa. Poiché numerosi indizi ci assicurano che in migliaia di casi in

cui il sonno sembra senza sogni e l’insensibilità completa, esiste tuttavia una

costante successione di pensieri e di sensazioni, penso che vi siano sufficienti

ragioni per credere, con Brodie, che «il non sognare non sia la regola ma

l’eccezione alla regola (10); e, se è così, quanti fenomeni del sonno possono

essere sfuggiti finora alla nostra osservazione! E quanti di più ancora possono

rimanere coperti da un velo che rimarrà per sempre impenetrabile agli occhi

mortali! (11).

Questa vasta classe di fenomeni che avvengono durante il sonno, di cui non

serbiamo alcun ricordo da svegli e che sono così distaccati dalla nostra

coscienza di veglia, hanno attratto, e meritano senz’altro, molta più attenzione

nei tempi moderni, particolarmente durante gli ultimi settant’anni, che in

qualsiasi altro periodo. Settantacinque anni fa il sonnambulismo

artificialmente indotto era sconosciuto. Ma come, sonnambulismo, trance,

estasi possono essere propriamente considerati come fasi di sonno, certo

anormale e quindi ampiamente diverso per alcuni rispetti dal sonno normale,

e tuttavia stati strettamente ipnotici, che faremo bene a studiare nei loro

reciproci rapporti.

Troveremo che hanno molto in comune. La stessa insensibilità che spesso

sopravviene durante il sonnambulismo e il coma, si presenta in un certo

grado anche durante il sonno normale. I fanciulli, in particolare, spesso

vengono svegliati con difficoltà; e persone immerse in sonno profondo, di età

adulta, non di rado restano insensibili a forti rumori e ad altri notevoli

disturbi. Mi è spesso capitato di non avere udito nulla, o almeno di non avere

mantenuto il ricordo di avere udito qualche cosa, durante un lungo e violento

uragano che aveva disturbato e allarmato i miei vicini; e nell’anno 1856, a

Napoli, ho dormito tranquillamente durante un terremoto che, con le sue

scosse, aveva riempito le strade di una folla atterrita e implorante l’aiuto della

Madonna.

Anche alcuni dei più notevoli fenomeni di sonnambulismo e di estasi

appaiono in forma modificata durante il sonno naturale. L’esaltazione dei

poteri mentali che forma una delle principali caratteristiche dei due stati

 

100

suddetti, si trova in numerosi esempi durante il sonno comune. Leggiamo che

Cabanis, in sogno, vide spesso chiaramente l’andamento degli eventi politici

che lo avevano lasciato perplesso da sveglio; e che Condorcet, quando era

impegnato in qualche calcolo profondo e complesso, era costretto a lasciarlo a

mezzo e andare a dormire: i risultati gli apparivano in sogno (12). Brodie cita

il caso di un suo amico, distinto chimico e pensatore, il quale gli aveva

assicurato di avere più volte escogitato in sogno gli apparecchi per gli

esperimenti che si proponeva di fare; e quello di un altro amico, un

matematico dotato di vasta cultura generale, il quale aveva risolto in sogno

problemi che gli sfuggivano da sveglio. Lo stesso autore cita il caso di un suo

conoscente, procuratore legale, il quale, molto perplesso sul modo di trattare

un affare legale, immaginò in sogno una linea di azione che non gli era venuta

in mente da sveglio e che adottò con successo.

Carpenter ammette che «il processo del ragionamento può essere

continuato nel sonno con inconsueto vigore e successo», e cita come esempio

il caso di Condillac, il quale racconta che quando era impegnato nel suo

Cours d’étude, spesso sviluppava in sogno un soggetto che aveva lasciato

interrotto prima di coricarsi. Carpenter suppone che questo avvenga «in

conseguenza della libertà da ogni distrazione dovuta alla sospensione delle

influenze esterne» (13).

Abercrombie, a questo proposito, cita il caso dei dott. Gregory il quale

aveva in sogno nuove idee, anche nella loro forma di espressione, che gli

apparivano poi, da sveglio, così giuste nel ragionamento e nell’esposizione e

così felicemente espresse, che se ne serviva nelle sue lezioni e nelle sue

meditazioni. Anche il nostro pratico e poco immaginoso Francklin sembra

avere fornito un esempio di questa esaltazione dell’intelletto durante il sonno.

«Il dott. Francklin comunicò a Cabanis», scrive Abercrombie, «che

l’andamento e le conclusioni di eventi politici che lo avevano imbarazzato da

sveglio, gli si risolvevano non di rado nei suoi sogni» (14).

Un ancor migliore avvicinamento ad alcuni fenomeni di sonnambulismo

artificiale e di estasi e alla scrittura automatica dei medium moderni avviene

quando il dormiente dà una vera e propria relazione dei suoi pensieri di

sogno. Un notevole esempio di ciò è riferito da Abercrombie, nel caso di un

distinto legale del secolo scorso nei cui ricordi di famiglia sono conservati tutti

i particolari. Eccoli:

«Questo eminente personaggio era stato consultato circa un caso di grande

importanza e di non minore difficoltà, ed egli lo aveva studiato con intenso

scrupolo e attenzione. Dopo vari giorni che era così occupato, fu notato da sua

moglie alzarsi dal letto e andare a una scrivania che era nella stanza

matrimoniale. Vi si sedette e scrisse a lungo su di un foglio che ripose nella

 

101

scrivania; poi torno a letto. Il mattino seguente disse alla moglie di avere

avuto un sogno interessantissimo; aveva sognato di dare una chiara e

illuminata opinione su di un caso che lo aveva reso quanto mai perplesso, e

avrebbe dato qualunque cosa per ritrovare il filo del ragionamento che gli si

era presentato in sogno. Ella allora lo diresse alla scrivania, dove trovò la sua

opinione scritta per intero con grande chiarezza. Si trovò poi che era

perfettamente esatta »(15).

Carpenter ammette, durante certe fasi del sonno, l’esaltazione non solo dei

poteri mentali, ma anche dei sensi. Parlando di quello che il signor Braid

chiama ipnotismo (16) - che è in realtà solo un sonno artificialmente indotto

guardando fissamente un oggetto vicino - egli ricorda alcuni casi caduti sotto

la sua osservazione, come questi:

«L’autore è stato presente a un caso in cui si manifestò una tale esaltazione

del senso dell’olfatto, che il soggetto scoprì, senza difficoltà, il proprietario di

un guanto messo nelle sue mani in una riunione di cinquanta o sessanta

persone; e nello stesso caso, come in molti altri, vi fu una simile esaltazione

del senso della temperatura. L’esaltazione del senso muscolare, per la quale

vari atti che normalmente richiedono la guida della vista vengono diretti

indipendentemente da essa, è un fenomeno comune fra i soggetti

mesmerizzati, con altre varie forme di sonnambulismo artificiale o naturale.

«L’autore ha visto più volte i soggetti ipnotizzati da Braid scrivere con

perfetta regolarità mentre uno schermo opaco era interposto fra i loro occhi e

il foglio, tracciando righe equidistanti e parallele, e non era raro, per lo

scrivente, far tornare indietro la penna o la matita per mettere il punto su una

i o il trattino di una t, o correggere una lettera o una parola. Il signor Braid

aveva un paziente che rivedeva così e correggeva esattamente l’intero foglio di

un taccuino; ma se il foglio era mosso dalla posizione che occupava sul tavolo,

tutte le correzioni avvenivano in punti sbagliati relativamente alla nuova

posizione del foglio, ma giusti relativamente alla posizione prima occupata.

Talora, tuttavia, egli prendeva una nuova partenza toccando l’angolo

superiore sinistro del foglio; e allora tutte le correzioni venivano fatte nel

punto esatto nonostante che il foglio fosse stato mosso» (17).

Ancora il dott. Carpenter ci fa sapere che quando l’attenzione del paziente

era fissata su di un certo giro di pensiero, tutto quello che veniva detto in

armonia con questo era udito e valutato; ma ciò che non era in relazione con

esso o ne discordava, veniva del tutto trascurato.

Che cosa potrebbe essere in più completo accordo con certi fenomeni

sonnambolici la cui esistenza è stata decisamente negata?

 

102

Ma una breve accurata ricerca in questo campo può presentarci

rassomiglianze ancora più numerose. Riguarda più propriamente il prossimo

capitolo sui sogni, che non questo, cercare se, in casi eccezionali, durante il

sonno naturale, non si presentino alcuni dei più straordinari poteri o

attributi; gli affermati, e raramente creduti, fenomeni di sonnambulismo,

come la chiaroveggenza, la vista a distanza e anche la facoltà più fortemente

contestata, quella della precognizione o istinto profetico.

Ma vi è un altro punto di analogia, a cui può essere utile alludere qui,

collegato con l’influenza rinnovatrice del sonno e le cause che rendono

necessaria all’uomo una tale attività intermittente.

Sbaglierei se dicessi che il continuo esercizio di una funzione genera fatica

e di conseguenza, rende necessario il sonno. Notoriamente questo è vero solo

di alcune funzioni. Non è vero per le funzioni della vita organica, quelle

automatiche e involontarie. Ci stanchiamo di camminare, di pensare, di

vedere e di udire; ma non ci stanchiamo mai di respirare sebbene il respiro sia

un’azione molto più continua di tutte queste.

Questo fatto ovvio suggerì ai fisiologi, prima del tempo di Darwin,

l’opinione, poi sviluppata da questo naturalista, che la parte essenziale

dei sonno è la sospensione della volizione. E alcuni sono giunti ad

affermare che la sola fonte di fatica, e quindi la sola necessita di sonno, è

l’esercizio della volizione, adducendo a sostegno di questa teoria

l’osservazione che, quando i muscoli di un braccio o di una gamba sono

contratti sotto l’influenza del volere, la fatica appare in pochi minuti; mentre,

se la stessa contrazione avviene involontariamente (come nella catalessi,

naturalmente o mesmericamente indotta) può continuare a lungo senza

alcuna fatica.

Ma non possiamo accettare incondizionatamente questa opinione senza

presumere che non vi è stato di veglia nel quale la volizione sia sospesa o

inattiva. Perché non conosciamo alcuno stato di veglia, per quanto

indifferente e senza scopi, la cui continuazione non richieda il sonno dopo un

periodo relativamente breve. E non è vero che uomini di forte volontà e di

costante attività richiedano più sonno degli indolenti e degli scarsamente

volitivi. Si dice che tre o quattro ore di sonno, per interi mesi, siano state

sufficienti a Napoleone, vera personificazione di energia di propositi e di

continua volizione.

Dobbiamo nondimeno riconoscere la verità e l’importanza

dell’osservazione di Darwin secondo la quale l’essenziale condizione del sonno

è la sospensione del volere. E, sotto questo aspetto, è notevolissima la

somiglianza fra il sonno e i vari stati del sistema umano durante i quali si

presentano i fenomeni mesmerici e quelli che abbiamo chiamato spiritici. Dei

 

103

sonnambuli e dei medium si dice che la prima condizione del loro successo

nel produrre i fenomeni cercati è che il soggetto rimanga assolutamente

passivo e abbandoni implicitamente la sua volontà all’azione delle influenze

esterne. In realtà un sonnambulo viene addormentato artificialmente in modo

non meno completo dal magnetizzatore. E quando un medium si unisce a un

circolo attorno a un tavolo, o inizia una scrittura automatica, dopo un breve

periodo viene generalmente colpito da sonnolenza.

Nell’insieme, i fatti sembrano giustificare l’affermazione che tutti i

fenomeni mesmerici e cosiddetti spiritici, in quanto dipendono da una

peculiare condizione del sistema umano, sono più o meno di carattere

ipnotico. Per capir bene la loro vera natura e valutare in modo discriminato i

risultati ottenuti, bisogna sempre tenere a mente questo.

Per il resto si può dubitare che la popolare opinione, secondo la quale solo

durante il sonno si accumuli nei lobi cerebrali fluido nervoso, sia giusta, e che

si debba considerare il consumo di tale fluido come limitato al solo stato di

veglia.

La migliore opinione sembra quella secondo cui, come regola generale, vi è

in ogni momento una produzione e un consumo, e, tanto nel sonno come

nella veglia, il misterioso processo che distribuisce forze rinnovate al sistema

umano è continuamente attivo: la produzione sarebbe insufficiente alla

richiesta, diminuendo gradatamente le sue scorte, durante le ore di veglia, ma

eccederebbe durante il sonno, accumulando scorte a poco a poco. In altre

parole possiamo supporre regolare e costante la produzione, sia di giorno che

di notte, come nel caso di quell’altro processo automatico, egualmente poco

conosciuto, che è l’assimilazione. La richiesta non cesserebbe mai del tutto, né

sarebbe forse regolare nelle sue esigenze, ma sarebbe intermittente nella

quantità, di solito ogni ventiquattro ore, facendo le sue richieste, finché il

volere è attivo e i sensi sono svegli, in tal misura da esaurire, dopo un certo

tempo, le scorte; e poi, durante la relativa inattività del sonno, limitando le

richieste così che il fluido nervoso possa aumentare in quantità e accumulare

nuove scorte prima del mattino.

Che, in ogni caso, rimanga una certa riserva è evidente dal fatto che, in casi

di necessita, possiamo rimandare il sonno anche per parecchie notti. Ma

questo abuso ha in genere conseguenze dannose. Egualmente non sembra che

il cervello possa essere sovraccaricato di fluido nervoso con danni minori di

quelli provenienti da un’indebita privazione: perché vi sono disturbi prodotti

da un sonno eccessivo.

Sembra anche che il cervello possa operare oltre le sue risorse di forza

nervosa solo fino a un certo punto.

 

104

Perché l’esercizio di una violenta volizione è comunemente seguito, dopo

un breve periodo, dall’esaurimento; e il riposo (che è una cosa molto diversa

dal sonno perché è solo una cessazione dell’attività) diviene necessario prima

che si possa fare una seconda richiesta alla riserva nervosa.

Come ci si procuri questa riserva, per quale preciso processo si generi nel

cervello questa scorta di fluido o forza, il più meraviglioso di tutti gli

imponderabili, senza il quale, nel sistema umano, non vi sarebbe né l’esercizio

della volizione né un qualsiasi segno esteriore di intelligenza; se questo

misterioso agente sia, dopo tutto, solo una modificazione di quel fluido

proteico che è l’elettricità, o se possa essere di natura elettroide se non

elettrica, sono questioni che non possiamo davvero determinare. Dopo

venticinque secoli da quando Talete fece la sua prima osservazione su di un

pezzetto d’ambra, non possiamo ancora dire, quando parliamo di elettricità

positiva e negativa, quale delle due ipotesi sia la più giusta, se quella di un

singolo agente, ora in eccesso, ora in difetto, o quella di due elettricità l’una

vetrosa e l’altra resinosa; ne sappiamo solo tanto da poter renderci conto che

questo agente stesso, da noi chiamato elettricità, deve essere considerato

come sconosciuto: sconosciuto nella sua essenza sebbene osservato da

migliaia di naturalisti, in alcuni suoi effetti (18).

Intelligenti fisiologi e psicologi hanno speculato, è vero, su questo soggetto:

per esempio Sir Bejamin Brodie. Parlando dei mutamenti a cui il sistema

nervoso può essere considerato soggetto in relazione ai processi mentali, e in

risposta alla domanda: «Sono semplicemente meccanici, o assomigliano ai

cambiamenti chimici nella materia inorganica, o non appartengono piuttosto

a quella classe di fenomeni che noi attribuiamo ad agenti imponderabili come

l’elettricità e il magnetismo?» egli dice: «La trasmissione di impressioni da

una parte del sistema nervoso a un’altra, o dal sistema nervoso alle strutture

muscolari e ghiandolari, ha una più stretta somiglianza con gli effetti prodotti

dagli agenti imponderabili accennati che con qualsiasi altra cosa. Sembra in

realtà molto probabile che la forza nervosa sia una qualche modificazione di

quella forza che produce i fenomeni di elettricità e di magnetismo; e mi sono

già arrischiato a paragonare la generazione di questa forza, per azione del

sangue ossigenato sulla sostanza grigia del cervello e del midollo spinale, alla

produzione di energia elettrica per azione della soluzione acida sulle lastre

metalliche negli elementi di una batteria voltaica» (19).

Una tale visione può aiutare le nostre insufficienti concezioni; tuttavia,

secondo ogni ragionevole probabilità, quando paragoniamo la forza o fluido

nervoso all’elettricità, e le azioni del cervello a quelle di un’apparecchiatura

elettrica o galvanica, il confronto dovrebbe essere considerato come

illustrativo e approssimativo, comprendente solo un’ombra della verità, e non

 

105

come indicativo di una stretta somiglianza e ancora meno come una vera

identità di azione.

Che, in un modo o in un altro, il sangue sia un agente nella produzione di

forza nervosa, è indubitabile. Sir Henry Holland, parlando delle intime

relazioni fra il sistema nervoso e quello vascolare e delle ovvie connessioni

strutturali fra i nervi e i vasi sanguigni, aggiunge: «Non possiamo indicare

una sola parte nell’intera economia della vita animale in cui non si trovino

questi due grandi poteri strettamente connessi: la loro collaborazione è così

essenziale che nemmeno una funzione può operare perfettamente senza di

essa. Il sangue e la forza nervosa, per quanto ne sappia, sono gli unici agenti

che pervadano effettivamente tutto il corpo; la connessione del meccanismo

da cui sono guidati diventa più stretta quanto più ci avviciniamo agli estremi

limiti dell’osservazione. Oltre a questi risultati della loro collaborazione che

riguardano gli altri numerosi oggetti e fenomeni della vita, non possiamo

mettere in dubbio l’esistenza di un’azione reciproca dell’uno sull’altro,

necessaria per mantenere e completare i loro rispettivi poteri ... In realtà non

possiamo seguire, con chiara comprensione, la nozione dell’elemento nervoso

come evoluto per l’azione del sangue, o come effettivamente derivato dal

sangue e dipendente per il suo mantenimento e la sua energia dalle condizioni

di questo fluido. Tuttavia non possiamo dubitare che esistano realmente

azioni e relazioni reciproche di simile natura. La prova di questo effetto è

fornita, direttamente o indirettamente, da tutti i fenomeni naturali della

salute, e, ancora più notevolmente, dai risultati di disordini o malattie.

L’intera ricerca è di singolare importanza per la fisiologia della vita animale»

(20).

Tenendo in vista queste osservazioni, e accogliendo i suggerimenti di

Brodie circa il carattere elettroide dell’elemento nervoso, ricordando anche

che l’ematina, uno dei costituenti del sangue, contiene il sette o l’otto per

cento di ferro, mentre altri componenti contengono, in minori quantità, altri

metalli, e che, per conseguenza, noi abbiamo una forza, o agente,

elettroide in intima relazione con un fluido che contiene metalli,

condizione che può essere supposta favorevole a qualche cosa che assomigli a

un’azione elettrochimica, non abbiamo forse un accenno al modo in cui (per

prendere in prestito termini analoghi in mancanza di più precisi) la batteria

cerebrale può essere caricata?

Nel toccare simili argomenti, quanto ci avviciniamo ai confini della

conoscenza umana! Un giorno potremo fare ancora uno o due passi in questa

direzione, ma con questo? «La catena della nostra conoscenza», dice

Berzelius, «termina sempre con un anello sconosciuto». Se anche scoprissimo

come questa batteria viene caricata, un più profondo mistero rimane ancora

 

106

velato, cioè il modo in cui il principio spirituale che è in noi si serve di questo

meraviglioso meccanismo per produrre i movimenti e dirigere il pensiero.

E un’altra ricerca, che collega più immediatamente la digressione avvenuta

con il soggetto di questo capitolo, può essere qui promossa, una ricerca che

alcuni abbandoneranno come indegna di essere compiuta, ma che tuttavia è

giustificata, ai miei occhi, per la sua connessione con certi fenomeni

psicologici che saranno presentati nelle parti successive di questo volume; e

cioè l’inchiesta se, in certe eccezionali condizioni del sistema umano, come

occasionalmente durante i sogni, o in altre circostanze in cui la volontà è

attenuata, alcuni principi immateriali o intelligenze occulte diverse dalla

nostra non possano, temporaneamente ed entro un certo raggio, possedere

essi stessi il potere di impiegare il meccanismo cerebrale così da suggerire o

ispirare pensieri e sentimenti che, sebbene, in un certo senso, siano nostri,

tuttavia ci provengono da una fonte esterna.

Questa ipotesi, sebbene oggi adottata da non pochi uomini di senno, può,

me ne rendo conto, apparire incredibile alla maggior parte dei miei lettori.

Ricordo loro che la prima questione non è di sapere se è vera, ma se è degna

di essere esaminata. «Nell’infanzia di una scienza», scrive Brewster, «non vi è

speculazione di così poco valore da non meritare un esame. Le più remote e

fantastiche spiegazioni dei fatti spesso si sono rivelate vere; e opinioni che in

un secolo sono state oggetto di ridicolo, sono state accolte, il secolo dopo, tra

gli elementi della conoscenza» (21).

Se si trovano ancora tra i miei lettori coloro che sono decisi a respingere fin

dall’inizio la ricerca in questione come intinta di superstizione, li prego di

rimandare una conclusione in proposito fino a che abbiano letto i capitoli

successivi, specialmente il seguente, che tratta un soggetto difficile a separare

da quello del sonno in astratto: il soggetto dei sogni.

Note

(1) Abercrombie: Intellectual Powers (Poteri intellettuali), 15a edizione

Pag. 112. Ma tutti i fisiologi sono concordi su questo fenomeno. In alcuni casi,

tuttavia, sembrano esservi due diversi stati mentali perché la memoria del

sogno non viene perduta tanto che non possa riaffiorare, in seguito, durante il

sonno.

 

107

(2) Tale definizione è: «Sognare è avere delle idee mentre tutti i sensi

esterni sono arrestati, non suggerite da alcun oggetto esterno né causa

conosciuta, e nemmeno sotto le leggi e la condotta dell’intelletto».

Ma in sogno, i sensi esterni sono in genere solo parzialmente arrestati; e

talora l’intelletto, invece di essere detronizzato, acquista un potere e una

vivacità superiori a quelli che possiede in stato di veglia.

(3) An Essay concerning Human Understanding (Saggio sulla

conoscenza umana), libro II, cap. I, pag. 10.

(4) Questo caso fu osservato in uno degli ospedali di Montpellier, nell’anno

1821. Non è affatto un caso isolato. Macnish lo cita nella sua Philosophy of

Sleep (Filosofia del sonno).

(5) Carpenter (Principles of Human Physiology, pag. 634) è del

parere che durante il sonno profondo il cervello e i gangli sensori siano in

«uno stato di completa inattività funzionale».

(6) Casi di catalessi o trance, nei quali per giorni nessuna attività del

cuore e dei polmoni è percepibile dai sensi dei medici più esperti, così da far

supporre una morte vera e propria, avvengono comunemente; tuttavia

nemmeno uno di essi porta alla conclusione che, per quanto profonda sia la

trance, il cuore abbia cessato di battere o i polmoni di funzionare. La loro

attività si è così indebolita da divenire impercettibile: ecco tutto.

(7) Vedi Récherches physiologiques sur la vie et la mort, di X.

Bichât, terza edizione Parigi 1805, pag. 3.

Egli divide le funzioni animali in due classi: quella della vita organica e

quella della vita animale, di cui la prima include le funzioni della respirazione,

circolazione, nutrizione, secrezione, assorbimento, le funzioni automatiche

istintive comuni alla vita animale e vegetale; la seconda limitata alla sola vita

animale e comprendente le funzioni che collegano l’uomo e gli animali con il

mondo esterno, come la sensazione, la volizione, l’espressione vocale e la

locomozione.

(8) Hazlitt, nella sua Round Table, afferma il contrario.

(9) Come quel giovane ricordato dal Locke (Essay on Human

Understanding, libro II, cap. I, 14), uno studioso di buona memoria, il

quale dichiaro che, fino al momento in cui fu colto da una forte febbre, a

ventisei anni, non aveva mai sognato.

(10) Psychological Inquiries di Sir. B. Brodie, terza edizione, pag. 149.

(11) Gli attuali studi sul sonno, condotti con l’elettroencefalografo, hanno

chiarito in gran parte il problema che appariva insuperabile all’Owen.

 

108

Oggi sembra stabilito che nel sonno si alternino tre o quattro volte per

notte, fasi senza sogni e fasi con sogni, o fasi REM, così chiamate perché

contraddistinte da rapidi movimenti oculari (Rapid Eyes Movements)

(U.D.)

(12) Macnish: Philosophy of Sleep, pag. 79.

(13) Principles of Human Physiology, pag. 643.

(14) Abercrombie: Intellectual Powers, 15° edizione, pag. 221.

(15) Abercrombie, Opera citata, pag. 222.

Non è necessario ricordare al lettore che i casi qui citati, per quanto

numerosi, sono eccezionali. Di norma le capacità di ragionamento sono

indebolite durante il sonno. «Talora», scrive Müller (Physiology,

traduzione di Baly, pag. 1417) «ragioniamo più o meno esattamente nei nostri

sogni. Meditiamo su problemi e ci rallegriamo della loro soluzione. Ma, nello

svegliarci da questi sogni, l’apparente ragionamento si rivela del tutto

irragionevole, e la soluzione di cui ci eravamo rallegrati è una vera

sciocchezza».

Anche questo non manca di analogia con il sonnambulismo e l’estasi. Le

opinioni espresse e le affermazioni fatte durante questi stati sono spesso

assolutamente inattendibili.

(16) Neurypnology, or the Rationale of Sleep (Neuroipnologia, o il

razionale del sogno), di James Braid, Londra 1843.

(17) Principles of Human Phisiology, pag. 646.

(18) Pochi anni fa, nella riunione della British Association for the

Advancement of Science, tenuta a Swansea, essendo sorta una discussione

sull’essenza o la natura dell’elettricità ed essendo stata richiesta a Faraday la

sua opinione in proposito, questi, che è forse il primo studioso di elettricità

del secolo, che cosa rispose? «Un tempo credevo di sapere qualche cosa in

questo campo, ma quanto più vivo e quanto più attentamente studio questo

soggetto, più mi convinco della mia totale ignoranza sulla natura

dell’elettricità». Citato da Bakewell nella sua Electric Science, pag. 99.

«Alcune condizioni, che chiamiamo le leggi, dell’elettricità e del

magnetismo, sono conosciute, e possono essere non impropriamente

considerate come le abitudini o modi di azione di essi; i modi con cui si

manifestano ad alcuni dei nostri sensi. Ma in che cosa consistano, se

possiedano proprietà loro peculiari e indipendenti dalle sostanze ponderabili

a cui li troviamo sempre uniti, o sotto quali rispetti differiscano dalla luce, dal

calore o l’uno dall’altro, è al di là dei limiti della nostra esperienza e,

 

109

probabilmente, della nostra comprensione». Rutter, Human Electricity,

pagg. 47-48.

(19) Psychological Inquiries, di Sir Benjamin Brodie, Londra 1856, vol.

III, pagg. 158-159.

(20) Chapters on Mental Physiology (Capitoli di fisiologia mentale),

di Sir Henry Holland, Londra, 1852.

(21) The Martyrs of Science, di Sir David Brewster, terza edizione

Londra, 1856, pag. 219.

 

110

2 - I sogni

«In un sogno, in una visione notturna, quando il sonno

profondo cade sugli uomini addormentati nei loro letti, Dio

apre le orecchie umane e vi sigilla il suo insegnamento».

Giobbe, XXXIII, 14.

I moderni che hanno scritto sul sonno, concordano in genere nell’affermare

che i pensieri del dormiente sono privi di significato e di coerenza e che i

sogni sono quindi immeritevoli di fiducia.

Non era questa l’opinione dei nostri avi, specialmente nei tempi remoti.

Essi davano molta importanza ai sogni e alla loro interpretazione, ricorrendo

a essi per avere una guida in casi di difficoltà o di grandi calamità. Così,

quando scoppiò una pestilenza nell’esercito greco dinanzi a Troia, Omero ci

presenta Achille nell’atto di proporre questo metodo per accertare la causa di

ciò che era considerato un segno della collera degli dèi; e la ragione della sua

proposta è:

«Perché i sogni provengono da Giove» (1).

Aristotele, Platone, Zenone, Pitagora, Socrate, Senofonte, Sofocle hanno

espresso più o meno chiaramente la loro credenza nel carattere divino o

profetico dei sogni. E anche alcuni degli antichi filosofi che negavano ogni

altro genere di divinazione, e alcuni distinti peripatetici, ammettevano quelle

che provenivano dal delirio o dai sogni (2).

Non sembra, comunque, che alcuno di questi filosofi si sia spinto ad

affermare che tutti i sogni siano di carattere divino o attendibile. Molti

derivavano dalla porta di avorio (3). In genere si accordava implicitamente

fede agli ammonimenti provenienti dalla visione di qualche veggente, o

augure, o sacerdote, avvenuti in un luogo sacro o consacrato. Platone,

tuttavia, sembra affermare che tutti i sogni potrebbero essere creduti solo che

l’uomo, prima di coricarsi, portasse il suo corpo a uno stato tale da non

lasciare nulla che potesse provocare errore o disordine nei suoi sogni (4).

Aristotele, le cui opere, come quelle di Bacone, si può dire che abbiano

stabilito i confini del sapere al suo tempo, limita a certi individui favoriti il

dono della precognizione. Egli si esprime letteralmente così: «E non si può

negare che, per certe persone, la profezia si presenta nei sogni» (5).

 

111

Che l’opinione moderna sul carattere fantastico e immaginativo dei sogni,

sia per lo più giusta; che, quando i sensi sono sopraffatti dal sonno, anche il

giudizio, di regola, sia o totalmente sospeso o parzialmente e molto

oscuramente attivo, sono fatti così facilmente accertabili con una semplice e

accurata osservazione delle nostre sensazioni notturne, da non potere essere

messi in dubbio (6). Molto più difficile è stabilire se, in casi eccezionali, non vi

siano sufficienti garanzie per le nozioni degli antichi relative al più elevato

carattere di alcuni sogni (7).

Certo è che la struttura di molti sogni è fatta di suggerimenti derivati da

idee di veglia, o da desideri che li hanno preceduti, o da incidenti avvenuti

durante il loro corso e parzialmente percepiti dai sensi addormentati.

Non è improbabile che la passione dominante la vita, di un uomo prenda

forma nel sogno. Il pensiero costante del giorno può influire sulla calma della

notte. Così Colombo sognò che una voce gli diceva: «Dio ti darà le chiavi delle

porte dell’oceano» (8). E così ogni forte passione, da noi sperimentata quando

ci prepariamo al sonno, può passare nella nostra coscienza dormiente ad

essere raffigurata, forse, in forma di qualche felice illusione. E’ vera in natura

come bella in arte quella dolce visione della casa e delle sue gioie occorsa,

come descrive il poeta, al soldato esausto dopo la battaglia:

«Quando le stelle si misero di sentinella nel cielo,

Quando migliaia erano caduti a terra sopraffatti,

I sani per dormire e i feriti per morire».

Ma è degno di nota che non solo le emozioni dominanti e le impressioni

mentali più vivaci diventano suggestive di sogni. Episodi minimi che sono

sfuggiti al nostro ricordo prima ancora che ci si sia disposti al riposo, sono

talora incorporati nelle visioni della notte seguente. Ne trovo un esempio nel

mio diario sotto la data Napoli, 12 maggio 1857:

«Ieri sera il mio servitore mi avvertì che una casa, la seconda da quella in

cui abito, proprio al di là di un giardino sul quale si aprono le finestre del mio

appartamento, era in fiamme, e che il mobilio di varie stanze stava bruciando.

Tuttavia, poiché il fuoco non aveva raggiunto le mura esterne, e poiché

durante i quattro anni della mia residenza a Napoli, dove tutti gli edifici sono

a prova di fuoco, non avevo mai sentito parlare di una casa che fosse stata

distrutta da un incendio, poco mi curai della cosa. In seguito seppi che

l’incendio era stato domato, e prima che andassi a letto, il fatto aveva cessato

di occupare la mia mente.

«Tuttavia ebbi il sogno seguente. Mi sembrava di attraversare una cittadina

in cui una casa era in fiamme. Di lì passai in un’aperta campagna e arrivai a

 

112

un punto da cui potevo vedere tutta una vallata attraversata da un fiume; sulle

rive di questo fiume vi erano alcuni grandi edifici. Notai che due di essi, a una

certa distanza l’uno dall’altro, erano in fiamme. Questa vista mi suggerì subito

l’idea che i fuochi dovevano essere opera di incendiari; nel sogno pensai che

non era probabile che tre edifici, perfettamente separati e tuttavia non molto

distanti l’uno dall’altro, si incendiassero per puro accidente nello stesso

tempo. Subito dopo pensai: “Sta cominciando qualche sommossa o qualche

rivoluzione?” E, nel sogno, udii vari colpi da differenti parti del luogo,

confermando (forse creando) la mia idea di un disordine popolare. A questo

punto mi svegliai e, dopo essere rimasto per qualche momento in ascolto, mi

resi conto che qualcuno stava lanciando dei fuochi d’artificio nella strada, un

divertimento napoletano molto comune».

Le cause che mi predisponevano a un sogno simile sono evidenti. Poco

prima di andare a letto avevo sentito parlare di una casa in fiamme; e l’idea,

in forma modificata, era continuata nel mio sonno. Era un paese in cui si

viveva tra continue dicerie di movimenti rivoluzionari; di qui, probabilmente,

il suggerimento della causa dei fuochi. E questo ebbe una conferma dalle

effettive detonazioni dei fuochi d’artificio, che la mia fantasia onirica tradusse

in un succedersi di fucilate.

Bisogna notare, tuttavia, che queste circostanze suggestive non erano

affatto tali da fare molta impressione sui miei pensieri di veglia. Non mi ero

minimamente preoccupato del fuoco; ed ero vissuto così a lungo tra i rapporti

giornalieri di una rivoluzione imminente, che avevo smesso di dar loro alcun

credito o alcuna probabilità. Sembra che si possa dedurre che anche deboli

impressioni di veglia possano suggerire sogni.

Si è accertato ogni tanto che i sogni possono effettivamente essere costruiti

dai suggerimenti di coloro che stanno intorno al letto del dormiente. Un

esempio notevole è dato dal dott. Abercrombie, nel caso di un ufficiale inglese

nel quale «si poteva provocare ogni genere di sogni bisbigliandogli negli

orecchi, specialmente se questo avveniva da parte di un amico la cui voce gli

fosse familiare» (9). In questo modo egli era stato condotto lungo l’intero

svolgersi di un litigio finito con un duello; e infine, essendogli stata messa in

mano una pistola, egli la scarico e fu svegliato dalla detonazione. Esempi

simili son stati riferiti anche altrove come quello di uno studente di medicina

dato da Smellie nella sua Storia naturale, e un altro ricordato dal dott.

Beattie, di un uomo in cui sogni di ogni genere potevano essere indotti dai

suoi amici parlando piano in sua presenza del soggetto su cui volevano che

sognasse.

Sembra che lo stesso potere sia esercitato a volte da un magnetizzatore su

di un soggetto che egli è solito magnetizzare. Foissac riferisce della sua

 

113

sonnambula, la signorina Coeline, che, nel suo sonno naturale, non solo

egli poteva indurre a sognare tutto quello che voleva, ma anche fare in modo

che ricordasse il sogno quando si svegliava (10). Nel caso ricordato da

Abercrombie, il soggetto non manteneva ricordi distinti di quello che aveva

sognato.

Vi è un altro notevole fenomeno connesso con la suggestione di sogni, che

merita di essere messo in luce. Sembrerebbe che, come in quella che Braid

chiama condizione ipnotica, vi è talora un’esaltazione dell’intelletto e dei

sensi, così, nei sogni, vi sia talora una sorta di risveglio e illuminazione della

memoria. Brodie ne dà un esempio per una sua propria esperienza. «Una

volta», dice, «sognai di essere ancora ragazzo e di raccontare a un altro

ragazzo una storia che mi era familiare in quel periodo della mia vita, sebbene

non l’avessi più letta né vi avessi più pensato in seguito. Mi svegliai e me la

ripetei subito, in modo, mi sembra, molto esatto; ma il giorno seguente

l’avevo di nuovo dimenticata». Quando dunque nei sogni ci ricordiamo di

qualche cosa di cui, nello stato di veglia, non serbiamo alcun ricordo, non

dobbiamo concludere per questo che vi sia in essi qualche cosa di più

misterioso che non in molte altre comuni, anche se non spiegate, operazioni

della mente.

Dovremmo anche guardarci da un’altra classe di sogni, talora interpretati

in senso spiritico, che lasciano adito all’ipotesi che siano solo il risultato di un

forte desiderio e di un’intensa aspettativa del sognatore. Uno di questi è

esposto nella bibliografia di William Smellie, autore della Filosofia della

storia naturale. Intimo amico del reverendo William Greenlaw, aveva fatto

con lui un patto solenne, sottoscritto col loro sangue, che, chiunque di loro

fosse morto prima, sarebbe tornato, se possibile, per dare testimonianza al

sopravvissuto sul mondo degli spiriti; ma, se il defunto non fosse apparso

entro un anno dal giorno della sua morte, bisognava concludere che non

poteva tornare. Greenlaw morì il 26 giugno del 1774. Poiché si avvicinava il

primo anniversario della sua morte ed egli non dava alcun segno, Smellie

divenne estremamente ansioso, fino a perdere il sonno per parecchie notti di

seguito, aspettando il ritorno del suo amico. Infine, stanco della veglia, ed

essendosi addormentato nella sua poltrona, Greenlaw gli apparve affermando

di essere in un altro e migliore mondo, dal quale aveva trovato grande

difficoltà per comunicare con l’amico lasciato dietro di sé, e aggiungendo che,

in quel mondo, «le speranze e i desideri degli abitanti non erano mai

soddisfatti perché, al pari degli abitanti di questo mondo più basso, essi

guardavano sempre dinanzi a sé nella speranza di raggiungere uno stato di

esistenza ancora migliora» (11).

Coloro che credono di avere sufficienti prove, in altri esempi, della realtà di

questi ritorni, concluderanno probabilmente, come il biografo afferma che

 

114

fece lo stesso Smellie fino al giorno della sua morte, che il suo amico Greenlaw

gli era realmente apparso; ma è evidente che l’incidente può essere

interpretato anche diversamente, perché è chiaramente presupponibile, in

questo caso, come in quello del soldato esaurito dal combattimento della

ballata di Campbell, che i desideri del giorno abbiano generato la visita della

notte.

Ma, mentre ammettiamo, cosa che i fatti provano abbondantemente, che

nella grande maggioranza dei casi i sogni siano, o possano essere, sia

l’espressione di un forte desiderio, sia una disordinata manifestazione della

fantasia fuori del controllo dei giudizio, sia infine il risultato di una

suggestione, talora diretta e intenzionale, più frequentemente derivata, a

quanto sembra per caso, da pensieri ed emozioni precedenti, rimangono

tuttavia alcuni casi eccezionali, che non sembra si possano includere

propriamente in alcuna di queste categorie. Per giudicarli ragionevolmente,

dobbiamo esaminarli nei particolari.

Possiamo disporre, in via preliminare, di una classe evidentemente

suscettibile di una spiegazione semplice e naturale; e precisamente quei sogni

che, più o meno chiaramente, portano con sé le ragioni del loro compimento.

Tale, per esempio, è una vecchia storia citata da vari autori italiani, di un

mercante che, viaggiando da Roma a Siena, sognò di essere assassinato per

via. Il suo ospite, a cui egli aveva confidato il sogno, lo consigliò di pregare e

di confessarsi. Lo fece, e in seguito fu assassinato per la strada da quello

stesso prete a cui, in confessione, aveva parlato delle ricchezze che portava

con sé e delle sue apprensioni.

Un caso simile, avvenuto pochi anni più tardi presso Amburgo, fu riferito

nei giornali dell’epoca. L’apprendista di un fabbro di quella città, di nome

Claude Soller, un giorno informò il suo principale che, la notte precedente,

aveva sognato di essere assassinato sulla strada da Amburgo a Bergsdorff. Il

fabbro, ridendo, gli disse di avere appunto centoquaranta talleri che doveva

inviare a suo cognato a Bergsdorff, e, per dimostrargli quanto fosse ridicolo

credere a certi presagi, volle che glieli portasse proprio lui, l’apprendista. Il

giovane, dopo avere protestato invano, fu costretto a mettersi in viaggio, cosa

che fece verso le undici del mattino. Arrivato a mezza strada, al villaggio di

Billwaerder, e ricordando con terrore i particolari del sogno, cercò il balivo del

villaggio, lo trovò mentre stava parlando con alcuni braccianti e, in loro

presenza, gli racconto il suo sogno, disse della somma che aveva con sé e lo

pregò di incaricare qualcuno di accompagnarlo attraverso il bosco che si

trovava sulla sua strada. Il balivo, ridendo di quelle paure, ordinò a uno dei

braccianti di accompagnarlo come desiderava. Il giorno dopo, il corpo

dell’apprendista fu trovato con la gola tagliata e con accanto una falce

 

115

insanguinata. Fu poi dimostrato che l’uomo che lo accompagnava si era

servito di quella stessa falce poco tempo prima per tagliare dei salici.

Imprigionato, confessò il suo delitto e dichiarò che era stato proprio il

racconto del sogno a spingerlo a realizzarlo.

In alcuni casi il legame tra l’influenza del sogno e la sua realizzazione, per

quanto possibile non è del tutto evidente. Un esempio romantico - tuttavia

perfettamente autenticato - è quello che traduco qui dall’opera di Macario sul

sonno.

COME UN GIORNALISTA PARIGINO PRESE MOGLIE

In una cittadina della Francia centrale, La Charité-sur-Loire, nel

dipartimento di Nièvre, viveva una ragazza di umile estrazione, figlia di un

fornaio, ma notevole per la sua grazia e la sua bellezza. Molti erano gli

aspiranti alla sua mano, uno dei quali, per la sua ricchezza, era il favorito dei

genitori di lei. La ragazza, tuttavia, non amandolo, respinse la sua proposta di

matrimonio. I genitori insistettero, e infine la figlia, stanca delle loro

pressioni, andò in una chiesa, si prostro dinanzi all’immagine della Vergine e

chiese fervidamente consiglio e guida nella scelta di un marito.

La notte seguente sogno di passare davanti a un giovane in abito da

viaggiatore, con gli occhiali e un grande cappello di paglia; e una voce intima

sembrava dirle che sarebbe stato quello il suo sposo. Appena sveglia andò dai

genitori e disse loro rispettosamente ma con fermezza di aver deciso di non

accettare l’uomo che le avevano scelto. Da quel momento essi non insistettero

più.

Qualche tempo dopo, a un ballo del villaggio, ella riconobbe il giovane

viaggiatore proprio come le era apparso in sogno. Arrossi. Lui fu attratto dalla

sua bellezza, si innamorò, come si dice, a prima vista, e in breve furono marito

e moglie. Suo marito è il signor Emile de la Bédollière, uno dei direttori del

giornale parigino Le Siècle; e in una lettera al dott. Macario, datata Parigi, 13

dicembre 1854, egli conferma l’esattezza in tutti i particolari di questo

racconto aggiungendo alcune precisazioni. Dichiaro di aver visto per la prima

volta la sua futura moglie, Angèle Bobin, a un ballo di beneficenza tenuto

nell’agosto del 1833 in casa di un certo Jacquemart, dove si era recato in

compagnia del suo amico Eugène Lafaure; che l’emozione di lei nel vederlo

era stata evidente, e che egli aveva potuto accertare presso la direttrice del

collegio in cui la fanciulla era allora, Mademoiselle Porcerat, che colei che

sarebbe poi divenuta Madame de la Bédollière aveva dato alla sua maestra,

 

116

molto prima che egli giungesse per caso a La Charité, una precisa descrizione

della sua persona e del suo abbigliamento (12).

In questo caso, sebbene la coincidenza sembri notevole, possiamo, per quel

che riguarda la somiglianza personale, concedere qualche cosa al caso e

qualche cosa all’immaginazione di una fanciulla entusiasta. Per il resto, il

consapevole rossore di una bellezza paesana era sufficiente ad attrarre

l’attenzione e a interessare il cuore di un giovane viaggiatore, forse di

temperamento ardente e impressionabile. Sarebbe certo presuntuoso

affermare che queste considerazioni forniscano la vera spiegazione. Ma

bisogna concedere la possibilità che tutto ciò sia avvenuto.

Così pure in un altro caso, il sogno o la visione della figlia di Sir Charles

Lee, in cui, tuttavia, la morte e non il matrimonio era stata preannunciata.

Sebbene questo sia avvenuto quasi duecento anni fa, è molto bene autenticato

essendo stato riferito dallo stesso Sir Charles al vescovo di Gloucester, e dal

vescovo di Gloucester a Beaumont, che lo pubblicò, subito dopo averlo udito,

in un poscritto al suo noto Treatise of Spirits (Trattato degli spiriti) , da cui

lo trascrivo.

STORIA DEL VESCOVO DI GLOUCESTER

«Avendo avuto recentemente l’onore di udire la relazione di un’apparizione

dal signor vescovo di Gloucester, ed essendo troppo tardi perché possa

inserirla al suo proprio luogo in questo libro, lo espongo qui come poscritto,

come segue:

«Sir Charles Lee aveva avuto un’unica figlia dalla sua prima moglie, che

mori mettendola alla luce; e, dopo la sua morte, la sorella di lei, Lady Everard,

pregò che le fosse affidata l’educazione della bambina. Questa fu da lei

allevata molto bene fino all’età del matrimonio, e fu combinata allora la sua

unione con Sir William Perkins, unione che fu impedita in modo

straordinario. Un giovedì notte la fanciulla, credendo di vedere una luce nella

sua stanza, dopo essere andata a letto, suonò per la cameriera che subito si

presento. Le chiese perché avesse lasciato una candela accesa nella sua

camera, ma la ragazza rispose di non averne lasciata alcuna e che non vi erano

altre candele se non quella che teneva lei in quel momento. Allora la giovane

pensò che fosse il fuoco del caminetto, ma la cameriera la assicurò che era

assolutamente spento e aggiunse che, a suo parere, si trattava solo di un

sogno. Lei rispose allora che forse era così e si preparò a riprendere sonno.

Ma, verso le due, fu svegliata ancora e vide l’apparizione di una piccola donna

tra le cortine del letto e il guanciale, la quale le disse di essere sua madre, di

 

117

sentirsi felice e che alle dodici di quel giorno ella sarebbe stata con lei. La

giovane suonò ancora per la cameriera, chiese i suoi abiti e, quando fu vestita,

si chiuse nel suo salottino uscendone solo alle nove. Aveva con sé una lettera

sigillata per suo padre e la porto alla zia, Lady Everard, raccontandole quello

che era avvenuto e pregandola di farla avere al padre appena lei fosse morta.

La signora pensò che fosse improvvisamente impazzita e mandò subito a

chiamare un medico e un chirurgo a Chelmsford; essi vennero

immediatamente, ma il medico non trovò alcun sintomo di quello che la

signora pensava né alcuna indisposizione. La signora tuttavia volle che le si

praticasse un salasso, cosa che fu fatta. La giovane, dopo avere pazientemente

lasciato che le si facesse tutto quello che lei voleva, chiese un cappellano per le

preghiere; e quando le preghiere furono finite, prese la sua chitarra e il libro

dei salmi, si sedette su di una sedia e suonò e canto in modo così armonioso e

mirabile da far stupire il suo maestro di musica che era presente. Poco prima

che battessero le dodici si abbandonò in una poltrona e, dopo aver tratto due

lunghi respiri, rese l’anima. Si raffreddò così rapidamente da meravigliare il

medico e il chirurgo. Morì a Watham, nell’Essex, e tre miglia da Chelmsford, e

la lettera fu inviata a Sir Charles, nella sua casa nel Warwickshire; egli fu così

addolorato per la morte della figlia che giunse dopo che era stata sepolta, ma,

appena giunto, volle che fosse esumata e sepolta a Edminton, presso la

madre, secondo il desiderio da lei espresso nella sua lettera. Questo avveniva

verso gli anni 1662 o 1663, e la relazione fu fatta al signor vescovo di

Gloucester dallo stesso Sir Charles Lee» (13).

Nel caso qui narrato, sebbene sia indubbiamente una cosa inconsueta e

straordinaria che una persona, non ridotta dalla malattia in uno stato di

estrema debolezza nervosa, sia così sopraffatta dall’immaginazione da

permettere che una fiduciosa attesa della morte in una data ora la provochi

effettivamente pochi minuti dopo che il paziente era, secondo ogni apparenza,

in buona salute, tuttavia, poiché queste cose possono avvenire, non possiamo,

come negli esempi precedenti, negare assolutamente che il sogno stesso sia

stato lo strumento della propria attuazione.

Vi sono tuttavia molti altri sogni per la cui realizzazione non può essere

data una spiegazione del genere. Uno dei più noti e più celebri è quello di

Calpurnia la notte prima delle idi di marzo. Si legge che ella quasi riuscì a

trasmettere al marito l’apprensione suscitata in lei da questo preannuncio di

morte, e che infine Cesare fu confermato nella sua primitiva decisione di

recarsi in Senato dai motteggi di uno dei cospiratori, che eliminò i timori della

matrona (14).

Questi timori, naturali in una donna il cui marito aveva raggiunto una così

pericolosa altezza attraverso mille pericoli, avrebbero potuto, in realtà, avere

suggerito il sogno; e la sua tempestività avrebbe potuto essere stata

 

118

determinata dalla predizione di quell’augure, Spurina, che aveva esortato il

dittatore a guardarsi dalle idi di marzo. Così che, anche qui, sebbene il sogno

non avesse avuto alcun effetto sulla sua realizzazione, possono essere

immaginate cause naturali per spiegarlo.

Un sogno in certo modo simile, avvenuto in tempi moderni, è citato in

varie opere di medicina e garantito come «totalmente autentico» da

Abercrombie (15).

Eccolo.

LA PARTITA DI PESCA

Il maggiore e la signora Griffith, di Edimburgo, allora residenti nei

Castello, avevano ospitato in casa loro il nipote, Joseph D’Acre, di Kirkliton,

nella contea di Cumberland, un giovane venuto nella capitale scozzese con lo

scopo di frequentarvi il college, particolarmente raccomandato ai suoi

parenti. Un pomeriggio il signor D’ Acre comunicò loro la sua intenzione di

unirsi, il mattino dopo, ad alcuni suoi amici per una partita di pesca a Inch-

Keit, e non gli venne fatta alcuna obiezione. La notte seguente, tuttavia, la

signora Griffith si svegliò di colpo da un sogno angoscioso gridando: «La

barca affonda! Oh, salvateli!». Il marito attribuì il sogno alla sua apprensione;

ma lei dichiarò di non avere avuto alcun timore per quella partita di pesca e di

non averci nemmeno pensato. Si dispose dunque a riprendere il sonno, ma

quando, per tre volte, un sogno simile si fu ripetuto nel corso della nottata

(l’ultima volta presentava l’immagine della barca affondata e di tutto il gruppo

annegato), seriamente allarmata ella indosso una vestaglia e, senza aspettare

il mattino, si diresse alla stanza del nipote. Con una certa fatica lo persuase ad

abbandonare il suo progetto e a mandare un servitore a Leith con una scusa.

Il mattino era bello e il gruppo si imbarcò: ma verso le tre si levò una

tempesta improvvisa, la barca affondò e tutto il gruppo perse la vita (16).

Qui si può osservare che, poiché la zia, in stato di veglia, non aveva avuto

alcuna apprensione per la gita del nipote, non è probabile che un’ansietà da

parte sua abbia suggerito il sogno. Tuttavia so, per mia propria esperienza,

che i sogni possono essere suggeriti da incidenti che ci hanno fatto una

minima impressione e che ci sono usciti di mente al momento di andare a

letto. E poiché il rischio che corrono le partite di pesca nel Frithof Forth,

organizzate da giovani probabilmente spensierati e incuranti del pericolo, è

considerevole, le probabilità contro un risultato fatale, in ogni singolo caso,

non possono essere considerate così imponenti da precluderci l’ipotesi di una

coincidenza casuale. Cicerone dice giustamente: «Quale persona che miri per

 

119

tutto il giorno a un bersaglio non finirà col colpirlo? Noi dormiamo ogni notte

e poche volte non sogniamo: ci meraviglieremo dunque se talora quello che

sogniamo si avvera?» (17).

Tuttavia se questi esempi si moltiplicano notevolmente, e, soprattutto, se i

particolari, al pari del risultato generale, corrispondono esattamente alla

precognizione, le probabilità contro la coincidenza casuale aumentano.

Ma è certo che gli esempi, nella società, sono molto più numerosi di quanto

immaginano coloro che hanno dedicato scarsa attenzione al soggetto. In

genere si è riluttanti a riferire quello che ci espone all’accusa di creduloneria.

Per lo più queste confidenze vengono fatte a un amico intimo o a persone che

sappiamo seriamente interessate all’argomento. Negli ultimi tre o quattro

anni durante i quali mi sono occupato di soggetti del genere, mi sono stati

comunicati tanti esempi di sogni contenenti veri avvertimenti, o comunque

stranamente realizzati, da darmi la convinzione che deve esservi un gran

numero di persone, tra quelle che incontriamo, le quali, se volessero,

potrebbero raccontarci uno o più sogni veridici avvenuti nelle loro famiglie o

in quelle dei loro conoscenti. Sono sicuro che fra coloro che leggeranno questo

libro ve ne saranno pochi che non possano portare prove a conferma

dell’opinione qui espressa.

Presenterò, fra gli episodi di questo carattere venuti recentemente a mia

conoscenza, alcuni esempi della cui autenticità posso garantire io stesso.

Nel 1818 il signor Alessandro Romano, capo di un’antica e molto rispettata

famiglia napoletana, era a Patu, nella provincia di Terra d’Otranto, nel Regno

di Napoli. Una notte sognò che la moglie del Cavaliere Libetta, consigliere

della Corte suprema e suo amico e consulente legale, che si trovava allora a

Napoli, era morta. Sebbene il signor Romano non avesse sentito dire che la

signora Libetta fosse malata e nemmeno indisposta, tuttavia l’estrema

vividezza del sogno produsse su di lui una grande impressione; e il mattino lo

racconto alla sua famiglia aggiungendo di esserne stato sconvolto non solo per

la sua amicizia verso la famiglia Libetta, ma anche perché il Cavaliere stava

conducendo per lui una importante pratica legale ed egli temeva che questo

lutto domestico avrebbe potuto fargliela trascurare.

Patu è a duecento otto miglia da Napoli, e ci vollero vari giorni prima che le

paure del signor Romano potessero essere confermate o respinte. Infine egli

ricevette una lettera dal Cavaliere Libetta, in cui lo informava di avere perso la

moglie; e, confrontando le date, si trovò che essa era morta la notte stessa del

sogno.

 

120

Il fatto mi venne comunicato dal mio amico Don Giuseppe Romano (18),

figlio del signore di cui ho parlato, il quale viveva in casa di suo padre quando

avvenne l’incidente e udì suo padre riferire il sogno il mattino dopo.

Ed eccone un altro che mi fu narrato, ricordo, in un bel giorno di giugno,

passeggiando nella Villa Reale (il magnifico parco di Napoli con una

meravigliosa vista sul mare), da un membro della legazione di A..., una delle

più intelligenti e piacevoli conoscenze che feci in quella città.

Il 16 ottobre 1850, questo signore, che si trovava allora a Napoli, sognò di

essere a fianco di suo padre, il quale sembrava essere in agonia, e dopo poco

lo vide spirare. Si svegliò molto turbato, stillante un sudore freddo, e

l’impressione ricevuta era così forte che si alzò immediatamente, sebbene

fosse ancora notte, si vestì e scrisse al padre chiedendogli notizie della sua

salute. Suo padre era allora a Trieste, distante da Napoli, per la più corta,

cinque giornate di viaggio, e il figlio non aveva alcuna ragione, eccetto il

sogno, di essere preoccupato per lui, dato che egli non superava la

cinquantina e che non era stata ricevuta alcuna notizia di una sua malattia o

indisposizione. Aspettò con una certa ansia una risposta per tre settimane, in

capo alle quali giunse una comunicazione ufficiale al capo della missione con

preghiera di informare il figlio che doveva prendere alcuni provvedimenti

legali circa la proprietà del padre, morto a Trieste dopo breve malattia, il

sedici ottobre.

Si osserverà che, in questo caso, l’agitazione mentale del sognatore fu

molto più forte di quella che si verifica dopo un sogno comune. Quel signore

si alzò, si vestì nel mezzo della notte e immediatamente scrisse al padre, tanto

era in ansia per lui. La stessa cosa può essere notata in altri casi in cui il sogno

si avvera, anche se la persona che sogna è scettica circa questi presentimenti.

Uno di questi scettici è Macnish, autore della Philosophy of Sleep

(Filosofia del sonno) (19); e tuttavia egli ammette l’effetto che un sogno

simile, avvenuto a lui stesso nell’agosto del 1821, produsse sul suo spirito.

Riporto il racconto con le sue parole:

«Ero a Caithness, quando sognai che un mio stretto parente, residente a

trecento miglia di distanza, era morto; immediatamente dopo mi svegliai in

uno stato di inconcepibile terrore, simile a quello prodotto dal parossismo di

un incubo. Lo stesso giorno, scrivendo a casa, accennai al fatto, metà per

scherzo e metà sul serio. Per dire la verità non volevo parlare seriamente per

paura di essere deriso per aver prestato fede a un sogno. Tuttavia,

nell’intervallo fra il mio scritto e la risposta, rimasi in uno stato di ansia molto

spiacevole. Avevo il presentimento che fosse accaduta o stesse per accadere

qualche cosa di terribile, e per quanto non potessi fare a meno di biasimarmi

per l’infantile debolezza dei miei sentimenti, non riuscivo a liberarmi dalla

 

121

penosa idea che si era radicata nella mia mente. Tre giorni dopo avere spedito

la lettera, fui sbigottito nel riceverne una scritta il giorno dopo la mia, nella

quale mi si comunicava che il parente da me sognato era stato colpito da una

fatale paralisi il giorno prima, ossia lo stesso giorno in cui, verso il mattino,

avevo visto in sogno l’evento. Posso affermare che il mio parente era in

perfetta salute prima che il fatto si verificasse. Fu colpito come da un fulmine

quando nessuno aveva il minimo presagio del pericolo» (20).

Ecco una testimonianza disinteressata oltre ogni dubbio, perché porta

prove contro la stessa opinione dell’autore. Ma gli effetti narrati sono forse

identici a quelli prodotti in genere da un semplice sogno su di una persona

non superstiziosa? Un inconcepibile terrore sebbene non si trattasse di un

incubo; un presentimento che qualche cosa di terribile sia avvenuto o stia per

avvenire, e che dura per giorni radicandosi nei sentimenti per quanto il

sognatore tenti di scacciarlo. E tuttavia, pur con tutte queste preoccupazioni,

innaturali in circostanze ordinarie, come considera il caso, il narratore?

Giudica debolezza infantile i suoi terrori e, per quel che riguarda la

coincidenza che lo aveva tanto sbigottito, dichiara che non vi è in essa nulla

che possa giustificarci se riferiamo le sue origini ad altra cosa che al caso. Se si

trattasse di un caso isolato, sarebbe illogico negare decisamente questa

concezione. Non abbiamo forse il diritto di includere il dott. Macnish nella

categoria di coloro a cui allude il dott. Johnson quando, parlando della realtà

di agenti ultraterreni, dice che «alcuni che li negano con le labbra, li

confessano con le loro paure?».

Il prossimo esempio che citerò proviene in parte dalla mia conoscenza

personale. Un collega del corpo diplomatico, mio intimo amico, il Signor de

S..., aveva fissato per sé e per sua moglie un passaggio per il Sud Africa su un

vapore che doveva salpare il 9 maggio 1856. Pochi giorni dopo una loro amica,

e mia, ebbe un sogno che la mise seriamente a disagio. In questo, sogno vide

una nave affondare in mare durante un violento uragano, e una voce intima le

comunicò che si trattava della stessa nave su cui i coniugi de S... dovevano

imbarcarsi. L’impressione fu così viva che, svegliatasi, riuscì appena a

convincersi che la visione non era realtà. Tornata ad addormentarsi, ebbe una

seconda volta lo stesso sogno, cosa che accrebbe la sua ansietà; e, il giorno

dopo, mi chiese se non dovesse comunicare il fatto ai suoi amici. In quel

tempo non avevo alcuna fede in questi presagi e le raccomandai di non farlo

perché essi non avrebbero probabilmente cambiato i loro progetti e tuttavia si

sarebbero sentiti a disagio, forse per nessuna ragione. Ella decise dunque di

lasciarli partire senza nulla sapere. Avvenne tuttavia, come seppi alcune

settimane più tardi, che circostanze fortuite inducessero i nostri amici a

cambiare i loro programmi e a fissare il passaggio su di un’altra nave dopo

avere ceduto i loro biglietti.

 

122

Tutto ciò mi era quasi passato di mente quando, molto tempo dopo, presso

il ministro di Russia, sua moglie mi disse: «Come sono stati fortunati i nostri

amici de S... a non imbarcarsi sulla nave che avevano scelto dapprima!».

«Perché?» chiesi. «Non sapete», mi rispose, «che quella nave è andata

perduta? Deve essere affondata in mare, sebbene siano passati più di sei mesi

da quando ha lasciato il porto, non se ne è più avuta notizia».

In questo caso si noterà che il sogno mi fu comunicato alcune settimane o

mesi prima che si avverasse. Bisogna ammettere tuttavia che le probabilità

contro il suo avverarsi non erano tante come negli esempi precedenti. Le

probabilità che una nave non affondi in un dato viaggio attraverso l’Atlantico

sono molto minori di quelle che un uomo di mezza età e in buona salute non

muoia in un dato giorno.

Nell’esempio che segue troveremo un nuovo elemento. La signora S... mi

racconto che, dimorando a Roma nel giugno 1856, il 30 di quel mese sognò

che sua madre, morta da parecchi anni, le appariva, le dava un ricciolo di

capelli e le diceva: «Tieni con cura questo ricciolo, bambina mia, perché è di

tuo padre, e domani gli angeli lo porteranno via da te». L’effetto di questo

sogno sullo spirito della signora S... fu tale che, svegliatasi si sentì

profondamente preoccupata e spedì immediatamente un dispaccio telegrafico

in Inghilterra, dove era il padre, per avere notizie della sua salute. La risposta

non fu immediata; ma quando arrivò porto la notizia che il padre era morto

quel mattino alle nove. Ella apprese in seguito che, due giorni prima di

morire, egli si era fatto tagliare una ciocca di capelli e l’aveva data a una delle

sue figlie, che lo assisteva, dicendole di serbarlo per la sorella che era a Roma.

Soffriva di una malattia cronica, ma le ultime notizie da lei ricevute sulla sua

salute erano favorevoli e avevano fatto sorgere la speranza che egli potesse

vivere ancora alcuni anni (21).

La peculiarità di questo esempio sta nel fatto che vi è una doppia

coincidenza: primo, il giorno esatto della morte, e, secondo, la ciocca di

capelli. Le probabilità contro la casualità di questo doppio evento sono molto

maggiori che non contro quella di un evento singolo.

Abercrombie riferisce e garantisce il seguente, in cui venne previsto

egualmente un doppio evento.

Un pastore protestante, che era arrivato a Edimburgo da breve distanza,

mentre dormiva in un albergo, sognò di vedere un fuoco e, in mezzo a esso,

uno dei suoi figli. Si svegliò con questa impressione e immediatamente si mise

in viaggio verso casa. Arrivato in vista dell’abitazione, trovò che era in fiamme

e arrivò giusto in tempo per salvare uno dei suoi bambini che, nella

confusione, era stato lasciato in una situazione di grande pericolo (22).

 

123

Abercrombie nota a questo punto che, «senza chiamare in causa la

possibilità di comunicazioni soprannaturali», l’incidente può essere spiegato

con cause naturali, originate, cioè, nell’ansietà paterna, unita, forse, con

l’esperienza della trascuratezza della domestica lasciata a custodia della casa.

Possiamo ammetterlo; ma è evidente che il fortuito avverarsi dei due incidenti

osservato nel sogno (il fuoco stesso e il particolare pericolo corso da uno dei

figli) è cosa molto più improbabile di quanto sarebbe stato l’avverarsi di un

incidente solo.

D’altra parte vi possono essere circostanze particolari che, in alcuni casi,

aumentano le probabilità in favore di un evento fortuito. Uno di questi è dato

da Macnish, sulla cui veridicità egli dice che si può confidare. E’ il caso di una

giovane signora di Ross-shire, in Scozia, la quale era devotamente legata a un

ufficiale allora alla guerra di Spagna con Sir John Moore. Il costante pericolo

a cui egli era esposto logorava il suo spirito; cominciò a deperire e cadde

malata. Infine una notte, in sogno, vide l’amato, pallido, sanguinante e ferito

al petto, entrare nella sua stanza. Tirò le tendine del letto e, con un dolce

sguardo, le disse di essere stato ucciso in battaglia, comandandole in egual

tempo di farsi forza e di non addolorarsi eccessivamente per la sua morte. Le

conseguenze di questo sogno furono fatali per la povera giovane, che morì

pochi giorni dopo pregando i genitori di prender nota della data del sogno,

che era sicura avrebbe avuto conferma. E così fu. Poco dopo giunse in

Inghilterra la notizia che l’ufficiale era caduto nella battaglia di La Coruna

(1809), il giorno precedente la notte in cui la sua amata aveva avuto la visione

(23).

Il dott. Macnish considera questo «uno dei più impressionanti esempi di

identità fra il sogno e le circostanze reali, di cui egli sia venuto a conoscenza».

Questo prova quanto gli uomini siano spesso poco esatti nel giudicare il

carattere di fenomeni simili. In se stesso, e senza riferimento a numerosi altri

casi analoghi in cui si dice che i defunti siano apparsi a qualche caro amico

subito dopo il momento della morte, questo incidente è molto meno

impressionante del sogno dello stesso dott. Macnish, che abbiamo già riferito.

Confrontiamo i due casi. Nel primo, il pensiero costante della giovane era

quello del suo amore esposto ogni giorno al pericolo. Era naturale che dovesse

sognare di lui. Sarebbe stato strano se non lo avesse fatto. Che le apparisse

pallido e ferito fu solo un riflesso delle immagini che, nelle sue tristi

fantasticherie di ogni giorno, si era fatta certo centinaia di volte. Rimane la

coincidenza quanto al giorno. Ma bisogna ricordare che l’incidente è avvenuto

durante uno dei più disastrosi episodi della guerra peninsulare, quando a ogni

ora ci si aspettavano notizie di una battaglia sanguinosa. Era un tempo in cui

ogni ufficiale e ogni soldato sotto il comando del valoroso e sfortunato Moore,

usciva, si può dire, ogni mattino con la vita fra le mani. Le probabilità di

 

124

morte per ognuno di quegli ufficiali e per ogni giorno erano forse venti,

trenta, cinquanta volte maggiori di quelle di un individuo che conducesse la

sua solita, pacifica vita. Le probabilità contro una fortuita coincidenza del

giorno erano così diminuite in proporzione.

Molto diverse erano le circostanze nel caso del dott. Macnish. Il suo

parente, come egli afferma, era in perfetta salute a trecento miglia di distanza.

Non sembra che vi fosse stata qualche cosa di speciale che dirigesse i pensieri

del dottore verso di lui: certo nulla che lo rendesse ansioso sul suo destino;

nulla dunque che potesse suggerire un sogno su di lui e tanto meno una

visione della sua morte. E tuttavia, con tutte queste improbabilità, Macnish

sogna che il suo parente è morto. Né è tutto. Senza causa apparente, eccetto

quella che lui considera un sentimento di superstizione infantile, egli è preso

da un terrore panico, da un presentimento di disgrazia così profondamente

radicato che per giorni la sua ragione è incapace di sradicarlo. Segue poi la

coincidenza del giorno, anch’essa in circostanze in cui, secondo ogni calcolo

umano, l’improbabilità dell’evento era estrema, dato che non vi erano basi per

la minima previsione del pericolo.

E tuttavia - tale è il potere di un fatto romantico sulla nostra

immaginazione - il nostro autore sorvola il proprio caso, più notevole, e

dichiara che quello dei giovani innamorati è uno dei più impressionanti. Gli

agenti di una compagnia di assicurazioni sarebbero stati molto più

chiaroveggenti. Supponete che fosse stato loro chiesto di assicurare per un

mese o due le due vite, quella dell’ufficiale esposto ogni giorno a colpi di fucile

o esplosioni di bombe e quella del signore di campagna nella sua casa

tranquilla. Il premio molto più gravoso che essi avrebbero certamente

richiesto nel primo caso in confronto con il secondo avrebbe indicato a

sufficienza quanto stimassero le probabilità di morte nei due casi.

Bisogna tenere a mente queste considerazioni nel giudicare i casi di sogni

realizzati quando la realizzazione sembra dipendere da un evento che, per

quanto usualmente improbabile, per peculiari circostanze di pericolo o di

altro può essere portato nell’ordine della probabilità. Un esempio può essere

offerto da una singolare usanza ancora viva a Newark-upon-Trent, in

Inghilterra, l’11 marzo di ogni anno. In quel giorno vengono distribuite

pagnotte da un penny a tutti i poveri che vengono a chiederle alla Town Hall.

L’origine dell’usanza è questa. Durante il bombardamento di Newark da parte

delle forze di Oliver Cromwell, un aldermanno di nome Clay sognò per tre

notti consecutive, che la sua casa aveva preso fuoco, e ne fu tanto

impressionato che porto la famiglia in un’altra residenza. Pochi giorni dopo,

l’11 marzo, la sua casa fu incendiata dagli assedianti. In segno di gratitudine

per quella che considerava una salvezza miracolosa, lasciò per testamento al

sindaco e aldermanno, in data 11 dicembre 1694 duecento sterline; gli

 

125

interessi di metà di questa somma dovevano essere versati annualmente al

vicario a condizione che pronunciasse un adeguato sermone, e con gli

interessi dell’altra metà doveva essere fatta una annuale distribuzione di pane

ai poveri.

Qui la coincidenza è notevole, ma certo meno che se la casa

dell’aldermanno, nelle traversie di un assedio, non fosse stata in condizioni di

particolare pericolo.

Passiamo a un’altra classe di sogni generalmente considerata dipendente

dal riaffiorare di antiche associazioni di idee. Uno degli esempi più notevoli è

citato da Abercrombie, il quale afferma che capito a un suo amico e che «può

essere creduto nei minimi particolari». Eccolo secondo le sue parole.

«Questo signore era allora impiegato in una delle principali banche di

Glasgow, ed era al suo posto di cassiere, dove si facevano i pagamenti, quando

entrò un cliente che chiedeva il versamento di sei sterline.

«Vi erano già varie persone in attesa, che dovevano essere servite a turno

prima di lui, ma egli era impaziente e piuttosto importuno, ed essendo per di

più molto balbuziente, divenne così noioso che un altro signore pregò il mio

amico di versagli il suo denaro e sbarazzarsi di lui. Così egli fece, ma con un

gesto di impazienza per essere costretto a badare a lui prima del suo turno,

dopo di che non penso più al fatto. Alla fine dell’anno, otto o nove mesi dopo,

i conti della banca non tornavano: vi era un ammanco di esattamente sei

sterline. Furono dedicati vari giorni e notti alla ricerca dell’errore, ma senza

successo, una sera, infine, il mio amico tornò a casa stanchissimo e andò a

letto. Sognò di essere al suo posto in banca, e tutta la faccenda del

balbuziente, che abbiamo descritto, passò davanti a lui in tutti i particolari. Si

svegliò con l’impressione che il sogno lo avrebbe condotto a scoprire ciò che

cercava con tanta ansia; e, fatte le indagini, trovò che la somma pagata a quel

tale nel modo che abbiamo dette non era stata inserita nel libro degli interessi

e che questo spiegava esattamente l’errore del bilancio» (24).

Commentando questo caso, Abercrombie scrive: «Il fatto su cui si fondava

l’importanza del caso non era l’aver pagato la somma, ma l’essersi

dimenticato di annotare il pagamento. Questa dimenticanza non aveva

lasciato, a suo tempo, alcuna impressione sulla sua mente, e non riusciamo a

concepire in base a quale principio poté essere ricordata. In realtà, poiché

l’ammanco era di sei sterline, possiamo supporre che quel signore cercasse di

ricordare se vi fosse stato un pagamento irregolare di questa somma, tale da

provocare un’omissione o un errore; ma nelle operazioni di una grande banca,

in una grande città commerciale, un pagamento di sei sterline, alla distanza di

otto o nove mesi, può aver lasciato un’impressione debolissima. E,

 

126

nell’insieme, il caso presenta forse uno dei più notevoli fenomeni mentali

collegati a questo curioso argomento».

La difficoltà di questo caso non consiste nel fatto che venne ricordata in

sogno una cosa che, in stato di veglia, era scomparsa dalla memoria; perché

questo, come nell’esempio già citato, tratto da Brodie, è un fenomeno che

spesso si presenta nei sogni. La vera difficoltà è che il fatto di cui il cassiere

era in cerca, ossia l’omessa registrazione di una somma di sei sterline, non fu

affatto ricordato dal sogno. Il sogno, infatti, ricordò e presentò nuovamente

alla memoria in tutti i particolari una certa circostanza dimenticata, e

precisamente che otto o nove mesi prima era stato fatto un pagamento in

modo irregolare a un certo balbuziente importuno; e ne derivò l’impressione

«che il sogno lo avrebbe condotto a scoprire ciò che cercava con tanta

ansia»; nulla più. Fu solo un accenno, un semplice suggerimento, come se

qualcuno avesse detto: «Guarda se quella faccenda del balbuziente non ha

qualche cosa a che fare con l’errore che non riesci a trovare». E ci viene detto

espressamente che solo dopo aver fatto le indagini il cassiere scoprì che il

pagamento fatto al nostro cliente non ,era stato registrato. Se questo non è

esempio di suggerimento provenuto da qualche fonte esterna, invece di essere

un semplice caso di antichi ricordi riaffiorati, ne ha per lo meno tutta

l’apparenza.

Altri esempi, apparentemente più straordinari e più strettamente collegati

a ciò che di solito consideriamo soprannaturale, sono più suscettibili di una

spiegazione naturale. Così una storia riferita da Sir Walter Scott (25) come

segue:

«Il signor Rutherford, di Bowland (26), proprietario terriero nel Vale of

Gala, era stato citato in giudizio per una somma molto considerevole, gli

arretrati accumulati di una decima di cui si diceva fosse debitore a una nobile

famiglia che ne era legalmente titolare. Il signor Rutherford era certo che suo

padre, con un procedimento peculiare della legge scozzese, avesse acquistato

questa decima dal titolare, e che, quindi, il presente processo non avesse basi.

Ma, dopo un’ accurata ricerca tra le carte di suo padre, un’ indagine nei

documenti pubblici e un’attenta inchiesta fra coloro che avevano condotto

affari legali per suo padre, non si poté trovare alcuna prova a sostegno di

quanto affermava. Egli pensava ormai che avrebbe infallibilmente perso il

processo; e aveva deciso di recarsi a Edimburgo il giorno dopo per giungere a

un compromesso nel miglior modo possibile. Andò a letto dopo aver preso

questa decisione e, con tutti i particolari del caso che gli turbinavano per la

testa, ebbe il seguente sogno. Suo padre, che era morto da parecchi anni, gli

apparve e gli chiese perché mai fosse così turbato. In sogno non ci si

meraviglia mai di queste apparizioni. Il signor Rutherford gli spiegò le cause

del suo disagio aggiungendo che il pagamento di quella forte somma gli era

 

127

tanto più spiacevole in quanto era sicuro che non fosse dovuta, sebbene non

riuscisse a trovare alcuna prova a conferma della sua certezza. “Hai ragione,

figlio mio”, rispose l’ombra paterna. “Io ho acquistato il diritto su questa

decima per il cui pagamento sei adesso perseguito. Le carte relative

all’operazione sono nelle mani del signor..., un procuratore che si è adesso

ritirato dalla professione e risiede a Inveresk, presso Edimburgo. Mi sono

servito di lui, in questa occasione per una ragione particolare, ma non ha mai

trattato altri affari per me. E’ molto probabile”, proseguì la visione, “che il

signor ... abbia dimenticato un fatto che è ormai di vecchia data; ma puoi

indurlo a ricordare grazie a questo particolare: quando andai a pagargli la

parcella, ci fu qualche difficoltà nel cambiare una moneta d’oro portoghese e

dovemmo cercare una bilancia in una osteria”.

«Al mattino, il signor Rutherford si svegliò con tutte le parole della visione

impresse nella mente e penso che valeva la pena di fare una deviazione verso

Inveresk invece di andare direttamente a Edimburgo. Giunto là, si recò dal

signore indicato dal sogno, che era molto vecchio. Senza dir nulla della

visione, gli chiese se ricordava di aver condotto quell’operazione per il suo

defunto padre. Il vecchio dapprima non riuscì a ricordare; ma quando l’altro

parlò della moneta portoghese, tutto gli tornò a mente. Cercò

immediatamente i documenti e li trovò, così che il signor Rutherford poté

portare a Edimburgo le carte necessarie per vincere la causa che era stato per

perdere».

Sir Walter aggiunge, circa l’autenticità di questo racconto: «L’autore ha

udito spesso raccontare questa storia da persone che conoscevano

perfettamente i fatti, che non era probabile fossero state ingannate e che

erano assolutamente incapaci di ingannare. Non può dunque rifiutarsi di

darvi credito per quanto straordinarie possano apparire le circostanze».

La spiegazione che Scott offre in via di ipotesi è «che il sogno fosse solo una

ricapitolazione di notizie che il signor Rutherford aveva realmente avuto da

suo padre quando questi era in vita, e che, in un primo tempo, ricordava solo

come impressione generale che la cosa era già stata sistemata».

La possibilità che questa sia la vera spiegazione non può essere negata; ed è

più facile supporla in questo caso che non nel caso del cassiere di banca.

Tuttavia si presentano serie difficoltà. Non possiamo dare a esse il giusto peso

perché, come disgraziatamente avviene spesso in queste narrazioni, mancano

alcuni dei particolari essenziali. Non sappiamo quanti anni avesse il signor

Rutherford al tempo dell’acquisto della decima. Sappiamo solo che era una

transazione «di data molto vecchia». E’ probabile che fosse un fanciullo. Se è

così, non è verosimile che suo padre gli avesse riferito tutti i particolari

dell’operazione come la difficoltà di cambiare una moneta portoghese e il

 

128

ricorso a un’osteria. Se, d’altra parte, egli era già adulto, non è probabile che

un fatto così importante fosse totalmente svanito dalla sua memoria da non

potere essere ricordato coscientemente, come lo fu dal vecchio procuratore.

Ed è evidente che non fu ricordato. Il figlio era sicuro che non si trattò di un

affiorare di ricordi, ma di avere realmente parlato con lo spirito di suo padre;

Scott scrive infatti: «Questa notevole circostanza ebbe brutte conseguenze per

il signor Rutherford, la cui salute e il cui carattere furono in seguito indeboliti

dalla continua attenzione che egli credeva di dovere rivolgere alla visione di

quella notte».

Vi è poi un’altra difficoltà: e cioè la coincidenza fra il suggerimento del

preteso spirito e ciò che avvenne effettivamente durante la visita al

procuratore di Inveresk. Egli aveva effettivamente dimenticato la transazione.

Questa circostanza fu prevista per caso? La sua memoria fu effettivamente

rinfrescata dall’allusione all’incidente della moneta portoghese. Avvenne

anche questo per caso?

A meno che non si consideri come sicuro che una comunicazione

ultraterrena non può esistere, la conclusione più semplice e naturale in questo

caso è che il padre sia apparso realmente, in sogno, al figlio. E l’argomento in

contrario che Scott adduce nel suo commento dell’episodio ha poco peso. Egli

dice: «Pochi supporranno che le leggi della natura siano state interrotte e sia

stata permessa una speciale comunicazione fra il defunto e il vivo, solo per far

risparmiare al signor Rutherford qualche centinaio di sterline». E’ certamente

vero che questa sarebbe una supposizione poco ragionevole. Per quanto poco

si possa dire sulle vie scelte da Dio, possiamo tuttavia dar credito all’antica

massima: «Nec Deus intersit, nisi dignus vindice nodus» (Non si faccia

intervenire Dio se il problema non è degno del suo intervento). Ma,

supponendo per un momento che sia stato lo spirito paterno a mettersi in

comunicazione col figlio, questo non implicherebbe affatto una interruzione

delle leggi della natura o la necessità di uno speciale permesso. Ho già esposto

(27) le ragioni per cui credo che, se vi è una occasionale comunicazione fra i

morti e i viventi, questo avviene in certe date condizioni, forse fisiche, e

dirette in ogni caso da leggi costanti e immutabili come quelle che tengono i

pianeti sulla loro orbita stabilita. E se, come la Bibbia afferma (28) e i poeti

hanno cantato (29), gli spiriti dei defunti si interessano al benessere dei loro

cari rimasti in terra, e se essi possono talora, in virtù di queste leggi,

manifestare quell’interesse, perché non dovremmo immaginare un padre il

quale colga l’opportunità di stornare un’ingiustizia che sta per colpire suo

figlio ? E perché dovremmo accettare e adottare estreme improbabilità per

sfuggire a ogni costo a una simile conclusione?

Il signor Rutherford sembra essere caduto nello stesso errore di Sir Walter,

sebbene nel caso di quest’ultimo si sia risolto in scetticismo e, nel primo, in

 

129

superstizione. Una più illuminata visione del caso sarebbe stata più benefica

per entrambi. Avrebbe indotto l’autore di Waverley a dubitare del diritto di

negare (se realmente nell’intimo del suo cuore negò) l’occasionale realtà di un

agente ultraterreno; e avrebbe risparmiato al signor Rutherford l’illusione di

credersi, come sembra abbia fatto, l’oggetto favorito di uno speciale e

miracoloso intervento divino.

Facciamo un passo avanti. Supponiamo che si vogliano considerare questi

due casi, con tutte le difficoltà che li circondano, come semplici esempi di un

riaffiorare di vecchi ricordi, e guardiamo se non vi siano casi in cui venga

presentata alla mente di chi sogna una realtà che non può essere tratta dalle

profondità della memoria perché non vi è mai esistita. Che fare, a esempio, di

fronte a un caso come questo, capitato a William Howitt e riferito dall’autore

stesso? La cosa avvenne durante il suo viaggio in Australia nel 1852.

«Alcune settimane fa, mentre ero ancora in mare, sognai di essere da mio

fratello a Melburne, e di trovare la sua casa su di una collina, all’estremo della

città, presso una foresta. Il giardino scendeva per un poco giù dalla collina,

fino a una costruzione di mattoni sottostante; e vi erano case verdi sulla

destra presso il muro, guardando il basso della collina dalla casa. Nel mio

sogno, mentre guardavo dalla finestra, vidi un bosco di alberi dal fogliame

scuro, le cui cime sembravano in qualche modo isolate, ossia non formavano

una densa massa come nei nostri boschi. “Laggiù”, dissi in sogno volgendomi

a qualcuno, “vedo la vostra foresta nativa di eucalipti!”. Raccontai il sogno ai

miei figli e, in egual tempo, a due miei compagni di viaggio; e, sbarcati,

mentre passeggiavamo per i prati, molto prima di raggiungere la città, vidi

quel bosco. “Eccolo”, dissi, “è proprio il bosco del mio sogno. Adesso vedremo

la casa di mio fratello”. E così fu. Era esattamente là dove l’avevo vista, solo

che appariva più nuova; ma là, sopra le mura del giardino, vi era il bosco

esattamente come lo avevo visto e come lo vedo ora, mentre me ne sto seduto

a scrivere davanti alla finestra della sala da pranzo. Quando guardo questa

scena mi sembra di rivedere il mio sogno» (30).

A meno che non immaginiamo che Howitt abbia confuso immagini avute

in precedenza da una minuta descrizione del panorama visibile dalle finestre

di suo fratello con le impressioni qui presentate come ricevute in sogno

(supposizione che nel caso di uno scrittore così intelligente è inammissibile),

come possiamo spiegare questo sogno con la teoria dei ricordi riaffiorati? E

qui l’ipotesi di una semplice coincidenza casuale è evidentemente fuori luogo.

In realtà il caso è difficile a spiegarsi con una qualsiasi teoria comunemente

accettata.

E non lo è meno il seguente, una esperienza personale esposta dalla

signora Howitt nell’Appendice alla traduzione fatta da suo marito dell’opera

 

130

di Ennemoser appena citata. «La notte del 12 marzo 1853», ella scrive,

«sognai di ricevere una lettera del mio figlio maggiore. In sogno mi affrettavo

a rompere il sigillo e vedevo un foglio coperto da una fitta scrittura; ma il mio

occhio colse solo queste parole, al centro della prima pagina, scritte in

calligrafia più grande del resto e sottolineate: “Mio padre sta molto

male”. Fui presa da una tremenda angoscia e mi svegliai d’improvviso per

accorgermi che si trattava solo di un sogno; tuttavia la penosa impressione

della realtà era stata così viva che rimasi a lungo senza riuscire a riprendermi.

Il mattino, la prima cosa che feci fu di cominciare una lettera a mio marito

riferendogli questo sogno conturbante. Sei giorni dopo, il 18, un corriere

australiano mi porto una lettera, l’unica giuntami con quel corriere, e non una

lettera della mia famiglia, ma di un signore dell’Australia, che conoscevamo.

Sull’esterno della lettera era scritto “Urgente”. L’aprii con mani tremanti, e

il fatto è che le prime parole che lessi, scritte in calligrafia più grande, ai

centro della pagina e sottolineate erano: “Il signor Howitt sta molto

male”. Tuttavia il contesto in cui si trovava questa terribile frase suonava

così: “Se vi è giunta notizia che il signor Howitt sta molto male,

permettetemi di assicurarvi che adesso sta meglio”; ma le uniche parole

paurose erano quelle che avevo visto in sogno, e queste, leggermente diverse

dalla realtà, che sembravano significare, come, per una ragione o per un’altra,

avviene in queste impressioni mentali, o rivelazioni spiritiche, o espressioni

occulte».

Che fare in un caso come questo, direttamente attestato da una signora di

elevato carattere e intelligenza e garantito dalla sua personale esperienza? In

sogno, nell’aprire una lettera di suo figlio, allora in Australia, vede al centro

della pagina, scritte in calligrafia più grande e sottolineate, le

parole «Mio padre sta molto male». Sei giorni dopo riceve veramente una

lettera dall’Australia, non di suo figlio ma di un amico, e lì, al centro della

pagina, in caratteri più grandi e sottolineate, le prime parole che il

suo sguardo incontra sono: «il signor Howitt sta molto male». E’ un caso?

Tutte queste coincidenze un caso? Anzitutto le parole che corrispondono

quasi letteralmente e con lo stesso significato; poi la posizione al centro della

pagina; in seguito le più grandi dimensioni dei caratteri; infine la

sottolineatura? La mente istintivamente e giustamente respinge questa

conclusione.

Qualunque cosa sia, non è un caso. I mesmeristi la chiamano

chiaroveggenza o vista a distanza (vue à distance), caratterizzata da una

lucidità in qualche modo imperfetta.

Perché il lettore non si immagini che, fondandosi sui principi comuni per

spiegare i precedenti esempi, ha raggiunto il massimo delle difficoltà relative

all’argomento, citerò qui, traendoli da una moltitudine di altri esempi di ciò

 

131

che a buon diritto può essere chiamato chiaroveggenza naturale, ancora uno o

due casi, che il lettore stesso troverà ancora più imbarazzanti per chi voglia

spiegarli con la teoria della coincidenza fortuita.

La veridicità. del primo è garantita dal dott. Carlyon, autore di un’opera da

cui lo ho tolto, che lo ebbe dal testimone principale e che, come garanzia,

presenta in tutti i particolari i nomi, il luogo e la data.

L’OMICIDIO PRESSO WADEBRIDGE

«La sera dell’8 febbraio 1840, il signor Nevel Norway, un gentiluomo della

Cornovaglia, fu barbaramente assassinato da due fratelli di nome Lightfoot,

mentre stava andando da Bodmin a Wadebridge, suo luogo di residenza.

«In quel tempo suo fratello, Edmund Norway, era al comando di una nave

mercantile, “l’Orient”, in viaggio da Malila a Cadice; e quel che segue è il suo

resoconto di un sogno da lui avuto la notte stessa in cui suo fratello veniva

assassinato».

Nave “Orient” da Manila a Cadice,

8 febbraio 1840.

«Circa le 7,30 pomeridiane, l’isola di Sant’Elena a NN.W., distante circa

sette miglia; ridotto le vele puntando a est; alle otto messa la guardia e andato

sotto coperta; scritta una lettera a mio fratello, Nevel Norway. Circa venti

minuti o un quarto prima delle dieci andato al letto; addormentato e sognato

di vedere due uomini aggredire mio fratello e ucciderlo. L’uno prese il cavallo

per le briglie e fece scattare due volte una pistola, ma non udii detonazione.

Poi gli tirò un colpo ed egli cadde da cavallo. Gli spararono vari colpi, lo

tirarono per le spalle attraverso la strada e, lo lasciarono lì. Nel sogno v’era

una casa sulla sinistra della strada. Alle quattro sono stato chiamato e sono

salito sul ponte per prendere il comando della nave. Ho raccontato al mio

secondo, Henry Wren, di aver fatto un sogno terribile, e cioè che mio fratello

Nevel era stato ucciso da due uomini sulla strada da St. Columb a

Wadebridge, ma che ero sicuro che non poteva essere lì, perché la casa

avrebbe dovuto essere sul lato destro della strada; quindi doveva essere stato

in un altro luogo. Lui mi ha risposto: “Non credete a nulla di questo sogno.

Voi dell’ovest siete così superstiziosi! Vi angoscereste per tutto il viaggio”. Poi

mi fece la consegna e andò sotto coperta. Il sogno è durato in continuità dal

momento in cui mi sono addormentato fino a quando fui svegliato alle

quattro del mattino».

 

132

Edmund Norway

Comandante della nave Orient

«Questo il sogno. Ed ecco la confessione di William Lightfoot, uno degli

assassini, che fu giustiziato con suo fratello a Bodmin il lunedì 13 aprile 1840.

«“Andai a Bodmin, sabato scorso, l’8 di questo mese (8 febbraio 1840), e

nel ritorno incontrai mio fratello James all’inizio di Dummeer Mill. Era già

buio. Entrammo nella strada a pedaggio e proseguimmo fino alla casa presso

il luogo in cui fu commesso il delitto. Non entrammo nella casa ma ci

nascondemmo in un campo. Mio fratello abbatté il signor Norway; fece

scattare la pistola due volte, ma l’arma non sparo. Poi lo abbatté con un colpo

di pistola. Io ero lì con lui. Il signor Norway fu colpito mentre era a cavallo.

Avvenne sulla strada a pedaggio, fra Pencarrow Hill e l’indicatore stradale per

Wadebridge. Non so che ora fosse. Lasciammo il corpo nell’acqua, sul lato

sinistro della strada andando verso Wadebridge. Prendemmo del denaro da

una borsa, ma non so quanto. Mio fratello trascinò il corpo attraverso la

strada fino al rigagnolo”.

«Al processo, il signor Abraham Hambly affermò di avere lasciato Bodmin

dieci minuti prima delle dieci e di essere stato raggiunto dal signor Norway a

circa un quarto di miglio da Bodmin. Avevano cavalcato insieme per circa due

miglia, fin dove le loro strade si separavano.

«Il signor John Hick, un agricoltore di St. Minver, lasciò Bodmin alle dieci

e un quarto prendendo la via di Wadebridge, e vide il cavallo del signor

Norway, che galoppava davanti a lui senza cavaliere. L’orologio batté le undici

un attimo prima che giungesse a Wadebridge.

«Il signor Thomas Gregory, carrettiere del signor Norway, fu chiamato dal

signor Hick verso le undici, e, andando alla stalla, trovò sulla porta il cavallo

del suo padrone. Sulla sella v’erano due macchie di sangue fresco. Prese il

pony e imboccò la strada. Era con lui Edward Cavel. Giunsero in una località

chiamata North Hill, dove vi è una casetta solitaria e disabitata sul lato destro

della strada andando verso Bodmin. Adiacente alla casa, dalla parte di

Wadebridge c’è un orticello e un rigagnolo che scende lungo la strada.

Trovarono il corpo del signor Norway nell’acqua.

«La deposizione del chirurgo, signor Tickell, mise in evidenza che la testa

era stata paurosamente colpita e fratturata.

«Si noterà che il signor Edmund Norway, nel riferire il sogno, il mattino

seguente, al suo secondo, osservò che il delitto non poteva essere stato

commesso sulla strada di St. Columb, perché la casa, andando di lì verso

 

133

Wadebridge, rimane sulla destra, mentre, nel sogno, era sulla sinistra. Questa

circostanza, sebbene apparentemente insignificante, accresce in qualche

modo l’interesse del sogno senza sminuire minimamente la sua esattezza;

perché tali discrepanze sono caratteristiche delle impressioni sensoriali, del

tutto involontarie, e sono molto più vicine alla produzione di un dagherrotipo

che a quella di un ritrattista, la cui opera dipende dalla sua volontà.

«Chiesi al signor Edmund Norway se, supponendo che non avesse scritto

una lettera a suo fratello la sera dell’8 febbraio, e avesse tuttavia fatto quel

sogno, l’impressione ricevuta sarebbe stata tale da impedirgli di scrivere in

seguito. Mi rispose che forse il fatto non avrebbe avuto queste conseguenze,

ma che non poteva dirlo con precisione.

«In ogni caso il sogno deve essere considerato notevole per la sua indubbia

autenticità e la sua perfetta coincidenza nel tempo e nelle circostanze con un

orribile delitto» (31).

Fin qui la relazione del dott. Carlyon. Consideriamo brevemente il caso.

La coincidenza per quel che riguarda il tempo è esatta, perché l’omicidio

avvenne la notte stessa del sogno. Non si tratta di un incidente ordinario, ma

di un delitto piuttosto raro. La precisa corrispondenza fra il sogno e le

circostanze reali non deve essere provata da ricordi rievocati settimane o mesi

dopo il sogno, perché la prova è un estratto preso verbatim dal giornale di

bordo, la relazione immediata, quando tutto era fresco nella memoria.

E’ vero che il signor Norway aveva scritto al fratello prima di andare a

dormire, ed è probabile che si sia addormentato pensando a lui. Non è

impossibile che, senza questa direzione dei suoi pensieri, egli non avrebbe

avuto alcun sogno; perché chi può stabilire il potere della simpatia o fissare

dei limiti a questo potere?

Era dunque naturale che sognasse del fratello. Ma era egualmente naturale

(nella comune accezione del termine) che ogni minimo particolare di un

delitto perpetrato in Inghilterra, fosse visto, nel momento stesso, in una

visione notturna, da un navigatore al largo dell’isola di Sant’Elena?

La minuziosa esattezza della corrispondenza può essere meglio giudicata

contrapponendo i vari incidenti visti nel sogno a quelli che furono messi in

evidenza durante il processo:

Il signor Edmund Norway sognò

che suo fratello Nevel veniva

aggredito da due uomini e ucciso.

Il signor Nevel Norway fu aggredito

la stessa notte da William Lightfoot e

da suo fratello James e ucciso da loro.

 

134

Il signor Edmund Norway sognò

«che si trattava della strada da St.

Coulomb a Wadebridge».

«Avvenne sulla strada a pedaggio

fra Pencarrow Mill e l’indicatore

stradale per Wadebridge».

Il signor Edmund Norway sognò

che uno degli uomini «prese il cavallo

per le briglie e fece scattare due volte

una pistola, ma non udì la

detonazione. Poi gli tirò un colpo ed

egli cadde da cavallo».

James Norway «fece scattare la

pistola due volte, ma l’arma non

sparò. Poi lo abbatté con un colpo di

pistola» … «Il signor Norway fu

colpito mentre era a cavallo».

Il signor Edmund Norway sognò

che gli assassini «gli spararono vari

colpi, lo tirarono per le spalle

attraverso la strada e lo lasciarono lì».

James Lighfoot «trascinò il corpo

attraverso la strada fino al rigagnolo».

… Gli assassini lasciarono «il corpo

nell’acqua, sul lato sinistro della

strada andando verso Wadebridge».

Difficilmente potrebbe essere immaginata una più completa serie di

corrispondenze tra un sogno e la realtà: L’incidente della pistola che per due

volte fa cilecca è da solo conclusivo. Le varie coincidenze, prese insieme, come

prova che il caso non può essere la vera spiegazione, hanno tutta la forza di

una dimostrazione di Euclide.

Vi era un’inesattezza circa la casa sulla sinistra della strada mentre in realtà

si trovava sulla destra; così come le parole nella lettera della signora Howitt

variavano leggermente da quelle da lei lette in sogno: inesattezze istruttive,

queste, che non invalidano minimamente le prove esistenti

indipendentemente da esse, ma che ci insegnano come, anche attraverso un

agente che noi siamo abituati a chiamare soprannaturale, la verità può

giungere a noi frammista all’errore, e come la chiaroveggenza, anche la più

notevole, è per lo meno incerta e debole.

L’esempio seguente - pure di chiaroveggenza in sogno - mi è stato riferito

personalmente dal protagonista.

I DUE TOPI DI CAMPO

 

135

Nell’inverno del 1835-36, una goletta rimase prigioniera dei ghiacci nella

parte superiore della Baia di Fundy, presso Dorchester, che è a nove miglia

dal fiume Pedeuliac. Durante il tempo della forzata immobilità fu affidata a

un certo signor Clarke, il quale è oggi capitano della goletta «Julia Hallock»,

che viaggia fra New York e Santiago de Cuba.

La nonna paterna del capitano Clarke, signora Ann Dawe Clarke, a cui egli

era molto affezionato, era allora vivente e, per quanto egli ne sapeva, stava

bene. Dimorava a Lyme-Regis, nella contea di Dorset, in Inghilterra.

La notte del 17 febbraio 1836, il capitano Clarke, allora a bordo della

goletta di cui abbiamo parlato, ebbe un sogno così vivido da fare su di lui una

grande impressione. Sognò di essere a Lyme-Regis e di vedersi passare

davanti il funerale di sua nonna. Notò le principali persone che facevano parte

della processione, osservò coloro che tenevano i cordoni, i dolenti e l’ordine in

cui avanzavano e identificò il pastore officiante. Si unì alla processione che

andava avvicinandosi alla porta del cimitero, e si avviò con essa fino alla

tomba. Sempre in sogno gli parve che il tempo fosse piovoso e la terra umida

come dopo una forte pioggia; notò anche che il vento impetuoso aveva

scostato in parte, dalla bara, il drappo funebre. Il vecchio cimitero

protestante, nel centro della città, in cui entrarono, era lo stesso in cui, come il

capitano Clarke sapeva, vi era la tomba della sua famiglia. Ne ricordava

perfettamente l’ubicazione, ma, con sua sorpresa, la processione non si avviò

verso di essa ma si diresse verso un’altra parte del cimitero, a qualche

distanza. Lì, sempre in sogno, vide una tomba aperta, in parte riempita

d’acqua, a causa, sembrava, della pioggia; e, guardando in essa, noto

particolarmente due topi di campo annegati che galleggiavano nell’acqua. In

seguito gli parve di parlare con sua madre, la quale gli diceva che la mattina

era stata così tempestosa che il funerale, dapprima fissato per le dieci, aveva

dovuto essere differito fino alle quattro. Egli notò a sua volta che era stata una

circostanza fortunata perché, essendo arrivato appena in tempo per unirsi alla

processione, se il funerale fosse avvenuto il mattino non avrebbe potuto

essere presente.

Questo sogno fece tanta impressione sul capitano Clarke, che al mattino

prese nota della data. Qualche tempo più tardi gli giunse la notizia della morte

della nonna con in più il particolare che essa era stata sepolta nel giorno

stesso in cui lui, nel Nord America, aveva sognato il suo funerale.

Quattro anni dopo, quando il capitano Clarke visitò Lyme-Regis, trovò che

ogni particolare del sogno corrispondeva alla realtà. Il pastore, coloro che

tenevano i cordoni, i dolenti erano le stesse persone da lui viste. Tuttavia si

può supporre che egli avrebbe potuto prevedere naturalmente tutto ciò. Ma il

funerale era stato realmente fissato per le dieci del mattino e differito poi alle

 

136

quattro del pomeriggio in conseguenza di un uragano e della forte pioggia che

cadeva. Sua madre, che era presente al funerale, ricordava distintamente che

il vento aveva tirato parzialmente da parte il drappo funebre della bara. In

seguito a un desiderio espresso dalla vecchia signora poco prima di morire,

ella era stata sepolta non già nella tomba di famiglia, ma in un altro luogo da

lei scelto; e a questo luogo il capitano Clarke si recò subito, senza avere avuto

indicazioni dalla famiglia né da altri, sicuro come se fosse stato presente alla

sepoltura. Infine, dopo aver mostrato le sue note al vecchio sacrestano, venne

a sapere che la forte pioggia del mattino aveva riempito in parte la fossa e che

in essa erano stati realmente trovati due topi di campo annegati.

Quest’ultimo fatto, anche se non ve ne fossero altri, sarebbe sufficiente a

eliminare l’idea di una coincidenza casuale.

Tutto ciò mi è stato raccontato dallo stesso capitano Clarke (32), con

l’autorizzazione a valermi del suo nome come prova della verità (33).

Se qualcuno fosse tentato di considerare la facoltà della chiaroveggenza

naturale, evidentemente, confermata dai precedenti esempi, come un dono

miracoloso, farà bene a meditare che, mentre in alcuni esempi di questa

facoltà troviamo casi in cui sono in giuoco la vita o la morte, altri, egualmente

autentici, sono di un carattere molto più banale.

Ecco un esempio di questi ultimi, garantito da Abercrombie: «Una signora

di Edimburgo aveva mandato il suo orologio a riparare. Passò molto tempo

senza che riuscisse a riaverlo, per una scusa o per un’altra, e infine cominciò a

sospettare che fosse avvenuto qualche spiacevole incidente. Una notte sognò

che il garzone dell’orologiaio, per mezzo del quale aveva inviato l’orologio, lo

aveva fatto cadere per strada danneggiandolo irreparabilmente. Andò

dall’orologiaio e, senza fare allusione al suo sogno, gli pose direttamente la

domanda; l’altro confessò che era vero» (34).

In questo caso nulla potrebbe essere più ridicolo del supporre un

intervento miracoloso per far sapere a una signora le ragioni per cui un

orologiaio tratteneva il suo orologio; e tuttavia come è estremamente

improbabile che, fra le diecimila possibili cause di questo ritardo, il caso le

abbia indicato in sogno proprio quella, apparentemente fra le meno

prevedibili e probabili, che coincideva esattamente con la realtà!

E’ difficile spiegare anche un caso semplice come questo, a meno che non

mettiamo in dubbio la buona fede della narratrice, supponendo che ella abbia

volontariamente taciuto qualche circostanza essenziale, come, per esempio,

che avesse avuto ragione di sospettare, in seguito a qualche informazione, che

il ragazzo avesse lasciato cadere l’orologio. Ma poiché Abercrombie garantisce

che la narrazione è autentica, questo esclude, naturalmente, ogni

 

137

supposizione che priverebbe l’aneddoto di ogni valore nel contesto nel quale è

pubblicato.

Nei tre esempi che seguono, e che sono di un tipo diverso da quello dei

precedenti, possiamo andare ancora più in là e affermare che, se il narratore

non mente direttamente, vi sono fenomeni e leggi connessi col sogno che non

sono ancora stati spiegati né accuratamente investigati.

Il primo mi fu comunicato nel marzo 1859 dalla signorina A.M.H.,

intelligente figlia di una personalità conosciuta nei circoli letterari inglesi. Lo

riferisco con le sue parole.

UN SOGNO COMPLEMENTARE DI UN ALTRO

«Avevamo un amico, S., il quale alcuni anni fa si trovava in un delicato

stato di salute, considerato di carattere consuntivo. Abitava a parecchie

centinaia di miglia da noi, e, sebbene la nostra famiglia fosse con lui in grande

intimità, non conoscevamo né la sua casa né alcuno della sua famiglia; le

nostre relazioni consistevano soprattutto in lettere che ricevevamo a

intervalli.

«Una notte, pur non avendo alcuna ragione per pensare a lui né alla sua

salute, sognai di dover andare nella città in cui risiedeva. In sogno mi parve di

arrivare a una data casa, di entrarvi e di salire direttamente in una stanza in

ombra. Lì vidi, S., abbandonato sul letto come se stesse per morire. Mi

avvicinai a lui e, non già con tristezza ma come animata da una fiduciosa

sicurezza, gli presi una mano dicendogli: “No, non state per morire.

Rassicuratevi: vivrete”. Mentre parlavo, mi sembrava di udire una squisita

melodia che risuonava nella stanza.

«Svegliatami, l’impressione riportata era così viva che, incapace di metterla

da parte fino al giorno dopo, la comunicai a mia madre, e poi scrissi a S.,

chiedendogli della sua salute ma senza fargli alcun cenno delle ragioni della

mia ansietà.

«La sua risposta ci informò che egli era stato molto male - addirittura in

punto di morte - e che la mia lettera, da lui letta solo alcuni giorni dopo averla

ricevuta, a causa della sua malattia, lo aveva riempito di gioia.

«Tre anni dopo, mia madre e io incontrammo S. a Londra, e, poiché ci

eravamo messi a parlare di sogni, io dissi: “A proposito, tre anni fa, quando

eravate malato, ho avuto uno strano sogno su di voi”, e glielo riferii. Mentre

parlavo notai sul suo volto una singolare espressione, e, quando ebbi finito,

 

138

egli mi disse molto commosso: “E’ una cosa molto strana, perché anch’io, una

notte o due prima che arrivasse la vostra lettera, ho avuto un sogno che fa

perfettamente riscontro al vostro. Mi vedevo in punto di morte e stavo dando

l’ultimo addio a mio fratello. Lui mi disse: “C’è qualche cosa che possa fare

per te prima della tua morte?”. “Sì”, risposi in sogno, “manda a chiamare la

mia amica A.M.H. Devo vederla prima di andarmene”. “Impossibile”, disse

mio fratello, “sarebbe una cosa inaudita. Non verrà mai”. Ma io insistei:

“Verrà”. E aggiunsi: “Vorrei anche ascoltare, prima di morire, la mia sonata

favorita di Beethoven”. “Ma sono sciocchezze”, disse mio fratello quasi con

severità. “Non hai desideri più seri in un’ora così solenne?”. “No, tutto quello

che voglio è di vedere la mia amica A.M. e udire la sonata”. E, mentre parlavo,

in sogno vi vidi entrare. Voi vi avvicinaste al letto con aria allegra, e, mentre la

musica che desideravo riempiva la stanza, voi mi parlaste incoraggiandomi e

dicendomi che non sarei morto”».

Conoscendo bene la narratrice, posso garantire questo racconto che

comprende il raro e notevole fenomeno di due sogni concorrenti e

contemporanei.

Il secondo esempio è presentato da Abercrombie (35) come citato da

Joseph Taylor (36) quale fatto indubitabile. Avvenne al defunto reverendo

Joseph Wilkins, in seguito pastore dissenziente a Weymouth, nel Dorsetshire,

Inghilterra, ma allora usciere di una scuola del Devonshire, quando aveva

ventitré anni, e cioè nel 1754. 11 signor Wilkins morì il 22 novembre 1800 nel

settantesimo anno di età. Negli annunci necrologici del Gentleman’s

Magazine vi è un trafiletto sulla sua morte, in cui si dice: «Per liberalità di

sentimenti, generosità di carattere e immutevole integrità ebbe pochi eguali e

quasi nessun superiore» (37).

Il racconto originale fu da lui stesso esposto per iscritto e accuratamente

osservato, (io vi ho aggiunto solo il titolo) e suona così:

LA MADRE E IL FIGLIO

«Una notte, subito dopo essere andato a letto, mi addormentai e sognai di

andare a Londra. Pensai che non avrei di molto allungato la strada

attraversando il Gloucestershire per visitare i miei amici. Di conseguenza lo

feci, ma non ricordo nulla di quanto accadde per via finché non giunsi alla

casa di mio padre. Andai alla porta principale e cercai di aprirla, ma era

sbarrata. Allora andai alla porta del retro, l’aprii ed entrai; poiché tutta la

famiglia era a letto, attraversai le stanze, salii al piano di sopra ed entrai nella

stanza in cui dormivano mio padre e mia madre. Avvicinatomi al lato del letto

 

139

in cui stava mio padre, lo trovai addormentato, o pensai che lo fosse; allora

andai sull’altro lato e, appena passato oltre i piedi del letto, scorsi mia madre

sveglia e le rivolsi queste parole: “Mamma, sto facendo un lungo viaggio e

sono venuto a salutarti”. Lei mi rispose atterrita: “Oh, figlio mio, sei morto!”.

A questo punto mi svegliai e lo considerai un sogno normale a parte il fatto

che mi sembrava molto realistico. Pochi giorni dopo, appena il tempo

necessario perché una lettera potesse arrivarmi, ne ricevetti una di mio padre.

Ne fui un po’ sorpreso e pensai che doveva essere successo qualcosa di

straordinario, perché solo poco tempo prima avevo ricevuto una lettera di

amici e tutto andava bene. Apertala, fui ancora più sorpreso perché mio padre

scriveva come se fossi morto, pregando me, se ero ancora in vita, o chiunque

altro nelle cui mani la lettera fosse capitata, di scrivere immediatamente. Ma i

miei concludevano dicendo che, se la lettera mi avesse trovato vivo, io non

sarei vissuto a lungo, e davano questa ragione dei loro timori: una notte (e la

indicavano), mentre erano a letto, mio padre addormentato e mia madre

sveglia, ella aveva udito qualcuno cercar di aprire la porta principale; ma

trovandola sbarrata, costui era andato alla porta sul retro, l’aveva aperta, era

entrato ed era salito direttamente al piano di sopra: lei aveva perfettamente

riconosciuto il mio passo. Io ero andato al suo capezzale e le avevo detto:

“Mamma, sto facendo un lungo viaggio e sono venuto a salutarti”. Al che lei

mi aveva risposto atterrita: “Oh, figlio mio, sei morto!”. Le stesse circostanze,

e le stesse parole da me sognate. Non vide altro e non udì altro, al pari di me

nel sogno. Allora si riscosse e disse a mio padre quello che era accaduto; ma

lui cerco di calmarla persuadendola che si trattava solo di un sogno. Lei

insistette tuttavia che non era un sogno perché era sveglia quanto poteva

esserlo e non aveva avuto la minima tendenza ad addormentarsi da quando

era a letto. Da questo inferisco che doveva essere lo stesso momento in cui

avveniva il mio sogno, sebbene la distanza fosse di circa cento miglia, ma su

questo punto non sono sicuro. Il fatto avvenne quando ero all’accademia di

Ottery, Devon, nell’anno 1754; e ogni particolare è ancora vivo nella mia

mente. In seguito ho avuto spesso occasione di parlare della cosa con mia

madre, e anche lei aveva ricordi non meno netti dei miei. Ho pensato più volte

che le sue impressioni in proposito fossero più forti delle mie. Quel che può

apparire strano è che io non ricordo nulla di particolarmente notevole che mi

sia avvenuto in seguito. Questa è solo una pura e semplice narrazione di un

fatto reale».

Che nulla di straordinario sia avvenuto in seguito - a esempio una morte

improvvisa, di cui il sogno fosse un preavviso - è una peculiarità istruttiva di

questo caso. Dovremo dire, come sogliono fare i superstiziosi, che è un caso

miracoloso? Sarebbe un miracolo senza alcun motivo.

 

140

L’incidente, se ne ammettiamo l’autenticità, può solo servire a confutare le

comuni nozioni che si hanno in proposito. E la completa indipendenza del

fatto da ogni pretesa predizione o presentimento può essere un’ulteriore

garanzia della sua verità. Non vi era nulla che potesse ingannare

l’immaginazione, né alcuna base su cui si potesse avere la tentazione di creare

una sovrastruttura fantastica.

Né questa narrazione, per quanto inesplicabili possano apparire le

circostanze, è unica nel suo genere. Un’altra, molto bene autenticata, è

presentata, fra una cinquantina di altre evidentemente apocrife, da Baxter nel

suo noto Certainty of the World of Spirits (Certezza del mondo degli

spiriti) (38). Proviene da un ecclesiastico residente nel Kent. La trascrivo

letteralmente, aggiungendo solo il titolo.

L’AMORE MATERNO

«Reverendo Signore,

Poiché ho saputo che state scrivendo sulle arti magiche e le apparizioni, mi

prendo la libertà, sebbene non mi conosciate, di mandarvi la seguente

relazione.

«Mary, moglie di John Goffe, di Rochester, afflitta da una lunga malattia, si

trasferì nella casa di suo padre a West Mulling, circa nove miglia distante da

casa sua. E lì morì il 4 giugno di quest’anno 1691.

«Il giorno prima della sua dipartita, ella divenne ansiosa di vedere i suoi

due bambini, che aveva lasciato a casa sotto le cure di una governante. Pregò

il marito di noleggiare un cavallo perché voleva tornare a casa e morire

accanto ai suoi figli. Cercarono di persuaderla che era impossibile dicendole

che non era in condizioni di lasciare il letto e tanto meno di cavalcare, ma ella

li scongiuro tuttavia di provare. “Se non posso stare in sella”, disse,

“sdraiatemi sul dorso del cavallo, perché devo vedere i miei poveri piccoli”.

Alle dieci di quella sera era con lei un sacerdote della città, e a lui ella espresse

la sua speranza nella misericordia divina e la sua rassegnazione alla morte.

“Ma”, aggiunse, “sono disperata per non poter vedere i miei bambini”. Fra

l’una e le due del mattino cadde in uno stato estatico. Una certa vedova

Turner, che quella notte la vegliava, disse che i suoi occhi erano aperti e fissi e

la mascella pendente. Mise la mano sulla sua bocca e le sue narici, ma non

poté percepire alcun respiro. Pensò che fosse sopravvenuta una crisi e si

domando se era morta o viva.

 

141

«Il mattino dopo, la morente disse alla madre di essere stata a casa, dai

suoi bambini. E’ impossibile”, rispose la madre, “perché sei sempre rimasta a

letto”. “Sì”, rispose l’altra, “ma io sono stata con loro stanotte mentre

dormivo”.

«La governante di Rochester, una certa vedova Alexander, affermò

sostenendo di poterlo giurare davanti a un magistrato e di poter ricevere il

sacramento dopo il giuramento, che un poco prima delle due del mattino,

aveva visto l’immagine della detta Mary Goffe uscire dalla stanza vicina (dove

dormiva da solo il figlio maggiore), la cui porta era aperta, e restare per circa

un quarto d’ora a fianco del suo letto, dove dormiva con lei il bambino più

piccolo. Muoveva gli occhi e le labbra, ma non disse niente. La governante

affermò inoltre di essere stata perfettamente sveglia. Faceva già chiaro perché

era uno dei giorni più lunghi dell’anno. Si sedette sul letto e fissò

l’apparizione. In quel momento udì l’orologio del ponte battere le due, e poco

dopo disse: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, chi sei?”.

Allora l’apparizione si mosse e andò via. Lei si infilò un abito e la seguì, ma

non poté vedere dove fosse andata. Solo allora cominciò ad avere paura, uscì

fuori e si mise a camminare per qualche ora lungo la riva (la casa è appunto

sulla riva del fiume), andando ogni tanto a guardare i bambini. Alle cinque

andò alla casa di un vicino e bussò; ma non vollero alzarsi. Alle sei vi tornò;

allora si alzarono e la fecero entrare. Riferì loro quello che era avvenuto; essi

cercarono di persuaderla di essersi sbagliata o di avere sognato. Ma lei

affermò: “Se l’ho mai vista in vita mia, l’ho vista stanotte”.

«Una di coloro a cui aveva narrato il fatto (Mary, moglie di John Sweet)

ricevette nella mattina un messaggio da Mulling col quale le annunciavano

che la sua vicina Goffe stava morendo e desiderava parlarle. Vi andò il giorno

stesso e la trovò in punto di morte. La madre, fra l’altro, le disse quanto sua

figlia avesse desiderato di vedere i bambini, e aggiunse che li aveva visti.

Questo fece ricordare alla signora Sweet quello che la governante le aveva

riferito il mattino; perché fin allora non ne aveva fatta parola, cercando anzi

di tacerlo considerandolo frutto della mente malata della donna.

«Questo fatto non è stato riferito da John Carpenter, il padre della defunta,

il giorno dopo il funerale di lei. Il due luglio parlai a lungo della vicenda con la

governante e con due vicini da cui ella si era recata quel mattino. Due giorni

dopo ebbi la conferma dalla madre, dal sacerdote e dalla donna che la vegliò

durante l’ultima notte. Tutti concordano nel narrare la stessa storia e le loro

testimonianze si rafforzano a vicenda. Sembrano persone intelligenti ed

equilibrate, lontanissime dal volere ingannare o mentire; e non so concepire

perché avrebbero dovuto avere la tentazione di farlo.

 

142

«Signore, Dio benedica il vostro pio sforzo per convincere gli atei e i

sadducei e diffondere la vera religione e la devozione, e possa questo racconto

contribuire al miglioramento del mondo: è questo il desiderio cordiale del

«Vostro fedele amico,

e umile servitore

«Tho. Tilson; ministro di Aylesford,

presso Maidstone, nel Kent».

Aylesford, 6 luglio 1691

Questa storia semplice e commovente narra eventi che si dicono avvenuti

nello stesso anno in cui venne pubblicata l’opera di Baxter, ossia il 1691,

riferita da un ecclesiastico delle vicinanze, il quale scriveva di fatti venuti a

conoscenza cinque settimane prima e la maggior parte dei quali erano stati da

lui verificati nei cinque giorni precedenti la data della lettera, e cioè il due e il

quattro luglio 1691. Vengono dati i nomi e gli indirizzi di tutti i testimoni e

l’ora e il luogo esatti degli avvenimenti da loro testimoniati. Sarebbe difficile

trovare un racconto dei nostri giorni meglio comprovato.

L’alternativa che gli scettici possono presentare non è, probabilmente, che i

testimoni si siano messi d’accordo per una menzogna, perché questo è

incredibile; ma che la madre morente, attingendo una forza soprannaturale

dal suo intenso desiderio di vedere i suoi figli, abbia realmente lasciato il letto

nella notte dal tre al quattro giugno, abbia percorso la strada da West Mulling

a Rochester, sia entrata nella sua abitazione e abbia visto i bambini tornando

poi, prima di mattino, alla casa del padre; che la signora Turner, come

sogliono fare le infermiere, si sia addormentata e che, anche se si svegliò

accorgendosi della scomparsa della sua paziente prima del ritorno di lei, non

ne abbia fatto parola temendo di essere accusata di trascuratezza nel suo

dovere. E a conferma di tale ipotesi, lo scettico potrebbe citare questo

aneddoto riferito da Sir Walter Scott (39).

Un circolo filosofico di Plymouth era solito tenere le sue adunanze, durante

i mesi estivi, in una grotta presso il mare, e altre volte in una casa d’estate nel

giardino di una osteria, del qual giardino alcuni membri, che abitavano nelle

vicinanze, avevano la chiave. I membri del circolo tenevano alternativamente

la presidenza delle sedute. Una volta il presidente della serata era malato; si

diceva che stesse per morire; ma, per rispetto, la sua sedia consueta fu lasciata

vuota. Improvvisamente, mentre i membri stavano parlando di lui, la porta si

aprì e una sembianza del presidente entrò nella stanza, con indosso una veste

da camera bianca e un berretto da notte, e, simile a un morto, prese il posto

vacante, si portò alle labbra un bicchiere vuoto, si inchinò all’assemblea,

rimise a posto il bicchiere e usci. L’assemblea sbigottita, dopo aver discusso

 

143

sul fatto, inviò due dei suoi membri ad accertare le condizioni del presidente.

Quando essi tornarono con la paurosa notizia che era appena spirato, i soci,

temendo il ridicolo, convennero che non avrebbero fatto parola

dell’avvenimento.

Alcuni anni più tardi, la vecchia che era stata infermiera del membro

defunto, in punto di morte confessò al suo medico, il quale faceva parte del

circolo, che, essendosi addormentata durante il suo sonno, il paziente, in

delirio, si era svegliato ed era uscito dall’appartamento; svegliatasi anche lei,

era corsa fuori di casa a cercarlo, lo aveva incontrato che stava tornando e lo

aveva rimesso a letto, dove subito era morto. Temendo di essere biasimata per

la sua trascuratezza, non aveva detto nulla.

Scott, nel citare questa e altre poche semplici spiegazioni di quelli che

sembravano fatti straordinari, nota che «il conoscere quello che è stato

scoperto in molti casi ci dà la sicurezza della causa dominante di tutti» (40).

Nulla può essere più illogico. E’ faticoso raggiungere la verità; ma se vogliamo

raggiungerla, dobbiamo affrontare la fatica. Se anche si tratta di un

procedimento noioso, l’unico sicuro è di corroborare ogni esempio con prove

cercate e vagliate (secondo la frase diplomatica) ad hoc. Se per il fatto di

avere scoperto un’impostura in un singolo caso, ne consideriamo altri venti

come egualmente inattendibili, non ci comportiamo più saggiamente di colui

che, avendo ricevuto un dollaro falso in una certa città, conclude che laggiù

tutte le monete sono false. Dovrà solo essere più attento nell’accettare gli altri

dollari; tutto qui. Egualmente noi, sapendo che in alcuni casi, come in questo

del circolo di Plymouth, le apparenze possono ingannare, dobbiamo stare in

guardia contro tali errori, e non venire alla conclusione che in ogni esempio

analogo ci si può valere della stessa spiegazione.

Possiamo valercene nel caso di Mary Goffe? La distanza fra la casa di suo

padre e la sua era di nove miglia. Tre ore per andare e tre ore per tornare, sei

in tutto - ossia dalle undici alle cinque del mattino - sarebbero state

necessarie a una persona in buona salute che camminasse senza soste a passo

ordinario. Si può credere che, come nell’esempio di Plymouth, un malato in

delirio possa, pochi istanti prima della morte, percorrere un centinaio di

iarde. Ma è incredibile che una donna morente, così debole da essere

considerata incapace di alzarsi dal letto, possa percorrere diciotto miglia

senza aiuto e sola? L’infermiera afferma che la sua paziente cadde in stato

estatico fra l’una e le due, e di aver posto la mano sulla sua bocca e le sue

narici senza percepire il respiro. Supponiamo che sia una menzogna inventata

per nascondere la sua negligenza: possiamo immaginare che, dopo la visita di

un sacerdote alle dieci, l’infermiera, vegliando una persona che poteva morire

da un momento all’altro, si sia addormentata prima delle undici per svegliarsi

solo dopo le cinque, o che, svegliandosi prima e trovando il letto vuoto, non

 

144

abbia messo in allarme la casa? Ma ammettiamo pure tutte queste estreme

improbabilità. Possiamo credere che il padre e la madre della morente

l’abbiano abbandonata, nell’ultima notte della sua vita, per più di sei ore? E

possiamo supporre che, in queste circostanze, la paziente sia potuta uscire

dalla sua stanza e dalla casa prima delle undici e tornare dopo le cinque senza

che alcuno la vedesse né all’andata né al ritorno?

E queste non sono le uniche difficoltà. La stessa signora Goffe dichiarò, al

mattino, di aver visto i suoi bambini solo in sogno. E se non fu così ed ella si

recò veramente a Rochester, è credibile che si sia limitata a guardare in

silenzio, per pochi minuti, i suoi bambini addormentati lasciandoli poi senza

una parola di addio per riprendere il faticoso cammino verso la casa del

padre? Quando aveva così insistentemente pregato il marito di noleggiare un

cavallo, quale motivazione aveva dato alla sua richiesta? «Doveva tornare a

casa e morire presso i suoi figli».

Sottopongo al giudizio del lettore queste considerazioni. Dia loro il peso

che crede possano meritare. Ma se, da ultimo, inclina verso l’ipotesi di un

viaggio notturno da parte della malata, lo prego di considerare in qual modo

potrà spiegare il caso parallelo del reverendo Wilkins, in cui la distanza fra la

madre e il figlio era di cento miglia.

Abercrombie, ammettendo i fatti di quest’ultimo caso così come Wilkins li

espone, dice solo: «Questo sogno singolare deve essere sorto da qualche forte

impressione esercitata su entrambe le persone nello stesso tempo; e trovare

questa fonte sarebbe cosa di grande interesse».

Non posso supporre che Abercrombie intenda qui un’impressione mentale

casualmente esercitata in egual tempo sulla madre e sul figlio. Era un

troppo buon ragionatore per non sapere dove una teoria simile lo avrebbe

condotto. Se consideriamo tutti i particolari addotti, come l’inutile tentativo

di entrare per la porta principale, l’entrata dalla porta sul retro, l’aver salito le

scale entrando nella stanza matrimoniale, i termini precisi della frase

pronunciata e quelli della risposta, infine la cessazione del sogno, o visione,

della madre e del figlio nello stesso punto, se, dico, ci permettiamo di

considerare coincidenze così numerose e minutamente particolareggiate

come queste quali semplici effetti del caso, dove si fermerà il nostro

scetticismo? Forse non prima che si sia giunti a persuaderci che anche questo

mondo, con tutto ciò che contiene, non è che il risultato di una combinazione

fortuita.

Ma se, come indubbiamente è il caso, il dott. Abercrombie intende dire che

questa impressione simultanea su due menti distanti deve essere avvenuta in

accordo con qualche legge psicologica non ancora scoperta, che sarebbe

interessante indagare, possiamo benissimo condividere la sua opinione.

 

145

Non sembra, tuttavia, che egli consideri l’episodio in altra luce che come

esempio di sogni coincidenti e sincroni. Potremmo discutere se è questa la

vera ipotesi. In un altro capitolo (41), saranno addotte le prove da me ottenute

che la comparsa di una persona vivente a una maggiore o minore distanza dal

luogo in cui questa persona si trova realmente e nel punto in cui, forse, si può

supporre che i pensieri e gli affetti di quella persona siano concentrati in quel

momento, è un fenomeno non del tutto raro. Se ammettiamo questo, io posso

dare la vera spiegazione del sogno di Wilkins, del sogno della signora Goffe e

di altri simili.

L’ingegnoso autore della Philosophy of Mysterious Agents (Filosofia

degli agenti misteriosi) che rifugge da tutto ciò che sa di spiritismo, nel

trattare la relazione di Wilkins, di cui ammette l’autenticità, dice: «Questo

mostra indubbiamente uno strano e finora sconosciuto agente nel quale, o

grazie al quale, il cervello può agire anche a grande distanza e produrre

risultati fisici che rappresentano perfettamente l’azione cerebrale quando il

potere di controllo della mente è sospeso» (42).

Se questo, come è possibile, apparirà piuttosto oscuro al lettore, prendiamo

un altro paragrafo per aiutarlo a capire. Dopo avere riferito lo stesso episodio,

il signor Rogers aggiunge: «Questo è facilmente spiegato col metodo con cui

consideriamo tale classe di fenomeni; e non ne vediamo alcun altro in cui le

difficoltà non appaiano insuperabili. In questo caso abbiamo di nuovo la

condizione richiesta per l’azione dei poteri terreni in riferimento al cervello; la

condizione in cui il cervello, essendo stimolato, può agire e, grazie all’agente

terreno, rappresentare la sua azione (come in questo caso) a cinquanta miglia

o più di distanza» (43).

Non mi colpisce che, con questo metodo del signor Rogers, lo strano

fenomeno che abbiamo considerato sia facilmente spiegato, come lui crede. In

qual modo lo spiega? La dottrina del caso, egli lo vede chiaramente, è

insostenibile. La dottrina spiritista viene da lui ripudiata. Per evitare

entrambe, egli suggerisce che il cervello del figlio, nel Devonshire, essendo in

attività durante la sospesa volizione propria del sonno, abbia rappresentato la

propria attività nel cervello della madre a cento miglia di distanza nel

Gloucestershire, e che questa azione rappresentata sia dovuta a un agente

terreno strano e sconosciuto.

Il dire che le due menti, in un modo o in un altro, erano state messe in

relazione, è solo ammettere che la coincidenza di sensazioni e di idee in

entrambi i soggetti non era fortuita. Se, come possiamo liberamente

ammettere, l’agente è, come il signor Rogers afferma, strano e sconosciuto,

perché presumere che sia fisico? E, presumendo questo, spieghiamo forse il

 

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fenomeno non dirò facilmente, ma completamente? Abbiamo forse fatto

qualche cosa di più che impiegare vaghe parole? E per di più parole che, per

quanto vaghe, sembriamo usare senza alcuna giustificazione? Che ne

sappiamo di un cervello stimolato che agisce fisicamente a cento miglia di

distanza? Che cosa intendiamo dicendo che questo cervello rappresenta la

sua azione a questa o a un’altra distanza? Quale sorta di agente terreno

possiamo immaginare come strumento di tale azione? E se giudichiamo un

semplice agente fisico come capace di collegare, indipendentemente dalla

distanza, mente a mente, che bisogno c’è di un’ipotetica anima o spirito per

spiegare l’intera meravigliosa schiera dei fenomeni mentali?

Qui ancora dobbiamo domandarci dove indirizziamo i nostri passi nel

tentativo di evitare l’ipotesi di un agente spirituale. Sembrerebbe ai confini

del materialismo.

Poiché i fenomeni della classe che abbiamo qui esaminato vengono

considerati generalmente fra i meno credibili di quelli connessi col sogno,

posso affermare che quelli citati non sono gli unici di cui si abbia ricordo.

Kerner, nella sua Veggente di Prevorst, ne fornisce uno attestato da lui

stesso e da un medico che curava il padre della veggente (44). Sinclair ne

riferisce un altro (45); ma quanto sia valida l’autorità in quest’ultimo caso non

saprei dire.

Rimane da considerare un’altra importante inchiesta. Vi sono casi

attendibili che presentino, o sembrino presentare, prove che la facoltà di

precognizione nei sogni sia fenomeno reale, e che questa facoltà sia propria,

come si dice esserlo la chiaroveggenza, di certe persone in particolare? Vi

sono - come la parola è stata usata a proposito della cosiddetta seconda vista

degli Higlands scozzesi - dei veggenti così abitualmente dotati?

Persone autorevoli hanno affermato che vi sono: a esempio Goethe, nei

riguardi del suo nonno materno. Traduco dalla sua autobiografia.

IL NONNO DI GOETHE

«Ma quello che aumentava la venerazione con cui consideravamo questo

eccellente vecchio era la convinzione che egli possedesse il dono della

profezia, specialmente su fatti che riguardavano lui e i suoi. E’ vero che

confidava l’insieme e i particolari di questa facoltà solo a nostra nonna;

tuttavia noi, bambini, sapevamo benissimo che spesso era informato, in

straordinari sogni, di cose che dovevano avvenire. Per esempio assicuro sua

 

147

moglie, nel tempo in cui era uno dei magistrati più giovani, che, alla prossima

vacanza del seggio, sarebbe stato eletto a sedere al tavolo degli aldermanni. E

quando, pochissimo tempo dopo, uno degli aldermanni fu stroncato da un

fatale colpo apoplettico, ordino che, il giorno in cui si sarebbe fatta la scelta

del nuovo membro per estrazione a sorte, fosse approntata la casa e preparata

ogni cosa per ricevere gli ospiti che sarebbero venuti a congratularsi con lui

per la sua elezione. E in realtà fu estratta proprio per lui la palla d’oro che

decide la scelta degli aldermanni a Francoforte. Egli confidò a sua moglie in

questi termini, il sogno che gli aveva fatto prevedere l’evento. Si trovava in

sessione con i suoi colleghi, e tutto procedeva come al solito quando un

aldermanno (lo stesso che poi moti) scese dal suo sedile, si avvicinò a mio

nonno, lo pregò educatamente di prendere il suo posto e poi lascio la stanza.

Qualche cosa di simile accadde in occasione della morte del prevosto. In

questo caso era consuetudine colmare la vacanza in gran fretta, perché si

poteva sempre temere che l’imperatore, il quale un tempo nominava il

prevosto, volesse un giorno rivendicarsi il suo antico privilegio. In questa

particolare occasione, lo sceriffo ricevette l’ordine, a mezzanotte, di convocare

una seduta straordinaria per il mattino dopo. Quando, nel suo giro, l’ufficiale

giunse alla casa di mio nonno, chiese un pezzetto di candela per sostituire

quello che si era appena consunto nella sua lanterna. “Dategli una candela

intera”, disse mio nonno alle domestiche “E’ per me che si da tanta pena”. Gli

eventi giustificarono le sue parole: egli venne infatti eletto prevosto. Ed è

degno di nota che, quando si giunse alla terza e ultima possibilità, le due palle

d’argento vennero estratte per prime così quella d’oro rimase per lui in fondo

alla borsa.

«I suoi sogni erano realistici, semplici e senza traccia di fantastico o di

superstizioso, per quanto almeno venne a nostra conoscenza. Ricordo anche

che, quando, da ragazzo, solevo cercare tra i suoi libri e le sue carte, trovai

spesso, frammisti ad appunti sul giardinaggio, frasi come queste: “Stanotte

°°° è venuto da me e mi ha detto °°°”, (il nome e le circostanze erano scritte in

cifre), e: “Stanotte ho visto °°°”, il resto era in caratteri per me inintelligibili.

E’ inoltre notevole, a questo riguardo, che certe persone le quali non avevano

mai posseduto alcun potere straordinario lo acquistavano per tutto il tempo

che restavano vicino a lui; per esempio la facoltà di presentimento, per segni

visibili, in casi di malattia o di morte avvenuti nel momento stesso ma a

distanza. Tuttavia nessuno dei suoi figli né dei suoi nipoti ereditò questa

peculiarità» (46).

Gli esempi particolari qui citati possono essere spiegati; ma è evidente che

Goethe, il quale disponeva dei migliori mezzi per saperlo, considerava

conclusive le prove che suo nonno fosse realmente dotato di facoltà

profetiche.

 

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Macario cita un caso simile, la cui evidenza sembra indiscutibile. Lo

traduco dalla sua opera sul sonno.

LA VISITA PREDETTA

«Ecco un fatto avvenuto nella mia stessa famiglia e della cui autenticità mi

rendo garante. La signora Macario partì il 6 luglio 1854 per Bourbon

l’Archambault onde fare la cura delle acque per i suoi disturbi reumatici. Un

suo cugino, il signor O., che abita a Moulins e che abitualmente sogna tutto

ciò che di straordinario sta per capitargli, la notte prima della partenza di mia

moglie ebbe il seguente sogno. Gli parve di vedere la signora Macario,

accompagnata dalla sua figlioletta, prendere la ferrovia e iniziare il suo

viaggio per i bagni di Bourbon. Quando si sveglio disse a sua moglie di

prepararsi a ricevere due cugine che ancora non conosceva. Sarebbero

arrivate quel giorno a Moulins e sarebbero ripartite la sera per Bourbon. “Non

mancheranno certamente”, aggiunse, “di farci una visita”. In effetti mia

moglie e mia figlia arrivarono a Moulins; ma poiché il tempo era pessimo e la

pioggia cadeva a torrenti, si fermarono nella casa di un amico presso la

stazione e, per mancanza di tempo, non fecero visita ai cugini, che abitavano

in un quartiere distante. Egli tuttavia, non si scoraggiò. “Forse sarà per

domani” disse. Ma l’indomani venne e nessuno apparve. Nondimeno, del

tutto convinto, per l’esperienza della veracità dei suoi sogni, che le cugine

erano arrivate, andò all’ufficio della diligenza che fa servizio fra Moulins e

Bourbon, per chiedere se una signora accompagnata dalla figlioletta (e le

descrisse) non era partita la sera prima per Bourbon. Gli fu risposto

affermativamente. Allora si informò del luogo in cui la signora aveva sostato a

Moulins, andò alla casa e poté accertare che tutti i particolari del suo sogno

erano esatti. In conclusione posso affermare che il signor O. non aveva alcuna

conoscenza della malattia né del viaggio della signora Macario, che non

vedeva da parecchi anni» (47).

Una notevole caratteristica di questo fatto è la fiducia del signor O. nel

presagio del suo sogno, indicante che egli aveva buone ragioni per credere, a

questi avvertimenti. Per il resto è difficile mettere in discussione la verità e

l’esattezza di una osservazione la cui evidenza è così diretta e la cui autorità

così rispettabile.

Considerando lo straordinario carattere di questa presunta facoltà di

prevedere, o istinto profetico, durante il sogno, mi considero fortunato di

poter presentare parecchie altre narrazioni bene autenticate che la riguardano

 

149

direttamente. Tuttavia non sembra che in questi casi, come invece nei

precedenti, chi sognava fosse un veggente abituale.

Nel primo un evento molto improbabile fu previsto con chiarezza un anno

prima che avvenisse. Ne ho ricevuta la relazione scritta da una signora il cui

nome, se potessi dirlo, sarebbe per il pubblico una garanzia più che sufficiente

della verità della storia.

LA RIVOLTA INDIANA

«La signora Torrens, vedova del generale Torrens, oggi residente a

Southsea, presso Portsmouth, circa un anno prima della rivolta indiana sognò

di vedere sua figlia, signora Hayes, e il marito di lei, capitano Hayes, aggrediti

dai sepoys; ne seguiva una terribile mischia nella quale il capitano Hayes

veniva ucciso.

«Scrisse immediatamente chiedendo che sua figlia e i bambini tornassero

subito in patria, e, in conseguenza della sua continua insistenza, i nipoti

arrivarono col primo vascello. Questo avvenne prima che si avesse la minima

idea della rivolta. Io ho visto spesso questi ragazzi al sicuro a Southsea. La

signora Hayes rimase con suo marito e soffrì tutti gli orrori dell’assedio di

Lucknow, dove il capitano Hayes cadde nelle mani dei sepoys, che gli

cavarono gli occhi e poi lo uccisero».

Presenterò adesso un aneddoto direttamente autenticato come il

precedente, che si trova nell’appendice alla Anatomy of Sleep (Anatomia

del sonno) del dott. Binns (48). E’ stato comunicato all’autore dall’On. signor

Talbot, padre dell’attuale contessa di Shrewsbury, e lo trascrivo con le sue

stesse parole e da lui firmato, aggiungendo solo il titolo.

BELL E STEPHENSON

«Nell’anno 1768, mio padre, Matthew Talbot, di Castle Talbot nella contea

di Wexford, fu molto sorpreso dal ripetersi di un sogno per tre volte nella

stessa notte, onde fu spinto a riferirlo per intero a sua moglie il mattino

seguente. Sognò di essersi alzato come al solito e di essere sceso nella sua

biblioteca dato che il mattino era nebbioso. Si sedette poi alla scrivania per

scrivere, quando, volgendo per caso lo sguardo su di un lungo viale alberato

davanti alla finestra, vide un uomo in giacca turchina, su di un bianco cavallo,

 

150

avvicinarsi alla casa. Mio padre si alzò e aprì la finestra; l’uomo, venuto

avanti, gli consegno un rotolo di carte dicendogli che erano documenti

mercantili di un vascello che era naufragato ed era stato spinto sulla spiaggia

durante la notte nei possedimenti di suo genero (Lord Mount Morris), lì

presso, ed erano firmati “Bel e Stephenson”.

«L’attenzione di mio padre fu richiamata sul sogno solo per il suo ripetersi;

ma quando si trovò seduto alla scrivania, in un mattino di nebbia, e vide

l’identica persona che aveva visto in sogno, in giacca turchina e in sella a un

cavallo grigio, fu pieno di stupore e, aperta la finestra, attese che l’uomo si

avvicinasse. Questi si fece subito avanti e, tratto di tasca un pacco di fogli,

glieli diede spiegando che erano documenti appartenenti a un vascello

americano naufragato e spinto sulle coste dei possedimenti di Sua Signoria; a

bordo non vi era alcuno per reclamare il rottame; ma i documenti erano

firmati “Stephenson e Bell”.

«Vi assicuro, caro signore, che quanto sopra è realmente accaduto ed è

stato riferito con la massima fedeltà; ma non è molto più straordinario di altri

esempi di facoltà profetiche della mente o dell’anima durante il sogno, che ho

spesso udito raccontare».

Molto sinceramente vostro

William Talbot.

Alton Towers, 23 ottobre 1842.

In questo caso troviamo lo stesso strano elemento di una leggera

inesattezza unita a straordinarie coincidenze di particolari, che abbiamo già

notato più volte. L’uomo in giacca turchina; il cavallo bianco o grigio; il

vascello gettato sui possedimenti di Lord Mount Morris; il fascio di carte

consegnato, tutto presenta una perfetta corrispondenza fra il sogno

precognitore e la realtà. Anche i nomi dei documenti corrispondono, ma il

loro ordine è rovesciato: nel sogno sono «Bell e Stephenson» mentre sui veri

documenti sono «Stephenson e Bell».

Per non stancare il lettore estendendo troppo questo capitolo,

accumulando troppi esempi che, come ho notato più volte, potrebbero essere

moltiplicati all’infinito, mentre forse quelli citati possono bastare come un

buon campione dell’insieme, ne presenterò solo un altro di previsione in

sogno, non meno notevole dei precedenti. Il racconto è stato verificato da uno

dei più accreditati scrittori di saggi filosofici (perché tale deve essere

considerato il dott. Abercrombie) e, per di più, ho ottenuto per esso una

 

151

importante garanzia. Il dott. Abercrombie, dopo avere affermato di «poterlo

presentare come perfettamente autentico», lo riferisce (senza il titolo che

appare qui) con queste parole:

IL SERVO NEGRO

«Una signora sogno che una sua vecchia parente era stata assassinata da

un servo negro; e il sogno si ripeté più volte (49). Ne fu tanto impressionata

che si recò dalla signora a cui il sogno si riferiva e riuscì a convincere un

signore a vegliare in una stanza adiacente durante la notte successiva. Verso

le tre del mattino, questo signore, udendo dei passi sulle scale, lasciò il suo

nascondiglio e incontrò il servitore che stava portando su del carbone.

Richiesto di dove stesse andando, rispose in modo confuso e affrettato di

andare ad alimentare il fuoco della sua padrona: cosa che, alle tre del mattino

e in piena estate, era evidentemente impossibile; in seguito a un’ulteriore

investigazione, venne trovato un grosso coltello nascosto sotto il carbone»

(50).

Questo racconto, per quanto notevole, non è dato con sufficienti

particolari. Non dice se la signora che aveva sognato era o no a conoscenza, al

tempo del sogno, che la sua vecchia parente avesse un servo negro. Non ci fa

sapere nulla della successiva condotta e del destino del servo. Non ci dà i

nomi delle parti. Fortunatamente io posso colmare queste lacune.

Quando ero in Edimburgo, nell’ottobre 1858, ebbi occasione di sottoporre

questo capitolo a una signora - moglie di un distinto uomo politico e lei stessa

conosciuta per numerose opere di successo - la quale, nel restituirmelo, unì

gentilmente a questa narrazione la nota seguente:

«Si tratta della signora Rutherford, o Egerton, prozia di Sir Walter Scott; e

io stessa ho udito raccontare la storia dalla famiglia. La signora che sognò era

la figlia del signor Rutherford, allora assente da casa. Al suo ritorno fu stupita,

rientrando nella casa di sua madre, di incontrare lo stesso servo negro che

aveva visto in sogno, il quale era stato assunto durante la sua assenza. Molto

dopo, quest’uomo fu impiccato per omicidio; e, prima dell’esecuzione,

confessò che voleva assassinare la signora Rutherford».

La storia, con questo attestato - che dà i nomi delle persone in causa e

aggiunge particolari che aumentano notevolmente il valore dell’esempio - è,

credo, il più imponente caso di previsione in sogno che conosca.

Esaminiamolo brevemente.

 

152

Anzitutto il sogno implicava due particolari: l’uno che la madre della

sognatrice sarebbe stata assassinata; l’altro che l’omicidio sarebbe stato

compiuto da un negro. Se la figlia avesse saputo che la madre aveva un servo

negro, non sarebbe stato giusto considerare i due fatti come elementi distinti:

in realtà qualche cosa nei modi dell’uomo avrebbe potuto far sorgere un

sospetto e così dare forma al sogno. Ma la figlia, al momento del sogno, non

sapeva che la madre aveva un servo negro, e fu stupita di incontrarlo

tornando a casa. E’ questo uno dei più importanti elementi del caso, perché

preclude ogni supposizione che l’intervento del negro nel sogno fosse

suggerito alla sognatrice in modo naturale.

Vi è dunque nel sogno l’indicazione di due particolari indipendenti, e

l’averli identificati esattamente l’uno o l’altro per puro caso sarebbe stata, dal

punto di vista matematico, una probabilità estremamente piccola. Nella

quiete della vita domestica, in un paese civile, in una classe sociale

rispettabile, un omicidio deliberato non ha nemmeno una probabilità su un

milione. E vi erano milioni di probabilità contro una previsione casuale

riguardante una particolare persona. E così pure per quel che riguarda le altre

specificazioni. I negri in Scozia sono rari. Se anche si fosse trattato solo del

sogno di un negro che commetteva un omicidio a Edimburgo, senza

indicazione della persona uccisa, quanto sarebbe stato difficile immaginare,

qualora il fatto fosse avvenuto entro pochi giorni giustificando la predizione,

che la realizzazione fosse puramente accidentale! Ma, trattandosi del doppio

evento, le probabilità matematiche diminuiscono fino a potere essere

considerate praticamente inapprezzabili. Le probabilità contro il verificarsi

casuale del doppio evento sono le stesse su cui ci fondiamo nella vita

quotidiana con la sicurezza che può offrirci la certezza.

E’ vero che, per quella particolare oscurità di visione che caratterizza così

spesso i fenomeni di questo genere, gli eventi a venire sono solo indicati e non

chiaramente previsti. Il sogno della figlia era che la madre era stata uccisa; e

questo non è avvenuto. Tuttavia l’effetto provocato dal sogno sulla sua mente,

rafforzato dal ripetersi di esso, fu tale da indurla a prendere precauzioni

contro l’avverarsi di un fatto simile in futuro: e avvenne che la stessa notte in

cui vennero prese tali precauzioni fu fatto l’attentato. Questa è una terza

coincidenza.

Tutto questo fu un caso? Non venne dato alcun avvertimento? Non vi fu

alcuna intenzione di salvare la vita della madre agendo in sogno sulla mente

della figlia? Se rispondiamo a queste domande in senso negativo, non

scartiamo forse le più chiare regole di prova che, sotto l’imperio della ragione,

abbiamo adottato per dirigere la nostra vita di ogni giorno?

 

153

Ma, d’altra parte, se ammettiamo che vi fu un avvertimento, che vi fu

un’intenzione, chi diede questo avvertimento? A quale intelligenza

apparteneva quell’intenzione?

Accettare la teoria dei custodi spirituali (51) può essere considerato come

tagliare il nodo di Gordio. E tuttavia, se questa ipotesi viene respinta, ne

abbiamo forse un’altra che possa prenderne il posto?

Ma, senza insistere per il momento su questa ultima ipotesi, soffermiamoci

un attimo a riflettere dove ci può portare la certezza a cui siamo giunti, tratta

da una fonte non certo sospetta. Se la accettiamo, se, con Abercrombie e con

l’avallatrice del suo racconto sul servo negro della signora Rutherford, ci

sentiamo costretti ad ammettere la realtà del fatto, possiamo ignorare le

legittime e inevitabili conseguenze? Dovremo continuare ad affermare, con

Macnish, che il credere nell’eventuale potere dei sogni di darci qualche

visione del futuro «è un’opinione così singolarmente antifilosofica» da non

meritare che ce se ne occupi? Dovremo mettere da parte con disprezzo e

derisione, senza esaminarle, invece di studiarle con paziente attenzione, le

affermazioni di alcuni osservatori relative ai più imponenti fenomeni che si

dicono caratterizzare alcuni stati di sonnambulismo come la chiaroveggenza e

la precognizione? Se vogliamo parlare di ciò che è singolarmente

antifilosofico, un tale comportamento ne offrirebbe certamente un notevole

esempio.

E non è forse abbondantemente giustificata l’affermazione già fatta che, se

vogliamo ottenere una visione globale di questo soggetto, dobbiamo studiare

tutti i vari stati ipnotici nelle loro reciproche relazioni? Prima di affrontare le

meraviglie del mesmerismo, consideriamo appieno le ancor più grandi

meraviglie del sonno.

Infine il trascurare una simile inchiesta è ancor meno giustificato vedendo

che questi fatti avvengono in paesi cristiani, dove la Bibbia è letta e i suoi

insegnamenti sono venerati. Se vi è una dottrina insegnata chiaramente e

inequivocabilmente nell’Antico e nel Nuovo Testamento, con affermazioni

dirette e con numerosi esempi, è la stessa che è prevalsa, come Cicerone ci

ricorda (52), in ogni paese civile e colto o barbaro e ignorante: la dottrina cioè

che nelle visioni notturne gli uomini ricevono a volte più di quanto

apprendano nella vigile veglia del giorno.

Esempi di tale dottrina sono diffusi in tutta la Bibbia. L’Antico Testamento,

in particolare, ne è pieno: si vedano i sogni di Abimelech, del Faraone, di Saul,

di Salomone, di Nabuccodonosor, e poi quelli di Giacobbe, di Labano, di

Daniele. E, passando dai sogni dell’Antico a quelli del Nuovo Testamento,

troviamo che su alcuni di essi sono fondati, in certa misura, alcuni dei

 

154

cardinali articoli di fede della dottrina ortodossa, sia cattolica sia protestante.

Così i sogni dei Magi, di Giuseppe, della moglie di Pilato.

E’ verissimo, e ne sarà tenuto conto, che molti autori i quali negano ai

sogni ogni carattere straordinario o profetico, fanno eccezione, direttamente o

implicitamente, per quelli ricordati dalla Scrittura. Ma la Scrittura stessa non

autorizza in nessun punto questa distinzione. Elihu annuncia una verità

generale in termini generali: «A coloro che dormono nel loro letto, Dio apre le

orecchie e vi sigilla le loro istruzioni». Dobbiamo limitare questo agli uomini

di una data epoca? Chi ce lo garantisce? Con una licenza simile non possiamo

forse dar ragione di qualsiasi altro testo? Quello per esempio, con cui Elihu

conclude la sua eloquente rimostranza: «Dio non rispetta tutti gli uomini di

cuore saggio». In pratica si troveranno molti che trascurano questo implicito

ammonimento contro una presuntuosa autosufficienza, ma pochi saranno

tanto audaci da sostenere che, sebbene l’ammonimento si applicasse

giustamente a coloro che si consideravano saggi ai tempi di Giobbe, è

antiquato e inapplicabile a noi stessi, ai nostri giorni.

Se non vogliamo essere giudicati altrettanto audaci nella casistica, se

riguardo ai fenomeni qui brevemente e imperfettamente esaminati,

accettiamo nel nostro caso la lezione implicita nelle parole di Elihu, possiamo

essere indotti a concludere che dobbiamo dedicare, a un soggetto importante

e trascurato, maggior tempo e attenzione di quanto gli uomini vi abbiamo

dedicano finora (53), prima di affermare autorevolmente che tutti i sogni dei

nostri tempi sono semplici e inutili vagabondaggi di una fantasia sbrigliata;

che non presentano mai un’intelligenza superiore a quella della veglia; che

mai, in nessun caso, rivelano cose lontane né prevedono il futuro; che mai, in

nessuna occasione, ammoniscono o distolgono da qualche azione: in una

parola che tutte le visioni notturne, senza eccezione, sono del tutto prive di

conseguenza, fantastiche e inattendibili.

Note

(1) Omero, Iliade, Libro I.

(2) Cicerone, De divinatione, libro I, 3. Vedi anche 25 e seguenti.

L’analogia tra i sogni e l’insania è stata spesso notata. Aristotele ha sempre

supposto che la stessa causa da cui, in certe malattie, sono prodotte illusioni

dei sensi in stato di veglia, sia all’origine del sogno in stato di sonno. Brierre

de Boismont nota che le allucinazioni da svegli differiscono soprattutto, dai

sogni, per la loro maggiore vivacità. Macario considera quelli che chiama

sogni sensoriali come quasi identici alle allucinazioni. Holland dice che le

 

155

relazioni e le rassomiglianze fra il sonno e l’insania sono meritevoli di

attenzione, e aggiunge: «Un sogno messo in atto può divenire follia nell’una o

nell’altra delle sue frequenti forme, e, per converso, la follia può essere spesso

chiamata un sogno attivo in stato di veglia». Chapters on Mental

Physiology, pag. 110 Abercrombie dichiara che «vi è una notevole analogia

tra i fenomeni mentali nella follia e nel sogno». Intellectual Powers, pag.

24o.

(3) Secondo Omero, i sogni veritieri uscivano da una porta d’avorio, quelli

falsi da una porta di corno. Qui si direbbe che l’Owen abbia confuso il corno

con l’avorio. (U.D.).

(4) Citato da Cicerone, De divinatione, libro I, 29-30.

(5) De divinatione et somniis, cap. I.

(6) Il disprezzo di queste verità ha portato a risultati fatali. Aubrey, che non

può essere sospettato di credere troppo poco ai sogni, attesta personalmente,

come si noterà, quanto segue:

«La signora Cl. di S., nella contea di S., aveva una figlia diletta che era stata

a lungo malata senza che i medici riuscissero a guarirla. Ella sognò che un suo

amico, morto, le diceva che, se avesse dato a sua figlia una pozione di polvere

di tasso, ella sarebbe guarita. Le diede la pozione e la uccise. In conseguenza

divenne quasi folle; la sua cameriera, per calmarla e mitigare il suo dolore, le

disse che certo la pozione non poteva averla uccisa: l’avrebbe presa anche lei.

Lo fece e mori a sua volta. Questo avveniva nel 1670 o 1671. Io ho conosciuto

la famiglia». Aubrey, Mixscellanea, capitolo sui sogni, pag. 64 della

ristampa di Russel Smith.

(7) Queste idee non sono affatto limitate agli antichi ma si trovano sparse

in reputati scritti di ogni epoca. Ecco un esempio:

«Non abbiamo ragioni di dubitare che vi siano sogni demoniaci. Perché

non potrebbero esservene anche di angelici? Se vi sono spiriti custodi, essi

non possono rimanere inattivi a nostro riguardo quando dormiamo, ma

possono talora dirigere i nostri sogni; e molti strani indizi, istigazioni e

discorsi, che sono così sorprendenti in noi, possono sorgere da queste basi».

Sir Thomas Browne, Charter on Sleep (Capitolo sul sonno).

(8) Humboldt: Cosmos, vol. I. pag. 316.

(9) Intellectual Powers, pagg. 202-203.

(10) Rapports et discussions. Parigi 1833, pag. 438. Nel

sonnambulismo artificialmente indotto, questo potere di suggestione è più

frequente e più netto. Il dott. Macario, nella sua opera sul sonno, riferisce un

esempio impressionante occorso in sua presenza. Fu nel caso di una certa

 

156

paziente di un suo amico, il dott. Gromier: una donna maritata soggetta a

disturbi isterici. Trovandola un giorno in preda a una profonda malinconia,

immaginò il seguente modo per fargliela superare. Dopo averla messa in

sonno magnetico, le disse mentalmente: «Perché siete così disperata? Siete

pia: la beata Vergine verrà in vostro aiuto, siatene sicura». Poi evocò

mentalmente una visione nella quale dipinse sul soffitto della stanza gruppi di

cherubini agli angoli e la Vergine, in una luce gloriosa, che scendeva nel

mezzo. Subito la sonnambula entro in estasi, cadde in ginocchio, ed esclamo

in un trasporto di gioia: «Oh, mio Dio! Ho pregato per tanto tempo, per tanto

tempo la Vergine, ed ecco che per la prima volta viene in mio aiuto!».

Porto questo esempio come prova di quanto strettamente siano talora

connessi fra loro i fenomeni di sonno naturale e di sonnambulismo artificiale.

Questo può dare inoltre qualche indizio sulle origini di molte visioni estatiche.

(11) Memoirs of the Life, Writings and Corrispondence, of

William Smellie (Memorie della vita, scritti e corrispondenza di William

Smellie), di Robert Kerr, Edimburgo, 1811, pag. 187.

(12) Du sommeil, des rêves et du somnambulisme, del dott.

Macario, ex deputato del Parlamento Sardo, Lione 1857, pagg. 80-81.

(13) An Historical, Physiological and Theological Treatise of

Spirits, di John Beaumont, Londra, 1705, pagg. 398-400.

(14) Plutarco ci dice che gli argomenti di Calpurnia e i modi efficaci con cui

si espresse commossero e impressionarono suo marito, specialmente quando

egli si ricordo di non avere mai notato in lei alcuna traccia della debolezza e

della superstizione proprie del suo sesso, mentre adesso era

straordinariamente sconvolta nello scongiurarlo di non recarsi al Senato in

quel giorno. E aggiunge che, se non fosse stato per le esortazioni di Decio

Bruto Albino, uno dei cospiratori, ma in cui Cesare riponeva molta fiducia. gli

argomenti della moglie avrebbero prevalso.

(15) Intellectual Powers, 15a edizione pag. 215. Abercrombie riassume

la vicenda e omette i nomi.

(16) Indipendentemente dalla garanzia di Abercrombie, questo episodio è

perfettamente autenticato. La defunta Lady Mary Clerk, di Pennicuik, ben

conosciuta a Edimburgo durante la sua lunga vedovanza, era figlia del signor

D’Acre; e lei stessa comunicò la storia al Blackwood’s Magazine (vol. XIX

pag. 73) in una lettera datata «Princes Street, 1 maggio 1826» con questo

commento: «L’altro giorno, in un salotto, quando la conversazione cadde sui

sogni, ne raccontai uno di cui posso assicurare la perfetta esattezza, dato che

riguardava mio padre». E concluse: «Ho udito spesso questa storia da mio

padre, il quale aggiungeva sempre: “Non mi ha reso superstizioso, ma con

 

157

reverente gratitudine, non potrò mai dimenticare che la mia vita, per volere

della Provvidenza, fu salvata da un sogno”. - M.C.».

Nella rivista, di cui ho seguito, ma alquanto abbreviato, la versione, i nomi

sono indicati con le sole iniziali. Per la gentilezza di un amico di Edimburgo

ho potuto metterli per esteso, traendoli da una copia manoscritta

dell’aneddoto in cui sono dati in rotte lettere da Lady Clerk, di sua propria

mano.

Alla gentilezza dello stesso amico devo la copia originale del giornale che

riporta la prima notizia del fatto. Avvenne il 7 agosto 1734 ed è narrato nelle

colonne di un giornale di Edimburgo che si pubblica ancora, il Caledonian

Mercury. La partita di pesca comprendeva Patrick Cumming,

commerciante, Colin Campbell, aiutante di bordo, un ragazzo chiamato

Cleland, nipote di Campbell e due marinai. La barca fu rovesciata da una

raffica da sud-ovest, tutti annegarono eccetto Campbell, che venne salvato

dopo essere stato cinque ore in acqua, mezzo morto di fatica. - Caledonian

Mercury, 12 agosto 1734.

(17) De divinatione, II 59.

(18) Il 25 aprile 1858 nella sua villa presso Napoli. Presi subito alcune note

della vicenda, che vennero riviste e corrette dal narratore.

(19) Parlando dell’ipotesi che i sogni possano talora darci una visione del

futuro, Macnish dice: «Questa opinione è così singolarmente non filosofica

che non vi avrei accennato se non fosse sostenuta da persone colte e di buon

senso». Philosophy of Sleep, pag. 129. Ma, dopo tutto, non serve a nulla

affermare che un’opinione non è filosofica, se i fatti dimostrano la sua verità.

(20) Philosophy of Sleep, sesta edizione, pagg. 13 e 436.

(21) Letto alla signora S… il 25 aprile 1858, e da lei approvato.

(22) Intellectual Powers, pag. 213.

(23) Philosophy of Sleep, pagg. 132-134.

(24) Intellectual Powers, pag. 205.

(25) In quell’edizione delle Waverley Novels (Racconti di Waverley)

annotata dallo stesso Sir Walter. E’ riferita in una nota all’«Antiquario», nel

volume V.

(26) Sir Walter dà solo la prima e l’ultima lettera del nome (R---d). Devo il

nome completo e altre indicazioni a un amico di Edimburgo che sarei lieto di

poter nominare qui per ringraziarlo.

(27) Libro I, cap. 3: «Il miracoloso».

 

158

(28) Luca XVI, 27.

«Coloro che dicono che i Beati non hanno amore per i loro fratelli rimasti

sulla terra, dicono più di quanto non possano provare, e non sono credibili

come lo è Cristo, che sembra avere detto il contrario». Baxter: World of

Spirits (Il mondo degli spiriti), pag. 222.

(29) «E vi è provvidenza nel cielo? Vi è amore

Negli spiriti celesti per queste basse creature

che possa muoverli a compassione per i loro mali?

Vi è?».

Spencer

Quando un fanciullo amato ci viene strappato, non vi è forse idea a cui il

cuore di chi ne è stato privato si rivolga più prontamente e naturalmente di

questa. Nel cimitero protestante di Napoli giacciono i resti di una fanciulla, la

bella e dotata figlia di un ecclesiastico americano; e sulla sua pietra tombale

ho fatto iscrivere, dietro richiesta del padre, la nota strofa che tutti ammirano:

«Tienla, o Padre, nelle Tue braccia

e fa’ che d’ora in avanti sia

Una messaggera d’amore fra

i cuori umani e Te».

(30) Presentato in appendice alla History of Magic (Storia della magia)

di Ennemoser, tradotta da William Howitt, Londra, 1854, vol. II, pag. 416.

(31) Early Years and Late Reflections (Primi anni e tarde riflessioni),

di Clement Carlyon, medico, membro del Pembroke College, vol. I, pag. 219.

(32) A New York il 28 luglio 1859. La narrazione è stata scritta in base alle

note prese a bordo della sua goletta.

(33) In un primo momento pensavo di inserire qui un sogno collegato con

un notissimo fatto della storia inglese e garantito dal dott. Abercrombie nei

suoi Intellectual Powers, pagg. 218-19.

Come viene riferito, otto giorni prima dell’assassinio del signor Percival,

Cancelliere dello Scacchiere, nel vestibolo della Camera dei Comuni, nel 1812,

un signore della Cornovaglia vide, in un sogno che si ripeté tre volte, tutti i

particolari del delitto, perfino gli abiti dei protagonisti, e, sempre in sogno, gli

fu detto che era stato colpito il Cancelliere; tutto questo fece una tale

impressione sul sognatore, che egli fu distolto dal darne notizia al signor

Percival solo dai consigli degli amici i quali lo assicuravano che, se lo avesse

fatto, sarebbe stato considerato matto.

 

159

Il dott. Carlyon, nella sua opera citata, riferisce e conferma questa storia

aggiungendo: «Questo sogno avvenne in Cornovaglia al signor Williams, di

Scorrier House, ancora vivente (febbraio 1836) e oggi residente a Calstok,

Devon, dalle cui labbra io stesso ho udito più di una volta il racconto».

Vi è tuttavia, un’altra e molto più particolareggiata versione della storia,

data quando il signor Williams era ancora in vita, dal Times di Londra del 16

agosto 1828, e proveniente, come afferma il direttore del giornale, da «un

corrispondente di indubbia veracità». In essa sono forniti il nome e l’indirizzo

del signor Williams e sono rigorosamente confermati tutti i particolari dati

dal dott. Abercrombie salvo uno. Il dott. Abercrombie, che dice di «avere

avuto i particolari da un eminente medico inglese suo amico», afferma che il

sogno avvenne otto giorni prima dell’assassinio, mentre nella versione

del Times è detto esplicitamente che fu durante la notte dell’11 maggio 1812,

la stessa del giorno in cui il signor Percival fu ucciso.

Siamo così nell’incertezza se questo sogno sia di carattere profetico o solo

chiaroveggente. Ma evidentemente è l’uno o l’altro. Tuttavia, in questa

incertezza, dopo aver dedicato parecchi giorni a confrontate le opposte

relazioni, ho deciso di limitarmi a questa breve nota.

(34) Abercrombie, Intellectual Powers, pag. 215.

(35) Intellectual Powers, pagg. 215-16.

(36) Lo riferisce nella sua opera Danger of Premature Interment

(Pericolo di essere sepolti vivi).

(37) Gentleman’s Magazine dell’anno 1800, pag. 1216.

(38) The Certainty of the World of Spirits, di Richard Baxter, Londra

1691, cap. VII, pagg. 147-151.

(39) Letters on Demonology and Witchcraft (Lettere sulla

demonologia e sulla magia) di Sir Walter Scott, seconda edizione 1857, pagg.

371-74.

(40) Demonology and Witchcraft, pag. 367.

(41) Vedi Libro IV, cap. II sulle «Apparizioni di viventi».

(42) Philosophy of Mysterious Agents, Human and Mundane, di

E.C. Rogers, Boston 1853, pag. 283.

(43) Op. cit. pagg. 284-85.

(44) Die Seherin von Prevorst, di Justinus Kerner, quarta edizione,

Stoccarda 1846, pagg. 132-34.

 

160

(45) Nel suo Satan’s Invisible World Discovered (Il mondo invisibile

di Satana svelato), Edimburgo 1789. E’ la storia di Sir George Horton, che si

dice avesse sognato di intromettersi per impedite che i suoi due figli si

battessero in duello, e che realmente apparve loro, impedendo il

combattimento, a sessanta miglia di distanza nello stesso momento.

(46) Aus meinem Leben, di J.W. von Goethe, Stoccarda 1853, vol. I,

pagg. 41-43.

(47) Du sommeil, des rêves et du somnambulisme (Del sonno, dei

sogni e del sonnambulismo), di Macario, pag. 82. Il fatto ricorda i versi di

Scott nella Signora del Lago, in cui Ellen si rivolge a Fitz-James:

… proprio ieri

Il vecchio Allan-Bane predisse la vostra avventura;

Un signore dai capelli grigi, il cui sguardo intento

Era rivolto alla visione del futuro.

Vide il vostro corsiero chiazzato di grigio,

Giacere morto nel viale di betulle;

Descrisse esattamente la vostra figura e il vostro aspetto,

E il vostro abito verde oliva da cacciatore

. . . . . . . . . . . .

E comandò che tutto fosse pronto

Per accogliete un ospite di molto riguardo.

(48) The Anatomy of Sleep, di Edward Binns, seconda edizione Londra,

1845, pagg. 459-60.

(49) E’ degno di attenzione il fatto che molti di questi sogni notevoli

avvengono più di una volta, come (si potrebbe supporre) per fare una più

profonda impressione su chi sogna. Nel sogno precedente del signor Talbot,

in quello che rivelò la morte di Percival, nel sogno ammonitore della signora

Griffith, in quello dell’aldermanno Clay e in altri, la visione si ripeté tre volte.

(50) Intellectual Powers, pag. 214.

(51) Vedi, a questo riguardo, i racconti intitolati «Il corteggiatore respinto»

e «Come fu salvata la vita del senatore Linn», entrambi nel libro V.

(52) De divinatione, I, 1, 2, 3.

(53) Abercrombie conclude il suo capitolo sul sogno con queste parole: «Il

rapido schizzo che abbiamo dato sul sogno può servire a mostrare che il

soggetto è non solo curioso, ma importante. Esso si rivela degno di attenta

investigazione, e vi sono molte ragioni per credere che una vasta raccolta di

 

161

fatti autentici, attentamente analizzati, mostrerebbe principi di grande

interesse per la filosofia dei poteri mentali». Intellectual Powers, pag. 224.

 

162

LIBRO III - DISTURBI POPOLARMENTE DETTI INFESTAZIONI

1 - Carattere generale dei fenomeni

«Poiché questa non è cosa di oggi

O di ieri, ma è stata in tutti i tempi;

E nessuno può dire donde è venuta o come».

Sofocle

Quello straordinario e influente movimento, comunemente detto

spiritismo, che ha percorso tutti gli Stati Uniti e di là si è diffuso più o meno in

tutti i paesi europei, ha avuto le sue origini in un fenomeno, o preteso

fenomeno, di un carattere che è stato comunemente definito casa infestata.

In un’opera come questa, dunque, è opportuno che tale classe di fenomeni,

disprezzati e derisi dal sadduceismo moderno, abbia il suo posto come degna

di un serio esame.

E nel corso di questo esame, con la citazione degli esempi meglio attestati,

la questione principale non è se in questi tempi ogni minuto particolare sia

criticamente esatto - perché quale storia antica o moderna supererebbe

questa prova? - ma se, in generale, il racconto dia l’impressione della verità:

se vi è una prova sufficiente a indicare che quei fenomeni sono fondati su di

una realtà sostanziale. In questa inchiesta ci sia permesso fare due

considerazioni: da un lato che quando le passioni della meraviglia o della

paura sono fortemente eccitate, l’immaginazione umana è incline

all’esagerazione, e, dall’altro, come dimostrato altrove (1); che non vi sono

allucinazioni collettive.

La questione fondamentale è, dunque, se, pur riconoscendo che questa

infestazione di case è spesso una semplice superstizione popolare, non vi sia

tuttavia dietro di essa una qualche verità, un qualche fenomeno genuino.

Nel separare, da una vasta massa apocrifa, le relativamente poche relazioni

di questa classe che ci giungono in forma autentica, garantite da rispettabili

autorità contemporanee, sostenute da precise indicazioni di tempo, luogo e

persona, appoggiate talora da giuramenti giudiziari, si è fatalmente colpiti

dall’osservazione che, facendo così la scelta, scartiamo tutte le storie della

scuola fantomatica dell’orrore, tutti gli spettri di scheletri formicolanti di

 

163

vermi, tutti i demoni con classiche corna e code, tutte le luci azzurre di

mezzanotte e altre simili abbelliture, ma ci rimane tuttavia una relativamente

semplice e prosaica serie di meraviglie inesplicabili con ogni agente fisico

conosciuto, anche se spogliate da quello spettacolare supernaturalismo che

piaceva ad Anne Radcliffe e che Horace Walpole non disdegnava di impiegare.

Al suo posto, tuttavia, troviamo un elemento che da alcuni può essere

considerato non meno impressionante e improbabile: alludo all’aspetto

molesto, chiassoso e stravagante che questi disturbi talora assumono. Siamo

così abituati a considerare tutte le manifestazioni spirituali, se ve ne sono, non

solo come serie e importanti, ma di carattere solenne e degno di reverenza,

che la nostra naturale o acquisita ripugnanza ad ammettere la realtà di

qualsiasi fenomeno non spiegabile con agenti terreni è di molto aumentata se

scopriamo in esso solo trivialità e capriccio.

E’ certo che, se i disturbi di questo carattere sono opera di spiriti

disincarnati, essi si presentano come spiriti di un ordine inferiore; come

diavoletti, per così dire, della monelleria e del disordine; non malvagi,

sembrerebbe, o, se malvagi, impediti dal fare seri danni, ma elfi birichini,

spiriti burloni e spensierati - una sorta di Puck (2) - esprits espiègles

(spiriti birichini) come dicono i Francesi; o, come hanno detto i Tedeschi

foggiando una parola apposta per questa pretesa classe di spiriti,

Poltergeister.

Se si pub obiettare che non possiamo ragionevolmente immaginare degli

spiriti che tornino a visitare la scena della loro precedente esistenza senza

alcuno scopo superiore a quello che tali racconti rivelano, bisogna anche

ammettere, per la stessa ragione, la scarsa probabilità che gli uomini

inventino storie di questo carattere senza alcuna base su cui costruirle.

L’immaginazione, una volta al lavoro, non si limiterebbe a parlare di colpi,

scricchiolii, mobili spostati, fanciulli stuzzicati e simili piccole noie.

Inventerebbe qualche cosa di più impressionante e misterioso.

Ma adesso devo occuparmi di fatti e non di teorie, di quello che troviamo e

non di quello che, secondo le nostre attuali nozioni, ci aspetteremmo di

trovare. Quante cose vi sono in natura che, se ci soffermassimo a congetturare

in anticipo le probabilità, deluderebbero direttamente le nostre previsioni!

E nello scegliere i fatti, o quelli che pretendono di esserlo, non risalirò più

indietro di un paio di secoli (3). Prima che la stampa divenisse un’arte

comune, e i libri venissero letti liberamente oltre i limiti di una cerchia dotta e

ristretta, un racconto di eventi discutibili non poteva ottenere quella vasta

diffusione che l’avrebbe esposto alle critiche generali, non aveva molte

probabilità di essere confutato e non dava quindi alle età future qualche

garanzia contro i frequenti errori di una affermazione ex parte.

 

164

Note

(1) Vedi il capitolo successivo, in cui si fa differenza fra illusione e

allucinazione; l’una fondata sulla realtà, l’altra semplice alterazione dei

sensi.

(2) Folletto del Sogno di una notte d’estate, di Shakespeare. (U.D.)

(3) Coloro che desiderano divertirsi (perché in realtà si tratta di poco più di

un divertimento) potranno trovate in molti scrittori antichi racconti di case

infestate apparentemente bene attestati come qualsiasi altra parte della storia

del tempio. Plinio il Giovane ne ha uno (Plin. Junior, Epist. ad Suram,

libro VII, cap. 27) che egli afferma avere avuto come protagonista il filosofo

Atenodoro. Lo scettico Luciano (in Philo-pseud., pag. 840) ne riferisce un

altro di un uomo chiamato Arignote. In tempi più recenti, Antonio

Torquemada (nei suoi Flores Curiosas, Salamanca, 1570) ha la storia di un

certo Vasquez de Ayola. In tutti e tre questi casi si sostiene che uno spettro sia

scomparso in un punto dove, scavando, fu trovato uno scheletro. Alexander

ab Alexandro, un dotto legista napoletano del quindicesimo secolo, afferma

come fatto di comune notorietà, che in Roma vi sono una quantità di case così

famose per essere infestate che nessuno vuole abitarvi; e aggiunge che,

volendo controllare la verità di ciò che si diceva di una di queste case, lui

stesso, con un amico chiamato Tuba e altri, vi passò una notte, durante la

quale furono atterriti dall’apparizione di un fantasma e da molti altri terribili

rumori e disturbi. Alexander ab Alexandro, libro V, cap. 23.

Potrebbero essere citati un centinaio di casi simili, specialmente dagli

scritti degli antichi padri, Sant’Agostino. san Gennaro, san Gregorio e altri.

Ma non potremmo trarre da queste vaghe antiche storie alcuna inferenza

attendibile eccetto l’universale prevalenza, in tutte le epoche, della stessa idea.

 

165

2 - Narrazioni

«Non sono portato a raccontare storie né vi trovo alcun

piacere, e non pubblico queste per coloro che ne prendono

divertimento; ma le riferisco come argomenti a conferma di

una verità che, in realtà, è stata confermata da una moltitudine

di prove simili in ogni luogo e in ogni tempo».

Rev. Joseph Glanvil: prefazione al suo Sadducismus Triumphatus.

Il primo racconto che scelgo è stato oggetto di interesse e controversie in

tutta l’Inghilterra per vent’anni e più, e fu pubblicato quasi all’epoca degli

avvenimenti da un uomo di carattere e di rango.

IL RACCONTO DI GLANVIL

Disturbi nella casa del signor Mompesson a Tedworth. Dal 1661 al 1663.

Il rev. Joseph Glanvil, cappellano ordinario di Carlo II, era un uomo noto e

stimato al suo tempo, sia per molte sue opere teologiche sia per la sua difesa

della filosofia baconiana, e come campione, contro certi detrattori, della Royal

Society, di cui era membro.

Nell’anno 1666 pubblicò il suo Sadducismus Triumphatus, in cui, per

sostenere le opinioni popolari del suo tempo sulle streghe e le apparizioni,

include quella che chiama una «scelta raccolta di relazioni moderne». La

maggior parte di queste sono per sentito dire, alcune fondate sulle confessioni

degli accusati e su altre prove che oggi giudichiamo indegne di fede; ma la

prima e principale relazione, intitolata da Glanvil «Il demone di Tedworth», è

di carattere molto diverso consistendo nella narrazione di eventi che si

ripeterono a intervalli, per due interi anni, nella casa di un signore di

carattere e di rango, il signor John Mompesson, di Tedworth, nella contea di

Wilts; una parte di questi fatti fu testimoniata dallo stesso Glanvil.

Sembra che nel marzo del 1661, il signor Mompesson, nella sua qualità di

magistrato, avesse fatto arrestare un vagabondo che andava in giro con un

tamburo disturbando il paese con le sue chiassose richieste di elemosina, e

che gli avesse fatto requisire il tamburo lasciandolo sotto la custodia del

 

166

balivo. Il signor Mompesson immaginò che questo fatto fosse in relazione con

i disturbi che seguirono e di cui sono dati qui i principali particolari tratti

letteralmente dall’opera di Glanvil.

«Verso la metà dell’aprile seguente (sempre nel 1661), quando il signor

Mompesson si preparava per un viaggio a Londra, il balivo mandò il tamburo

alla casa di lui. Al suo ritorno da questo viaggio, sua moglie gli disse che, di

notte, erano stati molto spaventati dai ladri e che la casa per poco non era

andata in pezzi. Era tornato appena da tre giorni, quando una notte si udirono

gli stessi rumori che avevano disturbato la famiglia durante la sua assenza.

Erano imponenti colpi alle porte e all’esterno della casa. Si alzò e fece il giro

dell’abitazione con due pistole in pugno. Aprì la porta in cui si udivano i forti

colpi, e subito udì il fracasso a un’altra porta. Aprì anche questa e uscì per

guardare intorno alla casa, ma non poté scoprire nulla, sennonché udiva

ancora strani rumori e suoni sordi. Tornato a letto, il suono divenne un

battere e tambureggiare sul tetto, che continuò a lungo e poi gradatamente

svanì nell’aria.

«In seguito il rumore del battere e tambureggiare fu molto frequente; di

solito si ripeteva per cinque notti di seguito e poi faceva una sosta di tre.

Veniva dall’esterno della casa, che era per la maggior parte di legno. Si faceva

sentire regolarmente quando la famiglia stava andando a letto, presto o tardi

che fosse. Dopo un mese di disturbi all’esterno, entrò nella stanza in cui era il

tamburo, per quattro o cinque notti su sette, circa mezz’ora dopo che tutti

erano andati a letto, continuando per quasi due ore.

«Il segnale del suo inizio era un subbuglio nell’aria sopra la casa, e quello

del suo termine un rullo di tamburo come quando smonta la guardia.

Continuò in questa stanza per due mesi durante i quali lo stesso signor

Mompesson rimase lì a osservare il fenomeno» (1).

Durante la segregazione del signor Mompesson e, in seguito, per tre

settimane, fu intermittente; ma «dopo questa educata interruzione», dice

Glanvil, «tentò ancora più violento di prima e si volse a perseguitare i

bambini più piccoli colpendo i telai dei loro letti con tale violenza che i

presenti si aspettavano di vederli andare in pezzi. Ponendo le mani su di essi

non si sentivano colpi, ma si potevano vedere vibrare con violenza. Per un’ora

di seguito batteva il ritmo di “Puritani e cornuti” la ritirata e altri segnali

guerreschi al pari di un tamburino. Dopo di che si udiva un graffiare sotto il

letto dei ragazzi come se qualcuno grattasse con artigli di ferro. Faceva alzare i

ragazzi quando erano a letto, li seguiva da una stanza all’altra, e per qualche

tempo non disturbo altri che loro».

 

167

Il resto del racconto è ancor più meraviglioso; e Glanvil afferma che i

fenomeni avvennero in presenza di un predicatore evangelista, il signor

Cragg, e di molti vicini che erano venuti in visita.

«Il predicatore si mise a pregare con loro, inginocchiandosi al fianco del

letto dei ragazzi, dove il fracasso era allora più forte e violento. Durante la

preghiera il rumore si ritirò nell’abbaino, ma tornò appena la preghiera fu

finita; e poi, davanti ai presenti, le sedie si misero a camminare da sole per la

stanza, le scarpe dei ragazzi volarono sopra le loro teste, e tutto ciò che non

era fissato andava in giro. In egual tempo un sostegno del letto fu lanciato

contro il predicatore ma così lievemente che un bioccolo di lana non sarebbe

potuto cadere con maggior leggerezza; e fu osservato che si fermò proprio nel

punto in cui era caduto, senza rotolare o rimbalzare» (pag. 324).

Per quanto tutto ciò possa sembrare stravagante e inverosimile, possiamo

trovarvi dei paralleli in esempi moderni avvenuti in Europa e in America.

L’estratto seguente introduce un nuovo aspetto che merita la nostra

attenzione. E’ il primo esempio da me trovato di quelle risposte ai rumori, con

apparente intelligenza, che si è diffuso negli Stati Uniti in grandi proporzioni.

«Il signor Mompesson, vedendo che il fenomeno perseguitava in tal modo i

bambini, li alloggiò in casa di un vicino, tenendo la figlia maggiore, di circa

dieci anni, nella propria stanza, dove i disturbi non si manifestavano da circa

un mese. Appena ella fu a letto, tutto riprese nuovamente e continuò per tre

settimane con tambureggiamenti e altri rumori; e fu osservato che

rispondevano esattamente, rullando, a ogni cosa che fosse

battuta o chiesta» (pag. 324).

Ecco un altro estratto a conferma di simili osservazioni relative alla

condotta di animali durante simili disturbi.

«Fu notato che quando il rumore era più forte e veniva con la più

improvvisa e sorprendente violenza, nessun cane intorno alla casa si

muoveva, sebbene i colpi fossero spesso così chiassosi e rudi da essere uditi a

considerevole distanza nei campi e da svegliare i vicini nel villaggio, nessuno

dei quali abitava nei pressi della casa» (pag. 324).

I disturbi continuarono per due anni: alcuni di essi avvennero nell’aprile

del 1663. Il signor Mompesson e i suoi amici li attribuirono alla cattiveria del

tambureggiatore in combutta con il Maligno. E in questa credenza furono

confermati dai seguenti incidenti avvenuti nel gennaio del 1662. Coloro che

hanno qualche esperienza delle comunicazioni simili avvenute ai nostri

giorni, sanno bene quanto poca fiducia si debba loro accordare, se non

corroborate da altre prove, vedendo in esse solo l’indicazione di qualche

intelligenza occulta.

 

168

«Durante il periodo dei colpi, quando molti erano presenti, uno di essi

disse: “Satana, se il tambureggiatore ti ha messo all’opera, batti tre colpi e non

più”. E così avvenne molto chiaramente. Allora quel tale batté per vedere se

avrebbe avuto risposta con i soliti colpi; ma non ci fu risposta. Per ulteriore

prova, egli comandò, a conferma, che se si trattava del tambureggiatore,

fossero battuti cinque colpi, e non più, per tutta quella notte, cosa che fu fatta

lasciando la casa tranquilla per tutto il resto della nottata. Questo avvenne

alla presenza di Sir Thomas Chamberlain, di Oxford, e di parecchi altri» (pag.

326).

Fin qui il racconto raccolto dal nostro autore dal signor Mompesson e da

altri; ma il signor Glanvil stesso visitò la scena dei disturbi nel gennaio del

1662, e ci dà i risultati delle sue osservazioni personali come segue:

«Circa questo tempo mi recai alla casa per controllare la verità di questi

avvenimenti di cui si parlava tanto. I tambureggiamenti e i rumori più forti

erano cessati prima del mio arrivo; ma la maggior parte dei più notevoli

fenomeni menzionati mi furono confermati da vari vicini che erano stati

presenti alle loro manifestazioni. In quel periodo venivano perseguitati i

fanciulli non appena erano andati a letto. La sera in cui ero là, essi andarono a

letto verso le otto, e una domestica venne subito ad avvertirci che il fenomeno

era ripreso. I vicini che erano lì e due pastori che lo avevano visto e udito più

volte, se ne andarono; ma il signor Mompesson, io e un signore che era

venuto con me, salimmo. Lungo le scale e appena entrato nella stanza udii

uno strano grattamento. Mi accorsi che proveniva di dietro il capezzale del

letto dei ragazzi e sembrava prodursi contro la fodera del materasso. Nel letto

vi erano due bambine tra i sette e gli undici anni, a quanto potei giudicare.

Vedevo le loro mani fuori delle coperte, ed esse non potevano provocare i

rumori che avvenivano dietro le loro teste. Ci erano ormai abituate, vi era

qualcun altro con loro nella stanza e quindi non sembravano molto

spaventate. Io, stando alla testa del letto, infilai una mano sotto il capezzale

dirigendola verso il punto da cui sembrava venire il rumore. Allora esso cesso

lì e si fece udire in un’altra parte del letto. Ma, quando ebbi tolto la mano vi

tornò e fu udito nello stesso punto di prima. Mi era stato detto che imitava i

rumori fatti, e feci la prova grattando più volte sulle lenzuola, come 5, 7 e 10; e

il rumore mi seguì fermandosi sempre al mio numero. Cercai sotto e dietro il

letto, rovesciai le coperte fino al traliccio, smossi il capezzale, battei contro il

muro dietro il letto e feci tutte le ricerche possibili per vedere se ci fosse

qualche trucco, qualche congegno, qualche causa naturale; e così pure fece il

mio amico; ma non riuscimmo a scoprire nulla. Così che fui pienamente

persuaso, e lo sono ancora, che il rumore veniva fatto da qualche demone o

spirito. Dopo che ebbe grattato per una mezz’ora o poco più, passo al centro

del letto, sotto le bambine, e parve ansimare, come un cane a cui manchi il

 

169

respiro, molto forte. Misi la mano in quel punto e sentii che il letto faceva

resistenza come se qualche cosa all’interno lo sollevasse. Afferrai le coperte

per vedere se non vi fosse sotto qualche cosa di vivente. Guardai dappertutto

cercando un cane o un gatto, o qualche altro animale che fosse nella stanza, e

così facemmo tutti, ma non trovammo nulla. Quell’ansimare era così violento

da far tremare sensibilmente le porte e le finestre. Continuò per tutta la

mezz’ora e più che il mio amico e io restammo nella stanza, e per un’altra

mezz’ora in seguito,. come ci fu detto.

«So che si dirà da alcuni che il mio amico e io eravamo in una crisi di paura

così da fantasticare rumori e respiri che non esistevano. E’ questa l’eterna

evasione. Ma, se è possibile sapere quando un uomo è colto dalla paura e

quando non lo e, io, per parte mia, so con certezza che per tutto il tempo che

rimasi nella stanza e nella casa non ero più impaurito di quanto non sia

adesso scrivendo questa relazione. E se so, in questo momento, di essere

sveglio e di vedere gli oggetti che mi stanno davanti, so di avere udito e visto

tutti i particolari che ho raccontato» (pagg. 328-30).

Il signor Glanvil conclude la sua relazione, di cui ho omesso per brevità le

ripetizioni e le parti meno importanti, dicendo:

«Così ho descritto l’insieme dei disturbi del signor Mompesson, che in

parte ho raccolto dalle sue labbra davanti a parecchie persone che erano state

testimoni dei fatti e che confermarono la sua descrizione; e parte dalle sue

lettere, da cui ho tolto l’ordine e la serie delle cose. Gli stessi particolari egli ha

scritto anche al dott. Creed, che allora teneva cattedra a Oxford» (pag. 334).

Rimane da dire che, qualche tempo dopo il primo arresto del

tambureggiatore, il signor Mompesson lo fece nuovamente arrestare per

fellonia (secondo lo statuto di Giacomo I, cap. 12) come supposto autore di

una stregoneria sulla sua casa. La grande giuria accolse l’accusa; ma bisogna

dire a onore della piccola giuria che l’uomo venne assolto non essendo stata

provata la sua relazione con i disturbi. La realtà dei disturbi fu giurata da vari

testimoni. A questo fatto il signor Mompesson allude in una lettera da lui

scritta al signor James Collins, datata Tedworth, 8 agosto 1674 e pubblicata

nel libro di Glanvil. Cito da questa lettera:

«I testimoni su giuramento furono io stesso, il signor William Maton, il

signor Walter Dowse - tutti ancora viventi e, credo, di buona reputazione in

questo paese - e il signor Joseph Cragg, allora pastore del luogo, ma poi

defunto. Tutti noi deponemmo varie cose che consideravamo impossibili a

ottenersi con agenti naturali, come movimenti di sedie, sgabelli, assi di letti,

senza che alcuno fosse vicino, rulli di tamburo nell’aria sopra la casa nelle

notti chiare, senza che nulla fosse visibile, vibrazioni del pavimento e delle

 

170

parti più solide della casa nelle notti tranquille e varie altre cose della stessa

natura» (2).

In un’altra lettera indirizzata dal signor Mompesson allo stesso Glanvil, in

data 8 novembre 1672, egli scrive:

«Incontrandomi per caso col dott. Pierce in casa di Sir Robert Button, egli

mi mise al corrente di qualche cosa che passo tra Lord R. e voi circa i miei

disturbi ecc.; su questo (avendo poco tempo a mia disposizione) vi dò la

seguente dichiarazione. Molto spesso, negli ultimi tempi, mi è stato

domandato “se non avevo confessato a Sua Maestà o ad altri, una frode

scoperta in questa faccenda”. Al che ho dato, e darò fino al mio ultimo giorno

di vita, la stessa risposta: che mentirei e spergiurerei se riconoscessi una frode

in ciò in cui sono sicuro che non ve n’era né poteva esservene alcuna, come io,

magistrato del luogo, e due altri onesti gentiluomini abbiano deposto alle

assise in occasione dell’accusa da me portata contro il tambureggiatore. Se il

mondo non vuole crederci, mi è indifferente, e prego Dio di guardarmi da una

pena dello stesso genere o simile» (3).

E’ questo un compendio dei fatti essenziali del caso, tratto letteralmente

dall’opera di Glanvil, alla quale il lettore curioso può rivolgersi per ulteriori

particolari.

In relazione a questa esposizione deve essere notato particolarmente:

Che i disturbi continuarono per due interi anni, e cioè dall’aprile 1661

all’aprile 1663; e che il signor Mompesson, per due mesi di seguito andò a

dormire in una data stanza appositamente per osservarli.

Che i suoni prodotti erano così forti da svegliare gli abitanti del villaggio

vicino, a una considerevole distanza dalla casa del signor Mompesson.

Che il movimento del letto dei bambini, in presenza di Glanvil, era così

violento da scuotere le porte e le finestre della casa.

Che i fatti, raccolti da Glanvil al tempo in cui si verificarono, furono da lui

pubblicati quattro anni dopo, ossia nel 1666; e che i più importanti di questi

fatti furono giurati in una corte di giustizia.

Che dieci anni dopo tali avvenimenti, quando fu riferito che il signor

Mompesson aveva ammesso la scoperta di un trucco, questo signore negò

esplicitamente di avere mai scoperto una causa naturale dei fenomeni e

confermò nel modo più solenne a Glanvil la sua precedente dichiarazione.

Quando a queste considerazioni si aggiungano le seguenti note di Glanvil

sul carattere del signor Mompesson e le possibilità di frode nelle circostanze

date, il lettore ha dinanzi a sé tutto il materiale per poter giudicare il caso.

 

171

«Il signor Mompesson è un gentiluomo sulla cui sincerità in questa

relazione non ho il minimo fondamento di sospetto, non essendo né vano né

credulo, ma assennato, sagace e virile. Il credito dei fatti dipende in gran parte

dai relatori, che, se sono tali da non poter essere ingannati essi stessi, né è

supponibile in loro alcun interesse a ingannare gli altri, devono essere creduti.

Perché ogni fede umana si fonda su queste circostanze e la realtà dei fatti non

può essere provata che dalla immediata evidenza dei sensi. Non si può

pensare che questo signore ignori se quello che riferisce sia vero o no: tutto è

avvenuto nella sua casa, lui stesso è stato testimone, non di uno o due fatti

soltanto ma di un centinaio, non per una o due volte ma per lo spazio di due

anni durante i quali fu un osservatore interessato e minuzioso. Così che non si

può supporre ragionevolmente che qualcuno dei suoi domestici lo avesse

ingannato perché in tutto questo tempo avrebbe dovuto scoprire l’inganno. E

quale interesse poteva avere, qualcuno della sua famiglia (se avesse potuto

farlo senza essere scoperto) di continuare un’impostura così lunga, fastidiosa

e nociva? Né si può immaginare con un minimo di probabilità che egli sia

stato illuso da una depressione del suo carattere, perché (indipendentemente

dal fatto che non era né maniaco né fantastico) questo umore non avrebbe

potuto essere così duraturo e pertinace. O, se fosse stato così per lui, possiamo

immaginare che egli abbia influenzato tutta la sua famiglia e la moltitudine di

vicini e di altri che furono così spesso testimoni dei fenomeni? Queste

supposizioni sono assurde e tali da non allettare alcuno se non coloro che

ragionano solo con la propria ostinatezza. Così che, nell’insieme, il principale

relatore, lo stesso signor Mompesson, sapeva benissimo se quel che

raccontava era vero o no, se quello che avveniva nella sua casa era una frode o

una realtà eccezionale. E, se era così, che interesse poteva avere nel portare

avanti, o nel collaborarvi, un gioco di prestigio fraudolento?

«Egli ne fu danneggiato nella reputazione, nei suoi averi, nei suoi affari e

nella pace domestica. Coloro che non credevano negli spiriti e nelle

stregonerie, lo considerarono un impostore. Molti altri giudicarono che Dio

stesso avesse permesso questi straordinari guai per punirlo di qualche notoria

empietà. Così che il suo nome fu continuamente esposto alla censura e il suo

patrimonio ebbe a soffrire per il continuo affluire di gente in casa sua, per

l’essere egli distolto dai suoi affari, per le paure della servitù che egli non

riusciva a trattenere presso di sé. A questo aggiungo la continua inquietudine

della sua famiglia, gli spaventi, i disturbi, lo stato di allarme di tutta la sua

casa, nei quali egli era necessariamente coinvolto. Se consideriamo tutte

queste cose, dico, non vi sarà alcuna ragione per credere che egli abbia avuto

alcun interesse per ordire un inganno dal quale egli stesso sarebbe stato più di

ogni altro danneggiato» (4).

 

172

Lascio questo caso al giudizio del lettore e passo a un altro, avvenuto nel

diciottesimo secolo.

LA RELAZIONE DI WESLEY

Disturbi nella parrocchia del signor Wesley a Epworth. 1716 e 1717.

Nell’anno 1716, il rev. Samuel Wesley, padre del celebre John Wesley,

fondatore del metodismo, era rettore a Epworth, nella contea di Lincoln in

Inghilterra. Nella sua parrocchia, la stessa in cui nacque John, avvennero nei

mesi di dicembre 1716 e gennaio 1717, parecchi disturbi dei quali il signor

Samuel Wesley tenne un diario particolareggiato. Questi particolari furono

inoltre conservati in dodici lettere scritte su quell’argomento, in quello stesso

periodo, da vari membri della famiglia. Inoltre il signor John Wesley stesso

venne a Epworth nell’anno 1720, fece un’accurata inchiesta sui fatti, ricevette

dichiarazioni scritte da ognuno dei membri della famiglia su quello che

avevano visto e udito e, su queste basi compilò una narrazione da lui

pubblicata sull’Arminian Magazine.

I documenti originali vennero custoditi dalla famiglia, caddero nelle mani

della signora Earle, nuora del signor Samuel Wesley (il fratello maggiore di

John) furono da lei affidati a un certo signor Babcock, e da lui consegnati al

noto dott. Joseph Priestley da cui il tutto fu pubblicato la prima volta nel 1791

(5).

E’ stato ripubblicato dal dott. Adam Clarke nei suoi Memoirs of the

Wesley Family (6). Comprendono quarantasei pagine di quest’opera, e,

poiché contengono numerose ripetizioni, mi limito a trascriverli solo in parte

cominciando dalla narrazione tratta da John Wesley, che ho già menzionato.

NARRAZIONE

«Il è dicembre 1716, mentre Robert Brown, domestico di mio padre se ne

stava con una delle domestiche, un poco prima delle dieci di sera, nella sala da

pranzo che dava sul giardino, entrambi udirono bussare alla porta. Robert si

alzò e aprì, ma non vide alcuno. Subito vi fu un altro colpo e un lamento. “E’ il

signor Turpin”, disse Robert. “Ha il mal della pietra e si lamenta così”. Aprì

ancora la porta due o tre volte perché due o tre volte si ripeté il battito; ma,

poiché non vedevano alcuno ed erano un po’ impauriti, si alzarono e

 

173

andarono a letto. Quando Robert giunse in cima alle scale dell’abbaino, vide

un macinino a breve distanza, che girava molto in fretta. Quando riferì la cosa

disse: “Mi è dispiaciuto solo che fosse vuoto. Se fosse stato pieno di malto,

avrebbe macinato per me”. Quando fu a letto udì come il gloglottare di un

tacchino lì presso, e subito dopo il rumore di qualcuno che inciampasse nelle

sue scarpe e nei suoi stivali; ma non erano lì: li aveva lasciati a basso. Il giorno

dopo, lui e la domestica riferirono la cosa all’altra domestica, che rise di cuore

dicendo: “Che pazzi che siete! Sfido qualsiasi cosa a spaventarmi”. Verso sera,

dopo aver fatto il burro, lo mise su di un vassoio e lo aveva appena portato

nella dispensa quando udì un colpo sullo scaffale su cui erano alcuni stampi

per il burro, dapprima sopra lo scaffale, poi sotto. Prese una candela, guardò

sopra e sotto, ma, non trovando nulla, lasciò cadere il burro, il vassoio e tutto

e se la diede a gambe. Il pomeriggio seguente, fra le cinque e le sei, mia sorella

Molly, che allora aveva circa vent’anni, mentre stava leggendo nella stanza da

pranzo, ebbe l’impressione che si aprisse la porta che dava nel vestibolo ed

entrasse una persona che sembrava avere una vestaglia di seta che frusciava

strascicando a terra. Parve camminarle attorno, poi andare alla porta, poi

ancora attorno; ma lei non poté vedere nulla. Penso: “Scappare non serve a

niente perché, chiunque sia, può correre più in fretta di me”. Così si alzò, mise

il libro sotto il braccio e si allontanò lentamente. Dopo cena era in camera con

mia sorella Sukey (che aveva circa un anno più di lei) e le raccontò quello che

era avvenuto. L’altra non la prese sul serio e disse: “Mi meraviglio che ti

spaventi così facilmente: io vorrei proprio vedere quello che può

spaventarmi”. Subito si udì un colpo sotto il tavolo. Lei prese una candela e

guardò, ma non trovò nulla. Poi il telaio di ferro della finestra cominciò a far

fracasso e così pure il coperchio di uno scaldaletto. Infine il saliscendi della

porta si mosse in su e in giù ripetutamente. Lei balzò su, salto nel letto senza

spogliarsi, si tirò le coperte sopra la testa e non si arrischiò a sporgere il naso

fino al mattino.

«Una o due notti dopo, mia sorella Hetty (di un anno più giovane di Molly)

aspettava, come al solito, fra le nove e le dieci, di portar via la candela dalla

stanza di mio padre, quando udì qualcuno scendere dalle scale dell’abbaino,

camminarle lentamente accanto, poi scendere la scala principale e poi risalire

per la scala sul retro e la scala dell’abbaino. E a ogni passo sembrava che la

casa tremasse da capo a fondo. Proprio in quel momento mio padre batté. Lei

entrò, prese la candela e andò a letto il più presto possibile. Il mattino lo

racconto alla mia sorella maggiore, la quale rispose: “Tu sai che non credo a

queste cose; lascia che vada io a prendere la candela, stasera, e scoprirò

l’imbroglio”. La sera, dunque, ella prese il posto di Hetty, e aveva appena

portato via la candela quando udì un rumore al piano di sotto. Scese in fretta

le scale fino al vestibolo, donde proveniva il rumore, ma allora lo udì in

 

174

cucina. Corse in cucina, dove c’era un tambureggiare dietro il paravento, vi

andò e il tambureggiare passo dall’altro lato e così via, sempre dal lato

opposto a quello in cui ella si trovava. Poi udì battere dietro la porta della

cucina. Vi accorse, abbassò piano il chiavistello e, quando il battito si ripeté,

aprì d’improvviso, ma non vide niente. Appena ebbe richiuso la porta, il

battito riprese. Apri ancora e non vi era nulla. Quando volle richiudere la

porta, questa fu violentemente spinta contro di lei, ma lei vi si appoggiò col

ginocchio e con la spalla, riuscì a richiuderla e girò la chiave. Allora il battito

riprese, ma lei lo lasciò continuare e andò a letto. Tuttavia da quella sera ella

fu completamente persuasa che nel fenomeno non vi erano imposture.

«Il mattino seguente, quando mia sorella raccontò a mia madre quello che

era avvenuto, questa disse: “Se udrò io stessa qualche cosa, saprò come

giudicare”. Subito dopo la pregò di venire nella stanza dei bambini. Lei vi

andò e udì in un angolo della stanza come il violento oscillare di una culla; ma

lì non vi erano culle da parecchi anni. Si convinse che era un fatto

soprannaturale e si affrettò a pregare di non esserne disturbata nella sua

camera durante le ore di riposo; ed in realtà non lo fu mai. Poi ella pensò che

era opportuno parlarne a mio padre. Ma egli si arrabbiò molto e disse:

“Sukey, mi vergogno di te. Questi ragazzi si fanno paura a vicenda; ma tu sei

una donna di buon senso e dovresti essere più saggia”.

«Alle sei di sera, mio padre diresse come sempre la preghiera familiare.

Quando cominciò la preghiera per il re, si udirono colpi per tutta la stanza, e

un colpo tonante accompagnò l’Amen. Da allora lo stesso fenomeno si ripeté

ogni mattina e ogni sera quando veniva recitata la preghiera per il re. Poiché

mio padre e mia madre sono ora nella pace eterna e non possono soffrire per

questo, credo mio dovere fornire al lettore serio la chiave di questa

circostanza.

«L’anno prima che morisse il re Guglielmo, mio padre notò che mia madre

non diceva amen alla preghiera per il re. Ella gli spiegò di non poterlo fare

perché non credeva che il Principe d’Orange fosse re. Lui giurò che non

avrebbe mai più coabitato con lei finché non lo avesse fatto. Salì a cavallo e se

ne andò; né ella ebbe notizie di lui per dodici mesi. Infine tornò e visse con lei

come prima. Ma temo che il suo giuramento non fosse stato dimenticato

dinanzi a Dio.

«Essendomi stato detto che il signor Hoole, vicario di Haxey (uomo molto

pio e sensibile), avrebbe potuto darmi qualche ulteriore informazione, mi

recai da lui. Egli mi disse: “Robert Brown venne da me per dirmi che vostro

padre desiderava la mia compagnia. Quando vi andai, egli mi riferì tutto

quello che era avvenuto, in particolare i colpi durante la preghiera familiare.

Ma quella sera, con mia grande soddisfazione, non vi fu alcun colpo. Fra le

 

175

nove e le dieci venne una domestica dicendo: - Il vecchio Jeffrey sta arrivando

(era questo il nome di un tale che era morto nella casa), perché sento il

segnale. - Mi informarono che questo segnale veniva udito ogni sera verso le

dieci meno un quarto. Si produceva sopra la casa, all’esterno, simile a un forte

stridere di sega o meglio a quello di un mulino quando viene girato per

volgere le vele al vento. Poi udimmo un colpo sopra le nostre teste; e il signor

Wesley, presa una candela, disse: - Venite, signore, adesso udrete voi stesso. -

Salimmo al piano di sopra; lui con molta speranza e io (per dire la verità) con

molta paura. Quando giungemmo nella camera dei bambini, vi furono dei

colpi nella stanza accanto; quando andammo là i colpi si fecero udire nella

stanza dei bambini. E lì si continuò a battere, anche quando vi fummo entrati,

specialmente alla testa del letto (che era di legno) in cui erano coricate la

signorina Hetty e due delle sue sorelle più giovani. Il signor Wesley, notando

che erano molto spaventate - sudate e tremanti sebbene addormentate - perse

la calma e, tratta una pistola, stava per sparare sul punto da cui proveniva il

rumore. Ma io lo afferrai per un braccio e dissi: - Signore, voi siete convinto

che è qualche cosa di soprannaturale. Se è così non potete colpirlo, ma gli date

il potere di colpire voi. - Egli allora si avvicinò a quel punto e disse

severamente: - Demone sordo e muto, perché spaventi queste ragazze che non

possono risponderti? Vieni da me, nel mio studio, che sono un uomo! -

Immediatamente fu battuto un colpo (il particolare colpo che il signor Wesley

soleva battere alla porta) come se si volesse mandare il legno in pezzi; e per

quella notte non udimmo altro”.

«Fino a quel momento mio padre non aveva mai udito il minimo disturbo

nel suo studio. Ma la sera dopo, mentre si preparava ad andarvi (lui solo ne

aveva la chiave), appena aperta la porta fu spinto indietro con tale violenza

che per poco non cadde a terra. Tuttavia riuscì ad aprire la porta ed entrò.

Subito vi furono colpi, dapprima su di un lato, poi sull’altro, e, dopo qualche

tempo, nella stanza adiacente, in cui era mia sorella Nancy. Egli entrò in

quella stanza e, continuando il rumore, lo scongiurò di parlare, ma invano.

Allora disse: “Questi spiriti amano l’oscurità; porta via la candela e forse

parlerà”. Lei obbedì ed egli ripeté lo scongiuro; ma vi furono solo dei colpi

senza alcun suono articolato. Disse ancora: “Nancy, due cristiani sono troppi

per il diavolo. Andate tutti da basso; forse, quando sarò solo, avrà il coraggio

di parlare”. Quando lei fu uscita gli passo per la testa un’idea, e disse: “Se sei

lo spirito di mio figlio Samuel, ti prego di battere tre colpi e non più”.

Immediatamente vi fu silenzio e per quella notte non si udì più alcun colpo.

Chiesi a mia sorella Nancy (che aveva allora quindici anni) se non si era

spaventata quando mio padre aveva pronunciato il suo scongiuro. Mi rispose

che aveva avuto molta paura che lo spirito parlasse quando aveva portato via

la candela; ma che non era affatto spaventata di giorno, quando le camminava

 

176

accanto, e, quando era intenta a qualche lavoro, pensava che avrebbe potuto

farlo lui per lei risparmiandole la fatica.

«In quel tempo le mie sorelle si abituarono tanto a quei rumori da averne

ben poco disturbo. Generalmente, fra le nove e le dieci di sera, cominciava un

leggero battito sulla testa del loro letto. E loro si dicevano in genere: “Sta

arrivando Jeffrey; è ora di andare a dormire”. E, se udivano un rumore

durante il giorno e dicevano alla mia sorella più giovane: “Su, Ketty, Jeffrey

batte al piano di sopra”, lei correva su per le scale e lo inseguiva di stanza in

stanza dicendo che era il suo miglior divertimento.

«Poche notti dopo, mio padre e mia madre erano appena andati a letto e la

candela non era stata ancora portata via, quando udirono tre colpi, e poi altri

tre e ancora tre, come se provenissero da un grosso bastone battuto sopra una

cassa che era a fianco del letto. Mio padre si alzo subito, si infilò una vestaglia

e, udendo un gran fracasso al piano di sotto, prese la candela e scese; mia

madre lo seguì. Quando ebbero sceso la scala principale, udirono come se

fosse stato versato sul petto di mia madre un vaso pieno di argenteria, la quale

cadesse tintinnando ai suoi piedi. Subito dopo ci fu un rumore come se una

grande campana di ferro fosse stata scagliata contro parecchie bottiglie che

erano nel sottoscala; ma nulla fu colpito. Poi arrivò il nostro grosso mastino e

corse a rifugiarsi fra le bottiglie. Durante i disturbi era solito abbaiare e

saltare e azzannare qua e là, spesso prima ancora che si udisse qualche

rumore. Ma dopo due o tre giorni si limitò a tremare e a sgattaiolare via prima

che i rumori cominciassero. Da questi segnali la famiglia capiva che il

fenomeno era imminente, e non si sbagliava mai.

«Un poco prima che mio padre e mia madre entrassero nel vestibolo,

ebbero l’impressione che un gran pezzo di carbone fosse violentemente

lanciato contro il pavimento e andasse in frammenti; ma non videro nulla.

Mio padre allora gridò: “Sukey, non senti? Tutti i peltri della cucina sono stati

gettati a terra”. Ma, quando andarono a vedere, i peltri erano al loro posto.

Poi vi fu un forte colpo alla porta sul retro. Mio padre l’apri e, anche questa

volta, fu una fatica inutile. Dopo avere aperto più volte ora l’una ora l’altra, si

voltò e tornò a letto. Ma i rumori erano così violenti per tutta la casa, che non

poté chiudere occhio fino alle quattro del mattino.

«Parecchi signori ed ecclesiastici consigliarono vivamente mio padre di

lasciare la casa. Ma egli rispose sempre: “No, il diavolo deve fuggire da me, io

non fuggirò mai dal diavolo”. Ma scrisse al mio fratello maggiore, a Londra, di

venire. Questi stava preparandosi a farlo quando una seconda lettera lo

avvertì che i disturbi erano finiti, dopo essere continuati (negli ultimi tempi

giorno e notte) dal 2 dicembre alla fine di gennaio» (7).

 

177

Il diario del signor Wesley senior (pag. 247) conferma pienamente la

narrazione di suo figlio, aggiungendo alcuni particolari. Egli ci fa sapere che il

23 dicembre, nella stanza dei bambini, quando sua figlia Emily batté un colpo,

lo spirito le rispose. In un’altra occasione scrive: «Scesi le scale e battei col

bastone contro i travicelli della cucina. Lui mi rispose altrettante volte e con la

stessa intensità dei miei colpi. Allora battei come faccio abitualmente alla

porta: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7; ma questo lo mise in imbarazzo e non diede risposta, o

non con lo stesso sistema, sebbene le ragazze lo udissero fare esattamente la

stessa cosa due o tre volte in seguito». Questo corrisponde a quanto disse il

signor Holle relativamente al «suo battere gli stessi colpi del signor Wesley».

Il 25 dicembre egli scrive: «I rumori erano così violenti che era inutile

pensar di dormire mentre continuavano». E così pure il 27 dicembre

aggiunge: «Erano così numerosi che non volli lasciare la famiglia, come

desideravo fare, per visitare un amico, il signor Downs».

Dice anche: «Sono stato spinto per tre volte da un potere invisibile: una

contro l’angolo della scrivania nel mio studio, una seconda volta contro la

porta della stanza con le stuoie, e una terza volta contro il lato destro del

telaio della porta del mio studio, mentre entravo».

Quanto al cane, in data 25 dicembre riferisce: «Il nostro mastino venne

uggiolando verso di noi, come faceva sempre dopo la prima notte dei

fenomeni; perché allora latrò a essi furiosamente, ma poi rimase in silenzio e

parve più spaventato dei ragazzi».

Le lettere che confermano i vari particolari sono troppo lunghe e numerose

per essere trascritte. Ne tolgo un esempio da una scritta da Emily Wesley (poi

signora Harper) al fratello Samuel. Ella dice:

«Ti ringrazio della tua ultima lettera e ti dirò tutto quello che posso circa

quanto è avvenuto nella nostra famiglia. Sono così poco superstiziosa da

sentirmi anche troppo incline allo scetticismo; così che mi rallegro di cuore di

avere avuto l’opportunità di convincermi, senza dubbi né scrupoli,

dell’esistenza di alcuni esseri oltre quelli che vediamo. Un intero mese fu

sufficiente per convincere tutti della realtà della cosa e per tentare di scoprire

qualsiasi trucco se fosse stato possibile metterlo in opera. Io ti dirò solo quello

che ho udito io stessa e lascerò il resto agli altri.

«Mia sorella ha udito rumori nella camera dei documenti e me ne ha

parlato; ma io non vi ho dato molto credito fino a una notte, circa una

settimana dopo che furono uditi i primi lamenti che segnarono l’inizio della

vicenda. Avevo appena salito la scala principale quando udii un rumore come

se qualcuno scagliasse a terra un gran pezzo di carbone nel mezzo

dell’avancucina, e tutte le schegge parvero volare attorno. Non ne fui molto

 

178

spaventata, ma andai da mia sorella Sukey, e insieme facemmo il giro delle

stanze del terreno; tutto era in ordine.

«Il cane era addormentato e così pure il gatto all’altro capo della casa. Non

appena fui risalita, mentre stavo spogliandomi per andare a letto, udii un

rumore fra le numerose bottiglie che sono sotto la scala principale, come se

fosse caduta fra di esse una grossa pietra e le avesse mandate tutte in pezzi.

Questo mi spinse a coricarmi al più presto. Ma mia sorella Hetty, che aspetta

sempre che nostro padre vada a letto per portar via la candela, era ancora

seduta sull’ultimo gradino della scala dell’abbaino, con la porta chiusa alle sue

spalle, quando, subito dopo, scese le scale, dietro di lei, qualche cosa come un

uomo in un’ampia vestaglia, che la fece volare, più che correre, da me nella

stanza dei bambini.

«Fin allora non avevamo parlato a nostro padre della cosa; ma adesso ci

affrettammo a farlo. Sorrise e non ci diede risposta, ma da allora si preoccupo

più del solito di vederci tutte a letto, immaginandosi che una di noi ragazze

rimanesse alzata più a lungo e provocasse i rumori. La sua incredulità, e

specialmente la sua tendenza a imputare il fenomeno a noi o ai nostri

innamorati, mi fece desiderare, lo confesso, che continuasse fino a che non ne

fosse convinto. Quanto a mia madre era fermamente persuasa che fossero

topi e mandò a cercare un corno per cacciali via. Io risi all’idea di quanto fosse

saggio cercar di far paura a Jeffrey (io lo chiamo così) soffiando in un corno.

«Ma, chiunque fosse, mi accorsi che doveva essersi arrabbiato perché da

quel momento divenne così importuno che, dopo le dieci di sera, non c’è stata

più pace. Spesso fra le dieci e le undici udivo qualche cosa come il rapido

girare di un girarrosto all’angolo della stanza presso la testa del mio letto,

proprio come il muoversi delle ruote e il cigolare del meccanismo. Era il solito

segnale del suo avvicinarsi. Poi si batteva tre volte sul pavimento, seguivano

dei colpi alla testa del letto di mia sorella nella stessa stanza, quasi sempre tre

di seguito, e poi basta. I suoni erano sordi e forti, tali che nessuno di noi

avrebbe potuto imitarli.

«Rispondevano a mia madre se batteva sul pavimento e chiedeva risposta.

Udivo colpi, proprio dietro di me, quando mettevo i bambini a letto. Una volta

la piccola Ketty, volendo spaventare Molly, mentre stavo spogliandole, batté a

terra col piede; e immediatamente vi furono tre colpi in risposta nello stesso

punto. Erano molto più forti e violenti di quello che avrebbero potuto fare dei

topi o qualsiasi altra causa naturale.

«Potrei dirti molto di più, ma il resto verrà scritto e quindi sarebbe inutile.

Non fui molto spaventata all’inizio e molto poco da ultimo; ma non lo ho mai

sentito molto vicino eccetto due o tre volte, né mi ha mai seguito come ha

fatto con mia sorella Hetty. Ero con lei quando i colpi sono stati battuti sotto i

 

179

suoi piedi; e, quando lei si è spostata, i colpi l’hanno seguita sempre battendo

sotto i suoi piedi, cosa che sarebbe bastata ad atterrire una persona molto più

forte» (pagg. 270-72).

Sotto la data 19 gennaio 1717, il signor Samuel Wesley Junior scrisse alla

madre facendole alcune domande alle quali ella rispose in modo esauriente

aggiungendo: «Ma, d’altra parte, desidero che le mie risposte non soddisfino

altri che te, perché non vorrei che la cosa si diffondesse».

Da un memorandum del signor John Wesley, che esponeva «le circostanze

generali di cui la maggior parte della famiglia, se non tutti, furono spesso

testimoni», traggo quanto segue:

«Prima che lo spirito entrasse in una stanza, i saliscendi venivano spesso

alzati, le finestre risuonavano e tutto ciò che di ferro o di ottone era nella

stanza squillava e vibrava rumorosamente.

«Quando era in una stanza, per quanto rumore si facesse, come talvolta si

faceva appositamente, le sue cupe e sorde note si udivano chiaramente al di

sopra del fracasso.

«Il suono molto spesso sembrava essere nell’aria, al centro della stanza; e

non poteva essere fatto dai presenti, con nessun mezzo.

«Non veniva mai di giorno finché mia madre ordinava di suonare il corno.

Dopo di che difficilmente si poteva passare da una stanza all’altra perché il

saliscendi delle stanze in cui si voleva entrare veniva alzato prima che si

potesse toccarlo.

«Non entrò mai nello studio di mio padre finché egli non gli parlò

aspramente chiamandolo diavolo sordo e muto e non gli comandò di smettere

di perseguitare degli innocenti fanciulli e di venire da lui, nel suo studio, se

aveva qualche cosa da dirgli.

«Dopo che mia madre lo ebbe pregato di non disturbarla dalle cinque alle

sei, non fu mai udito nella sua camera dalle cinque a quando scendeva a

basso, né in altri momenti quando lei si dedicava alla preghiera» (pagg. 284-

85).

Rimane da dire che almeno un membro della famiglia, Emily Wesley, di cui

abbiamo già citato un brano di lettera, credette di essere stata seguita dallo

spirito di Epworth per tutta la vita. Il dott. Clarke afferma di possedere una

lettera originale di questa signora a suo fratello John, in data 16 febbraio 1750

- ossia trentaquattro anni dopo i precedenti eventi - di cui pubblica il seguente

estratto:

«Desidero molto vederti e parlare alcune ore con te come nel passato. Tu

sostieni, insieme a molti altri, la dottrina che nessuna felicità può essere

 

180

trovata nelle cose del mondo: poiché ho sedici anni di esperienza che lo

contraddicono nettamente, vorrei parlarne con te. Un altro soggetto è quella

meraviglia che chiamavamo Jeffrey. Non ridere di me considerandomi

superstiziosa se ti dico che, con certezza, qualche cosa viene da me per

prepararmi contro qualche noia imprevista; ma sappiamo così poco del

mondo invisibile che, io almeno, non so giudicare se si tratta di uno spirito

amico o malefico».

Quanto alle cause di questi disturbi, il dott. Clarke scrive: «Per un tempo

considerevole tutta la famiglia credette a una frode; ma alla fine tutti si

convinsero che era qualche cosa di soprannaturale»... «Il signor John Wesley

credeva che fosse un messaggero di Satana mandato a perseguitare suo padre

per il suo temerario giuramento di lasciare la famiglia e il suo ingiusto

comportamento verso la moglie in conseguenza del suo scrupolo di pregare

per il Principe di Orange come re d’Inghilterra»... «Altri considerarono la casa

infestata»... «Il dott. Priestley pensa che tutto sia stato frode e impostura.

Così deve essere nel suo sistema materialista; ma questo non risolve le

difficoltà; taglia semplicemente il nodo»... «L’opinione della signora Wesley

era diversa da quella di tutti gli altri e, probabilmente, era la più giusta: ella

supponeva che questi rumori e disturbi annunciavano la morte di suo fratello,

allora in servizio Presso la Compagnia delle Indie Orientali. Questo signore,

che aveva accumulato una grande fortuna, disparve improvvisamente e più

nulla si seppe di lui, almeno per quanto ho potuto sapere dai sopravviventi

rami della famiglia o dai documenti di essa» (pagg. 287-89).

Questi disturbi, sebbene non così persistenti come quelli di Tedworth,

durarono per due interi mesi, tempo sufficiente, sembrerebbe, perché una

famiglia di così forte carattere e coraggiosa quali erano i Wesley, potesse

scoprire una qualsiasi impostura. E, a meno che non sospettiamo in Emily

Wesley una superstizione che le sue lettere sono lungi dall’indicare, fenomeni

di un carattere in qualche modo simile la accompagnarono per tutta la vita.

«Il dott. Priestley, con tutte le sue inclinazioni allo scetticismo, parlando

della narrazione di Epworth è propenso ad ammettere «che è forse la meglio

autenticata e la meglio riferita storia del genere che vi sia» (9). Tuttavia entra

in discussione per provare che non può esservi in essa nulla di

soprannaturale, e la principale ragione che ne dà è che non ne derivava nulla

di buono. La sua conclusione è: «Ciò che appare più probabile a questa

distanza di tempo, nel presente caso: è che fosse una frode dei domestici,

aiutati da qualche vicino, e che non si mirasse ad altro che a mettere in

imbarazzo la famiglia e a divertirsi»; supposizione questa che Clarke respinge.

Egli dice esplicitamente: «I resoconti dati di questi disturbi sono così

particolareggiati e autentici da renderli degni del maggior credito. I testimoni

oculari e auricolari erano persone di buona intelligenza e cultura, non intinte

 

181

di superstizione e in certi casi piuttosto inclini allo scetticismo». E aggiunse:

«Nulla di apparentemente soprannaturale può essere più lontano dal margine

dell’impostura di questi racconti, e le minute constatazioni in essi contenute

ci costringono a convincerci della loro verità anche se increduli» (10).

Southey, nella sua Life of Wesley (Vita di Wesley) dà il resoconto di

questi disturbi, e così li commenta:

«Uno scrittore che, in quest’epoca, riferisce una simile storia e non la

considera del tutto incredibile e assurda, deve aspettarsi di essere messo in

ridicolo; ma le testimonianze su cui essa è fondata sono troppo forti per

poterla mettere da parte a causa della sua stranezza»... «Queste cose possono

essere soprannaturali e tuttavia non miracolose; possono non essere nel corso

ordinario della natura e tuttavia non implicare alterazioni delle sue leggi. E

relativamente al buon fine a cui si può supporre che rispondano, sarebbe un

fine sufficiente se qualche volta uno di quegli infelici che, guardando

attraverso il vetro affumicato dello scetticismo, non vedono niente oltre la vita

e l’angusta sfera dell’esistenza mortale, fosse, dalla ben stabilita realtà di una

storia simile (per quanto frivola e inutile come può altrimenti apparire)

condotto alla conclusione che vi sono più cose in cielo e in terra di quelle

sognate dalla sua filosofia».

L’opinione di Coleridge era molto diversa. Nella sua copia dell’opera di

Southey, che lasciò a Southey stesso, scrisse la seguente nota contro la storia

dei disturbi di Wesley: «Tutte queste storie, e potrei presentarne almeno una

cinquantina non meno bene autenticate e, per quanto riguarda la sincerità dei

narratori e il singolo fatto di avere essi visto o udito tali fatti o suoni, al di

sopra di ogni razionale scetticismo, sono simili l’una all’altra come i sintomi

della stessa malattia in pazienti diversi. E questa, in realtà, credo che sia la

verità e l’unica soluzione: una malattia nervosa contagiosa, la cui forma più

intensa è la catalessi. S.T.C.» (11).

E’ uno strano argomento contro la credibilità di questi racconti quello che

siano numerosi e che concordino tutti nei caratteri generali. Né è meno

notevole il modo sbrigativo con cui il poeta raggiunge la spiegazione dei

fenomeni. Egli ammette che Wesley e la sua famiglia videro e udirono quello

che affermano di avere visto e udito; ma erano tutti catalettici. Come? Anche

il mastino?

Non è tuttavia mia intenzione commentare qui queste diverse opinioni, ma

solo sottometterle al lettore. Tutte provengono da uomini di notevole

intelligenza e reputazione.

Trascuro varie relazioni di disturbi simili a quelli citati, riferiti come

avvenuti in Inghilterra e altrove nel diciottesimo secolo, sia perché i loro

 

182

particolari sono di poco diversi da quello che si uova nei precedenti, sia

perché, dato che nessuno di essi è garantito da nomi del peso di quelli che

attestano gli esempi presentati, non saranno certo accettati se gli altri

vengono respinti. Alcuni di essi sono riferiti da giornali del tempo: per

esempio uno recentemente riesumato dalle colonne del New York Packet,

apparso il 10 marzo 1789. Sotto forma di comunicazione al direttore, datata

Fishkill, 3 marzo 1789, il corrispondente dice:

«Se dovessi riferire tutte le straordinarie, ma non per questo men vere,

relazioni che ho udito relativamente a quella disgraziata ragazza di New

Havensack, forse la vostra fiducia ne sarebbe scossa e la vostra pazienza

stancata. Mi limito dunque a informarvi solo di quello di cui sono stato

testimone oculare. Un pomeriggio mia moglie e io andammo dal dott. Thorn;

e, dopo avere conversato per qualche tempo, udimmo un colpo sotto i piedi di

una giovane che vive nella famiglia. Io chiesi al dottore che cosa lo avesse

provocato. Lui non me lo poté dire, ma rispose che, insieme con parecchi altri,

aveva esaminato la casa senza riuscire a scoprirne la causa. Io allora presi una

candela e andai in cantina con la ragazza. I colpi continuarono anche lì: ma,

mentre salivamo le scale per tornare, udii degli strani picchi da ogni parte,

che mi fecero molta impressione. Rimasi fermo per qualche tempo

guardandomi attorno stupito, quando vidi del ciarpame che era in cima alle

scale agitarsi sensibilmente.

Otto o dieci giorni dopo, visitammo ancora la ragazza. I colpi

continuavano, ma erano più forti. La nostra curiosità ci spinse a farle una

terza visita, quando i fenomeni divennero ancora più impressionanti. Vidi

allora delle sedie muoversi; una grande tavola da pranzo fu spinta contro di

me; e un piccolo sostegno su cui era una candela fu lanciato in grembo a mia

moglie. Dopo di che lasciammo la casa, molto sorpresi di quello che avevamo

visto».

Altri casi furono pubblicati in opuscoli a loro tempo, come i disturbi in casa

della signora Golding e altrove a Stockwell, avvenuti il 6 e 7 gennaio 1772,

caratterizzati soprattutto dal muoversi e dalla distruzione di mobilio in varie

case, ma sempre in presenza della signora Golding e dalla sua domestica.

L’opuscolo è stato ristampato in una pubblicazione moderna (12).

Questo caso, tuttavia, con vari altri, compreso quello della «fanciulla

elettrica» riferito da Arago, sembra appartenere a una classe diversa da quella

di cui sto parlando; perché in esso l’agente occulto sembra collegato a persone

e non ha manifestato intelligenza.

Altri due esempi di data un poco più recente, e nei quali i disturbi

sembrano in parte di carattere locale e in parte di carattere personale, si

 

183

troveranno nella rivista di cui John Wesley fu per vari anni direttore.

Probabilmente sono stati scritti da lui (13).

Passo ora a un esempio avvenuto al principio del nostro secolo nel

continente europeo.

IL CASTELLO DI SLAWENSIK

Disturbi nella Slesia superime. 1806-07.

Nel mese di novembre 1806, il consigliere Hahn, addetto alla corte

dell’allora regnante Principe di Hohenlohe Neuenstein-Ingelfingen, ricevette

ordine da quei principe di recarsi in uno dei suoi castelli nella Slesia

superiore, detto Slawensik, e di attendere là i suoi ordini. Hahn fu

accompagnato da un certo Charles Kern, cornetta in un reggimento degli

ussari, che era stato preso prigioniero dai Francesi in una recente campagna

contro la Prussia, ed era appena tornato sulla parola.

Hahn e Kern erano entrambi in buona salute e liberi da qualsiasi

superstizione. Hahn aveva studiato filosofia sotto Fichte, ammirava le

dottrine di Kant e a quel tempo era un convinto materialista.

Essendo stati intimi amici in gioventù, a Slawensik occuparono la stessa

camera. Era una stanza di angolo al primo piano, con finestre che guardavano

a nord e a est. Sulla destra, appena entrati, vi era una porta a vetri che,

attraverso un divisorio rivestito di legno, dava in un’altra stanza dove erano

raccolti utensili per il servizio di casa. Questa porta rimaneva sempre chiusa.

Né in quest’ultima stanza, né in quella occupata dai due amici vi erano

aperture comunicanti con l’esterno eccetto le finestre. In quel tempo nessuno

risiedeva nel castello oltre Hahn e Kern, a eccezione del domestico di Hahn e

di due cocchieri del principe.

In queste circostanze e in questa località avvennero i disturbi seguenti. Essi

vennero narrati per iscritto da Hahn nel novembre 1808; e nel 1828 il

manoscritto fu dato dall’autore al dott. Kerner, autore di La veggente di

Prevorst, e da lui pubblicato per la prima volta a conferma di altri fenomeni

simili da lui stesso osservati nel caso della veggente. Traduco la parte

principale della narrazione di Hahn, omettendo alcuni passi in cui egli

riferisce ciò che altri gli avevano raccontato; premetto che è scritto in terza

persona.

«La terza sera dopo il loro arrivo nel castello, i due amici stavano leggendo

seduti a un tavolo nel mezzo della stanza. Verso le nove la loro occupazione fu

 

184

interrotta dalla frequente caduta di piccoli frammenti di calcina.

Esaminarono il soffitto, ma non scorsero alcun segno indicante che fossero

caduti di là. Mentre parlavano della cosa, dei pezzi ancora più grandi caddero

intorno a loro. La calcina era fredda al tatto, come se fosse stata staccata dal

muro esterno.

«Infine conclusero che tutto dipendeva dalle vecchie mura del castello e

andarono a letto. Il mattino furono stupiti dalla quantità di calcina che

copriva il pavimento, tanto più che non riuscivano a vedere né sulle pareti né

sul soffitto il minimo danno. La sera, tuttavia, l’incidente era stato

dimenticato finche non solo si ripeté lo stesso fenomeno, ma frammenti di

calcina furono scagliati attraverso la stanza, parecchi dei quali colpirono

Hahn. Nello stesso tempo furono uditi forti colpi, come gli echi di

un’artiglieria lontana, a volte come se risuonassero nel pavimento, a volte nel

soffitto. I due amici andarono a letto, ma la violenza dei colpi impediva loro di

dormire. Kern accusò Hahn di provocare quei rumori battendo sulle assi che

formavano la parte inferiore del telaio del letto, e non fu convinto del

contrario finché non ebbe preso la candela ed esaminato personalmente. Poi

Hahn ebbe lo stesso sospetto nei riguardi di Kern. La disputa si concluse

quando entrambi si alzarono rimanendo l’uno vicino all’altro mentre i colpi

continuarono come prima. Le sere seguenti, oltre ai getti di calcina e ai colpi,

udirono un altro suono simile a un rullo di tamburo a distanza.

«Di conseguenza essi chiesero a una signora che aveva la custodia del

castello, Madame Knittel, le chiavi delle stanze sopra e sotto la loro, ed essa

gliele mandò immediatamente per mezzo di suo figlio. Hahn rimase nella

stanza, mentre Kern e il giovane Knittel andarono a esaminare gli

appartamenti in questione. Di sopra trovarono una stanza vuota, di sotto, una

cucina. Batterono; ma i suoni erano del tutto diversi da quelli che avevano

udito e che Hahn, nello stesso tempo, continuava a udire nella stanza. Quando

tornarono dalla loro ispezione, Hahn disse scherzando: “Il luogo è infestato”.

La sera andarono a letto lasciando la candela accesa; ma le cose divennero

anche più serie perché essi udirono distintamente un suono come se qualcuno

in pianelle camminasse per la stanza; e a questo si univa il rumore di un

bastone su cui qualcuno si appoggiasse e che battesse sul pavimento a ogni

passo; da quanto si poteva giudicare da questi suoni, sembrava che la persona

camminasse su e giù per la stanza. Hahn ci scherzò sopra, Kern rise ed

entrambi si disposero a dormire senza attribuire seriamente al fenomeno

alcuna origine soprannaturale.

«Tuttavia la sera seguente parve impossibile dare ai fatti una qualsiasi

spiegazione naturale. L’agente, quale che fosse, cominciò a lanciare vari

oggetti nella stessa stanza: coltelli, forchette, spazzole, berretti, pantofole,

lucchetti, un imbuto, smoccolatoi, sapone, in breve tutto ciò che c’era di

 

185

mobile nell’appartamento. Anche candelieri volarono attorno, prima da un

angolo, poi da un altro. Se quegli oggetti fossero stati lasciati nel luogo in cui

cadevano, tutta la stanza ne sarebbe stata disseminata nella massima

confusione. Nello stesso tempo cadeva, a intervalli, ancor più calcina; ma i

colpi si erano interrotti. Allora i due amici chiamarono i due cocchieri, il

domestico di Hahn, il giovane Knittel, la custode del castello e altri, i quali

tutti furono testimoni di questi disturbi».

Questo continuò per parecchie notti; ma al mattino, tutto era tranquillo

come al solito, talora già all’una di notte. Hahn continua:

«Da tavolo, sotto i loro stessi occhi, smoccolatoi e coltelli talora si alzavano,

rimanevano per qualche tempo sospesi nell’aria e poi cadevano sul

pavimento. In questo modo un grosso paio di forbici appartenente a Hahn

cadde fra lui e uno dei cocchieri rimanendo infisso sul pavimento.

«Per poche notti il fenomeno cessò, ma poi riprese come prima. Dopo che

fu continuato per circa tre settimane (durante le quali Hahn si ostinò a

rimanere nello stesso appartamento), alla fine, stanchi dei rumori che

turbavano continuamente il loro sonno, i due amici decisero di far trasportare

i loro letti nella stanza d’angolo superiore, così da ottenere, se possibile, una

notte tranquilla. Ma il cambiamento non servì a nulla. Gli stessi rumorosi

colpi li seguirono; ed essi notarono che volavano per la stanza oggetti che

erano sicuri di avere lasciato nella camera sottostante. “Lascia che volino

come vogliono”, esclamò Hahn. “Io devo dormire!”. Kern, mezzo svestito,

passeggiava pensieroso per la stanza. Improvvisamente si fermò davanti a

uno specchio a cui aveva rivolto per caso lo sguardo. Dopo averlo osservato

per una decina di minuti, cominciò a tremare, si volse con un pallore mortale

e si allontanò. Hahn, pensando che si fosse sentito male per il freddo, corse a

lui e gli gettò una giacca sulle spalle. Allora Kern, che per il suo naturale

carattere non aveva paura di nulla, riprese coraggio e riferì all’amico, con

labbra ancora tremanti, di aver visto nello specchio un’immagine femminile,

vestita di bianco, che lo guardava, apparentemente davanti a lui perché egli

aveva potuto vedere riflessa la propria immagine dietro di essa. Gli era

occorso un certo tempo per convincersi di vedere realmente la figura, e per

questo era rimasto così a lungo davanti allo specchio. Avrebbe voluto credere

volentieri che si trattasse di un semplice giuoco della sua immaginazione; ma,

mentre la figura lo fissava in pieno volto ed egli poteva vedere muoversi i suoi

occhi, un brivido lo aveva percorso e si era allontanato. Hahn andò

immediatamente allo specchio e chiese alla figura di mostrarsi anche a lui;

ma, sebbene rimanesse un quarto d’ora davanti allo specchio, ripetendo

spesso la sua invocazione, non vide niente. Kern gli disse che la figura aveva i

lineamenti di una vecchia, ma non spiacevoli, era molto pallida ma sembrava

 

186

tranquilla; aveva la testa coperta da un drappo bianco così che solo il volto era

visibile...

«Frattanto era passato un mese; la storia di questi disturbi si era diffusa

nel vicinato e molti l’avevano accolta con incredulità; fra gli altri due ufficiali

bavaresi dei dragoni, di nome Cornet e Magerle. Quest’ultimo propose di

rimanere solo nella stanza; e così gli altri, verso il crepuscolo, ve lo lasciarono.

Ma erano rimasti solo per pochi minuti nella stanza accanto quando udirono

Magerle bestemmiare ad alta voce e rumori di colpi di spada sulle sedie e sui

tavoli. Così che, se non altro per salvate il mobilio, giudicarono opportuno

andate a dargli un’occhiata. Quando gli chiesero che cosa fosse successo,

Magerle rispose furente: “Appena ve ne siete andati, questo maledetto ha

cominciato a bersagliarmi con calcinacci e ogni sorta di cose. Ho guardato

dappertutto senza vedere alcuno; così sono andato fuor dei gangheri e mi

sono messo a menar sciabolate a dritta e a manca”».

Questo fu abbastanza per gli ufficiali dei dragoni. Hahn e Kern, frattanto, si

erano tanto abituati a queste meraviglie che ci scherzavano sopra e se ne

facevano un divertimento. Infine:

«Hahn decise di investigarle seriamente. Una sera, dunque, si sedette alla

sua scrivania con due candele accese davanti a sé, ponendosi in modo da

potere osservare tutta la stanza e specialmente le finestre e le porte. Per

qualche tempo fu lasciato assolutamente solo nel castello, perché i cocchieri

erano nelle stalle e Kern si era allontanato. Tuttavia avvennero come prima gli

stessi fenomeni: gli smoccolatoi, sotto i suoi occhi vennero sollevati e gettati a

terra. Egli tenne d’occhio con la massima attenzione le porte e le finestre, ma

non poté scoprire nulla.

«Varie altre persone furono testimoni di questi fatti in tempi diversi; un

libraio di nome Dörfel e il capo delle guardie forestali Radezensky.

Quest’ultimo rimase con lui tutta una notte, ma non poté dormire. Fu tenuto

sveglio da un continuo bombardamento...

«L’Ispettore Knetch, di Koschentin, decise di passare una notte con Hahn e

Kern; durante la sera il bombardamento non ebbe requie, ma infine decisero

di andare a letto lasciando le candele accese. Allora tutti e tre videro due

tappeti da tavolo alzarsi fino al soffitto nel mezzo della stanza, poi spiegarsi

completamente e infine cadere a terra fluttuando nell’aria. Una pipa di

porcellana, appartenente a Kern, volò via e andò in pezzi. Coltelli e forchette

volarono, un coltello cadde sulla testa di Hahn colpendolo tuttavia solo con il

manico. Allora si prese la decisione, visto che i disturbi continuavano da due

mesi, di cambiare definitivamente stanza. Kern e il domestico di Hahn

portarono un letto nella stanza di fronte. Se n’erano appena andati quando

una bottiglia di acqua ferruginosa che era nella stanza si mosse vicino ai piedi

 

187

dei due che erano rimasti indietro. E così pure un candeliere di ottone, che

proveniva da un angolo della stanza, cadde a terra davanti a loro. Nella stanza

in cui si trasferirono passarono una notte abbastanza tranquilla, sebbene

udissero ancora dei rumori nella stanza che avevano lasciato. E questi furono

gli ultimi disturbi».

Hahn termina la sua narrazione con queste parole:

«La storia rimase un mistero. Tutte le riflessioni su questi strani

avvenimenti, tutte le investigazioni, per quanto fatte con la massima cura, per

scoprire delle cause naturali lasciarono all’oscuro gli osservatori. Nessuno

poté suggerire un qualsiasi mezzo per realizzarli anche se ci fosse stato - e non

c’era - nel villaggio o nel vicinato qualche prestigiatore. E per quale motivo,

poi? Il vecchio castello non aveva alcun valore se non per il suo proprietario.

Insomma, non si vedeva alcuno scopo nell’intera vicenda. Tutto consistette

nel disturbare alcuni uomini e nello spaventarne qualche altro; ma coloro che

occupavano la stanza, nei due interi mesi che durarono i fenomeni, si

abituarono a essi come ci si può abituare a qualsiasi fastidio quotidiano» (14).

Il racconto è sottoscritto e attestato da Hahn come segue:

«Ho visto ogni cosa esattamente come è stato scritto, osservando il tutto

con attenzione e con calma. Non ho mai avuto paura; tuttavia sono

assolutamente incapace di dare una spiegazione a quanto ho narrato.

«Scritto il 19 novembre 1808».

Consigliere Hahn

Il dott. Kerner, nella quarta edizione della sua Veggente di Prevorst, ci

informa che questo racconto, quando fu da lui pubblicato per la prima volta,

suscitò varie congetture per spiegare il mistero; la più plausibile delle quali

era che Kern fosse prestigiatore e si fosse preso giuoco del suo compagno per

proprio divertimento. Quando il dottore comunicò questa ipotesi a Hahn,

quest’ultimo rispose che, se anche non vi fossero state altre ragioni per

respingere questo sospetto, la cosa era resa assolutamente impossibile dal

fatto che alcune manifestazioni erano avvenute non solo quando lui (Hahn)

era solo nella stanza, ma anche quando Kern era temporaneamente assente

perché in viaggio. Aggiunse che Kern più e più volte lo pregò di lasciare la

stanza; ma che lui (Hahn), sempre sperando di trovare una qualche

spiegazione naturale per i fatti, si ostinò a rimanervi. La principale ragione

che li spinse infine a lasciarla fu il rammarico di Kern per la distruzione della

sua pipa favorita, un oggetto di valore che aveva comprato a Berlino e a cui

teneva moltissimo. Aggiunse che Kern era morto di febbre nervosa

nell’autunno del 1807.

 

188

Scrivendo al dott. Kerner su questo soggetto da Ingelfingen, in data 24

agosto 1828, ossia più di vent’anni dopo gli eventi occorsi, Hahn dice: «Non

ho tralasciato alcuna precauzione per scoprire qualche causa naturale. In

genere sono accusato di eccessivo scetticismo piuttosto che di superstizione.

La codardia non è un mio difetto, e coloro che mi conoscono intimamente lo

possono testimoniare. Potevo dunque fidarmi di me; e non sono caduto certo

in qualche illusione relativa ai fatti, perché spesso chiedevo agli astanti: “Che

cosa vedete?” e dalle loro risposte mi rendevo sempre conto che essi vedevano

esattamente quello che vedevo io...

«In questo momento sono assolutamente incapace di indicare una causa, o

anche di avanzare un’ipotesi ragionevole, per spiegare i fenomeni. Per me, e

per tutti quelli che li hanno osservati, essi sono rimasti un enigma fino a oggi.

In questi casi, bisogna aspettare che i giudizi affrettati siano passati; e anche

nel riferire quello che non solo abbiamo visto noi stessi, ma che è stato visto

anche da altri ancora viventi, bisogna accettare di correre il rischio di essere

considerati vittime di una illusione» (15).

Il dott. Kerner aggiunge inoltre che, nell’anno 1830, un signore della

massima rispettabilità, residente a Stoccarda, visitò Slawensik per verificare il

racconto. Vi trovò persone che mettevano in ridicolo tutta la vicenda come un

inganno; ma le sole due persone che incontrò, sopravviventi fra coloro che

erano stati testimoni dei fatti, gli confermarono l’esattezza della relazione di

Hahn in ogni particolare.

Questo signore accertò inoltre che il Castello di Slawensik era stato in

seguito demolito e che, nel portar via le rovine, venne trovato uno scheletro

maschile murato in esso e senza bara, con il cranio spaccato. A fianco dello

scheletro vi era una spada.

Quando tutto ciò fu comunicato a Hahn, egli rispose molto

ragionevolmente: «Si può immaginare qualche legame fra la scoperta dello

scheletro, l’immagine femminile vista da Kern e i disturbi da noi testimoniati;

ma chi può sapere realmente qualche cosa?». E aggiunse infine:

«Poco mi importa se gli altri credono o no alla mia narrazione! Ricordo

benissimo che io stesso pensavo di queste cose prima di esserne stato

testimone di fatto, e non me ne ho a male se qualcuno le giudica nello stesso

modo con cui le avrei giudicate io prima di avere vissuto quell’esperienza.

Cento testimonianze non produrranno alcuna convinzione in coloro che

hanno deciso di non credere a nulla di questo genere. Non mi do pensiero di

queste persone perché sarebbe fatica sprecata».

 

189

Questa ultima lettera di Hahn è datata maggio 1831. Per un quarto di

secolo, dunque, mantenne e ripeté la sua convinzione della realtà e

dell’inesplicabile carattere dei disturbi di Slawensik.

Dalla stessa fonte da cui ho tratto quanto sopra, scelgo un altro esempio, di

data più recente e che ha il vantaggio di essere stato testimoniato dallo stesso

Kerner.

LA VEGGENTE DI PREVORST

Disturbi nel villaggio di Oberstenfeld. 1825-26.

Fra le montagne del Wurtemberg settentrionale, nel villaggio di Prevorst,

nacque, nel 1801, Madame Fredericke Hauffe, poi nota in tutto il mondo come

la «Veggente di Prevorst» grazie alla storia scritta dal dott. Kerner sulla sua

vita e le sue sofferenze (16).

Già da bambina, Madame Hauffe soleva vedere quelli che considerava

spiriti disincarnati, in genere non percepibili, tuttavia, da coloro che la

circondavano; e questa peculiarità, sia vera facoltà o semplice allucinazione,

la accompagnò per tutta la vita.

Kerner dà molti esempi. Per tutto l’anno 1825, mentre risiedeva nel

villaggio di Oberstenfeld, non lungi da Löwenstein, Madame Hauffe fu

visitata, o credette di esserlo, dall’apparizione, generalmente di sera, verso le

sette, di una figura maschile di forte complessione, che, a quanto lei diceva,

chiedeva continuamente le sue preghiere. Sul problema della realtà di questa

apparizione, non ho qui nulla da dire; ma richiamo l’attenzione del lettore

sulle circostanze che l’accompagnano. Kerner dice:

«Ogni volta, prima che apparisse, il suo arrivo era annunciato a tutti i

presenti, senza eccezione, da colpi o picchi talora su di una parete, talora su di

un’ altra, a volte da una sorta di schiocchi nell’aria e altri suoni nel mezzo

della stanza. Di questo fenomeno sono ancora viventi più di una ventina di

testimoni ineccepibili.

«Di giorno e di notte venivano uditi rumori di qualcuno che saliva le scale,

ma, per quanto cercassimo, era impossibile scoprire alcuno. Nella cantina si

udivano gli stessi colpi ed erano sempre più rumorosi. Se i colpi si udivano

dietro una botte e qualcuno subito correva a guardare per scoprirne la causa,

il rumore passava davanti alla botte stessa; e, se si passava da quella parte, i

colpi si facevano sentire nuovamente di dietro. Lo stesso succedeva quando

provenivano dalle pareti della stanza. Se i colpi erano uditi all’esterno e

 

190

qualcuno accorreva sul luogo, immediatamente passavano all’interno e

viceversa.

«Se la porta della cucina veniva chiusa di notte, anche a doppia mandata,

veniva trovata aperta al mattino. La si udiva continuamente aprirsi e

chiudersi; e tuttavia per quanto in fretta si accorresse, non si vedeva mai

alcuno entrare o uscire.

«Una volta, verso le undici di sera, i disturbi furono così violenti da

scuotere tutta la casa, e le pesanti travi del tetto sussultavano su e giù. In

questa occasione il padre di Madame Hauffe quasi decise di lasciare la casa il

giorno dopo...

«I colpi e gli scricchiolii della casa erano uditi da coloro che passavano

nella strada. Altre volte i colpi nella cantina erano tali che tutti quelli che

passavano si fermavano ad ascoltare.

«Spesso i bicchieri erano portati via dal tavolo (e una volta anche una

bottiglia) come da una mano invisibile, e posti sul pavimento. Così pure le

carte venivano prese dallo scrittoio del padre di lei e gettate a lui.

«Madame Hauffe visito Löwenstein, e anche là furono uditi colpi e picchi».

L’ultima delle cosiddette visite di questo spirito avvenne il 6 gennaio 1826.

Gli avvenimenti descritti si ripeterono, a intervalli, per un intero anno.

Vi sono vari altri esempi dello stesso genere nel libro di Kerner; ma è

inutile moltiplicarli.

Via via che ci avviciniamo al nostro tempo, le relazioni dei disturbi che

stiamo esaminando divengono così numerose che mi manca lo spazio per

riportarle. Scelgo come esempio la seguente perché le prove addotte a

sostegno della realtà dei fenomeni, per i quali non fu mai scoperto un agente

terreno capace di produrli, sono dello stesso carattere di quelle sulla cui base

si giudicano questioni relative alle proprietà e alla vita degli uomini.

LA CAUSA LEGALE

Disturbi in un’abitazione presso Edimburgo. 1835.

Il caso è notevole per aver fatto sorgere una causa legale da parte del

proprietario di una casa ritenuta infestata. E’ riferito dalla signora Crowe nel

suo Night Side of Nature, e i particolari vennero a lei comunicati dalla

persona che condusse la causa per il querelante (17). Ella non dà il suo nome,

 

191

ma grazie a un amico di Edimburgo ho potuto accertare che fu il signor

Maurice Lothian, un procuratore scozzese, oggi Procuratore Fiscale della

contea di Edimburgo.

Un certo capitano Molesworth affittò la casa in questione, situata a Trinity,

a due miglia da Edimburgo, da un certo signor Webster, nel maggio 1835.

Dopo avere risieduto là un paio di mesi, il capitano cominciò a lamentarsi di

certi rumori inesplicabili che, cosa strana, egli si mise in testa che fossero

provocati dal suo padrone di casa, signor Webster, il quale occupava

l’abitazione accanto. Quest’ultimo, naturalmente, fece presente come fosse

improbabile che volesse danneggiare la reputazione della propria casa o

cacciare di lì un inquilino sicuro, e ritorse l’accusa contro di lui. Frattanto i

disturbi continuavano notte e giorno. A volte si udiva un rumore come di

piedi invisibili; altre volte vi erano colpi, scricchiolii, grattamenti, dapprima

su di un lato, poi sull’altro. Ogni tanto l’agente invisibile sembrava battere

secondo un certo ritmo, e rispondeva con altrettanti colpi a ogni domanda la

cui risposta fosse in numeri, come: «Quante persone sono in questa stanza?».

Talora i colpi erano così violenti che le mura tremavano visibilmente. Anche i

letti venivano a volte sollevati come se ci fosse sotto qualche persona.

Tuttavia, per quanto si cercasse, non si poté trovare nulla. Il capitalo

Molesworth fece sollevare l’assito del pavimento nelle stanze in cui i rumori

erano più forti e più frequenti e praticamente perforò la parete che divideva il

suo appartamento da quello del signor Webster, ma senza il minimo risultato.

Ufficiali dello sceriffo, muratori, giudici di pace e gli ufficiali del reggimento

acquartierato a Leith, che erano amici del capitano Molesworth, vennero in

suo aiuto sperando di scoprire o spaventare il tormentatore, ma invano.

Sospettando che potesse esserci qualcuno fuori della casa, vi formarono

attorno un cordone; ma tutto fu inutile. Non venne mai ottenuta alcuna

spiegazione del mistero.

Il signor Webster portò davanti allo sceriffo di Edimburgo una querela

contro il capitano Molesworth per i danni da lui commessi sollevando le

tavole, forando i muri e sparando contro i pannelli di rivestimento, come pure

per il danno fattogli procurando alla casa la reputazione di essere infestata e

rendendogli così difficile trovare altri inquilini. Al processo i fatti constatati

furono tutti ammessi dal signor Lothian, che dedicò parecchie ore a

esaminare i vari testimoni, alcuni dei quali ufficiali dell’esercito e persone di

indubbia onorabilità e capacità di osservazione.

Rimane da dire che il capitano Molesworth aveva due figlie, l’una delle

quali, di nome Matilda, era morta di recente, mentre l’altra, una fanciulla fra i

dodici e i tredici anni, di nome Jane, era malaticcia e restava quasi sempre a

letto. Essendo stato osservato che i rumori erano più frequenti dovunque

andasse questa fanciulla malata, il signor Webster dichiarò che ne era lei la

 

192

causa: e sembrerebbe che lo stesso suo padre dovesse in qualche modo

condividere i suoi sospetti; perché la povera ragazza era stata praticamente

chiusa in un sacco come per impedire qualsiasi iniziativa da parte sua.

Tuttavia non era stata ottenuta nessuna cessazione o diminuzione dei disturbi

nemmeno con questo drastico espediente.

La gente del vicinato credeva che i rumori fossero prodotti dallo spettro di

Matilda, venuta ad avvertire sua sorella che l’avrebbe presto seguita; e la

credenza ricevette conferma quando quella disgraziata ragazza, la cui malattia

fu probabilmente aggravata dalle severe misure dettate da un ingiusto

sospetto, poco dopo morì.

Ogni tanto questi racconti vengono pubblicati come semplici esempi di

superstizioni volgari, come fece Mackay nella sua opera Popular

Delusions. Egli riferisce, come uno degli ultimi esempi di panico provocato

da una casa supposta infestata, degli incidenti che avvennero - come quelli

appena narrati - in Scozia, una ventina di anni fa, relativamente ai quali egli

fornisce i seguenti particolari.

LA FATTORIA DI BALDARROCH

Disturbi nell’Aberdeenshire, Scozia. 1838.

«Il 5 dicembre 1838, gli abitanti della fattoria di Baldarroch, nel distretto

di Banchroy, nell’ Aberdeenshire, furono allarmati nel vedere un gran numero

di bastoni, ciottoli e zolle volare sui loro recinti e le loro case. Cercarono

invano di scoprire chi fosse il delinquente, e, poiché la pioggia di pietre

continuo per cinque giorni consecutivi, vennero infine alla conclusione che il

diavolo e i suoi seguaci dovevano esserne l’unica causa. Presto si diffuse la

notizia in ogni parte del paese e centinaia di persone vennero da vicino e da

lontano per vedere le bizzarrie dei diavoli di Baldarroch. Dopo i primi cinque

giorni, la pioggia di zolle e di sassi cesso all’esterno delle abitazioni e la scena

si sposto nell’interno. Cucchiai, coltelli, piatti, vasetti, mattarelli e ferri da

stiro apparvero improvvisamente dotati del potere di muoversi da soli e

venivano lanciati da stanza a stanza, o precipitati dai camini in un modo che

nessuno riusciva a spiegare. Il coperchio di un vasetto per mostarda fu messo

in una credenza da una domestica, in presenza di una quantità di persone, e

pochi minuti dopo balzò giù dal camino fra la costernazione di tutti. Vi furono

anche tremendi colpi alle porte e sul tetto, e pezzi di legno e ciottoli andarono

a battere contro le finestre rompendole. Tutto il vicinato era in allarme; e non

solo il popolo, ma anche persone colte, rispettabili possidenti nel cerchio di

 

193

una ventina di miglia, espressero la loro credenza nel carattere

soprannaturale di questi fatti».

Mackay prosegue dicendo che l’eccitazione, entro una settimana, si diffuse

nelle parrocchie di Banchroy-Ternan, Drumoak, Durris, Kincardine O’Neil e

in tutto l’adiacente distretto di Mearns e Aberdeenshire. Si affermò e si

credette che tutti i cavalli e i cani che si avvicinavano alla fattoria fossero

immediatamente influenzati. La padrona di casa e la domestica dissero che

ogni volta che andavano a letto venivano bersagliate con pietre e altri

proiettili. Il fattore stesso affronto un viaggio di quaranta miglia per andare

da un vecchio fattucchiere, di nome Willie Foreman, per indurlo, con una

discreta somma, a togliere l’incanto dalla sua proprietà. Il tenutario della

parrocchia, il parroco, i maggiorenti della chiesa intrapresero una

investigazione, che tuttavia non sembra aver dato alcun risultato.

«Dopo che i disturbi furono continuati per una quindicina di giorni»,

scrive Mackay, «tutto il trucco fu scoperto. Le due ragazze di servizio furono

rigorosamente esaminate e poi messe in prigione. Risulto che erano le uniche

responsabili della faccenda e che la straordinaria creduloneria dei loro

padroni, anzitutto, e, secondariamente, dei vicini e dei campagnoli, aveva reso

il loro compito relativamente facile. Si erano valse solo di un po’ di destrezza;

e, essendo loro stesse insospettate, aumentavano l’allarme con strabilianti

storie da loro inventate. Erano loro che facevano cadere i sassi nel camino e

ponevano sugli scaffali i piatti in tal modo che cadessero al minimo urto»

(18).

La prova che le ragazze erano le autrici di tutti i guai sembra confermata

dai fatto che «non appena furono chiuse nelle carceri della contea, i disturbi

cessarono»; e così, scrive Mackay, «la maggior parte del popolo rimase

convinta che solo degli agenti umani avevano causato tutti quei portenti».

Egli ammette tuttavia che altri rimasero fermi nella loro primitiva credenza e

non furono per nulla soddisfatti dalla spiegazione; in realtà avevano tutti i

diritti di non esserlo se dobbiamo credere ai particolari forniti dallo stesso

Mackay su questi fenomeni.

Per cinque giorni una pioggia di legni, pietre e zolle di terra è vista cadere

sui recinti ed è scagliata contro le finestre (19). Centinaia di persone vengono

a vedere il fenomeno e nessuna di esse sa spiegarselo. E’ credibile e

concepibile che due ragazze, occupate tutto il giorno in lavori servili sotto gli

occhi dei loro padroni, potessero «con un poco di destrezza» avere continuato

un tale scherzo per cinque ore - per non parlare di cinque giorni - senza

essere inevitabilmente scoperte? Inoltre vari utensili, nella casa, non solo si

muovono per la stanza come per proprio impulso, ma sono scagliati da una

stanza all’altra, o gettati giù dal camino in presenza di una folla di testimoni.

 

194

Vi sono tremendi colpi alle porte e sul tetto, e le finestre vengono spezzate da

pezzi di legno e ciottoli che battono contro di esse. La farsa dura per altri

dieci giorni mettendo in allarme tutto il vicinato, facendosi giuoco

dell’ingenuità del tenutario della parrocchia, del parroco, dei maggiorenti

della chiesa; e dobbiamo credere che tutto ciò sia stato la semplice frode di

due ragazze di servizio, ottenuta facendo cadere alcuni sassi nel camino e

mettendo le stoviglie in modo che cadessero al minimo urto? Un bell’esempio

davvero della creduloneria dell’incredulità!

Si può capire che una corte di giustizia ammetta, come prova presuntiva

contro le ragazze, il fatto che, dal momento in cui furono chiuse in prigione, i

disturbi cessassero. A lume di logica, il presupposto non era irragionevole. Ma

io ho già addotto alcune prove, e dirò di più in seguito (20), che quei disturbi

appaiono legati ad alcuni individui (o, in altre parole, avvengono in certe

località in loro presenza) senza alcuna azione - per lo meno senza alcuna

azione consapevole - da parte di queste persone stesse.

Altri racconti di questa classe, già stampati, potrebbero essere inseriti se lo

spazio lo permettesse. Ne cito uno o due.

Nel Douglas Jerrold’s Journal del 26 marzo 1847, vi è la relazione dei

disturbi nella famiglia di un certo signor Williams, residente in Moscow Road.

Utensili e mobili venivano portati in giro e distrutti, quasi esattamente come

nel caso della signora Golding e della sua cameriera. Non si fa parola, tuttavia,

di colpi sulle pareti o sul pavimento.

Un caso simile è descritto nella Revue Française del dicembre 1846,

come avvenuto nella casa di un fattore a Cleirefontaine presso Rambouillet.

Una narrazione più notevole e particolareggiata di queste si può trovare in

Facts and Fantasies di Spicer, il cui manoscritto fu consegnato all’autore

dalla signora E., dama di alta condizione: i disturbi continuarono per

quattro anni, ossia dall’agosto del 1844 al settembre del 1848. Qui vi furono

colpi e rumori di passi così forti da far tremare l’intera casa, oltre a porte e

finestre che si aprivano, campanelli che squillavano, rumori come di mobili

che si muovessero, il fruscio di un abito di seta nella stanza stessa,

scuotimenti dei letti in cui si dormiva, rumori di carrozze nel parco quando

non vi era alcuno ecc. La narrazione è appoggiata dai certificati dei domestici

e di un ispettore di polizia, che fu pregato di restare di notte nell’edificio e

cercar di scoprire la causa dei disturbi. Alcuni domestici lasciarono la

famiglia, incapaci di sopportare la paura e la privazione di sonno. Lo stesso

signor E., dopo avere combattuto per anni contro il fenomeno, abbandonò

infine la proprietà di L., dove avvenivano i disturbi, deciso a non tornarvi più

(21).

 

195

Questi episodi possono essere riferiti per i curiosi. Il seguente, tuttavia è

così notevole in se stesso, e mi è giunto così direttamente che sarebbe fare

ingiustizia al soggetto se lo omettessi o lo abbreviassi.

IL CIMITERO DI AHRENSBURG

Disturbi nella cappella dell’isola di Oesel (22). 1844.

Nelle immediate vicinanze di Ahrensburg, l’unica città dell’isola di Oesel, vi

è il cimitero pubblico. Disegnato con buon gusto e ben tenuto, ricco di alberi e

in parte circondato da un boschetto di sempreverdi, è la passeggiata favorita

degli abitanti. Oltre alle tombe - di ogni varietà, dalle più umili alle più

elaborate - comprende parecchie cappelle private ognuna appartenente a

qualche famiglia in vista. Sotto queste cappelle vi è una cripta pavimentata di

legno, a cui si scende per una scala che è nell’interno della cappella, e chiusa

da una porta. Le bare dei membri della famiglia defunti di recente, di solito

rimangono per qualche tempo nella cappella. Poi vengono trasferite nella

cripta, e poste l’una a fianco all’altra su sbarre di ferro che le tengono sollevate

da terra. E’ usanza che queste bare siano di quercia massiccia, molto pesanti e

costruite solidamente.

La strada pubblica passa davanti al cimitero e a poca distanza da esso. Tre

cappelle, di fronte alla strada, sono particolarmente imponenti e tali da potere

essere viste dal viaggiatore di passaggio. La più grande di queste, adorna di

colonne sulla fronte, è quella appartenente alla famiglia di Buxhoewden, di

stirpe patrizia e originaria della città di Brema. Da molte generazioni è stata il

suo luogo di sepoltura.

Era costume degli abitanti del luogo, che venivano al cimitero a cavallo o in

carrozza, legare i loro cavalli, di solito con forti cavezze, immediatamente di

fronte a questa cappella e presso le colonne che la adornavano. Sebbene

questa pratica continuasse da otto o dieci anni prima degli incidenti che

stiamo per esporre, vi erano state ogni tanto vaghe voci che la cappella in

questione fosse infestata: voci che, comunque, non derivando da una fonte

sicura, non erano credute e venivano derise dai proprietari.

Il periodo di maggiore afflusso al cimitero, da parte di persone di ogni

parte dell’isola i cui parenti erano lì sepolti, era la domenica di Pentecoste e i

giorni successivi, che equivalevano sostanzialmente al giorno dei Morti nei

paesi cattolici (23).

 

196

Il secondo giorno di Pentecoste, il lunedì 22 giugno (nuovo stile) dell’anno

1844, la moglie di un certo sarto di nome Dalmann, dimorante ad

Ahrensburg, era venuta, con i figli, su di un calesse, a visitare la tomba di sua

madre, posta dietro la cappella della famiglia Buxhoewden, e aveva legato il

cavallo, come al solito, di fronte a essa, senza staccarlo, proponendosi, subito

dopo avere fatto le sue devozioni, di visitare degli amici in campagna.

Mentre era inginocchiata presso la tomba in silenziosa preghiera, ebbe la

percezione distinta, come ricordò in seguito, di udire dei rumori in direzione

della cappella; ma, assorta nei suoi pensieri, non vi fece attenzione. Finita la

preghiera e tornata per proseguire il suo viaggio, trovò il cavallo,

generalmente tranquillo, in uno stato di inesplicabile eccitazione. Coperto di

sudore e di spuma, tremante per tutte le membra, pareva colpito da un terrore

mortale. Quando lo allontanò di lì, sembrava quasi incapace di camminare; e,

invece di proseguire per la gita che aveva in mente, ella si trovò costretta a

tornare in città per cercare un veterinario. Questi dichiarò che il cavallo

doveva avere avuto un grande spavento per qualche ragione, lo salassò, gli

diede un farmaco e l’animale si riprese.

Un giorno o due dopo, questa donna, andata al castello di una delle più

nobili famiglie della Livonia, quella del barone de Guldenstubbe, presso

Ahrensburg, come era sua abitudine, per fare lavori di cucito per la famiglia,

riferì al barone lo strano incidente che le era capitato. Egli non la prese sul

serio, pensando che la donna esagerasse e che il cavallo si fosse spaventato

per caso.

La cosa sarebbe stata presto dimenticata se non fosse stata seguita da fatti

dello stesso genere. La domenica seguente parecchie persone, che avevano

legato i loro cavalli di fronte alla stessa cappella, riferirono di averli trovati

coperti di sudore, tremanti e atterriti; e alcune di esse aggiunsero di avere

udito loro stesse dei suoni rombanti che sembravano provenire dalla cripta

della cappella e che, a volte (ma questo poteva essere effetto di

immaginazione), assumevano il carattere di lamenti.

Questo fu solo il preludio di ulteriori disturbi che divennero sempre più

frequenti. Un giorno, nel corso dello stesso mese (luglio) avvenne che undici

cavalli fossero legati presso le colonne della cripta. Alcuni, passando di lì e

udendo, come dissero, forti rumori (24), che sembravano provenire di sotto

l’edificio, diedero l’allarme; e quando i proprietari dei cavalli giunsero sul

luogo, trovarono le povere bestie in condizioni pietose. Parecchi di essi, nei

loro frenetici sforzi per fuggire, erano caduti e si dibattevano a terra; altri

riuscivano appena a camminare o a tenersi in piedi; e tutti erano così

impressionati che fu necessario ricorrere immediatamente ai salassi o ad altri

 

197

rimedi. Per tre o quattro di essi tutto ciò fu inutile, e gli animali morirono

entro un giorno o due.

Era una cosa seria. E fu causa di una querela sporta da alcuni dei

danneggiati al Concistoro, una corte che teneva le sue sedute ad Ahrensburg e

curava gli affari ecclesiastici.

Circa lo stesso tempo morì un membro della famiglia Buxhoewden. Al suo

funerale, mentre veniva letto nella cappella l’ufficio dei defunti, furono uditi

provenire dal sottosuolo quelli che sembravano lamenti e altri strani rumori,

con gran terrore di alcuni degli astanti e specialmente dei domestici. I cavalli

attaccati al carro funebre e alle vetture del seguito furono sensibilmente

impauriti ma non come lo erano stati gli altri. Dopo l’ufficio funebre tre o

quattro dei presenti, più coraggiosi degli altri, scesero nella cripta. Non

udirono nulla, ma, con loro infinita sorpresa, trovarono che quasi tutte le

numerose bare che erano state poste lì in ordine, l’una a fianco dell’altra,

erano state spostate e formavano un mucchio confuso. Invano cercarono una

qualsiasi causa che potesse spiegare il fatto. Le porte erano sempre tenute

accuratamente chiuse e le serrature non mostravano tracce di essere state

forzate. Le bare furono rimesse nell’ordine dovuto.

Questo incidente suscitò molte chiacchiere e, naturalmente, richiamò

ancor più l’attenzione sulla cappella e sui pretesi disturbi. Furono lasciati dei

ragazzi a guardia dei cavalli quando venivano legati nelle vicinanze; ma, in

genere, essi erano troppo spaventati per rimanere, e alcuni di loro

affermarono perfino di aver visto neri spettri aggirarsi in quelle parti. Tuttavia

le storie da loro raccontate su questo ultimo soggetto vennero lasciate cadere -

forse molto ragionevolmente - a causa della loro eccitazione. Ma i genitori

cominciarono a farsi scrupolo di condurre i loro ragazzi al cimitero.

Crescendo sempre più le inquietudini, nuove querele in proposito giunsero

al Concistoro e venne proposta un’inchiesta sul caso. I proprietari della

cappella dapprima fecero obiezione considerando la cosa come una frode o

uno scandalo messo su dai loro nemici. Ma, per quanto accuratamente

esaminassero il pavimento della cripta per assicurarsi che nessuno potesse

essere entrato dai di sotto, non trovarono niente che confermasse i loro

sospetti. E dopo che il barone de Guldenstubbe, presidente del Concistoro,

ebbe visitato privatamente la cripta insieme a due membri della famiglia,

trovando di nuovo le bare nello stesso disordine, i Buxhoewden, rimesse le

bare al loro posto, accettarono infine un’inchiesta ufficiale.

Le persone incaricate dell’inchiesta furono il barone de Guldenstubbe,

come presidente, e il vescovo della provincia come vicepresidente del

Concistoro; altri due membri dello stesso corpo; un medico di nome Luce; e,

 

198

da parte della magistratura cittadina, il borgomastro, di nome Schmidt, due

sindaci e un segretario.

Essi procedettero, insieme, a un accurato esame della cripta. Tutte le bare

ivi depositate, a eccezione di tre, furono trovate, come le volte precedenti,

mutate di posto. Delle tre bare che facevano eccezione, una conteneva i resti

di una nonna degli allora rappresentanti della famiglia, morta circa cinque

anni prima, e le altre due erano di bambini. La nonna era stata, in vita,

venerata quasi come una santa per la sua grande pietà e le sue continue opere

di carità e di beneficenza.

La prima idea a presentarsi, dopo che venne scoperto questo stato di cose,

fu che dei ladri avessero fatto irruzione a scopo di saccheggio. La cripta di una

cappella vicina era stata in realtà forzata qualche tempo prima e il ricco

velluto e la frangia d’oro che adornavano le bare erano stati staccati e rubati.

Ma l’esame più accurato non riuscì ad offrire alcun fondamento a questa

supposizione nel caso presente. Gli ornamenti delle bare furono trovati

intatti. La commissione ne fece aprire alcune per accertare che gli anelli e gli

altri gioielli che era usanza seppellire con i cadaveri, e alcuni dei quali erano

di considerevole valore, non fossero stati presi. Ma non apparve alcuna

indicazione di ciò. Uno o due corpi erano quasi ridotti in polvere, ma gli

ornamenti che si sapevano aver fatto parte del funerale erano ancora lì sul

fondo delle bare.

La commissione pensò allora, come seconda possibilità, che alcuni nemici

della famiglia Buxhoewden, forse ricchi e decisi a recar loro danno e biasimo,

avessero scavato un passaggio sotterraneo che passasse sotto le fondamenta

dell’edificio sboccando nella cripta. Questo avrebbe potuto spiegare a

sufficienza il disordine delle bare e i rumori uditi dall’esterno.

Per determinare il punto, fecero venire dei manovali che sollevarono il

pavimento della cripta ed esaminarono attentamente le fondamenta della

cappella; ma senza alcun risultato. Il più accurato esame non rivelò alcuna

entrata segreta.

Non restava che mettere tutto in ordine, prendere esatta nota della

posizione delle bare e adottare speciali precauzioni per scoprire ogni futura

intrusione. Cosa che fu fatta. Entrambe le porte, quella interna e quella

esterna, dopo essere state ermeticamente chiuse, furono sigillate due volte:

dapprima col sigillo ufficiale del Concistoro poi con quello recante le armi

della città. Furono sparse leggere ceneri di legno su tutto l’assito che

pavimentava la cripta, sulle scale che portavano a essa dalla cappella e sul

pavimento della cappella stessa. Infine guardie scelte nella guarnigione della

città e cambiate a brevi intervalli furono messe per tre giorni e tre notti a

custodia dell’edificio impedendo a chiunque di avvicinarsi a esso.

 

199

Alla fine di questo periodo la commissione di inchiesta tornò ad accertare i

risultati. Entrambe le porte furono trovate ben chiuse e con i sigilli intatti. Il

rivestimento di cenere presentava una superficie liscia e continua. Né nella

cappella né sulle scale che conducevano alla cripta vi era traccia di orme

umane o di animali. La cripta era sufficientemente illuminata dalla cappella

perché ogni oggetto fosse distintamente visibile. Scesero. Col cuore in

sussulto guardarono lo spettacolo che si presentava loro. Non solo ogni bara,

con le stesse tre eccezioni della volta precedente, era fuori posto e il tutto era

sparpagliato in gran confusione, ma molte di esse, pur così pesanti, erano

state messe verticalmente così che le salme si trovavano a testa in giù. Né era

tutto. Il coperchio di una bara era stato parzialmente aperto a forza, e di lì

sporgeva il braccio destro mummificato della salma che conteneva,

presentandosi fino al gomito e volto in su verso il soffitto della cripta!

Superato il primo colpo prodotto da questo impressionante spettacolo, la

commissione procedette a prender nota, in tutti i particolari, dello stato di

cose che aveva trovato.

Nella cripta non fu trovata traccia di piedi umani così come sulle scale e

nella cappella. Né fu trovata la minima indicazione di violazioni delittuose.

Una seconda indagine accerto il fatto che né gli ornamenti esterni delle bare

né i gioielli di cui alcune salme erano adorne erano stati sottratti. Tutto era in

disordine, ma nulla era stato preso.

Si avvicinarono con una certa trepidazione alla bara da cui sporgeva il

braccio; e, rabbrividendo, si accorsero che era quella in cui erano stati posti i

resti di un membro della famiglia Buxhoewden che si era ucciso. La cosa era

stata soffocata a suo tempo per l’influenza della famiglia, e il suicida era stato

sepolto con le cerimonie consuete; ma il fatto era trapelato, e per tutta l’isola

si venne a sapere che era stato trovato con la gola tagliata e il rasoio

sanguinante ancora stretto nella destra, la stessa mano che era stata tirata

fuori dalla bara perché tutti la vedessero - fatale ricordo, sembrava, dell’atto

temerario che aveva portato quell’infelice in un altro mondo prima che vi

fosse chiamato.

Un rapporto ufficiale, che descriveva lo stato della cripta e della cappella al

tempo in cui la commissione aveva sigillato le porte, e accertava che i sigilli

eran stati trovati poi intatti come pure il rivestimento di cenere, e infine

riportava nei particolari quello che si era presentato alla commissione quando

essa tornò a visitare la cappella al termine dei tre giorni, fu steso dal barone

de Guldenstubbe, come presidente e firmato da lui stesso, dal vescovo, dal

borgomastro, dal medico e dagli altri membri della commissione, come

testimoni. Questo documento, archiviato insieme agli altri atti del Concistoro,

 

200

può essere trovato negli archivi ed esaminato da ogni viaggiatore che dia

garanzia di rispettabilità su domanda alla segreteria.

Non avendo mai visitato l’isola di Oesel, non ho avuto modo di esaminare

personalmente il documento, ma i fatti qui narrati mi furono riferiti da

mademoiselle de Guldenstubbe (25), figlia del barone, che in quel tempo

risiedeva in casa di suo padre, ed era a conoscenza di ogni particolare. E mi

furono confermati anche, nella stessa occasione, dal fratello di lei, l’attuale

barone.

La signora mi disse che i fatti suscitarono tanta impressione in tutta l’isola

che non si sarebbe potuto trovare uno solo dei suoi cinquantamila abitanti,

che non ne fosse a conoscenza. Aggiunse che l’effetto prodotto sul medico,

signor Luce, testimone di queste meraviglie, fu tale da sconvolgere

radicalmente il suo credo. Uomo intelligente, distinto nella sua professione,

familiare inoltre alle scienze della botanica, della mineralogia e della geologia,

autore di varie opere apprezzate su questi soggetti, egli era imbevuto delle

dottrine materialistiche, prevalenti, specialmente fra gli uomini di scienza

dell’Europa continentale, al tempo dei suoi studi universitari; ed egli le

professò fino a quando, nella cripta dei Buxhoewden, venne l’ora in cui si

convinse che oltre ai poteri terreni vi sono anche poteri ultraterreni, e che

questo non è lo stato finale della nostra esistenza.

Rimane da dire che, poiché i disturbi continuarono per vari mesi dopo

questa investigazione, la famiglia, per liberarsi di ogni noia, decise di provare

a sotterrare le bare. E così fecero, coprendole di terra a una considerevole

profondità. L’espediente ebbe successo. Da quel momento nessun rumore fu

udito provenire dalla cappella; i cavalli poterono essere legati impunemente

davanti a essa, e gli abitanti, rimessisi dalle loro paure, ripresero a

frequentare come sempre, con i loro ragazzi, la loro passeggiata favorita. Non

rimase altro che il ricordo dei fatti passati, destinato a svanire con

l’estinguersi della presente generazione e forse a essere considerato come una

vana e incredibile leggenda dalla successiva.

Per noi, tuttavia, è più di una leggenda. Solo quindici anni sono trascorsi

da quando avvennero i fatti. Abbiamo testimoni ancora viventi della loro

realtà.

I punti salienti del racconto sono, anzitutto, l’estremo terrore degli animali,

conclusosi, in due o tre casi, con la morte; e, secondariamente, il carattere

ufficiale dell’indagine e le minuziose precauzioni prese dalla commissione di

inchiesta per prevenire o scoprire ogni inganno.

L’evidenza risultante dal primo punto è imponente. In questi casi è

impossibile che gli animali siano simulatori, ed è egualmente impossibile che

 

201

siano spinti dall’immaginazione. Il loro terrore era reale e aveva una causa

reale e adeguata. Ma potremmo considerare adeguata la causa se giudichiamo

che questi disturbi fossero di carattere ordinario? Un suono comune, molto

più forte e allarmante di quanto si può supporre siano stati quelli provenienti

dalla cappella - a esempio un tuono, quando non è molto lontano - spesso

spaventa i cavalli, ma mai, per quanto sappia e abbia udito, a tal punto da

provocare la loro morte.

Per non dir nulla del ben noto caso ricordato nella Scrittura (26), vari

esempi più o meno analoghi a questo si troveranno nel nostro volume.

Quanto all’ulteriore prova presentata dal risultato dell’inchiesta ufficiale, è

difficile spiegarla con qualsiasi supposizione. L’unica ipotesi, oltre a quella di

un intervento ultraterreno, che sembra rimanerci è quella che si presentò alla

commissione, e cioè la possibilità di un passaggio sotterraneo. Ma anche se

consentiamo a credere che questi signori, dopo avere avuto il sospetto e aver

fatto venire gli operai appunto per risolvere i loro dubbi, abbiano lasciato che

il lavoro fosse fatto con tanta trascuratezza da non scoprire l’entrata segreta,

rimane un’altra difficoltà. La cripta aveva un pavimento di legno. In realtà

una parte di esso poteva facilmente essere alzata da una persona che volesse

entrare; ma poiché uno strato di cenere vi era stato sparso sopra, come si

sarebbe potuto, lavorando dal di sotto, ricomporlo così da non lasciare sulla

superficie delle ceneri alcuna traccia dell’operazione?

Infine, se questi disturbi devono essere imputati a frode, perché gli autori

hanno interrotto la loro prosecuzione non appena le bare sono state poste

sotto terra?

Quest’ultima difficoltà permane tuttavia anche qualora si adotti l’ipotesi

spiritista. Se questi fenomeni furono dovuti all’intervento di un altro mondo,

perché questo intervento è cessato dal momento in cui le bare furono

inumate?

E, nella stessa supposizione, ci si può chiedere: perché questo intervento?

Sembra che abbia avuto come conseguenza la conversione dal materialismo

del testimone medico, forse anche di altri; ma questa è una risposta

sufficiente?

Molti la giudicheranno insufficiente. Ma anche se lo fosse, la nostra

ignoranza dei motivi divini non può invalidare i fatti. Noi non siamo soliti

negare fenomeni come un’eruzione del Vesuvio o le devastazioni di un

terremoto solo perché non riusciamo a capire le ragioni per cui la divina

Provvidenza li ha provocati.

Quindi rimane da ultimo una semplice questione di fatto. Io ho riferito le

circostanze esattamente come le ho avute da una fonte che non avrebbe

 

202

potuto essere più diretta, e ho aggiunto le ipotesi che esse hanno suscitato

nella mia mente: spetta adesso al lettore dare a ognuna il peso che a suo

parere può meritare.

Tutti questi eventi, si noterà, datano da prima del marzo 1848, quando

avvennero nella famiglia Fox i primi disturbi che furono l’origine dello

spiritismo negli Stati Uniti, e non si può quindi immaginare che siano stati un

risultato di questo movimento. Lo stesso si può dire di alcune relazioni

europee di data un poco posteriore; perché solo agli inizi del 1852

l’eccitazione che seguì i picchi di Rochester raggiunse una tale estensione da

far conoscere in quasi tutta Europa i fenomeni dei colpi e delle tavole giranti e

renderli oggetto di discussione.

Fra queste ultime relazioni ne scelgo una le cui circostanze diedero origine,

come in un esempio precedente, a procedimenti legali; e mi limito alla prova

data sotto giuramento nel corso del processo. Difficilmente possiamo ottenere

testimonianze più valide per qualsiasi avvenimento del passato.

LA PARROCCHIA DI CIDEVIILE

Disturbi nei Dipartimento della Senna in Francia. 1850-51.

Nell’inverno del 1850-51, certi disturbi di carattere straordinario avvennero

nella parrocchia di Cideville, villaggio e comune presso la città di Yerville nel

Dipartimento della Senna inferiore, circa trentacinque miglia a est di Havre e

a otto miglia a nord-ovest di Parigi. Questa parrocchia era occupata dal signor

Tinel, parroco di Cideville.

L’inizio e la continuazione di questi disturbi parve dipendere dalla

presenza di due ragazzi, allora dell’età di dodici e quattordici anni

rispettivamente, figli di genitori onorati e loro stessi di buone inclinazioni e

buon carattere, che erano stati affidati alle cure del parroco per essere avviati

al sacerdozio e che abitavano nella parrocchia.

I disturbi cominciarono, in presenza di questi ragazzi, il 26 novembre 1850,

e continuarono ogni giorno, o quasi ogni giorno - di solito nella stanza o nelle

stanze in cui essi erano - per più di due mesi e mezzo e cioè fino al 15

febbraio 1851, giorno in cui i ragazzi, per ordine dell’arcivescovo di Parigi,

furono allontanati dalla parrocchia. Da questo giorno tutti i rumori e gli altri

disturbi cessarono (27).

Avvenne, per certe circostanze precedenti questi strani fenomeni e con essi

collegate - anzitutto, a quanto sembra, in conseguenza delle sue vanterie di

 

203

possedere poteri segreti e conoscenze di magia nera - che un certo pastore

residente nel vicino comune di Anzouville-l’Esvenal, di nome Felix Thorel,

cominciò, a poco a poco, a essere sospettato, dai più creduli, di praticare la

stregoneria contro i ragazzi causando così i disturbi alla parrocchia che

avevano messo in allarme ed eccitato il vicinato. Sembra che il parroco Tinel

condividesse in parte questa fantasia popolare ed esprimesse l’opinione che il

pastore fosse uno stregone e autore dei disturbi in questione.

Allora Thorel, avendo perso il suo posto di pastore in conseguenza di tali

sospetti, querelò il parroco per diffamazione chiedendo mille duecento

franchi di danni. Il processo avvenne davanti al giudice di pace di Yerville il 7

gennaio 1851, i testimoni furono ascoltati (diciotto per l’accusa e sedici per la

difesa) il 28 gennaio e nei giorni seguenti e la sentenza fu pronunciata il 4

febbraio seguente.

In questo documento, dopo avere premesso che «quale che fosse la causa

dei fatti straordinari avvenuti nella parrocchia di Cideville, è chiaro, dal

complesso dei testimoni addotti, che la causa di questi fatti rimane ancora

sconosciuta»; dopo avere premesso inoltre «che, sebbene, da una parte, il

querelato (il parroco), secondo parecchi testimoni, ebbe a dichiarare che il

querelante (il pastore) si era vantato di produrre disturbi nella parrocchia di

Cideville, ed espresse il suo (del querelato) sospetto che egli (il querelante) ne

fosse l’autore, tuttavia, d’altra parte, è provato da numerosi testimoni che il

detto querelante aveva detto e fatto quanto era in suo potere per convincere il

pubblico di avere avuto effettivamente mano nella loro perpetrazione,

specialmente con le sue vanterie presso i testimoni Cheval, Vareu, Lettellier,

Foulongue, Le Hernault e altri»; e inoltre, dopo aver deciso che, in

conseguenza, «il querelante non può avanzare una richiesta di danni per una

pretesa diffamazione di cui lui stesso era stato il primo autore», il magistrato

si pronunciava a favore del querelato (il parroco) e condannava il querelante

(il pastore) a pagare le spese del giudizio.

Circa dieci giorni dopo l’emissione del giudizio, un signore che aveva

visitato la parrocchia durante i disturbi, che era stato presente a molti

fenomeni straordinari, e che era stato lui stesso uno dei testimoni al processo,

il marchese de Mirville, noto nel mondo letterario parigino e autore di un

recente volume sulla pneumatologia, raccolse dagli atti legali tutti i documenti

connessi con il processo, compreso il processo verbale dei testimoni, che,

secondo le forme della giustizia francese, viene steso al momento della

deposizione e poi letto a ogni testimone che ne attesta l’esattezza.

Da questi documenti ufficiali, così raccolti al loro tempo come appendice al

fascicolo su questo argomento (28), traduco i seguenti particolari dei disturbi

in questione, includendo i fenomeni su cui le principali testimonianze

 

204

concordano e omettendo alcune parti delle testimonianze che sono senza

importanza o non fondate, comprese quelle che si riferiscono in particolare

alle prove pro e contro l’accusa di diffamazione e il preteso intervento del

pastore Thorel.

Il martedì 26 novembre 1850, mentre i due ragazzi erano al lavoro in una

stanza del secondo piano della parrocchia, verso le cinque del pomeriggio,

udirono dei picchi, come leggeri colpi di martello, nel rivestimento a pannelli

dell’appartamento. Questi colpi continuarono ogni giorno per tutta la

settimana, alla stessa ora del pomeriggio.

La domenica seguente, primo dicembre, i colpi cominciarono a

mezzogiorno; e fu in questo giorno che il parroco penso per la prima volta di

rivolgersi a loro. Disse: «Batti più forte!». E i colpi furono ripetuti con

maggior forza. Continuarono così tutto il giorno.

Il lunedì, 2 dicembre, il maggiore dei ragazzi disse ai colpi: «Batti il tempo

della canzone “Mastro corvo”». Ed essi obbedirono immediatamente.

Il giorno seguente, martedì 3 dicembre, avendo il ragazzo riferito l’episodio

al signor Tinel, questi, molto stupito, decise di provare e disse: «Suona

“Mastro corvo”»; e i colpi obbedirono. Nel pomeriggio di quel giorno i colpi

divennero così forti e violenti che un tavolo dell’appartamento si mosse un

poco, e il rumore fu tale che si riusciva appena a restare nella stanza. Più

tardi, in quello stesso pomeriggio, il tavolo si sposto tre volte. La sorella del

parroco, dopo essersi assicurata che i ragazzi non l’avevano mosso, lo rimise

al suo posto; ma per due volte tornò a muoversi verso di lei. I rumori

continuarono con violenza per tutta la settimana (29).

Il lunedì 9 dicembre, alla presenza di Auguste Huet, un proprietario dei

dintorni, del parroco di Limesy e di un altro signore, e alla presenza anche del

ragazzo più giovane, Huet batté con un dito sul margine del tavolo e disse:

«Batti tanti .colpi quante sono le lettere del mio nome». Furono battuti

immediatamente quattro colpi nello stesso punto sotto il suo dito. Fu

convinto che non poteva essere stato fatto né dal ragazzo né dagli altri nella

casa. Allora chiese di battere il tempo dell’aria “Al chiaro di luna”, e così fu

fatto (30).

Il sindaco di Cideville depose sul fatto che, mentre era nella parrocchia,

aveva visto le molle saltare dal camino in mezzo alla stanza. Poi la paletta fece

la stessa cosa. Il sindaco disse a uno dei ragazzi: «Gustave, che hai fatto?». Il

ragazzo rispose: «Non li ho toccati». Le molle e la paletta furono rimesse a

posto e una seconda volta saltarono nella stanza. Questa volta, come affermò

il sindaco, egli aveva gli occhi fissi sui ragazzi per scoprire l’inganno qualora

uno di loro spingesse gli oggetti, ma non poté vedere nulla (31).

 

205

Il signor Leroux, parroco di Saussay, depose che, mentre era nella

parrocchia, fu testimone di cose per lui inesplicabili. Vide un martello volare

via, spinto da una forza invisibile, dal punto in cui era e cadere sul pavimento

della stanza senza far più rumore che se una mano ve lo avesse delicatamente

posato. Vide anche un pezzo di pane che era sul tavolo muoversi da solo e

cadere sotto il tavolo stesso. Si trovava in posizione tale che era impossibile

che qualcuno avesse lanciato questi oggetti senza essere visto da lui. Udì

anche i rumori straordinari e prese ogni possibile precauzione, fino a mettersi

sotto il tavolo, per assicurarsi che i ragazzi non potessero produrli. Ne era così

sicuro che, per usare le sue parole, lo avrebbe «firmato col suo sangue» (Je le

signerais de mon sang). Notò che il signor Tinel sembrava esasperato da

questi rumori e dal loro continuo ripetersi; e aggiunse che, avendo dormito

alcune notti nella stessa stanza col signor Tinel, quest’ultimo si svegliava

atterrito dai disturbi (32).

La deposizione del marchese di Mirville, possidente di Gomerville, è una

delle più particolareggiate. Così egli dichiara. Avendo udito parlare molto dei

disturbi di Cideville, un giorno decise improvvisamente di andarvi. La

distanza dalla sua residenza è di quattordici leghe. Arrivò alla parrocchia al

cader della sera, inatteso dagli abitatori, e passò la serata là, senza perdere di

vista il parroco e senza lasciarlo mai solo con i ragazzi. Il parroco conosceva il

nome del marchese, ma solo dalle lettere di presentazione che quest’ultimo gli

aveva portato.

Il signor de Mirville passò la notte nella parrocchia, avendogli il curato

dato il proprio letto nella stessa stanza in cui dormivano i ragazzi. Durante la

notte non vi furono disturbi. Il mattino dopo uno dei ragazzi lo svegliò

dicendo: «Sentite, signore, come gratta?».

«Chi?».

«Lo spirito».

E il marchese udì in effetti un forte grattamento sul materasso del letto del

fanciullo. Egli avvertì tuttavia il misterioso agente che non avrebbe

considerato i rumori degni di attenzione a meno che il teatro delle operazioni

fosse spostato dal luogo in cui erano i ragazzi. Allora i colpi si udirono sopra il

letto. «Ancora troppo vicino!» disse il signor de Mirville. «Andate a battere in

quell’angolo», e indicò un lontano angolo della stanza. Immediatamente i

colpi furono uditi lì. «Ah», fece il marchese, «adesso possiamo conversare:

batti un colpo se sei d’accordo». Un forte colpo fu la risposta.

Così, dopo colazione, quando il parroco fu andato alla messa e i ragazzi si

furono ritirati nella loro camera di studio, egli attuò il suo proposito come

segue:

 

206

«Quante lettere vi sono nel mio cognome? Rispondi con un numero di

colpi».

Furono battuti otto colpi.

«E quante nel mio nome?».

Cinque colpi (Jules).

«Quante nel mio prenome?» (pré-nom, un nome, notò, col quale non

veniva mai chiamato e che era scritto solo nel suo certificato di battesimo).

Sette colpi (Charles).

«Quante nel nome della mia sorella maggiore?».

Cinque colpi (Aline).

«Quante nel nome della mia sorella minore?».

Nove colpi. Questa volta fu il primo errore perché il nome era Blanche;

ma i colpi ripresero immediatamente e batterono sette, correggendo il primo

sbaglio.

«Quante lettere vi sono nel nome del mio comune? Ma sta attento a non

commettere il solito errore».

Una pausa. Poi dieci colpi, il numero esatto di Gomerville, spesso

erroneamente pronunciato Gommerville.

A richiesta di questo testimone, i colpi batterono il tempo di parecchie arie.

Una di esse, il valzer del Guglielmo Tell, che lo spirito non seppe battere, fu

canticchiata dal signor de Mirville. Dopo una pausa, i colpi seguirono il ritmo

nota per nota; e la cosa si ripeté più volte nel corso del giorno.

Il teste, interrogato se pensava che il parroco potesse essere lui stesso

l’autore di questi disturbi, rispose: «Sarei molto stupito se qualcuno del

vicinato potesse supporre qualche cosa di simile» (33).

Madame de Saint-Victor, che risiedeva in un castello vicino, visitò spesso la

parrocchia, dapprima, come depose, del tutto incredula e sicura di poter

scoprire la causa dei disturbi. L’8 dicembre, dopo il vespro, trovandosi nella

parrocchia e stando appartata da tutti, sentì il suo mantello afferrato da una

forza invisibile che le diede una forte strappata (une forte secousse). Tra

vari altri fenomeni, giusto una settimana prima di dare la sua testimonianza

(22 gennaio), mentre era sola con i ragazzi, vide i due scrittoi, ai quali essi

stavano scrivendo, rovesciarsi sul pavimento e il tavolo rovesciarsi su di essi.

Il 28 gennaio vide un candeliere volare dal camino della cucina e colpire al

dorso la sua cameriera. Anche lei, insieme a suo figlio, udì i colpi battere il

ritmo di varie arie. Quando batterono «Mastro corvo»ella chiese: «Non sai

 

207

altro?». Immediatamente fu battuto il ritmo di «Chiaro di luna» e di «Ho del

buon tabacco». Mentre venivano battute alcune di queste arie, e lei era sola

con i ragazzi, li osservò da vicino: i piedi, le mani e tutti i loro movimenti. Era

impossibile che fossero stati loro (34).

Un altro importante testimone, il signor Robert de Saint-Victor, figlio della

teste precedente, depose come segue. Parecchi giorni dopo che i disturbi

erano cominciati, era venuto alla parrocchia su invito del parroco, verso le tre

e mezzo del pomeriggio. Salito al piano superiore, sentì dopo un certo tempo

colpi leggeri sui pannelli. Somigliavano, pur non essendo proprio eguali, ai

rumori prodotti da una punta di ferro che passasse sopra del legno grezzo. Il

teste era venuto totalmente incredulo e convinto di poter scoprire la causa di

quei colpi. Il primo giorno essi eccitarono fortemente la sua attenzione, ma

non lo convinsero del tutto. Tornò il giorno dopo alle dieci. In questa

occasione, a sua richiesta, furono battuti a tempo vari canti popolari. Lo

stesso giorno, dopo le tre, udì colpi così forti che un maglio battendo contro il

pavimento non ne avrebbe prodotti di eguali. Verso sera questi colpi

continuarono quasi senza interruzione. In quel momento il signor Cheval, il

sindaco di Cideville e il teste erano insieme nella casa. Videro parecchie volte

muoversi dal suo posto il tavolo a cui erano seduti i ragazzi. Per assicurarsi

che non potessero essere loro a farlo, li misero tutti e due in mezzo alla

stanza; poi il signor Cheval e il teste si sedettero al tavolo e lo sentirono

scostarsi dal muro più volte. Tentarono con tutte le loro capacità di impedirgli

di muoversi; ma i loro sforzi riuniti furono insufficienti: il tavolo si mosse

egualmente da dieci a dodici centimetri con moto uniforme, senza alcuna

scossa. La madre del teste, che era presente, aveva già testimoniato lo stesso

fatto. Mentre il parroco era in chiesa, il teste rimase solo con i ragazzi, e

subito vi fu nella stanza un frastuono che si poteva appena resistervi. Ogni

arredo vibrava. E il teste confesso che si aspettava di momento in momento

che il pavimento gli sprofondasse sotto i piedi. Era sicuro che se tutta la gente

di casa si fosse messa insieme a battere sul pavimento con dei mazzuoli, non

avrebbe potuto fare un tal fracasso. Il rumore sembrava specialmente legato

al più giovane dei due ragazzi perché i colpi si udivano sui pannelli che si

trovavano più vicini al punto in cui egli era, in piedi o seduto. Il ragazzo era in

un continuo terrore.

Il teste infine si convinse appieno che la forza occulta, quale che fosse con

precisione il suo carattere, era intelligente. Quando, parecchi giorni dopo,

tornò alla parrocchia, i fenomeni continuarono con crescente violenza. Una

sera, mentre cercava di entrare nella stanza in cui erano di solito i ragazzi, la

porta resistette ai suoi sforzi, una resistenza che, dichiarò il teste, non poté

attribuire a una causa naturale, perché, quando riuscì ad aprirla ed entrò nella

 

208

stanza, non vi era alcuno. Un altro giorno gli capitò di chiedere un’aria poco

nota, lo «Stabat Mater» di Rossini; e gli fu data con straordinaria esattezza.

Tornato alcuni giorni dopo, dietro rinnovato invito del parroco, egli salì al

piano di sopra; e, nel momento in cui si trovò di fronte alla porta della stanza,

uno scrittoio che era sul tavolo al quale di solito studiavano i ragazzi, si mosse

dal suo posto e venne verso il teste con un rapido movimento seguendo una

linea parallela al pavimento, fin quando non fu a circa trenta centimetri dalla

sua persona; allora cadde a terra. Il punto in cui cadde era distante circa due

metri dal tavolo (36).

Il teste Bouffay, vicario di St. Maclou, affermò di essere stato varie volte

alla parrocchia. La prima volta udì continui rumori negli appartamenti

occupati dai ragazzi. Questi rumori erano intelligenti e obbedienti. Una volta

che il teste dormì nella stanza dei ragazzi, il fracasso fu così violento da fargli

temere che il pavimento si aprisse sotto di lui. Udì egualmente i rumori in

presenza e in assenza del parroco; e noto in particolare che i ragazzi erano

immobili quando avvenivano i disturbi ed evidentemente non potevano

provocarli. Una volta il teste, con il parroco e i ragazzi, dormì da un vicino per

sfuggire i continui rumori (37).

La deposizione di Dufour, agente terriero a Yerville, fu che il 7 dicembre,

mentre era a pranzo nella parrocchia, udì dei colpi al piano di sopra.

Mademoiselle Tinel disse: «Udite? Sono questi i rumori che si sentono». Il

teste andò di sopra e trovò i ragazzi seduti ognuno a un estremo del tavolo,

ma distanti da esso cinquanta o sessanta centimetri. Udì dei colpi sulla parete,

che di certo non erano provocati da loro. Poi il tavolo venne avanti nella

stanza senza che alcuno lo toccasse. Il teste lo rimise al suo posto. Quello

avanzò ancora di circa tre metri senza che i ragazzi lo toccassero. Mentre il

teste scendeva le scale, si fermò sul primo gradino per dare un’occhiata al

tavolo e lo vide avanzare fino al margine del pianerottolo, spinto da una forza

invisibile. Egli noto che il tavolo non aveva rotelle. Questo avvenne quando il

parroco era assente dalla parrocchia (38).

Il teste Gobert, vicario di St. Maclou, dichiarò che quando il curato di

Cideville e i due ragazzi andarono in casa sua, udì sul soffitto e sulle pareti del

suo appartamento, dei rumori simili a quelli che lui (Gobert) aveva già udito

alla parrocchia di Cideville (39).

Sono questi i principali fatti su cui deposero i testimoni. Ho tralasciato

quelli che si fondavano solo sulle testimonianze dei ragazzi. L’instancabile

signor de Mirville ha riunito e incluso nell’opuscolo citato altre prove in forma

di varie lettere scritte da persone rispettabili che visitarono la parrocchia

durante i disturbi. Una è di un giudice assistente di un vicino tribunale, il

signor Rousselin. Egli trovò il parroco profondamente afflitto per la sua

 

209

penosa condizione, e ottenne da lui ogni possibilità per interrogare

separatamente i ragazzi, la sorella del signor Tinel e la domestica. L’intero

loro comportamento diede l’impressione della sincerità. La loro

testimonianza era chiara, diretta e sempre coerente. Trovò i telai delle finestre

spezzati e chiusi con delle assi. Un altro signore afferma che, arrivato alla

parrocchia, fu colpito dallo sguardo triste e angosciato del parroco, il quale,

aggiunge, fin dal primo incontro gli parve un uomo degnissimo.

Tutte queste lettere corroborano pienamente le precedenti testimonianze.

Mi domando se è possibile trovare un caso più chiaro e meglio autenticato

di questo. Tuttavia è certo che i fenomeni qui manifestati, per quanto possano

assomigliare a quelli che avvengono da dieci anni in tutti gli Stati Uniti, non

sono attribuibili, direttamente o indirettamente, attraverso l’influenza

dell’imitazione, l’eccitamento epidemico o altrimenti, al nostro movimento

spiritista. La storia dei picchi di Rochester, che allora stava appena

cominciando qui, non aveva raggiunto l’umile parrocchia di Cideville né

portato spiegazioni, ai suoi spaventati abitatori, per le noie che turbavano la

loro quiete e suscitavano i loro timori.

Potrei andare avanti indefinitamente estendendo il numero di simili

racconti, ma una ripetizione non proverebbe nulla di più di quanto è stato

accertato dagli esempi già dati. Chiudo dunque qui l’elenco dei disturbi

avvenuti in Europa e passo a presentare, come conclusione, traendolo dalle

fonti più autentiche, questo esempio a cui ho già accennato, avvenuto nel

nostro paese, e divenuto noto in Europa e in America, sotto il nome di «Picchi

di Rochester».

LA CASA DI HYDESVILLE

Disturbi nello Stato di New York. 1848.

Non lungi dalla città di Newark, nella contea di Wayne e nello stato di New

York, vi è una casa di legno, una di un gruppo di case simili che merita appena

il titolo di villaggio, ma noto sotto il nome di Hydesville. Fu così chiamato dal

nome del dott. Hyde, un vecchio pioniere, il cui figlio è proprietario della casa

in questione. Comprende un terreno e una soffitta rivolti a sud; il terreno

consisteva, nel 1848, in due stanze di medie dimensioni, intercomunicanti;

quella a est era una stanza da letto comunicante con il soggiorno e una

dispensa, che si apriva su questa stessa stanza; inoltre una scala (fra la stanza

 

210

da letto e la dispensa) che portava dal soggiorno alla soffitta e dalla dispensa

alla cantina.

Questa umile abitazione era stata scelta come temporanea dimora, mentre

veniva costruita un’altra casa in quella località, dal signor John D. Fox.

I Fox erano una stimata famiglia di agricoltori, membri della chiesa

metodista, in buone condizioni e molto rispettati dai loro vicini per onesta e

rettitudine. Gli antenati del signor Fox erano tedeschi e il suo nome, era in

origine, Voss; ma sia lui che sua moglie erano nativi del luogo. Nella famiglia

della signora Fox, di nome Rutan e di origine francese, vari membri avevano

ottenuto il potere della seconda vista: fra gli altri la sua nonna materna, il cui

nome di ragazza era Margaret Ackermann e che risiedeva a Long Island.

Aveva spesso visioni di funerali prima che avvenissero ed era solita seguire

queste processioni di fantasmi fino alla tomba, come se fossero reali.

Anche la sorella della signora Fox, signora Elisabeth Higgins, aveva un

simile potere. Una volta, nell’anno 1823, le due sorelle, che allora risiedevano

a New York, decisero di andare a Sodus per il canale. Ma Elisabeth un mattino

disse: «Non faremo questa gita per acqua». «Perché?» chiese la sorella.

«Perché stanotte ho sognato che viaggiavamo per terra e c’era con noi una

signora straniera. Inoltre nel sogno mi parve che giungessimo all’osteria di

Mott, nei boschi Beech, e che non potessero accoglierci perché nella casa vi

era la salma della signora Mott. So che tutto si avvererà». «E’ molto

improbabile», rispose la sorella, «perché l’anno scorso, quando passammo di

lì, la moglie del signor Mott giaceva morta nella casa». «Vedrai. Deve essersi

risposato; e perderà anche la seconda moglie». Tutti i particolari si

realizzarono come aveva predetto la signora Higgins. La signora Johnson, una

straniera che al tempo del sogno esse non avevano ancora visto, andò

realmente con loro; fecero il viaggio per terra e non furono accolte nell’osteria

di Mott proprio per la causa indicata dal sogno della signora Higgins.

Il signore e la signora Fox avevano sei figli, di cui i due più giovani stavano

con loro quando, l’11 dicembre 1847, si stabilirono nella casa che ho descritto.

Questi figli erano due bambine: Margaret che aveva allora dodici anni, e Kate,

di nove.

Subito dopo avere preso alloggio in questa casa, cominciarono a pensare

che era un’abitazione molto rumorosa; ma fu attribuito ai topi e ai ratti.

Durante il mese successivo, tuttavia (gennaio 1848) i rumori cominciarono ad

assumere il carattere di leggeri colpi che si udivano di notte nella stanza da

letto; talora i suoni si udivano in cantina. Dapprima la signora Fox cercò di

convincersi che si trattasse solo del martellare di un calzolaio intento al suo

lavoro fino a tardi in una casa accanto. Ma ulteriori osservazioni le

 

211

dimostrarono che i suoni, di qualunque natura fossero, avevano origine nella

sua casa. Perché non solo i colpi divennero gradualmente più distinti, e non

solo venivano uditi ora in una parte della casa ora in un’altra, ma la famiglia

infine si rese conto che questi picchi, anche quando non erano molto forti,

producevano un movimento, un tremito piuttosto che uno scatto improvviso,

nei letti e nelle sedie, talora nel pavimento; un movimento che era

percettibilissimo al tatto quando si metteva una mano sulle sedie, che a volte,

di notte, era sensibile in una leggera oscillazione dei letti, e che talora si

poteva percepire come una specie di vibrazione anche stando in piedi sul

pavimento.

Dopo un po’ di tempo i rumori mutarono di carattere risuonando a volte

come passi distinti nelle varie stanze.

Quando furono passati un mese o due, i disturbi non si limitarono più a

semplici suoni. Una volta qualche cosa di pesante, come se fosse un cane,

parve posarsi sui piedi delle bambine; ma se ne andò prima che la madre

potesse venire in loro aiuto. Un’altra volta (verso la fine di marzo) Kate ebbe

l’impressione di una mano fredda sul suo volto. Talora, inoltre, le coperte del

letto furono tirate durante la notte. Infine le sedie si mossero dai loro posto. E

così pure, una volta, la tavola da pranzo.

I disturbi, che si erano limitati a rumori ogni tanto per tutto il febbraio e i

primi di marzo, aumentarono via via verso la fine di questo mese in

rumorosità e frequenza, così seriamente da turbare la pace della famiglia. Il

signor Fox e sua moglie si alzavano ogni notte, accendevano una candela ed

esploravano tutti gli angoli della casa, ma senza alcun risultato. Non

scoprirono nulla. Quando i colpi si udivano a una porta, il signor Fox correva

ad aprire nel momento stesso un cui si ripetevano, ma anche questo

espediente si rivelò inutile. Sebbene aprisse immediatamente, non vedeva

alcuno. Né lui né la signora Fox ebbero mai il minimo indizio della causa di

questi disturbi.

L’unica circostanza che poteva suggerire la possibilità di un trucco o di un

errore era il fatto che questi vari e inesplicabili avvenimenti non si

manifestavano mai di giorno.

Così, nonostante la stranezza della cosa, al mattino essi cominciavano a

pensare che dovevano essere state solo fantasie notturne. Non essendo inclini

alla superstizione, per parecchie settimane i Fox si aggrapparono all’idea che

prima o poi avrebbero trovato la causa naturale di questi disturbi. E non

abbandonarono questa speranza fino alla notte di venerdì 31 marzo 1848.

La giornata era stata fredda e tempestosa, il suolo era coperto di neve. Nel

corso del pomeriggio un figlio, David, venne a visitarli dalla sua fattoria

 

212

distante circa tre miglia. Sua madre gli parlò allora per la prima volta dei

disturbi che stavano sopportando; perché fin allora, erano stati poco disposti

a comunicarli a qualcuno. Lui la ascoltò sorridendo. «Bene, mamma», disse,

«ti consiglio di non farne parola con i vicini. Quando ne scoprirai la causa,

sarà una delle cose più semplici del mondo». E tornò a casa sua con questa

convinzione.

Stanca per un susseguirsi di notti insonni e di inutili tentativi di svelare il

mistero, la famiglia Fox, quel venerdì sera, si ritirò molto presto sperando in

una sosta dei disturbi che la perseguitavano. Ma fu delusa.

I genitori avevano trasportato i letti delle bambine nella loro stanza,

ingiungendo loro di non parlare dei rumori nemmeno se li avessero sentiti.

Ma la madre le aveva appena messe a letto e stava per coricarsi anche lei,

quando le bambine gridarono: «Eccoli che tornano!». La madre le fece star

zitte e si coricò. Allora i rumori divennero più forti e impressionanti. Le

piccole si misero a sedere sul letto; la signora Fox chiamò suo marito. La notte

era ventosa, e questo gli fece pensare che fossero le finestre che sbattevano.

Ne provò alcune scuotendole per vedere se erano ben chiuse. Kate, la più

piccola, noto che ogni volta che il padre scuoteva una finestra, i rumori

sembravano rispondere. Vivace com’era e, in certo modo, abituata a quello

che succedeva, si volse verso il punto da cui provenivano i colpi, fece

schioccare le dita e disse: «Su, vecchio diavolo, fa quello che faccio io!». Il

colpo rispose immediatamente.

Fu questo l’inizio. Chi può dire dove sarà la fine?

Non voglio affermare che fu Kate Fox, a scoprire, quasi per giuoco, che

questi misteriosi rumori sembravano dotati di intelligenza. Il signor

Mompesson, duecento anni prima, aveva gia osservato un simile fenomeno.

Glanvil lo aveva verificato. E così pure Wesley e i suoi figli. E altri ancora

come abbiamo visto. Ma in tutti questi casi il fatto si fermò lì e le osservazioni

non furono continuate. Come, prima dell’invenzione della macchina a vapore,

vari osservatori avevano messo il piede sulla soglia della scoperta e lì si erano

fermati senza sospettare quello che si nascondeva davanti a loro, così in

questo caso in cui il Cappellano Reale, studioso di filosofia induttiva, e in cui il

fondatore del metodismo, che ammetteva la probabilità di interferenze

ultraterrene, erano egualmente falliti, una ragazzina yankee di nove anni,

seguendo, più per giuoco che sul serio, un’osservazione casuale, divenne

istigatrice di un movimento che, quale che sia il suo vero carattere, ha avuto

influenza su tutto il mondo civile. La scintilla era stata accesa più volte: una

volta almeno due secoli fa; ma ogni volta si era spenta senza effetto. Non

accese fiamma fino alla metà del diciannovesimo secolo.

 

213

E tuttavia come era breve il passo dalle osservazioni di Tedworth alla

scoperta di Hydesville! Il signor Mompesson, a letto con la sua figlioletta

(circa dell’età di Kate), che sembrava essere particolarmente seguita dai

rumori, «osservò che essi rispondevano esattamente, tamburellando, a tutto

ciò che veniva battuto o richiesto». Ma la sua curiosità non andò oltre.

Non così Kate Fox. Ella tentò, unendo silenziosamente il pollice e l’indice,

se poteva ottenere egualmente risposta. Sì! Lo spirito poteva vedere al pari

che udire! Chiamò la madre. «Guarda, mamma», disse unendo l’indice e il

pollice come prima. E ogni volta che ripeteva il gesto senza far rumore, i colpi

rispondevano.

Questo attrasse subito l’attenzione della madre. «Conta fino a dieci», disse

rivolgendosi al rumore. Furono battuti distintamente dieci colpi! «Quanti

anni ha mia figlia Margaret?». Dodici colpi. «E Kate?». Nove. «Che cosa può

significare tutto questo?» pensò la signora Fox. Chi le rispondeva? Era forse

una qualche misteriosa eco del suo pensiero? Ma la successiva domanda che

fece parve respingere questa ipotesi. «Quanti figli ho?». Chiese a voce alta.

Sette colpi. «Ah», pensò, «qualche volta può sbagliare». E poi, ad alta voce:

«Prova ancora». Furono battuti di nuovo sette colpi. Un’idea attraverso la

mente della signora Fox. «Sono tutti vivi?». Chiese. Le rispose un silenzio.

«Quanti sono vivi?». Sei colpi. «Quanti sono morti?». Un colpo solo. Lei

aveva in effetti perso un figlio.

Poi chiese: «Sei un uomo?». Nessuna risposta. «Sei uno spirito?». Un

colpo. «I vicini possono udirti se li chiamo?». Ancora un colpo.

Allora pregò il marito di chiamare una vicina, una certa signora Redfield,

che arrivò ridendo. Ma la sua allegria durò poco. Le risposte alle sue domande

furono pronte e pertinenti come lo erano state quelle date alla signora Fox.

Lei si sentì piena di riverente meraviglia; e, quando in risposta a una

domanda circa il numero dei suoi figli, battendo quattro volte, invece di tre

come si aspettava, lo spirito le ricordò una figlioletta, Mary, che aveva perso

da poco, la madre scoppiò in lacrime.

Ma è inutile seguire ulteriormente nei minuti particolari le conseguenze di

questi disturbi, perché i particolari sono già stati dati, parte in forma di

deposizioni ufficiali, in più di una pubblicazione (40), e perché non sono

essenziali per illustrare questo ramo dell’argomento.

Tuttavia potrà essere utile al lettore il far seguire alla precedente

narrazione - ogni particolare della quale è stato da me raccolto dalla signora

Fox, dalle sue figlie Margaret e Kate e da suo figlio David - un supplemento

contenente in breve il riassunto dei fatti che immediatamente seguirono e di

 

214

quelli, connessi con la casa in questione, che immediatamente precedettero i

disturbi del 31 marzo.

Quella notte i vicini, attratti dal rumore dei disturbi, si affollarono a poco a

poco in numero di settanta o ottanta, così che la signora Fox lasciò la casa per

riparare in quella della signora Redfield e le bambine furono portate nella

casa di un altro vicino. Il signor Fox rimase.

Molti dei convenuti, l’uno dopo l’altro, fecero domande ai rumori

chiedendo che le risposte affermative fossero date con un colpo. Quando non

vi era risposta e la domanda veniva rovesciata, vi furono sempre colpi,

indicando così che il silenzio doveva essere considerato una risposta negativa.

In questo modo i colpi affermarono di essere prodotti da uno spirito; da

uno spirito offeso; da uno spirito che era stato offeso in quella casa quattro o

cinque anni prima; da nessuno dei vicini i cui nomi erano stati pronunciati

uno per uno, ma da un uomo che risiedeva un tempo in quella casa, un certo

John Bell, fabbroferraio. Il suo nome fu ottenuto nominando in successione i

precedenti inquilini della casa.

I rumori affermarono inoltre di essere lo spirito di un uomo di trentun

anni; che era stato ucciso nella stanza da letto per denaro, un martedì a

mezzanotte; che in quella notte non vi erano in casa che l’uomo ucciso e il

signor Bell, poiché la signora Bell e una ragazza di nome Lucretia Pulver, che

lavorava per loro, erano entrambe assenti; che il corpo fu portato nella

cantina nelle prime ore del mattino, non per la porta esterna della cantina, ma

dopo essere stato trascinato dal soggiorno nella dispensa e di qui giù per le

scale; che era stato sepolto alla profondità di dieci piedi, nella cantina, la notte

seguente all’assassinio.

Allora le persone riunite scesero nella cantina, che aveva un pavimento di

terra battuta; il signor Redfield si mise in vari punti del locale chiedendo ogni

volta se era il posto della sepoltura, e non vi fu risposta finché non si mise nel

centro. Allora si udirono dei colpi, che venivano di sotto terra. Questo venne

ripetuto più volte, sempre con lo stesso risultato: non si udiva alcun suono se

egli non si collocava al centro. Uno dei testimoni descrive i suoni nella cantina

come simili a «colpi un piede o due sotto terra» (41).

Poi un vicino di nome Duesler pronunciò le lettere dell’alfabeto

domandando, a ognuna, se fosse l’iniziale del nome dell’uomo assassinato, e

così pure del cognome. I rumori risposero a C e B. Un tentativo di ottenere

l’intero nome non ebbe allora successo. In un secondo tempo fu dato l’intero

nome (Charles B. Rosma) nello stesso modo, in risposta alle domande di

David Fox. Tuttavia il fenomeno non suggerì ad alcuno il tentativo di ottenere,

grazie ai colpi, una comunicazione sillabata. E’ un fatto notevole - e tale da

 

215

spiegare in certo modo la mancanza di ulteriori risultati a Tedworth e a

Epworth - che solo circa quattro mesi dopo, e a Rochester, fu ottenuta la

prima vera comunicazione per mezzo dei colpi; chi la ottenne fu Isaac Post,

un membro della Società degli Amici, vecchia conoscenza della famiglia Fox.

La notizia delle meraviglie notturne di Hydesville si diffuse per tutto il

vicinato; e il giorno dopo, sabato, la casa fu assediata da una folla di curiosi.

Ma, finché fu giorno, non si ebbero rumori (42). Ripresero solo verso le sette

di sera. Quella notte vi furono circa trecento persone nella casa e intorno a

essa (43). Parecchi fecero domande e le risposte corrisposero in ogni punto a

quelle già date.

Fu allora proposto di scavare nella cantina; ma, poiché la casa è in pianura,

non lungi da un lento corso d’acqua, gli scavatori raggiunsero l’acqua a una

profondità di meno di tre piedi, e dovettero abbandonare il tentativo. Questo

fu ripreso il lunedì, 3 aprile, e anche il giorno dopo, da David Fox e altri,

portando via e pompando l’acqua, ma non si poté scavare molto e l’impresa

dovette essere abbandonata (44).

Più tardi, quando l’acqua si era molto abbassata, ossia nell’estate del 1848,

David Fox, aiutato da Henry Bush e Lyman Granger, di Rochester, e da altri,

riprese a scavare nella cantina. Alla profondità di cinque piedi incontrarono

un tavolato che perforarono con una trivella finché la punta della trivella si

staccò e non si poté più trovare. Scavando ancora rinvennero dei pezzi di

terracotta, di carbone e di calcina, indizi che il suolo doveva essere stato

sconvolto a una notevole profondità; e finalmente trovarono alcuni capelli

umani e varie ossa che, esaminate da un medico esperto di anatomia,

risultarono essere parti di uno scheletro umano, comprese alcune ossa di una

mano e alcune parti del cranio; ma non fu trovato alcuno scheletro intero

(45).

Rimane da descrivere brevemente gli antefatti della casa infestata.

William Duesler, uno di coloro che lasciarono certificati relativi ai fatti e

che si offrirono di confermare la loro testimonianza con giuramento, dichiarò

di avere abitato la stessa casa sette anni prima e che, durante il periodo della

sua residenza, non furono mai uditi rumori del genere né nella casa né

attorno a essa. Aggiunse che un certo signor Johnson, e altri che al pari di lui

erano vissuti là prima che il signor Bell occupasse l’abitazione, avevano fatto

la stessa constatazione (46).

La signora Pulver, una vicina, affermò che, essendo andata a trovare un

mattino la signora Bell, mentre ella era occupata nelle faccende di casa, ella

(la signora Bell) le disse di non sentirsi bene non avendo dormito per tutta la

notte; e, avendole chiesto perché, la signora Bell le disse che le era sembrato

 

216

di sentir qualcuno che camminava da una stanza all’altra. La signora Pulver

depose inoltre di avere udito, in un’occasione successiva, la signora Bell

parlare di rumori di cui non poteva darsi ragione (47).

La figlia di questa testimone, Lucretia Pulver, affermò di essere stata con i

coniugi Bell per una parte del tempo in cui essi occuparono la casa, e

precisamente per tre mesi durante l’inverno 1843-44, talora lavorando per

loro e talora a pensione presso di loro e andando a scuola, poiché aveva allora

quindici anni. Disse che i coniugi Bell «sembravano essere brava gente, solo

di carattere piuttosto impulsivo».

Dichiarò che, durante l’ultima parte della sua residenza presso di loro, un

pomeriggio, verso le due, un merciaio ambulante, a piedi, di apparentemente

una trentina di anni, con una giacca nera e pantaloni chiari, e recante una

cassetta e un paniere, venne a visitare la signora Bell. Questa le disse di averlo

già conosciuto. Poco dopo il suo arrivo, il signore e la signora Bell discussero

per circa mezz’ora nella dispensa. Poi la signora Bell le disse - in modo molto

inaspettato per lei - che non avevano più bisogno di lei; che lei (la signora

Bell) doveva andare quel pomeriggio a Lock Berlin e che lei (Lucretia) era

meglio che tornasse a casa perché non potevano tenerla più presso di loro. La

signora Bell e Lucretia lasciarono dunque la casa mentre il signor Bell e il

merciaio vi restavano soli. Prima di andar via, tuttavia, Lucretia vide una

pezza di mussola di lana e disse al merciaio che avrebbe acquistato un abito di

quella stoffa se fosse venuto, il giorno dopo, alla casa di suo padre, lì vicino,

cosa che egli promise di fare; ma non venne. Tre giorni dopo la signora Bell

tornò e, con sorpresa di Lucretia, la mandò a chiamare perché tornasse con

loro.

Pochi giorni più tardi, Lucretia cominciò a sentire dei colpi nella stanza da

letto - poi occupata dai coniugi Fox - in cui dormiva. I colpi sembravano

venire di sotto il piede dei letto e si ripeterono per parecchie notti. Una notte

in cui i Bell erano andati a Lock Berlin e lei era rimasta in casa col suo

fratellino e una figlia del signor Losey, di nome Aurelia, udirono, verso

mezzanotte, quelli che sembravano i passi di un uomo nella dispensa. Erano

andati a letto solo alle undici e non si erano ancora addormentati. Sembrava

che qualcuno attraversasse la dispensa e scendesse le scale della cantina, poi

attraversasse una parte della cantina e si fermasse. Le ragazze, molto

spaventate, si alzarono e chiusero le finestre e le porte.

Circa una settimana dopo, Lucretia, essendo andata nella cantina, si mise a

gridare. La signora Bell le chiese che cosa era successo. Lucretia esclamò:

«Che cosa ha fatto il signor Bell, in cantina?». Era affondata nel suolo

cadendo. La signora Bell rispose che erano tane di topi. Pochi giorni dopo,

 

217

verso sera, il signor Bell porto della terra in cantina e rimase al lavoro per un

certo tempo. La signora Bell disse che stava riempiendo le tane dei topi (48).

Il signore e la signora Weekman deposero di avere occupato la casa in

questione dopo che i Bell l’avevano lasciata, per diciotto mesi, e precisamente

dalla primavera del 1846 all’autunno del 1847.

Verso il marzo del 1847, una sera, mentre stavano andando a letto, udirono

dei colpi fuori della porta; ma, quando andarono ad aprire, non vi era alcuno.

Questo si ripeté finché il signor Weekman perse la pazienza; e, dopo avere

cercato tutt’intorno alla casa, decise di scoprire, se possibile, questi

disturbatori della sua pace. Restò dunque con la mano sulla maniglia della

porta, pronto ad aprire nel momento stesso in cui i colpi si fossero ripetuti. Si

ripeterono ed egli sentì la porta tremare sotto la sua mano, ma, sebbene

avesse aperto immediatamente e cercato intorno alla casa, non trovò traccia

di un disturbatore.

Essi furono in seguito frequentemente angustiati da strani e inesplicabili

rumori. Una notte la signora Weekman udì quelli che sembravano dei passi di

qualcuno che camminasse nella cantina. Un’altra notte una delle sue

bambine, di otto anni, si mise a gridare così da svegliare tutta la casa. Disse

che qualche cosa di freddo era passato sulla sua testa e sul suo volto; e ci volle

molto tempo prima che la bambina atterrita si calmasse, ma per più notti non

volle dormire in quella stanza.

Il signor Weekman si offrì di ripetere il suo certificato sotto giuramento se

glielo chiedevano (49).

Ma non è necessario moltiplicare oltre gli estratti da queste deposizioni.

Nulla di positivo potrebbe essere tratto da esse. E’ certo tuttavia che il

merciaio ambulante non riapparve più a Hydesville né mantenne le sue

promesse di tornare. D’altra parte, il signor Bell, che aveva traslocato nei

primi del 1846 nella città di Lyons, nella stessa contea, nell’udire le notizie

delle scoperte suddette, tornò immediatamente sulla scena della sua

residenza di un tempo e ottenne dai vicini e rese pubblico un certificato in cui

si dichiarava che «essi non potevano dir nulla contro di lui», e che, quando

viveva con loro, «essi lo consideravano, e ancora lo consideravano, un uomo

retto e onesto, incapace di commettere un delitto». Questo certificato è datato

5 aprile (sei giorni dopo le prime comunicazioni) ed è firmato da

quarantaquattro persone. L’autore della Relazione di rumori misteriosi,

nel presentarlo per intero, aggiunge che altri, oltre i firmatari, erano disposti a

unirsi alla raccomandazione (50).

E’ opportuno anche notare, a questo proposito, che alcuni mesi dopo - e

cioè nel luglio o agosto 1848 - avvenne a Rochester, New York, un fatto in

 

218

certo modo analogo e che mostra il pericolo di indulgere, senza sicure prove, a

sospetti provocati da cosiddette comunicazioni spiritiche. Un giovane

merciaio ambulante, con un carro e due cavalli, di cui si sapeva che possedeva

varie centinaia di dollari, dopo essersi fermato in una osteria di quella città,

improvvisamente scomparve. L’opinione pubblica prese a credere che fosse

stato ucciso. Uno spiritista entusiasta ebbe la conferma di questa ipotesi per

mezzo dei picchi. Grazie allo stesso medium il credulo inquirente seppe che il

corpo si trovava in un canale, e vari punti di esso furono poi indicati in cui

poteva trovarsi. Furono dragati con ansia ma inutilmente. Infine fu chiesto

alla moglie di quel sempliciotto di andare in un dato punto del canale, dove

certamente avrebbe scoperto la salma. Nell’obbedire a questa ingiunzione per

poco ella non perse la vita. Alcuni mesi dopo, la presunta vittima riapparve:

era partito segretamente per il Canada onde evitare le sollecitazioni dei suoi

creditori (51).

Nel caso di Hydesville, inoltre, vi fu qualche prova in contrario. I colpi

affermarono che la moglie del merciaio ambulante era morta, ma che i suoi

cinque figli vivevano nella Contea di Orange, New York; tutti gli sforzi per

trovarli furono vani. Né risulta che un uomo di nome Rosma sia mai vissuto

laggiù.

Resta da aggiungere che nessun processo legale fu mai istituito, né contro il

signor Bell in seguito ai sospetti sorti, né da parte sua contro coloro che

avevano espresso tali sospetti. Egli infine lasciò il paese.

E’ evidente che non vi erano prove sufficienti contro di lui. Le dichiarazioni

dei testimoni terreni erano solo prove indiziarie; e non si poteva fare alcun

fondamento su di una testimonianza ultraterrena non confermata. Poteva

offrire qualche indizio, suggerire qualche inchiesta, ma non poteva dare la

sicurezza.

Il racconto di Hydesville, comunque, come disturbo inesplicato al pari di

quelli di Cideville, di Ahrensburg, di Slawensik, di Epworth e di Tedworth,

rimane come conferma della realtà dei fenomeni stessi, non dell’esattezza

delle informazioni estrinseche da essi fornite.

Con questa chiudo l’elenco di queste relazioni; perché seguire simili esempi

avvenuti da allora nel nostro paese (52), mi allontanerebbe dal mio

argomento per portarmi nella storia della nascita e degli sviluppi del

movimento spiritista.

 

219

NOTE

(1) Sadducismus Triumphatus, or Full and Plain Evidence

concerning Witches and Apparitions, (Il sadduceismo sconfitto, o

piena e chiara prova relativa alle streghe e alle apparizioni), di Joseph Glanvil,

gia Cappellano ordinario di Sua Maestà e membro della Royal Society, terza

edizione Londra 1689, pagg. 322-23.

(2) Lettera di Mompesson a Collins, data per intero nella prefazione alla

seconda parte del Sadducismus Triumphatus di Glanvil, terza edizione

1689. Non appare nella prima edizione non essendo ancora scritta.

(3) La lettera è data per intero nella prefazione alla terza edizione

dell’opera di Glanvil.

E’ notevole con quanti pochi scrupoli taluni, che dovrebbero saper fare di

meglio, neghino, senza alcun fondamento, la verità di alcuni fatti sgraditi.

Nella Philosophy of Mystery, di Walter Cooper Dendy, membro e

segretario onorario della Società Medica di Londra, l’autore, parlando del

«mistero o demonio di Tedworth», dice: «Anche questo fu fonte di estrema

meraviglia finché il tambureggiatore fu processato e condannato e il signor

Mompesson confesso che il mistero era effetto di artificio». Capitolo

«Illustrazione di suoni misteriosi», pagg. 149-50.

(4) Sadducismus Triumphatus, pagg. 334-36.

(5) Original Letters by the Rev. John Wesley and his Friends,

illustrative of his Early History (Lettere originali del rev. John Wesley e

dei suoi amici, che illustrano la sua prima storia) con altri curiosi documenti

comunicati dal defunto rev. S. Babcock. A esse è premesso un discorso ai

Metodisti di John Priestley, dottore in legge, membro della Royal Society ecc.,

Londra 1791: volume in ottavo di 170 pagine. L’opuscolo è raro.

(6) Memoirs of the Wesley Family raccolti principalmente da

documenti originali, di Adam Clarke, seconda edizione Londra 1843.

(7) Memoirs of the Wesley Family, vol. I, pagg. 253-60.

(8) Memoirs of the Wesley Family, vol. I, pag. 286.

(9) Opuscolo del dott. Priestley già citato, Prefazione, pag. XI.

(10) Memoirs of the Wesley Family, vol. I pagg. 245-46.

(11) The Asylum Journal of Mental Science (pubblicato da

un’associazione di medici ufficiali degli Asili e degli Ospedali per i folli),

Aprile 1858, Londra, pag. 395.

 

220

(12) Dalla Signora Crowe nel suo Night Side of Nature (Il lato oscuro

della natura), pagg. 412-22. L’opuscolo è intitolato: «Autentica, sincera e

circonstanziata esposizione di stupefacenti avvenimenti a Stockwell, nella

contea di Surrey, il lunedì e il martedì 6 e 7 gennaio 1772; contenente una

serie dei più sorprendenti e incredibili fatti che siano mai avvenuti, e che

continuarono, dall’inizio alla fine, più di venti ore in luoghi diversi. Pubblicato

con il consenso e l’approvazione della famiglia e di altre persone implicate

che, per autenticazione, firmarono la copia originale.

(13) Per il primo, capitato a due sorelle di nome Dixon, vedi l’Arminian

Magazine dell’anno 1786, pagg. 660-62. I disturbi cominciarono nel 1779, e

si dice che continuassero per più di sei anni. Il secondo è dato nella stessa

rivista del 1787; cominciò circa una settimana prima del Natale del 1780.

(14) Die Seherin von Prevorst, quarta edizione Stoccarda 1846, pagg.

495-504.

(15) Die Seherin von Prevorst, pagg. 506-07.

(16) Die Seherin von Prevorst, Eröffnungen über das innere

Leben des Menschen, und über das Hereinragen einer Geisterwelt

in die unsere (La veggente di Prevorst, rivelazioni sulla vita interiore degli

uomini e sull’estendersi del mondo degli spiriti nel nostro), di Justinus

Kerner, quarta edizione, Stoccarda e Tubinga 1846, ottavo, pagg. 559.

Quest’opera, di cui vi è una traduzione inglese della signora Crowe, attrasse

molta attenzione e molte critiche al tempo della sua pubblicazione e in

seguito. Fu recensita dalla Revue des Deux Mondes del 15 luglio 1842 che

ne parlò come di «un’opera fra le più strane e più coscienziosamente

elaborate che siano mai apparse su questo soggetto». Del dottor Kerner il

revisore parla ampiamente come di un uomo che fa onore alla Germania.

Un’altra rivista, nel febbraio del 1846, parla in termini egualmente

favorevoli dell’opera e del suo autore. Riconosce al dott. Kerner un’alta

reputazione nel suo paese, non solo come medico, ma anche per i suoi talenti

letterari e come uomo dotto e religioso: un uomo la cui sincerità e la cui

buona fede non possono essere messe in dubbio nemmeno dai più scettici. Il

revisore dichiara inoltre che il libro contiene molte verità che devono essere

ammesse nei nostri sistemi di fisiologia e psicologia.

(17) Night Side of Nature, Routledge & C. edit., pagg. 445-47.

(18) Popular delusions, vol. II, pagg. 133-36.

(19) Questo fenomeno, per quanto sembri strano, è identico a quello

riferito recentemente dalla Gazette des Tribunaux e citato da De Mirville

nella sua opera Des esprits, pagg. 381-84. Avvenne a Parigi nel popoloso

 

221

quartiere di Montagne-Sainte-Geneviève. Una casa in via des Grès fu

bersagliata per ventun notti di seguito, da una pioggia di pesanti

proiettili scagliati contro di essa in tale quantità e con tale violenza che la

fronte della casa fu letteralmente forata in vari punti, le porte e le finestre

furono mandate in frantumi e l’insieme presentava l’aspetto di un edificio che

avesse subito un assedio con pietre lanciate da catapulte o scariche di

mitraglia. La Gazette dice: «Di dove vengono questi proiettili che sono pezzi

di pavimento, frammenti di vecchie case, interi blocchi di pietre da

costruzione e che, per il loro peso e per la distanza da cui giungono non

possono essere stati lanciati da mano umana? Fino a oggi è stato impossibile

scoprirne la causa». E tuttavia la polizia, guidata dallo stesso Capo di Polizia,

era lì ogni notte e aveva posto una guardia all’edificio notte e giorno.

Impiegarono anche, come guardiani, dei feroci cani, ma tutto invano.

De Mirville, qualche tempo più tardi, andò personalmente dal proprietario

della casa e dal Commissario di Polizia del quartiere. Entrambi lo

assicurarono nel modo più positivo che, nonostante le continue precauzioni

prese da un corpo di uomini senza eguali per vigilanza e sagacità, non fu mai

ottenuto il minimo indizio per svelare il mistero. (pagg. 384-86).

(20) Uno dei più notevoli fra questi esempi è quello della cosiddetta

«Ragazza elettrica» esaminata da Arago. Io ho preparato accuratamente una

esposizione di questo caso traendolo dai documenti originali, per introdurlo

qui; ma, vedendo che questo volume andava oltre le dimensioni a cui volevo

limitarlo, ho tolto questa storia per pubblicarla in un’opera futura.

(21) Facts and Fantasies; a Sequel to Sights and Sounds, the

Mystery of the Day (Fatti e fantasie, seguito a «Sospiri e suoni, il mistero

del giorno»), di Henry Spicer, Londra 1853, pagg. 76-101.

(22) L’isola di Oesel, nel Baltico, appartiene alla Russia, essendole stata

ceduta per il trattato di Nystadt, nel 1721. Fa parte della Livonia.

(23) La religione dell’isola è protestante, sebbene negli ultimi tempi siano

stati fatti tentativi per ottenere conversioni alla Chiesa ortodossa.

(24) La parola tedesca usata dal narratore nel parlarmi di questi rumori

Getöse. E’ il termine usato spesso per indicare un tuono distante. Schiller

dice nel suo Tuffatore:

«Und wie mit des fernen Donner’s Getöse».

(E come con i lontani fragori del tuono)

(25) A Parigi, l’8 maggio 1859.

(26) Numeri, XXII, 23.

 

222

(27) I ragazzi, dopo essere stati tolti al signor Tinel, vennero affidati alle

cure del signor Fauvel, parroco di St. Ouen du Breuil, che testifica del loro

buon carattere e della loro buona condotta. Vedi la lettera nell’opuscolo di De

Mirville Fragment d’un ouvrage inédit (Frammenti di un’opera inedita).

Non risulta che i disturbi li abbiano seguiti nella loro nuova casa.

(28) Fragment d’un ouvrage inédit, pubblicato da Vrayet de Surey,

Parigi 1852. (L’opera inedita a cui ci si riferisce è il noto volume di De Mirville

sulla pneumatologia).

(29) Testimonianze di Gustave Lemonier e di Clement Bunel.

(30) Testimonianza di Auguste Huet.

(31) Testimonianza di Adolphe Cheval, sindaco di Cideville.

(32) Testimonianza di Martin Tranquille Leroux, parroco di Saussay.

(33) Testimonianza di Charles Jules de Mirville.

(34) Deposizione di Marie-Françoise Adolphine Dechamps de Bois-Hebert,

moglie del signor de Saint-Victor.

(35) Vedi testimonianza di Madame Saint-Victor.

(36) Testimonianza del signor Raoul Robert de Saint-Victor.

(37) Testimonianza di Athanase Bouffay, vicario di St. Maclou, di Rouen.

(38) Testimonianza di Nicolas-Boniface Dufour, agente terriero a Yerville.

(39) Testimonianza di Adalbert-Honoré Gobert, vicario di St. Maclou, di

Rouen.

(40) La prima, pubblicata a Canandaigua solo tre settimane dopo gli

avvenimenti del 31 marzo, è un opuscolo di quaranta pagine intitolato:

Relazione sui misteriosi rumori uditi nella casa del signor John

Fox in Hydesville, Arcadia, Contea di Wayne, autenticata dai

certificati e confermata dalle constatazioni dei cittadini del luogo

e dei dintorni, Canandaigua, pubblicato da E.E. Lewis, 1848. Contiene

venturi certificati, per lo più dati dagli immediati vicini, compresi, quelli del

signore e della signora Fox, del loro figlio e della loro nuora, della signora

Redfield ecc., per lo più ottenuti l’11 e il 12 aprile. Devo alla famiglia del signor

Fox una copia di questo opuscolo, oggi molto raro; gli ho fatto visita

nell’agosto del 1859 in casa di suo figlio, signor David Fox, ed ebbi allora

l’opportunità di visitare la piccola abitazione in cui avvennero i fatti qui

riportati, e di scendere nella cantina, scena di pretesi oscuri eventi. La casa è

adesso occupata da un agricoltore che, come Faraday, «non crede negli

spettri».

 

223

Una relazione più organica, seguita da una storia del movimento che ebbe

origine a Hydesville, si può trovare in Modern Spiritualism: its Facts

and Fanaticism (Spiritismo moderno: suoi fatti e suo fanatismo) di E.W.

Capron, Boston, 1855, pagg. 33-56.

Molti dei testimoni firmatari dei certificati suddetti si offrirono di

confermare le loro affermazioni, se necessario, con giuramento; e quasi tutti

dichiararono espressamente la loro convinzione che la famiglia non ebbe

alcuna parte nella produzione dei rumori, che questi non si potevano

attribuire a trucco, o inganno, o a qualche causa naturale conosciuta,

aggiungendo in genere di non credere nel soprannaturale e di non avere mai

udito o osservato in precedenza niente che non fosse suscettibile di

spiegazione naturale.

(41) Relazione di rumori misteriosi, pag. 25. Vedi anche pag. 17.

Il signor Marvin Mosey e il signor David Fox affermano, nei loro rispettivi

certificati, che nella notte di sabato, primo aprile, mentre la folla stava

facendo domande, fu concordato che quelli che erano in cantina si riunissero

in un punto, eccetto uno, il signor Carlos Hyde, il quale doveva muoversi in

vari punti; e che il signor Duesler, stando di sopra, nella stanza da letto, di

dove, naturalmente, non poteva vedere il signor Hyde né alcun altro di coloro

che erano in cantina, facesse le domande. Allora, mentre il signor Hyde

camminava per la cantina, il signor Duesler, nella stanza da letto, ripeteva la

domanda: «C’è qualcuno sul posto in cui il corpo è stato sepolto?». Ogni volta,

appena il signor Hyde si fermava al centro della cantina furono uditi i colpi

così da essere uditi sia da coloro che erano in cantina sia da quelli che erano

di sopra, nella stanza; ma ogni volta che egli si fermava altrove, vi era silenzio.

Questo fu ripetuto più e più volte. Relazione di rumori misteriosi, pagg.

26 e 28.

(42) Il giorno dopo, tuttavia, domenica 2 aprile, avvenne il contrario. I

rumori diedero risposta durante il giorno e cessarono la sera, né furono uditi

durante la notte. Relazione di rumori misteriosi, pag. 9.

(43) Relazione di rumori misteriosi, pag. 15.

(44) Ivi, pag. 29.

(45) Modern spiritualism, pag. 53. David Fox, durante la visita che gli

feci, confermò la verità di questo.

(Dobbiamo aggiungere, cosa che l’Owen non poteva sapere, che nel 1904,

essendo franato un muro della cantina, vennero alla luce uno scheletro

umano e una cassetta da merciaio ambulante. L’assassinato sarebbe stato

appunto un merciaio ambulante, come viene spiegato più avanti. Si può

supporre che la salma sia stata in un primo tempo sepolta al centro della

 

224

cantina e, in un secondo tempo, riesumata e nascosta nell’intercapedine

ottenuta fra Ia parete originaria della cantina e un muro costruito davanti a

essa.) (U.D.)

(46) Relazione di rumori misteriosi, pag. 16.

(47) Relazione di rumori misteriosi, pagg. 37-38.

(48) Relazione di rumori misteriosi, pagg. 35-37. Ho aggiunto pochi

particolari minori riferiti da Lucretia alla signora Fox.

(49) Ivi, pagg. 33-34.

(50) Ivi, pagg. 38-39.

(51) Per i particolari vedi Modern Spiritualism, pagg. 60-62. Se

ammettiamo la realtà dei picchi spiritici e cerchiamo di giudicare le intenzioni

ultraterrene, possiamo immaginare che lo scopo fu di mettere in guardia gli

uomini, con una lezione così notevole, all’inizio del movimento, contro il dare

implicita fede alle comunicazioni spiritiche.

E’ degno di nota, tuttavia, che vi è una grande differenza in questi due casi,

perché le comunicazioni di Hydesville vennero da un agente spontaneo, non

richiesto e inatteso, mentre quelle ottenute a Rochester furono evocate e

attese.

(52) Come quello avvenuto a Stratford, Connecticut, nella casa del

reverendo dott. Eliakim Phelps, ancor più bizzarro e sorprendente, in molti

dei suoi particolari, di tutti quelli qui riferiti. Cominciò il 10 marzo del 1850 e

continuo, con intervalli, per un anno e nove mesi, e precisamente fino al 15

dicembre 1851. Un racconto particolareggiato di questo caso si troverà in

Modern Spiritualism, pagg. 132-171.

 

225

3 - Riepilogo

Nel riepilogare le prove presentate, devo solo aggiungere che i disturbi che

hanno fatto parlare di case infestate sono, a volte, veri e inesplicati fenomeni.

E’ necessario e probabilmente utile un breve commento. Vi sono uomini

così radicati nei loro preconcetti su certi punti, che non c’è prova che possa

smuoverli. Solo il tempo e l’irresistibile corrente della pubblica opinione,

riusciranno a scuoterli. Devono attendere. Quanto a coloro le cui orecchie

sono ancora aperte, coloro che possono essere ancora convinti, ben pochi, mi

arrischio a predirlo, metteranno da parte, impassibili e increduli, la massa

delle prove qui raccolte. Tuttavia poche considerazioni, brevemente esposte,

non saranno fuori luogo.

La testimonianza, in molti di questi esempi, è diretta e di prima mano, data

da testimoni auricolari e oculari, e registrata al momento.

Deriva da fonti rispettabili. Possiamo forse fare eccezioni sul carattere e

sulla attendibilità di testimoni come Joseph Glanvil, John Wesley, Justinus

Kerner? Possiamo fare obiezioni sull’autorità di Mackay, scettico e derisore?

La narrazione di Hahn non mostra forse al lettore freschezza e candore?

Quanto alla storia di Ahrensburg, la teste è la figlia stessa del magistrato

interessato all’indagine. E dove potremo trovare, fra una moltitudine di

testimonianze, una miglior prova di onesta che nel perfetto accordo delle

deposizioni di Cideville e Hydesville?

I fenomeni erano tali da poter essere facilmente osservati. Molti di essi

erano di un carattere così palpabile e notorio che sarebbe stato veramente

impossibile, per gli osservatori, immaginarli. I colpi tonanti in casa del signor

Mompesson scossero l’edificio e svegliarono gli abitanti del vicino villaggio. I

colpi in casa di Madame Hauffe spostavano i travicelli e richiamavano

l’attenzione di chi passava per la strada. A Epworth, per quanti rumori si

facessero, «il cupo e sordo suono si udiva chiaramente al di sopra di essi». A

Hydesville, la casa fu abbandonata dai suoi occupanti e centinaia di curiosi si

riunirono, notte dopo notte, a testimoniare la realtà di colpi che echeggiavano

in ogni parte dell’edificio.

Vi era piena opportunità di osservare. Gli eventi non erano singole

apparenze che si presentassero a un tratto e scomparissero rapidamente: si

ripetevano giorno per giorno, mese per mese, talora anno per anno. Poterono

essere testimoniati e ritestimoniati. Né produssero nei testimoni una

credenza superficiale, svanita dopo calma riflessione. Il signor Mompesson, il

cancelliere Hahn, Emily Wesley, dopo aver trascorso metà della vita

 

226

mantenevano e manifestavano la stessa incrollabile convinzione del primo

momento.

Le narrazioni non vengono meno né nei minuti particolari né nella

specificazione delle persone, del tempo e del luogo.

Gli osservatori non furono influenzati dall’attesa né indotti da narrazioni di

esempi precedenti. In realtà i fenomeni erano stati frequenti, esibivano una

inequivocabile somiglianza di famiglia, costituivano una classe. E tuttavia,

nemmeno in un esempio, questo fatto sembra noto agli osservatori. Erano

convinti che ogni fatto da loro testimoniato fosse senza precedenti. Né a

Tedworth, né a Epworth, né a Slawensick, né a Baldarroch, né ad Arensburg,

ne a Cideville, né a Hydesville i soggetti sembrano sapere che altri avevano

sofferto simili disturbi prima di loro. Per questo la loro testimonianza è tanto

più attendibile.

Non solo non v’era alcun motivo per una simulazione, ma tutti miravano a

nascondere quello che avveniva. Il signor Mompesson fu danneggiato nella

reputazione e negli averi. La signora Wesley proibì rigorosamente a suo figlio

di comunicare la vicenda ad alcuno. Il giudice Rousselin trovò il curato di

Cideville profondamente afflitto per la sua penosa situazione. La salute della

signora Fox (a quanto ho saputo) soffrì seriamente per l’angoscia. «Che cosa

abbiamo fatto», soleva dire, «per meritarci questo?». Possiamo facilmente

capire che doveva essere questa la sua impressione. Che cosa di più

mortificante e penoso che essere esposti al sospetto di essere un impostore o il

soggetto di una punizione divina per le nostre colpe?

Infine i fenomeni furono spesso attestati da relazioni ufficiali della giustizia

pubblica. Così nel processo del tambureggiatore, nella querela del capitano

Molesworth e nel procedimento legale istituito a Cideville contro il pastore

Thorel. Dove trovare un più alto grado di prove umane?

Se un tal complesso di testimonianze, con tutti gli elementi di credibilità,

convergenti da numerose fonti distinte e tuttavia concorrenti per due secoli,

non hanno diritto alla credibilità, quale credito potremo dare al complesso dei

documenti storici? Che cosa diventano le prove storiche per qualsiasi

avvenimento del passato? Se respingiamo come favole le narrazioni qui

presentate, non sosteniamo implicitamente la logica di coloro che affermano

che Gesù Cristo non è mai vissuto? Dovremo accogliere come qualche cosa di

più serio di una piacevolezza quell’opuscolo in cui un dotto e ingegnoso uomo

di Chiesa palesa ragioni plausibili per credere che la fama, nelle sue più

notorie manifestazioni, può essere solo una menzogna e che è molto dubbio

che Napoleone Bonaparte sia mai veramente esistito? (1).

 

227

Note

(1) Historic Doubts relative to Napoleon Bonaparte (Dubbi storici

relativi a Napoleone Bonaparte), dell’arcivescovo Whately, 1a edizione

Londra, 1855.

 

228

LIBRO IV - DELLE APPARENZE COMUNEMENTE DETTE

APPARIZIONI

1 - Dell’allucinazione

La prova di una vita futura derivata dall’occasionale apparire di un

defunto, purché questo apparire si dimostri essere un fenomeno oggettivo e

purché non ci inganniamo sul suo carattere, è del più alto grado. Se dunque è

importante ottenere un valido contributo alle prove dell’immortalità

dell’anima, che cosa merita maggiormente la nostra attenzione delle

apparizioni?

Ma proporzionale alla sua importanza e al suo carattere straordinario è la

necessità che questo soggetto venga esaminato con scrupolo e perfino con

diffidenza, e che la sua realtà sia attestata con cura spassionata.

Perché la sua discussione implica la teoria dell’allucinazione: un ramo di

ricerca che ha molto impegnato, come in realtà doveva, l’attenzione dei

fisiologi moderni.

Che vi sia una pura allucinazione, non possiamo razionalmente dubitarne;

ma che cosa siano o non siano le allucinazioni può essere più difficile da

stabilire di quanto gli osservatori superficiali non credano.

L’allucinazione, secondo la consueta definizione, consiste in idee e

sensazioni che comportano impressioni irreali. E’ un esempio di falsa

testimonianza (non sempre accreditata) apparentemente data dai sensi in uno

stato morboso o anormale dell’organismo umano.

«E’ evidente», dice Calmeil, «che la stessa combinazione materiale che

avviene nel cervello di un uomo alla vista di un albero, di un cane, di un

cavallo, può essere riprodotta nel momento in cui questi oggetti non sono più

in vista, allora quell’uomo persisterà nel credere di vedere ancora un albero,

un cane o un cavallo» (1).

E’ una curiosa questione, non ancora pienamente risolta dai medici che

hanno scritto in proposito, se le allucinazioni della vista causano un’effettiva

immagine sulla retina. Burdach, Müller (2), Baillarger (3), e altri, che lo

affermano, ci ricordano che i pazienti che si sono rimessi da una crisi di

allucinazione affermano sempre: «Io ho visto; io ho udito», parlando così di

reali sensazioni. Dechambre (4) e De Boismont, che lo negano, adducono a

 

229

sostegno della loro opinione il fatto che un paziente che abbia perso una

gamba continua a lamentarsi di sensazioni di freddo o di dolore alle dita del

piede amputato, e che uomini ciechi per amaurosi, dove vi è paralisi del nervo

ottico, sono tuttavia soggetti ad allucinazioni visive. Quest’ultima sembra

essere l’opinione migliore. Come potrebbe, una semplice concezione mentale

(argomenta Dechambre) produrre un’immagine nell’occhio? E per quale

ragione? Perché, se la concezione esiste già nel cervello, che bisogno c’è che

l’occhio la diriga in quella direzione? Se si potesse provare, in qualsiasi caso,

che un’immagine reale è stata prodotta sulla superficie della retina, questo

dimostrerebbe anche, mi sembra, che è stata presente una realtà oggettiva per

produrla. E così pure per le onde sonore ricevute dal timpano.

Questo appare più chiaramente se consideriamo esempi di allucinazione di

altri sensi, come l’odorato e il tatto. Il professor Bennet, della Scozia, in un

opuscolo contro il mesmerismo (5), garantisce due esempi da lui presentati

per dimostrare il potere dell’immaginazione. Riferisce il primo come segue:

«Un ecclesiastico mi ha detto, tempo fa, che nella sua parrocchia si sospettava

che una donna avesse avvelenato il suo ultimo nato. La bara fu esumata, e il

procuratore fiscale che procedeva insieme ai medici all’esame della salma,

dichiarò di sentire già l’odore della decomposizione che lo faceva venir meno;

e in conseguenza si ritirò. Ma, aperta la bara, fu trovata vuota; e fu in seguito

accertato che nessun bambino era nato e quindi nessun delitto era stato

commesso». Dobbiamo supporre che il nervo dell’olfatto fosse stimolato da

un odore che non esisteva? Ma nell’opuscolo vi è un altro caso. «Un macellaio

fu condotto nel negozio del signor M’Farlane, farmacista, dal mercato di

fronte, in seguito a un terribile incidente. Quest’uomo, cercando di agganciare

un pesante pezzo di carne sopra di sé, era scivolato e il gancio era penetrato

nel suo braccio così da restare lui stesso sospeso. All’esame risulto pallido,

quasi senza pulsazioni e si comportò come se provasse una sofferenza atroce.

Non gli si poteva muovere il braccio senza causargli acuti dolori e, mentre gli

veniva tagliata la manica, egli gridò più volte; e tuttavia, quando il braccio fu

messo a nudo, risulto perfettamente sano perché il gancio aveva solo

attraversato la manica della sua giacca». Che cosa aveva agito, in questo caso,

sui nervi del senso? Non vi era la minima lesione che potesse farlo, e tuttavia

l’effetto sul cervello fu esattamente lo stesso che se i nervi fossero stati irritati

e nel modo più serio.

I sensi che per lo più ci ingannano sono la vista e l’udito. Il dott. Carpenter

cita il caso di una signora, sua stretta parente, che, «essendo stata spaventata

da bambina da un gatto nero che balzò su di sotto il suo cuscino proprio nel

momento in cui ella vi adagiava la testa, per parecchi anni, ogni volta che era

indisposta, vide un gatto nero sul pavimento davanti a lei; e, per quanto

perfettamente consapevole del carattere spettrale di questa apparizione, non

 

230

poteva fare a meno di alzare i piedi come se stesse per calpestarlo quando se

lo vedeva davanti» (6). Un’altra signora, citata da Calmeil, continuò per più di

dieci anni a immaginarsi che una moltitudine di uccelli era continuamente in

volo attorno alla sua testa e non si sedeva mai a tavola senza mettere da parte

delle briciole di pane per i suoi amici immaginari (7).

Così nelle allucinazioni uditive, dove il senso dell’udito ci inganna. Gli

scrittori sul soggetto ricordano casi di pazienti che sono stati perseguitati per

anni o per tutta la vita, da voci sconosciute, suoni di campane, brani musicali,

fischi, latrati e simili. In molti casi i suoni sembravano agli allucinati

provenire da tombe, da caverne, di sotto terra, a volte essi immaginavano che

fosse una voce interna, proveniente dal petto o da altre parti del corpo (8).

Calmeil riferisce il caso di un vecchio cortigiano, che, immaginandosi di udire

dei rivali che continuamente lo diffamavano presso il suo sovrano, era solito

esclamare: «Mentono! Vi ingannano! Mi calunniano, o mio principe» (9). E

ricorda il caso di un altro monomaniaco che non poteva sentir pronunciare,

senza un accesso di rabbia, il nome di una città che gli ricordava penose

memorie. Bambini lattanti, uccelli in volo, campane di ogni campanile

ripetevano al suo orecchio malato il nome odioso.

Tutti questi sembrano casi di semplice allucinazione; contro la quale si può

notare che una perfetta sanità di mente non dà alcuna garanzia.

L’allucinazione non è follia. Talora risulta indipendente non solo dalla follia

ma anche dalla monomania nei suoi tipi più blandi. Conobbi una signora che,

più volte, vedeva distintamente un piede salire le scale davanti a lei. E tuttavia

né il suo medico né lei stessa considerarono questa apparente meraviglia

altrimenti che come un’impressione ottica dipendente dal suo stato di salute.

In tutti i casi qui citati, si noterà che una persona è ingannata solo da

un’illusione dei sensi. E questo mi porta a parlare di un’importante

distinzione fatta dai migliori scrittori sull’argomento: la differenza, cioè, tra

allucinazione e illusione. La prima è considerata essere la falsa percezione di

ciò che non ha alcuna esistenza; la seconda è una percezione sbagliata di

qualche cosa che realmente esiste. La signora che alzava il piede per

scavalcare un gatto nero quando, in realtà, non vi era davanti a lei nulla da

scavalcare, è considerata vittima di una allucinazione. Nicolai, il libraio di

Berlino, è usualmente citato come uno dei più noti casi; e la sua memoria sul

soggetto, rivolta alla Società Reale di Berlino, di cui egli era membro, è

considerata un raro esempio di accurata analisi filosofica di ciò che lui stesso

considerava una serie di false sensazioni (10). A quanto scrive, si immaginava

che la sua stanza fosse piena di figure umane che andavano in giro; tutte

avevano la perfetta apparenza di persone viventi sennonché erano più pallide;

alcune erano a lui note, altre estranee, e ogni tanto parlavano tra loro o con

 

231

lui; così che, a volte, era in dubbio se qualche suo amico fosse venuto a fargli

visita o no.

Un’illusione, diversamente da un’allucinazione, ha le sue fondamenta nella

realtà. Noi vediamo o udiamo realmente qualche cosa che ci sembra essere

qualche cosa d’altro (11). Il miraggio del deserto, la Fata Morgana del

Mediterraneo, ne sono noti esempi. Molte superstizioni sono sorte di qui,

come il Gigante del Brocken, gli eserciti aerei che si combattono fra le nubi e

simili (12).

Vi sono illusioni collettive; perché è evidente che la stessa falsa apparenza

che inganna i sensi di un uomo, può ingannare anche quelli di un altro. Così

una storia italiana riferisce che gli abitanti della città di Firenze furono per

parecchie ore vittime di una notevole illusione. Fu vista nell’aria, fluttuante

sulla città, la colossale figura di un angelo; e gruppi di spettatori, raccolti nelle

vie principali, fissavano in adorazione, convinti che stesse per avvenire un

qualche miracolo. Dopo un certo tempo fu scoperto che questa portentosa

apparizione era una semplice illusione ottica causata dal riflesso, su di una

nube, dell’angelo dorato che sormonta il celebre duomo, vivamente illuminato

dai raggi del sole (13).

Ma non conosco casi bene autenticati di allucinazioni collettive. Non ho

mai udito che due pazienti abbiano immaginato la presenza dello stesso cane

o dello stesso gatto nello stesso momento. Nessuno degli amici di Nicolai vide

le figure che si mostravano a lui. Quando il cattivo genio di Bruto apparve al

condottiero romano, nessuno oltre che lui vide la colossale presenza o udì le

sue parole di ammonimento: «Ci rivedremo a Filippi». E solo gli occhi di

Nerone erano ossessionati dallo spettro della sua madre assassinata (14).

Questa è una distinzione di grande importanza pratica. Se due persone

percepiscono nello stesso tempo lo stesso fenomeno, possiamo concludere che

questo fenomeno è una realtà oggettiva: ha, in un modo o in un altro, una

reale esistenza.

I risultati di quelli che sono stati comunemente chiamati esperimenti

elettrobiologici non possono essere propriamente addotti a confutazione di

questa posizione. Il paziente biologizzato si sottopone coscientemente e

volontariamente a un’influenza artificiale il cui temporaneo effetto è di

produrre false sensazioni; così come il mangiatore di hashish o il masticatore

di oppio giungono alla fantasmagoria di una parziale insania, o il bevitore

incallito si espone alle terribili illusioni del delirium tremens. Ma tutti costoro

sanno, quando la crisi è passata, che non vi era nulla di reale nelle

immaginazioni che li avevano travolti.

 

232

Se potessimo essere biologizzati senza un agente apparente, in uno stato di

mente e di corpo simile a quello calmo e normale, in modo per noi

inconsapevole nel momento e senza alcuna conseguente consapevolezza della

nostra condizione di trance, allora la Ragione stessa diverrebbe

inattendibile, i nostri sensi sarebbero guide cieche e gli uomini

brancolerebbero nelle nebbie del pirronismo. Nulla, nell’economia

dell’universo, per quanto lo abbiamo esplorato, ci permette di nutrire per un

attimo l’idea che il Creatore abbia permesso, o voglia mai permettere, una tale

fonte di illusione.

Siamo dunque giustificati se affermiamo, come regola generale, che quello

che i sensi di due o più persone percepiscono nello stesso momento non è

allucinazione; in altre parole, che c’e qualche fondamento per poterlo

affermare.

Ma non ne segue che sia vero il contrario. Non è logico concludere che, in

ogni caso in cui qualche strana apparenza può essere percepita da un solo

osservatore fra molti, si tratti di allucinazione. In alcuni casi in cui certe

persone percepiscono fenomeni che sfuggono ai sensi degli altri, è certo che i

fenomeni sono, o possono essere, reali. Un esempio quotidiano di questo è il

fatto che persone dotate di forte capacità di vedere da lontano distinguono

chiaramente oggetti che rimangono invisibili a persone di vista meno acuta.

Così pure Reichenbach riferisce che i suoi sensitivi vedevano, ai poli del

magnete, luci odiche, e sentivano nel quasi contatto con grandi cristalli,

sensazioni odiche del tutto impercepibili per lo stesso Reichenbach e per altri

insensibili al pari di lui alle impressioni odiche (15). E’ vero che, prima che tali

esperimenti possano dare una convinzione razionale, devono essere ripetuti

più e più volte da vari osservatori e con numerosi soggetti, senza che ogni

soggetto conosca la testimonianza del precedente, e il risultato di questi vari

esperimenti deve essere accuratamente confrontato. Ma, una volta prese

scrupolosamente queste precauzioni, nella natura degli esperimenti stessi non

vi è nulla che possa farli mettere da parte come inattendibili.

Non vi è dunque nulla di assurdo o illogico nella supposizione che alcune

persone possano avere vere percezioni di ciò di cui noi rimaniamo inconsci.

Possiamo non riuscire a capire come esse le abbiano; ma la nostra ignoranza

del modo di azione non deve negare la realtà degli effetti. Conobbi un inglese

che, se veniva chiuso un gatto nella stanza in cui egli era, scopriva

invariabilmente e infallibilmente la sua presenza. Come la percepisse, se non

con un senso generale di disagio, non sapeva spiegarlo, ma il fatto era certo.

Se fossimo tutti nati sordomuti non potremmo immaginare come un essere

umano possa riuscire a percepire che una persona, da lui non vista, sia nella

stanza accanto, o come possa rendersi conto che un orologio di chiesa, a un

 

233

miglio di distanza e totalmente fuori vista sia mezz’ora avanti a quello che ha

in tasca. Se a un sordomuto congenito diciamo, come spiegazione, che

conosciamo queste cose perché udiamo il suono della voce della persona o

dei rintocchi dell’orologio, queste parole sarebbero per lui prive di significato

e non gli spiegherebbero nulla. Egli crede nell’esistenza di una percezione che

coloro che gli sono intorno chiamano udito, perché tutti concordano nel dargli

questa informazione. Egli crede che, in particolari circostanze, gli uomini

divengono consapevoli di ciò che è distante e non visto; ma, se la sua

infermità continua fino alla morte, egli passerà in un altro mondo senza una

vera convinzione della realtà dell’udito, salvo quell’unica credenza sostenuta

solo dalle affermazioni dei testimoni.

Che cosa si oppone dunque al supporre che, come vi sono casi eccezionali

in cui alcuni dei nostri fratelli uomini ci sono inferiori quanto alle capacità di

percezione, così possono esservi anche casi eccezionali in cui alcuni di loro ci

siano superiori? E perché non dovremmo, al pari del sordomuto, essere

destinati ad attendere l’illuminazione della morte prima di riconoscere come

vere, indipendentemente dalla fede nelle parole altrui, queste superiori

percezioni?

Fra il caso del sordomuto e i nostri vi è, è vero, questa differenza: lui fa

parte della minoranza, noi della maggioranza. Le sue testimonianze sono

dunque molto più numerose delle nostre. Ma rimane il problema: le nostre

testimonianze, per quanto siano solo occasionali, sono sufficienti per numero

e credibilità?

Questo problema, per quanto riguarda quelle che sono comunemente

chiamate apparizioni, è l’oggetto che discuteremo nel prossimo capitolo.

Tuttavia, prima di farlo, possono essere opportune alcune considerazioni

relative alle obiezioni più comuni.

E’ generalmente dato per sicuro che, se una percezione può essere

eliminata da un farmaco, essa sia irreale. Questo non è esatto. Una percezione

attuale, per quanto ne sappiamo, può dipendere da un peculiare stato del

sistema nervoso ed essere possibile solo in tale stato, che può venire cambiato

o modificato dalle droghe. I nostri sensi sono spesso così influenzati per

qualche tempo: a esempio il senso della vista dalla belladonna. Ho trovato in

Inghilterra molte signore, tutte delle più rispettabili classi sociali, che hanno

avuto, in maggiore o minore misura, la percezione di apparizioni, sebbene

non abbiamo parlato di questa facoltà, o di questa illusione (il lettore scelga il

termine che crede) oltre la cerchia delle loro più strette amicizie. Una di

queste signore, nel cui caso la percezione risaliva alla sua prima infanzia, mi

disse che essa dipendeva da un’indisposizione o anche da un freddo intenso.

 

234

In questo caso, ogni medicina che eliminasse il disagio reintegrava la

percezione.

Alcuni scrittori hanno cercato di mostrare che l’allucinazione è epidemica

come la peste o il vaiolo. Questo, se anche è vero, lo è in una misura così

trascurabile e in circostanze così peculiari che può essere considerato una rara

eccezione alla regola generale (16). De Gasparin cerca di provare il contrario

(17) ricordandoci che in Egitto, al tempo di Giustiniano, si diceva che tutti

avessero visto uomini neri senza testa che navigavano su navi di ottone; che,

durante un’epidemia che spopolò Costantinopoli, gli abitanti videro dei

demoni nelle strade passar di casa in casa portando la morte lungo il loro

passaggio; che Tucidide parla di una generale invasione di spettri che

accompagnò la grande peste di Atene; che Plinio riferisce come, durante la

guerra dei Romani contro i Cimbri, si udirono strepiti di armi e suoni di

trombe che sembravano provenire dal cielo; che, secondo Pausania, lungo

tempo dopo la battaglia di Maratona, furono uditi ogni notte, sul luogo della

pugna, nitriti di cavalli e strepiti di armi; che durante la battaglia di Platea il

cielo risuonò di urla paurose attribuite dagli Ateniesi al dio Pan; e così via.

Alcune di queste apparenze furono evidentemente illusioni, non

allucinazioni; e, quanto al resto, de Gasparin e uno scrittore troppo sensibile

per non ammettere che «molti di questi aneddoti sono falsi e molti sono

esagerati» (18). Quanto a me non sarebbe meno facile convincermi, sulla base

di una remota leggenda, che queste meravigliose visioni e suoni ebbero una

realtà, che neanche un gran numero di uomini concorse nella convinzione di

vederli e udirli. Gli stessi particolari che accompagnano molte relazioni

negano l’ipotesi che dovrebbero provare. Nella relazione di Pausania, per

esempio, relativa ai rumori notturni sul campo di battaglia di Maratona,

leggiamo che coloro che eran richiamati sul luogo dalla curiosità non li

udivano: solo per il viaggiatore casuale che attraversava il luogo infestato

senza premeditazione risuonavano i nitriti dei cavalli e il fragore delle armi.

Sembra che l’immaginazione e l’aspettativa non avessero nulla a che fare con

il fenomeno. Possiamo credere che sia stata una perversione del senso

dell’udito? Se lo facciamo ammettiamo che l’allucinazione possa essere

endemica al pari che epidemica.

Con questo non voglio negare che vi siano stati tempi e stagioni durante i

quali i casi di allucinazione sono stati più frequenti del solito. Che quello che

eccita con violenza la mente non reagisca spesso morbosamente sui sensi. Ma

questo non dimostra la tesi che combatte. La reazione che seguì al fallimento

della prima rivoluzione francese, insieme agli orrori del Terrore, agito e

depresse in tal modo le menti di molti che in Francia i suicidi divennero più

frequenti che in ogni altro tempo. Tuttavia sarebbe una singolare dottrina

affermare che il suicidio sia di carattere contagioso o epidemico (19).

 

235

De Boismont ci ricorda che considerevoli riunioni di gente (des réunions

considérables) sono state vittime delle stesse illusioni. «Un grido», dice, «è

sufficiente ad atterrire una moltitudine. Un individuo che crede di vedere

qualche cosa di soprannaturale spesso induce altri, non più illuminati di lui, a

condividere la sua convinzione» (20). Per le illusioni, visive e uditive, questo

è certamente vero, specialmente quando esse si presentano in momenti di

eccitazione - come durante una battaglia o una pestilenza - o quando

avvengono nelle ombre del crepuscolo o della notte. Ma che il contagio

dell’esempio o le credenze di un individuo sotto l’attuale influenza di

un’allucinazione, siano sufficienti a produrre negli altri una modificazione

della retina, o del nervo ottico o uditivo, o, in breve, una qualsiasi anormale

condizione dei sensi, è una supposizione che, entro il raggio delle mie letture,

non è sostenuta da alcuna prova valida.

L’ipotesi dell’allucinazione, dunque, è, in generale, insostenibile in casi in

cui due o più osservatori indipendenti percepiscono la stessa apparenza o

apparenze simili. Ma, poiché sappiamo che le allucinazioni avvengono, questa

ipotesi, nei casi in cui vi è un solo osservatore, può essere considerata come la

più naturale e tale da potere essere rifiutata solo in circostanze che non

possono essere spiegate se non supponendo un’apparenza reale.

Tenendo conto di queste considerazioni, cerchiamo adesso di separare, su

questo soggetto, la fantasia dalla realtà. Così facendo, potremo trovare

difficile seguire il giusto mezzo fra la troppo pronta ammissione e il troppo

ostinato scetticismo. Se il lettore è portato a sospettare in me una facile

credulità, si guardi, da parte sua, da un arrogante pregiudizio. «Il disprezzo

prima dell’inchiesta», dice Paley, «è fatale». Evitando egualmente il

pregiudizio e la superstizione, adottando il metodo induttivo, cerchiamo di

determinare se, pur riconoscendo che una vasta porzione delle mille leggende

di fantasmi e apparizioni che hanno avuto credito in ogni età fu dovuta ad

allucinazione, non vi sia un’altra porzione - le relazioni di fenomeni genuini -

osservata da testimoni attendibili e attestata da sufficienti prove.

Note

(1) De la folie (Della follia), vol. I, pag. ,113.

(2) Non ho potuto vedere gli originali tedeschi; ma sia Burdach sia Müller

sono stati tradotti in francese da Jourdain; vedi il Traité de physiologie di

Burdach, Parigi 1830, vol. V, pag. 206, e il Manuel de phisiologie di

Müller, Parigi 1845 vol. II, pag. 686.

 

236

(3) Baillarger: Des Hallucinations ecc., pubblicato in Mémoires de

l’Academie Royale de Médicine, vol. XII, pag. 369.

(4) Dechambre: Analyse de l’ouvrage du docteur Szafkowski sur

les hallucinations, pubblicato nella Gazette Médicale del 1850, pag.

274.

Devo a De Boismont molte di queste citazioni. Vedi il suo libro Des

hallucinations, Parigi, 1852 cap. XVI.

(5) The Mesmeric Mania of 1851, Edimburgo, 1851.

(6) Principles of Human Physiology, quinta edizione Londra 1855,

pag. 564.

(7) Calmeil, vol. I, pag. 11. Non cito altri casi apocrifi, come quando Pie,

nella sua vita del celebre benedettino Savonarola, ci dice che lo Spirito Santo,

in molte occasioni, si posò sulla spalla del pio monaco, il quale si sprofondava

nell’ammirazione del suo piumaggio dorato, e che quando l’uccello divino

introduceva il becco nel suo orecchio, egli udiva un mormorio indescrivibile.

J.F. Pie, in Vita Savonarolae, pag. 124.

(8) Calmeil, opera citata, vol. I, pag. 8.

(9) Calmeil, opera citata, vol. I, pag. 7.

(10) Nicolai lesse la sua memoria sugli spettri o fantasmi che lo

disturbavano, con osservazioni psicologiche in proposito, alla Società Reale di

Berlino, il 28 febbraio 1799. La traduzione di questo documento è data nel

Nicholson’s Journal, vol. VI, pag. 161.

(11) Nella mania vera e propria le allucinazioni sono molto più frequenti

delle illusioni. De Boismont ricorda che, su cento ottantun casi di mania

studiati da Aubanel e Thore, le illusioni si manifestarono in sedici casi,

mentre le allucinazioni sopravvennero in cinquantaquattro. L’elenco esatto fu

il seguente: Illusioni della vista, nove; dell’udito, sette; allucinazioni

dell’udito, ventitré; della vista, ventuna; del gusto, cinque; del tatto, due;

dell’odorato, una; interne, due. Des hallucinations, pag. 168.

(12) Nel Philosophical Magazine (vol. I, pag. 232) si troverà la

relazione delle osservazioni che spiegarono finalmente al mondo scientifico la

natura della gigantesca apparizione che dalla sommità del Brocken (una delle

montagne dello Hartz), eccitò per molti anni la meravigliata credulità degli

abitanti e lo stupore del viaggiatore di passaggio. Un certo signor Haue dedicò

qualche tempo all’argomento. Un giorno, mentre stava contemplando il

gigante, un violento colpo di vento per poco non gli strappo via il cappello.

Porto immediatamente la mano su di esso e il gigante fece lo stesso. Il signor

Haue gli fece un inchino e il saluto fu ricambiato. Egli allora chiamò il

 

237

proprietario dell’osteria vicina e gli comunicò la sua scoperta. Vennero

rinnovati gli esperimenti con lo stesso effetto. Fu evidente che l’apparizione

era solo un effetto ottico prodotto da un corpo fortemente illuminato posto fra

le nubi chiare, riflesso a considerevole distanza e ingrandito fino ad apparire

di un’altezza di cinque o seicento piedi.

Nel Westmoreland e in altre regioni montane i paesani spesso immaginano

di vedere nelle nubi truppe di cavalleria ed eserciti in marcia, mentre, in

realtà, è solo il riflesso di cavalli che pascolano sul colle e di pacifici

viaggiatori o lavoratori che passano per quei luoghi.

(13) Qui l’Owen sembra fare una confusione: sul duomo di Firenze non vi

sono angeli dorati. Forse l’episodio avvenne a Roma nella zona di Castel

Sant’Angelo. (U.D.).

(14) Non vi è prova che le apparizioni che si manifestarono a Nicolai, a

Bruto e a Nerone fossero altro che allucinazioni; tuttavia, se risultasse che le

apparizioni sia di viventi sia di defunti, sono talora di carattere oggettivo,

presumeremmo troppo nel considerare come certo che a nessuno di questi

uomini apparve nulla.

(15) Reichenbach (nel suo Sensitive Mensh, vol. I, pag. 1) stima che il

numero dei sensitivi, compresi quelli che hanno una qualsiasi percezione

delle sensazioni odiche, sia di circa la metà del genere umano. Casi di alta

sensitività, egli dice, si trovano più comunemente nei malati; tuttavia, a volte,

nella piena salute. In entrambi li considera relativamente rari.

(16) Trovo nella elaborata opera di De Boismont sulle allucinazioni un solo

esempio particolareggiato di ciò che può essere considerato una allucinazione

collettiva, presentato (pag. 72) sull’autorità di Bovet e tratto dal suo

Pandemonium, or The Devil’s Cloyster (Pandemonio, o Il chiostro del

diavolo), pubblicato nel 1684 (pag. 202): una prova, certo, non molto

conclusiva. Inoltre si tratta di due uomini che avrebbero visto, nello stesso

tempo, la stessa apparizione di certe signore riccamente vestite. Ma uno di

questi uomini era in quel momento in uno stato di stordimento,

apparentemente provocato da un incubo, e non parlò della visione finché

questa non gli fu suggerita dall’altro. Noi sappiamo, tuttavia, che le

suggestioni fatte su di un dormiente possono talora influenzare i suoi sogni

(vedi Abercrombie, Intellectual Powers, 15a edizione Londra 1857, pagg.

202-03). Un caso citato e garantito dal dott. Wigan (Duality of the Mind,

Londra 1844, pagg. 166 e segg.) non dimostra che l’allucinazione può avere

carattere collettivo, sebbene sia spesso addotto per provarlo.

Scrittori che credono in una seconda vita (come Martin nella sua

Description of the Western Islands of Scotland) affermano che, se due

 

238

uomini dotati di questa facoltà si trovano insieme, e se uno di essi,

percependo una visione, tocca l’altro di proposito, anche questi la percepirà.

Ma non abbiamo miglior prova di questo se non traendola dalla realtà della

facoltà in questione. E se la seconda vista è un fenomeno reale, allora questi

veggenti non sono ingannati da una allucinazione.

(17) Des tables tournantes, du surnaturel en général et des

esprits (Delle tavole giranti, del soprannaturale in genere e degli spiriti), del

conte Agénor de Gasparin, Parigi 1855, vol. I, pagg. 537 e segg.

(18) De Gasparin, opera citata, vol. I, pag. 538.

(19) In realtà è oggi riconosciuto che il suicidio può essere accompagnato

da forme di contagio psichico. Non bisogna confondere l’allucinazione

collettiva, che la scienza attuale tende a negare, con il contagio psichico, che si

fonda sulla suggestione. (U.D.)

(20) Des hallucinations, pag. 128.

 

239

2 - Apparizioni di viventi

Quando, nel mio studio delle apparizioni, incontrai per la prima volta un

preteso esempio di apparizione di una persona vivente in un luogo distante da

quello in cui quella persona si trovava realmente, vi diedi poco peso. E questo

soprattutto perché l’esempio stesso non era sufficientemente attestato. E’

riferito e creduto da Jung Stilling come avvenuto fra il 1750 e il 1760 e si

sarebbe svolto come segue.

In quel tempo viveva, presso Phildelphia, in una casa solitaria e

conducendo vita molto ritirata, un uomo di buono e pio carattere, ma

sospettato di avere occulti poteri di svelare fatti nascosti. Avvenne che, poiché

un certo capitano di mare era stato assente molto a lungo senza che

arrivassero lettere da lui, sua moglie, che viveva non lungi da quell’uomo e

che era divenuta preoccupata e ansiosa, fosse consigliata di consultarlo. Udita

la storia, egli le disse di attendere un momento, ché le avrebbe dato una

risposta. Poi passò in un’altra stanza chiudendo la porta; e vi rimase così a

lungo che, spinta dalla curiosità, lei guardò attraverso una fessura della porta

per rendersi conto, di quello che egli stava facendo. Vedendolo sdraiato su di

un sofà, si affrettò a tornare al suo posto. Subito dopo egli uscì e disse alla

donna che suo marito era in quel momento a Londra, in un caffè che nominò,

e che sarebbe tornato presto. Disse anche le ragioni che avevano ritardato il

suo ritorno e quelle per cui egli non le aveva scritto; così che lei tornò a casa

abbastanza rassicurata. Quando suo marito tornò, trovarono, confrontando le

loro annotazioni, che tutto ciò che le era stato detto era esattamente vero. Ma

rimane ancora la più strana parte della storia. Quando la donna porto dal

veggente il marito, questi sussulto per lo stupore e poi confesso a sua moglie

che in un certo giorno (lo stesso in cui ella aveva consultato la persona in

questione) egli si trovava in un caffè di Londra (lo stesso che lei aveva sentito

nominare) e quell’uomo stesso gli si era avvicinato e gli aveva detto che sua

moglie era in grande ansietà per lui; allora il capitano aveva risposto

spiegando allo straniero perché il suo ritorno era stato ritardato e perché non

aveva scritto, dopo di che l’uomo se ne andò ed egli lo perse di vista tra la folla

(1).

La storia, tuttavia, era giunta a Stilling passando per varie mani, ed era

autenticata molto vagamente. Fu portata dall’America da un tedesco che era

emigrato negli Stati Uniti e che aveva gestito per alcuni anni alcuni mulini del

Delaware. Al suo ritorno in Germania la riferì a un amico di Stilling, dal quale

lo stesso Stilling ne ebbe notizia. Ma non furono dati né nomi né date esatte; e

 

240

non si sa nemmeno se l’emigrante tedesco ebbe il racconto direttamente dal

capitano o da sua moglie.

E’ evidente che un tale racconto, venendoci senza migliori garanzie

(sebbene possiamo ammettere la completa buonafede di Stilling) non può

essere ragionevolmente accettato come valido.

Tuttavia dobbiamo notare che questa storia, nei suoi particolari, non è di

molto più notevole di quella del sogno di Joseph Wilkins o del caso di Mary

Goffe, entrambi già presentati nel capitolo sui sogni. Se è vera, rientra

evidentemente nella stessa classe, con questa variante: che i fenomeni, nei

due casi riferiti, avvennero spontaneamente, mentre, secondo la narrazione di

Stilling, furono prodotti dalla volontà del soggetto e potevano essere ripetuti a

piacere.

Posso invece garantire come perfettamente autentico il seguente racconto.

APPARIZIONE IN IRLANDA

Nell’estate del 1802, viveva nell’Irlanda meridionale un ecclesiastico della

Chiesa di Stato, il reverendo ..., poi arcidiacono di ..., oggi defunto. La sua

prima moglie, donna di grande bellezza, sorella del Governatore di ..., era

allora vivente. Aveva partorito da poco e stentava a riprendersi. La loro

residenza - una vecchia casa situata in un vasto giardino - confinava con un

lato del parco del vescovato di ... Ne era separata da un muro nel quale si

apriva una porta privata.

Il reverendo ... era stato invitato a desinare dal vescovo; e, poiché sua

moglie, sebbene a letto, non sembrava star peggio del solito, accetto l’invito.

Tornando dal palazzo del vescovo verso le dieci, entro nella propria residenza

dalla porta privata suddetta. Vi era un bel chiaro di luna. Nell’uscire da una

cinta di cespugli sul viale del giardino, gli parve di vedere, in un altro viale

parallelo a quello in cui si trovava, e a non più di dieci o dodici piedi da lui, la

figura di sua moglie nel suo abito consueto. Stupito, attraverso il terreno e le

si mise di fronte. Era sua moglie. O, per lo meno, egli distinse i suoi

lineamenti nel chiaro di luna, nettamente come in ogni altra occasione. «Che

fai qui?» chiese. Ella non rispose, ma si ritrasse voltando a destra, verso un

orticello su uno dei lati della casa. Vi erano là alcuni filari di piselli stecconati

e cresciuti così da nascondere chiunque vi passasse accanto. La figura girò

attorno a una estremità di essi. Il reverendo ... la seguì rapido e sempre più

stupito e preoccupato, ma, quando raggiunse lo spazio aperto oltre i piselli,

non vide più alcuno. Poiché non vi era alcun luogo in cui, in così breve tempo,

avrebbe potuto nascondersi, il marito concluse che quella che aveva visto era

 

241

un’apparizione e non sua moglie. Tornò alla porta principale e, invece di

valersi come al solito della sua chiave, suonò il campanello. Mentre era sui

gradini, prima che venissero ad aprire, guardandosi intorno vide la stessa

figura all’angolo della casa. Quando il domestico aprì la porta, il reverendo gli

chiese come stesse sua moglie. «Purtroppo, signore», rispose l’uomo, «non

sta molto bene. Ho mandato a chiamare il dott. Osborne». Il reverendo ...

corse su per le scale e trovò a letto sua moglie, molto peggiorata e assistita

dall’infermiera, che non l’aveva lasciata per tutta la sera. Da quel momento

ella peggiorò gradatamente e dodici ore dopo era spirata.

Quanto sopra mi fu comunicato dal signor ..., ora in Canada, figlio

dell’arcidiacono (2). Egli aveva così spesso sentito raccontare l’episodio da suo

padre che ogni particolare gli era rimasto impresso nella memoria. Gli chiesi

se suo padre gli avesse mai detto che, durante la sua permanenza al vescovato,

sua moglie si fosse addormentata, o fosse caduta in stato di svenimento o di

trance, ma su questo egli non seppe darmi alcuna informazione. E’ un

peccato che non sia stato osservato e annotato. La moglie sapeva dove era suo

marito e per quale strada sarebbe tornato. Possiamo immaginare, ma non

dimostrare, che sia stato un caso simile a quello di Mary Goffe: l’apparenza

della moglie, come quella della madre, si mostrarono là dove erano diretti i

loro pensieri e i loro affetti.

Devo il seguente racconto alla gentilezza di un’amica, la signora D., oggi a

Washington, figlia di un ecclesiastico di nota reputazione recentemente

defunto.

DUE APPARIZIONI DI PERSONE VIVENTI, NELLA STESSA CASA, LO STESSO

GIORNO

«Dimorai per parecchi anni in una grande e vecchia casa, di due piani, ben

situata, tra alberi di frutta e cespugli, sulle rive dell’Ohio, nella contea di

Switzerland, Indiana. Due verande, una sotto e una sopra, a cui conducevano

scale esterne, correvano per tutta la lunghezza della casa dalla parte del

fiume. Queste, e in particolare quella superiore con il suo bel panorama,

erano il ritrovo comune della famiglia.

«Il 15 settembre 1845, la mia sorella più giovane, J., si sposò e venne con

suo marito, il signor H. M., a passare una parte della sua luna di miele nella

nostra bella dimora.

«Il 18 dello stesso mese, andammo, dietro invito, a passare il giorno in una

casa di amici distante circa un miglio. Verso il crepuscolo, poiché i miei due

piccoli divenivano inquieti, decidemmo di tornare a casa. Dopo avere atteso

 

242

un po’ il marito di mia sorella, che era andato a fare una visita in un villaggio

vicino, vedendo che non tornava ci mettemmo in cammino senza di lui.

Arrivati a casa, mia sorella, che occupava una stanza al piano superiore, mi

disse che andava a togliersi l’abito da passeggio e mi precedette di sopra,

mentre io rimanevo giù per mettere a letto i miei piccoli pieni di sonno.

Ricordo che la luna, in quel momento, era in tutto il suo splendore.

«Improvvisamente, dopo uno o due minuti, mia sorella si precipitò nella

stanza torcendosi le mani per la disperazione e piangendo amaramente. “Oh,

sorella, sorella!” esclamò. “Lo perderò, lo perderò! Hugh sta per morire”.

Sbigottita, chiesi che cosa fosse avvenuto; e allora, tra i singhiozzi, mi riferì

come segue la causa della sua agitazione:

«Appena salita nella loro camera, aveva visto suo marito seduto

all’estremità della veranda superiore, col cappello in testa, un sigaro in bocca

e i piedi sulla ringhiera, che sembrava stare godendosi la fresca brezza del

fiume. Supponendo che fosse tornato prima di lei, gli si avvicinò dicendo:

“Quando sei arrivato qui, Hugh? Perché non sei tornato per venire a casa con

noi?”. Poiché non dava risposta, gli si era avvicinata e stava per mettergli le

braccia al collo quando, con suo terrore, la figura svanì e la sedia rimase

vuota. Aveva avuto solo la forza (tale era stato il colpo subito) di scendere le

scale e riferirmi ciò che aveva suscitato in lei un atterrito presagio di morte.

«Solo due ore più tardi, quando mio cognato tornò realmente, ella poté

ritrovare la sua tranquillità. Allora ci rianimammo e la prendemmo in giro, e

dopo un po’ di tempo l’incidente ci era uscito di mente.

«Prima di questo, tuttavia - e precisamente circa un’ora prima del ritorno

di Hugh - mentre eravamo in salotto, al piano di sotto, vidi un ragazzo di circa

sedici anni, guardar dentro dalla porta. Era un giovanotto che mio marito

faceva lavorare nel giardino e intorno alla casa, e che, nelle ore libere, si

divertiva moltissimo a far giocare il mio figlioletto Franck, che gli era molto

caro. Era vestito, come al solito, di un abito turchino, con un vecchio cappello

di foglie di palma senza fascia, e venne avanti col suo solito modo timido

facendo uno o due passi; poi si fermò guardandosi intorno come se cercasse

qualche cosa. Supponendo che stesse cercando i bambini, gli dissi: “Silas,

Franck è a letto e dorme da un pezzo”. Non rispose e, voltatosi col tranquillo

sorriso che gli era solito, lasciò la stanza; dalla finestra, vidi che si tratteneva

presso la porta principale, camminando su e giù un paio di volte davanti a

essa. Se, in seguito, mi fosse stato chiesto di deporre su giuramento davanti a

un tribunale di aver visto il ragazzo entrare e poi lasciare la stanza e anche di

averlo visto passare e ripassare davanti alla finestra del salotto, avrei giurato

tutto questo senza la minima esitazione. Ma, a quanto sembra, avrei giurato il

falso.

 

243

«Perché, poco dopo, mio marito, entrando, disse: “Mi domando dov’e

Silas”.

«“Dev’essere da queste parti”, gli risposi. “Era qui pochi minuti fa e gli ho

parlato”. Allora il signor D. uscì e lo chiamò, ma nessuno rispose. Lo chiamò

per tutta la casa e poi nella sua stanza, sempre invano. Silas non si trovò, non

si fece vedere per quella notte e non era in casa nemmeno il mattino seguente

quando ci alzammo.

«All’ora della colazione comparve. “Dove sei stato, Silas?” chiese il signor

D.

«Il ragazzo rispose di essere andato sull’isola a pescare.

«“Ma”, dissi, “ieri sera eri qui”.

«“Oh no,” rispose col semplice accento della verità. “Ieri il signor D. mi ha

dato il permesso di andare a pescare; e io ho capito che non c’era bisogno che

tornassi fino al mattino: così sono rimasto fuori tutta la notte. Da ieri mattina

non sono stato da queste parti.”

«Non potrei dubitare della parola del ragazzo. Non aveva alcun motivo per

ingannarci. L’isola di cui parlava era distante due miglia dalla nostra casa; e,

in queste circostanze, venni alla conclusione che, come nel caso di mia sorella,

suo marito era apparso in un luogo in cui non era, così pure nel caso del

ragazzo avevo visto solo la sua apparenza e non la persona reale. E’ veramente

strano che entrambi gli incidenti siano avvenuti nella stessa casa e nello

stesso giorno.

«Devo aggiungere che l’impressione di mia sorella, che l’apparizione di suo

marito fosse presagio di morte non risultò vera. Egli le sopravvisse; e nella

famiglia non accadde alcuna disgrazia che potesse essere collegata con

quell’apparizione.

«Neppure Silas morì; né, per quanto ne sappia, gli accadde qualche cosa di

inconsueto» (3).

Questo caso è, per più aspetti, molto valido, Evidentemente non vi fu alcun

legame tra l’apparizione di una sorella e quella dell’altra. Né vi fu alcuno

stimolo prima delle apparizioni. In ogni caso l’esperienza, per quanto si possa

giudicare dai sensi, fu netta come se fosse stata presente la persona reale. La

narratrice dice esplicitamente che avrebbe giurato senza esitazione davanti a

un tribunale la presenza del giovane Mas. La sorella si rivolse all’apparenza

del marito, per quanto inattesa, senza alcuna esitazione. La teoria

dell’allucinazione potrebbe spiegare entrambi i casi; ma, comunque, il

fenomeno è tale da sfidare l’attenzione di un giudice come quella di uno

psicologo. Se apparenze che, come queste, imitano così esattamente la realtà,

 

244

possono talora ingannare i sensi umani, la loro eventuale presenza non

dovrebbe essere ignorata nello stabilire, le leggi delle prove. Certo si può, in

ogni caso, presumere molto contro di esse. Tuttavia si sono dati casi in cui un

alibi esaurientemente provato e tuttavia contrastante con non meno

impeccabili prove, ha decisamente sconcertato i tribunali. Un esempio citato e

garantito dalla signora Crowe, senza tuttavia citare la sua fonte, e che io stesso

non ho verificato, è in sostanza il seguente:

Negli ultimi anni del secolo scorso, nella città di Glasgow, in Scozia, una

cameriera, che si sapeva avere avuto illeciti rapporti con l’apprendista di un

chirurgo, scomparve improvvisamente. Poiché non vi erano circostanze che

portassero a sospettare un delitto, non venne condotta su di lei alcuna

particolare indagine,

In quei tempi, nelle città scozzesi, non era permesso ad alcuno di mostrarsi

per strada o in pubblico durante le ore del servizio divino; e questa

proibizione era rafforzata dalla presenza di ispettori autorizzati a prendere i

nomi dei trasgressori.

Due di questi ispettori, facendo il loro giro, giunsero a un muro che

costituiva il confine più basso del «Verde», come veniva chiamato il

principale parco pubblico della città. Lì, sdraiato sull’erba, videro un giovane

in cui riconobbero l’assistente del chirurgo. Gli chiesero perché non fosse in

chiesa e si misero a registrare il suo nome; ma, invece di tentare una scusa,

egli si limitò ad alzarsi dicendo: «Sono un miserabile: cercate nell’acqua!».

Poi scavalcò uno steccato ed entrò in un sentiero che portava alla via

Rutherglen. Gli ispettori, stupiti, andarono al fiume, dove trovarono il corpo

di una giovane, che fecero trasportare in città. Mentre lo accompagnavano

nelle vie cittadine, passarono davanti a una delle principali chiese di dove, in

quel momento, usciva la congregazione, e nella folla scorsero l’apprendista.

Ma questo non li sorprese, pensando che aveva avuto il tempo di fare un giro

ed entrare in chiesa verso la fine della funzione.

Il corpo risultò essere quello della ragazza scomparsa. Fu trovata incinta,

ed era stata evidentemente uccisa con uno strumento chirurgico, che era

rimasto impigliato nella sua veste. L’apprendista, che era stato l’ultima

persona vista in compagnia di lei prima della sua scomparsa, fu arrestato e, in

seguito alla testimonianza degli ispettori, sarebbe stato riconosciuto

colpevole, se durante il giudizio, non avesse presentato un alibi

incontrovertibile, dimostrando, oltre ogni possibile dubbio, di essere stato in

chiesa durante l’intero servizio. Venne quindi assolto. L’opinione pubblica del

tempo ne fu profondamente commossa, ma tutti gli sforzi fatti per ottenere

una spiegazione naturale fallirono (4).

 

245

Se questa storia può essere creduta, è conclusiva. Entrambi gli ispettori

videro, o credettero di vedere, la stessa persona; una persona che non stavano

cercando e che non si aspettavano di trovare in quel luogo. Entrambi udirono

le stesse parole, che li diressero al fiume e permisero loro di scoprire la salma:

la salma, per di più, di una ragazza con cui l’apprendista era stato nelle

relazioni più intime e sospette, sia che ne fosse stato l’assassino o no. Quando

mai un’allucinazione portò a scoperte simili?

Nel caso seguente, se si tratto di allucinazione, furono ingannati due sensi.

VISTA E UDITO

Nell’inverno del 1839-40, il dott. J. E. viveva, con sua zia, la signora L. in

una casa della Quattordicesima Strada, presso New York Avenue, nella città di

Washington.

Un giorno, salendo dal terreno al salotto, vide sua zia che scendeva le scale.

Indietreggiò per lasciarla passare, cosa che ella fece passandogli vicino, ma

senza parlare. Egli salì immediatamente le scale ed entrò nel salotto, dove

trovò la zia che sedeva tranquilla accanto al fuoco.

La distanza dal punto in cui aveva visto dapprima la figura a quello in cui la

zia stava realmente seduta era da trenta a quaranta piedi. La figura appariva

vestita esattamente come lei, ed egli aveva udito distintamente il fruscio delle

sue vesti mentre passava.

Poiché la figura, nello scendere le scale e nel passare davanti al dott. E.,

aveva tutte le apparenze di una persona reale, e poiché il fatto era avvenuto in

pieno giorno, il dott. E. pensò a lungo che, se non si era trattato di semplice

allucinazione, poteva essere un presagio di morte; ma nulla avvenne che

giustificasse questa previsione (5).

L’esempio successivo è molto più conclusivo dei precedenti, eccetto la

narrazione della signora Crowe.

APPARIZIONE DI UN VIVENTE (VISTA DA MADRE E FIGLIA)

Nel mese di maggio dell’anno 1840, il dott. D., noto medico di Washington,

risiedeva con sua moglie e con sua figlia Sarah (adesso signora B.) nella loro

casa di campagna presso Piney Point, in Virginia, un piacevole buon ritiro per

i mesi estivi.

 

246

Un pomeriggio, verso le cinque, le due signore passeggiavano in un

boschetto non lungi dalla casa, quando, a una certa distanza, videro sulla

strada un signore che veniva verso di loro. «Sally», disse la signora D., «ecco

tuo padre che ci viene incontro». «Credo di no», rispose la figlia, «non può

essere papà: questo non è alto come lui».

Quando il signore si fu avvicinato, il giudizio della figlia venne confermato.

Le due signore si accorsero che non era il dott. D., ma un certo Thompson, un

signore che conoscevano bene e che, in quel periodo, sebbene esse non lo

sapessero, era un paziente del dott. D. Esse notarono anche, mentre si

avvicinava, che era vestito con una giacca turchina, panciotto di seta nera e

calzoni e cappello neri. Inoltre, confrontando in seguito le loro osservazioni, le

due signore, a quanto sembra, avevano notato che la sua biancheria era

particolarmente fine e che tutto il suo abbigliamento sembrava

particolarmente accurato.

Venne così vicino che esse stavano per rivolgergli la parola; ma in quel

momento si fece da parte, come per lasciarle passare, e poi, mentre gli

occhi delle due signore erano su di lui, improvvisamente scomparve.

Possiamo immaginarci lo stupore della signora D. e di sua figlia. Potevano

appena credere ai loro occhi. Si soffermarono per un poco sul luogo, come

aspettandosi di vederlo riapparire; poi, con quello strano sentimento che

sopravviene in noi quando siamo stati testimoni di qualche cosa di inaudito e

di incredibile, si affrettarono verso casa.

Più tardi seppero dal signor D. che il suo paziente, signor Thompson,

seriamente indisposto, era costretto al letto e che non aveva lasciato la

sua stanza e nemmeno il letto per tutto il giorno.

Sarà opportuno notare che, sebbene il signor Thompson fosse in familiarità

con le signore e da loro molto rispettato come uomo degno di stima, non vi

erano ragioni per cui esse dovessero interessarsi a lui più che a qualsiasi altro

amico o conoscente.

Questo racconto è di indubbia autenticità. Fu comunicato a Washington

nel giugno 1859 dalla stessa signora D., e il manoscritto, sottoposto alla sua

revisione, fu giudicato esatto. E’ stato più volte riferito, dalla madre e dalla

figlia alla signora - loro amica - che per prima me ne diede notizia.

Che dobbiamo pensarne? Quale elemento di autenticità sembra mancare? I

fatti sono relativamente recenti e sono stati riferiti da coloro stessi che hanno

osservato il fenomeno. Le circostanze escludono anche l’ipotesi della

suggestione. Le parole della madre alla figlia furono: «Ecco tuo padre che ci

viene incontro». La figlia dissenti notando che si trattava di un uomo più

basso. Quando l’apparenza si avvicina, entrambe le signore riconoscono la

 

247

stessa persona e con tale sicurezza che si fanno avanti per incontrarla e

parlarle, senza il minimo sospetto. Fu evidentemente un’apparenza vista

indipendentemente dalle due osservatrici.

Inoltre fu vista in pieno giorno e senza che influisse alcuna eccitazione. Le

signore facevano una tranquilla passeggiata pomeridiana. Non vi era alcuna

paura che le accecasse, alcuna ansietà o emozione che potessero creare (come

gli scettici vorrebbero immaginare) il fantasma dell’assente. L’incidente è di

carattere molto comune: il signore che esse vedono avanzarsi, è una loro

qualsiasi conoscenza - in quel momento malata, è vero; ma anche questo fatto

era loro sconosciuto. Entrambe continuano a vederlo finché è a distanza da

potergli parlare. Entrambe osservano il suo abito nei più minuti particolari,

così che la stessa precisa serie di impressioni agisce sui sensi dell’una e

dell’altra. Ed esse lo accertano con un successivo confronto delle loro

sensazioni.

Né lo perdono di vista in modo dubbio o durante un momento di

distrazione. Egli scompare davanti ai loro occhi nel momento stesso in cui

esse stavano per rivolgergli la parola.

Come è forte, in questo caso, la prova presuntiva contro l’allucinazione!

Anche mettendo da parte la teoria dei libri, che non esistono allucinazioni

collettive, come potremmo immaginare che, nello stesso momento, senza

suggestione alcuna, né aspettativa, né eccitazione di qualsiasi genere, potesse

essere prodotta, sul cervello di due persone diverse, una percezione della

stessa immagine, minutamente particolareggiata, senza che un oggetto

esterno la producesse? In questo caso, quell’immagine fu impressa nella

retina sia della madre che della figlia? Come può essere se nel mondo esterno

non vi era nulla che potesse imprimerla? Oppure non vi fu alcuna immagine

sulla retina? Fu un’impressione puramente soggettiva? Fu una falsa

percezione dovuta a indisposizione? Ma tra i milioni di impressioni che

possono essere prodotte, se solo l’immaginazione è l’agente creativo, quanto

infinite sono le probabilità contro il fatto che, di questi milioni, solo questo

particolare oggetto si presentasse in due casi indipendenti! Non solo una

particolare persona, vestita in un particolare modo, ma che tale persona

avanzasse lungo la via, si avvicinasse fino a pochi passi dalle osservatrici e poi

sparisse! E anche questo non è il limite delle probabilità contrarie. Non solo vi

è identità di oggetto, ma anche perfetta coincidenza di tempo. Le due signore

percepiscono la stessa cosa nello stesso momento; e questa coincidenza

continua per alcuni minuti.

Qual è la conclusione naturale e necessaria? Che vi fu un’immagine

prodotta sulla retina, e che vi fu una realtà oggettiva che la produsse.

 

248

Può sembrare meraviglioso, può sembrare difficile a credersi che

l’apparenza di un essere umano, nel suo abito consueto, possa presentarsi

quando questo essere umano non c’è. Ma sarebbe una cosa mille volte più

meravigliosa, diecimila volte più difficile a credersi che la fortuita azione di

una indisposizione, disponendosi liberamente nell’infinita varietà di

contingenze possibili, produca, per puro caso, una massa di coincidenze tale

da creare, in questo caso, la parallela e contemporanea sensazione della

madre e della figlia.

Potrei addurre qui un esempio che molti scrittori hanno citato; e

precisamente l’apparizione al dott. Donne, a Parigi, di sua moglie con i capelli

sciolti e un bambino morto fra le braccia, nello stesso giorno e nella stessa ora

in cui ella si sgravava di un bambino nato morto a Drewry House, residenza

del patrono del dott. Donne, Sir Robert Drewry, allora ambasciatore alla

Corte di Francia. E’ riferito e garantito dallo “onesto Izaak”, come gli amici

usavano chiamare l’autore di The Compleat Angler (Il perfetto pescatore)

(6); ma risale a duecento cinquant’anni fa. Preferisco dunque passare al

seguente episodio, di data più recente e di diretta autenticazione.

APPARIZIONE IN MARE

Nell’autunno del 1857, il signor Daniel M., un giovane americano, dopo

avere viaggiato per la Germania, tornava negli Stati Uniti su di una nave

postale di Brema.

Una sera di tempesta sua madre, signora A.M., che viveva presso New

York, sapendo che probabilmente suo figlio era allora in mare, divenne molto

preoccupata per lui, e pronunciò una segreta preghiera per la sua salvezza.

In quel tempo viveva con lei una sua nipote, di nome Louisa, la quale era

solita ricevere impressioni di carattere, per così dire, chiaroveggente. La

nipote aveva udito le espressioni di spavento della zia, ma, come il resto della

famiglia, ignorava che i suoi timori si fossero tradotti in una preghiera per la

salvezza del cugino. Il giorno dopo la tempesta, ella ebbe un’impressione così

viva e distinta che fu indotta a metterla per iscritto. L’impressione era che sua

zia non aveva ragione di temere poiché l’oggetto della sua ansietà era in salvo

e, nell’ora stessa della precedente sera, in cui la madre aveva così

fervidamente pregato per lui in segreto, suo figlio, nella sua cabina, si

era reso conto della presenza di lei.

Il giorno stesso lesse questo alla zia, pensando che potesse esserle di

conforto.

 

249

Poi attese con grande ansietà il ritorno del cugino, che avrebbe risolto i

suoi dubbi sulla verità o meno della misteriosa impressione relativa a lui.

Egli arrivò tre settimane più tardi, salvo e in buona salute; ma durante il

pomeriggio e la sera che seguirono il suo arrivo, nessuna allusione venne fatta

da alcuno alle circostanze narrate. Quando il resto della famiglia fu andato a

letto, Louisa rimase proponendosi di interrogare il cugino sull’argomento.

Egli era uscito, ma dopo pochi minuti tornò in salotto, andò all’estremità

opposta del tavolo, dove lei era seduta, con aspetto agitato, e, prima che lei

potesse pronunciare una parola, disse molto commosso: «Cugina, devo dirti

una cosa molto notevole che mi è capitata». E, così dicendo, con grande

meraviglia di lei, scoppiò in lacrime.

Lei si rese conto che la soluzione dei suoi dubbi era vicina; e così risultò.

Egli le disse che una notte, durante il viaggio, subito dopo essersi coricato,

aveva visto sul lato della cabina opposto alla sua cuccetta, l’immagine di sua

madre. Era simile a una persona reale in modo così impressionante, che egli

si alzò e le andò vicino. Tuttavia non riuscì a toccarla, convincendosi così che

era solo un’apparizione. Ma, tornato nella sua cuccetta, l’aveva vista ancora

come prima per alcuni minuti.

Confrontando le note, fu accertato che la sera in cui il giovane aveva visto

l’apparenza di sua madre in mare, era stata la stessa in cui ella aveva così

ferventemente pregato per la sua salvezza: e la stessa che sua cugina Louisa

aveva indicato per scritto, tre settimane prima, come quella in cui era

avvenuta l’apparizione in questione. E, per quanto potessero appurarlo, anche

l’ora corrispondeva.

Questo racconto mi fu comunicato (7) dalle due signore interessate, la zia e

la nipote, che erano insieme quando me lo raccontarono. Sono persone

intelligenti e colte. Le conosco bene e so che si può dare completo credito alle

loro affermazioni.

In questo caso, come in quello in cui l’apparizione del signor Thompson si

mostrò alla madre e alla figlia, vi sono due persone che ebbero sensazioni

coincidenti: Louisa ebbe l’impressione che suo cugino fosse conscio della

presenza di sua madre, e il cugino ebbe questa stessa coscienza. Diversamente

dal signor Thompson, il cugino era a molte centinaia di miglia distante

dall’una e dall’altra. Una suggestione era impossibile e così pure un qualsiasi

errore da ripensamento. Louisa affidò la propria impressione a uno scritto,

nel momento stesso, e lo lesse alla zia. Lo scritto rimase, reale e preciso, come

prova di quell’impressione. E la giovane non fece domande al cugino per

avere conferma o diniego delle sue sensazioni relativamente a lui. Egli stesso

espose spontaneamente la sua storia; e le sue lacrime di commozione

attestarono l’impressione che l’apparizione gli aveva fatto.

 

250

Come ognuno può vedere, la coincidenza casuale era fuori questione.

Bisogna cercare altre spiegazioni.

La narrazione seguente, di vita marinara, ci presenta coincidenze

indubbiamente prodotte da un agente diverso dal caso.

IL SALVATAGGIO

Il signor Robert Bruce, che discendeva da qualche ramo della famiglia

scozzese di tal nome, era nato, in umili condizioni, verso la fine del secolo

scorso a Torbay, nell’Inghilterra meridionale, ed educato alla vita marinara.

A circa trent’anni, e cioè nel 1828, era ufficiale in seconda su di una nave

mercantile che navigava tra Liverpool e St. John nel New Brunswick.

In uno dei suoi viaggi verso ovest, dopo cinque o sei settimane di

navigazione, in vicinanza del lato orientale dei Banchi di Newfoundland, il

capitano e il secondo erano sul ponte, a mezzogiorno, facendo osservazioni

solari; dopo di che scesero per calcolare la rotta di quel giorno.

La cabina, piuttosto piccola, era immediatamente a poppa, e la breve scala

che vi scendeva, correva da un fianco all’altro della nave. Immediatamente di

fronte a questa scala, subito dopo un piccolo pianerottolo quadrato, c’era la

cabina del secondo, e sul pianerottolo v’erano due porte vicine, l’una che si

apriva verso poppa nella cabina del capitano, l’altra, di fronte alle scale, che

dava nella cabina del secondo. In questa cabina, lo scrittoio era nella parte

anteriore, presso la porta, così che chi vi stesse seduto, guardando di fianco,

poteva vedere nella cabina del capitano.

Il secondo, assorto nei suoi calcoli, che non tornavano come si aspettava e

che differivano considerevolmente dalle sue congetture, non aveva badato a

quello che faceva il capitano.

Quando ebbe portato a termine il calcolo, gridò senza guardarsi attorno:

«La latitudine e la longitudine mi risultano così e così. E’ giusto? A voi come

risultano?».

Non ricevendo risposta, ripeté la domanda guardando di fianco e vedendo,

a quanto gli parve, il capitano occupato a scrivere sulla sua lavagna. Di nuovo

nessuna risposta. Allora si alzò, e, quando fu di fronte alla porta della cabina

del capitano, la figura che aveva preso per il capitano stesso alzò la testa e

mostrò allo stupito secondo i lineamenti di un perfetto sconosciuto.

Bruce non era un codardo; ma, il vedere quello sguardo fisso, diretto verso

di lui in solenne silenzio, e la certezza che si trattava di qualcuno che non

 

251

aveva mai visto, erano troppo per lui. E, invece di fermarsi a interrogare

l’intruso, salì sul ponte in uno stato di così evidente allarme che il capitano se

ne accorse subito. «Bene, signor Bruce», disse, «che diavolo succede?».

«Che succede, signore? Chi è quel tale alla vostra scrivania?».

«Nessuno, che io sappia».

«Ma c’è, signore: c’e un estraneo!».

«Un estraneo? Andiamo, avrete sognato. Avrete visto il dispensiere o il

vostro secondo. Chi sarebbe andato là senza ordini?».

«Ma, signore, era seduto sulla vostra poltrona, davanti alla porta, e

scriveva sulla vostra lavagna. Poi mi ha guardato in faccia; e non ho mai visto

un uomo chiaramente e distintamente come ho visto lui».

«Lui chi?».

«Lo sa Dio, signore; io no. Ho visto un uomo, e un uomo che non avevo

mai visto in vita mia».

«State diventando matto, signor Bruce. Un estraneo dopo circa sei

settimane di navigazione!».

«Lo so, signore, ma lo ho visto».

«Andate giù a vedere chi è».

Bruce esitò. «Non ho mai creduto negli spettri», disse, «ma se devo dire la

verità, preferirei non andarci solo».

«Su, su. Scendete subito e non fatevi deridere dall’equipaggio».

«Spero che mi abbiate sempre trovato pronto a fare il ragionevole», rispose

Bruce cambiando colore; «ma, se non avete nulla in contrario, signore,

preferirei che ci andassimo insieme».

Il capitano scese la scala e il secondo lo seguì. Nella cabina non c’era

nessuno. Esaminarono le altre cabine. Non c’era anima viva.

«Bene Bruce», disse il capitano, «non ve l’avevo detto che avete sognato?».

«E’ facile a dirsi signore; ma se non ho visto quell’uomo scrivere sulla

vostra lavagna possa non rivedere più la mia casa e la mia famiglia».

«Ah, scrivere sulla lavagna! Allora lo scritto ci sarà ancora». E così dicendo

il capitano la prese.

«Perdio!» esclamò. «Ecco qualche cosa di sicuro. Lo avete scritto voi,

signor Bruce?».

Il secondo prese la lavagna; e lì, in chiari caratteri, si leggevano le parole:

«Fate rotta a nord-ovest».

 

252

«Avete voluto scherzare con me, signore?» chiese il capitano con aria

severa.

«Sulla mia parola di uomo e di marinaio», rispose Bruce, «ne so quanto

voi. Vi ho detto l’esatta verità».

Il capitano si sedette alla scrivania con la lavagna davanti, pensieroso. Poi,

rovesciata la lavagna e porgendola a Bruce, disse: «Scrivete “Fate rotta a

nord-ovest”». Il secondo obbedì; e il capitano, dopo avere confrontato

attentamente le due scritture, aggiunse: «Signor Bruce, andate a dire al vostro

secondo di venire qui».

Quello venne e il capitano chiese anche a lui di scrivere le stesse parole. E

così pure fecero il dispensiere e, l’uno dopo l’altro, tutti gli uomini

dell’equipaggio che sapevano scrivere. Ma nessuna delle varie calligrafie

assomigliava a quella dello scritto.

Quando l’equipaggio si fu ritirato, il capitano si mise a pensare. «Può

esserci qualche clandestino?» chiese infine. «Bisogna cercare per tutta la

nave, e se non scovo quel tipo, deve essere molto bravo a giocare a

nascondino. Chiamate tutti gli uomini».

Fu rovistato in ogni angolo del vascello, da prua a poppa, con lo zelo di una

curiosità eccitata, poiché si era sparsa la voce che un estraneo era apparso a

bordo; ma non fu trovata anima viva eccetto l’equipaggio e gli ufficiali.

Tornando alla cabina dopo la vana ricerca, «Signor Bruce», disse il

capitano, «che diavolo pensare di tutto questo?».

«Non saprei che dire, signore. lo ho visto scrivere quell’uomo; voi avete

visto lo scritto. Ci dev’essere pur sotto qualche cosa».

«Bene, vedremo. Andate sul ponte e fate volgere la rotta a nord-ovest. E,

signor Bruce», aggiunse mentre il secondo si era alzato per andare, «fate

mettere una vedetta in coffa e che sia un uomo di cui vi possiate fidare».

Gli ordini vennero eseguiti. Verso le tre, la vedetta avvistò un iceberg dritto

a prua, e, poco dopo, quello che gli sembrava un vascello presso di esso.

Nell’avvicinarsi, il capitano, con il suo cannocchiale, scoprì che si trattava

di una nave smantellata, apparentemente prigioniera dei ghiacci e con molti

uomini a bordo. Poco dopo si misero in panna lì presso e mandarono delle

scialuppe a rilevare i naufraghi.

Risultò che era un vascello di Quebec diretto a Liverpool con passeggeri a

bordo. Si era impigliato nei ghiacci rimanendovi bloccato, e aveva trascorso

parecchie settimane in una situazione molto critica. Era sfondato, col ponte

spezzato, un semplice rottame; tutte le provvigioni e quasi tutta l’acqua erano

finite. L’equipaggio e i passeggeri avevano perso ogni speranza di essere

 

253

salvati, e la loro gratitudine per l’inatteso salvataggio fu grande in

proporzione.

Mentre uno degli uomini che erano stati portati via con la terza scialuppa

che aveva raggiunto il rottame, stava salendo sul fianco della nave, il secondo,

datagli un’occhiata, trasalì sbigottito. Era lo stesso volto che aveva visto tre o

quattro ore prima fissarlo dalla scrivania del capitano.

Dapprima cercò di convincersi che doveva essere una fantasia; ma più

esaminava quell’uomo e più si sentiva sicuro di avere ragione. Non solo il

volto, ma la persona e il vestito corrispondevano esattamente.

Appena l’equipaggio esausto e i passeggeri affamati furono ristorati, e la

nave ebbe ripreso la sua rotta, il secondo chiamò a parte il capitano. «Sembra

che quello che ho visto non fosse uno spettro, signore: è un uomo vivo».

«Che intendete dire? Chi è vivo?».

«Ecco, signore, uno dei passeggeri che abbiamo appena salvato è lo stesso

uomo che ho visto scrivere a mezzogiorno sulla vostra lavagna. Lo giurerei in

tribunale».

«Sulla mia parola, signor Bruce, questa faccenda diventa sempre più

singolare. Andiamo a vedere quest’uomo».

Lo trovarono in conversazione con il capitano della nave salvata. Entrambi

si fecero avanti ed espressero la loro fervida gratitudine per essere stati

liberati da un destino orribile: una lenta morte di freddo e di fame.

Il capitano rispose di avere fatto solo quello che, certo, essi avrebbero fatto

per lui in simili circostanze, e li pregò di scendere nella sua cabina. Poi, voltosi

al passeggero, disse: «Spero, signore, che non penserete che voglia scherzare,

ma vi sarei molto obbligato se voleste scrivere poche parole su questa

lavagna». E gli porse la lavagna dal lato su cui non era la misteriosa scritta.

«Farò tutto quello che mi chiedete», rispose il passeggero. »Che cosa devo

scrivere?».

«Mi bastano poche parole. Per esempio: “Fate rotta a nord-ovest”».

Il passeggero, evidentemente incapace di capire il motivo di quella

richiesta, obbedì tuttavia sorridendo. Il capitano prese la lavagna e la esaminò

attentamente: poi si fece da parte così da nasconderla al passeggero, la

rovesciò e gliela restituì mostrandogli l’altro lato.

«Voi assicurate che è la vostra calligrafia?» chiese.

«Per forza», rispose l’altro, «mi avete visto scrivere».

«E questa?» chiese il capitano rovesciando ancora la lavagna.

 

254

L’uomo guardò prima un lato, poi l’altro, molto confuso. Alla fine chiese:

«Che significa questo? Io ho scritto da una arte sola. Chi ha scritto

sull’altra?».

«E’ quello che vorrei sapere. Il mio secondo dice che l’avete scritto voi,

seduto alla mia scrivania, oggi a mezzogiorno».

Il capitano della nave naufragata e il passeggero si guardarono

scambiandosi occhiate di intelligenza e di sorpresa; e il primo chiese all’altro:

«Avevate sognato di scrivere su questa lavagna?».

«No, che mi ricordi».

«Avete parlato di sogno», intervenne il capitano della nave. «Che cosa

faceva questo signore quest’oggi verso mezzogiorno?».

«Capitano», rispose l’altro, «tutta la faccenda è quanto mai misteriosa e

straordinaria, e io intendevo parlarvene appena avessimo avuto un momento

di calma. Questo signore, (e indicò il passeggero) «essendo molto stanco,

cadde in un sonno profondo, o in qualche cosa che sembrava tale, un poco

prima di mezzogiorno. Dopo un’ora o poco più si svegliò e mi disse:

“Capitano, saremo salvati quest’oggi stesso”. Quando gli chiesi su che cosa si

fondava per dirlo, rispose di avere sognato di trovarsi a bordo di una nave che

veniva in nostro aiuto. Descrisse il suo aspetto e la sua attrezzatura, e, con

nostro grande stupore, quando la vostra nave fu in vista corrispose

esattamente alla descrizione. Non avevamo riposto molta fede nelle sue

parole, tuttavia speravamo che ci potesse essere qualche cosa di vero perché,

lo sapete, quelli che stanno per annegare si aggrappano a ogni pagliuzza.

Vedendo come sono andate le cose non posso dubitare che tutto era stato

predisposto, in qualche modo incomprensibile, da una Provvidenza superiore

perché fossimo salvati. Grazie al Signore per la sua bontà».

«Non c’e dubbio», aggiunse l’altro capitano, «che questo scritto sulla

lavagna, comunque sia stato ottenuto, vi ha salvato. In quel momento io

facevo rotta sensibilmente a sud-ovest e la ho modificata a nord-ovest

mandando una vedetta in coffa per vedere cosa sarebbe successo. Ma voi

dite», e si rivolse al passeggero, «di non aver sognato di scrivere sulla

lavagna?».

«No, non ho alcun ricordo di averlo fatto. Ho avuto l’impressione che la

nave da me veduta in sogno venisse in nostro aiuto, ma come abbia avuto

questa impressione non saprei dirlo. E c’e un’altra cosa molto strana»,

aggiunse. «Tutto qui a bordo mi sembra famigliare, e tuttavia sono sicuro di

non avere mai visto la vostra nave prima di ora. Per me è tutto un enigma.

Che ha visto il vostro secondo?».

 

255

Allora il signor Bruce gli raccontò tutti i particolari che abbiamo detto. La

conclusione a cui infine arrivarono fu che vi era stato uno speciale intervento

della Provvidenza per salvarli da quella che sembrava una condizione

disperata.

Questa narrazione mi fu comunicata dal capitano J.S. Clarke, della goletta

«Julia Hallock» (8), che l’aveva saputa dallo stesso signor Bruce. Avevano

navigato insieme per diciassette mesi, negli anni 1836 e 1837; così che il

capitano Clarke ebbe la storia dal secondo circa otto anni dopo che avvenne.

Poi lo perse di vista e attualmente ignora se sia ancora vivo. Tutto quello che

sa di lui da quando navigavano insieme è che continuò ad andare nel New

Brunswick, che divenne capitano del brigantino «Comet» e che la nave andò

perduta.

Chiesi al capitano Clarke se aveva conosciuto bene Bruce e che uomo era.

«L’uomo più franco e leale che abbia conosciuto in vita mia», mi rispose.

«Eravamo come fratelli, e due uomini non possono stare insieme, chiusi per

diciassette mesi nella stessa nave, senza sapere se si possono fidare, l’uno

dell’altro. Egli parlò sempre della vicenda con rispetto, come di qualche cosa

che sembrava portarlo più vicino a Dio e al mondo al di là. Scommetterei la

mia vita che non ha mentito».

Si noterà che ho avuto questa storia solo di seconda mano, e riferita dopo

un intervallo di più di vent’anni da quando era stata raccontata al capitano

Clarke. Io non ho avuto modo di interrogare i principali testimoni. Quindi

qualche inesattezza, pur con le migliori intenzioni da parte di tutti gli

interessati, può esservisi insinuata. Tuttavia, la prova, pur con gli

inconvenienti accennati, è abbastanza diretta. E il capitano Clarke dà la

miglior prova di sincerità permettendomi di usare il suo nome come referenza

a sostegno di ciò che ho riferito.

Una prova di seconda mano, per quanto attendibile possa apparire,

potrebbe, a rigore, essere giudicata non conclusiva se la storia fosse unica. Ma

se ne troviamo altre, come ne abbiamo trovate, direttamente autenticate,

dello stesso genere, che forniscono le prove di fenomeni strettamente

analoghi a quelli che appaiono in questo racconto, non sembra esservi ragione

sufficiente per considerarla apocrifa, o rifiutarci di accettare la sua validità

mettendola da parte come vana fiaba di marinai.

Il racconto di Bruce, a esempio, non è caratterizzato da fenomeni più

meravigliosi di quelli presentati dalla seguente storia, di data molto più

recente e direttamente confermata dal testimonio principale.

 

256

LA MADRE MORENTE E IL SUO BAMBINO

Nel novembre del 1843, la signorina H., una giovanetta allora fra i tredici e

i quattordici anni, era in visita presso una famiglia di sua conoscenza, il

signore e la signora E., che risiedevano in una loro casa di campagna nel

Cambridgeshire, in Inghilterra. La signora E. si era ammalata e, poiché la

malattia cominciava a divenire seria, le fu raccomandato di andare a Londra

per consultare un medico. Così ella fece; e suo marito la accompagnò

lasciando a casa la loro ospite e i loro due bambini, di cui il più piccolo era

solo di dieci settimane.

Il viaggio, tuttavia, risultò inutile: la malattia si aggravò e così rapidamente

che, dopo un breve soggiorno nella metropoli, la paziente non fu più in grado

di affrontare il viaggio di ritorno.

Frattanto il minore dei bambini, la piccola Fannie, si ammalò e, dopo breve

malattia, morì. Scrissero immediatamente al padre, allora trattenuto presso

quello che sapeva essere il letto di morte di sua moglie, ed egli partì

immediatamente. La bambina morì il lunedì; il martedì arrivò il signor E.,

diede le disposizioni per il funerale e ripartì il mercoledì per tornare dalla

moglie, alla quale, tuttavia, celò la morte della piccola.

Il giovedì la signorina H. ricevette una sua lettera nella quale egli la

pregava di andare nel suo studio e di prendere dalla scrivania alcune carte che

gli urgevano. Nello studio vi era la bara e la salma della bambina. Mentre la

giovinetta si avviava là per eseguire la commissione, una delle domestiche le

disse: «Oh, signorina, non avete paura?». Lei rispose che non c’era nulla da

temere, ed entrò nello studio, dove trovò le carte richieste. Nel voltarsi per

dare uno sguardo alla piccola prima di lasciare la stanza, scorse, reclinata su

di un sofà lì vicino, la figura di una signora in cui riconobbe la madre.

Abituata fin dall’infanzia a vedere apparizioni ogni tanto, non si spaventò, ma

si avvicinò al sofà per accertarsi che fosse l’immagine della sua amica.

Fermatasi per alcuni minuti a due o tre piedi dalla figura, si assicurò della sua

identità. L’apparizione non parlò, ma, alzato un braccio, prima indicò il corpo

della bambina e poi accennò all’alto. Subito dopo, e prima che la visione

sparisse, la fanciulla lasciò la stanza.

Questo avvenne pochi minuti dopo le quattro del pomeriggio. La signorina

H. poté notare l’ora avendo sentito battere le quattro poco prima di entrare

nello studio.

Il giorno dopo, ricevette una lettera del signor E., il quale l’informava che

sua moglie era morta il giorno precedente (giovedì) alle quattro e mezza. E,

quando tornò pochi giorni dopo, egli affermò che la signora E. aveva perso

 

257

evidentemente la conoscenza prima di morire; ma, un attimo prima della fine,

come uscendo da un deliquio, aveva chiesto al marito «perché non le aveva

detto che la sua bambina era in cielo». Poiché egli rispondeva evasivamente

desiderando ancora celarle la morte della piccola per tema che il colpo

affrettasse quella di lei, ella gli disse: «E’ inutile che lo neghi, Samuel, perché

sono stata a casa proprio adesso e l’ho vista nella piccola bara.

Me ne dispiace per te, ma sono felice che sia andata in un mondo migliore,

perché la incontrerò presto là». Poco dopo spiro.

Questa narrazione mi fu riferita nel gennaio 1859 dalla signora che vide

l’apparizione. Ella è adesso moglie di un dotto professore e attiva e rispettata

madre di famiglia, senza alcun vano entusiasmo né tendenze visionarie. Abita

presso Londra (9).

Si noterà che, poiché la fanciulla entrò nello studio pochi minuti dopo le

quattro e la madre parlò della sua visita poco prima della morte, che avvenne

alle quattro e mezza, la coincidenza del tempo è esatta quanto può esserlo.

In questo racconto, come nella maggior parte di quelli che ci sono giunti

relativamente alle apparizioni di viventi, il soggetto era insensibile mentre

avveniva il fenomeno. Ma questo non sembra essere una condizione

necessaria. Si possono trovare esempi in cui non solo la persona della quale

appare il «doppio» non è addormentata né in trance, ma è presente al

momento dell’apparizione e ne è testimone lei stessa. Ho avuto la fortuna di

ottenere un esempio simile direttamente autenticato da due testimoni

presenti. Eccolo (10).

LE DUE SORELLE

Nel mese di ottobre 1833, il signor C., della cui famiglia vari membri sono

stati conosciuti e apprezzati nel mondo letterario, viveva in una casa di

campagna nella Contea di Hamilton, Ohio. Aveva appena portato a termine

una nuova residenza, a circa settanta o ottanta iarde da quella in cui abitava

allora, e intendeva trasferirvisi entro pochi giorni. La nuova casa si poteva

vedere benissimo dalla vecchia perché non vi si interponevano né alberi né

cespugli; ma i due edifici erano separati, a circa mezza strada, da una gola

piuttosto scoscesa. Un giardino si stendeva dalla vecchia casa fino all’orlo di

questa gola e la sua ultima estremità giungeva a una quarantina di iarde dal

nuovo edificio. Entrambe le costruzioni erano rivolte a ovest, su di una strada

pubblica, e il lato sud della vecchia abitazione era direttamente di fronte al

lato nord della nuova. Sul retro della nuova casa annessa era un’ampia cucina,

la cui porta si apriva a nord.

 

258

La famiglia, in quel tempo, comprendeva il padre, la madre, uno zio e nove

ragazzi. Una delle figlie maggiori, allora fra i quindici e i sedici anni, si

chiamava Rhoda; e un’altra, la penultima, Lucy, era fra i tre e i quattro.

Un pomeriggio di quel mese di ottobre, dopo una forte pioggia, il cielo si

era schiarito; e, fra le quattro e le cinque, era apparso il sole. Verso le cinque,

la signora C. uscì in un cortile sul lato sud dell’abitazione che occupavano, dal

quale, nel sole pomeridiano, si poteva distintamente vedere la nuova casa con

la cucina di cui abbiamo parlato.

Improvvisamente chiamò la figlia A. dicendole: «Che cosa sta facendo

Rhoda laggiù con la bambina fra le braccia? Dovrebbe saperlo che il tempo è

umido». A., guardando nella direzione indicata dalla madre, vide chiaramente

e inequivocabilmente, seduta in una sedia a dondolo, proprio sulla porta della

cucina della nuova casa, Rhoda con Lucy fra le braccia. «Strano!» esclamò.

«Solo pochi minuti fa le ho lasciate al piano di sopra». Dopo di che, andata in

cerca di loro, le trovò in una delle stanze superiori e le fece scendere. La

signora C. si unì a loro con altri membri della famiglia. Si può facilmente

immaginare il loro stupore e quello di Rhoda in particolare. Le figure erano

sedute sulla soglia, e le due fanciulle che adesso si trovavano effettivamente in

mezzo a loro, erano assolutamente identiche nell’aspetto e nei particolari dei

vestiti.

Passarono cinque minuti, senza che alcuno osasse trarre respiro, e le figure

erano sempre là; quella di Rhoda sembrava dondolarsi col movimento della

sedia su cui stava. Tutta la famiglia riunita, e ogni singolo membro di essa -

quindi dodici persone in tutto - videro le figure e le osservarono dondolarsi; e

si convinsero oltre ogni possibile dubbio che vi era là l’apparizione di Rhoda e

di Lucy.

Allora il padre, signor C., decise di andare sul luogo e trovare la spiegazione

del mistero; ma, avendo perso di vista le figure scendendo nella gola, quando

risalì l’altra sponda esse erano scomparse.

Frattanto la figlia A. si era spinta fino all’estremo più basso del giardino per

vedere meglio; ed il resto della famiglia era rimasto a guardare dal punto in

cui avevano osservato dapprima l’inesplicabile fenomeno.

Subito dopo che il signor C. ebbe lasciato la casa, tutti loro videro

l’apparenza di Rhoda alzarsi dalla sedia con la bambina fra le braccia e poi

sdraiarsi sulla soglia della porta della cucina; dopo essere rimasta così per un

minuto o due, sempre abbracciando la piccola, le due figure furono viste

lentamente sprofondare nascondendosi a ogni sguardo.

Quando il signor C. raggiunse l’entrata, non vi era traccia né apparenza di

esseri umani. La sedia a dondolò, che era stata portata nella cucina qualche

 

259

tempo prima, era ancora lì, proprio sulla porta, ma era vuota. Cercò

attentamente per tutta la casa, dalla soffitta alla cantina; ma non c’era nulla

da vedere. Osservò il fango, molle di pioggia, davanti all’uscita posteriore

della cucina, e tutt’intorno alla casa, ma non poté scoprire alcuna impronta di

piedi. Non c’erano nei pressi alberi né cespugli dietro i quali ci si potesse

nascondere, poiché la casa era eretta sul nudo fianco di una collina.

Il padre tornò dalla sua inutile ricerca e ascoltò rabbrividendo quello che la

famiglia, frattanto, aveva osservato. La cosa, come si può supporre, fece su di

loro una profonda impressione imprimendosi indelebilmente nelle menti di

tutti. Ma si cercò poi sempre di evitare ogni riferimento a essa, come cosa

troppo seria per divenire argomento di comune conversazione.

Io la ho avuta direttamente da due dei testimoni (11), la signorina A. e sua

sorella, signorina P. Entrambe mi dissero che i loro ricordi erano vivi come se

tutto fosse avvenuto poche settimane prima.

Non si ebbe mai un indizio per una qualsiasi spiegazione; a meno che non

si voglia considerare come tale il fatto che Rhoda, una fanciulla molto bella e

colta, a quel tempo nel fiore della salute, morì improvvisamente l’11 novembre

dell’anno seguente, e che Lucy, che a quel tempo stava pure benissimo seguì

la sorella il 10 dicembre dello stesso anno. Si noterà che entrambe le morti

avvennero in poco più di un anno dal giorno in cui la famiglia vide

l’apparizione delle due sorelle.

Vi è un seguito di questa storia, meno conclusivo, ma degno di essere

riferito.

La casa nuova, dopo un certo tempo, fu occupata da un figlio del signor C.

e, fin dai primi tempi cominciò ad avere la reputazione di essere, ogni tanto e

in modo non imponente, infestata. Il fenomeno più notevole avvenne così.

Un figlio del fratello del signor C., Alexander, di sette anni, stava un giorno

giocando, nel 1858, in una stanza del piano superiore, quando,

improvvisamente, notò una bambina dell’apparente età di quattro anni, con

un abito rosso acceso. Sebbene non l’avesse mai vista prima, le si avvicinò

sperando di avere una compagna di giuoco, quando d’un tratto ella sparì

davanti ai suoi occhi, o, come il fanciullo si espresse più tardi, «se ne andò

subito». Sebbene fosse un ragazzino ardito, si spaventò molto per questa

improvvisa scomparsa, e corse giù per le scale per riferirla, atterrito, alla

madre.

Ci si ricordò in seguito che, durante l’ultima malattia della piccola Lucy,

stavano preparando per lei un abito rosso che le piaceva molto, e lei era

ansiosa di vederlo finito.

 

260

Un giorno aveva detto a una sorella: «Finirete il mio abito anche se sono

malata, non è vero?». Al che la sorella aveva risposto: «Certo che lo finiremo,

cara; è naturale». «Oh, no che non è naturale», ribatté la bambina, «finirlo

bene». Questa espressione di cui risero al momento, valse a mantenere nella

famiglia il ricordo dell’ansia sempre mostrata dalla piccola malata per il suo

nuovo vestito rosso, che tuttavia non poté mai indossare.

E’ inutile aggiungere che il piccolo Alexander non aveva mai sentito parlare

di sua cugina Lucy, morta bambina venticinque anni prima. L’impressione

prodotta da questo incidente sulla mente del fanciullo, pur di carattere

audace, fu così profonda e durevole che, per mesi, nulla poté indurlo a entrare

in quella stanza.

Forse non dovremmo trascurare un indizio, anche lieve, come quello

suggerito da quest’ultimo incidente. La «passione dominante che si rafforza

nella morte» è divenuta un’espressione proverbiale; e, per una bambina di

quattro anni, il desiderio di un nuovo vestito rosso può prendere il posto di

più maturi desideri: dell’amore, per un giovane, dell’ambizione per un uomo

più maturo. Perché una fantasia fanciullesca, nutrita fino all’ultimo momento

della vita terrena, debba operare in un’altra fase dell’essere fino a modificare

un’apparenza spirituale, non è chiaro; forse è improbabile che sia così:

l’apparizione può non essere stata quella di Lucy; la coincidenza può essere

stata puramente fortuita. Tuttavia non sono sicuro che sia stato così e che

nessun legame tra la piccola morente ansiosa e la forma scelta (seppure fu

scelta) dalla cuginetta (se realmente apparve) al suo sbigottito cugino.

In questo esempio, come nell’altro già dato del signor Thompson che

apparve alla madre e alla figlia, è evidente che l’apparizione delle due sorelle,

quale che fosse il suo carattere, deve essere stata in certo senso oggettiva; in

altre parole deve avere prodotto un’immagine sulla retina, poiché la stessa

precisa impressione venne fatta sui sensi di dodici testimoni. Tutti

riconobbero nelle figure sedute sulla porta aperta, a settanta o ottanta iarde di

distanza, le sorelle Rhoda e Lucy. Tutti osservarono il movimento della sedia a

dondolo. Tutti, a eccezione del signor C., videro l’apparenza di Rhoda alzarsi

dalla sedia, sdraiarsi sulla soglia della porta e poi sparire come sprofondando

nel terreno. Una dei presenti, la signorina A., una delle due signore la cui

deposizione personale garantisce questo racconto, osservò l’apparente alzarsi

dalla sedia e sprofondare nel terreno dal margine più basso del giardino, a

una distanza di sole quaranta iarde. Infine, l’effettiva presenza di Rhoda e

Lucy, in forma corporea, fra gli spettatori, elimina la possibilità di trucco o di

illusione ottica.

La presenza delle due sorelle, nelle loro condizioni normali, ci suggerisce

anche una lezione salutare. Non dobbiamo affrettarci a generalizzare da pochi

 

261

fatti. Nella maggior parte degli esempi precedenti la persona che appariva era

addormentata o in trance, e la teoria che più facilmente ci si presenta è che,

quando il «fratello della morte» esercita il suo potere, il corpo spirituale, in

parte staccato, può assumere, a distanza dal corpo naturale, le forme del suo

associato terreno. Ma nel caso presente questa teoria sembra inapplicabile. La

controparte delle due sorelle, vista da loro stesse come dagli altri, appare un

fenomeno di diverso carattere, più simile a una pittura o, forse, a una

rappresentazione; da quale agente o per quale ragione fosse presentato,

probabilmente lo cercheremmo invano.

In realtà è completamente illogico, in ogni particolare caso di apparizione o

di altro fenomeno raro e inesplicabile, negare la sua realtà finché non

possiamo spiegare gli scopi del suo manifestarsi; respingere effettivamente

ogni fenomeno straordinario finché non sarà chiaramente spiegato per quale

grande scopo Dio lo ordini o lo permetta. Nel presente esempio non troviamo

una sufficiente ragione per cui due morti, che sarebbero avvenute dopo più di

un anno, dovessero essere così oscuramente indicate, se pure furono indicate.

L’unico effetto che possiamo immaginare sia stato prodotto, sarebbe la vaga

apprensione di una disgrazia, senza causa certa né indicazione definita. E

allora? Il fenomeno appartiene a una classe diretta, senza dubbio, da leggi

generali. Possiamo giustamente inferire di avere buone ragioni per l’esistenza

di questa classe; ma non abbiamo il dovere di mostrare il particolare scopo

che deve essere raggiunto da ogni esempio. Come proposizione generale noi

crediamo all’utilità degli uragani perché tendenti a purificare l’atmosfera; ma

chi ha il diritto di pretendere che sveliamo i disegni della Provvidenza, se,

durante la lotta degli elementi Amelia cade esanime dalle braccia di

Celadone?

Mi manca lo spazio per moltiplicare gli esempi di apparizioni di viventi e,

d’altra parte, sarebbe inutile. Chiudo dunque la serie ponendo davanti al

lettore una narrazione in cui, forse, egli troverà alcune tracce, per quanto

vaghe, indicanti il carattere di tanti dei precedenti esempi riferendosi ad

apparenze che si presentano durante il sonno o la trance; e che ci danno un

cenno, per quanto vago, di come possano avvenire. Posso fornirlo di prima

mano.

L’ESCURSIONE IN VISIONE

Nel giugno del 1857 una signora che indicherò come signora A. risiedeva

con suo marito, colonnello nell’esercito britannico, e il figlio ancora lattante,

nel comune di Woolwich, presso Londra.

 

262

Una notte, nei primi di quel mese, svegliandosi di soprassalto, ebbe

l’impressione di stare a fianco del suo letto e di guardare su di esso il proprio

corpo, che giaceva accanto al marito addormentato. La sua prima impressione

fu di essere morta improvvisamente; e questa idea le fu confermata

dall’aspetto pallido ed esanime del suo corpo, col volto privo di espressione e

tutto l’insieme che non dava segno di vita. Lo guardò con curiosità per

qualche tempo, paragonando la sua apparenza inerte con il fresco aspetto del

marito e del bambino addormentato nella culla vicina. Per un momento provò

un senso di sollievo per essere sfuggita alle angosce della morte; ma poi

rifletté a quale dolore la sua scomparsa sarebbe stata per i sopravviventi, e

allora sentì che avrebbe desiderato potere dar loro la notizia gradualmente.

Mentre era assorta in questi pensieri, si sentì trasportata verso la parete della

stanza con l’impressione che vi si sarebbe arrestata. Ma no: le parve di

passare attraverso di essa all’aperto. Fuori della casa vi era un albero; e le

sembrò di attraversare anche quello senza incontrare alcun ostacolo. Tutto

questo avvenne senza alcun desiderio da parte sua. Ed egualmente, senza

averlo desiderato né atteso, si trovò, dopo un certo tempo, sul lato opposto del

comune, a Woolwich, presso l’ingresso di quello che viene chiamato il

Deposito, un magazzino di armi e munizioni. Vide là, come al solito, una

sentinella, e osservò da vicino la sua uniforme e il suo aspetto. Dai suoi modi

noncuranti ebbe la certezza che, sebbene le sembrasse di essere vicina

all’uomo, egli non la vedeva. Poi, dopo essere passata per l’arsenale, dove vide

un’altra sentinella, tornò alla caserma, e lì udì l’orologio battere le tre. Subito

dopo si trovò nella camera da letto di un’intima amica, la signorina L. M.,

allora residente a Greenwich. Ebbe l’impressione di iniziare con lei una

conversazione, ma più tardi non riuscì a ricordarne distintamente

l’argomento perché presto ebbe la coscienza di non vedere e non udire altro.

Le sue prime parole nello svegliarsi al mattino furono: «Così non sono

morta, dopo tutto». E quando il marito le chiese il significato di una così

strana esclamazione, gli riferì la visione (se era una visione) della notte.

Questo avveniva durante una notte di mercoledì; ed essi aspettavano una

visita della signorina L. M. per il prossimo venerdì. Il marito volle che sua

moglie gli promettesse di non scrivere nel frattempo a questa sua giovane

amica né di cercar di comunicare in alcun modo con lei; ed ella gli diede la sua

parola.

Fino a questo punto sembrava che non si trattasse di altro che di uno di

quei normali fenomeni che avvengono regolarmente in sogno. Non è abituale,

tuttavia, sognare di vedere il proprio corpo; ma chi può mettere dei limiti alle

divagazioni di una fantasia dormiente?

 

263

Il seguito, comunque, contiene il vero enigma e, si può pensare, uno di

quegli accenni chiarificatori degni di nota e di riflessione.

Il colonnello A. era con sua moglie quando, il venerdì seguente, ella

incontrò la sua amica, signorina L. M. Bisogna avvertire che questa signorina,

fin dall’infanzia, aveva visto abitualmente apparizioni. Non venne fatta alcuna

allusione al soggetto che occupava tutti i loro pensieri, e dopo un poco tutti e

tre andarono a passeggiare in giardino. Le signore si misero a parlare di un

nuovo cappello, e la signora A. disse: «Il mio ultimo era ornato con nastri

viola, e questo colore mi piace tanto che penso di sceglierlo ancora». «Sì»,

rispose l’amica, «so che è il tuo colore preferito». «Come lo sai?», chiese la

signora A. «Perché quando sei venuta da me l’altra notte... vediamo, quando

fu? Ah, ricordo, l’altro ieri notte... mi apparisti vestita di lilla». «Io ti sono

apparsa l’altra notte?». «Sì, verso le tre; e facemmo una bella conversazione.

Non ricordi?».

Questa fu considerata, tanto dalla moglie che dal marito, come la prova

conclusiva che era necessaria qualche cosa oltre la consueta ipotesi del sogno

per spiegare l’escursione immaginaria di Woolwich.

Fu questa l’unica volta che un simile fatto avvenne alla signora A. Suo

marito è ora in India, brigadiere generale; ed ella ha spesso profondamente

desiderato che il suo spirito potesse, nelle veglie notturne, andare a visitarlo

laggiù. Per un certo tempo, incoraggiata da quello che era avvenuto, lo attese.

Ma il desiderio e l’attesa si rivelarono egualmente inutili. Non pensato e non

desiderato, il fenomeno avvenne; intensamente desiderato e

appassionatamente atteso, non si ripeté. Un’attenta aspettativa, dunque, non

è evidentemente una spiegazione di questo caso.

Questo mi fu riferito nel febbraio del 1859 dalla prima signora, la visitatrice

notturna, e mi fu confermato, pochi giorni dopo, dalla seconda, la visitata.

Simile nei caratteri generali, al sogno di Wilkins, questo ne differisce

soprattutto in questo, che la narratrice sembra aver osservato più

minutamente il succedersi delle sue sensazioni, suggerendoci così l’idea che il

corpo apparentemente senza vita che le era sembrato restare alle sue spalle,

fosse stato diviso da quella che potremmo chiamare una parte spirituale di noi

stessi (12); e questa parte, muovendosi senza i nostri consueti mezzi di

locomozione, può rendersi percepibile, a una certa distanza, da un’altra

persona.

Chi considera questa un’ipotesi fantastica e assurda, ne suggerisca un’altra

capace di spiegare il fenomeno che abbiamo esaminato.

Questo fenomeno, quale che sia stato il suo esatto carattere, è

evidentemente lo stesso che, con il nome di wraith, ha per secoli costituito

 

264

uno dei principali motivi delle cosiddette superstizioni della Scozia. In quel

paese è popolarmente considerato un presagio di morte (13). Questa, senza

dubbio, è una superstizione; e, con l’aiuto dell’esempio precedente, si può

razionalmente congetturare come ha avuto origine.

Le indicazioni sono:

Che durante un sogno o una trance parziale o completa la controparte della

persona vivente può mostrarsi a una maggiore o minore distanza dal punto in

cui questa persona è realmente.

E che, come regola generale, con probabili eccezioni, questa controparte

appare là dove si può supporre che si volgano i pensieri e gli affetti fortemente

eccitati (14).

Nel caso di Mary Goffe (vedi il capitolo sui sogni) il tipo è molto distinto. Il

suo era quell’incontrollabile e struggente desiderio che solo una madre

conosce. «Se non posso stare seduta, mi sdraierò sul cavallo; perché devo

andare a vedere i miei poveri bambini». Così quando i pensieri della signora

E., morente a Londra, si volsero alla sua piccola, che giaceva in una bara nel

Cambridgeshire. E così pure quando l’ecclesiastico irlandese andò a desinare

dal vescovo lasciando a casa la moglie malata, ed ella parve uscire all’aperto

per andare incontro all’assente di ritorno. All’apprendista, probabile omicida,

non possiamo attribuire qualche cosa che meriti il nome di affetto. Ma

possiamo immaginare con quale terribile vivacità i suoi sentimenti e le sue

apprensioni si siano rivolti, durante il lungo servizio divino scozzese, al luogo

in cui erano i corpi della vittima e del suo bambino non nato.

Alcuni degli altri casi sono meno distintamente caratterizzati, come quello

di Joseph Wilkins, che non era particolarmente ansioso per sua madre; o

quello dello sposo - dell’Indiana, Hugh, separato solo per un’ora o due dalla

moglie; quello del servitorello Silas, andato a pescare; e infine quello della

signora A., che non aveva altro motivo se non quello di andare a fare una

visita a un’amica. Si noterà che, in alcuni di questi casi, la morte seguì

rapidamente; in altri no. Joseph Wilkins visse quarantacinque anni dopo il

suo sogno. Hugh sopravvisse alla moglie, Silas è vivo ed è un prospero

commerciante. La signora A. vive ancora in eccellente salute. E’ evidente che

una rapida morte non segue necessariamente queste apparizioni.

Le ragioni per cui, in molti casi, il fenomeno precede la morte sono

probabilmente che, durante una malattia mortale il paziente cade spesso in

uno stato di trance favorevole, con ogni probabilità, al fenomeno stesso; che,

nella previsione della morte, i pensieri si volgono con peculiare vivacità verso

gli oggetti e gli affetti assenti; e infine che, forse, il principio spirituale,

prossimo a liberarsi del fardello terreno, può, nell’avvicinarsi della liberazione

 

265

totale, trovar più facile l’allontanamento temporaneo, guidato nella sua corsa

dall’influenza della simpatia.

Ma è evidente che la prossimità della morte non è necessaria per conferire

questo potere e che esso può essere indotto da un’ansietà proveniente da altre

cause che dalla previsione di una prossima fine. Una tempesta suscitò le

paure di una madre per il figlio allora in viaggio per mare, ed ella gli apparve

nella sua cabina. E tuttavia tanto la madre quanto il figlio sono ancora vivi.

In questo, come in cento altri casi, l’esame spassionato di un fenomeno

reale e della sua probabile causa è una cura molto efficiente contro le

eccitazioni superstiziose e le paure volgari.

Note

(1) Theorie der Geisterkunde (Teoria della conoscenza degli spiriti)

vol. IV delle Opere complete di Stilling, pagg. 501-03. Ho un poco abbreviato

nel tradurre.

(2) Il primo giugno 1859.

(3) Comunicatomi a Washington il 24 giugno 1859.

(4) Night Side of Nature, di Catherine Crowe, 16a edizione, Londra,

1854, pagg. 183-86.

(5) Questo fatto mi è stato riferito dallo stesso dott. E. a Washington, il 5

luglio 1859; e il mio manoscritto fu sottomesso alla sua revisione.

(6) The Lives of Dr. John Donne, Sir Henry Wotton ecc., di Isaac

Walton, edizione di Oxford, 1824, pagg. 16-19.

(7) L’8 agosto 1859.

(8) Nel luglio 1859. La «Julia Hallock» era allora ancorata ai piedi di

Rutgers Slip, New York: fa servizio commerciale fra New York e St. Jago

nell’isola di Cuba. Il capitano mi ha permesso di fare il suo nome e di riferirmi

a lui come prova di ciò che è stato qui scritto.

(9) La storia venne da me sottoposta, in manoscritto, alla signora in

questione e da lei approvata.

Come esempio del modo con cui tali fenomeni sono spesso tenuti nascosti,

posso aggiungere che la signorina H., pur presentendo istintivamente come la

cosa sarebbe stata accolta, subito dopo avere lasciato lo studio si arrischiò a

dire a una signora, che risiedeva nella casa, che credeva di avere appena visto

 

266

la signora E. e sperava che non giungessero cattive notizie da Londra il giorno

dopo. In conseguenza venne così aspramente rimproverata e perentoriamente

diffidata dal non nutrire in sé tali ridicole fantasie, che, anche quando

arrivarono le notizie a conferma e il signor E. tornò a casa, ebbe paura di

raccontargli il fatto. E fino a oggi egli lo ignora.

(10) Nella prima edizione di quest’opera è stato dato qui un altro racconto

relativo all’apparizione abituale di una persona vivente. Lo ho sostituito con

quello delle «Due sorelle» per le seguenti ragioni. Un amico di una delle parti

interessate, avendo fatto ricerche relative alla storia, me ne comunicò

gentilmente il risultato; e le prove così addotte tendevano a invalidare parti

essenziali del racconto. Una recente visita in Europa mi permise di fare

ulteriori ricerche; e, sebbene per certi riguardi, queste confermassero i fatti,

venni a sapere che una parte considerevole della storia in questione, che mi

era stata presentata come direttamente attestata, era in realtà di seconda

mano. Questa circostanza, insieme con le constatazioni contrastanti suddette,

mette questo racconto fuori delle regole di autenticazione a cui, in queste

pagine, ho cercato scrupolosamente di attenermi; e di conseguenza lo ometto.

E’ soddisfacente trovare che, sei mesi dopo che la mia opera è stata

pubblicata, l’autenticità di un solo racconto, dei settanta o ottanta che sono

contenuti in questo volume, è stata messa in discussione. Nota all’edizione

inglese, luglio 1860.

(11) A New York, il 22 febbraio 1860. Il 27 febbraio sottomisi loro il

manoscritto della relazione ed esse riconobbero la sua esattezza.

(12) Il dott. Kerner riferisce che, il 28 maggio 1827, verso le tre del

pomeriggio mentre era con madame Hauffe, che a quel tempo era a letto

malata, ella improvvisamente percepì l’immagine di se stessa, seduta su di

una sedia e con indosso un abito bianco; non quello che allora portava, ma un

altro. Ella cercò di gridare, ma non poté né parlare né muoversi. I suoi occhi

rimasero sbarrati e fissi; ma ella non vide altro che l’apparizione e la sedia su

cui era seduta. Dopo qualche tempo vide la figura alzarsi e avvicinarsi a lei.

Quando le fu molto vicina, ella provò qualche cosa come una scarica elettrica,

il cui effetto fu percepito dal dott. Kerner; e, con un grido improvviso

riacquistò la facoltà di parlare e riferì quello che aveva visto e sentito. Il dott.

Kerner non vide nulla. Seherin von Prevorst, pagg. 138-39.

(13) «Barbara Mac-Pherson, vedova del defunto signor Alexander Mac-

Leod, già ministro di St. Kilda, mi informò che i nativi di quell’isola hanno un

particolare tipo di seconda vista, che è sempre un annuncio della loro

prossima fine. Alcuni mesi prima di ammalarsi, sono visitati da

un’apparizione simile a loro stessi sotto tutti i rispetti, quanto alla persona, ai

lineamenti, all’abito». Treatise on Second Sight, Dreams and

 

267

Apparitions (Trattato sulla seconda vista, i sogni e le apparizioni),

Edimburgo, 1763, di Theophilus Insulanus, Relazione X.

(14) «Sono venuti a mia conoscenza esempi di persone malate, che colte da

un irresistibile desiderio di vedere un amico assente, sono cadute in deliquio

e, durante tale deliquio, sono apparse al lontano soggetto del loro affetto».

Jung Stilling: Theorie der Geisterkunde, paragrafo 100.

 

268

3 - Apparizioni di defunti

«… Oserò dire

Che nessuno spirito mai spezzò il legame

Che lo tiene lontano dalla terra nativa

Dove per la prima volta mise il piede quando fu

chiuso nella creta?

«Non un’ombra visibile dello scomparso

Ma lui, il suo spirito stesso, può venire

Dove tutti i nervi e tutti i sensi sono muti,

Spirito a spirito, fantasma a fantasma».

Tennyson

Se, come san Paolo insegna e i swedenborghiani credono, un corpo

naturale e un corpo spirituale concorrono a formare la personalità di un uomo

(1); se questi due corpi coesistono, finché dura la vita terrena, in ognuno di

noi; se, come l’apostolo afferma più avanti (2), e il precedente capitolo sembra

provare, il corpo spirituale - una controparte del corpo naturale, a quanto può

sembrare a un giudizio umano - può, durante la vita, staccarsi

occasionalmente, in qualche misura e per un certo tempo, dalla carne e dal

sangue che, per pochi anni, pervade in intima associazione; e se la morte è

solo l’uscire del corpo spirituale dal suo temporaneo associato; allora, al

momento di questa uscita, è proprio questo corpo spirituale - che, durante la

vita può essere stato occasionalmente o parzialmente distaccato dal corpo

naturale, e che infine divorzia da esso così interamente e per sempre - quello

che passa in un altro stato di esistenza.

Ma se questo corpo spirituale, mentre è connesso con il suo associato

terreno, può, in certe circostanze, apparire distinto e distante dal corpo

naturale, e percepibile dalla vista umana, se non dal tatto, che cosa si oppone

alla supposizione che, dopo la sua definitiva emancipazione, lo stesso corpo

spirituale possa ancora, a volte, mostrarsi all’uomo? (3).

Se non vi è questa presunzione in contrario, dovremmo avvicinarci al

soggetto non già come se vi fosse in esso qualche cosa di stravagante, indegno

di essere preso in considerazione, al margine delle possibilità, ma come a un

problema rispettabile ed eminentemente serio, degno della nostra attenzione

più profonda e su cui, quali che siano le nostre decisioni, bisogna molto

discutere, in un senso o nell’altro, prima di giungere a una decisione.

 

269

L’apparizione di un defunto non è un fenomeno (o preteso fenomeno) la

cui realtà possa essere affermata o negata con semplici speculazioni. Cento

teorici, così speculando, possono decidere, con loro soddisfazione, che non

dovrebbe o che non può essere. Ma, se sufficienti osservazioni mostrano che

è, ne segue solo che questi teorici da tavolino non hanno una corretta

concezione di quello che è proprio e di quello che è possibile.

Sul campo, e non al tavolino, fu risolta la questione se gli aeroliti cadevano

ogni tanto sulla terra. Chladni e Howard avrebbero potuto teorizzare sulle

loro scrivanie per tutta la vita, lasciando la questione tuttavia aperta. Ma si

portarono nel mondo reale. Loro stessi non videro cadere aeroliti, ma

esaminarono masse meteoriche che si diceva fossero cadute. Ne fecero un

elenco. Esaminarono i testimoni; raccolsero prove. E finalmente convinsero il

mondo degli scettici scientifici che le leggende relative alle pietre cadenti,

diffuse in ogni epoca, fin dai tempi di Socrate, erano qualche cosa di più di

semplici fiabe.

Nel procedere a un’inchiesta ancora più importante, propongo di seguire

l’esempio di Chladni e Howard, col successo che il tempo e gli eventi possono

stabilire.

Si possono trovare innumerevoli esempi di persone che affermano di avere

visto apparizioni, e fra queste uomini eminenti per intelligenza e dirittura. Un

esempio conosciuto è quello di Oberlin, il ben noto filantropo alsaziano,

benefico pastore di Ban-de-la-Roche.

Egli fu visitato, due anni prima della sua morte - e precisamente nel 1824 -

da un certo Smithson, che pubblicò una relazione della sua visita (4). Di qui

tolgo i seguenti particolari.

OBERLIN

La valle di Ban-de-la-Roche, o Steinthal, in Alzazia, teatro, per più di

cinquant’anni, delle benefiche fatiche di Oberlin, circondata da alte

montagne, per più di metà dell’anno è tagliata fuori dal resto del mondo dalle

nevi che ostruiscono i passi.

Là Oberlin trovò che i contadini avevano credenze molto peculiari. Egli

disse al signor Smithson che, nei primi tempi della sua residenza fra gli

abitanti di Steinthal, essi avevano quelle che giudicò «molte nozioni

superstiziose relativamente alla vicinanza del mondo spirituale e alle

manifestazioni, in questo mondo, di vari oggetti e fenomeni che di tanto in

tanto erano visti da alcuni degli appartenenti al suo gregge. Per esempio non

 

270

era insolito che una persona defunta apparisse a qualcuno della vallata». ...

«La relazione di ogni nuovo caso di questo genere veniva portata a Oberlin, il

quale, alla fine, ne fu tanto annoiato da decidersi a metter termine a questa

specie di superstizione, come egli la chiamava, dal pulpito, e, per un tempo

notevole, cercò di raggiungere questo scopo, ma con scarsi o non desiderabili

risultati. I casi divennero più numerosi, e le circostanze così impressionanti

da scuotere lo scetticismo dello stesso Oberlin» (pag. 157).

Infine il pastore passo dalla parte dei suoi parrocchiani. E, quando il signor

Smithson gli chiese che cosa lo aveva portato a questa convinzione, rispose

«che lui stesso aveva avuto un’esperienza oculare e dimostrativa su questo

così importante soggetto». E aggiunse di avere «un gran fascio di carte da lui

scritte su questo genere di fenomeni spirituali, contenenti i fatti e le sue

riflessioni su di essi». Affermò inoltre al signor Smithson che queste

apparizioni erano state particolarmente frequenti dopo il terribile incidente

che seppellì villaggi (la frana di Rossberg, nel 1806). Subito dopo, come

racconto Oberlin, un considerevole numero di abitanti della vallata «si

aprirono alla vista spirituale» (pag. 159), e videro le apparizioni di molte delle

vittime.

Stöber, il pupillo e il biografo di Oberlin, e amico intimo della famiglia per

tutta la sua vita, afferma che il buon pastore era pienamente persuaso della

reale presenza di sua moglie per parecchi anni dopo la morte di lei. La sua

costante convinzione fu che, come un angelo custode, ella vegliasse su di lui,

fosse con lui in comunicazione e divenisse visibile ai suoi occhi; che gli desse

ammaestramenti sull’altro mondo e lo proteggesse dai pericoli di questo; e

che, quando considerava qualche nuovo piano di pubblica utilità sui cui

risultati era incerto, ella lo incoraggiasse nei suoi sforzi o lo frenasse nel suo

progetto. Egli considerava i suoi incontri con lei non come cosa dubitabile, ma

ovvia e certa al pari di qualsiasi avvenimento che cade sotto i nostri occhi

corporei. Quando gli fu chiesto come facesse a distinguere le sue apparizioni e

le sue comunicazioni da un sogno, rispose: «Come fate voi a distinguere un

colore da un altro?» (5).

Io stesso, a Parigi, durante il mese di maggio 1859, incontrai Monsieur

Matter, un signore francese che aveva un’importante posizione ufficiale nel

Ministero della Pubblica Istruzione, il quale aveva fatto visita a Oberlin

qualche tempo prima della sua morte, e al quale il degno pastore aveva

mostrato il «gran fascio di carte» di cui parlava Smithson (6). Trovò che

conteneva, fra l’altro, la descrizione di una serie di apparizioni della sua

defunta moglie e dei suoi incontri con lei (7).

Monsieur Matter, che gentilmente mi fornì note scritte sull’argomento,

aggiunge: «Oberlin fu convinto che gli abitanti del mondo invisibile possono

 

271

apparirci, e noi a loro, quando Dio lo permette; e che noi siamo apparizioni

per loro, come loro per noi (8).

Né l’intelligenza né la buona fede di Oberlin possono essere messe in

discussione. Ma si dirà che l’intelligenza e l’onestà non sono garanzia contro

le allucinazioni, e che il pastore, nella sua valle appartata, dopo la morte della

moglie da lui teneramente amata, poté a poco a poco essere contagiato dalle

superstizioni dei suoi parrocchiani. Sebbene le opinioni di un uomo come

Oberlin contino sempre qualche cosa, dobbiamo ammettere che non abbiamo

prove da opporre a una tale ipotesi.

Ci occorre qualche legame circostanziato che colleghi le pretese apparizioni

con il mondo materiale. Possiamo ottenerlo. La seguente proviene da una

fonte rispettabile.

LORENZO IL MAGNIFICO E LIMPROVVISATORE

Condivi riferisce una straordinaria storia relativa a Piero de’ Medici, figlio

di Lorenzo il Magnifico, comunicata a lui da Michelangelo, il quale, a quanto

sembra, era divenuto intimo amico di Cardiere, un improvvisatore che

frequentava la casa di Lorenzo e divertiva le sue serate cantando sul liuto.

Subito dopo la morte di Lorenzo, Cardiere informò Michelangelo che Lorenzo

stesso gli era apparso, vestito solo di un nero e logoro mantello sulle membra

nude, ordinandogli di avvertire Piero de’ Medici che in breve sarebbe stato

bandito da Firenze. Cardiere, che, giudiziosamente, parve temere il

risentimento del vivo più di quello del morto, non eseguì l’incarico, ma, poco

dopo, Lorenzo, entrato nella sua stanza a mezzanotte, lo svegliò e,

rimproverandolo della sua noncuranza, gli diede un violento colpo sulla gota.

Dopo aver comunicato questa seconda visita all’amico, il quale lo consigliò di

non rimandare oltre la commissione, egli si mise in viaggio per Careggi, dove

risiedeva allora Piero; ma, incontratolo col suo seguito a circa mezza strada

fra quel luogo e Firenze, gli comunicò lì il messaggio con grande divertimento

di Piero e dei suoi seguaci, uno dei quali - Bernardo Dovizi, poi Cardinale

Bibbiena - gli chiese sarcasticamente se era verosimile che Lorenzo, se voleva

dare quell’avvertimento a suo figlio, avesse preferito quel messaggero a una

comunicazione personale. Il biografo aggiunge: «La vision del Cardiere, o

delusion diabolica, o predizion divina, o forte immaginazione ch’ella si fosse,

si verificò» (9).

Vi è qui una predizione e il suo compimento. Ma la politica seguita da Piero

fu tale che non era necessaria una facoltà profetica per capire la possibilità

che egli dovesse perdere un giorno la sua posizione a Firenze. D’altra parte chi

 

272

conosce la società italiana sarà sicuro che un dipendente come Cardiere molto

difficilmente si sarebbe preso una tale libertà se non costretto da quello che

considerava un ordine vero e proprio.

Quanto all’obiezione del cardinale, è molto comune e spesso espressa con

leggerezza. «E’ notevole», dice Grose, «che i fantasmi non si comportino

come la gente di questo mondo. Nel caso di un omicidio, un fantasma, invece

di andare dal più vicino giudice di pace e fare la sua deposizione, o di

rivolgersi al più prossimo parente della persona uccisa, appare a qualche

povero operaio che non conosce alcuna delle parti o tira le cortine del letto di

qualche governante decrepita o di qualche mendicante, oppure gironzola

attorno al luogo in cui è sepolto il suo corpo» (10).

Se il cardinale o l’antiquario meritano una seria risposta, è questa. Se

l’apparenza, o l’apparizione, è un fenomeno reale, è senza dubbio regolata da

qualche legge generale. E, a giudicare dagli esempi riferiti, sembrerebbe che,

per questa legge, solo raramente, in certe condizioni e a date persone, tale

apparenza è possibile.

Più notevole è la coincidenza nel caso seguente.

IL VISITATORE DI ANNA MARIA PORTER

Quando la celebre Anna Maria Porter risiedeva a Esher, nel Surrey, un

vecchio signore di sua conoscenza, che viveva nello stesso villaggio, era solito

frequentare la sua casa, venendo quasi ogni sera a leggere il giornale e a

prendere una tazza di te.

Una sera la signorina Porter lo vide entrare come al solito e sedersi al

tavolo, ma senza parlare. Gli rivolse qualche parola alle quali non diede

risposta; e, dopo pochi minuti, lo vide alzarsi e lasciare la stanza senza dir

motto.

Stupita, e temendo che si fosse improvvisamente sentito male, ella mandò

subito la domestica alla casa di lui per prendere informazioni. La risposta fu

che il vecchio signore era morto improvvisamente circa un’ora prima.

Questo fu riferito dalla stessa signorina Porter al colonnello H. del Secondo

Guardie del Corpo, e fu ripetuto a me dalla vedova del colonnello H. a Londra,

nel febbraio del 1829.

A meno che immaginiamo in questo caso un’evasione dalle cure

dell’infermiera, simile a quello del membro di circolo di Plymouth

nell’esempio tratto da Sir Walter Scott (11), è difficile evitare la conclusione

che questa fu un’apparizione del defunto. La stessa signorina Porter la

 

273

credeva tale; e sembra che ella abbia mandato la domestica

immediatamente e che il vecchio signore sia morto un’ora prima.

Si ammetterà che l’esempio seguente non è meno difficile da spiegare.

IL CADAVERE E IL MANTELLO DA MARINAIO

Non troviamo in alcun’altra classe sociale una così netta avversione a

essere accusati di qualche cosa che abbia a che fare con la superstizione come

nella classe delle persone mondane. Per questo la seguente storia, tratta dal

diario privato di una di queste persone, che passò la vita nei circoli più

aristocratici di Londra e di Parigi, intimo amico di nobili e di principi di

sangue, ha qualche titolo per essere creduta. La riserva con cui tali racconti

sono comunicati, quando i soggetti appartengono a quella che si chiama l’alta

società, è manifestata dalla sostituzione delle iniziali ai nomi interi. La

narrazione è fatta nel modo più diretto da chi aveva le migliori opportunità

per conoscere l’esattezza dei fatti.

«Mercoledì, 6 dicembre 1832. Il capitano … ha raccontato un curioso

aneddoto avvenuto nella sua famiglia. Lo ha detto con le seguenti parole:

«Sono circa quindici mesi da quando la signorina M., una conoscente della

mia famiglia, andò con un gruppo di amici a un concerto delle Argyle Rooms.

Là parve colta da un’improvvisa indisposizione, e, sebbene persistesse per

qualche tempo a lottare contro quello che sembrava un violento attacco di

nervi, alla fine il malessere divenne così opprimente che gli amici furono

costretti a chiamare la sua carrozza e condurla a casa. Per un po’ lei si rifiutò

di palesare la causa della sua indisposizione; ma, interrogata con maggiore

insistenza, confessò infine che, appena arrivata nella sala del concerto, era

stata atterrita da un’orribile visione, che si presentava continuamente davanti

ai suoi occhi. Le sembrava che un corpo nudo giacesse sul pavimento ai suoi

piedi; i lineamenti del volto erano in parte coperti da un mantello, ma poteva

vederne abbastanza per capire che era il corpo di Sir J. Y. Venne fatto ogni

sforzo, da parte dei suoi amici, per calmarla, facendole notare che era una

follia permettere a tali illusioni di travolgere il suo spirito; e così ella si ritirò

per coricarsi. Ma il giorno dopo, la famiglia ricevette la notizia che Sir J. Y. si

era annegato nel Southampton quella stessa notte, essendosi rovesciata la sua

barca; il suo corpo era stato trovato più tardi avvolto in un mantello da

marinaio. E’ questo un caso autenticato di seconda vista e di data molto

recente» (12).

Devo il seguente alla cortesia del mio amico dott. Ashburner, di Londra.

 

274

APPARIZIONE IN INDIA

«Nell’anno 1814, conobbi il colonnello Nathan Wilson, uomo di forti poteri

intellettuali, che aveva servito molti anni in India sotto Sir Arthur Wellesly,

poi duca di Wellington. Fui presentato a lui da Sir Charles Forbes in un casino

di caccia, e avemmo così l’opportunità di diventare amici. Ebbi dalle sue

labbra il racconto che sto per riferirvi e a cui farò precedere poche parole sulle

opinioni del narratore.

«Il colonnello Wilson non faceva segreto del suo ateismo. Specialmente in

India, come ho osservato io stesso, la tendenza di molti, influenzati

dall’osservazione dei vari credo religiosi che li circondano, è verso lo

scetticismo. Il colonnello Wilson, sostenuto dalle letture di Volney,

D’Holbach, Helvetius, Voltaire e altri del genere, respingeva come

insostenibile la dottrina di un futuro stato di esistenza, e mal sopportava

qualsiasi argomento su di un soggetto sul quale, a quanto sembrava pensare,

nessuno poteva dargli altre luci.

«Nell’anno 1811, essendo allora al comando del 19° reggimento dei dragoni

(o forse del 17°, perché li comandò entrambi), di guarnigione a Tellicherry, e

dilettandosi di letteratura francese, fece intima amicizia con Monsieur

Dubois, un missionario cattolico, ardente e zelante propagandista e uomo di

talento. Nonostante la grande differenza delle loro credenze, il francese era di

mente così aperta e liberale, così vario nel suo sapere, così piacevole e

avvincente nei suoi modi, che il missionario e il soldato stavano molto

insieme e infine si attaccarono molto l’uno all’altro. Il primo non mancava di

valersi di quella intimità per tentare di convertire il suo amico. Parlavano

spesso e liberamente di argomenti religiosi; ma lo scetticismo del colonnello

Wilson rimaneva incrollabile.

«Nel luglio del 1811, il prete si ammalò con molto dispiacere del piccolo

circolo di Tellicherry, dove era molto amato. Nello stesso tempo, essendo

avvenuto un ammutinamento a Vellore, il colonnello Wilson fu chiamato là e,

avanzando a marce forzate, si accampo davanti alla città.

«La notte era afosa e il colonnello Wilson, abbigliato come di solito in quei

climi, in camicia e lunghe mutande di tela leggera col piede, cercava invano di

riposarsi su di un lettuccio nella sua tenda. Incapace di dormire, rivolse a un

tratto l’attenzione all’ingresso della tenda: e vide alzarsi il lembo e

presentarglisi il sacerdote Dubois. Il volto pallido e l’espressione seria del suo

amico, che stava immobile e silenzioso, tenevano concentrata la sua

 

275

attenzione. Lo chiamò per nome, ma senza risposta; poi il lembo ricadde e la

figura scomparve.

«Il colonnello balzò su e, infilate in fretta le pantofole, corse fuori dalla

tenda. L’apparizione si vedeva ancora mentre scivolava attraverso il campo

dirigendosi verso la pianura più oltre. Il colonnello Wilson si affrettò dietro di

essa e a passo così rapido che, quando i suoi ufficiali, avvertiti dalle sentinelle,

lo inseguirono, fecero fatica a raggiungerlo. Poiché l’apparizione era stata

vista dal solo colonnello, gli ufficiali conclusero che tutto era stato effetto di

un leggero delirio causato dalla stanchezza. Ma il medico del reggimento,

dopo avergli tastato il polso, dichiarò che era regolare e senza alcuna

accelerazione.

«Il colonnello Wilson fu certo di avere ricevuto un avviso della morte del

suo amico missionario, il quale gli aveva più volte promesso, qualora fosse

morto prima, di apparirgli come spirito. Chiese ai suoi ufficiali di annotare

l’ora. Essi lo fecero, e quando da Tellicherry giunsero lettere che

annunciavano la morte di Dubois, si trovò che era spirato nell’ora stessa in cui

la sua apparizione si presentava all’amico.

«Volendo accertare quale effetto questa apparizione avesse prodotto sulle

opinioni del colonnello Wilson relativamente allo stato futuro, glielo chiesi

direttamente. “Penso che sia stato un fenomeno molto curioso”, mi rispose,

“non spiegabile nello stato attuale delle nostre conoscenze e che dovrebbe

essere studiato. Ma non è sufficiente per modificare le mie convinzioni.

Qualche proiezione energetica da parte del cervello di Dubois, al momento del

prossimo annichilimento, può essere forse sufficiente a dare ragione

dell’apparizione che indubbiamente ho visto”» (13).

Potremmo difficilmente trovare una più valida prova della viva realtà di

questa apparizione per l’osservatore, dell’espediente al quale oggi egli è

costretto a ricorrere per spiegarla. Egli ha «visto indubbiamente», ma

argomenta che «avrebbe forse potuto essere una proiezione del cervello di

Dubois al momento della dissoluzione». Quale forse è questo! Una

proiezione del cervello di un morente appare a miglia di distanza dal letto di

morte e, dopo avere assunto forma umana, imita il modo di camminare di un

uomo! Che sorta di proiezione? Non un’anima né un corpo spirituale, perché

un ateo non ammette tali entità; nulla che abiti, o stia per abitare, un mondo

futuro, di cui un ateo nega l’esistenza. Che cosa dunque? Una porzione della

sostanza fisica del cervello, distaccata da esso e sparata come un proiettile di

artiglieria da Tellicherry a Vellore? Ammettiamo pure questa ipotesi

mostruosa. Che cosa ha guidato tale proiezione direttamente all’amico a cui il

possessore di quel cervello aveva promesso di apparire come spirito in caso di

morte? Ma supponiamo che sia arrivata in qualche modo alla tenda del

 

276

colonnello Wilson: che cosa ha dato, a una porzione distaccata di cervello, il

potere di rivestirsi di una completa forma umana, con una testa e un aspetto

riconoscibili, con braccia, gambe e corpo? E il potere di sfuggire a una

persona che la inseguiva?

Ma è una pura perdita di tempo cercar di risalire alla fonte di un’ipotesi

assurda come questa. In quale labirinto di assurdità può chiudersi un uomo

considerato intelligente quando è diretto dalla predeterminazione di ignorare

la possibilità di un mondo futuro nel quale i nostri spiriti possano esistere e

dal quale possano eventualmente tornare.

Le storie di apparizioni al momento della morte, o intorno a quel

momento, sono forse le più frequenti. Sono debitore di uno degli esempi più

impressionanti e direttamente autenticati di questo genere al mio amico

William Howitt, il cui nome è familiare su questo lato dell’Atlantico come nel

suo paese. Lo presento con le sue parole.

UN FRATELLO APPARE ALLA SORELLA

«L’episodio che mi chiedete, io lo ho sentito più volte raccontare da mia

madre. Fu un evento familiare per noi e per i nostri vicini, e si collega ai miei

primi ricordi essendo avvenuto circa il tempo della mia nascita, nella casa di

mio padre a Heanor, nel Derbyshire, dove sono nato.

«Il nome di famiglia di mia madre, Tantum, è poco comune; non ricordo di

averlo incontrato se non in un romanzo della signorina Leslie. Mia madre

aveva due fratelli, Francis e Richard. Il più giovane, Richard, lo ho conosciuto

bene perché è vissuto fino a tarda età. Il maggiore, Francis, al tempo del fatto

che sto per riferire, era un allegro giovanotto sulla ventina, scapolo, bello,

schietto, affettuoso e quanto mai amato dalla gente di ogni condizione in tutta

quella parte del paese. In quell’epoca di cipria e di codini, viene descritto con i

capelli biondo rame sciolti in riccioli sulle sue spalle, come un nuovo

Assalonne, ed era molto ammirato sia per la sua grazia personale sia per la

gaia vivacità dei suoi modi.

«In un bel pomeriggio tranquillo, mia madre, ancora fresca di parto, ma

perfettamente convalescente, era a letto godendosi, dalla finestra, quel senso

di bellezza estiva e di pace; in alto un cielo brillante e, dinanzi a lei la calma

del villaggio. In questo stato, si rallegrò nell’udire dei passi che prese per

quelli di suo fratello Frank, come egli era chiamato in famiglia, sempre più

vicini alla porta della camera. Il visitatore bussò ed entrò. Il piede del letto era

verso la porta; e su quel lato le cortine, nonostante la stagione, erano tirate

per prevenire qualche corrente. Suo fratello le divise e guardò nell’interno,

 

277

verso di lei. Il suo sguardo era serio e privo dell’usuale gaiezza, ed egli non

disse una parola. “Caro Frank”, esclamò mia madre, “come sono lieta di

vederti! Passa di fianco a letto: voglio fare quattro chiacchiere con te”.

«Chiuse le cortine come per obbedirle; ma, con suo stupore, mia madre lo

udì invece lasciare la stanza, chiudersi la porta alle spalle e cominciare a

scendere le scale. Sbigottita, ella suonò il campanello e, quando la cameriera

apparve, le ordinò di richiamare suo fratello. La ragazza obiettò di non averlo

visto entrare in casa, ma mia madre insisté dicendo: “Era qui un momento fa.

Corri, presto! Fallo tornare, devo vederlo!”.

«L’altra si affrettò, ma tornò dopo un certo tempo dicendo di non avere

potuto trovarlo, né alcuno, nella casa o nei dintorni, lo aveva visto entrare o

uscire.

«La casa di mio padre era all’estremità del villaggio, presso la strada

principale, che era dritta; così che chiunque passasse di lì rimaneva in vista

per molto tempo prima di scomparire. La ragazza disse di avere guardato alle

due estremità della strada e poi cercato in giardino, un grande giardino

all’antica con viali ombrosi. Ma non lo aveva visto né lì né sulla strada. Aveva

chiesto alla più vicina casa del villaggio, ma nessuno lo aveva notato passare.

«Mia madre, sebbene molto pia, era lontana da ogni superstizione; tuttavia

la stranezza della circostanza la colpì profondamente. Mentre se ne stava

coricata meditando sul fatto, si udì un improvviso accorrere sulla strada e

delle voci concitate. Mia madre tese l’orecchio: il rumore aumentava, sebbene

fin allora il villaggio fosse stato assolutamente tranquillo. E lei si convinse che

doveva essere avvenuto qualche cosa di inconsueto. Suonò ancora il

campanello per sapere la causa di quel trambusto. Questa volta le rispose

l’infermiera, che cercò di tranquillizzarla come fanno le infermiere con i loro

pazienti. “Oh, non è nulla di particolare, signora”, disse, “una cosa da niente”.

E cercò di riferirgliela sorvolando i particolari. Ma il suo malcelato

turbamento non sfuggì a mia madre. “Ditemi subito la verità”, esclamò. “Sono

sicura che è successo qualche cosa di molto brutto”. La donna continuò a

tergiversare, temendo l’effetto che la verità avrebbe potuto fare su di lei nelle

sue condizioni. E, in un primo momento, anche la famiglia tentò di celargliela.

Infine, tuttavia, l’ansia e le insistenze di mia madre strapparono loro la

terribile verità: suo fratello era stato appena pugnalato all’estremità del

villaggio e ucciso sul posto.

«Il triste evento si era svolto così. Mio zio, Francis Tantum, era stato a

desinare a Shipley Hall, con il signor Edward Miller Mundy, membro del

Parlamento per la contea. Shipley Hall si trovava alla sinistra del villaggio,

guardando la strada principale dalla casa di mio padre, e a circa un miglio di

distanza da essa; mentre Heanor Fall, residenza di mio zio, era situata sulla

 

278

destra. La strada da una dimora all’altra incrociava quasi ad angolo retto la

parte superiore della strada del villaggio, in un punto in cui vi era una delle

due osterie del paese, lo “Admiral Rodney” rispettabilmente gestita dalla

vedova H…ks. La ricordo benissimo: una donna alta e di buona apparenza,

che doveva essere stata molto bella in gioventù e che, anche dopo la mezza

età, manteneva un’aria superiore alla sua condizione. Aveva un unico figlio,

allora appena ventenne. Era un bel ragazzo vivace e di buon carattere.

Tuttavia, come i fatti mostrarono, doveva essere estremamente impulsivo.

«Francis Tantum, cavalcando verso casa da Shipley Hall, dopo il desinare,

forse un po’ esaltato dal vino, si fermò all’osteria della vedova e disse al figlio

di portargli un bicchiere di birra. Mentre l’altro si voltava, mio zio, dando un

forte colpo di scudiscio sul dorso del giovane, gridò nel suo solito modo

scherzoso: “Presto, Dick; presto!”.

«Il giovane, invece di considerare quel colpo come uno scherzo, lo prese

come un insulto. Corse nell’osteria, afferro un coltello e, tornato nella strada,

colpì mio zio al cuore mentre era a cavallo, così che egli cadde morto

all’istante nella via.

«Si può immaginare la sensazione nel tranquillo villaggio. Gli abitanti, che

idolatravano l’ucciso, furono trattenuti dal far sommaria vendetta

sull’omicida solo dagli agenti che lo portarono all’ufficio del più vicino

magistrato.

«Il giovane H...ks venne giudicato alla vicina assise di Derby; ma, (senza

dubbio giustamente, considerando l’improvvisa irritazione causata dal colpo)

fu condannato solo per omicidio preterintenzionale, e, dopo pochi mesi di

prigione, tornò al villaggio, dove, nonostante la forte avversione popolare

contro di lui, continuò a tenere l’osteria anche dopo la morte della madre. Lo

ricordo ancora, un uomo calmo e riservato, che non si rese mai colpevole di

altre irregolarità di condotta e che sembrava portare con sé il ricordo del suo

delitto, silenziosa macchia della sua vita.

«Tale era il rispetto per mio zio, e così profonda fu l’impressione per la sua

tragica fine, che, finché visse quella generazione, le campane del villaggio

rintoccarono regolarmente a ogni anniversario della sua morte.

«Confrontando le circostanze e il tempo esatto in cui avvennero, risulto che

l’apparizione si presento a mia madre quasi immediatamente dopo che suo

fratello ebbe ricevuto il colpo fatale» (14).

Quasi la sola condizione che manca in questa relazione è che l’apparizione

avrebbe dovuto essere testimoniata da più persone, ognuna delle quali

avrebbe dovuto percepirla indipendentemente dalle altre. Questa ulteriore

garanzia si trova nella relazione seguente.

 

279

IL NOBILE E IL SUO SERVITORE

Il defunto Lord M., essendo andato negli Highlands verso la fine del secolo

scorso, lasciò sua moglie a Londra in perfetta salute. La notte dell’arrivo alla

sua casa, fu svegliato da una luce brillante nella stanza. Aperte le cortine del

letto, vide l’apparizione di Lady M., che era lì in piedi. Suonò per il servitore, e

gli chiese che cosa vedesse; l’altro esclamò atterrito: «E’ Milady!». Lady M.

era morta improvvisamente a Londra in quella notte. La storia fece molto

rumore a suo tempo; e Giorgio III, mandato a chiamare Lord M. e accertata

da lui la verità del fatto, lo pregò di descrivere tutto come era avvenuto; e il

servitore controfirmò la dichiarazione.

Circa un anno dopo, una fanciullina di cinque anni, la figlia minore di Lord

M., si precipito senza fiato nella stanza dei bambini gridando: «Ho visto la

mamma in cima alle scale, che mi faceva cenno». Quella notte la bambina, la

piccola Annabella M., si sentì male e morì.

Posso garantire in modo assoluto l’autenticità dei due fatti avendone

ricevuto un resoconto scritto da un membro della famiglia di Lord M.

Nell’esempio seguente la testimonianza di due osservatori della stessa

apparizione è ottenuta in circostanze egualmente conclusive. Mi fu riferito a

Napoli, il 2 gennaio 1857, da uno di questi testimoni, una intelligente signora

inglese di famiglia altamente rispettabile, che aveva trascorso molti anni in

Russia.

LOUISE

Nella prima metà dell’anno 1856, la signora F. visse per alcuni mesi con la

famiglia del principe ..., un nobile che aveva occupato un’alta posizione

ufficiale sotto l’imperatore Nicola.

Una sera, tra le undici e le dodici, la signora F. era in un salottino adiacente

alla stanza da letto della principessa, e separato solo da tende, quando udì

aprirsi la porta della stanza da letto e la principessa (così lei suppose) entrare,

posare il candeliere e camminare. Pensando che sarebbe entrata nel salottino,

come soleva fare, ella attese; ma invano. Poi udì ancora aprire la porta e

scendere le scale. Una ventina di minuti più tardi, udì di nuovo passi che

salivano le scale e la principessa stessa entrò e le parlò. La signora F. seppe

così, con sua sorpresa, che la principessa non era entrata nella stanza in

 

280

precedenza; quest’ultima, tuttavia, non mostrò alcuno stupore quando la

signora F. le raccontò quello che aveva udito.

Il mattino dopo, venuta a sapere che nemmeno la cameriera della

principessa era entrata nella stanza, e che nessun altro vi era entrato, la

signora F. parlò ancora del singolare evento; e la principessa le comunicò

francamente quello che la signora F. apprese allora per la prima volta, e cioè

che erano abituati a queste visite misteriose, che esse in genere annunciavano

qualche avvenimento insolito in famiglia, e che suo marito aveva venduto un

palazzo da loro occupato un tempo, in un’altra strada, solo per cercar di

sfuggire ai ripetuti rumori e altri disturbi da cui erano tormentati. Uno di

questi era il frequente risuonare di passi pesanti, nel cuore della notte, lungo

un certo corridoio. Il principe, durante il verificarsi di questi rumori, aveva

più volte provveduto a far chiudere l’uscita di questo corridoio mettendovi

anche un uomo di guardia; ma invano. Il mistero non poté mai essere

chiarito.

La principessa aggiunse che i rumori li avevano seguiti, ripetendosi a

intervalli, nel nuovo palazzo in cui ora abitavano e le cui finestre davano sulla

Neva. Una delle sue figlie, prima di sposarsi, aveva regolarmente avuto la

sensazione che qualcuno le si avvicinasse, preceduto da un rumore di passi e

da quello che sembrava il fruscio di una veste di seta, e talora accompagnato

come dal rumore di acqua versata sul tavolo.

A quel tempo vi era nella casa una cameriera chiamata Louise, una giovane

tedesca di buona famiglia, di un’educazione superiore alla sua condizione, da

lei accettata solo in seguito a una delusione amorosa dovuta all’ostinata

opposizione dei genitori del giovane alla loro unione. Per il suo carattere

allegro e gentile e per la sua intelligenza, era divenuta una favorita della casa e

specialmente della signora F. da lei curata durante una malattia.

Quando, in seguito, la stessa Louise cadde malata, tutta la famiglia si

interesso molto a lei, e la signora F. fu spesso al suo capezzale.

Una sera il medico di famiglia, dopo averla visitata, disse che stava bene e

che si sarebbe certamente rimessa; così che la signora F. andò a letto senza

alcuna preoccupazione.

Quella notte, verso le due, fu disturbata dalla sensazione che qualche cosa

la toccasse; e, pensando che fosse un topo, si svegliò del tutto, atterrita. Allora

sentì, più distintamente che il tocco era di una mano umana che la premeva

leggermente su varie parti del corpo. La sensazione era così netta e

inconfondibile da darle la certezza che qualcuno era nella sua stanza. Ma non

poteva vedere né udire nulla; dopo un certo tempo cesso. Il mattino seguente

 

281

la domestica la svegliò con la notizia che Louise era improvvisamente morta

quella notte verso le due.

Gli effetti della ragazza, le sue vesti, le sue lettere (alcune delle quali del suo

amato che ancora nutriva affetto per lei) insieme con un ritratto di lui, furono

riuniti e posti, in attesa che fossero reclamati dalla famiglia di lei, non nella

stanza in cui ella era morta, ma in un’altra, che divenne la stanza da letto della

cameriera che le succedette.

Poiché la famiglia aveva spesso perduto la servitù a causa della paura

suscitata dai misteriosi disturbi, fu presa ogni misura. Perché questa donna

non sentisse parlare di questi fenomeni. Ella tuttavia, in tempi diversi, udì

rumori notturni e dichiaro di avere più volte visto distintamente attraversare

la stanza da una figura che non aveva mai visto e la cui descrizione

corrispondeva esattamente all’aspetto della povera Louise. Questa

apparizione la spinse a chiedere se non fosse quella la stanza in cui era morta

colei che l’aveva preceduta. Ma, rassicurata su questo, ed essendosi vantata,

quando si erano manifestati i primi rumori, che nessun fantasma le avrebbe

fatto paura, si vergognò di manifestare il desiderio di dormire con un’altra

cameriera; e pertanto continuò a occupare la stanza.

Circa cinque settimane dopo la morte di Louise, e pochi minuti dopo la

mezzanotte, la signora F. saliva le scale con una candela in mano, e, giunta al

pianerottolo, una vaga forma passo improvvisamente dalla sua sinistra alla

destra, non così rapidamente, tuttavia, da non permetterle di distinguere che

era trasparente; perché scorse nettamente attraverso di essa la finestra

opposta. Mentre si passava una mano sugli occhi - essendole balenata l’idea

che poteva essere solo un’allucinazione - fu scossa da un violento grido di

angoscia che veniva dalla stanza della cameriera, situata a sinistra del

pianerottolo. Il grido fu così forte da svegliare tutta la casa, e la principessa e

altri si affrettarono, con la signora F., a cercarne la causa. Trovarono la

ragazza in preda a violente convulsioni, e quando, dopo un po’, ella si fu

rimessa, racconto con accenti di estremo terrore che la figura da lei già vista

molte altre volte, le era apparsa nel modo più evidente, si era avvicinata al

letto e si era chinata su di lei così che le era parso sentirne il respiro e il

contatto, dopo di che aveva perso conoscenza e non sapeva cosa fosse

avvenuto in seguito. Non poté essere indotta a dormire ancora in quella

stanza, e, dopo che la ebbe lasciata, i disturbi continuarono.

Dopo un certo tempo, il giovane che era stato fidanzato con Louise scrisse

per avere i suoi effetti, chiedendo che gli venissero spediti a sue spese. La

nuova cameriera era presente mentre venivano impaccati. Nel prendere uno

degli abiti di Louise, lo lasciò cadere atterrita dichiarando che la figura che si

 

282

era chinata su di lei, facendola cadere in deliquio, indossava proprio

quell’abito.

Dal giorno in cui gli effetti furono portati via dalla stanza in cui erano stati

posti, tutti i rumori e i disturbi cessarono (15).

Ci avviciniamo gradualmente a un punto, in questa serie di narrazioni, in

cui diviene molto difficile spiegare i fenomeni con qualsiasi altra ipotesi che

non sia spiritica. Nel caso precedente, per esempio come spiegare la

coincidente visione della signora F. e della ragazza che era succeduta a Louise

se non supponendo una realtà oggettiva?

Troviamo storie conclusive al pari di questa, comunemente narrate e di

solito screditate dai commentatori superficiali, talora giustamente, perché

molte di esse sono apocrife; a volte, a mio parere, ingiustamente.

Scelgo, da quest’ultima classe, tra quelle che sono dette moderne storie di

fantasmi, una che, dati la condizione e il carattere dei due osservatori (Sir

John Sherbroke e il generale Wynyard) si è diffusa in Inghilterra forse più di

ogni altra. Fu pubblicata dai giornali del tempo e, in forma alquanto estesa, ci

è stata conservata almeno in una delle pubblicazioni moderne (16). Vi si

allude, dando solo le iniziali dei nomi, nell’edizione di Plutarco

dell’arcidiacono Wrangham, in una nota che suona così:

«Una storia molto singolare, tuttavia, potrebbe essere raccontata a questo

proposito dai generali S. e W., entrambi uomini di onore e di spirito

indiscutibili e distinti per le loro attività a servizio del paese». E’ riferita in

modo succinto dal dott. Mayo nella sua opera sulle superstizioni popolari, ed

egli la accompagna con questa garanzia: «Ho avuto modo di informarmi

presso due stretti parenti del generale Wynyard, sulla cui parola si fonda

questa storia. Entrambi mi hanno detto di averla udita dalle sue labbra. Più di

recente un signore la cui accuratezza di informazione è fuori del comune, mi

disse di avere udito il defunto Sir John Sherbroke, l’altro protagonista del

racconto, narrarla in modo molto simile durante un pranzo» (17). La storia é

la seguente.

L’APPARIZIONE DI WYNYARD

Nel 1785, Sir John Sherbroke e il generale George Wynyard, allora giovani,

erano ufficiali - il primo capitano e il secondo tenente - nello stesso

reggimento, il 33°, allora comandato dal tenente colonnello Forke, di

guarnigione a Sydney, nell’isola di Cape Breton, nella Nuova Scozia.

 

283

Il 5 ottobre di quell’anno, fra le otto e le nove di sera, questi due ufficiali

erano seduti davanti al fuoco, a prendere il caffè nel salotto di Wynyard. Era

una stanza nella nuova caserma che era stata costruita l’estate precedente, e

aveva due porte l’una che dava su di un corridoio e l’altra che metteva nella

stanza da letto degli ufficiali nella quale non vi era altra uscita.

Sherbroke, alzando per caso gli occhi, vide presso la porta che dava sul

corridoio la figura di un giovane alto, apparentemente sui vent’anni, ma

pallido ed emaciato. Stupito dalla presenza di un estraneo, Sherbroke

richiamò sul visitatore l’attenzione del suo collega, che gli sedeva vicino.

«Avevo sentito parlare», disse poi raccontando l’incidente, «di uomini pallidi

come la morte, ma non ho mai visto un volto vivente assumere l’aspetto di un

cadavere come quello di Wynyard in quel momento». Entrambi rimasero

silenziosi guardando la figura che adesso attraversava lentamente la stanza ed

entrava nella stanza da letto, gettando sul giovane Wynyard, nel passare, uno

sguardo, come apparve, al suo amico, di malinconico affetto. Appena superata

l’oppressione della sua presenza, Wynyard, afferrando il braccio dell’amico,

esclamò con voce appena articolata: «Gran Dio! Mio fratello!».

«Tuo fratello? Che vuoi dire?» rispose Sherbroke. «Dev’esserci stata una

qualche illusione». E così dicendo entrò immediatamente nella stanza da letto

seguito da Wynyard. Non c’era alcuno. Cercarono in ogni parte e si convinsero

che la stanza era assolutamente vuota. Un altro ufficiale, il tenente Ralph

Gore, venuto subito dopo, si unì alla ricerca ma con eguale inutilità. Wynyard

insisteva ad affermare di avere visto lo spirito di suo fratello; ma, per un certo

tempo, Sherbroke inclinò a pensare di essere stati in qualche modo illusi,

forse dallo scherzo di qualche ufficiale. Tuttavia, dietro suggerimento del

tenente Gore, il giorno dopo il capitano Sherbroke prese nota della data; e

tutti attesero con grande ansietà di ricevere lettere dall’Inghilterra.

L’ansietà, alla fine, divenne così evidente da parte di Wynyard, che i suoi

colleghi, nonostante la sua decisione in contrario, ebbero da lui la confessione

di ciò che aveva visto. Subito la storia si divulgò e suscito molta eccitazione

nel reggimento. Quando arrivò l’attesa nave postale, non vi era alcuna lettera

per Wynyard ma una per Sherbroke. Appena questo ufficiale la ebbe aperta,

chiamò con un cenno Wynyard fuori dalla stanza. L’aspettativa era al culmine

specialmente perché i due amici rimasero appartati per un’ora. Al ritorno di

Sherbroke il mistero fu risolto. Era la lettera di un altro ufficiale che pregava

Sherbroke di dare al suo amico Wynyard la notizia della morte del suo fratello

preferito, spirato il 15 ottobre alla stessa ora in cui gli amici avevano visto

l’apparizione nel fortino (18).

Rimane da dire che, alcuni anni dopo, Sir John Sherbroke, che non aveva

mai visto John Wynyard da vivo, e che era tornato in Inghilterra, stava

 

284

passeggiando in Piccadilly, a Londra, quando, sull’altro lato della strada vide

un signore in cui riconobbe immediatamente la controparte del misterioso

individuo. Attraversata la strada, lo avvicinò, scusandosi per la sua intrusione,

e seppe così che era il fratello (non il gemello, come alcuni hanno riferito) di

Wynyard (19). Tale è la storia, della cui realtà ho avuto la fortuna di trovare

garanti oltre a quelli già indicati.

Il capitano Henry Scott, residente a Blackheath, presso Londra, che ho il,

piacere di conoscere, circa trent’anni fa, quando Sir John Sherbroke era

Governatore della Nuova Scozia, si trovava sotto il suo comando come

Assistente Sovrintendente Generale di quella provincia; e, mentre desinava

un giorno con Sir John, un commensale noto che un giornale inglese, appena

ricevuto, riportava una straordinaria storia di fantasmi in cui appariva il suo

(di Sir John) nome. Allora Sherbroke, con molta emozione, si affrettò a

rispondere: «Prego che questo argomento non sia più menzionato».

L’impressione di tutti i presenti fu che egli considerava l’argomento troppo

serio per parlarne a tavola.

Ma non abbiamo solo impressioni suggerite da questa testimonianza

indiretta. Io comunicai al capitano Scott, in manoscritto, l’intera storia; e, nel

restituirmela, egli mi scrisse, col permesso di usare il suo nome, quanto

segue:

«Circa sei anni fa, desinando da soli col mio caro amico - ora nel numero

dei più - generale Paul Anderson, gli raccontai la storia dell’apparizione di

Wynyard, sostanzialmente come avete fatto voi. Quando ebbi finito mi disse:

“E’ straordinario che abbiate raccontato questa storia quasi con le stesse

parole con cui la ho udita dalle labbra dello stesso Sir John Sherbroke poco

prima della sua morte” (20). Chiesi al generale se Sir John aveva espresso

qualche opinione sull’ incidente.

«“Sì”, mi rispose: “mi assicurò nel modo più solenne di considerare

l’apparenza un fantasma o uno spirito; e aggiunse che la sua credenza era

condivisa dal suo amico Wynyard”.

«Il generale Anderson fu un distinto ufficiale della Guerra Iberica,

maggiore sotto Sir John Moore, e uno di coloro che assistettero alle esequie

del valoroso generale» (21).

Non mi si obietterà, credo, che questa prova non è diretta ed esauriente

come avrebbe potuto essere, in mancanza di una relazione scritta lasciata

dall’uno o dall’altro degli osservatori, che non sembra essere stata trovata.

L’ufficiale che per primo entrò nella stanza dopo che l’apparizione era stata

vista, testimonia per scritto i fatti principali. Sir John Sherbroke stesso, dopo

quarant’anni, conferma a un ufficiale la sua inalterata convinzione che si era

 

285

trattato dello spirito del fratello del suo amico (22), apparso loro nella

caserma di Sidney, e che questo amico era pienamente convinto, al pari di lui,

del fatto in sé.

Molto probativo, inoltre, è il fatto che i lineamenti dell’apparizione si

impressero così fortemente nella memoria di Sherbroke, da permettergli di

rievocarne il ricordo, alcuni anni dopo, in base all’aspetto di un estraneo

incontrato per caso nelle strade di Londra, spingendolo ad avvicinare questo

estraneo che risultò essere, se non un fratello, una persona che assomigliava

singolarmente al defunto.

Nella relazione seguente troviamo un esempio di tre persone che videro la

stessa apparizione sebbene in tempi diversi.

APPARIZIONE DI UN ESTRANEO

Nel marzo del 1854, il barone di Guldenstubbe risiedeva solo in un

appartamento al N° 23 di Rue St. Lazare, a Parigi.

Il 16 di quel mese, tornato dopo mezzanotte da un ricevimento serale, si

ritirò per coricarsi, ma, incapace di dormire, accese una candela e si mise a

leggere. Presto fu distratto dalla lettura dall’impressione di una scossa

elettrica, poi di un’altra finché se ne ripeterono otto o dieci. Questo lo

sorprese notevolmente e gli tolse ogni voglia di dormire: si alzò, indossò una

calda vestaglia e accese il fuoco nel salotto adiacente.

Dopo pochi minuti, tornato nella stanza da letto, senza candela, per cercare

un fazzoletto, notò, alla luce che veniva dal salotto attraverso la porta aperta,

proprio davanti al camino (che era in un angolo della stanza nella diagonale

opposta alla porta) quello che sembrava una leggera colonna di vapore grigio,

appena luminosa. La considerò per un momento, ma, pensando che fosse solo

effetto della luce riflessa dalle lampade del cortile, non vi pensò più e rientrò

nel salotto.

Dopo un certo tempo, poiché il fuoco stava spegnendosi, tornò nella stanza

da letto per prendere una fascina. Questa volta l’apparenza di fronte al

camino richiamò la sua attenzione. Arrivava fin quasi al soffitto, che era alto

un dodici piedi. Il suo colore era mutato da grigio in azzurro: quella

sfumatura azzurra che si presenta quando si brucia spirito di vino. Era inoltre

più distinta e un poco più luminosa di prima. Mentre il barone la guardava

stupito, a poco a poco divenne visibile in essa la figura di un uomo. I contorni

dapprima erano vaghi e il colore azzurro, come quello della colonna, solo più

 

286

cupo. Il barone la considerò un’allucinazione, ma continuò a esaminarla

attentamente da una distanza di tredici o quattordici piedi.

Gradatamente i contorni della figura divennero più netti, i lineamenti

assunsero una forma più precisa e l’insieme prese il colore della carne e dei

vestiti di un uomo. Infine si presentò chiaramente nella colonna giungendo a

circa metà della sua altezza la figura di un vecchio alto e corpulento, dal

colorito fresco, gli occhi azzurri, capelli nivei, folti favoriti bianchi, ma senza

barba né baffi, e vestito con grande cura. Sembrava portare una bianca

cravatta e un lungo panciotto bianco, alto colletto rigido e una lunga giacca

nera molto aperta sul petto come sogliono le persone corpulente quando fa

caldo. Sembrava appoggiarsi su di un grosso bastone bianco.

Dopo pochi minuti, la figura si staccò dalla colonna e venne avanti, come

lentamente fluttuando attraverso la stanza, finché fu a tre piedi dal

meravigliato osservatore. Lì si fermò, alzò una mano come in cenno di saluto

e si inchinò leggermente.

Il primo impulso del barone, al suo avvicinarsi, era stato di suonare il

campanello. La visione era così distinta, la figura dinanzi a lui sembrava così

assolutamente materiale, che egli non riusciva a resistere all’impressione che

un qualche estraneo (perché il volto gli era del tutto sconosciuto) fosse

penetrato nel suo appartamento. Ma l’età e il comportamento amichevole

dell’intruso fermarono la sua mano. Fosse di questo mondo o dell’altro, non

sembrava esservi nulla di ostile né di temibile nell’apparenza che si

presentava.

Dopo un certo tempo, la figura si mosse verso il letto, che era a destra della

porta e immediatamente di fronte al camino; poi, volgendosi a sinistra, tornò

davanti al camino, dove era apparso dapprima, e avanzò una seconda volta

verso il barone. E questo giro continuò, fermandosi a intervalli, otto o dieci

volte. Il barone non udì alcun suono, né voce, né rumore di passi.

L’ultima volta che la visione tornò al camino, dopo essere venuta di fronte

al barone, rimase lì. Lentamente i contorni persero la loro nettezza, e, mentre

svaniva, la colonna tornò a poco a poco a formarsi racchiudendola come

prima. Questa volta, tuttavia, fu molto più luminosa perché la sua luce era

sufficiente a permettere al barone di leggere della stampa minuta, come egli

accertò prendendo la Bibbia dal suo tavolino da toletta e leggendo un paio di

versi. Mi mostrò la copia: era in caratteri molto piccoli. Gradualmente la luce

scomparve, guizzando ogni tanto come una lampada che si spegne.

Dal momento in cui la figura era apparsa a quello in cui cominciò a svanire

mischiandosi con la colonna, erano passati circa dieci minuti, così che il

testimone di questa notevole apparizione ebbe tutto il tempo di esaminarla

 

287

appieno. Ogni volta che si voltava verso il camino, vedeva distintamente il suo

dorso. Non provò alcuno spavento essendo soprattutto occupato, finché durò

la visione, nel cercar di accertare se si trattava di una semplice allucinazione o

di una realtà oggettiva. Un paio di volte, durante la sua vita, aveva visto

apparizioni simili, tuttavia meno distinte e scomparse più rapidamente; e,

poiché erano di persone da lui conosciute in vita, le aveva considerate solo

soggettive: forse proiezioni della sua fantasia in uno stato anormale del

sistema nervoso.

Meditando sul fatto, andò a letto e, dopo un poco, si addormentò. In sogno

gli apparve la stessa figura che aveva appena visto, vestita esattamente come

prima. Essa gli ricordò alcune riflessioni che avevano occupato la sua mente

prima di coricarsi. Gli parve di sentirgli dire in sostanza: «Finora non hai

creduto nella realtà delle apparizioni considerandole solo rievocazioni della

memoria: adesso che hai visto un estraneo, non puoi considerarle

riproduzioni di idee precedenti». Il barone assentì, in sogno, a questo

ragionamento; ma il fantasma non gli diede alcuna notizia sul suo nome o

sulla sua condizione di quando era vivo.

Il mattino, incontrando la moglie del portiere, Madame Matthieu, che

soleva riordinargli le stanze, le chiese chi era stato il precedente inquilino

dell’appartamento, aggiungendo che le faceva questa richiesta perché durante

la notte aveva visto un’apparizione nella sua stanza da letto. Dapprima la

donna apparve molto spaventata e poco disposta a essere comunicativa, ma,

in seguito alle pressioni, ammise che l’ultima persona che aveva abitato

l’appartamento ora occupato dal barone era stata il padre della proprietaria

della casa, un certo Monsieur Caron, che un tempo era sindaco della provincia

della Champagne. Era morto circa due anni prima e le stanze erano rimaste

vacanti fino a quando erano state affittate dal barone.

La descrizione di lui, non solo nell’apparenza personale ma in ogni

particolare dell’abito, corrispondeva a quanto il barone aveva visto: un bianco

panciotto che scendeva molto in basso, una cravatta bianca, una lunga giacca

nera erano il suo abbigliamento consueto. La sua statura era superiore alla

media; era corpulento, con gli occhi azzurri, capelli e favoriti bianchi; e non

aveva né barba né baffi. La sua età era fra i sessanta e i settanta. Anche i

particolari minori erano esatti: l’alto colletto duro, la giacca aperta sul petto e

il grosso bastone bianco, che portava sempre quando usciva.

Madame Matthieu confessò inoltre al barone che egli non era il solo a cui

l’apparizione di Monsieur Caron si fosse manifestata. Una volta una

domestica lo aveva visto sulle scale. A lei stessa era apparsa parecchie volte:

una volta proprio di fronte all’ingresso del salotto; un’altra volta in un

corridoio oscuro che passava dietro la stanza da letto conducendo in cucina; e

 

288

più volte nella stessa stanza da letto. Monsieur Caron era caduto proprio in

quel corridoio in seguito a un colpo apoplettico, era stato portato nella stanza

da letto, ed era morto nel letto ora occupato dal barone.

Gli disse inoltre che, come forse aveva notato, cercava sempre di riordinare

la sua stanza da letto quando lui era in salotto, e che aveva voluto più volte

scusarsi di questo, ma si era trattenuta non sapendo che scusa dare. La vera

ragione era che aveva paura di vedere ancora l’apparizione del vecchio

signore.

La cosa, infine, venne agli orecchi della figlia, la proprietaria della casa. Lei

fece celebrare delle messe per l’anima del padre, e si dice - con quanta verità

non so - che da allora l’apparizione non sia più stata vista nell’appartamento.

Ho avuto questa narrazione dallo stesso barone de Guldenstubbe (23).

Questo signore mi assicurò che, al tempo in cui vide l’apparizione, non aveva

mai sentito parlare del signor Caron e quindi non aveva la minima idea del

suo aspetto personale o del suo modo di vestire; né, come si può supporre, gli

era mai stato detto che qualcuno fosse morto, due anni prima, nella stanza in

cui dormiva.

La storia trae gran parte del suo valore dal modo calmo e spassionato con

cui il testimone sembra avere osservato la successione dei fenomeni, e dai.

particolari che, in conseguenza, egli ha potuto fornirci. E’ anche notevole sia

per le influenze elettriche che precedettero l’apparizione, sia per la

corrispondenza fra l’apparizione vista dal barone in stato di veglia e quella

vista in seguito in sogno: la prima percepita da un solo senso - la vista - la

seconda interessante (sebbene solo in visione onirica) anche l’udito.

Le coincidenze relative alle caratteristiche personali e ai particolari

dell’abito sono troppo numerose e minutamente esatte per essere fortuite,

quale che sia la teoria adottata per spiegare il fatto.

Le serie di queste narrazioni sarebbe incompleta senza alcuni esempi di

quelle storie di carattere tragico che sembrano indicare come le malvagie

azioni commesse in questo mondo possano richiamare dall’altro il criminale o

la vittima.

Un esempio veramente straordinario di tali storie è dato nelle memorie di

Sir Nathaniel Wraxall, uomo noto al suo tempo e, dal 1780 al 1794, membro

del Parlamento inglese. Fu riferita a Sir Nathaniel, quando era in visita a

Dresda, dal conte di Felkesheim. Di lui Wraxall dice: «Era un gentiluomo

della Livonia stabilitosi in Sassonia, di elevata intelligenza, superiore alla

credulità e alla superstizione». La conversazione avvenne nell’ottobre del

1778.

 

289

Dopo avere alluso alla celebre esibizione, da parte di Schrepfer,

dell’apparizione del Chevalier de Saxe, esprimendo l’opinione che «sebbene

non potesse spiegare per quale processo o marchingegno fosse condotta

questa faccenda, aveva tuttavia sempre considerato Schrepfer un abile

impostore», il conte continuò dicendo di non essere così decisamente scettico,

quanto alla possibilità delle apparizioni, da metterle in ridicolo o da

respingerle come non filosofiche. Educato all’università di Königsberg, aveva

seguito le lezioni di etica e di filosofia morale di un certo professore, un uomo

veramente superiore ma che, sebbene ecclesiastico, era sospettato di opinioni

molto peculiari in fatto di religione. In realtà, quando, durante il suo corso, il

professore affrontava l’argomento di uno stato futuro, il suo linguaggio

tradiva un così visibile imbarazzo che il conte, incuriosito, si arrischiò

privatamente a parlarne con il suo maestro invitandolo a dire se aveva celato

qualche cosa che aveva in mente. La risposta del professore fu inclusa nella

seguente strana storia.

LA STUFA DI FERRO

«L’esitazione che avete notato», egli disse, «è risultata dal conflitto che

avviene in me quando tento di raccogliere le idee su di un soggetto in cui la

mia intelligenza non coincide con la testimonianza dei miei sensi. Per

ragionamento e per riflessione sono incline a considerare con incredulità e

disprezzo l’esistenza di apparizioni. Ma un’apparenza che ho visto con i miei

occhi, per quanto si possa credere in essi come in qualsiasi altra percezione, e

che ha anche ricevuto una sorta di conferma successiva da altre circostanze

connesse con i fatti originali, mi lascia in questo stato di scetticismo e di

incertezza che pervade i miei discorsi. Ve ne comunicherò la causa.

«Allevato alla carriera ecclesiastica, ebbi in dono da Federico Guglielmo I,

defunto re di Prussia, un piccolo beneficio, situato all’interno del paese, a una

considerevole distanza a sud di Königsberg. Io mi vi recai per prendere

possesso dei miei redditi, e trovai una graziosa parrocchia, dove passai la

notte nella stanza da letto del mio predecessore.

«Era il più lungo giorno d’estate; e la mattina seguente, che era domenica,

mentre ero a letto, sveglio, con le cortine del letto tirate e in pieno giorno, vidi

la figura di un uomo, in vestaglia, seduto a una scrivania su cui era un grosso

libro, intento a voltarne ogni tanto le pagine. A ognuno dei suoi lati vi era un

bambino che ogni tanto guardava attentamente in volto, e ogni volta

sembrava trarre un profondo sospiro. Il suo aspetto pallido e sconsolato

indicava una qualche intima angoscia. Io vedevo perfettamente tutto ciò, ma,

 

290

troppo impaurito e impressionato per alzarmi e rivolgermi all’apparizione che

mi stava davanti, rimasi per alcuni minuti spettatore silenzioso e senza fiato,

senza pronunciare parola o tentare di muovermi. Alla fine l’uomo chiuse il

libro e poi, prendendo i due bambini per mano, attraverso lentamente la

stanza. I miei occhi intenti lo seguirono finché le tre figure disparvero, o si

perdettero, dietro una stufa di ferro che era all’angolo estremo della stanza.

«Per quanto profondamente e paurosamente colpito dalla visione che

avevo avuto e per quanto incapace di spiegarla in modo soddisfacente, potei

riprendere possesso delle mie facoltà tanto da alzarmi, e, dopo essermi vestito

in fretta, lasciai la casa. Il sole si era levato già da tempo; e, direttomi in

chiesa, la trovai aperta sebbene il sacrestano se ne fosse andato. Nel varcare il

cancello, la mia mente e la mia immaginazione erano ancora così interamente

impressionate dalla scena che avevo visto, che cercai di allontanarne il ricordo

guardando gli oggetti che mi circondavano. In quasi tutte le chiese del

dominio prussiano è abitudine appendere ai muri o ad altre parti del

fabbricato i ritratto dei pastori che, successivamente, hanno lasciato il

beneficio. Un certo numero di queste pitture, rozzamente tracciate, erano

appese in una navata; ma non appena ebbi rivolto gli occhi sull’ultima della

fila, che era il ritratto del mio immediato predecessore, tutte si collegarono

all’oggetto della mia visione, perché immediatamente riconobbi lo stesso volto

che avevo visto nella mia stanza da letto, sebbene non adombrato dalla stessa

profonda espressione di malinconia e di angoscia.

«Il sacrestano entrò mentre stavo ancora contemplando questo volto

interessante, e io cominciai immediatamente a parlare con lui di coloro che

mi avevano preceduto. Egli ricordò parecchi beneficiari, relativamente ai

quali feci varie domande, finche giunsi all’ultimo, nei riguardi del quale fui

particolarmente curioso. “Lo consideravamo”, disse il sacrestano, “come uno

dei più dotti e simpatici uomini che avessimo avuto fra noi. Il suo carattere e

la sua bontà lo avevano reso caro a tutti i suoi parrocchiani, che piangeranno

a lungo la sua perdita. Ma ci fu portato via nel mezzo dell’età da una lenta

malattia la cui causa ha fatto sorgere molte spiacevoli voci fra noi e su cui si

fanno ancora congetture. Comunque si pensa che sia morto di crepacuore”.

«Questo accese ancor più la mia curiosità, e insistetti presso di lui perché

mi dicesse tutto quello che sapeva o aveva udito in proposito. “Non sappiamo

nulla di preciso”, mi rispose. “Ma si è diffusa una storia scandalosa circa una

sua relazione illecita con una ragazza del vicinato da cui si affermava che

avesse avuto due figli. A conferma di ciò so di certo che vi erano due bambini,

di quattro o cinque anni, che sono stati visti alla parrocchia; ma essi

scomparvero improvvisamente qualche tempo prima della morte del loro

supposto padre, sebbene nessuno sappia dove siano stati mandati o che cosa

sia avvenuto di loro. Ed è egualmente certo che le supposizioni e i giudizi

 

291

sfavorevoli su questa misteriosa faccenda, che di sicuro giunsero ai suoi

orecchi, affrettarono, se pure non provocarono, la malattia di cui morì il

nostro pastore: ma lui ormai è andato a render conto della sua vita, e noi

dobbiamo pensare caritatevolmente dello scomparso”.

«E’ inutile dire con quale emozione ascoltai questa relazione, che

richiamava alla mia immaginazione tutto ciò che avevo visto e sembrava

confermarne la realtà. Tuttavia, non volendo che la mia mente divenisse

schiava di fantasmi, che possono essere effetto di errore e di illusione, non

comunicai mai al sacrestano i fatti di cui ero stato testimone, né mi permisi di

lasciare la stanza in cui erano avvenuti. Continuai a dormire lì senza mai

osservare alcuna apparizione del genere, e lo stesso ricordo cominciò a

dileguarsi via via che avanzava l’autunno.

«Quando l’approssimarsi dell’inverno rese necessario accendere il fuoco

nella casa, ordinai che fosse accesa, per riscaldare l’appartamento, la stufa di

ferro che era nella stanza e dietro la quale era sembrata scomparire la figura

che avevo visto con i due bambini. Si trovò qualche difficoltà nel farlo: la stufa

non solo faceva fumo in maniera insopportabile, ma esalava un odore

ripugnante. Mandato a chiamare un fabbro perché la esaminasse e la

riparasse, egli scoprì nell’interno, molto in fondo, le ossa di due piccoli corpi

umani, corrispondenti nelle dimensioni alla descrizione datami dal sacrestano

dei due bambini visti nella parrocchia.

«Quest’ultima circostanza completò il mio sbigottimento e parve conferire

una sorta di realtà a un’apparenza che altrimenti avrebbe potuto essere

considerata un’illusione dei sensi. Rinunciai al beneficio, lasciai il luogo e mi

ritirai a Königsberg; ma l’evento ha prodotto sulla mia mente la più profonda

impressione e ha, in realtà, fatto sorgere in me quell’incertezza e quella

contraddizione di sentimenti che avete notato nel mio ultimo discorso» (24).

Wraxall aggiunge: «Tale fu il racconto del conte Felkesheim, che, per la sua

singolarità, mi sembra meritevole di riflessione, per quanto si possano

disprezzare simili aneddoti».

Se possiamo dar fede a questo racconto e ai motivi che sono in esso

impliciti, quale luce essi proiettano sui vari modi di una punizione futura

diretta e inevitabile! Inevitabile finché la malvagità è inerente ai fatti malvagi,

a meno che la coscienza muoia con il corpo. Ma la coscienza è un attributo

dello spirito immortale, e non della struttura terrena. E se, dall’aldilà, trascina

realmente il malfattore sulla scena materiale dei suoi misfatti, come è falsa la

nostra frase quando, parlando di un omicida che ha eluso la giustizia, diciamo

che è sfuggito al castigo! I suoi operati non muoiono. Anche se il braccio

vendicatore di una divinità offesa non colpisce il peccato, il peccato si colpisce

da solo. Anche nel caso di un criminale indurito, quando l’anima, intorpidita

 

292

in una ostinata noncuranza finché legata a un’ottusa e degradata

organizzazione fisica, rimane impervia agli stimoli della coscienza, la morte,

rimuovendo la dura invoglia, può esporre alla sensibilità e alla sofferenza lo

spirito disincarnato.

Vi sono tuttavia indizi, in qualche modo simili, nel loro carattere generale,

a questi, i quali sembrano insegnarci che anche nel mondo futuro il

pentimento, con la sua influenza rigeneratrice, può gradualmente cambiare il

carattere e la condizione del criminale; e oserò presentare un esempio a

illustrazione di ciò, senza temere di essere accusato di insegnamenti cattolici.

La vera filosofia è eclettica.

L’esempio a cui mi riferisco è addotto e garantito dal dott. Kerner, che può

testimoniare in parte per osservazione personale. E’ la storia della stessa

apparizione a cui abbiamo già brevemente alluso (25), parlando di apparizioni

che venivano annunciate a Madame Hauffe da colpi e picchi udibili da tutti. Io

lo intitolo

LE OSSA DEL FANCIULLO RITROVATE

L’apparizione si presentò a Madame Hauffe la prima volta durante

l’inverno del 1824-25, un mattino alle nove, mentre ella era in preghiera. Era

quella di un uomo di carnagione scura e di bassa statura, la testa un po’

cadente, il volto rugoso per l’età, avvolto in una scura tonaca monastica. Egli

la guardò fisso in silenzio. Lei provò un brivido nel rispondere al suo sguardo

e lasciò in fretta la stanza.

Il giorno dopo, e quasi ogni giorno per un intero anno, la figura tornò

apparendo in genere alle sette di sera, che, per Madame Hauffe, era l’ora della

preghiera. Nella sua seconda apparizione le parlò dicendole di essere venuto

da lei per conforto e guida. «Trattami come un fanciullo», le disse, «e

insegnami la religione». Con particolare insistenza la scongiurò di pregare per

lui. In seguito le confesso di avere sulla sua anima il peso di un omicidio e di

altre gravi colpe; di essere andato vagando per lunghi anni senza riposo e di

non avere mai saputo rivolgersi alla preghiera.

Ella appagò la sua richiesta; e di tanto in tanto, durante tutto il lungo

periodo in cui continuò ad apparirle, gli diede un’istruzione religiosa ed egli si

unì a lei nelle sue devozioni.

Una sera, all’ora solita, apparve con lui la figura di una donna alta e magra,

portando fra le braccia un bambino che sembrava appena morto. Si

inginocchiò insieme a lui e pregò con loro. La figura femminile era già

 

293

apparsa una volta alla veggente; e la sua venuta era in genere preceduta da

suoni simili a quelli che si ottengono con un triangolo di acciaio.

Talora ella vedeva la figura dell’uomo durante le sue passeggiate. Sembrava

scivolare davanti a lei. Una volta era andata in visita a Gronau, con i suoi

genitori e i suoi. fratelli e sorelle; e, prima che giungesse a casa, l’orologio

batté le sette. Improvvisamente ella si mise a correre, e, quando gli altri

riuscirono a raggiungerla per chiedergliene la ragione, esclamò: «Lo spirito

mi precede e chiede le mie preghiere». Mentre proseguivano in fretta, la

famiglia udì distintamente un battito, come di mani, che sembrava provenire

dall’aria davanti a loro; altre volte furono dei colpi come provenienti dai muri

delle case davanti a cui passavano. Quando furono a casa, un battito di mani

risuonò davanti a loro mentre salivano le scale. La veggente si affrettò ad

andare nella sua stanza, e lì, in ginocchio, lo spirito pregò con lei.

Via via che ella conversava con lui e che lui veniva per la preghiera, il suo

contegno si fece più disinvolto, più sereno e amichevole. Quando le loro

devozioni erano finite, soleva dire: «Adesso sorge il sole!» o: «Adesso sento il

sole brillare in me».

Una volta ella gli chiese se poteva udir parlare le altre persone come udiva

lei. «Le posso udire attraverso di te», fu la sua risposta. «In che modo?» gli

chiese ancora; e lui rispose: «Perché quando tu odi parlare gli altri, pensi a

quello che dicono; e io posso leggere i tuoi pensieri».

Fu osservato che ogni volta che lo spirito appariva, un terrier nero che era

nella casa sembrava sentire la sua presenza; perché non appena la figura

diveniva percettibile alla veggente, il cane correva, come per cercare

protezione, da qualcuno dei presenti, spesso mugolando forte; e, dopo averlo

visto la prima volta, non volle più restare solo di notte.

Una notte questa apparizione si presentò a Madame Hauffe dicendo: «Non

verrò da te per una settimana, perché il tuo spirito custode è impegnato

altrove. Qualche cosa di importante sta per accadere nella tua famiglia: ne

avrai notizia il prossimo mercoledì».

Questo fu ripetuto da Madame Hauffe alla sua famiglia il mattino dopo.

Arrivò il mercoledì e, insieme, una lettera con la notizia che il nonno della

veggente, della cui malattia non erano stati informati, era morto.

L’apparizione non tornò a mostrarsi fino alla fine della settimana.

Lo «spirito custode» di cui aveva parlato l’apparizione, si manifestava

spesso alla veggente sotto la forma di sua nonna, la moglie defunta di colui

che era appena morto, e affermava di essere lo spirito di sua nonna e di

vegliare sempre su di lei. Quando lo spirito dell’omicida confesso riapparve

dopo l’intervallo di una settimana, ella gli chiese perché il suo spirito custode

 

294

l’avesse lasciata in quei giorni. Lui rispose: «Perché era occupato presso il

letto di colui che è morto». E aggiunse: «Mi sono evoluto tanto da poter

vedere lo spirito di tuo nonno, subito dopo la morte, entrare in una bella valle.

Presto mi sarà permesso di entrare a mia volta».

La madre di Madame Hauffe non vide mai l’apparizione, e nemmeno sua

sorella. Ma entrambe, quando lo spirito appariva alla veggente, avevano

spesso la sensazione che una brezza soffiasse su di loro.

Un amico della famiglia, una guardia forestale di nome Böheim, non voleva

credere all’apparizione ed espresse il desiderio di essere presente con

Madame Hauffe all’ora solita in cui arrivava. Lui e lei erano soli nella stanza.

Dopo che furono passati alcuni minuti, si udirono dal di fuori i consueti colpi

e, poco dopo, il rumore di un corpo caduto. Quelli che entrarono, videro

Böheim a terra svenuto. Quando si riebbe, disse che, subito dopo l’inizio dei

colpi, si era formata, in un angolo, una nube grigia, la quale a poco a poco si

avvicinò alla veggente e a lui stesso e, giunta molto vicino, assunse forma

umana. Era fra lui e la porta, così da sbarrare l’uscita. Era tornato alla

coscienza all’arrivo degli aiuti e fu stupito di vedere delle persone che

passavano attraverso la figura senza accorgersene.

Al termine di circa un anno dal tempo della prima apparizione - e cioè la

sera del 5 gennaio 1826 - lo spirito disse alla veggente: «Presto ti lascerò per

sempre». E la ringraziò per l’aiuto e gli ammaestramenti che gli aveva dato e

per le sue preghiere. Il giorno dopo (6 gennaio, il giorno in cui il figlio di lei fu

battezzato) le apparve per l’ultima volta. Una ragazza di servizio, che era con

la veggente in quel momento, vide e udì, con grande stupore, la porta aprirsi e

chiudersi; ma solo la veggente vide entrare l’apparizione e non disse nulla alla

ragazza.

In seguito, al battesimo, il padre di Madame Hauffe vide distintamente la

stessa figura, che sembrava luminosa e gradevole. E, andato poco dopo

nell’anticamera, vide anche l’apparizione della donna alta, magra e

malinconica con il bambino fra le braccia. Dopo quel giorno, nessuna delle

due figure apparve più alla veggente.

Ma il fatto più rigorosamente probativo deve ancora essere detto. Dietro

insistenza della veggente, fu scavato in un luogo da lei indicato nel cortile

dietro la casa, presso la cucina, e lì, a notevole profondità, si trovarono lo

scheletro e altri resti di un bambino (26).

Un solo episodio è prova sufficiente per una nuova teoria; e molti

giudicheranno nuova la teoria secondo la quale la speranza di un

miglioramento non muore con il corpo, il progresso è la grande regola

fondamentale oltre la tomba come in questo mondo, e non solo possiamo ogni

 

295

tanto ricevere comunicazioni dagli abitatori di un altro mondo, ma, in certe

condizioni, possiamo dar loro conforto e ammaestramento in contraccambio.

Non trovo tuttavia, nemmeno per analogia, nella Scrittura o altrove, alcuna

presumibile prova contraria a questa ipotesi (27). La nostra narrazione la

conferma. Tutto quello che si può dire è che altre prove convergenti sono

necessarie prima che si possa affermare razionalmente di avere ottenuto una

tale massa di prove da potere essere considerata conclusiva.

Dobbiamo tuttavia concedere che la storia di Kerner ha forti indizi di

autenticità. La buonafede dell’autore non è stata messa in dubbio nemmeno

dai suoi avversari. Le sue possibilità di osservazione furono quasi senza

precedenti. «Ho visitato Madame Hauffe come medico», egli dice,

«probabilmente tremila volte. Spesso sono rimasto per ore intere al suo

capezzale; conoscevo il suo ambiente meglio di lei, e mi sono dato infinita

cura di accertare ogni diceria, ogni sospetto di frode, senza mai trovarne la

minima traccia (28).

Bisogna anche notare che in questo esempio vi sono molte circostanze a

sostegno oltre le percezioni della veggente: i colpi e i battiti uditi da tutti; la

brezza fredda sentita dalla madre e dalla sorella; la paura del cane; la

realizzazione della profezia comunicata alla famiglia a proposito della morte

del nonno. Si aggiunga a questo il fatto che la stessa apparizione fu vista in

tempi diversi da tre persone: Madame Hauffe, suo padre e Herr Böheim.

Vengono dati nomi, date, luoghi e ogni minimo incidente. La relazione fu

pubblicata sul luogo e in quel tempo. Sedici anni dopo, all’uscita della quarta

edizione dell’opera, il dott. Kerner ripete nel modo più solenne la sua

convinzione nella verità.

E’ vano affermare che dovremmo trascurare testimonianze come questa.

Nei due precedenti racconti, che sembrano indicare il ritorno di uno spirito

malvagio sulla scena delle sue malefatte, l’atto compiuto era uno dei delitto

più gravi, l’omicidio. Ma possiamo trovare esempi in cui la causa del ritorno

sembra essere una mancanza molto semplice. Uno di questi è dato dal dott.

Binns nella sua Anatomy of Sleep (Anatomia del sonno). Fu comunicato

dal reverendo Charles McKay, un prete cattolico allora residente in Scozia, in

una lettera da lui indirizzata alla contessa di Shrewbury, datata Perth, 21

ottobre 1842. Questa lettera fu comunicata dal conte al dott. Binns, che la

pubblicò per intero aggiungendo che «forse non vi è un caso meglio

autenticato». Ne do il seguente estratto.

IL DEBITO DI TREDICI PENCE

 

296

«Nel luglio del 1838 lasciai Edimburgo per assumere la direzione delle

missioni di Perthshire. Arrivato a Perth, la sede principale, fui visitato da una

presbiteriana (si chiamava Anne Simpson) che da più di una settimana era

ansiosa di vedere un sacerdote. Quando le chiesi che cosa desiderava da me,

mi rispose: “Oh, signore, sono stata terribilmente tormentata per parecchie

notti dall’apparizione di una persona”. “Siete cattolica, buona donna?” “No,

signore, sono presbiteriana”. “Perché allora venite da me? Io sono un prete

cattolico”. “Ma, signore, lei (intendendo la persona che le era apparsa) voleva

che andassi da un prete, ed è una settimana che lo cerco”. “Perché voleva che

andaste da un prete?”. “Diceva di essere debitrice di una piccola somma e che

il prete l’avrebbe pagata.” “Di quanto era debitrice?”. “Di tredici pence,

signore”. “E a chi li doveva?”. “Non lo so, signore”. “Siete sicura di non avere

sognato?”. “Oh, Dio mi perdoni! Mi appare ogni notte; non riesco a dormire”.

“Conoscete la donna che, a quanto dite, vi appare?”. “Aveva un misero

alloggio presso la caserma, e la vedevo spesso e le parlavo quando usciva dalla

caserma o vi entrava. Si chiamava Maloy”.

«Feci un’inchiesta e trovai che una donna di tal nome era morta, era

lavandaia e seguiva il reggimento. Continuando l’inchiesta trovai un droghiere

che lei conosceva e, richiestogli se una donna di nome Maloy gli doveva

qualche cosa, egli consultò i suoi libri e mi disse che gli doveva tredici

pence. Pagai la somma. Il droghiere non sapeva nulla di lei né della sua

morte, se non che lavorava per il reggimento. In seguito la presbiteriana

venne da me per dirmi di non avere più avuto noie» (29).

In questo caso non è plausibile supporre che, per una somma così piccola,

un negoziante si sia messo d’accordo con una vecchia (lei aveva superato la

settantina) per inventare la storia di un’apparizione e approfittare del buon

carattere e della credulità di un prete. Inoltre, se ci fosse stato questo

imbroglio, non si può supporre che la vecchia avrebbe taciuto il nome del

droghiere lasciando al reverendo il compito di cercare il creditore come

meglio poteva.

Se tutta la storia fu riferita in buona fede, sembrerebbe indicare che

l’umano carattere possa essere poco alterato dalla morte, e mantenga talora in

un altro stato di esistenza non solo ricordi di poco conto ma anche

preoccupazioni triviali.

Alcune relazioni sembran favorire la supposizione che non solo il criminale

ma anche la vittima del suo delitto, possa, a volte, essere attratta in spirito

sulla scena terrena delle sue sofferenze. La storia di Hydesville può esserne un

esempio. Quando ero a Parigi, nella primavera del 1859, ne ottenni un altro, o

tale da sembrarlo. La relazione mi fu comunicata da un ecclesiastico della

Chiesa anglicana, il reverendo dott. ..., cappellano della Legazione inglese a ...

 

297

Avendo udito da un suo collega qualche cosa su questa storia, gli chiesi, per

lettera, l’intero racconto spiegandogli in termini generali lo scopo del mio

lavoro. Egli soddisfece la mia richiesta dandomi un interessante contributo a

questo ramo dell’argomento.

LE MACCHIE DI SANGUE

«Nell’anno 185..., mi trovavo con mia moglie e i miei figli nella nostra

favorita stazione termale di ... Per sbrigare alcuni affari, decisi di lasciare lì la

mia famiglia per tre o quattro giorni, e così in un giorno di agosto, presi la

ferrovia e arrivai la sera, ospite inatteso, a ... Hall, residenza di un signore che

avevo conosciuto di recente e presso il quale si trovava mia sorella.

«Arrivai sul tardi, andai subito a letto e in breve mi addormentai.

Svegliatomi dopo le tre o le quattro, non mi sorpresi di non avere più sonno,

perché non riposo mai bene in un letto non mio. Dopo avere tentato invano di

riassopirmi, cominciai a fare i miei piani per il giorno.

«Ero da poco così occupato quando avvertii improvvisamente che vi era

una luce nella stanza. Voltatomi, scorsi distintamente una figura femminile, e,

cosa che attrasse in particolare la mia attenzione, la luce in cui la vedevo

proveniva da lei stessa. La osservai attentamente. I lineamenti non erano

percettibili. Dopo essersi spostata per un breve tratto, scomparve

all’improvviso come era apparsa.

«La mia prima idea fu che ci fosse qualche trucco. Mi alzai

immediatamente, accesi una candela e trovai la mia stanza ancora chiusa a

chiave. Allora esaminai attentamente le pareti per accertarmi se vi fosse una

qualche possibilità nascosta per entrare o uscire; ma non trovai nulla. Tirai le

tende e aprii gli scuri; fuori tutto era buio e silenzio non essendoci la luna.

«Dopo avere esaminato bene la stanza in ogni parte, tornai a letto e

considerai tutta la cosa con calma. La mia ultima impressione fu di aver

veduto qualche cosa di soprannaturale che, se tale, doveva essere collegato

con mia moglie. Chi era l’apparizione? Che cosa voleva significare? Mi

sarebbe apparsa se fossi stato addormentato invece che sveglio? Erano tutte

domande facili a farsi ma difficili da appagare.

«Anche se la mia stanza non fosse stata chiusa a chiave, o se vi fossero state

altre entrate nascoste, uno scherzo era praticamente fuori questione.

Anzitutto perché non avevo col mio ospite una tale intimità da permettergli

una libertà di questo genere; e secondariamente perché anche se egli fosse

 

298

stato incline a un procedimento così discutibile, in qual momento stava

troppo male per permettermi una tale supposizione.

«Passai il resto della notte nel dubbio e nell’incertezza; e al mattino sceso

di buon’ora, dissi immediatamente a mia sorella quello che era avvenuto

descrivendole minutamente ciò che si riferiva alla visione da me osservata.

Parve molto colpita da quello che le avevo detto, e rispose: “E’ molto strano;

perché credo che tu sappia che, molti anni fa, una signora è stata uccisa in

questa casa, ma non nella stanza in cui hai dormito”. Risposi di non avere mai

sentito parlar di qualche cosa del genere, e stavo per farle altre domande

sull’omicidio, quando fui interrotto dall’arrivo del nostro ospite e di sua

moglie, e poi dalla colazione.

«Dopo colazione uscii, senza avere avuto modo di continuare la

conversazione. Ma tutto l’episodio mi aveva fatto un’impressione che cercavo

invano di dimenticare. Avevo sempre davanti agli occhi quella figura

femminile, e cominciai a sentirmi inquieto e preoccupato per mia moglie. Non

facevo che domandarmi se la cosa potesse essere in qualche modo collegata

con lei. E questo influì tanto su di me che, invece di portare a termine l’affare

per cui avevo lasciato i miei, tornai da loro col primo treno, e solo quando li

vidi sani e salvi mi sentii tranquillo e convinto che, quale che fosse la natura

dell’apparizione, essa non aveva nulla a che fare con qualche disgrazia che li

minacciasse.

«Il mercoledì seguente ricevetti una lettera di mia sorella nella quale mi

informava che, dopo la mia partenza, aveva accertato che l’omicidio era stato

commesso proprio nella stanza in cui avevo dormito. Aggiunse che si

proponeva di farci una visita il giorno dopo e mi pregava di mettere per scritto

una relazione di ciò che avevo visto, con una pianta della stanza e

l’indicazione dei punti in cui la visione era apparsa e sparita.

«Lo feci immediatamente; il giorno dopo, quando mia sorella arrivò, mi

chiese se avevo soddisfatto la sua richiesta. Risposi indicando la tavola del

salotto: “Sì, ecco la relazione e la pianta”. Mentre si alzava per esaminarle, la

prevenni dicendo: “Non guardarle prima di avermi detto tutto quello che devi

dirmi, perché potresti involontariamente colorire la storia in base a quello che

leggerai qui”.

«Allora mi informò di avere esaminato il tappeto tolto dalla stanza da me

occupata, e che le tracce di sangue della persona uccisa erano lì, chiaramente

visibili in un dato punto del pavimento. A mia richiesta tracciò anche lei una

pianta della stanza e segnò i luoghi in cui vi erano tracce di sangue.

«Le due piante, quella di mia sorella e la mia, vennero allora confrontate, e

verificammo il fatto notevolissimo che i luoghi da lei segnati come il

 

299

principio e la fine delle tracce di sangue coincidevano

esattamente con quelli segnati sulla mia pianta come quelli in cui

la figura era apparsa e scomparsa.

«Non saprei aggiungere altro a questa semplice constatazione di fatti. Non

so dare alcuna spiegazione di quello che ho visto. Sono convinto che nessun

essere umano entrò nella mia stanza quella notte, ma so che, da sveglio e in

buona salute, vidi distintamente una figura femminile. E se, come devo

credere, fu un’apparenza soprannaturale, non riesco a immaginare alcuna

ragione per la quale debba essermi apparsa. Né posso dire se, qualora non

fossi stato in quella stanza, o fossi stato addormentato, la figura sarebbe stata

egualmente lì. Così come avvenne, il fatto non parve collegato con alcun

avvertimento né presagio. Nessuna disgrazia mi colpi, allora né in seguito, me

né i miei. E’ vero che l’ospite, nella cui casa mi trovavo quando avvenne

l’incidente, e anche uno dei suoi figli, morirono pochi mesi dopo, ma io non

posso pretendere di indicare un legame fra queste morti e l’apparizione da me

osservata. Non posso dunque cercare di spiegare il “cui bono”. Descrivo solo

quello che ho visto chiaramente e quello soltanto» (30).

In questo caso la narrazione testimonia l’accuratezza e la spassionata

freddezza dell’osservatore. Ed è anche uno degli esempi che sembrano

confermare come questi fenomeni si presentino spesso senza uno scopo

particolare, per quanto possiamo capire. E’ inoltre evidente che furono prese

sufficienti precauzioni per evitare la possibilità che la suggestione fosse la

causa della coincidenza fra le due piante della stanza, quella eseguita dal

fratello e quella disegnata in seguito dalla sorella. Furono senza dubbio

tracciate indipendentemente l’una dall’altra. E, se è così, a che cosa possiamo

attribuire la loro coincidenza? Evidentemente non al caso.

In questo episodio l’attrazione alla terra sembra essere stata dolorosa. Ma

un più frequente e influente motivo sembra essere quel grande principio di

amore, che anche in questo mondo, per quanto sia freddo, è il più potente

incentivo alla virtù, e che, in un altro, affermerà senza dubbio in modo molto

superiore il suo dominio. Può essere l’affetto di remoti parenti,

apparentemente manifestato da qualche antenato, o il più forte amore di un

fratello per una sorella, di un genitore per un figlio, di un marito per la

moglie. Si troverà un esempio di quest’ultimo nella narrazione seguente, che

devo alla gentilezza di amici di Londra; e sebbene in obbedienza ai desideri

della famiglia, alcuni nomi siano dati con le sole iniziali, tutti sono a me noti.

Della buona fede dei narratori non è possibile dubitare.

 

300

IL QUATTORDICI NOVEMBRE

Nel mese di novembre 1857, il capitano C. W. del 6° (Inniskilling) Dragoni,

partì per l’India per raggiungere il suo reggimento.

Sua moglie rimase il Inghilterra, a Cambridge. Nella notte fra il 14 e il 15

novembre 1857, verso il mattino, ella sognò di vedere suo marito con l’aspetto

ansioso e malato; immediatamente si svegliò, molto agitata. Vi era un fulgido

chiaro di luna, e, alzati gli occhi, ella vide la stessa figura a fianco del suo letto.

Appariva in uniforme, le mani premute sul petto, i capelli scarmigliati e

pallidissimo in volto. I suoi grandi occhi scuri erano fissi su di lei; e la loro

espressione era di estrema inquietudine, ed egli aveva una particolare

contrazione della bocca che gli era abituale in stato di agitazione. Lo vide in

ogni minimo particolare del suo vestito, distintamente come lo aveva sempre

visto nella realtà; ed ella ricorda di avere notato fra le sue mani il bianco della

camicia, tuttavia non macchiato di sangue. La figura sembrava piegarsi in

avanti, come in pena, e fare uno sforzo per parlare; ma non vi fu alcun suono.

Rimase visibile, a quanto pensa la moglie, per circa un minuto, poi

scomparve.

La sua prima idea fu di accertarsi di essere ben sveglia. Si strofinò gli occhi

col lenzuolo e sentì che il contatto era reale. Il suo nipotino era nel letto con

lei; si chinò sul bambino addormentato e ascoltò il suo respiro: il suono era

distinto; ed ella si convinse che quello che aveva visto non era un sogno.

Inutile dire che, per quella notte, non dormì più.

Il mattino racconto tutto alla madre esprimendo la sua convinzione che,

sebbene non avesse visto macchie di sangue sull’abito, il capitano W. doveva

essere stato ucciso o gravemente ferito. Era così certa della realtà della visione

che, da allora, rifiutò ogni invito. Una sua giovane amica insistette, subito

dopo, per andare a un concerto con lei ricordandole che aveva ricevuto da

Malta, inviatole da suo marito, un bell’abito che non aveva ancora indossato.

Ma lei si rifiutò ostinatamente affermando che, incerta com’era di non essere

già vedova, non sarebbe mai entrata in un luogo di divertimento prima di

ricevere lettere di suo marito (se era ancora in vita) con data posteriore al 14

novembre.

Un martedì del mese di dicembre 1857 fu pubblicato a Londra il

telegramma relativo al vero destino del capitano W. Diceva che egli era stato

ucciso davanti a Lucknow il quindici di novembre.

Questa notizia, pubblicata dai giornali del mattino, attrasse l’attenzione del

signor Wilkinson, un procuratore di Londra che curava gli affari del capitano

W. Quando più tardi questi incontrò la vedova, ella gli disse di essere stata

 

301

preparata alla triste notizia, ma di essere sicura che suo marito non poteva

essere stato ucciso il 15 novembre, perché le era apparso nella notte tra il 14 e

il 15 (31).

Tuttavia il certificato del Ministero della Guerra, ottenuto dal signor

Wilkinson, confermò la data indicata dal telegramma; esso suona così:

Ministero della Guerra

30 gennaio 1858

N° 9579/1

«Si certifica che dai documenti di questo ufficio risulta che il capitano G.

W., del 6° Guardie Dragoni, è stato ucciso in azione il 15 novembre 1857»

(32).

(Firmato) B. Hawes

Mentre il signor Wilkinson rimaneva incerto circa la data, avvenne un

notevole incidente che parve gettare nuovi sospetti sull’esattezza del

telegramma e del certificato. Questo signore fece visita a un amico, la cui

moglie ha percepito apparizioni per tutta la vita, mentre suo marito è ciò che

si suole chiamare un medium molto sensibile; fatti che, tuttavia, sono noti

solo ai loro intimi amici. Sebbene li conosca personalmente, non sono

autorizzato a dare i loro nomi. Li chiameremo signore e signora N.

Il signor Wilkinson riferì loro, come caso straordinario, la visione della

vedova del capitano relativa alla sua morte, e descrisse la figura quale le era

apparsa. La signora N., volgendosi al marito, disse subito: «Deve essere la

stessa persona che ho visto quella sera in cui parlavamo dell’India e tu

disegnasti un elefante con un palanchino sul dorso. Il signor Wilkinson ne ha

descritto esattamente la posizione e l’aspetto: l’uniforme di ufficiale inglese, le

mani premute sul petto, il volto chino in avanti come per sofferenza. La

figura», aggiunse, «apparve proprio dietro mio marito e sembrava guardare

sopra la sua spalla sinistra».

«Avete tentato di ottenere qualche comunicazione da lui?» chiese il signor

Wilkinson.

«Sì, ne ottenemmo una attraverso la medianità di mio marito».

«Ne ricordare il contenuto?».

«Diceva di essere stato ucciso in India quel pomeriggio, da un colpo al

petto; e ricordo che aggiunse distintamente: “Quella cosa in cui ero solito

 

302

andare in giro non è ancora sepolta”. Ricordo in particolare questa

espressione».

«Quando avvenne, questo?».

«Verso le nove di sera alcune settimane fa, ma non ricordo la data esatta».

«Non potete ricordare qualche cosa che ci aiuti a stabilire il giorno

preciso?».

La signora N. rifletté. «Non ricordo nulla», disse infine, «se non che,

mentre mio marito stava disegnando e io parlavo con un’amica che era venuta

da noi, fummo interrotti da un domestico che portava il conto di un certo

aceto tedesco, e che, mentre io lo raccomandavo come superiore a quello

inglese, ce ne fu portata una bottiglia perché lo esaminassimo».

«Avete pagato quel conto subito?».

«Sì, ho mandato il denaro per mezzo del domestico».

«Avete avuto una ricevuta?».

«Credo di sì. La ho al piano di sopra e posso controllare».

La signora N. mostrò il conto. Il saldo portava la data del quattordici

novembre.

La conferma della certezza della vedova circa il giorno della morte di suo

marito fece tanta impressione sul signor Wilkinson, che egli si rivolse

all’ufficio di Cox e Greenwood, agenti dell’esercito, per accertare se non vi

fosse un errore nel certificato. Ma nulla parve confermare una qualsiasi

inesattezza. La morte del capitano W. era menzionata in due diversi dispacci

di Sir Colin Campbell; e in entrambi la data corrispondeva a quella fornita dal

telegramma.

Così restarono le cose finché, nel mese di marzo 1858, la famiglia del

capitano W. ricevette dal capitano G. C. del Treno Militare una lettera data da

Lucknow il 18 dicembre 1857. Questa lettera informava che il capitano W. era

stato ucciso davanti a Lucknow, mentre conduceva valorosamente il suo

squadrone, non il 15 novembre, come riferito nei dispacci di Sir Colin

Campbell, ma nel pomeriggio del quattordici. Il capitano C. cavalcava

quel giorno accanto a lui e lo vide cadere. Era stato colpito al petto da un

frammento di granata e non parlò più dopo essere caduto. Era stato sepolto a

Dilkoosha; e, su di una croce di legno, eretta dal suo amico tenente R., del 9°

Lanceri, sulla sua tomba, furono incise le iniziali G. W. e la data della sua

morte, 14 novembre 1857 (33).

Il Ministero della Guerra fece infine la correzione della data di morte, ma

solo dopo che fu trascorso un anno. Il signor Wilkinson, avendo chiesto una

 

303

seconda copia del certificato nell’aprile del 1859, vi trovò esattamente le

stesse parole di quello che aveva già avuto, solo che il 14 novembre era stato

sostituito al 15 (34).

Questa straordinaria storia fu ottenuta direttamente da me dalle parti

stesse. La vedova del capitano W. ha gentilmente consentito a esaminare e

correggere il manoscritto, e mi ha permesso di esaminare la lettera del

capitano C. in cui si davano particolari della morte del marito. Il manoscritto

è stato sottoposto anche al signor Wilkinson il quale ha riconosciuto la sua

esattezza per quanto lo concerneva. La parte che si riferisce alla signora N. la

ho ottenuta da lei stessa. Non ho dunque trascurato alcuna precauzione per

procurarmi una garanzia di autenticità.

E’ forse l’unico esempio conosciuto in cui l’apparizione di ciò che viene

comunemente detto un fantasma ha fornito i mezzi per correggere una data

sbagliata nei dispacci di un comandante in capo e di scoprire una inesattezza

in un certificato del Ministero della Guerra.

E’ inoltre di particolare valore in quanto fornisce un esempio di doppia

apparizione. Né si può addurre (anche se avesse qualche peso) che il racconto

di una signora causò l’apparizione della stessa figura all’altra. La signora W.

era a quel tempo a Cambridge, e la signora N. a Londra; e solo dopo settimane

seppero ognuna quello che l’altra aveva visto.

Coloro che vogliono spiegare il tutto sulla base della coincidenza casuale,

devono prendere in considerazione un triplice evento: l’apparizione alla

signora N., quella alla signora W. e il momento effettivo della morte del

capitano W., ognuno coincidente esattamente con gli altri.

Gli esempi di apparizioni al momento della morte potrebbero essere

moltiplicati all’infinito. Molte persone – specialmente in Germania - che non

credono in nessun altro genere di apparizioni, le ammettono. Il termine

tedesco per indicare queste apparizioni di persone appena morte è

Anzeigen.

Per mancanza di spazio devo chiudere l’elenco delle narrazioni collegate

con presunte apparizioni di defunti presentandone una - e non certo la meno

notevole - di cui una parte delle prove a sostegno furono cercate e ottenute da

me stesso.

IL VECCHIO MANIERO DEL KENT

Nell’ottobre del 1857, e per vari mesi in seguito, la signora R. (35), moglie

di un ufficiale di alto grado nell’esercito inglese, risiedette nel maniero di

 

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Ramhurst, presso Leigh, nel Kent. Fin dal momento in cui occupo questa

antica residenza, ogni abitatore della casa fu più o meno disturbato di notte -

in genere non mai durante il giorno - da colpi e rumori di passi ma più

particolarmente da voci inesplicabili. Queste ultime venivano di solito udite in

alcune camere non occupate; talora come se parlassero ad alta voce, a volte

come se leggessero pure ad alta voce e talora come se gridassero. La servitù

era molto spaventata. Non videro mai nulla, ma la cuoca disse alla signora R.

che una volta, in pieno giorno, udendo il fruscio di una veste di seta dietro di

sé, si era voltata improvvisamente credendo che fosse la sua padrona, ma, con

sua grande sorpresa e terrore, non vide alcuno. Il fratello della signora R., un

giovane ufficiale ardito e generoso, amante degli sport e senza la minima fede

nella realtà delle visioni ultraterrene, fu molto tormentato da queste voci che,

secondo lui, dovevano essere quelle di sua sorella e di una sua amica che

chiacchieravano tutta notte. Due volte, quando una voce che egli credeva

simile a quella della sorella, si elevò fino a un grido, quasi implorando aiuto, si

precipito fuori della sua stanza, alle due o alle tre del mattino, con una pistola

in mano, ed entrò in quella della sorella, che trovò tranquillamente

addormentata.

Il secondo sabato di quell’ottobre, la signora R. andò in carrozza alla

stazione ferroviaria di Tunbridge per prendere la sua amica, signorina S., che

aveva invitato a passare alcune settimane con lei. Questa giovane signora era

abituata fin dalla prima fanciullezza a vedere ogni tanto apparizioni.

Tornate verso le quattro del pomeriggio, mentre la carrozza si avvicinava

all’ingresso del maniero, la signorina S. scorse sulla soglia due figure,

apparentemente una vecchia coppia, in abito settecentesco. Sembravano

poggiare i piedi a terra. Non udì alcuna voce, e, non volendo mettere a disagio

l’amica, in quel momento non le disse nulla di tale apparizione.

Vide più volte le stesse figure, nello stesso abito, nei dieci giorni successivi,

ora in una stanza della casa, ora in un corridoio, sempre di giorno. Le

apparivano circondate da un alone di quella che si chiama solitamente tinta

neutra. La terza volta esse le parlarono affermando di essere state marito e

moglie, di avere un tempo posseduto e abitato quel maniero e che il loro nome

era Children. Sembravano tristi e abbattute; e, quando la signorina S. chiese

la ragione della loro malinconia, risposero di avere letteralmente idolatrato

quella loro proprietà, di avere accentrato in essa ogni piacere e ogni orgoglio,

di avere rivolto ogni loro pensiero a migliorarla, e che li addolorava sapere che

non apparteneva più alla loro famiglia e vederla nelle mani di estranei che

poco se ne curavano.

Chiesi alla signorina S. come parlavano. Mi rispose che la loro voce era per

lei udibile come quella di una voce umana, e che ella credeva fosse udita

 

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anche da altri nella stanza vicina. Era indotta a pensarlo dal fatto che spesso,

in seguito, le avevano chiesto con chi stesse parlando (36).

Dopo una settimana o due, la signora R., cominciando a sospettare che

qualche cosa di insolito, collegata con i continui disturbi della casa, fosse

capitata alla sua amica, la interrogò in proposito; e allora la signorina S. le

riferì quello che aveva visto e udito descrivendo le apparizioni e

comunicandole la conversazione tenuta con le figure che si facevano chiamare

signore e signora Children.

Fino a quel tempo la signora R., sebbene il suo riposo fosse stato spesso

turbato dai rumori della casa, e sebbene anche lei avesse di tanto in tanto la

facoltà di percepire apparizioni, non aveva visto nulla; e nulla le apparve per

tutto il mese successivo. Un giorno, tuttavia, verso la fine di quel periodo,

quando aveva ormai rinunciato a vedere lei stessa qualche apparizione, si

stava vestendo in fretta per il pranzo: suo fratello, che era appena tornato da

una partita di caccia, le aveva gridato con impazienza che il pranzo era servito

e che lui aveva una gran fame. Portata a termine la sua toeletta e voltatasi in

fretta per lasciare la stanza, senza pensare a nulla di spirituale, ecco lì sulla

soglia la stessa figura femminile che la signorina S. le aveva descritto, identica

nell’apparenza e nel costume, perfino nel vecchio pizzo del suo abito di seta

braccata, mentre presso di lei, a sinistra, ma meno distintamente visibile, era

la figura del marito. Non dissero parola, ma sopra la figura della signora,

come scritte al fosforo nella penombra che la circondava, erano le parole

«Signora Children» con alcune altre parole che spiegavano come, non

essendosi mai elevata oltre le gioie e i crucci di questo mondo, era rimasta

«legata alla terra». La signora R., tuttavia, non indugiò a decifrare tutte

queste parole, perché un ripetuto appello del fratello, che si domandava

quando mai sarebbero andati a pranzo quel giorno, la spinse avanti. La figura,

che occupava la soglia, rimase ferma. Non c’era tempo per esitare: lei chiuse

gli occhi, si scagliò attraverso la visione ed entro nella sala da pranzo alzando

le braccia e dicendo alla signorina S.: «Oh, mia cara, sono passata attraverso

la signora Children».

Fu questa l’unica volta, durante la sua residenza nel vecchio maniero, che

la signora R. osservò l’apparizione delle due figure.

E bisogna notare che la sua camera da letto, in quel momento, era

illuminata non solo da candele ma anche da un bel fuoco e che nel corridoio

che portava alla stanza da pranzo vi era una lampada accesa.

Questa ripetizione della parola «Children» spinse le due signore a fare

ricerche tra la servitù e nel vicinato se una famiglia di quel nome avesse mai

occupato il maniero. Fra coloro da cui esse pensavano di poter sapere qualche

cosa vi era una signora Sofia O. una governante della famiglia che aveva

 

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passato la vita nelle vicinanze. Ma tutte le ricerche furono vane: tutti coloro a

cui posero la domanda, compresa la governante, dichiararono di non avere

mai sentito tale nome. Così esse persero ogni speranza di potere risolvere il

mistero.

Avvenne tuttavia che, circa quattro mesi dopo, questa governante, tornata

in famiglia per una vacanza a Riverhead, a circa un miglio da Seven Oaks, e

ricordando che una delle sue cognate, che abitava presso di lei, una vecchia di

settant’anni, cinquant’anni prima era stata domestica presso una famiglia che

allora risiedeva a Ramhurst, le chiese se avesse mai sentito parlare di una

famiglia di nome Children. La cognata rispose che una famiglia di questo

nome non occupava il maniero quando vi era stata lei; ma che si ricordava di

avere conosciuto un vecchio il quale le aveva detto di avere aiutato, da

fanciullo, a tenere i cani della famiglia Children, che risiedeva allora a

Ramhurst. La governante, al suo ritorno, comunicò questa informazione alla

signora R., e così questa fu informata per la prima volta che una famiglia di

nome Children aveva realmente occupato un tempo il maniero.

Ebbi tutti questi particolari nel dicembre del 1858, direttamente dalle

signore stesse, che in quel periodo si trovavano insieme.

Fino a questo punto il caso, quale si. presentava, era certamente molto

notevole. Ma io decisi, se possibile, di ottenere altre conferme in proposito.

Chiesi alla signorina S. se l’apparizione le aveva comunicato altri

particolari relativi alla famiglia. Mi rispose di ricordarne uno ricevuto da loro,

e precisamente che il nome del marito era Richard. In un periodo successivo

aveva egualmente ottenuto la data di morte di Richard Children, che, come le

fu comunicato, era il 1753. Ricordava anche che, una volta, era apparso con

loro un terzo spirito che essi affermarono essere loro figlio, ma non diedero il

suo nome. Alle mie successive domande circa i costumi nei quali i (presunti)

spiriti apparivano, la signorina S. rispose che «erano del periodo della regina

Anna o di uno dei primi due Giorgi, non sapeva quale perché la moda in

entrambi i casi era molto simile». Furono queste le sue precise parole. Né lei

né la signora R., tuttavia, avevano ottenuto qualche informazione che potesse

confermate o respingere questi particolari.

Essendo stato invitato da alcuni amici residenti presso Seven Oaks, nel

Kent, a passate con loro la settimana di Natale del 1858, ebbi una buona

occasione per proseguire le mie inchieste.

Andai con un amico, il signor F., dalla governante, signora Sofia O. Senza

alludere ai disturbi, le chiesi semplicemente se sapeva qualche cosa di una

famiglia di nome Children. Mi rispose di saperne molto poco, eccetto quello

che aveva saputo da sua cognata, e cioè che un tempo abitavano in un

 

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maniero chiamato Ramhurst. Le chiesi se vi era mai stata. «Sì», mi rispose,

«circa un anno fa, come governante della signora R.». «E la signora R.», le

chiesi, «sapeva qualche cosa della famiglia Children?». Rispose che una volta

la sua padrona le aveva rivolto domande in proposito, desiderando sapere se

quella famiglia aveva mai occupato il maniero, ma che in quel tempo lei

(signora Sofia) non ne aveva mai sentito parlate: così che non aveva potuto

darle soddisfazione.

«Come mai», chiesi, «la signora R. supponeva che questa famiglia avesse

un tempo occupato la casa?».

«Be’, signore, questo non potrei dirvelo. A meno che (e qui esitò

abbassando la voce) non sia stato mediante una signorina che stava con la

signora. Avete mai sentito parlare, signore», aggiunse guardandosi attorno

con aria di mistero, «di quelli che chiamano spiriti battitori?».

Dissi di averli sentiti nominate.

«Io non ho paura di queste cose», proseguì lei: «Non ho mai pensato che

potessero farmi del male; e non sono di quelli che credono ai fantasmi. Ma

allora, di certo, ve ne sono stati in quella vecchia casa».

«Ah! e che facevano?».

«Colpi, signore, e rumore di passi, e gente che parlava di notte. Più volte ho

udito le voci quando passavo per il corridoio alle due o alle tre del mattino per

portare il piccolo alla padrona. Io non credo nei fantasmi, ma potete essere

sicuro, signore, che ci fu qualche cosa di serio quando il fratello della padrona

si alzò nel cuore della notte e andò nella stanza della sorella con la pistola in

pugno. E c’era allora anche un altro fratello, che una notte salto giù dal letto

affermando che vi erano i ladri in casa».

«Avete mai visto nulla?».

«No, signore, mai».

«E nemmeno gli altri della servitù?».

«Non credo, signore; ma la cuoca era così spaventata!».

«Che cosa le successe?».

«Be’, signore, nulla di male: solo che un mattino stava inginocchiata per

accendere il fuoco quando balzò su con un grido. Io la udii e corsi a vedere che

cosa succedeva. “Oh,” dice, “ho sentito il fruscio di una veste di seta

attraversare la cucina”. “Bene, cuoca”, dico io, “non posso certo essere stata

io, perché non porto mai vesti di seta”. “No,” dice, e si mette a ridere; “no,

sapevo che non eravate voi, perché ho udito lo stesso rumore già tre o quattro

volte; e quando mi guardavo intorno non c’era nessuno”.

 

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Ringraziai la buona donna e poi andai a vedere sua cognata, che confermò

la storia per quello che la riguardava.

Ma, poiché tutto ciò non dava alcun indizio né sul nome di battesimo, né

sull’epoca in cui il maniero era stato occupato, né sull’anno in cui il signor

Children era morto, visitai la chiesa e il cimitero di Leigh, i più vicini alla

proprietà di Ramhurst, e la vecchia chiesa di Tunbridge facendo ricerche su

questo soggetto. Tutto quello che potei sapere fu che un certo George Children

lasciò, nel 1718, una distribuzione settimanale di pane ai poveri, e che un

discendente della famiglia, anche lui di nome George, morto una quarantina

di anni prima e non residente a Ramhurst, aveva una lapide di marmo eretta

alla sua memoria nella chiesa di Tunbridge.

Poiché non avevo potuto ottenere nulla né dai sacrestani né dalle tombe,

un amico mi suggerì che avrei potuto forse avere le informazioni cercate da un

ecclesiastico dei dintorni. Lo feci e con un ottimo risultato. Dopo avergli detto

semplicemente che mi ero preso la libertà di andare da lui per raccogliere

alcuni particolari riguardanti l’antica storia di una famiglia del Kent, di nome

Children, mi rispose che, cosa singolare, era in possesso di un documento,

pervenutogli da fonte privata e contenente, a quanto pensava, proprio i

particolari che cercavo. Me lo mostrò gentilmente, e vi trovai, fra numerosi

particolari relativi a un altro membro della famiglia, morto non molti anni

prima, certi estratti dei «documenti Hasted», conservati nel British Museum,

che erano contenuti in una lettera indirizzata da un membro della famiglia

Children al signor Hasted. Di questo documento, che può essere consultato

nella biblioteca del Museo, trascrivo la parte seguente.

«La famiglia Children dimorò per molte generazioni in una casa chiamata,

dal loro nome, Children, situata in una località detta Nether Street, o

altrimenti Lower Street, a Hildenborough, nella parrocchia di Tunbridge.

George Tunbridge di Lower Street, che fu alto sceriffo del Kent nel 1698, morì

senza discendenza nel 1718 e lasciò per testamento il complesso dei suoi averi

a Richard Children, figlio maggiore del suo defunto zio, William Children, di

Hedcorn e ai suoi eredi. Questo Richard Children, che si stabilì a

Ramhurst, nella parrocchia di Leigh, sposò Anne, figlia di John Saxby, della

parrocchia di Leeds, dalla quale ebbe quattro figli e due figlie», ecc.

Così potei accertare che il primo della famiglia Children che stabilì la sua

residenza a Ramhurst si chiamava Richard e che vi venne nella prima parte

del regno di Giorgio I. Tuttavia non era dato l’anno della sua morte.

Quest’ultimo particolare potei accertarlo solo parecchi mesi dopo, quando

un amico studioso di antichità, al quale parlai delle mie ricerche, mi disse che

lo stesso Hasted, di cui avevo avuto un estratto dei documenti, aveva

pubblicato nel 1778 una storia del Kent e che, in quell’opera, avrei

 

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probabilmente trovato l’informazione che cercavo. In effetti, dopo molte

ricerche, trovai il seguente paragrafo:

«Nella parte orientale della parrocchia di Lyghe (oggi Leigh), presso il

fiume Medway, vi è un antico edificio chiamato Ramhurst, un tempo noto

maniero, appannaggio del titolo di Gloucester»... «Continuò nella famiglia

Culpepper per varie generazioni»... «Passò per vendita a quello di Saxby, e il

signor William Saxby lo trasferì per vendita ai Children. Richard Children,

Esq., vi risiedette e morì in possesso di esso nel 1753 all’età di ottantatrè

anni. Gli succedette il suo figlio maggiore, John Children, di Tunbridge, Esq.,

il cui figlio, George Children, di Tunbridge Esq., è l’attuale proprietario» (37).

Potei così controllare l’ultimo particolare, la data della morte di Richard

Children. Appare inoltre da quanto sopra che Richard Children fu l’unico

rappresentante della famiglia che visse e morì a Ramhurst, poiché suo figlio

John è indicato non come di Ramhurst ma di Tunbridge. Dalle memorie

private surriferite avevo già accertato che la sede della famiglia dopo i tempi

di Richard fu Ferox Hall, presso Tunbridge.

Rimane da dire che, nel 1816, in conseguenza di eventi che non gettano

alcun discredito sulla famiglia, essa perse tutte le sue proprietà e fu costretta a

vendere Ramhurst, che fu poi occupata, sebbene spaziosa, non come

residenza di famiglia ma come fattoria. Io la ho visitata e chi la occupava mi

assicurò che, eccetto i ratti o i topi, oggi nulla più la disturba.

Non credo di aver mai trovato, tra quelle che sono generalmente chiamate

storie di fantasmi, una narrazione meglio autenticata di questa. Essa, in

realtà, non comprende particolari impressionanti o romantici, non annunci di

morte, non rivelazioni di omicidi, non circostanze di terrore o di pericolo; ma

proprio per questo è tanto più credibile: perché non sono chiamate in giuoco

quelle passioni che sogliono eccitare e sviare l’immaginazione.

Mi fu comunicata solo quattordici mesi circa dopo gli eventi, da entrambe

le testimoni principali confermate casualmente, poco dopo, da una terza.

La posizione sociale e il carattere personale delle due signore a cui

apparvero le figure impedisce fin dall’inizio ogni idea di inesattezza volontaria

o di inganno. Le visioni e i suoni di cui danno testimonianza si presentarono

effettivamente ai loro sensi. Se i loro sensi rappresentarono loro il falso, è

un’altra questione. La teoria dell’allucinazione deve essere ancora discussa.

Guardiamo se è applicabile nel presente caso.

La signorina S. vide per prima le figure non nell’oscurità o di notte, non fra

il sonno e la veglia, non in qualche vecchia camera considerata infestata, ma

all’aria aperta, mentre stava scendendo da una carrozza, in pieno giorno. In

seguito, ella non solo le vide, ma udì le loro parole; e questo sempre di giorno.

 

310

Sono tuttavia ricordati dei casi in cui i sensi della vista e dell’udito furono

supposti entrambi allucinati; per esempio quello del Tasso (38). E se il caso si

fermasse qui, sarebbe questa l’interpretazione che quel medico sosterrebbe.

Ma alcune settimane più tardi un’altra signora vede l’apparenza delle

stesse figure. Questo complica il caso. Perché, come abbiamo mostrato altrove

(39), è generalmente ammesso dagli scrittori medici sull’argomento che,

mentre i casi di illusione collettiva sono comuni, è dubbio che sia stato

registrato un solo caso di allucinazione collettiva, presumendosi che, se due

persone vedono la stessa apparenza, non si tratti di semplice immaginazione:

vi è in questo un fondamento oggettivo.

E’ vero, e bisogna tenerne conto, che la signorina S. descrisse l’apparizione

alla sua amica e che, per un certo tempo, quest’ultima si aspettò di vederla a

sua volta. Questo suggerirà allo scettico, come spiegazione, la teoria

dell’attenzione aspettante. Ma, in primo luogo, non è mai stato provato (40)

che una semplice attenzione aspettante possa produrre l’apparizione di una

figura con tutti i particolari del costume, per non dir nulla delle lettere

fosforescenti apparse su di essa, che certamente la signora R. non si

aspettava; secondariamente la signora R. mi affermò esplicitamente che,

poiché erano passate quattro settimane senza che vedesse nulla, aveva

rinunciato a qualsiasi aspettativa. Ancor meno possiamo immaginare che i

suoi pensieri fossero occupati dall’argomento in un momento in cui, incalzata

da un fratello impaziente e affamato, stava frettolosamente portando a

termine, in una stanza bene illuminata, la sua toeletta per il pranzo. Sarebbe

stato difficile scegliere, fra le ventiquattro ore del giorno, un momento in cui

l’immaginazione fosse meno probabilmente occupata da fantasie spirituali o

potesse essere meno supposta in un grado di eccitazione necessaria per

riprodurre (seppure può essere riprodotta) l’immagine dell’apparizione

descritta.

Ma anche concedendo queste estreme improbabilità, che cosa dobbiamo

pensare del nome Children comunicato a una signora per il senso dell’udito e

all’altra per quello della vista?

Il nome è pochissimo comune, ed entrambe le signore mi assicurarono di

non averlo mai udito prima, per non parlare della loro completa ignoranza

che una famiglia di tal nome avesse occupato un tempo la vecchia casa.

Cercarono di chiarire quest’ultimo punto, ma né la servitù né i vicini poterono

dire loro qualche cosa in proposito. Rimangono per quattro mesi senza

spiegazione. Alla fine di questo periodo una domestica, andata a casa sua,

accerta incidentalmente che circa cento anni prima o più, una famiglia di

nome Children occupava proprio quella casa.

 

311

Che cosa può avere a che fare con tutto questo l’immaginazione o

l’aspettativa? Le immagini delle due figure possono essere considerate, per

quanto riguarda le due signore, allucinazioni; ma rimane il nome, tenace

legame, a collegarle con il mondo reale.

Se anche volessimo argomentare - cosa che nessuno crederà - che la

coincidenza del nome di famiglia fu semplicemente casuale, rimangono da

spiegare altre coincidenze prima che tutte le difficoltà siano superate. Vi é il

nome di battesimo oltre al nome di famiglia: Richard Children; v’è la data

indicata dal costume: “il regno della regina Anna o uno dei primi Giorgi”, e

infine vi è l’anno della morte di Richard Children.

Queste signore mi fecero la loro comunicazione senza sapere, al momento,

la realtà dei fatti. Tali fatti io li ho in seguito riesumati, ottenendo in un

documento conservato al British Museum la prova che Richard Children

aveva effettivamente ereditato la proprietà di Ramhurst nel quarto anno di

regno di Giorgio I e aveva fatto del maniero di Ramhurst la sua residenza di

famiglia. E fu l’unico rappresentante della famiglia che visse e morì in quella

località. Suo figlio John può esservi risieduto per qualche tempo, ma, prima

della morte, aveva lasciato il luogo per un’altra dimora presso Tunbridge.

Poi vi è la circostanza che delle disgrazie costrinsero i discendenti, di

Richard Children a vendere la proprietà di Ramhurst e che la casa dei loro

antenati, passando in mani estranee, fu degradata (come Richard avrebbe

senza dubbio considerato) a semplice fattoria. Tutto questo concorda con le

comunicazioni fatte.

In tali circostanze è perfettamente inutile parlare di fantasie o di

coincidenza fortuita. Qualche cosa di diverso dall’immaginazione e dal caso,

sia quello che sia, determinò le minute indicazioni ottenute dalle apparizioni

del vecchio maniero del Kent.

La lezione insegnata da questa storia - se ammettiamo che le figure

presentatesi alle due signore siano state realmente le apparizioni della

famiglia Children - è che un delitto non è necessario per attrarre nuovamente

sulla terra gli spiriti dei defunti; che una forma mentale di tipo

esclusivamente terreno, un carattere che non abbia mai rivolto un pensiero a

qualche cosa di superiore a questa terra e si sia preoccupato solo di ciò che

possedeva e dei suoi guadagni, può egualmente trarre giù lo spirito, per

quanto libero dal corpo, a raccogliere difficoltà e pene sulla scena delle sue

preoccupazioni di un tempo. Se è così, a quanto maggior ragione non

dobbiamo permettere che il presente e il temporale, sebbene necessari e

opportuni a loro tempo e luogo, ci occupino così totalmente da usurpare il

posto del futuro e dello spirituale escludendo da essi ogni pensiero!

 

312

Non voglio anticipare il giudizio che il lettore può dare sulle prove che ho a

lui sottoposto. Se egli viene alla conclusione che, in nessuno dei precedenti

esempi vi è alcuna prova che una realtà oggettiva, quale che sia la sua natura,

è stata presentata ai sensi degli osservatori, allora farebbe bene a considerare

se la regola delle prove secondo le quali è giunto a questa conclusione, una

volta applicata alla storia sacra o profana, non cancellerebbe nove decimi o

più di tutto ciò in cui .siamo abitati a credere come base della deduzione

storica e del credo religioso.

Se, d’altra parte, adottando in questa investigazione le stesse regole seguite

giorno per giorno, nella vita ordinaria, nell’esaminare le testimonianze da cui

siamo diretti, il lettore deciderà che deve essere ammessa qualche altra cosa

oltre l’allucinazione, e che i sensi di alcuni di questi osservatori ricevettero

effettive impressioni prodotte da una realtà esterna, rimane il problema di

quale precisa natura sia questa realtà. Daniel Defoe ha su questo soggetto

un’opera elaborata, illustrata da molti esempi, alcuni dei quali, bisogna

ammetterlo, mostrano piuttosto quel talento inimitabile che fece di Robinson

Crusoe una delle più vive realtà dell’infanzia, che non quella prosaica

precisione che non disprezza i nomi, le date e le garanzie.

L’opinione di Defoe è: «Il problema non è, a mio parere, se gli abitanti

degli spazi invisibili vengano realmente o no, in questo mondo, ma chi sono

coloro che vengono» (41).

Dalla «volgarità di alcune delle occasioni in cui spesso queste cose

avvengono» egli deduce che non può trattarsi di veri e propri angeli come

quelli che apparvero a Gedeone o a Davide. «Ecco qui», egli dice, «una

vecchierella defunta che ha un po’ di denaro nascosto nell’orto o in giardino; e

una supposta apparizione arriva e lo rivela conducendo sul luogo la persona a

cui appare e facendo segno che bisogna scavare lì per trovare qualche cosa.

Oppure muore un uomo lasciando un legato al tale o al tal altro, l’esecutore

non paga e arriva un’apparizione che lo perseguita finché non ha fatto

giustizia. E’ verosimile che un angelo sia mandato dal cielo per ritrovare la

scodella della vecchia con dentro trenta o quaranta scellini, o che un angelo

sia mandato a tormentare quell’uomo per una eredità di cinque o dieci

sterline? E quanto a un diavolo, come possiamo accusare Satana di darsi tanta

pena perché venga fatta giustizia? Quelli che lo conoscono dovrebbero

guardarsi dal giudicarlo così severamente» (pag. 34).

«E nemmeno», egli argomenta, «può essere l’anima o lo spettro di un

defunto, perché se l’anima è felice, è forse ragionevole credere che la felicità

dei cieli possa essere interrotta per cose così triviali e fatti così frivoli? Se

l’anima è infelice, ricordiamoci del grande abisso: non vi è ragione di credere

 

313

che queste anime dannate abbiano il tempo e la libertà di tornare sulla terra

per commissioni di questo genere».

L’idea di un Ade, o di uno stato intermedio, evidentemente non era passata

per la mente di Defoe; e così egli si trovò dinanzi a un dilemma. «Non vi è

altro», egli dice, «se non questa difficoltà in entrambi i casi. Le apparizioni

esistono, non vediamo modo di dubitare della realtà di questo punto; ma che

cosa siano, chi siano e di dove vengano è una difficoltà che non so come

risolvere se non supponendo l’esistenza, nel mondo invisibile, di una classe

apposita di spiriti stazionari che vengono a noi e ci appaiono in queste

occasioni. Questi abitanti dell’invisibile, o spiriti (potete chiamarli angeli, se

volete: corpi non sono e non possono essere, né mai essi sono stati incarnati),

quali che siano, hanno il potere di parlare con noi e possono, mediante sogni,

impulsi e forti avversioni, sommuovere i nostri pensieri, dare speranze,

sollevare dubbi, abbattere oggi le nostre anime, sollevarle domani e agire in

molti modi sulle nostre passioni e i nostri affetti» (42).

Dice anche: «Gli spiriti di cui parlo devono essere nati in cielo: compiono

un lavoro celeste e sono onorati da questo speciale incarico; sono impiegati

nell’immediata attività divina, di provvedere cioè al bene comune dell’uomo»

(43).

Se non vi è uno stato intermedio nel quale lo spirito entra al momento della

morte e dal quale può occasionalmente tornare, l’ipotesi di Defoe può essere

buona come un’altra. Ma, se ammettiamo uno Sheol o un Ade, evitando così

ogni necessita di turbare l’estatica felicità dei cieli o di fuggire dall’abisso e

dalle solide catene dell’inferno, perché dovremmo rifiutare la vita più piana e

respingere l’ipotesi più diretta che, se Dio permette realmente le apparizioni,

queste siano quello che dicono di essere? Perché dovremmo gratuitamente

creare, per l’occasione, una non descritta specie di spiriti, non uomini e un

poco meno che angeli, protettori che simulano, custodi che mentono, ministri

di Dio che ingannano gli uomini assumendo false forme apparendo all’uno

come una zia, all’altro come una nonna, ora impersonando un omicida che

chiede preghiere, ora facendo la parte di un assassinato che invoca pietà? E’

questa un’opera di Dio? Sono queste delle. autentiche credenziali di origine

divina, delle plausibili prove di un incarico divino?

Rimane il problema dell’esistenza di uno stato intermedio dal quale si può

supporre che gli spiriti umani che hanno subito il grande cambiamento,

possono avere ogni tanto la possibilità di tornare in terra. Prima di affrontare

questo argomento, mi soffermò per aggiungere alcuni esempi di quelle che

sembrano visite da sfere sconosciute, interferenze di cui alcune assumono

l’aspetto di una retribuzione, altre di una protezione, tutte di un peculiare

carattere personale.

 

314

Note

(1) Corinzi, XV, 44. La frase non è «un corpo naturale e uno spirito»; ma è

detto espressamente: «Vi è un corpo naturale e vi è un corpo spirituale».

(2) Corinzi, XII, 2.

(3) Il reverendo dott. George Strahan, nella prefazione alla sua raccolta di

Prayers and Meditations (Preghiere e meditazione) del suo amico dott.

Samuel Johnson (Londra 1785). ha il seguente passo:

«L’improbabilità sorgente dalla rarità dei fatti e dalla singolarità della loro

natura, non costituisce una prova in contrario: è una presuntiva ragione di

dubbio troppo debole per opporsi alla convinzione indotta da positive e

credibili testimonianze, come quelle che sono state portate alle spettrali

riapparizioni di defunti». ... «Una vera relazione che uno spirito è stato visto

può dare occasione e nascita a molte false relazioni di fatti simili; ma

l’universale e spontanea testimonianza di una casualità soprannaturale non

può sempre essere falsa. Uno spirito che si palesa è un prodigio di natura

troppo singolare per divenire soggetto di una comune invenzione». ... «Per

una mente non influenzata da pregiudizi popolari, sarebbe appena possibile

credere che delle apparizioni siano state garantite in tutti paesi se non fossero

state mai viste».

(4) Intellectual Repository, aprile 1840. pagg. 151-62.

(5) Vie de J. F. Oberlin, di Stöber, pag. 223.

(6) Il manoscritto era intitolato Journal des apparitions et

instructions par rêves (Diario delle apparizioni e istruzioni in sogno).

(7) La parola usata era entretiens.

(8) Questa sembra essere stata l’opinione di Jung Stilling, che Oberlin

conosceva bene. Vedi Theorie des Geisterkunde, paragrafo 3.

(9) L’aneddoto è tratto dalla Vita di Lorenzo de’ Medici di William

Roscoe, cap. X.

(10) Provincial Glossary and Popular Superstitions (Glossario

provinciale e superstizioni popolari) di Francis Grose, seconda edizione,

Londra 1799, pag. 10.

(11) Vedi il capitolo sui sogni.

 

315

(12) A Portion of the Journal kept by Thomas Raikes, Esq., from

1831 to 1847 (Parte del diario tenuto da Thomas Raikes Esq. dal 1831 al

1847). seconda edizione Londra, 1856, vol. I, pag. 131.

(13) Estratto da una lettera in mio possesso inviatami dal dott. Ashburner,

datata Hyde Park Place, N. 7, Londra, 12 marzo 1859.

(14) Estratto da una lettera indirizzatami dal signor Howitt, datata

Highgate, 28 marzo 1859.

(15) Ho letto questa relazione alla signora F. e vi ho fatto alcune correzioni

dietro suo suggerimento, dopo di che ella la ha giudicata esatta in ogni

particolare.

(16) Signs before Death (Avvisi prima della morte) raccolti da Horace

Welby, Londra 1825. pagg. 77-82.

(17) On the Truths contained in Popular Superstitions (Verità

contenute nelle superstizioni popolari) di Herbert Mayo, professore di

anatomia e fisiologia nel King’s College, terza edizione, Edimburgo e Londra,

1841, pagg. 63-64.

(18) Il tenente Gore qui menzionato, nel 1823 aveva raggiunto il grado di

tenente colonnello e fu allora mandato di guarnigione a Quebec. Il 3 ottobre

di quell’anno, essendo sorta una discussione sull’apparizione di Wynyard

durante una riunione tenuta nella casa del defunto Capo di Giustizia Sewell,

che risiedeva a Quebec, sulla Esplanade, Sir John Harvey, aiutante generale

delle forze del Canada, chiese per iscritto al colonnello Gore alcuni

chiarimenti sul soggetto. Questo ufficiale rispose lo stesso giorno e le sue

affermazioni confermano tutti i particolari qui dati, almeno per ciò che lo

riguarda. Egli aggiunge che «lettere dall’Inghilterra portarono la notizia della

morte di John Wynyard avvenuta la stessa notte in cui suo fratello e

Sherbroke videro la sua apparizione». Le domande rivolte al colonnello Gore

e le sue risposte sono date per esteso in Notes and Queries del 2 luglio

1859, n. 183. pag. 14. Il colonnello è qui accusato di inesattezza per aver

parlato del tenente Wynyard, nel 1785, come se fosse stato capitano.

(19) Vi è qui una lieve ma importante variante nel racconto del colonnello

Gore. Egli riferisce questo incidente in sostanza come lo abbiamo riferito; ma

dice che la persona che attrasse l’attenzione di Sherbroke suscitando in lui

l’esclamazione «Mio Dio!» era un signore che crede si chiamasse Hayman e

che «era così simile a John Wynyard da essere preso spesso per lui tanto più

che affettava di vestirsi come lui». Aggiunge che questo improvviso

riconoscimento indusse Villiam Wynyard (poi vice aiutante generale), che in

quel momento stava passeggiando con Sherbroke, a credere nella «storia del

fantasma».

 

316

Il punto essenziale è che Sherbroke incontro a Londra, e riconobbe come

controparte dell’apparizione, una persona, fratello o no, che assomigliava

esattamente all’ufficiale defunto. E in questo tutti i racconti concordano.

(20) La sua morte è annunciata nel Blackwood’s Magazine del giugno

1830.

(21) Estratto da una lettera inviatami dal capitano Henry Scott in data 26

gennaio 1859.

(22) Il nome del fratello era John Otway Wynyard; al tempo della sua

morte, 15 ottobre 1785, era tenente nel 3° reggimento delle Guardie a piedi.

(23) A Parigi, l’11 maggio 1859.

(24) Historical Memoirs of my Own Time (Memorie storiche del mio

tempo), di Sir N. William Wraxall, Londra, 1815, pagg. 218-26.

(25) Vedi Libro III, cap. 2 della Veggente di Prevorst. I fatti, come

abbiamo gia detto, avvennero presso Löwenstein, nel regno di Wurtemberg. Il

dott. Kerner, la veggente e la sua famiglia erano protestanti.

(26) Die Seherin von Prevorst, di Justinus Kerner, Stoccarda e

Tubinga, quarta edizione 1846, pagg. 367-374.

(27) In un capitolo successivo (sul Cambiamento dopo la morte) avrò

occasione di parlare della dottrina - vagamente concepita dagli antichi,

adottata in modo più definito dagli Ebrei e universalmente accolta dal

cristianesimo primitivo - di ciò che è comunemente chiamato uno stato

intermedio dopo la morte, uno stato in cui possono essere ricevuti

ammaestramenti, in cui il pentimento può ancora operare e in cui gli errori

della vita presente possono essere corretti in una vita futura.

Non pochi dei primi Padri cristiani furono dell’opinione che il Vangelo fu

predicato, da Cristo e dagli apostoli, sia per i morti che per i vivi: tra di essi

Origene e Clemente Alessandrino. Quest’ultimo esclama: «Come? La Scrittura

non rivela forse che il Signore ha predicato la buona novella a coloro che

perirono nel Diluvio, a coloro che erano legati, in prigione o in custodia? Mi è

stato mostrato che gli apostoli, a imitazione del Signore, predicarono il

vangelo a coloro che erano nell’Ade». Citato da Sears, Foregleams of

Immortality (Barlumi di immortalità), pag. 264.

(28) Seherin von Prevorst, pag. 324. L’intera opera ripagherà

un’attenta lettura.

(29) Anatomy of Sleep del medico Edward Binns, pagg. 462-63.

(30) Comunicatomi, in data 25 aprile 1859, in una lettera del reverendo

dott. ..., il quale mi informa che la relazione è stesa con le stesse parole, per

 

317

quanto possa ricordare, con le quali il narratore, suo fratello, gliela riferì.

Sebbene non mi sia stato permesso di stampare il nome del reverendo, mi è

stata data licenza di fornirlo privatamente in qualsiasi caso potesse essere

utile ad appoggiare la causa per la quale queste pagine sono state scritte.

(31) La differenza di longitudine fra Londra e Lucknow è di circa cinque

ore, così che le tre o le quattro del mattino a Londra corrispondono alle otto o

alle nove a Lucknow. Ma, come si vedrà in seguito, il capitano W. fu ucciso nel

pomeriggio e non nel mattino. Se fosse dunque caduto il 15, la sua apparizione

alla moglie sarebbe avvenuta alcune ore prima del combattimento in cui era

stato ucciso, quando era ancora vivo e in buona salute.

(32) In questo certificato, di cui posseggo l’originale, vi è un errore. Il

capitano G. W. era del 6° (Inniskilling) Dragoni e non del 6° Guardie Dragoni.

(33) Al tempo della sua morte il capitano W. non serviva nel suo

reggimento, che si trovava allora a Meerut. Appena arrivato dall’Inghilterra a

Cawnpore, aveva offerto i suoi servigi al colonnello Wilson del 64°. Dapprima

fu respinto, poi accettato, e si unì al Treno Militare che partiva allora per

Lucknow. Cadde combattendo nelle loro file.

(34) Gli originali di entrambi i certificati sono in mio possesso: il primo

recante la data 30 gennaio 1858 e recante, come abbiamo visto, il 15; il

secondo datato 5 aprile 1859 e recante il 14.

(35) Le iniziali dei due nomi qui dati non sono quelle vere; ma io ho il

piacere di conoscere personalmente entrambe queste signore.

(36) Questo, tuttavia, non è conclusivo. Può darsi che sia stata udita solo la

voce della signorina S. e non le risposte - sebbene udite da lei - date dalle

apparizioni. Visibili per lei non lo erano per gli altri. Udibili per lei possono

non esserlo state per gli altri.

(37) Ossia nel 1778, quando l’opera fu pubblicata. Vedi per queste citazioni

la History of Kent di Hasted, vol. I, pagg. 422-23.

(38) Essay towards a Theory of Apparitions (Saggio per una teoria

delle apparizioni), del medico John Ferriar, Londra 1813, pag. 75.

(39) Vedi Libro IV, cap. I.

(40) Sembra, se mai, il contrario.

(41) Universal History of Apparitions, di Andrew Moreton Esq.,

terza edizione, Londra 1738 pag. 2. I biografi di Defoe attribuiscono a lui

questa opera. La prima edizione apparve nel 1727.

(42) Universal History of Apparitions, pag. 35.

(43) Opera citata, pag. 52.

 

318

LIBRO V - INDICAZIONI DI INTERFERENZE PERSONALI

1 - Retribuzione

Fin dai tempi di Oreste, l’idea di un agente spirituale retributivo e

inevitabile è prevalsa, in certe forme, nel mondo intero. Se oggi non crediamo

nelle Furie dai capelli serpentini, ministre della divina vendetta, che

perseguitano con i loro pungiglioni di scorpioni il criminale prostrato,

parliamo correttamente dei giudizi di Dio, che si presentano in qualche rapida

e improvvisa punizione colpendo, come per diretto ordine del Cielo, la colpa

impenitente.

D’altra parte il cristianesimo sanziona, in linea generale, l’idea di una guida

spirituale che dirige i passi dell’uomo per preservarlo da pericoli imprevisti. Il

protestantesimo, in realtà, non ammette la dottrina dei santi patroni, ai quali

si possono rivolgere preghiere opportune e dai quali ci si può

ragionevolmente aspettare un aiuto. Tuttavia dobbiamo negare non solo

l’autorità di san Paolo, ma anche, sembrerebbe, quella del suo Maestro, se

respingiamo la teoria degli spiriti protettori e custodi, che guidano

l’inesperienza dell’infanzia e assistono almeno una parte favorita del genere

umano (1).

Tra le relazioni moderne di pretese influenze ultraterrene troviamo

indicazioni che favoriscono, in certa misura, entrambe le idee: quella di un

castigo per il male fatto e quella di una vigilanza esercitata per il bene

dell’uomo. Quest’ultima è più frequente e più nettamente marcata della

prima. Non vi è nulla che sembri dar corpo all’idea di una facoltà di infliggere

gravi punizioni, e ancor meno alla nozione di una vendetta implacabile (2). Il

potere contro colui che agisce male sembra essere molto limitato giungendo

non oltre un semplice fastidio di lieve effetto, a meno che la coscienza non

renda più dolorosa la pena. D’altro lato il potere di guidare e proteggere

appare non solo più comune ma anche più influente; tuttavia con i suoi limiti,

così come un saggio genitore può agire sulla libera azione di un figlio. Se

vengono dati degli avvertimenti, questo avviene piuttosto nella forma di

oscuri accenni, di vaghe ammonizioni, che di precise profezie. Se vengono

suggerite regole di azione, queste sono di carattere generale, tali da non

liberare il pupillo spirituale dal dovere di prevedere e dal compito di decidere,

e neppure da permettergli di rallentare l’impiego di quella ragione senza il cui

 

319

costante esercizio egli sarebbe presto degradato dalla sua condizione presente

a quella di animale.

Gli esempi moderni a cui ho fatto riferimento sono più o meno definiti nel

loro carattere.

Fra le narrazioni, a esempio, che sembrano implicare un’attività

retributiva, il dott. Binns ne garantisce una che ammette varie interpretazioni.

La definisce «un notevole caso di giustizia retributiva che avvenne molto

recentemente in Giamaica». La storia è la seguente:

«Una giovane e bella mulatta, di nome Duncan, fu trovata uccisa in un

luogo appartato, a pochi passi dalla strada principale. Dalle prove ottenute

durante l’inchiesta risultò chiaramente che era stata violentata prima di

essere uccisa. Fu offerta una grossa ricompensa per ogni informazione che

potesse portare all’arresto dell’omicida; ma passò quasi un anno senza che si

potesse ottenere alcun indizio. Avvenne che, trascorso questo periodo, due

negri chiamati Pendril e Chitty, fossero imprigionati separatamente per

piccoli reati, l’uno nel Penitenziario di Kingston, nel sud, l’altro nella prigione

di Falmout, sul lato nord dell’isola. Nessuno di loro sapeva

dell’imprigionamento dell’altro e la distanza fra le prigioni era di ottanta

miglia. Ognuno di loro divenne inquieto e si mise a parlare nel sonno,

comportandosi di continuo come se fosse in presenza della fanciulla uccisa e

pregandola di lasciarlo. Questo avvenne così di frequente da provocare

un’inchiesta che si concluse con l’incriminazione dei due uomini» (3).

Il caso può essere considerato o come un esempio di sogni sincroni

accidentali, o anche come un’apparizione che si presentasse

simultaneamente, o quasi, ai sensi addormentati dei due uomini distanti l’uno

dall’altro. La prima è una spiegazione che può essere supposta. Si può

concepire che la coscienza abbia perseguitato i pensieri di uomini colpevoli di

una tale infamia. Ma che per entrambi, distanti e senza relazioni reciproche, e

dopo un anno, i ricordi abbiano assunto la stessa forma, e nello stesso tempo,

per semplice coincidenza, è certo possibile ma molto improbabile.

E perché dovremmo considerare inverosimile che operasse, in questa

occasione, un qualche agente diverso dal caso? Sappiamo che in sogno

vengono dati avvertimenti: perché non dovrebbero anche essere dati castighi?

Ma, poiché tale caso presenta due possibili interpretazioni, passiamo a un

altro di carattere meno dubbio.

QUELLO CHE DOVETTE SOPPORTARE UNATTRICE FRANCESE

 

320

Mademoiselle Claire-Josèphe Clairon fu la grande tragica Francese del

secolo scorso. Ella aveva, ai suoi tempi, una posizione simile a quella che ha

oggi la Rachel. Marmontel fu uno dei suoi più caldi elogiatori, e i suoi talenti

furono celebrati in versi di Voltaire.

La sua bellezza, la sua grazia, il suo genio le accattivarono molti ammiratori

entusiasti, gli uni con affermazioni di amicizia, gli altri con profferte di amore.

Fra questi ultimi, nell’anno 1743, v’era un giovane, Monsieur de S., figlio di un

mercante di Brittany, il cui attaccamento sembra essere stato della più

profonda devozione.

Le circostanze collegate con la morte di questo giovane e gli eventi che

seguirono sono straordinari; ma ci sono giunti di prima mano e molto bene

autenticati essendo descritti nei particolari della stessa Mademoiselle Clairon

nella autobiografia, da cui traduco la parte essenziale del racconto.

«Il linguaggio e i modi di Monsieur de S. dimostravano un’eccellente

educazione e l’abitudine all’alta società. Il suo riserbo, la sua timidezza che gli

impedivano ogni iniziativa eccetto alcune piccole attenzioni e il linguaggio

degli occhi, mi indussero a distinguerlo dagli altri. Dopo averlo incontrato

spesso in società, gli permisi infine di venirmi a visitare nella mia casa, e non

gli nascosi l’amicizia che mi ispirava. Potendomi vedere liberamente e bene

inclinata verso di lui, si contentò di essere paziente aspettando che il tempo

potesse creare in me un sentimento più ardente. Non saprei dire - chi lo

potrebbe? - quale sarebbe stata la conclusione. Ma, quando cominciò a

rispondere candidamente alle domande che la mia ragione e la mia curiosità

gli presentavano, distrusse lui stesso le possibilità che aveva. Vergognandosi

di essere un semplice cittadino, aveva cambiato i suoi beni in moneta corrente

ed era venuto a Parigi per spendere il suo denaro imitando un rango superiore

al suo. Questo mi dispiacque. Chi arrossisce di sé si fa disprezzare dagli altri.

Inoltre era un temperamento malinconico e misantropo: diceva di conoscere

troppo bene gli uomini per non disprezzarli ed evitarli. Progettava di non

vedere altri che me e di portarmi via in un luogo dove potessi vedere soltanto

lui. Questo, come si può immaginare, non mi conveniva affatto. Io volevo

essere guidata da un nastro fiorito, non essere messa in catene. Da questo

momento vidi la necessita di distruggere interamente le speranze da lui

nutrite e di cambiare le sua assiduità di ogni giorno in visite occasionali,

poche e distanziate. Questo gli provocò una grave malattia, durante la quale

gli fu vicina con ogni possibile attenzione. Ma i miei costanti rifiuti

aggravarono il suo caso; e, disgraziatamente per il povero ragazzo, suo

cognato, a cui aveva affidato la cura dei propri beni, venne meno ai suoi

versamenti, così che fu costretto ad accettare lo scarso sostegno dei miei

contanti per avere cibo e assistenza medica». ... «Infine rientrò in possesso

 

321

dei suoi averi, ma non della salute; e, volendo per il suo bene, tenerlo lontano

da me, rifiutai fermamente le sue lettere e le sue visite.

«Passarono due anni e mezzo dal tempo della nostra prima conoscenza a

quello della sua morte. Nei suoi ultimi momenti mandò a pregarmi di

concedergli la felicità di vedermi ancora una volta; ma i miei amici mi

dissuasero dal farlo. Morì senza avere vicino altri che i suoi servitori e una

vecchia signora che per qualche tempo era stata la sua sola compagnia. I suoi

appartamenti erano sul Rempart, presso la Chaussée d’Antin; i miei in Rue de

Bassy, presso il monastero di Saint-Germain.

«Quella sera mia madre e vari amici erano a cena da me, e fra loro

l’Intendente dei Menus-Plaisirs, di cui ho sempre richiesto l’aiuto

professionale, quella brava persona di Pipelet, e Rosely, un mio collega,

giovane di buona famiglia, spiritoso e di talento. La cena fu allegra. Io avevo

appena finito di cantare per i miei ospiti, ed essi mi applaudivano, quando,

appena furono suonate le undici, si udì un grido acuto. Il suo tono angoscioso

e la sua lunghezza ci sbigottirono tutti. Io venni meno e rimasi per un quarto

d’ora totalmente priva di conoscenza». ... «Quando tornai in me, li pregai di

restarmi vicini per una parte della notte. Parlammo parecchio dello strano

grido; e decidemmo di mandare qualcuno nella strada così per scoprirne la

causa e l’autore nel caso che si ripetesse.

«Ogni notte successiva, sempre alla stessa ora, lo stesso grido si ripeté

risuonando immediatamente sotto le mie finestre, come se provenisse

dall’aria. Il mio personale, i miei ospiti, i vicini, la polizia, tutti lo udirono

egualmente. Non ebbi dubbi che era rivolto a me. Raramente cenavo fuori

casa, ma quando lo facevo non si udiva nulla; e più volte, tornando dopo le

undici, mentre chiedevo a mia madre o alla servitù se si era udito qualche

cosa, immediatamente risuonò in mezzo a noi.

«Una sera il Presidente de B., col quale avevo cenato, mi accompagnò a

casa e, nel momento in cui mi augurava la buona notte sulla porta del mio

appartamento, il grido echeggiò fra lui e me. Egli conosceva la storia, perché

tutta Parigi la conosceva; tuttavia fu portato alla sua carrozza più morto che

vivo.

«Un altro giorno pregai il mio collega Rosely di accompagnarmi dapprima

in Rue Saint-Honoré per fare alcune compere, poi dalla mia amica

Mademoiselle de Saint P., che abitava presso la Porte Saint-Denis. L’unico

argomento della nostra conversazione per via fu il mio fantasma, come ero

solito chiamarlo. Il giovane, brillante e miscredente, mi pregò di evocare il

fantasma promettendomi di crederci se il grido si ripeteva. Non so se per

debolezza o audacia, cedetti alla sua richiesta. Subito, per tre volte, il grido

risuonò, rapido e terribile nel suo ripetersi. Quando arrivammo alla casa della

 

322

mia amica, Rosely e io dovemmo esservi trasportati a braccia. Eravamo

distesi, privi di sensi, nella carrozza.

«Dopo questa scena, per alcuni mesi non udii più nulla; e cominciavo a

sperare che il disturbo fosse cessato. Ma mi sbagliavo.

«Erano state disposte delle recite teatrali a Versailles, in occasione delle

nozze del Delfino. Dovevamo rimanere lì tre giorni. Gli alloggi erano scarsi.

Madame Grandval non lo aveva. Aspettammo gran parte della notte nella

speranza che gliene fosse assegnato uno. Alle tre del mattino le offrii uno dei

due letti della mia stanza, che era nell’Avenue de Saint-Cloud. Lei accettò. Io

occupai l’altro letto; e, mentre la mia cameriera si spogliava per coricarsi

accanto a me, io le dissi: “Qui siamo ai confini del mondo, e con un tempo così

orribile! Credo che il fantasma sarebbe molto imbarazzato nel trovarci qui”.

In quell’istante lo stesso grido! Madame Grandval credette che l’inferno si

fosse scatenato nella stanza. In camicia da notte si precipito giù per le scale,

da cima a fondo. Quella notte nessuno nella casa chiuse occhio. Tuttavia fu

l’ultima volta che lo udii.

«Sette o otto giorni più tardi, mentre chiacchieravo col mio solito circolo di

amici, il battere delle undici fu seguito da un colpo di moschetto, che

sembrava sparato a una delle mie finestre. Ognuno di noi udì la detonazione,

ognuno di noi vide il lampo; ma la finestra non fu danneggiata. Concludemmo

che era stato un attentato alla mia vita; per questa volta era fallito, ma

bisognava prendere delle precauzioni per il futuro. L’Intendente si affrettò ad

andare dal signor de Marville, il Luogotenente di Polizia, suo personale

amico. Furono mandati immediatamente degli ufficiali a esaminare le case

davanti alla mia. Nei giorni successivi esse vennero vigilate da capo a fondo.

Anche la mia casa fu completamente ispezionata. La strada fu riempita di

osservatori. Ma, a dispetto di tutte queste precauzioni, per tre interi mesi ogni

sera, alla stessa ora, fu udito e visto lo stesso colpo di moschetto diretto

contro i vetri della stessa finestra; e tuttavia nessuno riusciva a scoprire donde

provenisse. Questo fatto è attestato dalla sua relazione ufficiale sui registri

della polizia.

«A poco a poco, in un certo modo, mi abituai al mio fantasma, che

cominciai a considerare un buon diavolo dato che si accontentava di scherzi

che non producevano gravi danni; e una sera molto calda, senza badare

all’ora, l’Intendente e io, dopo avere aperto la finestra infestata, ci

sporgevamo dal balcone. Batterono le undici; seguì immediatamente la

detonazione e ci proiettò mezzi morti nel mezzo della stanza. Quando ci

riprendemmo e trovammo che nessuno di noi era ferito, cominciammo a

confrontare le nostre impressioni, e dovemmo riconoscere di avere ricevuto,

 

323

lui sulla gota sinistra e io sulla destra, un grande schiaffo tirato a tutta forza.

Scoppiamo entrambi a ridere.

«Il giorno dopo non successe nulla. Quello successivo, avendo ricevuto un

invito da Mademoiselle Dumensil a una festa notturna in casa sua, presso la

Barrière Bianche, salii in vettura da nolo con la mia cameriera alle undici.

V’era un bel chiaro di luna e costeggiammo i Boulevards, che cominciavano

allora a essere costruiti. Guardavamo fuori dal finestrino le case in

costruzione, quando la cameriera mi disse: “Non è da queste parti che è morto

Monsieur de S.?”. “Da quanto mi hanno detto”, risposi, “deve essere stato in

una di queste case che abbiamo di fronte”, e le indicai. In quel momento lo

stesso colpo di moschetto che mi perseguitava fu sparato da una delle case e

attraversò la carrozza (4). Il cocchiere mise i cavalli al galoppo pensando di

essere aggredito dai ladri; e noi, quando arrivammo a destinazione, ci

eravamo appena rimesse. Confesso che, per mia parte, ero stata così atterrita

che mi occorse molto tempo per riprendermi. Ma questa esibizione fu l’ultima

del suo genere: non udii più altri colpi di arma da fuoco.

«A questi colpi seguì un batter di mani, a ritmo ripetuto a intervalli. Questi

suoni, a cui il favore del pubblico mi aveva abituata, mi davano poca noia, e io

non persi tempo a cercare la sua origine. Tuttavia lo fecero i miei amici.

“Abbiamo esplorato nel modo più attento”, mi dissero. “I suoni avvengono

sotto la vostra porta. Li udiamo ma non vediamo alcuno. E’ una nuova fase

degli stessi disturbi che vi hanno seguito tanto a lungo”. Poiché questi suoni

non avevano nulla di allarmante in se stessi, non ricordo per quanto tempo

siano continuati.

«Né presi particolarmente nota dei suoni melodiosi da cui, dopo un certo

tempo, furono sostituiti. Era come se una voce celestiale modulasse il

preludio di una nobile aria che stesse per eseguire. Una volta la voce cominciò

al Carrefour de Bussy e continuò per tutta la strada finché non giunsi alla mia

porta. In questo caso, come nel precedente, i miei amici fecero la guardia,

seguirono i suoni, li udirono come li udivo io, ma non poterono mai vedere

nulla.

«Infine tutti i suoni cessarono, dopo essere continuati, a intervalli, per

poco più di due anni e mezzo».

Sia che quello che seguì abbia dato, o no, una spiegazione sufficiente, è

opportuno riferirlo con le parole di Mademoiselle Clairon.

Poiché ella desiderava cambiare di residenza ed era stato messo

«l’affittasi», all’appartamento da lei occupato, varie persone vennero a

visitarlo. Fra gli altri fu annunciata una signora già avanzata negli anni. Ella

mostrò una grande commozione che si comunicò a Mademoiselle Clairon.

 

324

Alla fine confessò di non essere venuta per vedere l’appartamento, ma per

conversare con la sua abitatrice. Disse di aver pensato di scrivere, ma di aver

temuto che i suoi motivi potessero essere male interpretati. Mademoiselle

Clairon chiese una spiegazione, e la conversazione che seguì è così riferita da

lei stessa.

«“Io sono stata, mademoiselle”, disse la signora, “la migliore amica di

Monsieur de S.: la sola che egli volesse vedere durante l’ultimo anno della sua

vita. Le ore e i giorni di quell’anno furono da noi passati a parlare di voi, a

volte considerandovi un angelo, a volte un demonio. Da parte mia, lo spingevo

continuamente a cercare di dimenticarvi, mentre lui protestava che avrebbe

continuato ad amarvi anche oltre la tomba. Voi piangete”, continuò dopo una

pausa, “e forse mi permetterete di chiedervi perché lo avete reso così infelice e

perché, con il vostro carattere retto e affettuoso, gli avete rifiutato, negli

ultimi momenti, la consolazione di vedervi ancora una volta”.

«“Non sempre possiamo controllare i nostri affetti”, risposi. “Monsieur de

S. aveva molte qualità meritorie e stimabili; ma il suo carattere era cupo,

misantropo, dispotico così da farmi temere egualmente la sua compagnia, la

sua amicizia e il suo amore. Per renderlo felice avrei dovuto rinunciare a ogni

rapporto umano e anche alla mia arte. Io ero povera e orgogliosa. E’ sempre

stato mio desiderio e mia speranza di non accettare favori, di dovere tutto alla

mia attività. L’amicizia che nutrivo per lui mi spinse a tentare tutti i mezzi per

riportarlo a sentimenti più calmi e ragionevoli. Non essendovi riuscita, e

convinta che la sua ostinazione fosse dovuta meno all’estremo della sua

passione che alla violenza del suo carattere, presi e mantenni la decisione di

separarmi da lui per sempre. Ho rifiutato di vederlo nel suo letto di morte

perché la vista della sua angustia mi avrebbe reso infelice senza alcuna utilità.

Inoltre mi trovavo nel dilemma di rifiutare quello che mi chiedeva, con

apparente crudeltà, di concederlo con il sicuro prospetto di un’infelicità

futura. Questi, signora, sono i motivi che mi hanno spinto. Spero che non

vorrete considerarli degni di censura”.

«“Sarebbe ingiusto condannarvi”, mi rispose. “Possiamo essere

ragionevolmente chiamati a fare dei sacrifici solo per mantenere le nostre

promesse o per adempiere ai nostri doveri verso i parenti o i benefattori. So

che non gli dovevate gratitudine; lui stesso sapeva che ogni obbligazione era

dalla sua parte; ma lo stato della sua mente e la passione che lo dominava

erano fuori del suo controllo; e il vostro rifiuto di vederlo affrettò la sua fine.

Egli contò ogni minuto fino alle dieci e mezza, quando il suo servitore tornò

col messaggio che quasi certamente non sareste venuta. Dopo un momento di

silenzio, egli mi prese la mano e, in uno stato di disperazione che mi atterrì,

esclamò: - Barbara creatura! Ma non ci guadagnerà niente. La

perseguiterò dopo la mia morte per tutto il tempo in cui lei mi ha

 

325

perseguitato in vita. - ... Cercai di calmarlo, ma era già un corpo

esanime”» (5).

Questa è la storia come la riferisce la stessa Mademoiselle Clairon. Ella

aggiunge: «non c’è bisogno di dire quale effetto fecero su di me queste parole.

La coincidenza fra esse e i disturbi che mi avevano tormentato mi riempì di

terrore… Io non so che cosa sia realmente il caso, ma sono sicura che ciò che

siamo abituati a chiamare così ha una grande influenza sulle cose umane».

Nelle Memorie della duchessa d’Abrantès scritte da lei stessa, e contenenti

tanti interessanti particolari sulla rivoluzione francese e gli emozionanti

eventi che la seguirono, ella afferma che, durante il Consolato, quando

Mademoiselle Clairon aveva circa settant’anni, lei (la duchessa) fece la sua

conoscenza e udì dalle sue labbra questa storia, di cui ci dà un breve e non

accurato compendio. Relativamente all’impressione che fece su di lei il modo

con cui la signorina Clairon la narrò, la duchessa nota:

«Non so se in tutto questo non vi fu una piccola esagerazione; ma lei, che

generalmente parla in un tono che sa di esaltazione, quando venne a riferirmi

questo incidente, sebbene parlasse con dignità, lasciò da parte ogni

affettazione e tutto ciò che avrebbe potuto essere considerato una ricerca di

effetto. Albert, che credeva nel magnetismo, dopo avere udito Mademoiselle

Clairon cercò di persuadermi che la cosa poteva essere vera. Allora lo derisi.

Ahimè! da allora ho io stessa imparato una terribile lezione in fatto di

credulità» (6).

Non è conforme ai principi dell’evidenza il negar credito a una narrazione

così bene autenticata. I fenomeni furono osservati non dalla sola

Mademoiselle Clairon, ma da numerosi altri testimoni, compresi i più oculati

e sospettosi degli esseri: gli ufficiali di polizia di Parigi. Quei fenomeni non

furono osservati solo per una, due o cinquanta volte, ma per più di due anni di

seguito. Il colpo contro una certa finestra fu tirato, a quanto Mademoiselle

Clairon ci dice espressamente, ogni notte, alla stessa ora per tre mesi, quindi

per novanta volte consecutive. Quale teoria, quale spiegazione può valere per

un giuoco di questo genere, sfuggire per tanto tempo agli occhi d’Argo della

polizia francese? Poi il grido al momento in cui, dietro suggerimento di

Rosely, fu evocato il fantasma: il colpo contro la carrozza dalla casa in cui era

risieduto Monsieur de S.: quale frode potrebbe essere immaginata dietro tutto

ciò?

Gli incidenti avvennero durante la giovinezza di Mademoiselle Clairon,

cominciando quando aveva ventidue anni e terminando quando ne aveva

venticinque. Circa cinquant’anni dopo, verso la fine della sua vita, in quel

periodo di calma riflessione che viene con la vecchiaia, lei manteneva ancora

 

326

una profonda convinzione nella realtà di questi fatti singolari, che diede al

tono e al modo della sua narrazione la suadente semplicità della verità.

Infine la coincidenza a cui Mademoiselle Clairon allude è doppia: anzitutto

gli incidenti stessi, poi il periodo durante il quale continuarono. Monsieur de

S., con il suo ultimo respiro, dichiarò che l’avrebbe perseguitata, ed ella

ignorò questo finché la persecuzione, cominciata mezz’ora dopo la morte di

lui, non fu finita. Egli disse inoltre che sarebbe stata perseguitata dal suo

spirito per un periodo di tempo eguale a quello in cui lei l’aveva tenuto sotto il

suo fascino. E in realtà dal momento in cui la conobbe fino a quello della sua

morte trascorsero due anni e mezzo, e due anni e mezzo trascorsero, come lei

stessa ci dice, dalla morte di lui alla fine dei disturbi.

Tuttavia, anche ammettendo in questo caso la realtà di un agente

ultraterreno, non voglio affermare come corollario effettivamente provato che

fu lo spirito di Monsieur de S. ad attuare la minaccia da lui fatta. Questa è

certo la prima spiegazione più naturale che ci si presenti. E, se non è la vera, il

semplice caso è insufficiente a dar ragione dell’esattezza con cui la minaccia

del morente coincise con le pene sofferte da colei che fu oggetto del suo

disgraziato e inutile amore.

Se accettiamo questa storia, essa ci offre un altro insegnamento.

Supponendo che l’agente dei disturbi fosse spirituale, non possiamo

considerarlo come ordinato da Dio così come non possiamo considerare tali le

noie che un vicino ingiustamente offeso può dare in questo mondo, per

ripicco, al suo offensore. La condotta di Mademoiselle Clairon sembra essere

stata giustificabile e prudente, certo non meritevole di persecuzione e di

castigo.

Perché, dunque, questi disturbi furono permessi? Quando potremo dire

perché si permette così spesso che afflizioni terrene si abbattano

sull’innocente, allora potremo chiedere una risposta al problema spirituale.

I fenomeni naturali avvengono secondo leggi naturali, non per un

particolare decreto. E i disturbi qui ricordati erano senza dubbio fenomeni

naturali.

Possiamo immaginare che tutto, nel mondo del futuro, sia governato da

principi completamente diversi da quelli che vediamo operare nel nostro. Ma

perché dovremmo immaginarlo? Non è forse la stessa Provvidenza quella che

domina al di qua e al di là di Acheronte?

Un esempio in qualche modo più somigliante a una punizione realmente

meritata ed espressamente inviata è il seguente: un racconto che devo alla

gentilezza della signora S. C. Hall, la scrittrice, e della cui verità, come si

vedrà, ella porta testimonianza personale. Ma anche in questo caso possiamo

 

327

noi affermare qualche cosa di più se non che l’agente fu permesso ma non

ordinato?

Presento la storia con le parole stesse della signora Hall. L’episodio

avvenne a Londra.

QUELLO CHE DOVETTE SOPPORTARE UN UFFICIALE INGLESE

«Tutte le ragazze hanno delle amiche; e, quando avevo diciassette anni, la

mia amica preferita era Kate L. Era una giovanetta irlandese, maggiore di me

di tre anni, una graziosa creatura gentile e affettuosa, molto devota alla sua

vecchia madre e sempre pronta a sopportare uno sgradevole fratello che si

ostinava a suonare il flauto, sebbene lo suonasse fuori tempo e fuori tono.

Questo fratello era la mia bête noire; e ogni volta che mi lamentavo che

suonasse così male, Kate mi diceva: “Ah, aspetta che torni a casa mio fratello

Robert; suona e canta come un angelo, ed è così bello!”.

«Questo Robert era stato alcuni anni in Canada con il suo reggimento, e il

suo ritorno formava la felicità della madre e della figlia. Per i tre mesi che lo

precedettero non si parlò di altro. Se avessi avuto qualche inclinazione a

innamorarmi, lo avrei fatto in anticipo con Robert L.; ma non era questa la

mia debolezza; e mi divertii molto alle congetture della mia amica su chi si

sarebbe innamorato prima se io di lui o lui di me.

«Quando ci incontrammo, per fortuna, non ci fu pericolo per nessuno. Lui

disse a Kate che la sua amica non faceva che ridere, e io pensai di non avere

mai visto un volto così bello nei lineamenti e tuttavia così truce ed emaciato. I

suoi grandi occhi azzurri erano profondi, ma sembravano sempre cercare

qualche cosa che non riuscissero a trovare. Il solo guardarlo mi metteva a

disagio. Tuttavia il cambiamento che, dopo qualche tempo, divenne evidente

in Kate fu ancora più strano. In meno di una settimana si era fatta fredda e

imbarazzata. Avrei dovuto passare un giorno con lei, ma trovò delle scuse e,

nel farlo, scoppiò in lacrime. Evidentemente qualche cosa andava male, e

pensai che il tempo avrebbe chiarito tutto.

«Circa una settimana dopo venne a trovarmi; sembrava di dieci anni più

vecchia. Chiuse la porta della mia stanza e mi disse che desiderava parlarmi di

qualche cosa a cui difficilmente avrei creduto, ma che, se non avevo paura,

avrei potuto giudicare personalmente.

«Mi disse che, dopo il ritorno di Robert, era stata per una settimana

pienamente felice. Ma presto - pensava verso il decimo giorno, o piuttosto

verso la decima notte -, fu impressionata da forti colpi e battiti nella camera di

 

328

Robert. Era la stanza sul retro dello stesso piano in cui la Signora L. e sua

figlia dormivano insieme in una grande stanza sulla fronte. Lo avevano udito

imprecare a quei rumori come se si rivolgesse al suo domestico, ma

quell’uomo non dormiva in casa. Da ultimo aveva scagliato i suoi stivali

contro i disturbi, ma, quanto più egli diveniva violento, tanto più violento

sembrava divenire il fracasso.

«Alla fine sua madre si arrischiò a battere alla porta e a chiedere che cosa

stesse succedendo. Lui le disse di entrare. Lei prese una candela accesa e la

pose sul tavolo. Mentre entrava, il pointer favorito di suo figlio si precipito

fuori della stanza. “Così”, disse lui, “il cane se n’è andato! Per anni non sono

riuscito a tenere un cane nella mia stanza di notte, ma in casa tua, mamma,

pensavo e speravo di poter sfuggire alla persecuzione che a quanto vedo mi ha

seguito anche qui. Mi dispiace per il canarino di Kate che è stato messo dietro

la tenda. Lo ho sentito svolazzare subito dopo l’inizio. Naturalmente è morto”.

«La vecchia signora si alzò tremante a andò a vedere il povero uccellino di

Kate. Giaceva morto in fondo alla gabbia, con tutte le penne arruffate.

«“Non hai una Bibbia nella stanza?” chiese lei. “Sì”, e ne trasse una di sotto

il cuscino: “credo che questa mi protegga dall’essere colpito”. Sembrava così

paurosamente esausto che sua madre voleva uscire per andare a prendergli

del vino. “No, rimani qui, non mi lasciare”, la pregò lui. Aveva appena cessato

di parlare quando qualche cosa di grosso e pesante parve rotolare giù dal

camino e abbattersi a terra; ma la signora L. non vide niente. Un momento

dopo, come per un forte vento, la luce si spense mentre colpi, battiti e

grattamenti passavano per tutta la stanza. Robert L. pregava e bestemmiava

alternatamente; e la vecchia signora, di solito padrona di sé, faceva fatica a

impedirsi di venir meno. Il rumore continuò a volte come cupi tonfi, a volte

come un gocciolare in tutta la stanza.

«Infine l’altro figlio, svegliato dai disturbi, entrò o trovò la madre

inginocchiata in preghiera.

«Quella notte dormì nella stanza di suo figlio, o meglio tentò di farlo

perché il sonno era impossibile sebbene il suo letto non fosse toccato né

scosso. Kate rimase fuori della porta aperta. Era impossibile vedere perché,

subito dopo il primo colpo giù dal camino, le luci si erano spente.

«Il mattino dopo, Robert disse alla famiglia che da più di dieci anni era

vittima di questa persecuzione spiritica. Se dormiva sotto la tenda, il rumore

era lì disturbando gli ufficiali suoi colleghi, i quali evitavano la compagnia

“dell’uomo infestato”, come lo chiamavano: uno che “deve avere fatto qualche

cosa per tirarsi dietro questo castigo”. In genere, quando era in licenza, i

disturbi lo lasciavano in pace per tre o quattro notti; ma poi tornavano. Non

 

329

era mai riuscito a rimanere in un alloggio: i padroni di casa, che non volevano

subire i disturbi, lo invitavano regolarmente a “filar via”.

«Dopo la colazione, i vicini della porta accanto mandarono a lamentarsi dei

rumori della notte precedente. Nelle notti successive, vari amici (io ne

conoscevo due o tre) vegliarono con la signora L. e cercarono di scoprire la

causa con tutti i mezzi umani. Invano. Verificarono il fatto, ma la causa

rimase avvolta nel mistero.

«Kate voleva che udissi anch’io; ma io non ebbi il coraggio di farlo e mia

madre non me lo avrebbe permesso.

«Nulla poté indurre il pointer a tornare nella stanza del suo padrone, di

giorno o di notte. Era stato comprato da poco e, finché non avvenne il primo

disturbo a Londra, aveva corrisposto all’affetto di Robert. Ma in seguito fu

evidente che non amava il suo padrone. “Anche questa è una vecchia storia”,

disse Robert. “Non ho mai potuto tenere un cane. Ho voluto provare ancora,

ma non avrò mai nulla da amare e nulla potrà mai amare me”. L’animale poco

dopo se ne andò e si suppose che fosse fuggito o fosse stato rubato.

«Il giovane, vedendo che sua madre e sua sorella deperivano per l’ansietà e

la mancanza di riposo, disse loro che avrebbe meglio sopportato i suoi guai da

solo e che sarebbe andato in Irlanda, sua terra natale, per rifugiarsi in qualche

casetta di campagna, dove poter pescare e andare a caccia.

«Se ne andò. Prima della sua partenza, udii una volta il povero ragazzo

dire: “E’ duro essere puniti così, ma forse me lo sono meritato”.

«Seppi più tardi che vi era più di un sospetto che egli avesse abbandonato

una disgraziata ragazza che lo “Aveva amato non saggiamente, ma troppo

bene”, e che era morta in America. Sia come sia, in Irlanda come altrove

l’infestazione lo seguì senza requie.

«Lo spirito non parlò mai né rispose a domande: il modo di comunicare,

oggi così comune, non era allora conosciuto. Se lo fosse stato, forse il risultato

sarebbe stato diverso.

«Allo stato delle cose, il tenore di vita di Robert L. nel suo paese natale

tenne la madre in grande ansietà. Tuttavia non ebbi notizie del suo ultimo

destino; perché sua sorella non volle dirmi in quale parte d’Irlanda avesse

posto la sua triste residenza.

«La mia amica Kate si sposò subito dopo la partenza del fratello, e, entro

un anno, fu moglie, madre e corpo esanime. La sua morte spezzò il cuore di

sua madre, così che in due anni la famiglia si dissolse, come se non l’avessi

mai conosciuta. Spesso ho pensato che, se quella buona signora non fosse

stata così colpita dal visitatore spiritico di suo figlio, non si sarebbe tanto

 

330

angosciata per la perdita della figlia; ma mi disse di non avere ormai più nulla

che la legasse a questo mondo.

«Mi sono spesso rammaricata di non avere vegliato una notte con la mia

giovane amica; ma i fatti che ho raccolto erano noti a una ventina di persone a

Londra» (7).

Si trova raramente una narrazione meglio autenticata di questa o che

indichi con maggior forza la realtà di un agente ultraterreno. E’ attestata dal

nome di una signora bene e favorevolmente nota nel mondo letterario. E’ vero

che, a causa della sua paura, non osservò personalmente i disturbi; ma, se lo

avesse fatto, avrebbe forse aggiunto un peso materiale alla sua testimonianza

così com’è? Poteva forse dubitare della realtà di queste terribili

dimostrazioni? E possiamo dubitarne noi? La testimonianza della sorella e

della madre, le cui esistenze furono adombrate, se non abbreviate, da questo

pauroso fenomeno, per non parlare delle prove a sostegno fornite dagli amici

che vegliarono con loro appunto per cercare una qualche spiegazione, si

possono forse mettere in dubbio? L’aspetto truce ed emaciato del

perseguitato, la sua vita rovinata, potevano essere forse simulati? La

confessione fatta alla sua famiglia e a lui strappata dal ripetersi, in casa di sua

madre, di un tormento che non poteva celare più a lungo, poteva essere una

menzogna? Degli animali attestarono il contrario. La morte del canarino, il

terrore del cane, potevano essere provocati dalla fantasia? O ci volgeremo

all’ipotesi di un agente umano? Per dieci anni i rumori vendicatori avevano

perseguitato lo sciagurato giovane. Sotto la tenda o in un’osteria, in ,città o in

campagna, dovunque andasse, la terribile Intrusione seguiva i suoi passi. La

casa materna non fu luogo sacro per il persecutore, che seguì il colpevole

anche nel suo rifugio nelle regioni selvagge dell’Irlanda. Se anche è

concepibile una tale vendetta umana, le capacita umane non sono forse

impotenti a sostenerla?

Ma, se ammettiamo la realtà e il carattere spirituale della manifestazione,

dobbiamo ammettere anche la spiegazione ipoteticamente suggerita dalla

narratrice? Robert L. fu realmente così punito, durante la vita, per uno dei

peccati umani peggiori, perché dei più egoistici, dei più crudeli e dei più

apportatori di infelicità? Lui stesso sembrava essere di questa opinione; il

verdetto della sua coscienza era stato: «Forse me lo sono meritato». Può

essere avventato, con la nostra attuale limitata conoscenza delle leggi

ultraterrene, affermare senz’altro qualche cosa, sapendo, come sappiamo, che

decine di migliaia di tali colpevoli passano la vita senza essere colpiti dalla

giustizia (8). E tuttavia, se rifiutiamo questa ipotesi, quale altra ipotesi più

plausibile ci rimane?

 

331

Anche accettando questa spiegazione, tuttavia, non bisogna ammettere

come causa naturale che fu lo spirito della sua povera vittima a perseguire

così ostinatamente colui che l’aveva lasciata tradendo la sua fiducia. L’amore

può mutarsi per qualche tempo in violenta repulsione: ma è difficile pensare

che, quando i legami terreni si sono disciolti, arda in odio eterno e

implacabile. E possiamo concepire che altri spiriti di defunti, di cattiva

natura, avendo ottenuto un potere sul disgraziato, con l’aiuto di un

temperamento impressionabile, preparato da una coscienza ossessionata dal

rimorso, siano stati lasciati intervenire (chi può dire per quale legge o per

quale proposito?) per punir così la mala azione.

Ma qui entriamo nel campo delle congetture. Questi eventi avvennero

molto prima che la parola spiritismo avesse acquistato un significato. Non fu

fatto alcun tentativo di comunicare con i rumori. Non fu dunque raggiunta

alcuna spiegazione, vera o falsa che fosse. Non fu data alcuna possibilità a una

conciliazione; non vi fu modo di placare lo spirito offeso.

E’ stato notato che, in molti casi moderni di ciò che aveva assunto il

carattere di una interferenza spirituale, i disturbi cessarono quando fu cercata

e ottenuta una comunicazione per mezzo di battiti. Così avrebbe potuto

avvenire, come suggerisce la signora Hall, nel caso di Robert L. E, se è così, i

colpi spiritici, per quanto poco considerati dai più, avrebbero potuto portare

al pentimento e salvato da disperate sofferenze - forse anche da una morte

prematura - un giovane certo molto colpevole ma tuttavia non il più colpevole

fra tutti gli abitanti di Londra.

Note

(1) Matteo, XVIII, 10; Ebrei, I, 4.

(2) I Greci stessi non rappresentano le Furie come implacabili. Queste

erano considerate aperte - come implica il loro nome di Eumenidi - a impulsi

di benevolenza e di misericordia e, con mezzi opportuni, era possibile

renderle propizie.

(3) Anatomy of Sleep, di Edward Binns, seconda edizione, Londra 1845,

pag. 152.

(4) Non appare chiaramente se una palla passò attraverso la carrozza.

L’espressione è: «D’une des maisons partit ce même coup de fusil qui me

poursuivait; il traversa notre volture».

 

332

(5) Mémoires de Mademoiselle Clairon, actrice du Théatre

Français, écrit par elle-même, seconda edizione, Parigi 1822, pagg. 78-

96. L’editore afferma che queste memorie sono state pubblicate «senza

cambiare una sola parola dal manoscritto originale».

(6) Mémoires de Madame la Duchesse d’Abrantès, écrits par

ellemême, seconda edizione, Parigi, 1835, vol. II, pag. 39.

(7) Estratto da una lettera a me inviata dalla signora Hall, datata Londra,

31 marzo 1859.

(8) Non ne segue, però, minimamente che, per il fatto che tanti di questi

colpevoli rimangono impuniti, non vi sia niente di retributivo negli incidenti

qui riferiti. In questo mondo misteriosamente governato, molti criminali

sfuggono, mentre altri, forse meno colpevoli, vengono raggiunti. «Quei

diciotto su cui si abbatté la torre di Siloam uccidendoli, credete forse che

fossero più peccatori di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme?» Luca XIII, 4.

 

333

2 - Spiriti custodi

Rimane uno studio più piacevole: quello, cioè, degli indizi a noi giunti di

aiuti ultraterreni e di protezione spirituale.

Tre storie sono venute a mia conoscenza in ognuna delle quali il

protagonista è supposto essere stato salvato da morte da un’apparizione che

sembrava la controparte di lui stesso. L’una è riferita da un ecclesiastico

inglese che passava a notte alta per un sentiero solitario e al cui fianco

apparve d’improvviso la figura, distogliendo così dall’aggredirlo due uomini

che (come l’ecclesiastico poté accertare in seguito) stavano per assassinarlo e

derubarlo. Gli altri due - l’uno occorso a uno studente di Edimburgo, l’altro a

un giovane di mondo berlinese - sono esempi in cui il veggente sembra sia

stato messo in guardia dall’occupare la sua solita stanza: se l’avesse occupata

sarebbe perito per il franamento di una parte della casa.

Ma questi aneddoti, sebbene vi siano per ognuno plausibili prove, non

rispondono alla regola che mi sono imposto di avere sufficienti autenticazioni.

Una storia simile è riferita e garantita da Jung Stilling, riguardante un

certo professor Böhm, di Marburgo, nel cui caso, tuttavia, l’avvertimento

giunse solo sotto forma di un vivo presentimento, non di una vera e propria

apparizione (1).

Un simile caso di presentimento, sebbene il pericolo riguardasse un altro,

non il soggetto del presentimento stesso, mi fu gentilmente riferito, di prima

mano, da una signora, in questi termini.

COME FU SALVATA LA VITA DEL SENATORE LINN

Quelli che sono familiari con la storia politica del nostro paese vent’anni fa,

ricordano il dott. Linn del Missouri. Noto per i suoi talenti e la sua abilità

professionale, ma ancor più per la sua bontà di cuore, egli ricevette -

distinzione rara quanto onorevole - il voto unanime della Legislatura per la

carica di senatore degli Stati Uniti.

Per adempiere ai suoi doveri nel Congresso, egli risiedeva con la famiglia a

Washington durante la primavera e l’estate del 1840, l’ultimo anno

dell’amministrazione di Van Buren.

Un giorno, durante il mese di maggio di quell’anno, il dottore e la signora

Linn ricevettero un invito a un importante pranzo ufficiale, dato da un

 

334

pubblico funzionario, e al quale erano invitati i più eminenti membri del

governo, compresi il Presidente stesso e il nostro attuale Primo Magistrato,

signor Buchanan. Il dott. Linn desiderava molto essere presente; ma, quando

venne il giorno, colpito da un attacco di indigestione, pregò la moglie di

portare personalmente le sue scuse e di prendere parte al pranzo lasciandolo a

casa. Ella acconsentì con riluttanza e fu accompagnata alla porta del loro

ospite da un amico, il generale Jones, che promise di tornare e restare col

dott. Linn durante la sera.

A tavola, la signora Linn sedette presso il generale Macomb, che era il suo

compagno; di fronte a lei sedeva Silas Wright, senatore di New York, il più

intimo amico di suo marito, e la cui morte, avvenuta poco dopo, fu

un’irreparabile perdita per il paese.

Durante la prima parte del pranzo la signora Linn si sentì molto inquieta

per suo marito. Tentò di calmarsi col ragionamento, sapendo che si trattava di

un’indisposizione senza alcuna gravita, ma invano. Parlò di questa

inquietudine al generale Macomb, ma egli le ricordò quello che lei stessa gli

aveva detto poco prima, che cioè il generale Jones aveva promesso di restare

col dott. Linn e che, nel molto improbabile caso di un improvviso aggravarsi

del male, glielo avrebbe certo fatto sapere. Tuttavia, quanto più il pranzo si

avvicinava alla fine, tanto più aumentava questo inspiegabile disagio, fino a

divenire un così incontrollabile impulso di tornare a casa, che, come ella mi

disse, sentì di non potere rimanere lì seduta un momento di più. Il suo

improvviso pallore fu notato dal senatore Wright, che ne fu allarmato. «Sono

sicuro che vi sentite male, signora Linn», disse. «Che succede?». Lei rispose

che stava benissimo, ma che doveva tornare a casa per suo marito. Il signor

Wright cercò, come aveva fatto il generale Macomb, di calmare i suoi timori;

ma lei rispose: «Se volete farmi un favore di cui vi sarò grata per tutta la vita,

fate le nostre scuse al nostro ospite, in modo che possiamo allontanarci da

tavola». Vedendola così eccitata, egli soddisfece alla sua richiesta, sebbene si

stesse servendo il dessert, e, con la signora Wright, accompagnò la signora

Linn a casa.

Nel congedarsi sulla porta dell’alloggio di lei, il senatore Wright disse:

«Verrò a trovarvi domani mattina, e faremo tutti insieme una risata sui vostri

timori».

Salendo in fretta le scale, la signora Linn incontrò la padrona della casa e le

chiese con ansia: «Come sta il dott. Linn?». «Benissimo, credo,» fu la

risposta. «Ha fatto un bagno più di un’ora fa e direi che adesso sia in pieno

sonno. Il generale Jones ha detto che stava ottimamente».

«Il generale è con lui, non è vero?».

 

335

«Credo di no. Mi sembra di averlo visto uscire circa mezz’ora fa».

In parte rassicurata, la signora Linn si affrettò verso la camera del marito,

la cui porta era chiusa. Appena l’aprì, ne uscì un denso fumo, in tale quantità

e così soffocante che ella barcollò e cadde sulla soglia. Ripresasi dopo pochi

secondi, si precipito nella stanza. Il cuscino era in fiamme e le coperte

ardevano con un odore soffocante. Corse al letto, ma il fuoco, smorzato in

parte fino a quel momento, fu rianimato dalla corrente che proveniva dalla

porta aperta, e, avvampando d’improvviso, si appiccò ai suoi abiti leggeri che,

in un attimo, furono in fiamme. In quel momento vide la vasta tinozza che era

stata usata dal marito, e vi balzò dentro spegnendo il suo abito; poi, tornata al

letto, afferrò il cuscino e le coperte in fiamme, bruciandosi le braccia, e li gettò

nell’acqua. Finalmente, con le ultime forze, trasse dal letto il marito privo di

sensi. Solo allora chiamò in aiuto la gente di casa.

Fu mandato immediatamente a chiamare il dott. Sewell, ma ci volle una

buona mezz’ora prima che la vittima desse qualche segno di vita. Non lasciò il

letto per quasi una settimana, e solo dopo tre mesi poté dirsi completamente

ristabilito dagli effetti di quell’incidente.

«E’ stata una vera fortuna», disse il dott. Sewell alla signora Linn, «che

siate arrivata proprio in quel momento. Sarebbe bastato un ritardo di cinque

minuti, anzi, di tre, e con ogni probabilità non avreste più rivisto vostro

marito vivo».

Il signor Wright arrivò, come aveva promesso, il mattino dopo. «Bene,

signora Linn», disse, sorridendo, «vi siete finalmente accorta di quanto fosse

fantastico quel vostro strano presentimento?».

«Venite di sopra», rispose lei. E lo condusse dal suo amico, che poteva

appena parlare. Poi gli mostrò i resti del cuscino e delle lenzuola mezzo

bruciati.

Se quella vista mutò le sue opinioni in fatto di presentimenti, non potrei

dire; ma mi disse la signora Linn che divenne pallido come un cadavere e non

pronunciò parola.

Ebbi tutti questi particolari dalla stessa signora Linn (2), con il permesso di

pubblicarli a illustrazione del soggetto che sto trattando, attestati da date e da

nomi.

V’è un punto di questa narrazione che merita di essere particolarmente

esaminato. Qualora ammettiamo che l’irresistibile impulso della signora Linn

a lasciare la tavola, sia stato un’ impressione spirituale, rimane il problema: fu

l’avviso di un pericolo gia esistente, o fu il presentimento di un pericolo che

doveva ancora delinearsi? In altre parole fu un fenomeno di chiaroveggenza, o

di natura chiaramente profetica?

 

336

A quanto ella stessa mi disse, l’impressione si produsse distintamente nella

mente della signora Linn almeno mezz’ora prima che divenisse così urgente

da spingerla a lasciare il pranzo. Quando lo ebbe fatto, poiché le carrozze

erano state ordinate solo per le undici e non vi era sul luogo alcuna vettura da

nolo, lei e i signori Wright, come mi disse, erano tornati a piedi. Poiché la

distanza era di un miglio e mezzo, dovettero camminare per una buona

mezz’ora. Ne segue che la signora Linn ebbe il primo impulso di tornare a

casa più di un’ora prima che aprisse la porta della stanza da letto.

E’ altamente improbabile che il fuoco si sia appiccato o che sia avvenuta

qualche cosa che potesse provocarlo, un’ora o anche mezz’ora prima

dell’arrivo della signora. Ma se è così - se nel momento in cui la signora Linn

ebbe la prima impressione, non esisteva una condizione di cose che potesse

indicare un pericolo a un’umana percezione - allora, a meno che non

riferiamo il tutto a una semplice coincidenza casuale, il caso è tale da

implicare non solo un senso di allerta ma un istinto profetico.

Ancora più netto, come esempio di ciò che sembra un agente protettivo, è il

seguente, tratto da una recente opera del reverendo dott. Bushnell.

AIUTO NELLA TEMPESTA DI NEVE

«Mentre sedevo davanti al fuoco, in una tempestosa notte di novembre,

nella sala di un albergo della Napa Valley in California, entrò una persona

dall’aspetto quanto mai benevolo e venerabile, con sua moglie, e si sedettero

nel circolo. Lo straniero, come seppi più tardi, era il capitano Yount, un uomo

arrivato in California come cacciatore una quarantina di anni fa. Era vissuto

lì, lontano dal gran mondo e dai suoi problemi, divenendo proprietario di un

immenso territorio e una specie di patriarca riconosciuto nella regione. La sua

persona alta e virile e il suo aspetto dolce e paterno dall’espressione

assolutamente genuina come se non avesse mai conosciuto un dubbio

filosofico o un problema in vita sua, lo caratterizzavano come un vero

patriarca. La conversazione si volse, non so come, sullo spiritismo e la

negromanzia moderna; ed egli mostrò una certa inclinazione a credere nei

misteri riferiti. Sua moglie, molto più giovane di lui e, a quanto sembrava,

cristiana, spiegò che probabilmente egli era disposto a questo genere di fede

in seguito a una sua peculiare esperienza personale; ed evidentemente

desiderava che egli fosse indotto, da qualche intelligente discussione, a

parlare delle sue ricerche.

«A mia richiesta, egli mi raccontò la storia. Circa sei o sette anni prima, in

una notte di pieno inverno, aveva avuto un sogno nel quale vedeva quello che

 

337

sembrava un gruppo di emigranti arrestato dalla neve sulle montagne e

rapidamente stremato dal freddo e dalla fame. Notò tutti i particolari dello

scenario, caratterizzato da un enorme dirupo perpendicolare di roccia bianca;

vide gli uomini tagliare quelle che sembravano cime di alberi emergenti dai

profondi abissi nevosi; distinse perfino i lineamenti delle persone e il loro

aspetto disperato. Si svegliò profondamente impressionato dalla nettezza e

dall’apparente realtà del sogno. Poi tornò ad addormentarsi e sognò ancora

esattamente lo stesso sogno. Al mattino non poté toglierselo di mente. Poco

dopo, incontrato un vecchio compagno cacciatore, gli racconto la storia, e

rimase ancor più impressionato dal fatto che l’altro riconobbe senza

esitazione lo scenario del dramma. Questo cacciatore aveva attraversato la

Sierra dal passo di Carson Valley e dichiarò che un punto del passo

rispondeva esattamente alla sua descrizione. Il nostro patriarca prese la sua

decisione. Radunò immediatamente un gruppo di uomini con muli, coperte e

ogni provvigione necessaria. Frattanto i vicini ridevano della sua credulità.

“Poco importa”, disse lui. “Posso farlo e voglio farlo; perché sono convinto che

il fatto corrisponde al mio sogno”. Gli uomini furono mandati sulle montagne,

a circa cento cinquanta miglia di distanza, direttamente al passo di Carson

Valley. E là trovarono la carovana nelle esatte condizioni del sogno, portando

a salvamento i superstiti» (3).

Il dott. Bushnell aggiunge che uno dei presenti gli disse: «Non dovete avere

alcun dubbio su questo, perché tutti noi californiani conosciamo i fatti e i

nomi delle famiglie salvate, che adesso considerano il nostro venerabile amico

come una specie di Salvatore». Gli diede i nomi e gli indirizzi di ognuno; e il

dott. Bushnell dichiara di avere trovato i Californiani sempre pronti a

confermare la testimonianza del vecchio. «Nulla sembrava più naturale»,

continua il dottore, «per questo benefico patriarca, che aggiungere che la cosa

più luminosa della sua vita, e quella che gli dava la gioia maggiore, era la

semplice fede nel suo sogno».

Questo è un fatto conosciuto e confermato da un’intera comunità. Che sia

avvenuto è fuori discussione. Ma come poté avvenire per semplice caso? Nella

infinita zona selvaggia invernale, con centinaia di passi e migliaia di

emigranti, come si può supporre che una fantasia puramente accidentale,

senza interferenze ultraterrene, possa dare forma in sembianza di realtà a una

scena realmente esistente a centocinquanta miglia di distanza, sebbene del

tutto sconosciuta al sognatore, e non solo alla regione con i suoi bianchi picchi

e i suoi alberi sepolti dalla neve, ma anche ai viaggiatori stremati che

tagliavano le cime di quegli alberi nel vano sforzo di combattere il freddo e la

fame? Chi dà credito a questo, crede in una meraviglia ancora più grande

dell’ipotesi di una provvidenza spirituale.

 

338

A sostegno di questa ipotesi, comunque, vi sono relazioni bene attestate

che indicano, più direttamente di questa storia del cacciatore californiano,

un’amorosa cura da parte dei defunti. Una di queste si può trovare in

un’opera sul soprannaturale del reverendo dott. Edwards. Egli la comunica in

forma di un «estratto da una lettera di un illuminato e dotto teologo della

Germania settentrionale». Il fatto, a quanto ci dice, avvenne a Levin, un

villaggio appartenente al Ducato di Mecklenburgo, non lungi da Demmin,

nella Pomerania prussiana, la domenica prima della festa di san Michele,

nell’anno 1759. Tale estratto (con l’aggiunta, da mia parte, del solo titolo) è il

seguente.

CONSOLAZIONE INATTESA

«Vi narrerò ora, come conclusione, la storia molto edificante di

un’apparizione di cui posso garantire la verità su tutto ciò che mi è caro. La

mia defunta madre, un modello di vera pietà, sempre in preghiera, perse

inaspettatamente, dopo una breve malattia dovuta a un male di gola, la mia

sorella più giovane, una ragazzina di circa quattordici anni. Poiché durante la

sua malattia aveva parlato poco con lei di cose spirituali, non supponendo

minimamente una fine così vicina (sebbene mio padre la sospettasse), si

rammaricò e si rimproverò severamente non solo per questo ma anche per

non averla sufficientemente curata o per avere trascurato qualche cosa che

forse le era stata fatale. Questi sentimenti influirono tanto su di lei che ella

non solo mutò aspetto per la perdita di appetito, ma divenne così taciturna da

non parlare più se non veniva interrogata. Tuttavia continuò a pregare

diligentemente nella sua stanza. Poiché a quell’epoca ero già grande, ne parlai

con mio padre chiedendogli che cosa si potesse fare per lei e come le si

potesse dare conforto. Lui si strinse nelle spalle facendomi capire che, se Dio

non interveniva, temeva il peggio.

«Qualche giorno dopo, avvenne che, mentre noi tutti eravamo in chiesa, la

domenica mattina, a eccezione di mia madre che era rimasta a casa, questa,

alzatasi dalla preghiera, nel suo salottino, udì un rumore come se qualcuno

fosse con lei. Nel guardarsi attorno per scorgere donde provenisse il rumore,

qualche cosa di invisibile l’afferrò e la strinse, come se qualcuno la

abbracciasse, e nello stesso momento ella udì - senza vedere nulla - molto

distintamente la voce della figlia defunta che le diceva piano: “Mamma!

Mamma! Sono così felice! Così felice!”. Subito dopo queste parole, la

pressione venne meno e mia madre non udì più nulla. Ma quale cambiamento

scorgemmo nella nostra cara tornando a casa! Aveva ritrovato la parola e la

gaiezza di un tempo; mangiò e bevve e si rallegrò con noi della grazia che il

 

339

Signore le aveva concesso, e per tutta la vita non parlò mai, con dolore, della

grande perdita che aveva sofferto con la morte di quella eccellente figlia».

Che questo sia stato un caso di allucinazione di due sensi, l’udito e il tatto,

può essere considerato probabile solo se si potranno trovare inequivocabili

esempi di un simile agente. E se ad alcune persone la voce di un abitante di un

altro mondo, udibile sulla terra, sembra un fenomeno impossibile, le

invitiamo a leggere il seguente episodio, comunicato a me per scritto da un

signore alla cui moglie, come i nostri lettori hanno visto, devo una delle più

impressionanti narrazioni collegate con interferenze personali.

GASPAR

«A Worcester, poche settimane fa, incontrai per caso, in casa di un

banchiere di quella città, una signora che non avevo mai conosciuto; e dalle

sue labbra udii una storia di un carattere così straordinario che, agli occhi di

molti, nessuna garanzia sulla sincerità di chi narrava sarebbe sufficiente per

assicurarne l’autenticità.

«Il nostro ospite non mi fornì su di lei un semplice attestato di stima. Mi

disse di conoscere la signora da più di trent’anni. “E’ così sincera”, aggiunse,

“mi ha dato tali prove di correttezza, che non posso avere il minimo dubbio

sulla sua assoluta buona fede in quello che dice”. Data l’irreprensibilità di lei

nel comportamento e nella conversazione, considerava incredibile che ella

potesse cercare di ingannare. E gli era non meno difficile immaginare che,

nella storia che le aveva udito tante volte narrare in modo chiaro e

circostanziato, ella, intelligente e acuta qual era su ogni soggetto, avesse

potuto ingannare se stessa. Si trovava così di fronte a un dilemma. Perché i

fatti erano di un genere che egli si rifiutava di ammettere, mentre le prove

erano tali da non potere essere messe in questione.

«L’impressione che mi fece la signora, a me completamente sconosciuta,

confermò tutto quello che il banchiere suo amico mi aveva detto in suo favore.

Vi era, nel suo volto e nei suoi modi, e perfino nel tono della sua voce, quel

qualche cosa di inesprimibile, e raramente delusivo, che dà la certezza della

verità; e questo soprattutto perché parlava con evidente riluttanza. “E’ raro”,

disse il banchiere “che si lasci indurre a riferire questo fatto, perché gli

ascoltatori sono di solito scettici, più disposti a deriderla che a simpatizzare

con lei”.

«Si aggiunga che né la signora né il banchiere credevano allo spiritismo

non avendo udito “quasi nulla” in proposito.

 

340

«Ne riferire i fatti, non commetto un abuso di confidenza. “Se parlerete di

questo”, mi disse la signora, “vi prego di sopprimere il nome del luogo, in

Francia, in cui avvenne il caso”. E così ho fatto. Posso aggiungere che gli

incidenti qui riferiti sono stati frequente soggetto di conversazione e di

commento per la signora e i suoi amici.

«Premesso questo, procedo al racconto, quasi con le stesse parole della

signora stessa.

«“Verso l’anno 1820”, disse, “risiedevamo nella città portuale di ..., in

Francia, essendo passati là dalla nostra residenza nel Suffolk. La nostra

famiglia comprendeva mio padre, mia madre, mia sorella, un fratellino di

circa dodici anni e me, oltre una domestica inglese. La nostra casa era in un

luogo solitario, alla periferia della città, con una vasta spiaggia attorno, senza

alcun edificio nelle vicinanze.

«“Una sera mio padre vide, seduta su di un frammento di roccia, a poche

iarde dalla nostra porta, una figura avvolta in un largo mantello. Avvicinatosi,

le disse: - Buona sera; - ma, non ricevendo risposta, si volse per entrare in

casa. Prima, tuttavia, guardò indietro e, con sua sorpresa, non vide alcuno. Il

suo stupore fu poi al massimo quando, tornato alla roccia dove la figura era

apparsa e cercando tutt’in giro, non poté scoprire alcuna traccia di quella

persona, sebbene non vi fosse lì il minimo riparo dietro cui qualcuno avrebbe

potuto nascondersi.

«“Entrando nel salotto, disse: - Ragazzi, ho veduto un fantasma! - al che,

naturalmente, ci mettemmo tutti a ridere.

«“Quella notte, tuttavia, e per alcune notti successive, udimmo strani

rumori in varie parti della casa: qualche cosa che somigliava a lamenti sotto le

nostre finestre, scricchiolii contro le persiane, mentre altre volte sembrava

che una quantità di persone camminassero sul tetto. Non facemmo che aprire

la finestra gridando se non c’era alcuno, ma non ricevevamo risposta.

«“Dopo alcuni giorni i rumori entrarono nella nostra stanza da letto, dove

mia sorella e io (lei di vent’anni e io di diciotto) dormivamo insieme. Lo

dicemmo in casa, ma ricevemmo solo rimproveri perché i nostri genitori

erano convinti che fossero bizzarre fantasie. I rumori nella nostra stanza

erano di solito colpi, spesso ripetuti venti o trenta volte in un minuto, altre

volte a un minuto di distanza l’uno dall’altro.

«“Alla fine anche i nostri genitori udirono i colpi nella nostra stanza e i

rumori al di fuori, e cominciarono ad ammettere che non si trattava di

immaginazione. Poi fu ricordato l’incidente del fantasma. Ma nessuno di noi

fu seriamente allarmato. Ci abituammo ai disturbi.

 

341

«“Una volta, durante i consueti colpi, dissi ad alta voce: - Se sei uno spirito

batti sei volte. - Immediatamente udii sei colpi molto distinti e non più.

«“Col passar del tempo, i rumori divennero così familiari da perdere ogni

effetto terrificante o solo sgradevole; e così si andò avanti per varie settimane.

«“Ma la parte più notevole della storia deve essere ancora detta. Io esiterei

a riferirvela se tutti i membri della mia famiglia non ne fossero stati testimoni.

Mio fratello - allora solo un ragazzo, oggi un uomo fatto e già avviato nella sua

professione - potrà confermare ogni particolare.

«“Oltre ai colpi nella nostra stanza, cominciammo a udire - di solito in

salotto - quella che sembrava una voce umana. La prima volta che avvenne

questo impressionante fenomeno, la voce fu udita unirsi a uno dei canti

familiari mentre mia sorella era al piano. Potete immaginarvi il nostro

stupore. Ma non fummo lasciati a lungo nel dubbio che fossimo stati

ingannati dall’immaginazione. Dopo un poco, la voce cominciò a parlarci in

modo chiaro e intelligibile unendosi ogni tanto alla conversazione. Il tono era

basso, lento e solenne, ma molto distinto; il linguaggio era sempre il francese.

«“Lo spirito - perché così lo chiamavamo - diede il suo nome: Gaspar, ma

rimaneva in silenzio ogni volta che gli facevamo richieste sulla sua storia e le

condizioni della sua vita. Né diede alcuna spiegazione per le sue

comunicazioni con noi. Avemmo l’impressione che fosse uno spagnolo, ma

non ricordo con esattezza per quale ragione. Egli ci chiamava sempre con i

nostri nomi di battesimo. Ogni tanto ci ripeteva versi di poesie. Non parlò mai

di soggetti religiosi, ma ci inculcava sempre massime di moralità cristiana

sembrando desideroso di imprimerci nelle menti una virtuosa saggezza e la

bellezza dell’armonia domestica. Una volta che mia sorella e io avemmo una

piccola disputa, udimmo la voce dire: - M. ha torto; S. ha ragione. - Dal

momento della sua prima manifestazione, ci diede continuamente consigli e

sempre per il nostro bene (5).

«“Una volta mio padre desiderava ardentemente ricuperare alcuni

documenti che temeva fossero andati perduti. Gaspar gli disse esattamente

dove erano, nella nostra vecchia casa nel Suffolk; e furono infatti trovati là nel

punto preciso da lui indicato.

«“Le cose andarono avanti in questo modo per più di tre anni. Ogni

membro della famiglia, compresi i domestici, udì la voce. La presenza dello

spirito - poiché non potevamo fare a meno di considerarlo presente - fu

sempre un piacere per noi tutti. Finimmo col considerarlo un compagno e un

protettore. Un giorno disse: - Non sarò con voi per vari mesi. - E infatti per

alcuni mesi le sue visite furono sospese. Quando una sera, alla fine di quel

 

342

periodo, udimmo ancora la sua voce ben nota: - Eccomi ancora con voi! -

salutammo con gioia il suo ritorno.

«“Nel periodo in cui si udì la voce, non vedemmo mai alcuna apparenza.

Ma una sera mio fratello disse: - Gaspar, sarei lieto di vederti. - E la voce

rispose: - Mi vedrai. Mi incontrerai se andrai sul limite estremo della piazza. -

Egli vi andò e tornò subito dicendo: - Ho visto Gaspar. Aveva un grande

mantello e un cappello a tesa larga. Ho guardato sotto il cappello e lui mi ha

sorriso - Sì, - disse la voce, - ero io.

«“Ma il modo in cui avvenne il suo ultimo congedo fu ancora più

commovente della sua gentilezza durante il tempo che fu con noi. Tornammo

nel Suffolk; e lì, come in Francia, per alcune settimane dopo il nostro arrivo,

Gaspar continuò a conversare con noi come al solito. Un giorno tuttavia,

disse: - Sto per lasciarvi per sempre. Potrebbe venirvene danno se restassi con

voi in questo paese dove le nostre comunicazioni sarebbero mal comprese e

male interpretate.

«“Da quel tempo”, concluse la signora con quel tono di tristezza con cui si

parla di un caro amico portato via dalla morte, “da quel tempo non udimmo

più la voce di Gaspar”.

«Questi sono i fatti come li ho uditi. Mi hanno fatto pensare, e forse

faranno pensare i vostri lettori. Non voglio aggiungere spiegazioni né opinioni

eccetto questo: sulla buona fede della narratrice non ho il minimo dubbio. A

conferma di questa storia quale mi è stata riferita, sottoscrivo col mio nome.

Londra, 25 giugno 1859

«S. C. Hall.»

Che cosa dobbiamo pensare di una narrazione venuta a noi così

direttamente dalla sua fonte e raccontata in modo così franco? Quale ipotesi

di frode, di illusione o di allucinazione potremmo avanzare? Uno, due, una

dozzina di incidenti durati per una settimana o due, potrebbero, come ultima

ipotesi, essere spiegati quale risultato, forse, di una mistificazione, o di

qualche inganno dei sensi. Ma una serie di fenomeni che si estende per tre

anni, testimoniata, molto prima dell’era dello spiritismo, nella quiete

dell’intimità domestica, da ogni membro di una famiglia illuminata -

osservata inoltre senza il minimo terrore, che sviasse, né la minima

eccitazione che squalificasse le testimonianze, tale da fare, giorno per giorno,

la stessa impressione su tutti i testimoni - con quale giustificazione

ragionevole, con quale sospetto di inganno potrebbe essere messa da parte

come indegna di fede?

 

343

Cerco invano qualche via di mezzo. O è possibile una comunicazione orale,

che provenga apparentemente da una fonte ultraterrena, o una famiglia colta

e intelligente, di condizione elevata e di onorabilità ineccepibile, si é accordata

per imporre ai loro amici una completa menzogna? Non solo la narratrice, ma

anche suo padre, sua madre, suo fratello e sua sorella devono tutti avere preso

parte a un grosso e gratuito inganno durato tutta una vita: un inganno non

solo senza motivo, ma evidentemente e certamente pericoloso in senso

sociale: perché una tale storia, come tutti sanno, con gli attuali pregiudizi

dell’opinione pubblica, non può essere narrata a meno che il narratore sia

altamente rispettato senza richiamare commenti penosi e ingiuriosi sospetti.

D’altra parte, che uno spirito disincarnato parli alle orecchie mortali è uno

dei fenomeni ultraterreni, presentato in alcune delle narrazioni precedenti,

che il lettore può avere giudicato più difficili a credersi e a concepirsi (6).

Ma il mio compito di compilatore volge alla fine. Devo porre un limite al

numero di episodi dati come prova, se non voglio distaccarmi dalla regola che

mi sono imposto di essere breve e di mettere queste prove, per quanto mi è

possibile, alla portata di tutti riducendo questo trattato nei limiti di un unico

volume. Chiudo dunque, per il momento, l’elenco, con un ultimo racconto

tratto da una grande quantità di altri che mi rimangono fra mano.

L’INNAMORATO RESPINTO

In una bella casa di campagna, non molto lungi da Londra, in una delle più

piacevoli regioni dell’Inghilterra vivono un signore e sua moglie, che

indicherò come signore e signora W. Sono sposati da sedici anni ma non

hanno figli.

Quattro o cinque anni fa, venne ad abitare con loro un amico di famiglia,

un vecchio signore che aveva già passato l’ottantina e le cui forze in declino e

le infermità sempre più gravi richiedevano cure costanti. La signora W. lo

assisté con il vigile affetto di una figlia; e quando, dopo circa quattro anni,

morì, lo pianse come se avesse perso un padre. Il suo dolore per la perdita di

lui fu particolarmente profondo per quella bella caratteristica del suo sesso,

che induce una donna di buon cuore ad affliggersi maggiormente per la

perdita di un debole fanciullo o di un sofferente anziano i quali, per la loro

incapacità, le siano gravati come un continuo fardello ma che, proprio per la

loro dipendenza, le sono divenuti così cari da farle provare, dopo la loro

morte, piuttosto un senso di vuoto che un sollievo dalle fatiche del giorno e

dalle veglie della notte.

 

344

In questo stato di mente e con i sentimenti più depressi del solito, la

signora W., non molto dopo la morte del vecchio amico, andò un mattino nel

suo giardino cercando un sollievo al dolore che la opprimeva. Era lì solo da

pochi minuti quando sentì un forte impulso di tornare in casa e mettersi a

scrivere.

Dobbiamo qui dire che la signora W. non era, e non era mai stata, quello

che oggi diremmo una spiritista. Quello che aveva sentito dire dello spiritismo

alcuni anni prima glielo aveva fatto anzi apparire come una pericolosa

illusione; e, sebbene in seguito avesse cominciato a dubitare di avere forse

ceduto a un ingiusto pregiudizio, non si era mai seduta a un tavolino né aveva

altrimenti evocato fenomeni spiritici. Non può essere considerato tale il fatto

che, una o due volte, per semplice curiosità, aveva cercato di vedere se la sua

mano potesse scrivere automaticamente; l’unico risultato erano stati pochi

sgorbi inintelligibili e alcune parole senza senso.

Questa volta, tuttavia, l’impulso di scrivere aumentò sempre più, e,

accompagnato da una sgradevole sensazione nervosa al braccio destro,

divenne così forte che ella infine gli cedette; e, tornata in casa, prese un foglio

di taccuino e una piccola cartella, si sedette sugli scalini della porta d’ingresso,

si mise la cartella sulle ginocchia con il foglio su di essa e pose la mano, con

una matita, sull’angolo superiore sinistro, dove in genere si comincia a

scrivere. Dopo un poco la mano fu gradualmente tratta verso l’angolo

inferiore destro e cominciò a scrivere all’indietro, terminando la prima riga

verso il lato sinistro del foglio, poi cominciandone una seconda e poi una

terza, sempre a destra e finendo lo scritto pressappoco nel punto in cui aveva

posato la matita dapprima. Non solo l’ultima lettera della frase fu scritta per

prima e così via fino alla prima lettera che fu scritta per ultima, ma ogni

singola lettera venne scritta all’indietro, cominciando dalla fine: la matita

scrisse le righe andando sempre da destra a sinistra.

La signora W. mi dichiarò (come si può facilmente capire) di non avere

avuto la minima percezione di ciò che la sua mano stesse scrivendo; nessuna

idea passo per la sua mente in quel momento. Quando la sua mano si fermò,

ella lesse la frase come avrebbe letto ciò che altri avesse scritto per lei. Lo

scritto era contorto e irregolare, ma, come si vede dalla riproduzione (7),

abbastanza leggibile. La frase suona così: Ye are sorrowing as one

without hope. Cast thy burden upon God, and he will help thee (Vi

addolorate come chi non ha speranza. Rimetti a Dio il tuo fardello ed egli ti

aiuterà).

 

345

La signora W. mi disse poi che, se un angelo del cielo le fosse

improvvisamente apparso pronunciando queste parole, non si sarebbe più

meravigliata di quando le lesse. Si sentì colpita da un reverenziale terrore

come se fosse stata in presenza di qualche potere superiore. Rimase a lungo lì

seduta in silenziosa contemplazione. Poi lesse ancora, più e più volte la frase

che le stava davanti, senza quasi credere alla evidenza dei suoi sensi. Dopo

poco prese nuovamente la matita e tentò di scrivere qualche cosa all’indietro.

Ma una semplice parola di tre o quattro lettere era troppo difficile per lei. Si

affaticò a lungo senza riuscire a scriverla in modo che poi fosse leggibile.

Allora le sorse nella mente una domanda: «Di dove proviene tutto ciò? Chi

mi ha spinto a scrivére questa frase?».

I suoi pensieri tornarono involontariamente al vecchio amico che aveva

appena perduto. Poteva forse il suo spirito, dalla sua dimora ultraterrena

averle dettato quelle parole di consolazione? Poteva avere avuto il permesso

di guidare la sua mano così da darle la sicurezza che simpatizzava con il suo

dolore e si preoccupava di alleviarglielo?

Fu questa la conclusione a cui ella si volse infine. Tuttavia, desiderando

un’ulteriore conferma, pregò silenziosamente che lo spirito che aveva scritto

quella frase mediante la sua mano avesse anche il permesso di sottoscrivere il

suo nome con lo stesso mezzo. Poi mise la matita al piede del foglio

aspettando fiduciosa che vi fosse scritto il nome del vecchio amico perduto.

 

346

Il risultato deluse tuttavia la sua aspettativa. La matita, tratta nuovamente

verso il margine destro del foglio, scrisse, all’indietro come prima, non già il

nome atteso ma le iniziali R. G. D.

La signora W., nel leggerle, ebbe un brivido e impallidì. La tomba

sembrava restituire i suoi morti. Le iniziali erano quelle di un giovane che,

diciotto anni prima, aveva chiesto la sua mano, ma che ella, sebbene lo

conoscesse da molto tempo e molto lo stimasse, aveva respinto non sentendo

per lui un sentimento più caldo dell’amicizia, e avendo forse altre preferenze.

Egli aveva accolto il suo rifiuto senza rammarichi né proteste. «Non mi avete

mai dato motivi», disse cortesemente, «per attendermi di essere accettato. Ma

volevo conoscere il mio destino, non potendo sopportare oltre l’incertezza. Vi

ringrazio per la vostra sincerità. Vedo che non sarete mai mia moglie, ma

nessun’altra lo sarà. Almeno questo è in mio potere».

E con queste parole l’aveva lasciata. Dodici anni dopo, morì scapolo.

Quando la signora W. seppe della sua morte, provò per un momento un senso

di angoscia al pensiero che, forse, attraversando la sua vita, aveva oscurato e

resa solitaria la sua esistenza. Ma, poiché non aveva nulla da rimproverarsi e

non aveva provato per lui nulla di più che non provasse per gli altri amici,

presto non vi pensò più; e mi assicurò solennemente di non ricordarsi che il

suo nome fosse tornato alla memoria per parecchi anni, fino al momento in

cui le fu così improvvisamente e inaspettatamente rievocato.

Questo avveniva nel pomeriggio di martedì primo marzo 1859. Poco più di

un mese dopo, e cioè il lunedì 4 aprile, verso le quattro del pomeriggio,

mentre la signora W. stava leggendo nel suo soggiorno, udì improvvisamente

tre colpi distinti che sembravano venire da un tavolino addossato al muro

presso di lei. Tese l’orecchio, e i colpi si ripeterono. Ancora incerta se non si

trattasse di rumori accidentali, disse: «Se è uno spirito che si annuncia lo

prego di ripetere i colpi». Immediatamente i rumori furono ripetuti in modo

ancor più netto, e la signora W. ebbe la certezza che provenivano dal tavolino.

Allora disse: «Se prendo carta e matita potrò sapere chi è?». Subito

risuonarono tre colpi, come di assenso; e, quando si mise a scrivere, la sua

mano, scrivendo all’indietro, formò le stesse iniziali: R. G. D.

Allora chiese: «Perché questi colpi?». La risposta, anche questa volta

scritta all’indietro, fu: «To shaw you that we are thinking and

working for you (Per mostrarvi che stiamo pensando e operando per voi)».

Né questo fu tutto. Dieci giorni dopo quest’ultimo incidente, precisamente

il pomeriggio di giovedì 14 aprile, la signora W.,. ricordandosi per caso che

una volta R. G. D. le aveva regalato un bel cane Terranova nero, penso fra sé:

«Quanto mi piacerebbe avere adesso un animale come quello!». E una delle

 

347

sue domestiche, che le era vicina in quel momento, commento: «Vorrei avere

anch’io un bel Terranova da portare a passeggio».

Il mattino seguente, dopo colazione, venne annunciato un signore. Risultò

essere un perfetto estraneo che la signora W; non ricordava di avere mai visto.

Era un ispettore di 413.una città vicina e portava con sé un superbo Terranova

nero, alto fino al tavolo. Dopo essersi scusato per la sua intrusione, disse di

essersi preso la libertà di venire per chiedere alla signora W. se avrebbe

accettato il cane che aveva con sé. «Non potreste farmi un dono più gradito»,

disse la signora W., «ma posso chiedervi che cosa vi ha indotto a portarlo

proprio da me?». «L’ho portato», rispose l’altro, «perché ho deciso di non

tenere più cani in futuro e perché sono sicuro che lui troverà in voi una buona

padrona».

La signora W. mi assicurò di avere l’assoluta certezza che la ragazza con cui

aveva parlato della cosa non aveva fatto cenno ad alcuno del suo desiderio di

avere un cane, che l’osservazione casuale le era passata di mente e che lei

stessa non vi aveva più pensato. Si noterà che solo poche ore passarono tra

l’espressione del desiderio e l’offerta dell’animale.

Coloro che conoscono la signora W. al pari di me sanno che la rettezza e la

coscienziosità sono tipiche del suo carattere e che questi avvenimenti possono

essere accolti con fiducia come assolutamente veri. Io li ho avuti direttamente

dalla stessa signora W. pochi giorni dopo che avvennero, e la signora mi ha

ceduto gentilmente il manoscritto delle due comunicazioni.

 

348

Le circostanze qui considerate sono, nel loro genere, le più straordinarie di

cui sia venuto a conoscenza. E il lettore non si meraviglierà nel sapere che la

signora W., fin allora scettica sulla realtà di qualsiasi intervento diretto da

parte di un altro mondo, mi ha confessato di non avere più dubbi, di sentirsi

consolata e tranquilla e di accettare gli indizi a lei così concessi, non cercati e

non previsti, come sufficiente garanzia di essere, in certa misura, sotto una

protezione spirituale: pensata e guidata perfino dall’oltretomba.

Prima di decidere se una fede così consolatrice sia infondata, consideriamo

i fatti di questo caso.

Di dove proveniva l’improvviso impulso provato in giardino? La gente non

è solita immaginarsi di volere scrivere se non ha qualche cosa da dire. La

signora W. non era una spiritista né viveva fra spiritisti, così che non si può

invocare come spiegazione un agente epidemico, anche se una tale ipotesi

avesse qualche peso. Il fenomeno presentatosi era strettamente spontaneo.

Perché la scrittura all’indietro? In questo non entrava la volontà, e

nemmeno l’aspettativa. La signora W., in condizioni normali, non sapeva

scrivere così. Certo avrebbe potuto imparare a farlo dopo una diligente

pratica. Ma non aveva tale pratica, e non aveva imparato. Era dunque

nell’impossibilità fisica di scrivere spontaneamente in tal modo, così come è

impossibile a un uomo prendere un violino per la prima volta ed eseguire a

prima vista qualche elaborato brano di Handel o di Beethoven.

E così pure, di dove proveniva l’intenzione di scrivere in un modo così

singolare e difficile. Dove c’è un’intenzione deve esservi un’intelligenza. E tale

intenzione non era della signora W., perché il risultato la riempì di stupore,

quasi di costernazione. Non era dunque la sua intelligenza quella che agiva.

Che intelligenza era?

Né possiamo ragionevolmente dubitare degli scopi. Se la mano della

signora W. avesse già scritto in precedenza, ella, con tutta probabilità,

avrebbe potuto chiedersi se, forse in uno stato di semicoscienza, non avesse

lei stessa dettato le parole. Ma il fatto della scrittura all’indietro precludeva

ogni supposizione del genere: perché ella non poteva fare inconsciamente una

cosa che non sapeva fare affatto. E questo espediente sembra essere stato

ingegnosamente escogitato per tagliar corto a ogni supposizione di questo

tipo. Dunque abbiamo qui l’invenzione di un espediente, una manifestazione

di ingegnosità. Ma chi è l’inventore? Chi manifesta l’ingegnosità? Confesso di

non essere capace di rispondere a queste domande.

L’incidente del cane, se fosse isolato, sarebbe meno notevole. Una cosa può

avvenire anche se vi sono diecimila probabilità contrarie. Una signora può,

oggi, esprime il desiderio di un cane di Terranova, e un perfetto estraneo, che

 

349

nulla sapeva di quel desiderio, può, domani, offrirgliene uno. E tutto questo

può avvenire, come siamo soliti dire, per caso. Ma nella vicenda che

esaminiamo vi sono circostanze concomitanti di cui si deve tener conto. R. G.

D., un tempo, aveva appunto regalato un, cane di quella razza alla signora W.

Lei aveva pensato a lui e al suo dono. Aveva saputo, dieci giorni prima,

attraverso un agente che aveva giudicato impossibile considerare come

naturale, che lui stava pensando e lavorando per lei. Era forse superstiziosa

quando mi disse, come mi disse, che «nulla poteva convincerla che uno spirito

non avesse indotto il padrone del cane a portarlo a lei?».

Io penso che la sua conclusione, date le circostanze, fosse molto naturale.

Credo che pochi, dopo avere avuto la stessa esperienza personale, vi

avrebbero resistito. Era anche razionale al pari che naturale? E’ difficile dire

che non lo fosse a meno che non consideriamo fuori discussione, come cosa

impossibile, che lo spirito di un defunto possa comunicare con un vivente,

leggere i suoi pensieri, influenzare le sue azioni.

Ma si spreca il tempo esaminando una questione che abbiamo deciso in

anticipo di risolvere in senso negativo.

E, se non abbiamo preso questa decisione, non faremo bene a prendere in

considerazione i problemi che questa e le precedenti storie suggeriscono? Se,

fuori da questa esistenza materiale, viene talora esercitato un pensiero a

protezione del benessere degli uomini; se, talora, può giungerci un conforto

per opera di agenti che operano in nostro favore da quel mondo verso il quale

tutti ci andiamo affrettando; se vi è un amore terreno più forte della morte:

tutte queste influenze - se sono vere influenze - sono forse così indesiderabili

in se stesse, ricche di così scarsa consolazione, così incapaci di allietare

un’anima afflitta, così deboli per sostenere uno spirito che affonda, così

impotenti a ravvivare la fede nell’aldilà, da permetterci di respingerle a buon

diritto, già sulla soglia, come sgraziate aberrazioni, o di scartarle senza esame

come empie o incredibili?

Note

(1) Theorie der Geisterkunde.

(2) A Washington, il 4 luglio 1859.

(3) Nature and the Supernatural, di Horace Bushnell, New York,

1858, pagg. 475-476.

 

350

(4) The Doctrine of the Supernatural Established (Dimostrazione

della dottrina del sovrannaturale), di Henry Edwards, Londra, 1845, pagg.

226-28.

(5) Il corsivo è nel manoscritto originale.

(6) Questa storia fu riprodotta, nel giugno 1860, nelle colonne del

Worcester Herald; e questo giornale, nel riferirla, espresse l’opinione che

fosse una burla giocatami dal signor Hall. Pochi giorni dopo, tuttavia, il

direttore, con encomiabile franchezza, ritratto quanto aveva scritto con queste

parole: «Dobbiamo delle scuse al signor Hall. Il banchiere nella cui casa le

parti si incontrarono, a Worcester - ossia il signor Hall e la signora che riferì

la sua esperienza di Gaspar, spirito familiare - ci assicura che il signor Hall ha

raccontato la storia nel modo più fedele ed esatto quale la signora stessa

l’aveva narrata a lui; e quanto alle circostanze accessorie - la descrizione del

carattere e della condizione della signora, l’impressione fatta su di lui dai suoi

modi schietti, la serietà delle sue convinzioni - sono egualmente rese molto

fedelmente. Confidiamo che il signor Carter Hall vorrà scusarci per averlo

sospettato di avere scherzato sulla credulità di un amico. Non conosciamo

nessun uomo più dotato della grande arte peculiare a Defoe, di dare alla

finzione il carattere della realtà».

Mi considero fortunato di avere così ottenuto un nuovo garante per una

delle più straordinarie narrazioni di questo volume. Nota all’edizione

inglese, luglio 1860.

(7) Vedi Tavola I. Sembrerebbe che si debba leggere Thau art

sorrowing (ti addolori) ecc. Se mi chiedete il perché di questo errore di

costruzione grammaticale, rispondo che non posso spiegarlo così come non

posso spiegare lo scritto stesso. Non si potrebbe scrivere più correttamente

della signora W. L’errore non proviene dunque da lei, come si potrebbe

supporre nel caso di uno scriba illetterato. Esso costituisce una prova in più

che la sua mente non operava nel fenomeno, sebbene sarebbe forse spingere

la congettura troppo oltre l’immaginare che sia stato fatto appunto a questo

scopo.

 

351

LIBRO VI - I RISULTATI SUGGERITI

1 - Il cambiamento della morte

«Natura non fecit saltum».

Linneo

Non è sufficiente che una teoria sia sostenuta da un forte corredo di prove.

Per essere presa in seria considerazione o sfidare delle concezioni razionali,

non deve implicare risultati in se stessi assurdi.

Ma come stanno le cose relativamente alla teoria per cui, nelle precedenti

pagine, ha dato una serie di prove? Parlo dell’ipotesi secondo la quale, quando

lo spirito umano, liberato dal, corpo, passa in un’altra esistenza, i suoi

pensieri e i suoi affetti possono tornare sulla terra, ed esso, in realtà, può

rendersi occasionalmente percepibile ai viventi, sia in sogno, sia alla luce del

giorno, talora al senso della vista, talora a quelli dell’udito o del tatto, talora

mediante un’impressione che noi scopriamo nei suoi effetti senza poterne

risalire alle cause. Questi vari agenti spiritualmente hanno a volte un aspetto

frivolo, a volte uno solenne; ora assumono la forma di un piccolo disturbo ora

di un severo castigo, ma più spesso si manifestano come gentile aiuto e

amorosa vigilanza.

Se queste cose non possono essere ammesse senza lasciar adito a inferenze

evidentemente assurde, poco vale la forza delle prove che possono essere

addotte in loro favore: l’ultima decisione deve essere contro di esse.

Così pensava Defoe. Discepolo di Lutero, e partecipe di tutte le sue

avversioni, egli respingeva, con quel gagliardo riformatore, non solo il

Purgatorio della teologia romana, ma anche l’idea di qualsiasi stato

intermedio fra il cielo e l’inferno. Quindi, egli arguiva, i morti non possono

tornare in terra. Non possono tornarvi dal cielo: chi potrebbe immaginare la

beatitudine dell’eterno redento rudemente turbata per scopi così triviali? E

quanto ai dannati dell’inferno, come possiamo supporre per loro la facoltà o il

permesso di lasciare, per escursione terrene, una prigione le cui porte sono

loro sbarrate per sempre?

Ammesse le premesse, queste conclusioni conseguono necessariamente.

Non si può ragionevolmente immaginare che i morti tornino né dal cielo né

 

352

dall’inferno. Se quindi non vi è uno stato intermedio dopo la morte, la teoria

di una apparizione spirituale o di un’azione terrena da parte di coloro che ci

hanno preceduti nell’aldilà è inammissibile.

Questo deve essere concesso soprattutto perché le occasioni dei pretesi

ritorni sono a volte veramente futili. Una ragazza di servizio è attratta alla

terra dalle lettere e dal ritratto del suo amato. I proprietari di una vecchia casa

tornano per lamentarsi della sua decadenza e si addolorano perché è cambiata

di proprietario. Un padre appare al figlio per impedirgli di sborsare senza

necessita alcune sterline. Una povera lavandaia di reggimento ha lasciato

morendo un debito che non raggiunge nemmeno il dollaro, e, per ottenere che

sia pagato, il suo spirito abbandona, notte dopo notte, la sua sede eterna!

E qui arriviamo a un’altra conseguenza necessaria. Se queste storie sono

vere, lo spirito appena partito mantiene, per un periodo più o meno lungo,

non solo il suo modo di pensare in genere e i motivi delle sue attività, ma

anche le sue minute peculiarità e le sue predilezioni. Al momento della morte

non deve esservi dunque alcun improvviso cambiamento di individualità, né

in meglio né in peggio. Gli uomini devono svegliarsi in un’altra vita lasciando

il corpo dietro di sé, e con esso gli istinti corporali, le infermità fisiche, e

tuttavia ognuno resterà lo stesso individuo, moralmente, socialmente,

intellettualmente, quale era sul suo letto di morte terreno.

In tutto questo non vi è nulla che miri a influenzare positivamente o

negativamente la dottrina del Giudizio finale. Mi riferisco solo allo stato

dell’anima al momento in cui viene liberata dalla morte e per un periodo

successivo.

Ma entro questi limiti è evidentemente così, è inutile negarlo. La teoria

secondo cui gli amici defunti possono tornare a visitarci e vegliare su di noi,

implica chiaramente due postulati.

Anzitutto che, quando la morte prostra il corpo, lo spirito non rimane

sonnecchiante nella tomba, presso la carne e le ossa che cadono in polvere,

ma entra subito in una fase di vita nuova e attiva; non uno stato di ineffabile

beatitudine e di disperata miseria, ma uno in cui i suoi sentimenti e i suoi

pensieri possono essere influenzati da preoccupazioni, impegnati da doveri,

richiamati da simpatie.

Secondariamente, che il mutamento della morte raggiunge solo il corpo

non il cuore o la mente, lasciando da parte il primo senza trasformare i

secondi.

In altre parole, la morte non distrugge in alcun senso né la vita né l’identità

dell’uomo. E non fa dello spirito un angelo improvvisamente immacolato che

 

353

subito aspiri al cielo, né, tanto meno, lo condanna come demonio subitamente

degradato che debba sprofondare nell’inferno.

Tutto questo può sembrare eterodosso. Ma è più importante vedere se è

irrazionale. Non era eterodosso, ma strettamente canonico prima che

passassero molti secoli fra gli insegnamenti di Cristo e le dottrine dei suoi

seguaci. Se lo adottiamo adesso, possiamo andare contro i prevalenti

sentimenti del protestantesimo moderno, ma torniamo alla fede,

universalmente confessata, della cristianità primitiva (1). Non affermo questo

come un argomento per la sua verità, ma solo per ricordare le sue origini.

Lutero, per il suo tempo e per il suo compito, fu un uomo degno di lode e di

ammirazione, coraggioso, con un pensiero libero e una volontà di ferro. Ma

Lutero, come altri, non manca di errori e di colpe di cui deve rispondere.

Tutto intorno a lui era forte, compresi i suoi pregiudizi. Quando la sua volontà

reagiva a ostacoli profondamente radicati, il potere dei suoi ostinati slanci lo

portava talora oltre la verità e la ragione. Egli maneggiò sempre la sua scopa

riformatrice con effetti giganteschi, non sempre con deliberata

considerazione. Considerò che il Purgatorio era un abuso, e, per farne un

lavoro radicale, spazzò via l’Ade con esso (2).

E’ un problema di enorme importanza se egli non abbia commesso,

sradicando la fede delle età precedenti (3), non solo un grave errore di fatto,

ma anche un deplorevole danno in pratica.

Quando il grande riformatore negò uno stato intermedio dopo la morte, la

negazione implicò un’ipotesi di valore eccezionale. Poiché senza Ade non

possono esservi né speranza, né redenzione, né preparazione dopo la tomba;

siamo costretti a supporre, nel caso dell’uomo, ciò che Linneo afferma

introvabile in tutta l’economia della natura: un vero e proprio salto attraverso

l’abisso, un cambiamento trasformante immediato e completo. Siamo

costretti a immaginare che tale cambiamento non sia preceduto da alcun

progresso graduale né influenzato da alcuno sforzo umano.

Secondo le varie dottrine dei credenti in questa improvvisa metamorfosi,

essa può avvenire al momento della dissoluzione oppure in un’epoca

indefinitamente distante. Una parte dei seguaci di Lutero, non sapendo che

fare dell’anima umana nell’intervallo fra la separazione del corpo e il suo

richiamo, in un’epoca remota, da parte della tromba finale, adotta

parzialmente, per risolvere la difficoltà, la dottrina greca di un tranquillo

riposo. Secondo essi, l’anima, travolta dalla morte, come ogni cosa mortale, e

caduta nell’incoscienza, subisce una virtuale sepoltura, una sospensione

dell’esistenza senziente, una specie di temporaneo annichilimento di cui solo

Colui che ha fissato il giorno del Giudizio conosce la durata. Altri luterani,

tuttavia, sbigottiti da questo avvicinamento al motto della filosofia

 

354

rivoluzionaria promulgata in Francia nei giorni del Terrore - «La morte è un

sonno eterno» - cercano di evitare il dilemma supponendo che non vi sia un

remoto giorno del Giudizio universale e che il giorno della morte sia anche,

per ognuno di noi, il giorno della retribuzione: che l’anima, al momento

dell’emancipazione, salga al tribunale di Dio per essere immediatamente

eletta al cielo o consegnata all’inferno.

In entrambe le ipotesi è chiaramente implicita la concezione di una

improvvisa rivoluzione dei pensieri e dei sentimenti. L’uomo, per quanto

fulgide siano le sue virtù, o nere le sue colpe, finché rimane in terra non è né

un serafino né un demone. Fra i nostri simili, intimi amici o lontane

conoscenze, quanti, anche i migliori, sono pronti a entrare nel cielo? E quanti,

anche dei peggiori, sono degni solo dell’inferno? Quale enorme maggioranza è

troppo imperfetta per il primo e tuttavia, per qualche virtù redentrice, troppo

buona per il secondo! Con quale eccezione, se pur ve ne sono, troppo rara per

invalidare la regola generale, l’uomo non raggiunge sulla terra né la

perfezione della virtù né l’estremo della degradazione.

Ma quale futuro possiamo ragionevolmente aspettarci per un essere così

fatto, nelle mani di un Dio nelle cui opere nessun principio brilla così

luminoso come quello di un universale adattamento? Un giudizio finale o un

ulteriore noviziato? Quale dei due?

L’ultimo, evidentemente, a meno che non si presuma che l’adattamento

debba essere precipitato come per un miracolo senza esempi; a meno che, in

un batter d’occhio, l’uomo relativamente buono debba essere purificato, senza

alcuno sforzo da parte sua, da ogni fragilità indegna di un celestiale consesso,

mentre l’uomo relativamente cattivo debba essere privato, egualmente da un

agente che non può controllare, di ogni latente scintilla o indugiante scrupolo

che, per quanto piccoli, siano superiori a una congrega infernale.

Non diciamo nulla dell’ingiustizia apparentemente implicita in tale teoria.

Ma dove troviamo, in una sola pagina del grande libro che è stato aperto fin

dalla creazione del mondo a tutte le creature razionali di Dio, una indicazione,

anche minima, che sostenga questa teoria con le probabilità dell’analogia?

Troviamo ogni parte dell’opera divina fondata sul principio del progresso.

Il seme, la pianta, il fiore, il frutto: sono questi i modelli del graduale agire

della natura. Ogni mutamento è una successione armonica e continua.

Graduali soprattutto sono le influenze attraverso le quali, sotto la visibile

economia divina, si forma il carattere umano. Il costante presentarsi delle

circostanze, il lento costituirsi delle abitudini, il dispiegarsi per gradi

impercettibili degli affetti, il susseguirsi un per uno dei motivi dirigenti, il

lento espandersi, dall’infanzia alla maturità, dei poteri intellettuali: sono

 

355

questi i mezzi che operano, agendo così silenziosamente, modificando per

gradi così microscopici che, come il movimento della lancetta delle ore sul

quadrante di un piccolo orologio, il progresso sfugge alla nostra percezione.

Solo quando mesi o anni sono trascorsi, ci accorgiamo di aver superato un

piccolo spazio. Sappiamo che la continua catena delle influenze si è allungata

sebbene i suoi anelli siano invisibili agli occhi mortali.

In questo modo, così strettamente graduale, così costantemente operante

per l’intervento di lentissimi agenti, e in questo soltanto, viene influenzato,

qui sulla terra, il carattere umano. E non avrebbe potuto essere altrimenti a

meno che l’uomo fosse stato creato non come il progressivo e libero agente

che è, ma come una creatura essenzialmente diversa.

E nello sviluppo dell’essere umano, quale è, non troviamo mai che Dio si

permetta (se così possiamo dire) di allontanarsi dalle leggi inerenti

all’organizzazione e agli attributi della creatura da Lui fatta. Progressivamente

e mediamente, con l’intervento di motivi presentati, con l’azione della

volontà, con l’influenza dell’ambiente fisico e sociale, così e non altrimenti

Dio permette che l’uomo gradualmente divenga quello che le circostanze,

agendo giornalmente su di una costituzione come la sua, determinano che

debba essere. Così e non altrimenti, per quanto possiamo seguirlo, l’uomo è

ammaestrato e guidato,

Infine questo essere progressivo raggiunge un punto in cui il corpo, che

durante il suo primo vigore asseconda, in una certa misura, i suggerimenti del

suo associato immortale, viene meno e cade. E’ servito al suo scopo come un

vecchio albero ormai secco. Quello che era stato sentito fin allora come un

conforto e un aiuto diventa un fardello e un ingombro. L’immortale ha

superato la sua deperibile invoglia. La larva cade. Lo spirito libero se ne va

oltre i limiti della nostra conoscenza.

Nel seguire mentalmente i suoi invisibili progressi, poiché i più abili teologi

differiscono nella loro interpretazione dell’autorità, quale guida terrena

possiamo seguire più sicuramente dell’analogia? Dove, se non nelle regole del

passato, possiamo trovare un attendibile indizio relativo alle probabili regole

del futuro?

La conclusione è evidente. Colui che conduce l’anima sul margine

dell’Acheronte non l’abbandona sulla riva. Né quella riva è il confine del Suo

regno. Le sue leggi operano anche al di là. Ma queste leggi, per quanto

possiamo conoscerle, non mostrano variabilità né ombra di mutamento. E

non vedo ragione né probabilità nella supposizione che in qualche parte del

creato esse si interrompano o si rovescino. Non vedo ragione né probabilità

nella teoria che in qualche parte del creato il progresso e lo sforzo cessino di

 

356

provocare un miglioramento o che l’uomo sarà degradato da un agente che

non sia suo proprio.

Non trovo dunque nulla di assurdo né di irrazionale nei postulati impliciti

nella teoria dell’interferenza spirituale. Al contrario, mi sembra molto

probabile che l’attenzione degli uomini sia stata particolarmente richiamata,

nei nostri tempi moderni, su questa stessa teoria per correggere un grave

errore e porre così termine a un danno che quell’errore aveva provocato.

Se è vero che l’Ade esiste, si tratta di una importante verità. E le

conseguenze negative che risultano dalla negazione di una verità sono in

proporzione con l’importanza di quella verità stessa.

Questo si applica a ciò che consideriamo? Conseguono gravi e seri danni

dal respingere la dottrina di uno stato intermedio dopo la morte?

L’uomo è così fatto che stimoli remoti agiscono debolmente su di lui.

L’esperienza dimostra che il potere di una ricompensa, come incentivo, è in

rapporto inverso con la distanza a cui la ricompensa è posta. E nessuna

massima giuridica è meglio stabilita di questa: che la punizione, per essere

efficace, deve seguire da vicino l’offesa.

Se dunque ammettiamo - come fanno i filosofi - che la credenza in una

futura ricompensa e in una futura punizione è l’incentivo principale verso la

verità e la virtù, è essenziale che il loro effetto non sia indebolito dalla

lontananza.

Ma questo è precisamente quello che Lutero fece nel suo desiderio di

liberarsi del Purgatorio. Egli pospose a un giorno del Giudizio, che può. essere

impensabilmente lontano, la ricompensa e la punizione dei fatti terreni. Poco

vale aggiungere che l’intervallo sarà trascorso in un sonno incosciente, e dire,

come spesso sentiamo dire, che mille anni di un sonno senza sogni sono per il

dormiente come un attimo: una distinzione così sottile non raggiunge i

sentimenti né convince la mente comune.

Quale meraviglia, allora, se l’omicida è trattenuto dalla paura della

punizione terrena, per quanto sia incerta, in migliaia di casi in cui il timore

del giorno del Giudizio, poco distinto in una distanza senza limiti, esercita

un’influenza troppo debole per arrestare la sua mano?

Quale meraviglia se il gaudente, come un bambino che vanamente si cerchi

distogliere da un pericoloso piacere attuale con la promessa di uno più grande

in futuro, si abbandona incurante a ogni gioia sensuale presente, non

trattenuto dal rischio di perdere una felicità celestiale che non sa quando avrà

inizio?

 

357

Quale meraviglia se il pulpito declama in continuazione contro la cecità e la

follia degli uomini che preferiscono le passeggere gioie di un momento alle

beatitudini della vita eterna, e se la declamazione cade così spesso in orecchie

sorde e cuori chiusi?

Quando lo scienziato pone un magnete oltre la sfera della sua azione

abituale, non si meraviglia di non potere più scorgere le sue manifestazioni. Il

teologo, meno ragionevole, pone a una distanza resa infinita dall’effetto

dell’incertezza, tutte le attrattive di un premio futuro e i timori di un futuro

castigo, e tuttavia si aspetta che l’azione magnetica di un Aldilà mantenga la

sua forza e il suo potere di convinzione.

Si obietterà che il mio argomento non si applica a coloro i quali credono

che Dio sieda in eterno giudizio e che ogni momento che passa è testimone

della sentenza.

In una estensione limitata l’obiezione è valida, ma solo in una estensione

limitata. Si può ottenere una quasi altrettanto completa separazione fra le due

vite con altri mezzi che non siano la distanza. Nella parabola, l’abisso che

divide il ricco epulone da Lazzaro non è rappresentato come di grande

larghezza: è possibile vedere attraverso di esso, si possono fare domande e

ricevere risposte, e tuttavia è presentato come invalicabile.

Ma, abbattendo la vecchia dottrina dell’Ade - il ponte spirituale che collega

il Qui con l’Aldilà - non abbiamo forse lasciato aperto un grande abisso, se

non invalicabile tuttavia difficile a valicare per una concezione umana? Non

abbiamo forse separato, per gli umani sentimenti, con un praticamente

infinito intervallo di tempo, l’esistenza dell’uomo su questa terra dalla sua vita

futura?

La questione dell’identità - tema degli antichi sofisti - è ardua. In un senso

fisico, strettamente parlando, un uomo non è, oggi, lo stesso individuo che era

ieri e che sarà domani. Nondimeno il cambiamento da un giorno all’altro è di

solito così impercettibile che istintivamente concepiamo l’individuo come lo

stesso.

Ma se i cambiamenti che avvengono adesso in vent’anni fossero condensati

in una sola notte; se un bambino, quale ci appare quando sono trascorsi solo

dodici mesi dalla sua nascita, messo a letto stasera, si svegliasse domani

esattamente lo stesso, nel corpo e nella mente, quale sarà quando avrà

raggiunto la maggiore età, non sarebbe per noi lo stesso ma un altro. Il caso,

in forma modificata, avviene realmente. Ci separiamo da un bambino di due o

tre anni e lo rivediamo uomo di venticinque. Teoricamente lo consideriamo la

stessa persona; praticamente è una nuova conoscenza che non abbiamo mai

incontrato in precedenza.

 

358

Vi è tuttavia una differenza fra i due casi. Nell’ultimo, l’individuo assente

ha mantenuto, nei suoi sentimenti, la propria identità, sebbene noi abbiamo

perduto ogni percezione di essa. Nel primo, in cui abbiamo supposto che la

trasformazione sia avvenuta in una sola notte, l’identità sarebbe andata

perduta quasi certamente per la persona trasformata come per noi, testimoni

della trasformazione.

Ma non possiamo supporre che il cambiamento dall’infanzia all’età adulta,

per quanto grande, possa essere paragonato per un attimo, nella sua

interezza, alla trasformazione radicale che sola può abilitare il migliore di noi

a unirsi alla schiera serafica o rendere un nostro fratello errante o una fragile

sorella un compagno dei demoni nell’inferno di Lutero.

Ancor meno possiamo immaginare che il Dio di un mondo come questo,

che dispiega a ogni passo che facciamo in esso infiniti adattamenti in numero

e in carattere, meravigliosi oltre ogni umana concezione, consegni ognuna

delle sue creature a una dimora per cui essa non è strettamente adattata.

E se il cambiamento che succede immediatamente al momentaneo sonno

della morte è tanto maggiore di quello che abbiamo immaginato in una

creatura che si addormenti a sera come bambino e si risvegli uomo fatto al

mattino, qualora, in quest’ultimo caso l’identità andasse perduta, quanto più

dovrebbe esserlo nel primo!

Il corpo se n’è andato: quale continuo legame di identità rimane? La mente

e i sentimenti. Trasformiamo anche questi e spezzeremo ogni legame che

collega, per noi, un Aldiquà con un Aldilà.

Praticamente non siamo più noi, che sopravviviamo, ma un altro. Muore

sulla terra un essere umano; un serafino o un demone appaiono in cielo o

nell’inferno (4).

Sarebbe ozioso dire che questa è una sottile distinzione teorica, il puro

sofisma di un logico. E’ proprio per il suo carattere pratico che sono stato

indotto ad avanzarla.

Non affermo che gli uomini si confessino di non credere di essere destinati

a esistere in uno stato futuro come gli stessi individui che adesso pensano e

sentono. Non è questa la forma che assume il male.

I cristiani praticanti sono soliti dichiarare che vivranno di nuovo, in cielo,

come angeli glorificati. E, in un certo senso teorico, lo credono. Si

sentirebbero offesi se qualcuno affermasse che non hanno fede in un’altra vita

che li attende. Per quanto un essere umano possa identificarsi con un’altra

creatura essenzialmente diversa, essi credono che loro stessi, attualmente

viventi, e gli angeli glorificati che vivranno nell’Aldilà, sono le stesse persone.

 

359

Ma proprio le espressioni da loro usate correntemente tradiscono

l’imperfetto carattere di questa fede. Essi dicono: «Vivremo nuovamente».

L’espressione implica una frattura. Ed essi intendono realmente quello che

dicono. La loro fede non richiama l’idea di una continuità di vita. La morte,

per loro, non è un messaggero ma un distruttore: un crudele sterminatore,

non un liberatore benvenuto (5). Il salice piangente, il cupo cipresso sono i

suoi emblemi; non il mirto e l’alloro.

La loro concezione è quella di due vite con un pauroso abisso in mezzo. La

discesa in questo abisso è giustamente accompagnata, essi pensano, da

lamenti. I dolenti vanno per le strade. Non si tratta di un oscuro ingombro

senza valore, tolto di dosso e lasciato alla terra affine, mentre un libero spirito

gioisce della sua emancipazione: siamo noi che scendiamo nella buia tomba

dove non vi è attività, né iniziativa, né conoscenza, né saggezza, dove la stessa

speranza è estinta.

«Nella fredda tomba verso cui ci affrettiamo

Non vi sono atti di perdono;

Ma rimane fisso il giudizio di tutti

E regna un eterno silenzio».

E’ forse possibile che concezioni come queste si diffondano fra noi senza

interporre fra l’uomo e la sua dimora celeste alcun termine medio travisatore,

alcun velo oscuro?

Ma vi è un altro importante punto di vista da considerarsi su questo

argomento.

La venerazione è uno dei sentimenti più influenti della nostra natura,

prevalentemente universale o quasi; e nessun legislatore con una giusta

conoscenza del genere umano, ignora o trascura la sua influenza. Ma quando

la venerazione invade tutto il carattere umano, quando, come nel caso degli

antichi anacoreti ed eremiti, la vita umana è interamente dedicata

all’adorazione e alla contemplazione estatica di Dio e delle cose celesti, non

solo il carattere viene ristretto e offeso, ma i sentimenti diventano morbosi e il

sano giudizio scompare. Qui, sulla terra, nessun sentimento può occupare

esclusivamente un uomo senza produrre anormali condizioni di mente, che

pregiudicano grandemente la sua evoluzione e la sua utilità.

Se l’improvvisa trasformazione di carattere che il sistema di Lutero

presuppone, avviene realmente subito dopo la morte o subito prima del

giorno del Giudizio, allora tutto questo può essere cambiato. L’uomo, non

essendo più la creatura che troviamo qui, può subito divenire adatto a uno

stato di essere in cui la preghiera e la lode sono le sole ed eterne occupazioni.

 

360

Frattanto, tuttavia, da questa parte della tomba l’uomo non è così cambiato.

Finché gli esseri umani rimangono qui sulla terra, dunque, essi non sono né

potranno mai essere preparati per il cielo, nella comune accezione della

parola.

Ma, in accordo con un’altra legge della nostra natura, noi simpatizziamo

poco con ciò per cui non siamo preparati. Se cerchiamo di immaginare come

saremmo se fossimo interamente diversi da quello che siamo, il risultato è

una percezione sorda e fredda che non raggiunge mai i sentimenti e non

riscalda il cuore. Può forse un giovane baldo, attivo e poco colto, la cui gioia si

accentra negli sport, rendersi conto, con uno sforzo mentale, della felicità

dell’artista pervaso da visioni di bellezza, o della profonda soddisfazione dello

studioso circondato dai suoi libri e tripudiante nel vasto regno di pensiero che

essi gli rivelano? Egli sente parlare di queste gioie e forse non ne nega

l’esistenza; ma il suo freddo assenso non raggiunge mai il grado di un motivo

dirigente né è sufficiente a influenzare la sua vita.

Per gli esseri umani, dunque, così come sono sulla terra, la vita eterna

«dell’estasi serafica che arde e adora» non ha un fascino vivente. Gli uomini

possono costringersi con la ragione e talora vi riescono in un artificiale slancio

di entusiasmo, sotto la cui influenza sperimentano un effettivo anelito a unirsi

alle schiere angeliche e a partecipare alla loro attività immutabile. Ma, a meno

che non si siano più o meno distaccati dai doveri della vita attiva, o si siano

abbandonati, in qualche eremo appartato, a una continua sequela di esercizi

pii e contemplativi, si tratta, per la maggior parte, della ragione che

argomenta freddamente, non del geniale impulso dei sentimenti che sceglie e

approva. Nella cristianità protestante il cuore di milioni di uomini non è

raggiunto dall’immagine che viene loro comunemente presentata di una vita

eterna.

Questa non è un’affermazione che il cielo, quale ci è stato dipinto, non sarà,

in qualche epoca futura, uno stato adatto alla razza umana. Non sappiamo

dove potrà condurre il progresso ultraterreno. Non possiamo dire che cosa

diverrà l’uomo quando, in un altro stato di esistenza, avrà percorso un’altra

via di miglioramento. Avremo abbastanza tempo di speculare su questo

quando avremo cominciato la futura strada. Ma sappiamo che tipo di creatura

sia adesso l’uomo; e sappiamo che, finché sarà qui, sarà diretto dalle leggi del

suo essere. Deve sapere apprezzare prima di essere in grado di gioire. E se ciò

di cui non è capace di gioire gli viene promesso a certe condizioni, la

previsione di esso, come regola generale, non stimolerà i suoi sforzi perché

non risveglierà in lui alcun vivo desiderio.

Né si dica che solo per l’uomo di bassi desideri e di istinti inferiori un cielo

prima di un Ade preliminare è troppo distante nel tempo e troppo remoto dai

 

361

sentimenti per potere essere apprezzato e ambito. Quanto numerose e distinte

sono adesso le virtuose emozioni che muovono il cuore umano! Gli

incitamenti a fatti di benevolenza e di misericordia, gli impulsi della

magnanimità, gli sforzi dell’abnegazione; fortezza, coraggio, energia,

perseveranza, rassegnazione; la devozione dell’amore e il fervore della

compassione: è un elenco quanto mai vario. E nell’uomo che confessa le

effettive deficienze della sua vita, che sente quanto la sua natura fosse

migliore delle sue manifestazioni, che sa quanto spesso in questo mondo

siano stati repressi nobili istinti, quante generose aspirazioni non siano state

messe in atto: nel cuore di quest’uomo non deve esservi forse una forte

speranza che la vita attuale possa avere un seguito e un complemento in

quella che deve venire? Chi si è affaticato a lungo e pazientemente per

controllare e disciplinare una natura ribelle, chi ha lottato in questo mondo

con tenace e paziente sforzo per educarsi moralmente e intellettualmente, può

forse non desiderare e ragionevolmente attendersi che gli sia permesso di

proseguire il lavoro così imperfettamente iniziato in terra, là dove non vi è

una carne che opponga la sua debolezza allo spirito che vuole? Sarà biasimato

il filantropo, la cui vita è stata una lunga serie di atti benefici per la sua razza,

se non potrà abbandonare al momento della morte, senza rammarico,

l’impulso divino che gli impone di soccorrere gli afflitti e di risanare i cuori

dolenti? Anche colui che ha passato i suoi giorni nell’esplorare i segreti della

natura, può forse abbandonare, impassibile, insieme al corpo terreno, il

perseguimento di quella scienza a cui era legato il suo cuore? (6). Ma, più

ancora, una natura ricca di amore e di compassione prevederà forse con

compiacenza il periodo in cui la sua anima, tutta consacrata all’adorazione o

riempita della sua propria felicità suprema, non potrà più scegliere, tra le

creature sue compagne, i suoi oggetti di pietà e di amore?

In una parola, sono forse solo i malvagi coloro che possono guardare

freddamente la prospettiva di uno stato che offre scarse possibilità per

l’esercizio delle qualità che siamo stati soliti ammirare e delle simpatie che ci

hanno finora legato alla nostra razza ? Solo il vizioso potrà provare scarsa

attrattiva per un futuro in cui un sentimento universale, per quanto santo,

sostituirà tutti gli altri? in cui una sola virtù, un solo dovere dovrà

istantaneamente prendere il posto, nel carattere e nel comportamento

dell’uomo, delle varie virtù, dei mille doveri che, qui in basso, il suo Creatore

ha messo a sua portata?

Gli uomini possono rimproverare i loro simili per l’indifferenza con cui

considerano un cielo che non sono preparati ad apprezzare né capaci di

godere; non così Dio, che ha fatto del cuore umano quella cosa multiforme e

riccamente dotata che è.

 

362

Anticipo un’obiezione che può essermi fatta. Le nostre concezioni possono

non elevarsi all’altezza di quel cielo trascendente che ci è stato descritto: i

nostri sentimenti possono restare freddi a questa descrizione; ma, se non

conosciamo niente di uno stato di esistenza intermedio se non che esiste, se

abbiamo solo un vago barlume della sua natura, dei suoi privilegi, delle sue

gioie, in qual modo ci sentiremo meglio e più felici per una credenza così

informe e indefinita? Meglio un cielo le cui glorie beatifiche risplendono senza

attirare, che un paradiso i cui contorni sono indistinti. Come possiamo

desiderare intensamente una vita sconosciuta o essere confortati e influenzati

dalla previsione di uno stato così incerto e pieno d’ombre?

Se coloro che così parlano si riferiscono solo a fatti che devono essere

accettati, l’obiezione sarebbe decisiva. Essi presumono che non si possa

conoscere nulla dell’Ade nel futuro. Lo fanno a buon diritto?

Oltre le scarse e (riconosciamolo) insufficienti indicazioni che si possono

spigolare dalla Scrittura, vedo due fonti da cui tale conoscenza può essere

derivata: anzitutto l’analogia, e secondariamente quelle rivelazioni che

possono giungerci da narrazioni simili a quelle che ho raccolto in questo

volume, o da altra fonte ultraterrena.

Studiamo troppo poco i nostri istinti. Ascoltiamo con troppo scarsa

attenzione i loro insegnamenti. Gli istinti vengono da Dio.

Nessuno degli istinti che osserviamo nelle razze animali diverse dalla

nostra è inutile, o non adatto, o incompleto. L’impulso induce un’azione

strettamente corrispondente alle future contingenze che si presentano

effettivamente. In un certo senso, gli istinti sono di carattere profetico.

Quando l’ape, prima che il fiore sia stato depredato del suo nettare, prepara le

cella di cera, quando un uccello, in vista dell’incubazione, prepara il suo

morbido nido, l’adattamento è perfetto come se ogni avvenimento futuro

fosse stato esattamente predetto.

L’uomo ha la ragione e gli istinti. Talora lo dimentica. E’ suo diritto e

dovere, nell’esercizio della sua ragione, giudicare i propri istinti; e tuttavia

deve farlo con reverenza, come cosa in cui può esservi una saggezza nascosta.

Gli uomini, a volte per un errore religioso, più spesso per un errore mondano,

sono soliti pensare che è opportuno scartarli o reprimerli.

Vi è uno strano mistero che pervade la società umana. E’ l’apparente

anomalia presentata dal carattere dell’uomo in relazione con la sua posizione

su questa terra.

Parliamo della miglior parte del genere umano, dei veri e degni tipi della

razza. Qual è, in breve, la storia delle loro vite? Una luminosa visione e un

 

363

disincanto. Una lotta fra due influenze: l’una nativa e inerente, l’altra estranea

e terrena; una guerra fra la natura dell’uomo e la sua situazione.

Non che il mondo in cui entra possa essere considerato inadatto a

riceverlo. Perché in esso vi sono cognizioni da impartire, esperienze da vivere,

sforzi da fare, progressi da raggiungere; vi sono prove per mettere alla prova il

coraggio e la fermezza; vi sono creature eguali a noi da amare; vi sono

creature sofferenti per cui provare pietà. Vi è molto a cui interessarsi e non

poco da migliorare. Il presente è, senza dubbio, un appropriato e necessario

stadio nel viaggio della vita. Nondimeno è un mondo la cui influenza non

sviluppa mai pienamente il carattere dei suoi più nobili abitanti. E’ un mondo

le cui più fortunate combinazioni, le cui più alte gioie lasciano delusi e

insaziati alcuni dei più alti istinti dell’uomo. Tutte le religioni, più o meno

distintamente, lo ammettono.

Noi parliamo della nostra migliore natura come se ve ne fossero due. Ve

n’è solo una: una e la stessa nell’infanzia, nella gioventù, nell’età adulta, fino

alla morte.

La stessa, perché l’Immortale non perisce; non mai cancellata, ma quanto

spesso, nel corso di questa vita terrena, smorzata, indebolita, offuscata!

Quanto pesa su di essa l’invoglia della carne! E quale tirocinio deve affrontare

quando è esposta alle critiche della società! Ardente e impulsiva, si imbatte

con la freddezza del calcolo; generosa, incontra regole di egoismo; sincera

viene iniziata all’inganno; credente è sopraffatta dal dubbio e truffata dalla

menzogna. E le immagini della sua venerazione, come vengono infrante e

spogliate! Essa le ha poste su di un piedistallo terreno, le ha rivestite, sebbene

tutte ne fossero indegne, nelle vesti della sua ricca immaginazione. I suoi

impulsi creativi hanno forse assunto la loro fase più alta e più sacra, quella

dell’amore; e poi ha incarnato in un’esistenza materiale quella che era solo

una parte eterea di lei stessa, rivestendo - ahimè quanto spesso - qualche

idolo di piombo con i paludamenti dell’eroe o le vesti di un dio. Amaro il

risveglio! Pagata a caro prezzo la delusione! E tuttavia l’ornamento era

celeste, sebbene l’idolo frantumato fosse di terra.

Così, per ogni incoraggiamento alle sue aspirazioni più sacre, riceve venti

squallide lezioni dai figli di questo mondo che hanno imparato l’accortezza

della loro generazione, così accorti da disprezzare e biasimare, nella loro

mentalità, un figlio della luce. Essi deridono il suo disinteresse e si fanno beffe

del suo entusiasmo. Assumendo il tono di mentori, gli rivolgono prudenti

ammonimenti contro la follia della filantropia e la stoltezza del romantico.

E così, in diecimila casi, gli istinti divini vengono meno come il seme

caduto ai margini della strada su un terreno duro e pietroso. Non

 

364

germogliano. Ogni loro sviluppo è impedito. Felice se il seme divino riesce

appena a penetrare nella dura superficie!

O questo è un esempio di fallimento nell’adattamento, o è solo la

considerazione di una parte di un più vasto intero.

Dobbiamo supporre un fallimento? Dobbiamo immaginare che Colui che,

negli inferiori, provvide a che l’impulso innato corrispondesse esattamente

alla situazione futura, non sia riuscito a esercitare questa provvidenza negli

esseri più elevati? Che gli istinti dell’ape e dell’uccello trovino teatri di azione

perfettamente adatti al loro attuarsi, mentre quelli di una creatura molto

superiore a loro debbano essere immiseriti nel loro sviluppo e delusi nella

loro realizzazione?

Adottando questa ipotesi offendiamo ogni analogia. Dobbiamo accettare

questa anomalia, se l’accettiamo, come un’eccezione - l’unica a noi nota

nell’intera economia divina - alla regola che abbraccia tutto l’universo.

Ma se, incapaci di dar credito all’esistenza di questa singolare anomalia,

dobbiamo tornare all’altra ipotesi, che cioè stiamo considerando qui solo una

frazione della vita umana, allora da questa frazione potremo farci una certa

idea del rimanente. Allora potremo dire in linea generale, e con forti

probabilità, qualche cosa della natura e delle occupazioni dell’Ade.

Vi sono momenti favorevoli - almeno nella vita di ogni uomo onesto -

momenti in cui ciò che è duro, egoista e terreno viene tenuto a freno,

momenti in cui l’anima si libera come un uccello dalla gabbia, pronta a ogni

sforzo, capace di ogni sacrificio; quando nulla sembra troppo alto per essere

raggiunto, nulla troppo lontano per poterlo abbracciare, quando lo spirito

esultante riconosce la santa confessione del proprio cuore come se

zampillasse in un altro o lampeggiasse in vera poesia come questa:

«Oltre le alte nubi che fluttuano nell’alto,

Dove l’aquila non giunge,

Oltre i cori di milioni di stelle...

Attraverso la nebbia delle basse opinioni,

Delle passioni fiammeggianti, del fango dei sensi,

Ai sereni domini della mente,

Io aspiro!»(7).

Sono questi i momenti in cui la calma, piccola voce - quella dell’Immortale,

afferma la sua supremazia. Sono questi i momenti in cui l’uomo sente che, se

la vita fosse fatta solo di questo, non avrebbe bisogno di altro cielo.

 

365

E sono questi i momenti in cui lo spirito umano, al pari della Sibilla, può

essere interrogato sul futuro: perché la furia divina è su di lui, e i suoi istinti

profetici sono la garanzia di ciò che deve essere.

Il lettore si accorgerà che l’argomento fondato sull’analogia è simile a

quello di cui ci siamo così spesso valsi per provare l’immortalità dell’anima.

Un desiderio universale deve avere una conclusiva corrispondenza. Ma, se

guardiamo più da vicino, si vedrà che l’argomento prova molto più del

continuarsi dell’esistenza. Il desiderio ha una certa definitezza.

Nella sua forma più pura non è un vago e pavido terrore

dell’annichilimento, non è un’egoistica brama di esistere. L’istinto ha un più

nobile bersaglio e uno scopo più vasto: è la voce dell’Ideale nell’uomo, e non

insegna una sola lezione, ma molte. Esso evoca dinanzi a lui mille varie

immagini del Grande, del Buono e del Bello, e gli dice: «Queste sono per te».

Esso fa appello alla divinità che è in lui e afferma: «Tu puoi essere questo».

Ma, poiché parla all’uomo, così parla dell’uomo: delle capacità umane,

dell’umana evoluzione, dell’eccellenza che può raggiungere, lui, la creatura

umana, e non altri. I desideri che risveglia sono di un carattere

corrispondente.

Ma, se vogliamo prendere un desiderio presente come prova di una

condizione futura, chiariamoci ciò che questo desiderio richiede. Esige forse,

in questo stadio del suo progresso, un’altra natura o sogni più sublimi? No;

ma solo che la sua natura possa mantenere l’altezza che le sue aspirazioni

hanno talora raggiunto: solo che i suoi momentanei barlumi di sogno possano

avere realtà e durata in un’atmosfera più pura e sotto un cielo più fulgido.

E’ uno stadio dell’incontrollato esercizio delle virtù terrene verso il quale,

finora, punta il magnete del cuore. Vorremmo ancora fare il bene che

avremmo voluto fare e non facemmo. Vorremmo ancora serbare in cuore e

attuare le virtù umane che abbiamo piuttosto amato che praticato. Anche gli

umani affetti che sono naufragati anelando a un porto tranquillo, sperano

ancora di essere esercitati e bramano soddisfazione. Anche i nostri impulsi

religiosi abbondano, pieni di aspirazione, implorando una migliore

conoscenza e una luce più chiara. E tuttavia rappresentano solo un’emozione

fra le tante. Interessano profondamente, elevano, ma non ci assorbono

completamente.

La voce profetica, allora, il divino presagio, ci parla non di una vita che è

finita e di un’altra che deve cominciare. Non indica, come nuova fase di

esistenza, un giorno del Giudizio nel quale ogni speranza si spegne e (ma solo

per il beato) si apre un cielo troppo immacolato per il progresso, troppo santo

per l’attività e i tentativi dell’uomo. Ha il presentimento di un mondo

migliore, ma di un mondo che è ancora la dimora di spiriti emancipati e

 

366

tuttavia umani: un mondo in cui vi è ancora del lavoro da fare, una corsa da

correre, una meta da raggiungere, un mondo in cui troveremo, trapiantati

dalla terra in una regione più mite, energia, coraggio, perseveranza, alte

risoluzioni, azioni benefiche, speranze da incoraggiare, misericordie da

perorare, e amore - una volta scossi gli impedimenti terreni che oscuravano la

sua purezza - sempre scegliendo i suoi eletti ma non più separata da loro.

Questo dice la voce presaga. Dunque uno stato raggiunto improvvisamente,

nel quale solo una classe dei nostri impulsi emotivi trovasse possibilità di

sviluppo e opportunità di azione, lascerebbe l’istinto umano frustrato e

insoddisfatto a eccezione di una sola fase. Vi sarebbe iniziativa senza

corrispondenza, promessa senza appagamento, preparazione senza risultato.

La nostra vita terrena sarebbe, in realtà, seguita da un’altra, ma in se stessa

rimarrebbe frammentaria e incompleta.

Se, dunque, abbiamo accettato l’universale desiderio di immortalità

proprio dell’uomo come una prova che il suo spirito è immortale, accettiamo

anche gli orientamenti di questo desiderio come presagi del paradiso a cui

questo spirito è legato.

Così, alla luce della sola analogia, troviamo ogni probabilità in favore della

conclusione che, in una successiva fase della nostra esistenza, l’uomo non

cesserà di essere una creatura umana e che le virtù, le occupazioni e le gioie

che lo attendono nell’Ade saranno non minori né meno varie di quelle che lo

circondano qui: anzi, migliori, più luminose, di un tipo più nobile e di più

esteso raggio, ma tuttavia solo supplementari, come appartenenti a un

secondo stadio di progresso, a un ambiente più bello di questo eppure non del

tutto separato da esso, a una regione non ancora divina, ma nella quale

possono essere realizzate le più alte aspirazioni terrene.

Forse ci è permesso far ancora un passo avanti. Se possiamo mettere il

piede sui confini di un altro mondo, ascoltiamo gli echi e prendiamo nota

degli indizi che possono derivare dai nostri passi.

Non pretendo che negli esempi addotti in questo volume vi siano sufficienti

indizi per stabilire pienamente e distintamente il carattere della nostra

successiva fase di vita; e, per ora, non voglio andare oltre questi esempi.

Tuttavia, per quanto pochi siano questi indizi, essi toccano le principali

influenze.

Eccelle fra queste una che può essere chiaramente derivata da molte delle

precedenti narrazioni (8), una garanzia di progresso sociale nel futuro, che

possiamo salutare con gioia e accettare con gratitudine. Se possiamo porre

una certa fiducia in alcuni dei meglio autenticati episodi ricordati nelle pagine

precedenti, essi non solo provano (cosa che in realtà possiamo razionalmente

 

367

accettare) che solo il corpo impone i ceppi della distanza, ma dimostrano

anche che lo spirito liberato cerca istintivamente le persone amate e

raggiunge in un attimo il luogo in cui si raccolgono i suoi affetti.

Ma se, oltre a un corpo sano, a una chiara coscienza e all’assenza del timore

del bisogno, noi cerchiamo in questo mondo quella circostanza che sola, sopra

ogni altra, caratterizza il nostro destino in questa vita come fortunato o

disgraziato, dove la troveremo? Quando ci raffiguriamo qualche felice

prospetto nel futuro, qualche tranquillo rifugio dal quale siano esclusi gli

affanni e dove regni la soddisfazione, che cosa ci appare essenziale in questo

paradiso terreno? Chi può meritare tutte queste felicità se non sa rispondere a

questa domanda?

Nei più profondi rimpianti del passato come è chiaramente scritta questa

risposta! Fra i nostri simili incontriamo alcuni di cui sentiamo quanto sia

forte il loro potere, per il bene, sulle nostre menti e sui nostri cuori; abbiamo

barlumi di altri la cui atmosfera versa su di noi un ardore di felicità. Poi la

corrente ci spinge da parte e noi non troviamo più sulla terra la stessa

influenza.

Ma se, nella vita futura, il principio di isolamento che prevale nel nostro

pellegrinaggio terreno deve dar luogo allo spirito di comunione non

ostacolato dallo spazio; se, in un’altra fase di vita, il desiderio corrisponde al

movimento; se, laggiù, desiderare la compagnia significa ottenerla e amare

significa incontrarsi con l’amato, quale elemento non già di sentimento

passivo ma di organizzazione attiva è destinata a divenire la simpatia! E

quanto di ciò che renderebbe questo mondo troppo felice per abbandonarlo,

ci attende in un altro!

Se, nei nostri momenti più calmi e spassionati, consideriamo quanti dei

nostri più alti e meno egoistici piaceri, morali, sociali, intellettuali, sono

dovuti a uno scambio giornaliero di pensieri e di sentimenti tra menti e cuori

affini; e se riflettiamo che tutte le perdite e i crucci della vita sono nulla a

confronto con quelli sofferti dalle nostre simpatie e dai nostri affetti divisi

dalla distanza o dalla morte, possiamo essere indotti a concludere che il solo

cambiamento qui indicato quale proprio della nostra successiva fase di vita

sarà sufficiente a garantire una felice esistenza alle menti pure e ai cuori

socievoli, a coloro che in questo mondo, per quanto traviati e deboli abbiano

potuto essere, non hanno interamente spento lo spirito della luce, per i quali

la voce interna è stata più potente del tumulto esterno, che hanno nutrito,

anche se spesso in silenzio e in segreto, i santi istinti divini, i fiori che devono

ancora sbocciare, e che possono sperare di trovare in quell’aldilà, dove il

simile attrae il suo simile, una casa in cui mai entrerà l’angelo annunziatore a

 

368

intimare la separazione degli abitanti, una casa di affetti inseparabili fra i

giusti e i buoni.

Potrei continuare a toccare altri indizi poco meno importanti e

incoraggianti dei precedenti, ma che, negli esempi forniti in quest’opera (9),

sono meno palpabilmente marcati. Come quello che, al momento della morte,

cade la maschera terrena, la mente e il cuore vengono svelati e i pensieri si

palesano senza l’intervento delle parole; così che, nel mondo spiritico,

«conosceremo come saremo conosciuti». Sarà dunque una terra della Verità,

dove l’inganno non troverà un luogo in cui nascondersi e dove la parola

«falsità» indicherà un peccato impossibile. Possiamo forse immaginare

un’influenza più salutare, più nobilmente rigeneratrice e più grata al cuore di

questa?

Ma mi fermo e freno l’impulso di ampliare questo quadro. Più avanti, forse,

quando sia in possesso di un materiale più copioso, potrò meglio portare

avanti questo compito.

Per ora, nel perseguimento del mio immediato oggetto, non vi è forse

bisogno di ulteriore elaborazione. Forse ho addotto sufficienti argomenti a

prova che l’ipotesi di una comunicazione spiritica non implica alcun postulato

assurdo. Forse ho anche provato con soddisfazione di una parte dei miei

lettori, che le comuni concezioni della morte sono false, che la morte non è,

come pensava Platone e come milioni di persone credono, l’opposto della vita

ma solo l’agente grazie al quale la vita cambia di fase.

Tuttavia so quanto siano radicate le opinioni a lungo nutrite. Anche nello

scrivere queste pagine sono stato talora costretto a indulgere a frasi correnti

di significato inesatto. Sebbene nelle pagine precedenti, per amore di

chiarezza, abbia impiegato espressioni come «da questo lato della tomba»,

«oltre la tomba» o simili, tali espressioni, applicate agli esseri umani, sono,

rigorosamente parlando, inesatte. Noi non abbiamo niente a che fare con la

tomba. Noi non scendiamo nella tomba. E’ un abito usato messo in una bara

quello a cui dedichiamo i riti della sepoltura.

Note

(1) «Così stanno storicamente le cose. Nell’ultimo quarto del secondo

secolo, quando le chiese cristiane vengono chiaramente alla luce, le troviamo

universalmente in possesso dell’idea di un luogo intermedio per le anime: un

 

369

luogo che non era né il cielo né l’inferno ma preliminare a entrambi. Non fu

un’idea sostenuta qua e là dagli eretici. Fu la credenza della chiesa universale,

che nessuno metteva in discussione». Foregleams of Immortality, di

Edward H. Sears, quarta edizione, Boston, pubblicato dalla American

Unitarian Association, 1858, pag. 268.

Non potendo, per mancanza di spazio, affrontare le prove storiche di

quanto sopra rimando il lettore all’opera del Sears, dove le troverà

succintamente dimostrate. Si veda anche The Belief of the First Three

Centuries concerning Christ’s Mission in the Under-World (La

credenza dei primi tre secoli relativa alla missione di Cristo nel mondo

sotterraneo), di Frederick Huidekoper, dove si leggera il seguente passaggio

con numerose citazioni dei Padri a sostegno: «E’ difficile che all’inizio del

secondo secolo o alla fine del primo, la dottrina della missione di Cristo nel

mondo sotterraneo, almeno per quanto riguarda le preghiere ai defunti e la

loro liberazione, non fosse vastamente diffusa e profondamente radicata fra i

cristiani»... «Sui lineamenti fondamentali di questa dottrina, i cattolici e gli

eretici erano d’accordo. Era un punto troppo stabilito per ammettere

discussioni». Pag. 138, citato da Sears, pag. 262.

(2) Un uomo più scrupoloso sarebbe stato arrestato dalla considerazione

che Pietro, il quale dovette conoscere le idee del suo Maestro in proposito,

parla del vangelo come comunicato ai morti e di Cristo stesso come

predicante agli spiriti di coloro che erano periti nel Diluvio (I Pietro III, 19, 20

e IV, 6). Ma dove può essere avvenuto questo se non nell’Ade?

Se si obietta che la parola Ade non è nemmeno nominata nel Nuovo

Testamento, la risposta è che Lutero - seguito dai nostri traduttori inglesi -

l’abolì senza cerimonie. Fece in modo che le due parole Gehenna e Ade

fossero egualmente tradotte Hell (Inferno). «Tuttavia», (cito da Sears),

«come il dott. Campbell ha mostrato in modo conclusivo nel suo ammirevole

e luminoso saggio, queste due parole non hanno lo stesso significato, e solo la

prima corrisponde all’idea moderna e cristiana dell’inferno. La parola Ade,

ricorrente undici volte nel Nuovo Testamento, non risponde mai a questa

idea e non dovrebbe mai essere tradotta così». Opera citata pag. 277.

Se si obietta inoltre che, per lo meno, non vi è nella Scrittura una deliberata

esposizione della dottrina dell’Ade, la risposta è che un articolo di fede

universalmente ammesso come fuori discussione dagli Ebrei come dai

cristiani, non aveva bisogno di essere inutilmente elaborato e bastava solo

citarlo incidentalmente.

(3) I Greci avevano il loro Ade; tuttavia, con una riverenza di tipo cinese

per i riti della sepoltura, pensavano che fosse abitato soprattutto dalle ombre

inquiete e vaganti di coloro le cui ossa restavano esposte, neglette e

 

370

abbandonate; e se, infine, venivano concessi gli onori funebri per placare

quelle anime, la loro ricompensa non era il cielo, ma l’eterno riposo. Non

sembra che essi abbiano avuto l’idea della protezione spirituale, se non come

esercitata dagli dei. L’eroe troiano non preannuncia alcun suo ritorno dal

regno di Plutone per vigilare sulla sposa amata, ma piuttosto un’eterna

separazione:

«Il tuo Ettore, avvolto in eterno sonno,

Non udirà i tuoi singhiozzi né vedrà le tue lacrime».

Lo Sheol degli ebrei - almeno secondo gli attuali rabbini - ha tre regioni:

una sfera superiore di relativa felicità, dove sono i patriarchi, i profeti e altri

degni della loro compagnia; una seconda regione più bassa, triste e buia,

temporanea dimora del malvagio; e la più bassa di tutte, la Gehenna, ora

disabitata e che rimarrà vuota finché il giorno del Giudizio avrà mandato i

dannati a occuparla.

(4) Un’idea simile è stata espressa altrimenti: «Un cambiamento

istantaneo dal bene al male o dal male al bene, se effettuato in modo

superiore da un potere estraneo e senza rispetto per una economia dei motivi,

sarebbe piuttosto l’annichilimento di un essere e la creazione di un altro che

non il cambiamento di carattere dello stesso essere. Perché è proprio della

natura di un cambiamento di carattere che vi sia un processo interno, una

concorrenza della volontà, il cedere di facoltà razionali a richiami razionali, e

anche la sostituzione di una data specie di desideri e di una data classe di

abitudini a un’altra». Physical Theory of Another Life (Teoria fisica di

un’altra vita), Londra 1839, cap. XIII, pag. 181.

(5) Se fossi il sovrintendente di un cimitero pittoresco, sull’ingresso farei

mettere questi versi della signora Homans:

«Perché colui il cui tocco dissolve le nostre catene

Non dovrebbe indossare le sue vesti più belle, quando viene

Come liberatore?».

(6) Se si dubita che simili rimpianti aleggino sul letto di morte di uno

scienziato, quanto segue può confermarlo: «Berzelius allora si rese conto che

l’ultima sua ora era giunta e che doveva dire addio a quella scienza che aveva

tanto amato. Chiamato al suo letto uno dei suoi devoti amici, che si avvicinò

piangendo, anche Berzelius scoppiò in lacrime; poi, superata la prima

emozione, esclamò: “Non meravigliarti se piango. Non mi crederai un debole

né penserai che sia spaventato da quello che il medico deve annunciarmi.

Sono preparato a tutto. Ma devo dire addio alla scienza, e non devi

 

371

meravigliarti che mi costi molto”... Fu questo il saluto di Berzelius alla

scienza, invero un commovente addio». Siljeström’s Minnesfest öfver

Berzelius, Stoccolma, 1849, pagg. 79-80.

(7) Sono versi di Barry Cornwall.

(8) Come nel caso di Mary Goffe e in quello della signora E. (vedi «La

madre morente e il suo bambino»); così pure in quello del signor Wynyard,

del capitano G. (vedi «Il quattordici novembre»); e in tutti i casi in cui si

riferisce di uno spirito apparso subito dopo la morte a un sopravvivente a lui

caro.

(9) La preghiera offerta dalla signora W. (vedi «Il corteggiatore

respinto») era silenziosa; e coloro che hanno ottenuto simili comunicazioni

sanno bene che una domanda mentale spesso è sufficiente a procurare una

risposta pertinente, Questo fenomeno di lettura del pensiero lo ho verificato

io stesso più volte.

 

372

2 - Conclusione

«Nel portare a termine questo mio intento, non ignoro né la

grandezza dell’opera, né la mia incapacità. Spero tuttavia

che, se l’amore per il mio soggetto mi ha portato troppo

lontano, io possa almeno essere scusato per il mio affetto.

Non è concesso all’uomo amare ed essere saggio».

Bacone

Prima che io prenda congedo dal lettore, egli può desiderare domandarmi

se credo che sia stata qui decisivamente dimostrata la realtà di una

occasionale interferenza spirituale.

Preferisco che egli tragga la risposta dal suo deliberato giudizio. In un certo

senso, egli è meglio qualificato di me a giudicare. Non è nell’umana natura

ponderare a lungo e profondamente una teoria, dedicare anni alla ricerca

delle sue prove e all’esame delle sue probabilità, e mantenere tuttavia quella

bella equanimità che accetta o respinge senza alcun pregiudizio estraneo.

Colui che si limita a osservare può discriminare più giustamente di colui che

ha rivolto tutti i suoi sforzi a raccogliere e confrontare.

Tuttavia, non mi rifiuterò di ammettere che, dopo essermi messo

severamente in guardia contro favoritismi e parzialità, non posso spiegare

molto di ciò che la mia ragione mi costringe a considerare come vero, senza

ricorrere ad altra ipotesi che non sia l’ultraterrena.

Là dove sono chiare e palpabili prove di pensiero, di intenzione, di

previsione, non vedo come si possa fare altrimenti che riferirle a un essere che

pensa, vuole e prevede. Tale riferimento mi sembra non solo razionale ma

necessario. Se mi rifiuto di accettare tali manifestazioni di intelligenza come

indizi dell’attività di una mente razionale, se comincio a dubitare che una

qualche combinazione meccanica o chimica di elementi fisici possa costituire

un’apparenza di ragione e imitare le espressioni del pensiero, allora non vedo

più le basi su cui si fonda il mio diritto di supporre che le forme umane che mi

circondano abbiano menti per pensare e cuori per sentire. Se le nostre

percezioni delle foreste, dei mari e delle pianure devono essere accettate come

prove che vi è realmente un mondo materiale intorno a noi, dovremo

rifiutarci di accogliere le nostre percezioni di pensieri e sentimenti diversi dai

nostri come prove che altri esseri, diversi da noi, esistono là d’onde quei

pensieri e quelle sensazioni provengono? (1). E se quegli esseri non

 

373

appartengono al mondo visibile, non siamo forse giustificati nel concludere

che esistono nell’invisibile?

Il fatto che gli esseri razionali di cui scopriamo così l’attività siano

invisibili, non invalida affatto la prova che riceviamo. E’ solo una logica

infantile quella che deduce che dove nulla si vede, nulla esiste.

Quanto al modo e al luogo di esistenza di questi esseri invisibili, può essere

giusta la congettura di Taylor quando suppone:

«Che entro il campo occupato dall’universo visibile e ponderabile e

tutt’intorno a noi esista e si muova un altro elemento, pieno di altre specie di

vita, corporeo e vario nei suoi ordini, ma non aperto alla conoscenza di coloro

che sono limitati alla condizione di organizzazione animale, tale da non potere

essere visto, né udito né sentito dall’uomo (2). Noi presumiamo qui», egli

continua, «la possibilità astratta che i nostri cinque modi di percezione siano

parziali, non universali, mezzi per conoscere quello che può esserci intorno, e

che, poiché le scienze fisiche ci danno prova della presenza e dell’azione di

certi poteri del tutto impercepibili dai sensi se non in alcuni dei loro effetti

remoti, non abbiamo il diritto di concludere di essere consapevoli di tutte le

reali esistenze entro la nostra sfera» (3). O, come dice altrove, «Entro ogni

dato confine possono essere corporalmente presenti il genere umano e il

genere extra-umano, e quest’ultimo naturalmente e semplicemente presente

al pari del primo».

Per questi esseri, di solito invisibili e inaudibili per noi, noi, a nostra volta,

possiamo essere invisibili e inaudibili (4). Sembrerebbe che vi siano certe

condizioni, che si presentano ogni tanto e che causano eccezioni, a entrambe

le parti, a questa regola generale. Se gli esseri umani debbano semplicemente

aspettare queste condizioni o cercare di crearle è una questione che non

rientra nel piano di quest’opera.

Quanto alle prove dell’azione di questi Invisibili sulla terra, io le fondo non

su di una sola classe di osservazioni fra quelle presentate in questo volume,

non particolarmente sui fenomeni del sogno, o sui disturbi inesplicabili, o

sulle apparizioni sia di viventi sia di defunti, o su quelli che sembrano esempi

di retribuzione ultraterrena o indizi di protezione spirituale, ma sull’insieme e

la convergenza di tutti questi fenomeni. E’ una solida conferma di ogni teoria

il fatto che le prove convergenti da molte e varie classi di fenomeni si

uniscano per stabilirla.

Queste prove sono diffuse in tutta la società. L’attenzione del pubblico

civile è stata richiamata da esse ai nostri giorni come non lo era stata per lo

meno da alcuni secoli. Se le narrazioni qui pubblicate come esempio, per

quanto scarse e imperfette, otterranno, come potrebbe darsi, una vasta

 

374

diffusione, stimoleranno nuove ricerche, porteranno alla luce nuovi fatti a

conferma o in contrario, e, in ogni caso, quella che trionferà sarà la verità.

Se dovesse infine essere provato che, attraverso i fenomeni riferiti, noi

possiamo raggiungere qualche conoscenza della nostra successiva fase di vita,

sarà impossibile continuare a negare l’importanza pratica del loro studio. E

tuttavia, come risultato di questo studio dovremmo forse aspettarci piuttosto

un abbozzo visto come attraverso un vetro affumicato che un quadro

completo della nostra dimora futura. Possiamo ragionevolmente immaginare

che una informazione troppo abbondante o troppo sicura che ci venisse da un

altro mondo, interferirebbe dannosamente nelle faccende di questo. I doveri

del presente potrebbero essere trascurati nella contemplazione estatica del

futuro. Il sentimento intimo che la morte sia un guadagno potrebbe prevalere,

farci prendere in disgusto questa variegata vita terrena e perfino tentarci ad

anticipare temerariamente il richiamo stabilito, troncando così

prematuramente gli anni di noviziato che solo Dio, e non l’uomo, può

determinare opportunamente.

Tuttavia molto può essere scoperto per produrre l’influenza quanto mai

salutare sulla condotta umana e per illuminare i più oscuri giorni del nostro

pellegrinaggio terreno con la confidente assicurazione che tutte le aspirazioni

al bene, tutti i sogni di bellezza, che impallidiscono e svaniscono in questa

fase terrena della vita, troveranno un nobile campo di azione e una

realizzazione completa quando il pellegrino avrà gettato il suo fardello e

raggiunto la fine del suo viaggio.

Frattanto, quale motivo per esercitare un’autoeducazione può essere

proposto all’uomo, più potente dell’assicurazione che non un solo sforzo per

rafforzare il nostro cuore e arricchire la nostra mente, nel tempo, rimarrà

senza risultati e senza ricompensa nell’eternità? Noi siamo gli architetti del

nostro destino: ci infliggiamo i nostri castighi, scegliamo i nostri premi. La

nostra perfezione è una ricompensa che deve essere pazientemente

guadagnata, non concessa miracolosamente o misteriosamente attribuita.

Anche la malvagità, e il giudizio che comporta, ce la imponiamo da soli. Noi

scegliamo: e la nostra scelta prende il posto di un giudice inesorabile, che sale

in tribunale ed emette la sua sentenza su di noi. La sua giurisdizione non è

limitata alla terra. L’efficacia dei suoi decreti, di condanna o di assoluzione, si

estende su questa fase della nostra esistenza come sull’altra. Quando ci

chiama la morte, egli non ci priva delle virtù né ci libera dai vizi che sa in

nostro possesso. Le une e gli altri vengono con noi. Le qualità morali, sociali,

intellettuali che ci hanno distinto in questo mondo rimarranno nostre anche

in un altro, costituendo là la nostra identità e determinando la nostra

posizione. Così per il buono come per il malvagio. L’oscura veste di colpa di

cui, nell’umano avanzare durante la vita, può essersi gradualmente avvolto,

 

375

gli rimarrà aderente, come una camicia di Nesso, attraverso il cambiamento

della morte. Ognuno rimane l’essere che era. Ognuno mantiene la sua mala

identità e stabilisce la sua degradata condizione. Ognuno si sveglia nel

tormento degli stessi pensieri inferiori e delle stesse brutali passioni che lo

hanno controllato in vita e che attrarranno a lui, nelle compagnie della sua

nuova vita, pensieri altrettanto inferiori e passioni altrettanto brutali. Vi è

forse nella previsione di un Inferno materiale, circondato di fiamme, un più

forte potere di distoglierci dal vizio di quanto ve ne sia nel terribile profilarsi

di un fatto inevitabile come questo?

Inevitabile, ma non eterno. Là dove è vita vi è speranza; e oltre il velo, vi è

vita.

Ma comincerei un altro volume, invece di terminare questo, se mi

dilungassi sui benefici che possono provenire da un intervento spirituale. Il

compito che mi sono proposto era di svolgere un’inchiesta che li precede:

un’inchiesta sulla realtà, non sui vantaggi, di un intervento ultraterreno.

Termino dunque qui il mio lavoro con un’ultima osservazione relativa alla

portata di questa ricerca sulle credenze del mondo cristiano.

Non è possibile lasciare la lettura delle scritture, antiche o nuove, senza

portare con noi la certezza che la verità di comunicazioni col mondo invisibile

è la base di tutto ciò che abbiamo letto. Non è cosa che richieda induzioni o

ricostruzioni, nulla di simile a varianti cronologiche o storiche che il

commentatore possa conciliare o il filologo spiegare. E’ una questione

essenziale, inerente, fondamentale. Pur ammettendo che molto è allegoria, e

tenendo conto della fraseologia delle lingue orientali, del linguaggio delle

parabole e delle licenze della poesia, rimane tuttavia la vasta, serena,

inequivocabile e sicura fede nella realtà di quel vecchio mondo e della

saltuaria influenza, direttamente esercitata, del mondo degli spiriti. Scalzata

questa fede, l’intera sovrastruttura biblica è distrutta dalle fondamenta.

Parlo del grande fatto d’insieme, non dei minuti particolari. La

pneumatologia della Bibbia è generale, non specifica, nel suo carattere. Non

affronta il modo o le condizioni in cui gli abitanti di un’altra sfera possono

divenire agenti per modificare il carattere o influenzare il destino del genere

umano. Lascia all’uomo il compito di trovare la sua via lungo

quell’interessante direzione alla luce dell’analogia, forse con l’aiuto di

rivelazioni come quelle che questo libro ricorda. La luce può essere

imperfetta, le rivelazioni insufficienti ad appagare una viva curiosità.

Nell’oscurità del presente, le nostre brame di luce possono non essere mai

soddisfatte. Siamo forse destinati ad attendere. Ciò che l’ingegno e l’industria

umana non possono abbracciare in questo mondo crepuscolare, può essere

 

376

una scoperta rimandata solo al momento in cui saremo ammessi, oltre il

confine, nell’alba di un altro mondo.

Note

(1) Così argomenta una mente logica ed elegante: «Sulla tavola di fronte a

noi, un ago ben bilanciato trema e si volge, con la costanza dell’amore, verso

un certo punto delle regioni artiche; ma una massa di ferro, posta vicino a

esso, disturba questa tendenza e le dà una nuova direzione. Noi presumiamo

allora la presenza di un elemento universalmente diffuso, del quale non

abbiamo assolutamente alcuna percezione. Immaginiamo che i fogli di un

manoscritto, sparsi disordinatamente sul tavolo e sul pavimento, siano visti

radunarsi lentamente da soli secondo l’ordine delle pagine, e che alla fine ogni

foglio e ogni frammento disperso sia andato al suo posto esatto e sia pronto

per il compositore. In questo caso dovremmo, senza alcuno scrupolo,

presumere la presenza di un agente razionale, proprio come, nel caso delle

oscillazioni dell’ago, abbiamo presunto la presenza di un invisibile potere

elementare». Taylor, Physical Theory of Another Life, Londra 1839, pag.

244.

(2) L’espressione corretta sarebbe stata: «da non potere, usualmente,

essere, visto, sentito ecc.».

(3) Physical Theory of Another Live, pagg. 232-33.

(4) Vedi l’opinione di Oberlin a questo proposito (pag. 263). Vedi anche

una curiosa ipotesi suggerita da una pretesa osservazione di Madame Hauffe,

alle pagine 289-90.

 

377

APPENDICE

Nota A

Circolare di una società istituita da alcuni membri

dell’università di Cambridge, in Inghilterra, coi proposito di

investigare i fenomeni popolarmente detti soprannaturali.

L’interesse e l’importanza di una seria e attiva ricerca sulla natura dei

fenomeni che vengono vagamente chiamati «soprannaturali», non possono

essere messi in discussione. Molti credono che questi avvenimenti

apparentemente misteriosi siano dovuti o a cause puramente naturali, o a

illusioni della mente o dei sensi, o a volontario inganno. Ma molti altri

credono possibile che esseri di un mondo invisibile si manifestino a noi per

vie straordinarie, e non sono capaci di spiegare altrimenti molti fatti la cui

evidenza non può essere messa in dubbio. Entrambe le parti hanno

ovviamente un comune interesse a che i casi di supposta origine

«soprannaturale» siano completamente vagliati. Se l’opinione della seconda

classe fosse da ultimo confermata, i limiti raggiunti finora dalla conoscenza

umana relativamente al mondo spiritico potrebbero essere accertati con un

certo grado di sicurezza. Ma, in ogni caso, anche se dovesse risultare che

morbose e irregolari attività della mente o dei sensi diano sufficiente ragione

di queste meraviglie, si sarebbe fatto tuttavia qualche progresso nell’accertare

le leggi che regolano il nostro essere arricchendo così la nostra scarsa

conoscenza di un’oscura ma importante provincia della scienza. Il maggior

impedimento alle investigazioni di questo genere è la difficoltà di ottenere un

numero sufficiente di casi chiari e bene attestati. Molte delle storie correnti

nella tradizione o sparse nei libri, possono essere esattamente vere; altre

devono essere pure finzioni; altre ancora - probabilmente il maggior numero -

consistono in un miscuglio di vero e di falso. Ma è inutile esaminare il

significato di un preteso fatto di tal natura finché non sono state accertate

l’attendibilità e l’estensione delle sue prove. Con tale convinzione, alcuni

membri dell’Università di Cambridge desiderano, se possibile, fare una vasta

collezione di casi autenticati di supposti agenti «soprannaturali». Quando

l’inchiesta sia cominciata, sarà evidentemente necessario cercare

informazioni oltre i limiti immediati del circolo. Essi richiedono dunque

comunicazioni scritte da tutti coloro che possono aiutarli, con particolari

 

378

completi delle persone, dei tempi e dei luoghi; ma non verrà richiesto che i

nomi possano essere pubblicati senza speciale permesso, a meno che siano già

divenuti di pubblico dominio. E’ comunque indispensabile che la persona che

invia una qualsiasi comunicazione conosca i nomi e dia garanzia personale

della verità della narrazione per una sua propria conoscenza o convinzione.

Il primo scopo sarà dunque quello di raccogliere un valido insieme di fatti:

l’uso che se ne farà sarà oggetto di ulteriore considerazione. Ma in ogni caso la

semplice collezione di informazioni degne di fede avrà un suo valore. Ed è

chiaro che grande aiuto nell’inchiesta può derivare da relazioni di eventi che

in un primo tempo sono stati considerati «soprannaturali» e in seguito si

rivelarono dovuti a illusioni della mente o dei sensi, o a cause naturali (come

per esempio, l’azione di quelle forze strane e sottili che sono state scoperte e

imperfettamente investigate in tempi recenti); e, in generale, da ogni

particolare che possa gettar luce, indirettamente, per analogia o altrimenti,

sui soggetti a cui si volge più espressamente la presente investigazione.

La seguente classificazione provvisoria dei fenomeni per i quali si cerca

informazione, può servire a mostrare l’estensione e il carattere dell’inchiesta

proposta.

I. Apparizioni di angeli.

1) Buoni.

2) Cattivi.

II. Apparizioni spettrali di:

1) Lo spettatore stesso (a esempio «Sosia» o «Doppi»).

2) Altre persone, riconosciute o no.

A) Prima della morte (a esempio «seconda vista»).

a) A una persona.

b) A più persone.

B) Al momento della morte.

a) A una persona.

b) A più persone.

1. Nello stesso luogo.

2. In luoghi diversi

- Simultaneamente

 

379

- Successivamente

C) Dopo la morte. In connessione con

a) Particolari luoghi notevoli per

1. Avvenimenti buoni.

2. Avvenimenti cattivi.

b) Tempi particolari ( a esempio l’anniversario di un evento,

o a dati periodi).

c) Particolari eventi (a esempio prima di una disgrazia o di

una morte).

d) Particolari persone (a esempio un omicida perseguitato)

III. «Forme» che non rientrano in alcuna delle classi precedenti.

1) Ricorrenti. In connessione con

A) Particolari famiglie [a esempio la «Banshee» (1)]

B) Particolari luoghi (a esempio il «Cane di Mawth»)

2) Episodiche.

A) Visioni che alludono a fatti passati presenti o futuri.

a) Per rappresentazione attuale (a esempio «Seconda

vista»).

b) Per simbolo.

B) Visioni di natura fantastica.

IV. Sogni notevoli per coincidenze:

1) Per il loro presentarsi:

A) Alla stessa persona più volte.

B) Nella stessa forma a più persone.

a) Simultaneamente.

b) Successivamente.

2) Con fatti

A) Passati.

a) Sconosciuti.

 

380

b) Conosciuti ma dimenticati.

B) Presenti ma sconosciuti.

C) Futuri.

V. Sentimenti. Una definita coscienza di un fatto

1) Passato: un’impressione che un dato evento sia avvenuto.

2) Presente: simpatia con una persona sofferente o agente

a distanza.

3) Presentimento del futuro.

VI. Effetti fisici

1) Suoni

A) Con uso di mezzi ordinari (a esempio campanelli).

B) Senza uso di alcun mezzo apparente (esempio voci).

2) Impressioni di tocchi (ad esempio il respiro di una persona).

Ogni relazione di agenti «soprannaturali» che può essere comunicata sarà

molto più istruttiva se accompagnata da alcuni particolari quali il naturale

temperamento dell’osservatore (sanguigno, nervoso ecc.), la sua costituzione

(soggetto a febbre, sonnambulismo ecc.) e il suo stato al momento (agitato

nella mente o nel corpo ecc.).

Le comunicazioni possono essere indirizzate al

Reverendo B. F. Westcott, Harrow, Middlesex.

Nota B (Poscritto)

Testimonianza

Considerazione di essa da parte di due scuole opposte

 

381

Mentre queste pagine erano in tipografia, ho ricevuto, e letto con molto

piacere, un opuscolo appena pubblicato a Londra e a Edimburgo, intitolato:

Testimonianza: sua posizione nel mondo scientifico, di Robert

Chambers, primo di una serie di «Fogli di Edimburgo» che saranno pubblicati

da questo vigoroso pensatore, un uomo che ha contribuito forse più di ogni

altro oggi vivente a diffondere utili informazioni tra le masse del mondo civile.

E questo opuscolo non è uno dei minori contributi.

Il signor Chambers riconsidera la posizione di due scuole filosofiche

relativamente alla forza della testimonianza: quella dei fisicisti, di cui il signor

Faraday è il modello, e quella dei filosofi mentali e morali, rappresentata da

Abercrombie e da Chalmers.

Egli ci ricorda che la prima, considerando «l’estrema fallacia dei sensi

umani» non ammette la realtà di qualsiasi fatto naturale straordinario «che

non possa essere assolutamente spiegato». Se il fisicista può presumere un

qualsiasi errore di osservazione, ha il dovere di respingere il fatto.

«Praticamente» (aggiunge Chambers), «tutti questi fatti sono respinti,

perché, naturalmente, non vi è alcun fatto straordinario fondato sulla sola

testimonianza in cui non sia possibile supporre un qualche errore di

osservazione o di relazione, se vogliamo trovarlo» (pag. 2).

Così il signor Faraday, «difendendo lo scetticismo della sua classe»,

argomenta che «non ci si può fidare dei nostri sensi a meno che il giudizio

non sia stato largamente educato a guidarli». Egli parla come se non vi fosse

alcuna possibilità che un uomo non regolarmente educato all’osservazione

scientifica possa vedere i fatti come sono.

Non così Abercrombie e Chalmers. Il grande teologo scozzese «dichiara di

seguire le orme della filosofia di Bacone. Egli riconosce che la conoscenza può

essere fondata solo sull’osservazione e che noi impariamo “assoggettandoci

all’assennato lavoro di vedere, sentire e sperimentare”. Egli preferisce ciò che

è stato “visto da un paio di occhi” a ogni ragionamento e a ogni supposizione...

Egli non propone che noi accettiamo semplicemente i meravigliosi fatti della

Scrittura se non riusciamo a spiegarli... Non ci chiede di prendere l’avvio con

una chiara conoscenza di quello che è possibile e di quello che è impossibile...

Quello che ci chiede “nell’entrare in ogni forma di inchiesta”, come la

preparazione migliore, è una cosa molto diversa, e precisamente quella

docilità di mente che si fonda sul senso della nostra totale

ignoranza del soggetto» (2).

«Nessun contrasto», continua Chambers, «potrebbe essere più completo.

Nel primo caso la testimonianza relativa a fatti e avvenimenti naturali ma

nuovi è trattata con un rigore che ci permette di sbarazzarci di tutto

ciò che non vogliamo accogliere, se non può essere immediatamente

 

382

sottoposta a un esperimento o immediatamente ripetuta, e forse nemmeno

allora. Nel secondo, la facoltà umana di osservare correttamente ogni fatto

palpabile e di riferirlo con esattezza è sostenuta senza eccezioni né riserve... E’

chiaro che l’uno o l’altro di questi due punti di vista sulla testimonianza deve

essere interamente, o in parte, errato, perché essi si trovano in reciproco

contrasto. E’ importante, relativamente al nostro progresso nella filosofia e al

nostro codice di credenze religiose, accertare quale dei due implichi la

maggior somma di verità» (pag. 6).

Quanto ai risultati dell’accogliere, nella vita di ogni giorno, il punto di vista

scientifico sulla testimonianza, egli dice: «Supponiamo per un momento che

ogni fatto a noi riportato da altri, sia considerato alla luce del sistema scettico

per quanto riguarda la fallacia dei sensi e la tendenza a illuderci. Non ci

troveremmo da quel momento a un arresto in tutti i principali movimenti

della nostra vita? Un banchiere potrebbe mai scontare un assegno? Un

mercante potrebbe mai credere in un rapporto di mercato? Potremmo

fondarci con sicurezza su di un atto legale o su di un documento per quanto

essenziale al mantenimento della proprietà? Si potrebbe ottenere una prova

per la condanna dei più audaci e pericolosi criminali? Quale sarebbe il

progresso della scienza se ogni geologo diffidasse dei suoi colleghi quanto alla

realtà delle loro scoperte di fossili in certi strati? Con quale faccia potremmo

chiedere ai giovani di credere a un solo fatto storico o geografico, o in

qualsiasi scienza relativa all’educazione? Che cosa potrebbe essere più

seriamente dannoso ai mortali, eccetto la scomparsa del sole dal firmamento,

che il togliere dall’insieme della vita sociale il semplice principio che tutti

possiamo abbastanza bene apprendere la natura di un evento o fatto

presentatici dai sensi e darne poi una buona descrizione con le parole?

«Devo anche spingermi a dire che il punto di vista scettico non mi sembra

in armonia con la filosofia induttiva. Bacone ci mette più volte in guardia

contro le opinioni preconcette e i pregiudizi; ma non ci impone di non credere

di potere accertare i fatti sulla base dei nostri sensi e delle testimonianze. Egli

riconosce che non si può ottenere una conoscenza completa mediante il senso

della vista essendo esso incapace di penetrare “l’operazione spirituale nei

corpi tangibili” (3); ma non ci dice che la vista sia così fallace che ci sia

necessario un potere correttivo per assicurarci che stiamo veramente vedendo

qualche cosa» (pag. 8).

Accennando all’assioma di Faraday, che dobbiamo partire con idee chiare

su ciò che è possibile e ciò che è impossibile, Chambers nota acutamente:

«Questo metodo scettico consiste sostanzialmente in un circolo vizioso. Non

si può sapere se un fatto è un fatto se non abbiamo accertato le leggi della

natura in quel caso; e non si possono conoscere le leggi della natura finché

non abbiamo accertato i fatti. Non si può affermare di avere conosciuto

 

383

qualche cosa finché non si è accertato che è possibile, e non si può accertare

che una cosa è impossibile finché non l’abbiamo conosciuta» (pag. 9).

Tutto l’opuscolo è singolarmente logico non meno che pratico nel suo

orientamento, e ripaga la lettura. Costretto, per mancanza di spazio, a non

prolungare oltre le mie citazioni, non posso tuttavia tralasciare l’intero

paragrafo conclusivo, riguardante da vicino il rispetto e il credito dovuti a

quella classe di fatti che questo libro presenta al pubblico. Chambers dice:

«Se ho dato qui un esatto panorama della testimonianza umana, ne segue

che, tra la vasta moltitudine di cose spesso riferite come vere e abitualmente

respinte, ve ne sono molte che meritano maggior rispetto di quanto

generalmente ricevano. E’ una strana idea, ma è probabile che alcune verità

abbiano bussato alla porta della fede umana per migliaia di anni e siano

destinate a non essere accolte per altre migliaia, o al massimo a ricevere una

poco onorevole sanzione da parte del volgo, solo per questo principio di

scetticismo secondo il quale i fatti sono privi di valore senza un ovvio

riferimento a leggi accertate. Se fosse adottato il principio contrario, e (a mio

parere) più induttivo, che i fatti giustamente testimoniati sono degni di essere

ascoltati col proposito di accertare alcune leggi sotto le quali possono essere

classificati, un liberale esame retrospettivo della storia della conoscenza ci

mostrerebbe probabilmente che anche fra ciò che abbiamo considerato

superstizione umana vi sono valide realtà. Dovunque vi sia perseveranza e

uniformità nelle relazioni su quasi ogni soggetto, per quanto eterodosso possa

apparire, possiamo indagare con la speranza di trovare un principio o una

legge, se debitamente cercati. Vi è un’intera classe di fenomeni, di un

carattere misticamente psichico, dispersi nelle cronache di false religioni e

nell’agiografia, nei quali non sembra improbabile che si possano scoprire

alcuni grani d’oro. Forse, anzi, probabilmente, qualche legge mistica,

profondamente centrata nella nostra natura, e sfiorante le lontanissime sfere

“dell’essere non sperimentato”, passa attraverso questi fenomeni indefiniti -

che, se accertati, getteranno non poca luce sulle passate credenze e azioni

dell’uomo - e forse può rafforzare la nostra sicurezza che vi è in noi una parte

immateriale e immortale e che esiste un altro mondo oltre quello che preme

sui nostri sensi» (4).

Note

(1) Fantasma, generalmente femminile; la cui apparizione, in alcune

famiglie, annuncia la morte vicina di uno dei loro membri. (U.D.)

 

384

(2) Opuscolo citato, pag. 6. Il corsivo è di Chambers.

(3) Novum Organum , Libro I, aforisma 5o.

(4) Opuscolo citato, pag. 24.

F I N E

Preghiera al Padre - 20/01/2001

Padre Dolce,

Padre Buono.

Tu che sei nell’universo,

Tu che sei nelle cose,

Tu che sei in noi.

Tu che nutri il nostro corpo materiale,

Tu che nutri il nostro corpo spirituale;

Aiutaci in questa esistenza.

Aiutaci a perdonare per il male che ci fanno, perché

anche noi abbiamo fatto del male.

Aiutaci a cercare cibo per il corpo fisico e pane per la

nostra anima.

Aiutaci a superare le prove della vita con serenità;

e che Tu, assieme ai nostri fratelli spirituali, ci sia

sempre vicino.

Amen.