LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

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INDICE

3 Introduzione

4 Il caso Beecher-Stowe

7 Il caso Scaramuzza

10 Il caso Dickens

12 Il caso Sharp-Macleod

18 Il caso Wilde

24 Il caso Worth

42 Il caso Hugo

52 CONCLUSIONI

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INTRODUZIONE

Tra le multiple forme che assumono le manifestazioni medianiche d’ordine

intelligente, vi è pur quella della estrinsecazione di opere letterarie, talvolta

assai voluminose, dettate psicograficamente da entità sé affermanti gli «spiriti

dei trapassati».

Non è il caso di osservare che molte di tali produzioni medianiche non

resistono alla più superficiale analisi critica, dimostrandosi palesemente il

frutto di una grossolana e più o meno sconclusionata elaborazione oniricosubcosciente,

con personificazioni sonnamboliche concretatesi per

suggestione od autosuggestione; personificazioni le quali non possono far di

meglio che valersi delle risorse di coltura e d’ingegno inerenti alle personalità

coscienti dalle quali derivano, con la conseguenza che le opere letterarie dei

presunti spiriti comunicanti si dimostrano ben sovente così rudimentali da

tradire la loro origine, eliminando ogni dubbio in proposito.

Il che non impedisce che accanto ai pseudo-mediums si rinvengano i

mediums genuini, pel tramite dei quali si estrinsecano talvolta opere

letterarie di gran merito, le quali inducono seriamente a riflettere, in quanto

non possono in modo alcuno attribuirsi a una elaborazione subcosciente della

limitatissima coltura generale propria ai mediums che le dettarono. Il che trae

logicamente a inferirne che tali produzioni abbiano effettivamente ad

attribuirsi ad interventi estrinseci; tanto più se si considera che alle prove in

tal senso ricavabili dalle caratteristiche di forma, di stile, di tecnica

individuale del dettato letterario, nonché talora dall’identità calligrafica, si

aggiungono altre prove cumulative importanti le quali consistono in ragguagli

personali ignorati da tutti i presenti e risultati veridici, o in citazioni

altrettanto veridiche e da tutti ignorate riferentisi ad elementi storici,

geografici, topografici, linguistici, filologici, d’ordine talora complesso e quasi

sempre raro; come pure, in descrizioni minuziose, colorite, vivaci di ambiente

e di costumi riguardanti popoli antichissimi; tutte circostanze da non potersi

in modo alcuno dilucidare con la comoda ipotesi dell’emergenza subcosciente

di cognizioni acquisite dai medium e poi dimenticate (criptomnesia).

Scopo del presente lavoro è di analizzare le principali manifestazioni del

genere, tanto più che odiernamente si ottennero dettati i quali rivestono un

alto valore teorico in senso decisamente spiritualista.

In tale ordine di manifestazioni, ben poco si ottenne in passato di

teoricamente importante; comunque, non posso esimermi dall’accennarvi

sommariamente.

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IL CASO BEECHER-STOWE

E comincio da un caso di transizione, in cui non si saprebbe a quale

soluzione far capo nel giudicare se le modalità con cui si estrinsecò una

famosa opera letteraria, debbano attribuirsi ad interventi estrinseci, ovvero a

uno stato di sovreccitazione psichica abbastanza comune nelle “crisi

d’ispirazione” cui soggiacciono mentalità geniali.

In ogni modo, il caso appare interessante ed istruttivo,data la notorietà

dell’autrice e l’influenza grande che l’opera letteraria a cui si allude esercitò

sulle vicende storiche e sociali di una grande nazione. Mi riferisco con ciò alla

celebre scrittrice Enrichetta Beecher-Stowe, ed al suo famoso romanzo: «La

Capanna dello Zio Tom», il quale contribuì efficacemente all’abolizione della

schiavitù negli Stati Uniti.

L’ambiente familiare in cui visse Enrichetta Beecher-Stowe poteva ritenersi

sommamente favorevole ad interventi spirituali. Il prof. James Robertson,

scrivendone sul «Light» (1904, p. 388), osserva:

«Il marito prof. Stowe era un medium veggente. Gli accadeva sovente di

scorgere a sé intorno fantasmi di defunti, e ciò in guisa a tal segno distinta e

naturale che gli riusciva talvolta difficile il discernere gli “spiriti incarnati” da

quelli disincarnati».

Quanto a Mrs. Beecher-Stowe, era essa pure una grande sensitiva soggetta

a frequenti crisi di «depressione nervosa», con fasi di «assenza psichica», ed

aveva accolto con entusiasmo il movimento spiritualista iniziatosi in America

da qualche anno.

Per ciò che riguarda il suo grande romanzo: «La Capanna dello Zio Tom»,

tolgo dal «Light» (1898, p. 96) i ragguagli seguenti:

«Mrs. Howard, intima amica di Mrs. Beecher-Stowe, fornisce le seguenti

suggestive informazioni intorno alle modalità con cui venne dettato questo

famoso romanzo. Le due amiche si trovavano in viaggio, e si fermarono a

pernottare ad Hartford, recandosi a casa di Mrs. Perkins, sorella della Stowe.

Dormirono entrambe nella medesima camera. Mrs. Howard si era svestita

subito, e dal letto stava osservando l’amica che s’indugiava a ravviarsi

automaticamente i capelli ricciuti, manifestando nel sembiante uno stato

d’intensa concentrazione mentale».

A questo punto la narratrice così continua:

«Finalmente Enrichetta parve scuotersi, e così mi parlò: “Stamane ricevetti

lettere da mio fratello Edoardo, il quale è preoccupato sul conto mio, giacché

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teme che tutte queste lodi, tutta questa notorietà creatasi intorno al mio

nome, non abbia a ridestare in me una vampata di orgoglio, con grave

discapito dell’anima mia di cristiana”. Così dicendo, essa depose il pettine, ed

esclamò con voce appassionata: “Anima bella, quel fratello mio! Ma egli non

se ne preoccuperebbe se sapesse che quel libro non l’ho scritto io!”. - “Come

mai?” - chiesi stupefatta, - “non siete voi che avete scritto La Capanna dello

Zio Tom? - “No” - essa rispose - “io non feci altro che prendere nota di ciò

che ho visto”. - “Come sarebbe a dire? Voi non avete mai visitati gli Stati del

Sud”. - “E’ vero; ma tutte le scene del mio romanzo, una dopo l’altra, si

svolsero dinanzi alla mia visione, ed io non feci che descrivere ciò che

vedevo”. - Chiesi allora: “Per lo meno avrete ordito la trama degli eventi?”. -

“Niente affatto” - essa rispose; - “vostra figlia Annie mi rimproverò per aver

fatto morire Evangelina; ma io non ne ho colpa, e non potevo impedirlo. Ne

fui straziata più di qualunque altro; sentivo come se fosse morta la persona

più cara della mia famiglia, e quando avvenne la sua morte, ne rimasi a tal

segno accasciata, che non fui più in grado di riprendere la penna per oltre due

settimane”. - Allora chiesi: “E lo sapevate che il povero Zio Tom doveva egli

pure morire?”. - Rispose: “Sì, questo lo sapevo già dal principio, ma ignoravo

in qual modo doveva morire. Quando pervenni a questo punto della mia

storia, non ebbi più visioni per qualche tempo”».

In altro fascicolo della medesima rivista (1918, pag. 315) viene riferito il

seguente periodo sul medesimo argomento:

«Una sera, verso il tramonto, Mrs. Beecher-Stowe passeggiava soletta,

come sempre, nel parco. Il capitano X. la vide, le si avvicinò, e togliendosi

rispettosamente il cappello, così le parlò: “In gioventù lessi anch’io, con

immensa commozione La Capanna dello Zio Tom. Permettetemi ch’io

stringa la mano a colei che scrisse il memorabile romanzo”. - La settuagenaria

autrice gli stese la mano, osservando vivacemente: “Io non l’ho scritto”. -

“Come! Non l’avete scritto voi?” -chiese sbalordito il capitano - “e allora chi lo

scrisse?” - Essa soggiunse: “Dio l’ha scritto, ed è Lui che me l’ha dettato”».

Nel primo dei brani citati si osserva una spontanea emersione dalla

subcoscienza della scrittrice di visioni cinematografiche indicanti lo svolgersi

dell’azione del romanzo; ciò che presenta grandi analogie con le modalità con

cui dettarono i loro romanzi altri scrittori di genio, quali il Dickens e il Balzac.

Questi ultimi, a loro volta, vedevano sfilare dinanzi alla loro visione

subbiettiva i personaggi e le scene che avevano immaginato. La differenza tra

le loro visioni e quelle della Beecher-Stowe risiederebbe appunto in

quest’ultima circostanza di fatto: ch’essi assistevano allo svolgersi di eventi

creati e diretti dalla loro immaginazione consapevole, laddove la Beecher-

Stowe assisteva passivamente allo svolgersi di eventi che non aveva creato, e i

quali ben sovente risultavano in contrasto assoluto con la sua volontà, la

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quale non avrebbe mai fatto morire le due sante creature descritte nel suo

romanzo. Tale circostanza di fatto è importante, e tenderebbe a differenziare

le visioni subbiettive comuni agli scrittori di genio, da quelle della Beecher-

Stowe, così come le stereotipate, automatiche «obbiettivazioni dei tipi» quali

si ottengono per suggestione ipnotica, non presentano nulla di comune con le

indipendenti, liberamente agenti personalità medianiche quali si manifestano

coi veri mediums.

E la presunzione che non si trattasse di visioni puramente subbiettive

acquista maggiore efficacia per effetto del secondo dei brani citati, nel quale la

Beecher-Stowe dichiara esplicitamente di avere trascritto il suo romanzo

come se le fosse dettato. Il che dimostrerebbe che la celebre scrittrice era una

medium scrivente; circostanza che si accorderebbe con l’altra rilevata dai suoi

biografi, ch’essa andava soggetta «a fasi di assenza psichica», le quali

presumibilmente erano stati di «trance» incipiente.

Da un altro punto di vista, osservo che l’esclamazione della Beecher-Stowe:

«Dio l’ha scritto!» sottintende che il dettato medianico si era estrinsecato in

forma anonima; vale a dire che l’agente spirituale operante aveva occultato la

propria individualità, tenendosi presumibilmente pago di compiere in Terra

la missione assunta di contribuire efficacemente, per ausilio di un racconto

commovente fino allo strazio, alla grandiosa opera umanitaria della

redenzione di una razza oppressa.

Tutto ciò mi parve lecito indurre da quanto si venne esponendo; tuttavia

non insisto in proposito, dato che le induzioni stesse non risultano sufficienti

onde concludere in favore dell’origine estrinseca del romanzo in esame.

Nondimeno giova osservare che le basi su cui poggiano le induzioni in favore

di una spiegazione puramente subbiettiva degli stati d’animo in cui si trovò la

scrittrice allorché dettava il suo grande romanzo, appariscono più deficienti

all’analisi di quel che non avvenga per l’interpretazione spiritualista dei

medesimi.

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IL CASO SCARAMUZZA

Passo a riferire un secondo caso del genere occorso in Italia molti anni or

sono; e si tratta di un caso che non può definirsi più di transizione come il

precedente, e ciò sopratutto in quanto in esso non si riscontra l’incertezza

teorica derivante dal fatto della personalità comunicante la quale non rivela la

propria presenza. In quest’ultimo episodio, invece, le personalità medianiche

operanti dichiarano esplicitamente l’esser loro; sennonché si riscontra che dal

punto di vista probativo, le modalità con cui si estrinsecano i dettati medianici

risultano a tal segno manchevoli, da suscitare perplessità di gran lunga

maggiori di quanto era occorso nel caso che precede.

Il professore Francesco Scaramuzza era direttore dell’Accademia di Belle

Arti di Parma, nella quale insegnava pittura, arte in cui egli aveva raggiunto

una notevole eccellenza. Era nondimeno destituito di coltura letteraria,

giacché a quattordici anni aveva cessato di frequentare le scuole, dovendo

pensare a guadagnarsi la vita. In gioventù erasi lungamente interessato alle

esperienze di magnetismo animale, che aveva praticato con buon successo.

Divenne spiritista in età matura, e a 64 anni si rivelò medium scrivente, ma

per soli tre anni (1867-1869). Durante tale breve lasso di tempo, egli dettò con

rapidità vertiginosa una quantità enorme di opere poetiche d’ogni sorta. Tra

esse, meritano speciale menzione un voluminoso poema in ottava rima (29

canti e 3000 ottave), il quale s’intitola: «Il Poema Sacro», e due commedie in

versi, il cui autore sarebbe stato lo spirito di Carlo Goldoni; commedie vivaci,

brillanti magistralmente sceneggiate, e che rivelano tutto il sapore dell’arte

goldoniana.

Ma non può affermarsi altrettanto per la paternità del voluminosissimo

«Poema Sacro», il quale gli sarebbe stato dettato dal sommo poeta Lodovico

Ariosto. Nel poema si trattano eccelsi argomenti quali la natura di Dio, la

genesi dell’Universo, la creazione dei soli e dei mondi, le origini della Vita nei

mondi, gli scopi della Vita, e i destini dello spirito individualizzato per effetto

del transito nella Vita incarnata. Si rinvengono qua e là delle immagini

magnifiche, comprensive; grandiose, ma quasi sempre espresse in lingua

povera, e accomodate in versi pedestri e volgari. Le concezioni cosmogoniche

che vi si insegnano appariscono razionali ed accettabili; qualche volta

assurgono a vera altezza filosofica, come quando si accenna all’immanenza di

Dio nell’universo, la quale si rivelerebbe ai mortali sotto forma di «Moto»; e

come quando si analizzano il Tempo e lo Spazio, attributi di Dio, perché

infiniti qual è Dio; ciò che di deduzione in deduzione conduce la personalità

medianica comunicante a far capo a una concezione che s’identifica con

l’ipotesi «dell’Etere Dio».

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Si prova quasi un senso di dispetto in vedere espressi pensieri

filosoficamente sublimi in versi tanto pedestri, e in forma spietatamente

volgare. Eppure i versi corrono sempre, e le rime sono quasi sempre

spontanee; ciò che rivela una indiscussa familiarità con la tecnica del verso

nella personalità medianica comunicante. Quest’ultima si lagna sovente col

medium il quale riveste le idee che gli trasmette in una forma poetica

trasandata; ed essa aggiunge che non può impedirlo. Deve riconoscersi che in

tali affermazioni della personalità comunicante si rinviene un fondo di verità,

in quanto esse concordano con le odierne cognizioni acquisite in proposito,

sulla base delle esperienze di trasmissione telepatica del pensiero, le quali

dimostrarono come il solo pensiero appartenga alla mentalità dell’agente,

mentre la forma in cui viene rivestito appartiene all’elaborazione subcosciente

del percipiente. Deve pertanto inferirsene che se, come nel caso nostro, il

medium è persona priva di coltura letteraria, egli non potrà non rendere assai

male i concetti trasmessigli telepaticamente dalla personalità medianica

comunicante.

Questo è quanto può invocarsi in favore dell’origine estrinseca di questo

«Poema Sacro», il quale se induce a perplessità malgrado le deficienze grandi

della forma, ciò avviene in ragione della elevatezza filosofica di talune sue

parti. Comunque, dal punto di vista dell’identificazione personale del

sedicente spirito comunicante, deve riconoscersi che nulla in esso si rinviene

che possa indirettamente avvalorare la presunzione che potesse trattarsi

effettivamente del poeta Lodovico Ariosto, salvo la bellezza di talune

immagini, per quanto esse risultino costantemente sciupate dalla volgarità

della forma.

In pari tempo deve altrettanto francamente riconoscersi che se si vuole

attribuire il tutto alle facoltà di elucubrazione artistica inerenti alla

subcoscienza del medium che le dettava, il quesito non manca di apparire

abbastanza oscuro e imbarazzante; giacché il medium non era soltanto

destituito di coltura letteraria, ma nulla sapeva in fatto di scienza e di

filosofia. Di dove dunque scaturì l’ispirazione grandiosa di certe parti del suo

sistema cosmogonico? Né bisogna dimenticare il fatto stupefacente del

medium che in soli tre anni, oltre il «Poema Sacro» in 29 canti e 3000 ottave

(il che forma un volume di 915 pagine), dettò due commedie in versi attribuite

a Carlo Goldoni, tredici lunghissime novelle ugualmente in versi; due cantiche

in terzine dantesche; un melodramma, una tragedia, cinque canti giocosi

firmati dal defunto suo zio che fu poeta giocoso in vita, e infine un grosso

volume di liriche.

Produzione poetica enorme, sempre deficiente nella forma, ma

frequentemente buona, qualche volta ottima per la sostanza, per le immagini,

per la profondità del pensiero filosofico. Comunque, convengo francamente

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che non è il caso di soffermarci ulteriormente a commentare la produzione

medianica dello Scaramuzza, visto che la medesima non presenta dati

sufficienti onde ricavarne inferenze più o meno legittime in favore dell’una o

dell’altra delle ipotesi esplicative antagoniste che si contendono il campo in

metapsichica. Probabilmente né l’una né l’altra delle ipotesi in discorso

potrebbe valere a darne ragione da sola; per cui si sarebbe indotti a

concludere che nei casi della natura esposta, le interferenze subcoscienti

potrebbero alternarsi in guisa inestricabile con fugaci irruzioni d’ispirazione

supernormale, la cui natura non è, per ora, definibile.

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IL CASO DICKENS

Nulla volendo omettere in questa enumerazione dei casi speciali qui

considerati, debbo ancora accennare al notissimo episodio riguardante il

romanzo di Carlo Dickens: «Edwin Drood», romanzo rimasto incompiuto alla

sua morte, e che lo spirito del romanziere stesso avrebbe condotto a

compimento post-mortem, pel tramite del medium T.P. James, giovane

operaio meccanico nord-americano, privo di coltura letteraria.

L’episodio si svolse nell’anno 1873, e dal punto di vista probativo, esso

appare incontestabilmente genuino. I particolari con cui si estrinsecò tale

serie di sedute risultano molto interessanti, ma sono anche assai noti -

specialmente per opera dell’Aksakof - e non è il caso di ricordarli. L’origine

supernormale del dettato medianico venne alternativamente affermata e

negata da numerosi commentatori, i quali lo fecero valendosi ugualmente, ed

altrettanto efficacemente, dell’analisi comparata tra le due sezioni - autentica

e postuma - del romanzo in questione.

I partigiani della soluzione puramente subcosciente dell’enigma, si

adoperano sopratutto a rilevare e commentare le deficienze e le incoerenze

d’ordine generale. Così, ad esempio, Mad. Fairbanks fa rilevare che nelle carte

postume di Carlo Dickens fu rinvenuta una scena anticipatamente scritta per

la seconda parte del romanzo, scena che non venne riprodotta nella dettatura

medianica. - Mrs. Vesel osserva a sua volta che leggendo questa seconda

sezione postuma del romanzo in esame, trovò per la prima volta il Dickens

monotono e pesante.

Per converso, gli assertori dell’origine genuinamente spiritica del dettato

medianico, hanno molto da rilevare di analiticamente suggestivo, a

cominciare dal fatto che il «racconto riprende al punto preciso in cui l’aveva

interrotto il Dickens, e ciò con tale naturalezza che il critico più esercitato non

sarebbe in grado di segnalare quel punto». Rilevano inoltre numerosi

particolari di stile, di forma, di costruzione, di ortografia realmente eloquenti

in senso affermativo. Così, ad esempio la parola «traveller» (viaggiatore)

risulta costantemente scritta con doppia «l», com’è l’uso in Inghilterra,

laddove agli Stati Uniti si scrive con una «l» sola; e la parola «coal» (carbone)

risulta costantemente scritta con una «s» finale, come usano gli inglesi, e

come non usano gli americani. Si nota inoltre nell’autore una familiarità

topografica minuziosa della città di Londra, dove il medium non era mai

stato. Così pure, abbondano nel dettato i «modi dì dire» familiari agli inglesi,

e non adoperati dagli americani. Infine, si passa in esso bruscamente dal

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tempo passato al tempo presente, sopratutto nelle scene movimentate,

consuetudine caratteristica del Dickens, ma che non si rileva in altri

romanzieri.

Sir Arthur Conan Doyle, analizzando a sua volta il caso in un articolo

pubblicato sulla «Fortnightly Review» (December 1927), fa rilevare altre

analogie, a cominciare dai titoli dei capitoli, i quali nel dettato medianico

conservano inalterata l’impronta originale specialissima dei titoli cari al

Dickens. Egli inoltre, cita due brani descrittivi tratti dal dettato medianico,

insieme ad altri due brani del medesimo genere ricavati dalla parte autentica

del romanzo, senza indicare a quale dei due testi appartengano i singoli brani,

e invitando i critici a sceverare gli autentici dai medianici; compito ch’egli

dichiara assai arduo, data l’identità perfetta dello stile e della forma, nonché

della loro bellezza letteraria improntata a un identico temperamento artistico.

Con tutto ciò anche Sir Arthur Conan Doyle riconosce che il vero Dickens

avrebbe forse fatto agire diversamente taluni personaggi del romanzo, ma

osserva giustamente: «Mi sembra, però, che il voler troppo insistere su tal

punto, equivarrebbe a pretendere che un Dickens appesantito dal suo

connubio col cervello del medium James, debba mantenersi mentalmente

agile come un Dickens che adopera il cervello proprio. Bisogna razionalmente

concedere qualche cosa in proposito». Osservo che quest’ultima

considerazione si conforma a quanto feci osservare in precedenza a proposito

dei dettati medianici di Francesco Scaramuzza. Comunque, anche Sir Arthur

Conan Doyle conclude osservando che nel romanzo postumo in questione

«siamo ancora lungi dall’essere autorizzati ad affermare l’esistenza di una

reale ispirazione da parte del grande romanziere».

Ed è in tal senso che concluderemo anche noi; vale a dire che se i processi

dell’analisi comparata, anche questa volta appariscono cumulativamente più

suggestivi in senso affermativo che in senso negativo, tuttavia una siffatta

circostanza non autorizza ancora a formulare giudizi precisi al riguardo; per

cui dovrà riconoscersi che neanche il caso Dickens può annoverarsi tra quelli

che valgono a far propendere decisivamente la bilancia delle probabilità in

favore dell’interpretazione spiritica dei fatti.

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IL CASO SHARP-MACLEOD

Nella narrazione che mi accingo a riferire viene segnato il primo passo

decisivo nel dominio del supernormale, per quanto si rimanga ancora

abbastanza perplessi quando si voglia definire la vera natura della

manifestazione supernormale implicata. Alludo con ciò al notissimo caso

«William Sharp-Fiona Macleod», in cui è questione del misterioso connubio

di due disparatissimi scrittori in una sola persona.

Il critico letterario F.E. Leaning, il quale fece uno studio accurato del caso

in esame, così comincia un suo articolo pubblicato nel «Light» (1926, p. 218):

«Nei primi mesi dell’anno 1890, il mondo letterario inglese fu sorpreso e

dilettato dalla pubblicazione di un romanzo e di una raccolta di poesie che

portavano il nome di Fiona Macleod. Per quanto quel nome fosse a tutti

sconosciuto, emergeva palese che si trattava di una nuova stella di prima

grandezza che sorgeva sull’orizzonte letterario; e infatti così fu e per dieci anni

essa brillò di splendore incomparabile, formando la delizia estatica degli

amatori di una letteratura ispirata alle origini celtiche, e interessando e

commovendo i lettori di romanzi.

«Non era da meravigliarsi per tale subitaneo e incontrastato successo di

quella serie di opere letterarie saturate di uno strano potere fascinatore che

avvinghiava ed entusiasmava, vitalizzate con “celtico sale” sparso a piene

mani; nella prosa delle quali si conteneva maggior copia di poesia di quanto

avrebbe potuto concepire una folla di poeti. Questi i motivi per cui le opere di

Fiona Macleod avvinsero i cuori di un’intera generazione. Il grande Meredith

aveva salutato la nuova scrittrice come una donna di genio; scrittori di

prim’ordine come Yeats e Giorgio Russel l’accolsero quale una “pari”. Ma

Fiona Macleod si comportava da Sfinge; nessuno la conosceva

personalmente; essa eludeva la curiosità di tutti, voleva mantenere il segreto

intorno a sé. Quando le si fecero insistenti premure affinché riferisse qualche

ragguaglio intorno alla sua persona, essa informò di essere nata mille anni or

sono, da un padre denominato “Sogno”, da una madre che si chiamava

“Romanza”, in una residenza situata colà dove prende forma l’arcobaleno.

«Naturalmente il mistero in cui si avvolgeva la geniale scrittrice, spinse

molti a lavorare di fantasia, e vi furono taluni che pervennero a colpire nel

segno; ma costoro furono subito neutralizzati con la più solenne delle

smentite, ovvero tacitati col metterli a parte del mistero, previo impegno

giurato di mantenere il segreto. Il quale fu mantenuto fino alla morte

dell’autore, avvenuta nell’anno 1905.

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«E allora il mondo letterario inglese fu colto da sbalordimento, e da tutte le

riviste si levò un brusio di api sciamate, poiché si apprese che la misteriosa

scrittrice, piena di grazie e di fantasia femminile, alla quale tanti scrittori

avevano fatta la corte da lontano, era una persona sola col pubblicista e

romanziere William Sharp».

Questa la descrizione efficace con cui F.T. Leaning rende conto del

trionfale successo letterario della misteriosa Fiona Macleod, successo

terminato con l’inatteso «colpo di scena» esposto.

La vedova di William Sharp pubblicò un volume di memorie biografiche

sul marito, esponendo i fatti nella loro cronistoria verace e particolareggiata,

con l’intento di agevolare il compito dei psicologi i quali si fossero proposti di

analizzare il caso.

Si apprende da tale volume che William Sharp era un «sensitivo» e un

«veggente» dalla prima infanzia. Egli scorgeva a sé intorno compagni di

giuoco inesistenti, scorgeva gli «spiriti degli alberi», gli «spiriti della natura»,

i quali gli apparivano in forme gigantesche o nane, e un giorno gli apparve la

«fata dei boschi» sotto le spoglie di una bellissima signora, ch’egli denominò

«occhi di stella». Aveva sette anni quando la vide per la prima volta, in una

calda giornata estiva, eretta e meravigliosa nel mezzo a una festa di fiori

campestri dalle campanule azzurre, e dagli occhi di lei si sprigionava tanto

fascino e tanto amore che il bimbetto si gittò nelle sue braccia. Lo rinvennero

in quel punto, piangente e desolato, chiedendo appassionatamente di rivedere

la bella signora «dai capelli d’oro luminosi». Gli dissero ch’egli era stato

abbacinato dal sole, che aveva fatto un bel sogno. Lo Sharp aggiunge: «Io non

dissi nulla. Mi acquietai, ma non dimenticai». E quando il bimbetto fu

cresciuto negli anni, quando divenne pubblicista e romanziere, facendosi

notare per la maschia vigoria del proprio temperamento di scrittore, la «fata

dei boschi», sotto il nome di «Fiona Macleod» intervenne a dettargli per

«ispirazione» romanzi e poesie saturati di grazia femminile, di fantasie di

sogno, di reminiscenze celtiche di mille anni or sono. Questa, almeno, la

convinzione profonda di William Sharp; per quanto gli capitassero momenti

di perplessità derivati dalla circostanza che andava soggetto ad emergenze

altamente suggestive di ricordi personali di un’altra esistenza vissuta sotto

spoglie femminili; ciò che lo portava a identificare in qualche modo se stesso

con Fiona Macleod.

A pagina 301 delle memorie in esame, la vedova rende conto in questi

termini delle differenze radicali esistenti tra il modo di comporre del marito

quando personificava Fiona Macleod, e quando scriveva per conto proprio:

«Durante gli anni in cui Fiona Macleod sviluppò tanto rapidamente se

stessa, il suo coadiutore sentiva la necessità di sostenere, fin dove era

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possibile, anche la riputazione che si era acquistata come William Sharp, ed

anzi era ansioso di non lasciarla decadere. Ma eravi una radicale differenza

tra le modalità di produzione dei due generi letterari. Gli scritti di Fiona

Macleod erano conseguenza di un impulso interiore irresistibile: egli scriveva

perché era obbligato ad esprimere ciò che prorompeva non cercato dall’animo

suo: non importa se ciò gli apportava piacere o dolore. Quanto allo scrittore

William Sharp, egli produceva con modalità diametralmente opposte a quelle

della propria personalità gemella: scriveva perché aveva determinato di farlo

e limava diligentemente la forma. Scriveva perché le necessità della vita glielo

imponevano... ».

Risulta pertanto provato che William Sharp dettò per impulso estraneo alla

propria volontà gli scritti di Fiona Macleod; per cui dovrebbe inferirsene che

egli fosse un «medium» ad ispirazione; ciò che del resto si desume in modo

certo da numerosi passi delle memorie pubblicate dalla vedova. Così, ad

esempio, a pagina 424, essa scrive: «Io mi trovai sovente al suo fianco quando

cadeva in “trance”, e allora tutto l’ambiente pulsava; ogni cosa entrava in

vibrazione intensa. Deploro di non aver preso nota immediata di siffatte

esperienze, le quali erano frequenti, e costituivano una caratteristica della

nostra vita intima».

E William Sharp, scrivendo alla propria moglie, in data 20 Febbraio 1896,

così si esprime:

«Vi è qualche cosa di strano e di elettrizzante nel fatto di avere la

consapevolezza che in me si danno convegno due persone. Quanto intime!

Eppure quanto tra di loro diverse! Sento talvolta come se Fiona si trovasse

addormentata nella camera attigua, e sorprendo me stesso in attitudine di

ascolto, quasi a spiarne i passi, ovvero nell’attesa di vedere spalancarsi la

porta e comparirmi Fiona. Essa, però, quando mi si comunica, lo fa

bisbigliandomi interiormente. Ora attendo con ansia di sapere come svolgerà

la trama del nuovo romanzo “The Mountain Lovers”. Quanto è strana questa

impressione di sentirmi qui solo con lei!» (pag. 244).

E la certezza in lui di avere un’invisibile compagna della vita, era così

radicata, che lo spingeva ad abitudini curiose. Così nel suo giorno natalizio

egli scriveva a se stesso una lettera augurale proveniente da Fiona; quindi

dettava un’altra lettera di ringraziamento da lui medesimo indirizzata a Fiona,

e poi le metteva entrambe alla posta. Nella sua libreria si rinvennero

numerosi volumi i quali portavano la dedica: «A William Sharp la sua

collaboratrice ed amica Fiona Macleod». A quanto sembra, queste ultime

dediche erano in certo modo autentiche, in quanto provenivano dalla

personalità medianica che si firmava, ed erano trascritte automaticamente dal

medium.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

15

Un amico di gioventù dello Sharp riferisce nel «Light» (1910, p. 598) un

episodio che conferma ulteriormente la di lui medianità. Egli scrive:

«Molti anni or sono (intorno al 1878) io feci la conoscenza e divenni amico

di William Sharp. Egli era ancora celibe, e viveva in un piccolo appartamento

prossimo al nostro. Un giorno introdussi il tema del moderno Spiritualismo,

ed egli osservò che non aveva mai assistito ad esperienze del genere, e che vi

sarebbe intervenuto volentieri. Allora lo invitai nel nostro circolo familiare.

Qualcuno domandò: “Quali sono le guide spirituali del signor Sharp?”. Il

tavolino compitò lentamente un cognome scozzese: Macleod (non ricordo

più il nome di battesimo). Ciò mi spinse a chiedergli: “Allora i vostri antenati

erano scozzesi?”...

«Alcuni anni dopo lo invitai a casa mia, avendo bisogno del suo consiglio

intorno a un volume di versi che mi accingevo a pubblicare, e gli confidai che

parecchie poesie del volume erano state da me dettate per “ispirazione”. Egli,

allora, mi esortò calorosamente a tenere ben nascosto il fatto, se non volevo

compromettere me stesso di fronte ai critici... In altra occasione, e a proposito

delle poesie di Fiona, aveva espresso la medesima preoccupazione: “Fiona

muore se il segreto dell’esser suo viene scoperto”. Tutto questo mi pare che

basti a spiegare il mistero. Egli era medium ad “ispirazione”, ma temeva di

lasciar trapelare la cosa. Le mirabili raccolte poetiche da lui pubblicate erano

le impressioni di un’intelligenza spirituale, la quale presumibilmente era il

suo “spirito-guida” e il nome di lei doveva essere proprio quello trasmesso per

la prima volta nel nostro circolo familiare: Macleod; il che, si noti bene, era

occorso molti anni prima che Fiona Macleod si manifestasse allo Sharp».

E qui, volendo esaminare i fatti da un punto di vista strettamente

psicologico, si potrebbe pensare a un caso di «personalità alternanti»;

sennonché troppe sono le differenze che si riscontrano tra i casi patologici

delle «personalità multiple», consecutive a un fenomeno di «disgregazione

psichica», e il caso qui considerato. Nel «Journal of the S.P.R.» (vol. XV, pag.

57), si fanno rilevare talune di tali radicali differenze. Il critico osserva:

«Le due personalità di William Sharp erano in un senso coordinate: tra

esse non si rilevava nessuna decisa o precisa superiorità dell’una sull’altra, sia

moralmente che intellettualmente; né le alternative con cui si manifestavano

parevano associate con elementi patologici. Entrambe dimostravano un

temperamento molto sensitivo e ad alta tensione, ma né l’una né l’altra

diedero mai segno di deficienze nell’equilibrio mentale o nel controllo di sé.

Entrambe produssero opere letterarie di speciale bellezza; sebbene Fiona di

gran lunga superasse l’altra in originalità, potere descrittivo e immaginazione.

«Inoltre, la caratteristica delle “personalità alternanti”: quella delle

notevoli variazioni di umore tra le medesime, variazioni che determinano

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

16

mutamenti più o meno grandi di carattere, e conducono a una reale

alternativa di personalità, è dagli psicologi ritenuta dipendente dal fatto

dell’esservi o non esservi lacune mnemoniche tra i diversi strati mentali. Ora,

non esistevano lacune mnemoniche tra William Sharp e Fiona Macleod, e la

conclusione che dovesse trattarsi di due personalità diverse pare debba

imperniarsi sulla precisa e incrollabile impressione in tal senso delle

personalità medesime, impressione che apparentemente non escludeva

l’altra, di esservi tra di loro una misteriosa unità sottostante alla diversità».

Come si fece osservare in precedenza, quest’ultima impressione dello

Sharp, sull’esistenza di un’unità sottostante alla diversità tra la personalità di

Fiona e la propria, traeva origine da speciali reminiscenze che talora

invadevano il campo della di lui coscienza normale; reminiscenze in cui gli

pareva di avere vissuto un’altra vita sotto spoglie femminee.

Al qual proposito dichiaro sinceramente che tali sorta d’impressioni

provate da William Sharp non si prestano punto a rischiarare il mistero:

tutt’altro. Infatti, se l’ipotesi psicologica delle «personalità alternanti» appare

facilmente eliminabile in quanto risulta in aperto contrasto col complesso dei

fatti, le altre due ipotesi che si è tenuti a prendere in considerazione a parità

di diritti (e ciò in quanto le impressioni provate dai protagonisti sono quelle

che contano per l’indagine delle cause), non sembrano facilmente conciliabili

tra di loro. Solo se si fosse trattato di un’entità spirituale la quale avesse

trasmesso telepaticamente le proprie concezioni letterarie al medium,

potrebbe dilucidarsi con grande facilità il caso in esame; laddove, invece,

l’ipotesi reincarnazionista contribuisce notevolmente ad ottenebrarlo, visto

che in tali contingenze dovrebbe ammettersi che una frazione della

personalità integrale del medium, frazione rappresentante una delle sue

proprie individuazioni incarnate esistita in tempi remoti, abbia potuto

emergere e manifestarsi alla propria individuazione presentemente incarnata

nelle condizioni d’intellettualità che la distinsero. Non è chi non vegga come

tale presupposto apparisca molto fantastico, letteralmente gratuito, e

teoricamente inconcepibile.

Stando le cose in questi termini, la soluzione migliore del mistero sarebbe

il tornare e il fermarsi all’ipotesi di una «Fiona Macleod spirito-guida di

William Sharp»; nel qual caso apparirebbe legittimo e razionale il risolvere il

quesito delle reminiscenze osservando che le impressioni del medium, il quale

si sentiva talora invaso da sentimenti femminei, con reminiscenze di un’altra

esistenza trascorsa sotto spoglie muliebri, dovrebbero attribuirsi alla

circostanza del realizzarsi di fugaci interferenze tra la coscienza normale del

medium e la memoria personale dello «spirito-guida» che in quel momento

ne controllava l’organo cerebrale, o ne influenzava telepaticamente il

pensiero. Noto che nelle esperienze di «psicometria» si riscontra sovente la

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

17

circostanza dei sensitivi i quali sottostanno all’impressione di essersi

immedesimati nella personalità di colui - vivente o defunto - col quale sono

entrati in rapporto; e ciò fino al punto dal risentire nel proprio sensorio le

idiosincrasie del di lui temperamento, con risveglio di reminiscenze sulle di

lui modalità di esistenza, e sulle impressioni di ambiente in cui visse, così

come se si fossero temporaneamente trasfusi in lui e confusi con lui, pur

conservando la coscienza di sé. Nella mia monografia sugli «Enigmi della

Psicometria» ho citato esempi in cui tale immedesimazione del sensitivo nelle

vicende dell’esistenza altrui, si realizza financo nella circostanza della messa

in rapporto con animali.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

18

IL CASO WILDE

Passando ad esporre il caso riguardante il celebre poeta e drammaturgo

inglese Oscar Wilde, ricordo che alcuni anni or sono, avendo io dedicato un

lungo studio all’analisi delle mirabili prove d’identificazione personale fornite

da tale entità comunicante pel tramite della medium Esther Dowden («Revue

Spirite», Mars-Avril 1926), io terminavo osservando come nel caso in discorso

venissero fornite tutte le prove cumulative che si era ragionevolmente in

diritto di esigere in tali contingenze; a cominciare dalla trasmissione di

numerosi incidenti personali ignorati da tutti i presenti e risultati veridici, per

passare alla prova memorabile dell’identità calligrafica proseguita

impeccabilmente per centinaia e centinaia di pagine (il che è ben diverso dalla

riproduzione di una semplice firma); indi all’altra prova più importante

ancora dell’identità dello stile, o meglio, dei due stili che caratterizzavano la

personalità letteraria del defunto; e infine, a quella più di ogni altra

conclusiva, dell’emergenza dietro allo stile, della di lui personalità

intellettuale e morale, in ogni sua sfumatura del carattere; personalità

complessa, originale e inimitabile. Dopo di che aggiungevo:

«Osservo, infine, che alle prove fornite, Oscar Wilde promise recentemente

di aggiungerne un’altra: quella di dettare una commedia postuma per ausilio

della sua medium».

Ed egli mantenne parola. Tale commedia fu dettata alla medium subito

dopo la pubblicazione del suo libro «Psychic Messages from Oscar Wilde».

Mrs. Esther Dowden (Travers-Smith) fornisce in proposito i seguenti

ragguagli:

«Non sono mai stata ammiratrice delle opere di Oscar Wilde, né la sua

personalità ebbe mai attrattive per me. Ritengo pertanto razionale il

concluderne che la mia mano ha dettato ragguagli e scritti i quali non

provenivano da me. Oscar Wilde aveva fiorito in un tempo che non fu il mio, e

dalle sue opere emana un’atmosfera letteraria ben diversa dall’odierna. Io non

posso tornare indietro com’egli fa, al periodo del 1880; egli non può

emanciparsi dai gusti letterari e dai costumi dei suoi tempi, che io invece non

ricordo affatto. Ora è in tale sua condizione mentale che consiste la

caratteristica più spiccata di ogni suo messaggio medianico, nonché della sua

commedia. Allorché me la dettava, egli chiese che lo informassi intorno ai

gusti letterari ed ai costumi dei nostri tempi, ma sebbene io gli spiegassi quali

radicali cambiamenti si fossero realizzati in proposito, egli non ne tenne

conto, e non pervenne ad emanciparsi dall’ambiente in cui visse.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

19

«Personalmente, io ritengo che la prova più convincente che immaginar si

possa in favore della sopravvivenza, sia quella che riguarda la personalità

intellettuale e morale dei defunti comunicanti. I ragguagli forniti sulla loro

esistenza terrena, specialmente se ignorati da tutti i presenti, sono importanti

e convincenti, ma essi risultano quasi sempre suscettibili di essere spiegati

con l’ipotesi delle reminiscenze latenti nelle subcoscienze dei presenti

(criptomnesia). Non intendo con questo di menomare in nulla l’importanza

di siffatti ragguagli, i quali rimangono la base sulla quale poggiano le indagini

sperimentali intorno al quesito della sopravvivenza, e senza di essi non

potrebbe considerarsi provata l’identificazione di un defunto. Nondimeno

ogni qual volta i ragguagli del genere rimangono le sole prove di cui

disponiamo, noi non possiamo ritenerci autorizzati ad affermare che la

personalità del defunto comunicante fosse realmente presente, o che lo spirito

sopravviva alla morte del corpo. E’ la mentalità del defunto che fa d’uopo

rintracciare nelle manifestazioni medianiche; è la personalità intellettuale e

morale di lui, con tutte le sfumature del suo temperamento, del fraseggiare

che gli era caratteristico, che si è tenuti a indagare sperimentalmente se si

vuole pervenire a dissipare ogni dubbiezza circa il problema dell’oltretomba.

Io ritengo che nel campo delle ricerche psichiche non siasi ancora

debitamente valutata tutta l’importanza risolutiva che riveste la personalità

psichica del comunicante come fattore essenziale nelle prove

d’identificazione spiritica.

«Allorché i messaggi di Oscar Wilde si succedevano giornalmente, io gli

chiesi se non avrebbe potuto dettarmi qualche lavoro letterario, a titolo di

prova ulteriore della sua presenza. Così chiedendo, io non pensavo affatto a

una produzione teatrale, e avevo in mente i suoi “Saggi letterari”, in cui,

secondo me, si contiene quanto di meglio ha prodotto il suo ingegno. Fu lo

stesso Oscar Wilde a dichiararmi che avrebbe scritto una commedia,

asserendo che si sentiva di poterlo fare. Io, invece, rimanevo piuttosto scettica

al riguardo, e ciò per la considerazione che nella medianità ad estrinsecazione

psicografica, riescono bene soltanto le sedute brevi; dimodoché io

consideravo impossibile il suo progetto di dettarmi un’intera commedia.

«E i primi tentativi parevano giustificare il mio scetticismo: Oscar Wilde si

dimostrava un comunicante indeciso, difficile, autoritario, e qualche volta di

pessimo umore. Nelle prime cinque o sei sedute, egli discusse con me intorno

alle condizioni medianiche; m’informò che aveva già concepito l’intreccio di

un’intera commedia, ch’io non dovevo preoccuparmi di nulla, ch’egli si

sentiva in grado di disporre le scene, di scegliere i nomi dei propri caratteri e

di sviluppare questi ultimi, utilizzando in piena efficienza la tecnica del

dramma. Io gli feci osservare che le antiche modalità tradizionali sui

palcoscenici, erano gradatamente mutate ai dì nostri; che, per esempio, i

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

20

“soliloqui” erano stati aboliti. A tutte le mie osservazioni egli rispondeva a un

modo solo, e cioè ricordandomi che io non ero una scrittrice drammatica, e

che avendo egli già creato nella sua mente tutto l’intreccio del dramma, non

poteva più distaccarsene...

«E infatti, già dall’inizio, emergeva palese che Oscar Wilde aveva

organizzato nella mente tutto l’intreccio del suo dramma, per quanto non

pervenisse a svilupparne il dialogo com’egli avrebbe desiderato. Riconosco

sinceramente che la colpa era tutta mia, in quanto in quel periodo ero

sopraffatta da lavori urgenti che assorbivano la mia attività.

«Nel Giugno-Luglio 1923, venne compiuta in abbozzo la prima dettatura

dell’intero dramma, la quale però fu in seguito ripudiata dall’autore. Con ciò

non intendo dire ch’egli ne abbia rifatto la sceneggiatura: questa rimase qual

era, ma i caratteri dei personaggi furono invece notevolmente rimodellati.

«Dall’Agosto in poi, mi fu possibile dedicare regolarmente tre o quattro

sedute alla settimana ad Oscar Wilde; il che, di regola, avveniva dalle ore 11

alla una pomeridiana.

«Il sistema di lavoro adottato dal comunicante consisteva in un continuo

ritorno all’indietro. Quando egli aveva dettato un atto della sua commedia, la

mia coadiutrice - Miss Cummins - doveva rileggerlo ad alta voce, ed Oscar

Wilde la interrompeva ad ogni momento, suggerendo correzioni che

risultavano costantemente un miglioramento notevole su quanto era stato

dettato in precedenza. La sua diligenza e incontentabilità erano straordinarie,

ed eccedevano di gran lunga le corrispondenti mie qualità di lavoro. Rifaceva,

limava, intarsiava un periodo con tale paziente meticolosità da ingenerare in

me un senso opprimente di monotonia, che si trasformava in sonnolenza,

rendendomi penoso il proseguire.

«Essendomi proposta di non rileggere mai quanto veniva dettato, e ciò

onde evitare che la mia mentalità subcosciente potesse influire sul dettato in

corso, io ritenevo che non vi fosse intreccio coerente in quella commedia, e mi

sarei scoraggiata se non vi fosse stata Miss Cummins ad assicurarmi ogni

tanto che l’intreccio si andava sviluppando in guisa coerente e interessante.

«Tale lavoro drammatico venne dall’autore intitolato: “Una Commedia

straordinaria”. Qualora venisse rappresentata, non so se i “capocomici”

consentiranno a mantenere il titolo; ma se vorranno modificarlo, sono ben

sicura che Oscar Wilde avrà molto a ridire in proposito.

«Egli spiegò che con la sua commedia aveva inteso dimostrare la continuità

inalterata dell’esistenza umana - negli scopi e nelle aspirazioni - tanto prima

che dopo la crisi della morte, e che perciò l’ultimo atto si sarebbe svolto nel

mondo spirituale. Quando egli espresse tale suo proposito, io tornai a

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

21

scoraggiarmi, ben sapendo che nulla può esservi di più arduo in letteratura

che il volere interpolare scene dell’Al di là in una commedia. Quando si vuole

introdurvi tale elemento, si va incontro inevitabilmente a un insuccesso.

Queste le mie preoccupazioni quando Oscar Wilde partecipò che l’ultimo atto

della sua commedia doveva svolgersi nelle Sfere spirituali...

«A lavoro finito, io lessi il dramma a un’amica la quale possiede una pratica

grande del palcoscenico. Quando giunsi a metà del secondo atto, essa

m’interruppe - osservando: “Tutto questo è siffattamente mondano, che

l’autore non potrà mai varcare il ponte che separa il visibile dall’invisibile. E’

un compito impossibile”. Ma quando pervenni alla fine, essa proruppe in

esclamazioni di sorpresa e di ammirazione per la genialità con cui l’autore

aveva saputo sormontare ogni ostacolo. Nessuna soluzione di continuità

nell’intreccio del dramma, sebbene i primi due atti risultino di un genere

leggero, affine alla commedia del medesimo autore: “L’importanza di essere

seri”.

«Il dramma termina con una nota consolante. L’amore come noi lo

conosciamo, può essere o non essere l’amore quale si estrinseca nell’Al di là.

Nelle Sfere spirituali l’amore-passione ha cessato di esistere, e l’amore si

estrinseca nella ricerca “dell’anima gemella”, la quale risulti il complemento

di noi stessi. Completare se stessi: questa l’aspirazione suprema di ogni

spirito; e quando la meta è raggiunta, agli spiriti coniugati si rivela chiaro e

radioso il cammino ascensionale che percorreranno uniti» («Light», 1925, n.

524).

Questa la descrizione interessante ed istruttiva fornita da Mrs. Esther

Dowden intorno alle modalità con cui le venne dettata la commedia di Oscar

Wilde. A complemento della descrizione stessa, riferisco ancora un paragrafo

tolto da un articolo che il direttore del «Light» - Mr. David Gow - dedicò al

memorabile evento. Egli osserva:

«Incidentalmente, noto che io ebbi personalmente ad assistere alla

dettatura medianica del dramma di Oscar Wilde, durante la quale, il defunto

autore tenne la medium e la sua segretaria occupate per settimane di seguito,

correggendo, rifacendo, limando, e impartendo una tale molteplicità di

disposizioni e d’incombenze, da rendere gravosa l’esistenza ad entrambe le

sue dipendenti. Ogni cosa si svolse come se un invisibile, ma realissimo

autore si fosse messo febbrilmente al lavoro, dimostrando alternatamente un

temperamento stizzoso, irritabile, piagnucoloso, brillante, cinico, e qualche

volta mite e simpatico.

«La commedia venuta in luce in tal guisa, appare un’opera d’arte

straordinaria; ma è da rilevare in proposito che un “capocomico” al quale

venne offerta per la rappresentazione, dopo averla letta, riletta e ponderata,

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

22

dichiarò che rinunciava a rappresentarla, non già perché non fosse l’opera di

Oscar Wilde, ma perché era anche troppo la sua! Intendendo con ciò riferirsi

all’intreccio e alla tecnica scenica delle commedie di Oscar Wilde, che

apparivano ormai antiquate» («Light», 1928, pag. 18).

Quest’ultima dichiarazione di un “capocomico” risulta invero preziosa ed

altamente suggestiva.

Riassumendo e concludendo, osservo che dal punto di vista teorico tutte le

circostanze di fatto sopra enumerate assumono cumulativamente un valore

enorme in favore dell’interpretazione spiritica del caso in esame. Sta di fatto

che coloro i quali ebbero a leggere la commedia postuma di Oscar Wilde

concordarono nell’affermare ch’essa risulta un’opera d’arte magistralmente

condotta, e che quest’opera d’arte risulta una riproduzione meravigliosa della

forma, della lingua, dell’intreccio, della tecnica teatrale che in vita

caratterizzavano complessivamente un solo autore: Oscar Wilde. E come se

ciò non fosse più che sufficiente a identificare una personalità letteraria, viene

ad aggiungersi l’incidente altamente eloquente di un «capocomico» il quale

osservò come la commedia in discorso non risultasse rappresentabile con

successo, in quanto l’intreccio e la sceneggiatura si dimostravano antiquati di

mezzo secolo. Non si poteva desiderare una conferma più efficace di questa in

favore della identità personale dell’entità di defunto che l’aveva dettata,

giacché la fama di Oscar Wilde toccava all’apogeo or fa mezzo secolo, e i

drammi da lui dettati in vita presentano tutti i medesimi difetti rilevati dal

«capocomico», unitamente a tutte le grandi qualità letterarie, e alle

specialissime idiosincrasie psichiche dianzi esposte.

Ed ora, riferendomi a quanto feci osservare in principio, ricordo che Oscar

Wilde aveva fornito in precedenza tutte le prove d’identificazione personale

che razionalmente potevano esigersi da un defunto comunicante. Ricordo che

feci osservare come la sola prova ch’egli avrebbe ancora potuto fornire per la

sua identificazione sarebbe stata quella di dimostrare ai viventi che la sua

intellettualità, il suo temperamento di scrittore, la sua virtuosità

incomparabile di cesellatore delle frasi, e di artista innamorato delle parole, si

erano conservate intatte dopo la morte del corpo. Orbene: egli ha fornito

anche questa ultima prova, la quale riveste un valore probativo superiore a

quello di ogni altra, per quanto non si potrebbe fare a meno delle altre se si

vuole raggiungere la dimostrazione sperimentale, sulla base dei fatti, della

sopravvivenza di un’individualità pensante.

Noto infine che il valore teorico di quest’ultima «prova letteraria» appare a

tal segno efficace da trionfare financo di un’obbiezione naturalistica fondata

sopra un’ipotesi metafisica a latitudini sconfinate. Alludo con ciò all’antica

ipotesi - odiernamente tornata di moda - formulata con intenti puramente

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

23

speculativi dal professore William James, secondo la quale non si potrebbe

teoricamente escludere la possibilità dell’esistenza nell’universo di un

«serbatoio cosmico delle memorie individuali», dal quale i mediums

attingerebbero i ragguagli veridici forniti al riguardo di personificazioni di

defunti a tutti sconosciuti. Non è questo il momento di discutere tale ipotesi,

da me lungamente analizzata e confutata sulla base dei fatti, in una speciale

monografia; qui osservo unicamente che ove anche si volesse concedere

all’ipotesi in discorso tutta la latitudine incommensurabile che le conferiscono

i suoi propugnatori, contuttociò essa non perverrebbe a dare ragione delle

prove d’identificazione spiritica analoghe a quella esposta, visto che le

medesime non si riferiscono a ciò che dovrebbe rinvenirsi in un «serbatoio

cosmico delle memorie individuali». Infatti è palese che nel caso nostro

non si tratta di ricordi di nessuna specie, ma bensì di un defunto il quale si

manifesta dettando un’opera letteraria; vale a dire, compiendo un’azione che

si svolge nel presente; e in conseguenza, che non potrebbe rinvenirsi allo stato

di vibrazione latente da nessuna parte.

Ripeto pertanto che la circostanza di essere pervenuti a trionfare anche

dell’ipotesi metafisica del «serbatoio cosmico delle memorie individuali»,

appare una circostanza teoricamente importantissima, in quanto equivale ad

affermare che nessuna ipotesi naturalistica perverrà mai a spiegare nel suo

complesso il memorabile caso d’identificazione spiritica in cui fu protagonista

il defunto scrittore Oscar Wilde.

Noto come tutto ciò valga altresì a fare emergere il valore teorico

specialissimo che possono assumere i casi in genere di comunicazioni

psicografico-medianiche in cui sia questione di «saggi letterari» dettati da

entità di defunti sé affermanti scrittori conosciuti; vale a dire, di «saggi

letterari» suscettibili di essere sottoposti ai processi dell’analisi comparata.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

24

IL CASO WORTH

Il caso che segue, e i mirabili «saggi letterari» forniti dall’entità

comunicante, non sono suscettibili di venire sottoposti al criterio

sperimentale dell’analisi comparata intesa a indagarne la genesi subcosciente

od estrinseca; ma, in compenso, il caso stesso presenta tali caratteristiche di

eccellenza letteraria e di genialità indiscutibile, da compensare ad usura

l’inconveniente esposto, permettendo di giungere ugualmente a una positiva

conclusione teorica.

Mi riferisco con ciò al famoso caso della personalità medianica «Patience

Worth», quale si estrinsecò per lunghi anni pel tramite della medium

nordamericana Mrs. Curran, da poco defunta. Del caso in questione si è

lungamente discusso sulle riviste metapsichiche e spiritiche, nonché sulle

riviste di varietà e sui giornali politici; ma se lo spoglio della maggior parte di

tali documenti risulta proficuo onde formarsi un chiaro concetto sulle

opinioni dei competenti e dei non competenti in argomento, nondimeno, se si

vuole acquisire padronanza assoluta del tema, non ci si può dispensare dal

ricorrere all’opera magistrale del dottor Walter Franklin Prince: The Case of

Patience Worth. Ed è in massima parte da quest’opera ch’io ricaverò il

materiale dei fatti e delle osservazioni che mi occorrono (1).

(1) The Case of Patience Worth, a critical study of certain unusual

phenomena, by Walter Franklin Prince, Ph.D. - Pubblicato dalla «Boston

Society for Psychical Research», Boston, 1927, pagg. 509.

Nell’estate del 1913, Mrs. Pearl Lenore Curran, insieme all’amica Mrs.

Hutchings, si recarono in visita presso una loro vicina, la quale possedeva lo

strumento medianico denominato «Ouija» (quadrante alfabetico, munito di

lancetta mobile). Furono indotte a tentare la prova di servirsene, e tosto si

manifestò la personalità medianica di un parente di Mrs. Hutchings.

Quest’ultima ne rimase bene impressionata; comprò a sua volta un «Ouija», e

si recò a casa di Mrs. Curran, proponendole di continuare insieme gli

esperimenti. Non tardarono a manifestarsi personalità di congiunti

appartenenti ad entrambe le sperimentatrici, ma dopo qualche giorno il

quadrante «dell’Ouija» disegnò le lettere di un nome a tutti sconosciuto:

quello di «Patience Worth». Tale inattesa entità si dimostrò subito esuberante

di vita e padrona assoluta dello strumento medianico. Si manifestò dettando

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

25

la frase seguente: «Molte e molte lune sono trascorse dall’epoca in cui vissi.

Ed eccomi di ritorno al vostro mondo. Il mio nome è Patience Worth».

Ma una volta dichiarato l’esser suo, essa non parve accordare importanza

alle richieste di ragguagli sulla propria esistenza terrena, osservando che la

circostanza di essere vissuta nel secolo diciassettesimo rendeva impossibile

ogni indagine sul di lei conto. Aggiungeva che «la sua vera identità personale

doveva emergere dalla eccellenza e dalla natura delle opere letterarie che si

disponeva a dettare alla medium»; il che risultò verissimo, in quanto tali

opere bastano, o dovrebbero bastare razionalmente a dimostrarne

l’indipendenza spirituale. Comunque, e in merito alla propria esistenza

terrena, occorse sovente all’entità comunicante di alludervi incidentalmente, e

da tali allusioni si apprende che Patience Worth asseriva di essere nata in

Inghilterra, nell’anno 1646 (o 1694), di essere vissuta nel villaggio in cui

nacque, lavorando nei campi, fino a quando raggiunse la maggiore età; epoca

in cui emigrò in America, dove qualche tempo dopo rimase vittima di una

scorreria di Indiani. In base ad altre sue dichiarazioni, poté inferirsene ch’essa

era nata nel Dorsetshire; e quando qualche tempo dopo, Mr. Yost - uno degli

sperimentatori - partì per l’Inghilterra, Patience Worth gli descrisse varie

caratteristiche naturali della contea in cui era nata e vissuta (spiagge, colline,

monasteri e strade), per ausilio delle quali egli avrebbe potuto riconoscere il

villaggio che le diede i natali. Mr. Yost ebbe la curiosità di visitare il

Dorsetshire, e ritrovò le colline descritte, il vecchio monastero diruto, e le

strade serpeggianti preannunciate da Patience Worth.

Vedremo a suo tempo che quando nei romanzi e nelle poesie, occorre

all’entità comunicante di descrivere il paesaggio e le marine inglesi, essa ne

parla con l’accuratezza di persona che vi abbia soggiornato; il che è

interessante, in quanto Mrs. Curran non era mai stata in Inghilterra, ed in

quell’epoca non aveva mai visto il mare.

Tutto ciò sia detto per incidenza, poiché ripeto che l’importanza teorica del

caso in esame esorbita totalmente dalle prove d’identificazione personale, e

converge esclusivamente sul grande mistero della genesi di tante opere

letterarie eccellenti, in versi e in prosa, nonché sulle modalità straordinarie

con cui si estrinsecarono.

Noto che in talune circostanze in cui gli sperimentatori avevano ammirato

la bellezza letteraria del dettato medianico, Patience Worth aveva osservato

«che nel periodo della sua esistenza terrena, possedeva già quel medesimo

temperamento immaginoso e poetico»; osservazione interessante, giacché si

presta a dilucidare il mistero di una contadinella defunta la quale si manifesta

medianicamente dettando opere letterarie magistrali in versi e in prosa; vale a

dire che in base a tali ragguagli dovrebbe inferirsene che nella contadinella

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

26

del Dorsetshire fosse congenita la genialità di scrittrice, ma che le umilissime

condizioni sociali in cui era nata, ne avevano impedito l’emergenza, mentre

due secoli e mezzo di esistenza spirituale avevano contribuito ad evolvere

mirabilmente tali congenite sue doti intellettuali.

In merito alle capacità naturali della mentalità della medium, nonché alla

estensione della sua coltura generale, osservo che il dottor Prince intraprese

al riguardo indagini scrupolosissime, in base alle quali risultò che doveva

escludersi in modo assoluto ogni possibilità di emersioni subcoscienti di

cognizioni acquisite e poi dimenticate (criptomnesia); come doveva

escludersi in modo assoluto la possibilità di peculiari disposizioni della

medium per la poesia ed il romanzo. Mrs. Curran aveva cessato di frequentare

la scuola all’età di quattordici anni, non aveva mai manifestato attitudini

letterarie ed interesse per la letteratura, mentre le sue inclinazioni naturali la

portavano invece a dedicarsi all’arte musicale, e in conseguenza, aveva

appreso il canto col proposito di dedicarsi alla carriera teatrale. Il dottor

Prince rivolse specialmente le proprie indagini sulla coltura storica e letteraria

di lei, riscontrando come in tali branche del sapere si rinvenissero in lei delle

lacune cospicue, ma compatibili con un’esistenza trascorsa interamente in

una cittadina dello stato dell’Illinois, lontana da ogni centro importante di

coltura, nonché lontana dal mare, che Mrs. Curran non aveva mai visto.

Ora è precisamente la coltura storica, letteraria e filologica che appare

prominente nei romanzi di Patience Worth.

E per cominciare dalla coltura filologica, osservo com’essa risulti di un

genere da escludere senz’altro ogni possibilità di una collaborazione

subcosciente della medium nel dettato medianico. Patience Worth, infatti,

conversa costantemente nel proprio dialetto di tre secoli or sono, ed ha scritto

romanzi e poesie nella lingua antiquata, o nei dialetti dei suoi tempi; tutto ciò,

essa afferma, al fine di provare la sua indipendenza spirituale dalla medium.

Il professore Schiller dell’Università di Oxford osserva in proposito:

«Si rimane scossi e impressionati nell’apprendere che uno dei suoi romanzi

in versi sciolti, intitolato: “Telka”, il quale è costituito da 70.000 parole, è

scritto in lingua inglese antiquata, nella quale si contengono il 90 per cento di

parole aventi una pura origine anglo-sassone, mentre in esso non si rinviene

una sola parola acquisita alla lingua inglese dopo il 1600… Quando si

apprende ulteriormente che nella prima versione della Bibbia, si contengono

solamente il 70 per cento di vocaboli anglo-sassoni, e che fa d’uopo tornare

indietro fino a Layamon (1205) onde eguagliare la percentuale di vocaboli

anglo-sassoni usati da Patience Worth; quando si riflette a tutto questo, non si

può non riconoscere che ci si trova di fronte a un caso che può definirsi un

miracolo filologico». («Proceedings of the S.P.R.», vol. XXXVI, pag. 574).

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

27

E qui cade opportuno di completare le osservazioni del professore Schiller,

fornendo ulteriori ragguagli intorno al poema idilliaco, in versi sciolti,

intitolato «Telka», dal nome della protagonista.

Premetto anzitutto che all’epoca in cui venne dettato, Patience Worth

aveva cessato di adoperare «l’Ouija», e trasmetteva romanzi e poesie per

bocca della medium; vale a dire che quest’ultima, per quanto conservasse

piena coscienza di sé, percepiva una voce subbiettiva che le dettava parola per

parola; dimodoché la medium non faceva che ripetere ad alta voce le parole

udite, e un segretario le raccoglieva; per quanto sovente l’irruenza del dettato

fosse tale che il segretario non perveniva a seguitarlo; nel qual caso Patience

Worth ripeteva l’ultima frase e moderava la sua foga. In pari tempo la

mentalità della medium appariva a tal segno indipendente dal contenuto del

dettato, ch’essa era libera di fumare una sigaretta, era libera d’interrompersi

onde prendere parte alla conversazione dei presenti, era libera di alzarsi e

recarsi nella camera attigua onde rispondere a una chiamata telefonica.

Siffatte interruzioni non interferivano menomamente sul dettato medianico, il

quale riprendeva al punto preciso in cui era stato interrotto. E così avveniva

altresì da una seduta all’altra; vale a dire che la personalità medianica

riprendeva ugualmente a dettare dal punto preciso in cui erasi arrestata; ciò

anche quando erano trascorsi dei mesi dall’una all’altra ripresa; e una volta in

cui era stato smarrito uno dei primi capitoli di un romanzo già molto inoltrato

per la dettatura, Patience Worth lo dettò una seconda volta, e quando venne

rinvenuto il documento smarrito, si riscontrò che la seconda dettatura era una

riproduzione letterale della prima.

Per tornare al poema di «Telka», ecco quanto ne scrive il dottore Walter

Prince:

«I personaggi di “Telka” vivono; noi li vediamo, noi li conosciamo. Nessuno

tra essi è la replica di un altro. Qualche personaggio potrà manifestare

tendenze e disposizioni analoghe a quelle di un altro, ma in pari tempo

manifesta caratteristiche sue proprie, che lo distinguono da tutti gli altri. Al

contrario, nei personaggi di Maeterlinck (mi riferisco a questo scrittore per la

grande riputazione da lui meritatamente acquisita in un genere analogo),

risultano quasi sempre delle ombre senza vita, che ben difficilmente possono

individuarsi dalle loro parole, o da qualsiasi altra loro caratteristica... Eppure

noi tutti riconosciamo in Maeterlinck un grande artista. Comunque, io non

posso trattenermi dall’osservare che quando spunterà l’alba del giorno in cui

si sarà dissipata la ripulsione che odiernamente si risente per le produzioni

medianiche, le quali soprattutto riescono ostiche ai signori critici d’arte, allora

si scoprirà che Patience Worth, a volerla giudicare dal suo poema “Telka”,

appare di gran lunga superiore a Maeterlinck» (Ivi, pagg. 237-239).

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

28

A proposito della lingua antiquata adoperata nel poema in discorso, ecco

ciò che ne scrive Gasper Yost, il quale ha pubblicato un libro sulle proprie

esperienze con Mrs. Curran:

«“Telka” è unica nella purezza della sua lingua anglosassone, nella

combinazione delle varie forme dialettali di diversi periodi, in talune delle sue

peculiari forme grammaticali, nelle diversioni ed estensioni conferite al

significato di taluni vocaboli... - Essa, come lo Shakespeare, adopera talvolta

un avverbio alla guisa di un verbo, o di un nome, o di.un aggettivo... La

ragione di ciò va cercata nello stato transitorio in cui si trovava la lingua

inglese in quel periodo; ma tale rilievo risulta una prova di più in

dimostrazione che Patience Worth è in pieno accordo coi suoi tempi financo

nelle anomalie grammaticali... - Non può esistere dubbio sul fatto che questo

linguaggio di Patience Worth deve considerarsi in lei assolutamente

spontaneo; il che è provato ad esuberanza dalla circostanza ch’essa non lo

adoperò soltanto in talune delle sue opere, ma se ne serve costantemente nelle

conversazioni coi presenti...» (Ivi, pagg. 363-364-368).

Sempre a proposito di «Telka», rimane da rilevare un ultimo particolare

fra i più stupefacenti, ed è che questo poema di 70.000 parole, in versi sciolti,

venne complessivamente dettato alla medium in 35 ore!

Andiamo avanti. Malgrado le meraviglie emergenti da quanto esposto, mi

affretto ad osservare che «Telka» non è l’opera letteraria di maggior valore

dettata da Patience Worth. L’opera più poderosa ed ammirevole sotto

molteplici aspetti, è il grande romanzo: «The Sorry Tale» (Il racconto

pietoso), in cui l’azione si svolge nella Palestina dei tempi di Cristo, e ci si fa

assistere al dramma della crocifissione.

E’ un romanzo storico a concezione vastissima, nel quale agiscono

centinaia di caratteri che non sono «comparse» superficialmente tratteggiate,

ma poderosi caratteri di personaggi viventi. Il protagonista maggiore è un

figlio illegittimo dell’imperatore Tiberio, nato da una bellissima schiava greca,

di nome «Theia». Scacciata da Roma, essa è trasportata in Palestina, e il

bimbo nasce in un tugurio di lebbrosi, fuori le mura di Betlemme; mentre

nella medesima notte, dentro le mura di Betlemme, nasce Gesù.

Nell’amarezza del proprio abbrutimento, la madre conferisce al neonato il

nome di «Odio»; e l’odio è la passione che dominerà l’esistenza del figlio, fino

alla tragica sua fine. La vita di costui si svolge parallela a quella di Gesù - l’uno

rappresenta l’incarnazione dell’odio sulla Terra, l’altro l’incarnazione

dell’Amore. Il figlio di «Theia» si fa beffe di Gesù, sputa su di lui quando

compie il miracolo delle reti ricolme di pescagione. Di colpa in colpa, di

delitto in delitto, è tratto a rubare gli arredi sacri del Tempio di Gerusalemme,

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

29

ed è condannato a morte. Egli muore sulla croce al fianco di Gesù: il figlio di

Theia era «il cattivo ladrone».

Il capitolo della crocifissione, il quale è lunghissimo, venne dettato alla

medium in una sola serata, ed è un capitolo terrificante per la vivacità

straordinaria dell’azione. Non si legge una semplice descrizione del tragico

evento: lo si vede in ogni più spietato particolare; si assiste allibiti al dramma

del Golgota. E una identica vivacità di tinte descrittive si riscontra in tutte le

scene in cui ci trasporta il romanzo, le quali, inoltre, non sono soltanto

poderosamente rappresentate, ma sono geograficamente e storicamente

inappuntabili, tanto per ciò che si riferisce alla Palestina, quanto per ciò che

riguarda Roma imperiale. A quest’ultimo proposito si era creduto di aver colta

una sola volta in fallo Patience Worth, e ciò in quanto i personaggi ebraici del

suo romanzo conferiscono all’imperatore romano il titolo di Re. Orbene: si

riscontrò nella storia di Ewald, che nelle province orientali dell’impero

romano eravi l’uso di chiamare col titolo di Re l’imperatore di Roma. Ne

deriva che tale presunto errore, contribuisce invece mirabilmente a fare

emergere fino a qual punto nei romanzi di Patience Worth si viva

nell’ambiente dei tempi descritti.

Ed ecco un’altra circostanza che lo prova in guisa più stupefacente ancora;

circostanza che si riferisce alle modalità con cui si estrinsecò la dettatura del

romanzo.

La medium vedeva svolgersi a sé dinanzi, in visione panoramica, tutti gli

eventi che venivano gradatamente descritti nel dettato medianico; ma ciò che

maggiormente sorprende è la circostanza che i quadri da lei contemplati

erano rappresentazioni totalitarie di eventi complessi visualizzati al naturale,

laddove le descrizioni degli eventi stessi quali venivano fissati nel dettato

medianico non erano mai totalitarie; o, in altri termini, nel dettato medianico

non figuravano numerosi incidenti osservati dalla medium nelle proiezioni

cinematografiche che le venivano presentate; il che palesemente avveniva

perché tali incidenti secondari non avevano nulla di comune con lo svolgersi

della trama del romanzo. Ma se così è, allora perché venivano proiettati alla

medium? E a quest’ultimo interrogativo non si può rispondere che a un modo

solo: evidentemente tutto ciò si verificava in quanto si trattava di proiezioni

panoramiche rappresentanti quadri reali di un lontanissimo passato; e così

essendo, era naturale che accanto agli eventi maggiori si dovessero svolgere

ogni sorta di eventi minori e insignificanti, estranei agli eventi maggiori, così

come si realizzano in qualunque analoga circostanza di un evento colto dal

vero, il quale si svolga all’aperto, con concorso di popolo.

Il dottor Prince accenna in questi termini a tale sorta d’incidenti:

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

30

«La medium scorgeva dei cani che traversavano di corsa la strada; vedeva

transitare dei carri stranamente costruiti, le cui ruote erano costituite da

canne intrecciate, curvate a cerchio. Tali carri erano trainati da buoi, le cui

bardature apparivano anche più strane dei carri. Assisteva al mercato degli

ebrei, nonché alle dispute che avvenivano tra i barbuti mercanti e la loro

clientela; udiva i piagnistei delle donne che barattavano utensili contro

commestibili; osservava passare i grandi sacerdoti vestiti in fastosi

paludamenti; scorgeva il Tempio e l’Arca santa quali erano stati

effettivamente ricostruiti a quell’epoca; contemplava i paesaggi di Betlemme e

di Nazaret, ed ivi assisteva al passaggio di Gesù circondato dalla folla».

Lo stesso fenomeno si riprodusse durante la dettatura dell’altro romanzo:

«Hope Trueblood», in cui la medium vide sfilare a sé dinanzi il paesaggio

inglese; nel qual caso, naturalmente, le scene risultavano più familiari alla

medium, ma ugualmente vivaci e reali (Ivi, pag. 395).

Mi astengo, per brevità, dal diffondermi ulteriormente nell’analisi del

magistrale romanzo in esame, per quanto vi sarebbero numerosi altri

particolari da segnalare per la loro efficacia teoricamente suggestive. E per la

medesima ragione dovrò astenermi dall’analizzare il contenuto degli altri

eccellenti romanzi dettati da Patience Worth. Questi i titoli dei romanzi in

questione: «The Merry Tale», «Hope Trueblood», «The Pot and the Wheel»,

«The Fool and the Lady», «Tre Stranger», «The Madrigal», «Samuel

Wheaton», «Redwing» (un dramma). Da tale enumerazione si rileva che nella

produzione letteraria di Patience Worth si contano già nove romanzi e un

dramma; produzione alla quale debbono aggiungersi una raccolta di proverbi

e aforismi, e un numero straordinario di componimenti poetici d’ogni sorta, i

quali non la cedono in nulla ai romanzi per l’eccellenza della forma e la

genialità dell’ispirazione.

I romanzi «Telka» e «The Merry Tale» furono dettati nella lingua, o nei

dialetti del secolo diciassettesimo. Gli altri romanzi, drammi e poesie furono

scritti in lingua inglese moderna, per quanto lo stile e la forma presentino

caratteristiche specialissime alla personalità comunicante.

Per ciò che riguarda la produzione poetica di Patience Worth, il dottor

Prince ebbe cura di riportarne saggi d’ogni genere, i quali si estendono per

130 pagine del suo volume. Tutti i metri e tutti i temi vi sono rappresentati.

Qua e là il Prince stabilisce dei confronti tra le poesie di Patience Worth ed

altre analoghe del Keats, od altri poeti classici inglesi, dimostrando che

Patience Worth li uguaglia sempre, se non forse li supera. Si noti che una

buona parte di tali poesie risultano improvvisazioni fatte sopra temi obbligati

suggeriti al momento dagli sperimentatori. Una volta il dottor Prince invitò

Patience Worth a dettargli una poesia in cui ogni capoverso cominciasse con

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

31

una lettera dell’alfabeto, nell’ordine in cui le lettere sono disposte nell’alfabeto

stesso. E immediatamente venne dettata la poesia richiesta, «con una velocità

di dizione regolata sulla capacità del segretario a seguitarne con la penna la

dettatura».

Il dottor Prince osserva che Patience Worth appare consapevole della

eccellenza della propria produzione letteraria, ma che è ben lontana dal

mostrarsene vanitosa. Ed egli così continua:

«Già dagli inizi essa parve consapevole dell’alto suo valore personale,

giacché si espresse costantemente come un personaggio il quale si sappia

autorevole; o meglio, il quale sappia di avere una missione da compiere. Ma,

in pari tempo, in ogni suo atto, in ogni sua esigenza, si rilevano particolari i

quali valgono ad esonerarla dalla taccia di orgogliosa. Si potrebbe paragonarla

a una madre la quale dirige e consiglia i propri figli giovinetti, senza per

questo dimostrare neanche l’ombra di orgoglio per la propria superiorità

intellettuale al loro confronto. Patience Worth mostra a sua volta di

sottintendere di avere su di noi il vantaggio di un’esperienza e di una

situazione privilegiata, in forza delle quali appare naturale ch’essa si trovi in

grado di consigliare e dirigere coloro i quali non posseggono altra esperienza

che quella acquisita in pochi anni di esistenza terrena. Come pure, essa

dimostra di sottintendere che la sua virtuosità letteraria è pervenuta a tanto

grado di eccellenza in virtù dell’ambiente di gran lunga più favorevole in cui

essa dichiara di esistere. E ben sovente ebbe cura di rammemorarci ch’essa, in

un certo senso, era una “messaggera di Dio”, inviata ai viventi per una

missione che doveva compiere nel modo rispondente alla sua natura. Ecco

alcune frasi di tali conversazioni suggestive: “Io giocherò con le parole, come

si fa con le risonanti castagnette. Le farò brillare di luce nuova; le farò

impallidire, gemere, languire. Le farò divampare nel fuoco di tutte le passioni;

diverranno vendicative, rabbiose, colleriche, stordite, accigliate, pungenti. Chi

mi seguirà, giudicherà se stesso sguaiato di fronte alle prodigiose capriole a

cui costringerò le parole... Per opera di queste mani, il linguaggio umano

verrà intrecciato in guise tali da meravigliarne il mondo...”» (Ivi, pag. 212).

Il dottor Prince riporta una lunga lista di analoghe affermazioni di Patience

Worth, ma quella riferita può bastare a fare intravvedere il pensiero di lei:

essa, cioè, vorrebbe che si sapesse che aveva una missione da compiere nel

mondo: quella di contribuire a dimostrare ai viventi l’esistenza e la

sopravvivenza dell’anima; e ciò all’infuori delle consuete prove

d’identificazione personale; vale a dire, apportando prove complementari

intese a convalidare quelle fondate sui ragguagli personali forniti dai defunti

comunicanti; compito che per Patience Worth sarebbe consistito nel dar

prova di saper compiere virtuosità letterarie impossibili a conseguirsi dalla

mentalità di uno scrittore incarnato, per insigne ch’egli sia; costringendo in

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

32

tal guisa il raziocinio umano a riconoscere l’intervento reale di entità spirituali

nelle manifestazioni medianiche.

Di tali virtuosità si sono già enumerate le maggiori, quali sarebbero

l’eccellenza sovrana nell’arte di Patience Worth in ogni sua modalità di

estrinsecazione, e ciò in contrasto con la modesta intellettualità della

medium; l’aver dettato romanzi in lingua o dialetti del secolo diciassettesimo,

e ciò con tale precisione nella dizione antiquata, da non rilevarsi in essa un

solo vocabolo della lingua inglese venuto in uso dopo il 1600; e infine, la

straordinaria genialità da lei dimostrata nella improvvisazione di

componimenti poetici impeccabili per la forma, mirabili per le immagini e

l’elevatezza della concezione; componimenti i quali rivaleggiavano, se non

forse superavano, coi migliori classici inglesi.

A proposito di quest’ultima virtuosità, il dottor Prince osserva:

«Sarebbe bene che i lettori tornassero indietro a rileggere le poesie

improvvisate, su temi obbligati, forniti sul momento; poiché solo col

soffermarsi ad analizzarne l’eccellenza, si perviene a formarsi un chiaro

concetto delle proporzioni stupefacenti del fenomeno. Si rilegga, per esempio,

la poesia che s’intitola: “The Day’s Work”. Pare incredibile che questo lungo

componimento poetico, così vivace per le immagini, così magnifico per la

forma, impeccabile nella proprietà dei vocaboli, profondo nella concezione,

pare impossibile, dico, ch’esso sia stato improvvisato, su tema obbligato, in

modo quasi istantaneo; nel senso che non vi fu intervallo di tempo tra la

richiesta e l’esecuzione! Chi si sentirebbe di migliorare la dizione di questi

versi?» (Ivi, pag. 349).

Ma oltre tali virtuosità d’ordine elevato, Patience Worth si prestò a dar

prova di qualsiasi virtuosità la quale implicasse una destrezza tecnica mentale

impossibile ad imitarsi dai viventi; o, per dirla con la sua frase: «essa si divertì

a giocare con le parole, come si fa con le risonanti “castagnette”».

Così, ad esempio, un giorno il dottor Prince la invitò a dettare

simultaneamente due poesie di tema diversissimo tra di loro, l’una in inglese

moderno, l’altra nel vernacolo del diciassettesimo secolo, intrecciando

alternativamente due versi dell’una con due versi dell’altra, fino ad arrivare in

fondo ad entrambe. Ed essa lo appagò subito, dettando spigliatamente tale

garbuglio inverosimile di due poesie disparate per tema e per lingua,

simultaneamente generate. Il dottor Prince riproduce entrambi i

componimenti poetici, e così facendo domanda: «Vi è forse indizio di fretta in

queste magnifiche poesie? O mostrano forse le stimmate delle condizioni

caotiche da cui furono generate? Mi si dica qual è la parola che in esse

potrebbe sostituirsi migliorando la dizione?... I quattro ultimi versi della

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

33

prima poesia sono magnifici per il significato profondo dell’immagine

conclusionale... » (Ivi, pagg. 290-293).

Nel capitolo intitolato: «Una “noce” da schiacciare pei signori psicologi», il

dottor Prince riferisce, tra l’altro, queste altre analoghe prodezze dell’entità

comunicante:

«“Patience” ora scrive quattro romanzi simultaneamente, dettando

successivamente un brano di ciascuno. Detta alcune righe del primo in

vernacolo antiquato, passa quindi a fare altrettanto per il secondo in lingua

moderna, e così di seguito, saltando dall’uno all’altro senza soluzione di

continuità, e con inalterata spigliatezza. A un dato momento, essa prese due

personaggi di due romanzi diversi, li fece conversare insieme, in modo che il

personaggio di un romanzo pareva rispondere alle domande dell’altro, ed

anche discutere col medesimo. Quando i brani dei due romanzi furono

sbrogliati tra di loro ed assegnati ai loro testi, si vide che ciascuno di essi

calzava perfettamente con la parte che rappresentava nella continuità del

proprio testo» (Ivi, pagg. 401-402).

In altra circostanza, mentre Mrs. Curran scriveva una lettera ad un’amica,

Patience Worth si serviva della sua laringe per dettare spigliatamente una

magnifica composizione poetica intitolata: «Fuochi Fatui» (Ivi, pagg. 285-

286).

E con questo pongo termine all’esposizione dei fatti, per passare a

discutere intorno alle ipotesi con cui dare possibilmente ragione di tanto

prodigio.

Come bene osserva il dottore Walter Prince, emerge palese che nel caso in

esame il vero problema da risolvere consiste «nell’indagare come mai tanta

copia di letteratura di primissimo ordine, nella quale si dà prova di grande

coltura e di vero genio; di versatilità inesauribile nel modo di esprimere il

proprio pensiero; di profondità filosofica, di penetrante indagine, di elevata

spiritualità, di fulminea rapidità nel concepire, di eccezionale perizia nel

condurre innanzi le più complesse operazioni mentali, e infine anche di

un’apparente divinazione del pensiero altrui; come mai, ripeto, tutto ciò abbia

potuto estrinsecarsi pel tramite di Mrs. Pearl Lenore Curran, a St. Louis, la

quale in base alle personali sue dichiarazioni, ma sopratutto in base a

testimonianze e prove esuberanti venute in luce, non possiede e non ha mai

posseduto la coltura corrispondente, come non ha mai dimostrato

disposizioni letterarie, né in tal senso, come non dimostrò mai di possedere

altre affini predisposizioni intellettuali?».

Ciò stabilito, non rimane che applicare all’arduo problema le varie ipotesi

formulabili in proposito.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

34

La prima che si presenta è l’ipotesi del «subcosciente» intesa nel senso

strettamente psicologico, secondo il quale ci si troverebbe al cospetto di un

caso di disgregazione psichica, e consecutiva formazione di una personalità

subcosciente, frazione sistematizzata della personalità integrale cosciente, la

quale emergerebbe alternativamente alla superficie, sia impossessandosi

temporaneamente del campo cosciente del soggetto, sia manifestandosi

all’esterno utilizzando la mano o la laringe del soggetto stesso.

Il solo psicologo della scuola universitaria il quale abbia studiato

personalmente il caso in esame, è il prof. Cory, il quale riconosce senza

restrizioni il «prodigio di una personalità medianica la quale riflette nelle sue

opere letterarie la vita e i costumi di altri tempi, e ciò con una competenza e

una familiarità da stupire altamente chi legge... ». Riconosce che «il romanzo

“The Sorry Tale” presuppone il possesso di una massa enorme di cognizioni

sulla vita e sui costumi della Palestina e di Roma ai tempi di Cristo... ».

Riconosce che “Telka” ha per teatro l’Inghilterra, dove la medium non era mai

stata, ed è dettata in lingua arcaica appartenente a varie località e a diversi

periodi... Il che si trasforma in una grande perplessità la quale complica il

problema da risolvere». Tutto ciò, secondo il prof. Cory, tenderebbe a

dimostrare che «il tipo e la struttura della mentalità di Patience Worth

appariscono così nuovi, che risulta ben arduo immaginare fin dove

potrebbero estendersi i poteri della mentalità di lei, o quali limiti assegnarle».

Sennonché dopo avere lealmente riconosciuto la complessità enorme del

quesito da risolvere, il professore in discorso conclude ugualmente

presupponendo che «Patience Worth è il prodotto di una atmosfera di ansiosa

aspettativa per una manifestazione dall’Al di là; dimodoché è più probabile

che tale aspettativa sia divenuta il fattore essenziale della dissociazione

psichica che si andava sviluppando... Patience Worth è nata nei profondi

recessi del subcosciente. Generata nell’atmosfera dell’ideale, concepita dalla

pura fantasia, essa modellò l’esser suo con pura sostanza immaginativa, e tale

vuol rimanere nulla assimilando di ciò che contraddice l’illusione che la

domina. Ne deriva ch’essa persiste a credere di essere stata una zitella inglese,

vissuta in Inghilterra parecchi secoli or sono».

Dal che si apprende come il prof. Cory concluda senza darsi alcun pensiero

di spiegare in qual modo una frazione di personalità dissociata, possa

risultare di gran lunga più vasta, più erudita, più intelligente e geniale della

personalità integrale dalla quale deriva.

Inutile spendere tempo nella discussione di un’ipotesi insostenibile,

nonché logicamente assurda nei limiti in cui vorrebbero costringerla i signori

psicologi ortodossi. Il dottor Prince analizza paragrafo per paragrafo lo studio

del prof. Cory, demolendo l’una dopo l’altra tutte le sue argomentazioni, e ciò

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

35

in guisa risolutiva. Tale confutazione del dottor Prince è magistrale; ma, in

verità, bastavano dieci righe per avere ragione di un’ipotesi la quale può solo

propugnarsi a condizione di non tenere conto dei fatti!

Allorché apparve l’analisi critica del prof. Cory, uno sperimentatore

informò Patience Worth che un eminente psicologo aveva concluso ch’essa

era una frazione della personalità della medium. Ecco la sua risposta, dettata

come sempre in dialetto arcaico di tre secoli or sono:

«Chi è colui che osa dire ch’io sono una particella fuorviata

dell’immaginazione della medium? Chi è colui che osa sostenere che una

grande intellettualità sia figlia dell’immaginazione di una piccola

intellettualità? La voce di colui che proclamerà una scempiaggine simile

riuscirà voce sfiatata. Si faccia avanti, e mi vincoli pure alla medium; ma l’età

futura lo chiamerà uno sciocco. Quanto minuscola la sua penna! La penna

mia è penna d’oro intinta nella saggezza antica. Io non CANTO per CANTARE,

ma perché il canto rimanga. Il presentar me come una frazione “dell’arpa

vivente” di cui mi valgo, equivale a distribuire ai bimbi libri, teschi, spade,

vino e Sacramenti affinché se ne balocchino. Osserva: ecco io pizzico “l’arpa

vivente”, ed essa risponde vibrando all’unisono con la voce dell’antica

saggezza... » («Psychic Science», 1928, pag. 164).

Aggiungo che il dottor Prince e il prof. McDougall, concludono a loro volta

in perfetto accordo con Patience Worth. Il primo osserva: «Si vorrebbe che

noi ammettessimo che il più sia contenuto nel meno»; e il secondo: «Tutto ciò

equivale a sostenere che la parte è più grande del tutto».

E mi pare che basti. Non ne parliamo più, e passiamo alla seconda delle

ipotesi formulabili.

Il dottor Prince, in numerosi punti del suo libro, lascia chiaramente

intendere ch’egli ritiene l’ipotesi spiritica l’unica capace di dare ragione del

complesso dei fatti; nondimeno, con la circospezione di un uomo di scienza il

quale si rivolge ad altri uomini di scienza non ancora maturi per certe verità,

egli conclude trincerandosi dietro a un dilemma, il quale però è costituito da

due proposizioni ugualmente ostiche ai signori psicologi ortodossi. Egli

osserva:

«Questa è la tesi da me formulata dopo dieci mesi di assiduo studio sui

fatti. Occorre risolversi: o modificare radicalmente il concetto di ciò che si

denomina il “Subcosciente”, includendo in essa potenzialità intellettuali di cui

fino ad ora non si aveva idea, oppure riconoscere l’esistenza di una causa

operante pel tramite della subcoscienza di Mrs. Curran, ma estrinseca alla di

lei subcoscienza. Nel primo caso si normalizzerebbe ciò che fino ad ora venne

ritenuto il “supernormale” (nella guisa medesima in cui “l’ipnosi”, che cento

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

36

anni or sono pareva sottintendere delle possibilità supernormali, venne

odiernamente normalizzata); nel secondo caso si verrebbe ad ammettere il

supernormale».

Così il dottor Prince. Riconosco a mia volta che se pei casi analoghi

all’esposto si rinunciasse all’ipotesi del «subcosciente» inteso nel senso di una

frazione sistematizzata della dissociazione psichica del soggetto, e si

ammettesse l’ipotesi del Myers, secondo il quale esisterebbe nell’uomo una

personalità integrale subcosciente di gran lunga più vasta e perfetta di quella

cosciente, fornita di facoltà di senso supernormali, e di capacità intellettuali la

cui emergenza sporadica darebbe luogo alle «ispirazioni» del genio; convengo

anch’io che se si ammettesse tutto ciò si perverrebbe a dare ragione – fino a

un certo punto - del caso in esame. Dico «fino ad un certo punto», giacché

rimarrebbero ancora da sormontare ostacoli formidabili, tenuto conto che se

con tale ipotesi si perverrebbe a spiegare in qualche modo l’eccellenza delle

opere letterarie dettate dalla personalità medianica, nonché le virtuosità

straordinarie con cui essa «giocava con le parole», nondimeno non si

perverrebbe a dare ragione della circostanza di avere essa dettato romanzi in

un dialetto del secolo diciassettesimo, e ciò senza mai cadere nell’errore

d’interpolare nel testo vocaboli venuti in uso dopo il 1600; come pure, non si

perverrebbe a spiegare il fatto del suo dimostrarsi pienamente edotta degli usi

e dei costumi della Palestina e di Roma ai tempi di Cristo; due circostanze che

si trasformano in una grave obbiezione, in quanto una personalità integrale

subcosciente s’identifica ancora e sempre con la propria personalità normale,

e nel caso nostro, quest’ultima personalità era totalmente ignara dei dialetti

arcaici adoperati dalla presunta sua personalità integrale, com’era ignara

degli usi e dei costumi di popoli esistiti due millenni or sono.

Ma ciò non è tutto, poiché risulta palese che una personalità integrale

subcosciente la quale attesta coi fatti il grado elevatissimo della sua

superiorità intellettuale al confronto di quella della personalità cosciente, non

dovrebbe dimostrarsi mai suggestionabile od autosuggestionabile; due forme

psicopatologiche di stasi mentale indicanti una restrizione enorme del campo

cosciente della personalità umana. Ora, siccome quest’ultima argomentazione

risulta incontestabile, ne deriva che non si saprebbe spiegare come mai una

personalità subcosciente tanto superiore a quella cosciente, abbia potuto

illudersi al punto da credersi vissuta nel diciassettesimo secolo sotto le spoglie

di un’umile contadinella emigrata in America, e morta in un’imboscata di

Indiani. Non è il caso ch’io faccia rilevare quanto formidabile risulti

l’obbiezione esposta, e ciò in quanto appare fondata sull’esperienza delle fasi

profonde nell’ipnosi e nel sonnambolismo magnetico, fasi in cui il soggetto

non è più suggestionabile; e sopratutto in quanto risulta indiscutibile in nome

della logica e del senso comune, tanto più che alle affermazioni della

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

37

personalità medianica corrisponde il fatto che essa conversò costantemente

nel dialetto arcaico che si parlava ai suoi tempi nella contea in cui disse di

essere nata. Né l’ostacolo teorico in questione potrebbe evitarsi

presupponendo che la personalità integrale subcosciente di cui si tratta, fosse

invece consapevole dell’esser suo, ma si facesse passare per lo spirito di una

defunta al fine d’ingannare i viventi; poiché in tal caso si andrebbe a dar di

cozzo in un’altra enormità d’ordine morale ugualmente inammissibile, ed è

che una personalità subcosciente di tanto più elevata e perfetta di quella

cosciente, dovrebbe in misura corrispondente risultare moralmente superiore

a quest’ultima; nel qual caso è palese che non dovrebbe mai mentire, e tanto

meno mentire con l’insulso e malvagio proposito di turlupinare i viventi,

mistificandoli nelle loro più sacre aspirazioni spirituali ed affettive.

Riepilogando: Tenuto conto che l’ipotesi della «coscienza subliminale»

presuppone l’esistenza nella subcoscienza umana di una personalità integrale

spirituale dotata in grado superlativo delle qualità più elette della personalità

cosciente, ne deriva che essa non dovrebbe mai illudersi sull’essere suo fino al

punto di credersi lo spirito di una defunta vissuta in località determinata, in

condizioni sociali ben definite, in epoca precisata, con cognizione perfetta

della lingua arcaica dell’epoca designata; tenuto conto, inoltre, che tale

personalità integrale spirituale dovrebbe possedere in misura corrispondente

alle doti superiori intellettuali, anche un senso morale altrettanto elevato, ne

consegue che non potrebbe abbassarsi e pervertirsi fino a ingannare

crudelmente i viventi. Deve pertanto riconoscersi che le considerazioni

esposte dimostrano come l’ipotesi della «coscienza subliminale» risulti a sua

volta inadeguata a dare ragione del complesso dei fatti.

Occorre dunque cercare altrove un’ipotesi adeguata allo scopo.

Ed ecco affacciarsi una terza ipotesi a latitudini sconfinate, la quale

presenta una curiosa caratteristica: quella di venir tolta dal dimenticatoio,

dove quasi sempre giace allo stato latente, solo negli accessi di crisi

teoricamente disperate cui soggiacciono gli assertori dell’interpretazione

«animica» di tutta la fenomenologia supernormale. Si denomina «l’ipotesi

della Memoria Cosmica», la quale lungi dall’essere gratuita od assurda, è

invece dimostrabile sulla base dei fatti; sennonché gli oppositori l’adoperano

a modo loro, travisandola in guisa cospicua, e biforcandola in due branche

distinte, a seconda del beneplacito di chi se ne vale. Vi sono, cioè, coloro che -

come l’Hartmann - ne usano e ne abusano del vero senso di «Coscienza

Cosmica» attributo dell’Assoluto, cioè di Dio; nel qual caso si verrebbe ad

ammettere che la subcoscienza dei mediums entri in rapporto diretto con

l’Ente Supremo, e ciò col nobile scopo di turlupinare il prossimo;

proposizione addirittura blasfema.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

38

Vi sono invece altri indagatori i quali si valgono dell’ipotesi in questione

nel senso ad essa conferito dal professore William James, secondo il quale,

metafisicamente parlando, potrebbe inferirsi l’esistenza di un «serbatoio

cosmico delle memorie individuali», al quale avrebbero libero accesso i

mediums, e dal quale ricaverebbero tutto quanto loro abbisogna per

mistificare i miseri mortali.

L’eminente psicologo e filosofo inglese, professor Schiller, dell’Università

di Oxford, in occasione di una sua recensione del caso di Patience Worth,

accenna ad entrambe le biforcazioni dell’ipotesi in esame, e lo fa nei termini

seguenti:

«Vi sono filosofi che una volta incamminati sulla comoda via della ipotetica

estensione della personalità umana, si dimostrano mal disposti ad arrestarsi

fino a quando non raggiungano l’Assoluto. Noi pertanto dobbiamo tenerci

pronti ad apprendere da qualche critico che l’arte letteraria di Patience Worth

risulta un’autentica rivelazione dell’Assoluto; mentre qualche altro più

moderato parlerà di un’arte sgocciolata da un “serbatoio cosmico” in cui si

sono venuti raccogliendo e ristagnando tutti gli sforzi letterari dei secoli.

Osservo che questa seconda versione dell’ipotesi in esame non tiene il debito

conto del problema della “selezione dei fatti” dal serbatoio di cui sopra;

mentre la prima versione darebbe di cozzo in un’altra formidabile difficoltà,

ed è che in tal caso Patience Worth risulterebbe una rivelazione piuttosto

umoristica ed eccentrica di quell’Assoluto infinitamente perfetto di cui

parlano i filosofi. Se mi si osservasse che una personalità finita non può non

risultare una “selezione” dell’Assoluto, risponderei che tale schiarimento

chiarisce fin troppo, giacché se Patience Worth risulta in tal senso una

“selezione dell’Assoluto”, allora tutti noi, alla medesima stregua, risultiamo

delle “selezioni dell’Assoluto”; il che equivale a dire che nei limiti

dell’argomentazione esposta, Patience Worth dovrebbe risultare uno “spirito”

come tutti gli altri» («Proceedings of the S.P.R.»; vol. XXXVI, pag. 575).

Queste le argomentazioni del professore Schiller, e mi pare che le

medesime risultino a tal segno calzanti e risolutive dal dispensarmi

dall’aggiungerne altre. Rileverò solamente che in ordine all’ipotesi del

«serbatoio cosmico», l’obbiezione formulata dallo Schiller, che, cioè, l’ipotesi

stessa non tiene il debito conto del problema della «selezione dei fatti» da

parte della personalità subcosciente del medium, è un’obbiezione che appare

formidabile nel caso speciale di Patience Worth, visto che se si dovesse

presumere che nel «serbatoio» in questione si rinvenissero raccolti e

ristagnati tutti i vocabolari arcaici della lingua inglese i quali risultano fuori

d’uso dal 1600, nondimeno tutto ciò non rappresenterebbe che un materiale

greggio esclusivamente utilizzabile da chi fosse pienamente edotto sul

significato di ogni singolo vocabolo, nonché sulle coniugazioni dei verbi, sulle

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

39

declinazioni dei nomi, sulle costruzioni grammaticali e le innumerevoli

elisioni inerenti al dialetto di cui formavano parte i vocaboli in questione; e

per soprappiù si richiederebbe altresì che colui che se ne servisse si

dimostrasse in grado di saper discernere i vocaboli arcaici in uso prima del

1600, da quelli entrati nella pratica dopo tale data; tutte imprese che non

avrebbe potuto compiere la «personalità subliminale» della medium, in

quanto la personalità normale della medesima non aveva mai posseduto tali

cognizioni; mentre le cognizioni stesse non avrebbero potuto esistere latenti

da nessuna parte, e ciò in quanto la struttura organica di una lingua è

pura astrazione.

Stando le cose in questi termini, dovrà concludersi razionalmente

all’intervento di un’entità estrinseca, alla quale fosse familiare la lingua di cui

si è servita tanto correttamente e tanto spigliatamente. Ne deriva che l’ipotesi

fantastica del «serbatoio cosmico» non regge di fronte alla prova dei fatti; per

cui deve escludersi a sua volta dal novero di quelle capaci di dare

complessivamente ragione del caso in esame.

* * *

Come si è visto, il semplice fatto di esporre e discutere le ipotesi

naturalistiche applicabili al caso di Patience Worth, ci condusse, volta per

volta, a far capo alla seconda proposizione del dilemma formulato dal dottor

Walter Prince, proposizione in cui si postula l’esistenza «di una causa

operante pel tramite della subcoscienza di Mrs. Curran, ma estrinseca alla

subcoscienza di lei».

A pagina 460 del suo volume, il dottor Prince, polemizzando col prof. Cory,

osserva in proposito:

«Ci si concede che Patience Worth “è eminentemente razionale, sana ed

equilibrata”, ma nel bel mezzo di tante razionalità ed equilibrate mentalità, si

pretende rinvenire “un’ostinata e persistente illusione: quella di credersi

vissuta in tempi remoti nel mondo nostro”. Eppure - osservo a mia volta - non

è illusione il fatto ch’essa conversa in un dialetto arcaico, estinto da secoli;

non è illusione l’altro fatto ch’essa descrive contrade straniere col loro verace

colorito locale; due circostanze che risulterebbero inesplicabili in rapporto a

Mrs. Curran, ma che apparirebbero invece naturalissime qualora la presunta

illusione di Patience Worth risultasse invece una realtà; nel qual caso essa

non farebbe che valersi dei ricordi della propria esperienza terrena, combinati

a presumibili consultazioni spirituali, e alla sapienza acquisita in due secoli e

mezzo di esistenza trascendentale. Non è illusione il fatto ch’essa manifesta

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

40

una genialità letteraria meravigliosa, di cui Mrs. Curran non manifestò mai il

benché minimo indizio, ma che una intelligente e geniale contadinella

potrebbe invece avere sviluppato in sé nei secoli che trascorsero dopo la sua

morte, dato che la sopravvivenza risultasse un fatto reale, e che lo spirito fosse

capace di progredire ulteriormente. Non è illusione che col manifestarsi di

Patience Worth scaturì all’improvviso una sorgente inesauribile di bellezza

artistica, di spiritualità, di saggezza e di brioso conversare; sorgente

perpetuamente variabile e perpetuamente identica a sé stessa, nonché

infinitamente diversa dal temperamento e dalle capacità intellettuali di Mrs.

Curran. Vi è qualche cosa di grottesco nel concepire che una persona, o una

“personalità” perfettamente sana ed equilibrata sotto ogni rapporto, brillante

nella sua potenzialità intellettuale, mirabile per la sua logica impeccabile,

possa in pari tempo dimostrarsi vittima di una grande illusione (“delusione”

sarebbe la giusta parola), che, per soprappiù, avrebbe proprio a riferirsi alla

sua personale identità e alle vicende della sua passata esistenza» (Ivi, pag.

460).

Richiamo l’attenzione dei lettori sul brano citato del detto dottor Prince, le

cui stringenti argomentazioni appariscono logicamente inconfutabili; giacché

in base ad esse emerge che se il prof. Cory volle pervenire alla conclusione che

Patience Worth era una «personalità subcosciente» della medium, dovette

rassegnarsi a non tenere alcun conto delle numerose circostanze di fatto le

quali provavano diametralmente il contrario! Ma come mai sarebbe

razionalmente ammissibile affermare che Patience Worth era vittima

dell’ostinata e persistente illusione di essere vissuta in terra, dal

momento che non erano illusioni, ma fatti positivamente accertati, quelli

enumerati dal dottor Prince; fatti che convergevano mirabilmente verso la

dimostrazione che Patience Worth diceva il vero quando affermava di essere

vissuta in un paese designato dell’Inghilterra, in epoca remota? Sarebbe

invero curioso che in metapsichica si dovesse costantemente adottare un

sistema di analisi e di sintesi invertito; vale a dire, concludendo

sistematicamente in opposizione a quanto dimostrano i fatti. Mi si potrebbe

osservare che ben sovente le apparenze ingannano. Sapevamocelo; ma nel

caso nostro l’obbiezione non regge, giacché ripeto che non erano apparenze,

ma fatti incontestabili, positivi e inesplicabili quelli enumerati dal dottor

Prince; tra i quali principalissimo quello di Patience Worth la quale conversa

costantemente in un dialetto arcaico del diciassettesimo secolo, adoperando

costantemente vocaboli d’origine anglosassone in uso ai tempi in cui diceva di

essere vissuta, senza mai incappare nell’anacronismo di servirsi di vocaboli di

origine latina penetrati nella lingua dopo il 1600. Si è visto in precedenza

come tale circostanza di fatto non risulti neanche dilucidabile con l’ipotesi

ultra-metafisica del «serbatoio cosmico delle memorie individuali».

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

41

Ne deriva che chiunque non intenda adottare il sistema di non tener conto

alcuno dei fatti nell’indagine delle manifestazioni metapsichiche, dovrà

necessariamente concludere che l’unica ipotesi capace di spiegare

complessivamente il caso di Patience Worth, è quella implicita nella seconda

proposizione formulate nel dilemma del dottor Prince, e cioè che Mrs. Curran

fu semplicemente la medium pel tramite della quale si manifestò un’entità

spirituale assolutamente estrinseca alla di lei personalità subcosciente e

cosciente.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

42

IL CASO HUGO

Passo a riferire due casi famosi, il secondo dei quali risulta complementare

del primo, e ciò in guisa a tal segno non comune, da risultare teoricamente di

un’importanza eccezionale, nonché parecchio imbarazzante. Alludo con ciò a

due recenti pubblicazioni, in una delle quali, venuta in luce nell’anno 1923,

per cura di Gustave Simon, si contengono i processi verbali sulle esperienze

medianiche di Victor Hugo nell’isola di Jersey; pubblicazione sulla quale

venne inaspettatamente a inserirsene un’altra, apparsa nell’anno 1932, per

cura di Henri Azam, in cui sono riuniti i processi verbali delle di lui esperienze

con una medium privata, la quale era una modesta madre di famiglia, figlia

del popolo, e priva totalmente di coltura letteraria. Il libro s’intitola:

«Symbole»: «La Tombe Parle».

La circostanza straordinaria per la quale viene a stabilirsi un rapporto

indubitabile tra le due pubblicazioni consiste in ciò: che la personalità

medianica la quale si firmava col pseudonimo di «Symbole», aveva affermato

di essere quella medesima che presiedeva alle sedute di Victor Hugo nell’isola

di Jersey, regolandone lo svolgimento; affermazione che apparve convalidata

in guisa impressionante dal contenuto di entrambe queste serie di messaggi

medianici in versi e in prosa, nei quali, tanto nelle liriche stupende, quanto

nella prosa immaginosa, le personalità medianiche si esprimono in uno stile

caratteristico letteralmente identico, il quale, per soprappiù, risulta lo

stile che caratterizza l’opera intera, in versi e in prosa, di Victor

Hugo, la quale, come tutti sanno, si distingue da qualunque altra, presente e

passata, per l’esuberanza delle immagini, per la frequente accentuazione

declamatoria o biblica, per il periodare brevissimo, pei geniali emistichi

incastonati nei versi, e soprattutto per le sfilate interminabili delle antitesi e

delle allitterazioni.

Ora, questa triplice identità d’ispirazione letteraria, tanto nei pregi insigni,

quanto nei difetti implicanti una esuberante genialità, suscita un quesito

metapsichico formidabile, nonché assai arduo a risolvere, poiché nessuna

ipotesi a disposizione dei competenti risulta capace di darne

complessivamente ragione, come a suo tempo dimostreremo.

* * *

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

43

Ciò premesso, per la chiarificazione preliminare del duplice tema che mi

accingo a trattare, comincio col riassumere brevemente il contenuto

sostanziale delle esperienze medianiche di Victor Hugo, la cui pubblicazione

ebbe per effetto di suscitare in Francia, e un po’ dovunque, una interminabile

sequela di critici faciloni, i quali si sbizzarrirono a fare del bello spirito,

commentando a modo loro, discutendo intorno a un tema che ignoravano, e

sentenziando in termini inappellabili. Non è il caso di tener conto delle

scempiaggini espresse al riguardo dagli incompetenti, e talora anche dai

competenti obnubilati da preconcetti di scuola; il che, però, non impedisce di

dover ammettere che questa volta ci si trovava in presenza di parecchie

perplessità teoriche le quali giustificavano fino a un certo punto taluna fra le

gratuite ipotesi proposte a soluzione del quesito emergente dal complesso

delle perplessità medesime, tra le quali eravi quella dianzi accennata sulla

sorprendente identità di stile, di forma e di sostanza tra la produzione poetica

trasmessa dal tripode medianico, e l’opera poetica di Victor Hugo; mentre le

altre perplessità consistevano nella circostanza inverosimile di tanti grandi

personaggi defunti i quali si fossero dati convegno a casa di Victor Hugo, e

nell’altra circostanza più che mai assurda dei numerosi personaggi-astrazione

che si manifestavano abitualmente nelle sedute, quali «L’ombra del

Sepolcro», il «Leone di Androcles», «La Morte», «La Critica», «L’Idea», «Il

Romanzo».

In merito ai due ultimi motivi di perplessità, mi affretto ad osservare che i

medesimi risultano facilmente sormontabili, giacché dall’attenta lettura del

volume emerge palese che i nomi dei grandi uomini e dei personaggiastrazione

non erano che pseudonimi assunti da un’unica personalità, ovvero

da parecchie personalità medianiche, le quali non intendendo rivelare l’esser

loro, assumevano nomi simbolici corrispondenti al tema svolto sul momento.

Ciò che, del resto, una di tali personalità fittizie, interrogata in proposito da

Mad. Hugo, aveva dichiarato esplicitamente, informando che i nomi e i

pseudonimi con cui venivano firmati i messaggi, erano puramente simbolici e

conformi al tema che si veniva dettando. Al che Mad. Hugo aveva osservato:

«Allora vuol dire che gli spiriti si divertono a mentire?». Venne risposto:

«Assumere un pseudonimo non significa mentire». Al qual proposito giova

rilevare che nessuno dei grandi personaggi i cui nomi venivano palesemente

dettati per affinità di pensiero con temi svolti, non ebbe mai la velleità di

fornire prove di identità personale; segno codesto che non si trattava di

«personificazioni sonnamboliche», le quali, invece, si abbandonano con

volubilità incosciente a simili audaci quanto disastrosi tentativi.

Già si comprende che gli sperimentatori, pur non dubitando circa

l’intervento di entità spirituali estrinseche, però avevano ripetutamente

discusso intorno alla presenza reale della maggior parte dei grandi personaggi

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

44

che loro si manifestavano, giungendo alla conclusione che doveva trattarsi di

una sola personalità spirituale. Così, ad esempio, a pagina 216, Victor Hugo

appone la seguente nota alla seduta:

«Augusto Vacquerie rileva a ragione che non si riscontrano somiglianze tra

i versi dettati questa sera, e gli altri cominciati da Eschilo nella precedente

seduta. Vi è piuttosto identità di stile tra i versi dettati questa sera e le strofe

dettate sere or sono da Shakespeare. Ora, questa confusione in cui Eschilo è

caduto tenderebbe a far pensare che gli spiriti che si manifestano non siano

parecchi, bensì un solo spirito il quale, assume, a seconda delle circostanze,

nomi diversi».

Sennonché, a pagina 206, si legge una nota di Gustavo Simon, il quale era

uno del gruppo, così concepita:

«Molière, Eschilo, Shakespeare, André Chénier, nel dettare i loro versi

s’interrompono frequentemente, si riprendono, esitano, cancellano, rifanno.

“L’ombra del Sepolcro”, invece, detta i suoi versi meravigliosi e la sua prosa

eloquente, senza esitazioni di sorta, senza faticare, correntemente. Ne derivò

che quando Victor Hugo rivolse a Molière la sua domanda in versi, noi

chiedemmo anzitutto se Molière era sempre presente, e credemmo che il

tripode medianico avesse risposto affermativamente; ma siccome la lunga

risposta in versi venne dettata rapidissimamente e senza esitazione alcuna, ne

concludemmo che Molière non era più presente. Si chiese nuovamente chi

fosse lo spirito comunicante, e venne infatti risposto: “L’ombra del

Sepolcro”».

Come si vede, tale osservazione correggerebbe in parte quella precedente,

ma solo in parte e cioè dovrebbe dirsi che gli sperimentatori avevano finito

per convincersi di trovarsi in presenza di parecchie entità spirituali, le quali

però si manifestavano sotto multipli nomi presi ad imprestito, ovvero

letteralmente simbolici; ciò che anche odiernamente risulta l’unica

interpretazione capace di dare ragione del complesso dei fatti.

E’ anche interessante il rilevare che quando la personalità sé affermante

Shakespeare detta delle magnifiche strofe, pur correggendo frequentemente

prima di arrivare alla dizione definitiva; quando ciò avviene, interviene

frequentemente Victor Hugo suggerendo per conto proprio dei mutamenti nei

versi, e se qualche volta la personalità comunicante si rifiuta ad accogliere la

variante dell’Hugo, per lo più vi accondiscende. Così, ad esempio, a pagina

183, la personalità comunicante detta il seguente verso:

«Un ange lut pardon, vous écriviez douleur».

Victor Hugo osserva: «Io trovo quest’ultimo verso più bello della strofa in

cui si trova, ma lo modificherei in questo senso:

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

45

“Vous écriviez douleur: un ange lut pardon”.

Ti pare che io abbia ragione?».

Venne risposto: «Sì». Non solo, ma la personalità medianica rifece la strofa

intera, conforme l’osservazione del poeta vivente, e la dizione definitiva fu la

seguente:

«Vous avez fait, mon Dieu, la vie et la clémence,

Et chacun de vos pas est marqué par un don.

C’est à votre regard que tout amour commence;

Vous écriviez: douleur, un ange lut pardon».

Ora questa curiosa e interessante collaborazione tra lo spirito comunicante

e il poeta vivente, concorre a dimostrare che l’intelligenza che poetava pel

tramite del tripode medianico non poteva essere il subcosciente del medium,

dal momento che ben sovente non andavano d’accordo nella dizione dei versi.

E così essendo, concorre esso pure a convalidare ulteriormente l’ipotesi

generica d’interventi estrinseci nelle esperienze in esame.

Ne consegue che in base a quanto si venne esponendo, ci si trova già in

grado di affermare che le perplessità teoriche vertenti intorno ai troppo

numerosi grandi personaggi che si manifestavano nelle esperienze di Jersey,

come l’altra sui «personaggi-astrazione» che si avvicendavano con gli altri,

possano considerarsi eliminate; ma non può affermarsi altrettanto dell’altra

perplessità inerente alla circostanza inesplicabile della sorprendente identità

tra lo stile, la forma e la potenza d’ispirazione poetica delle personalità

medianiche, con lo stile, la forma e la potenzialità dell’ispirazione geniale di

Victor Hugo. Niun dubbio può sussistere in proposito, giacché in questo

volume si contengono delle splendide liriche improntate a un’ispirazione

Victorhughiana così elevata e potente, da doversene inferire che se figurassero

tra le opere del poeta sarebbero considerate tra le migliori da lui scritte. E

quando si pensi che la personalità medianica più elevata in fra tutte, quella

che aveva assunto il pseudonimo di «Ombra del Sepolcro», improvvisava dei

capolavori poetici senza mai interrompersi, senza mai correggere, senza

mutamenti di sorta, laddove Victor Hugo era bensì capace di fare altrettanto,

ma però alla condizione che gli fosse accordato il tempo necessario a meditare

il tema, nonché a limare laboriosamente i versi fatti; quando si pensi a tutto

ciò, c’è da rimanere ammirati fino allo sbalordimento, così come avveniva per

l’opera altrettanto perfetta e potente di «Patience Worth», da me discussa in

precedenza.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

46

Victor Hugo aveva rilevato con una certa apprensione tale identità

pericolosa tra la sua propria dizione e ispirazione poetica, e quella del tripode

medianico; ciò che aveva finito per preoccuparlo seriamente, poiché temeva

che nel giorno in cui, dopo la sua morte, si fossero pubblicati i verbali delle

esperienze di Jersey, qualcuno avrebbe potuto sospettare ch’egli avesse

abbellito la propria produzione poetica appropriandosi i versi conseguiti

medianicamente. Di tali sue preoccupazioni si hanno le prove nelle note da lui

apposte alle esperienze stesse, tra le quali la più esplicita è la seguente, ch’egli

aggiunse a un proprio manoscritto in cui si contiene una sua lirica sul «Lion

d’Androclès»:

«Nella raccolta delle esperienze medianiche ottenute pel tramite di mio

figlio Carlo, si trova una risposta del “Lion d’Androclès” a questo mio

componimento poetico (1). Io alludo in margine a un simile fatto, poiché si

tratta di un fatto, e cioè di un fenomeno strano al quale ebbi ad assistere

numerose volte, e cioè di un fenomeno che odiernamente si rinnova,

dell’antico tripode degli oracoli. Un tavolino a tre piedi detta versi mediante

colpi alfabetici, e in tal guisa emergono dall’invisibile delle strofe poetiche.

Già si comprende che io non ho mai intercalato nei miei versi un solo verso

scaturito dal mistero, né alle mie idee, una sola di tali idee. Io volli sempre

religiosamente lasciarle all’Invisibile che le aveva dettate, suo legittimo

autore. Non volli neanche subirne il riflesso. Ne ho scartato persino

l’influenza. Il lavoro del cervello umano deve rimanere in disparte, e nulla

derivare dall’Invisibile che in tal guisa si manifesta. Le manifestazioni

dell’Invisibile sono un fatto, e le creazioni del pensiero umano, un altro fatto»

(Ivi, pagg. 14-15).

(1) Non sarà inutile ricordare che «Androcles», schiavo romano condannato

ad essere sbranato dalle belve nell’arena del Colosseo, vide lanciarsi su di lui

un leone affamato, che improvvisamente si arrestò prendendo invece a

leccargli amorosamente le mani. Androcles aveva tolto da una zampa di

quel leone una spina che lo faceva soffrire. Il leone riconobbe l’uomo, e

generosamente lo contraccambiò rifiutandosi di sbranarlo.

Victor Hugo termina la poesia dedicata al «Leone di Androcles» con questi

versi sferzanti la ferocia di Roma Neroniana:

«Tu vins dans la cité toute pleine de crimes,

Tu frissonnas devant tant d’ombre et tant d’abîmes

Ton oeil fit, sur ce monde horrible et châtié,

Flamboyer tout à coup l’amour et la pitié;

Pensif, tu secouas ta crinière sur Rome;

et, l’homme étant le monstre, ô lion, tu fus l’homme».

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

47

A questo punto sorge spontanea la domanda: Se d’interventi estrinseci si

trattava, chi erano dunque le personalità spirituali che si manifestavano nelle

esperienze di Jersey? E sopratutto, chi era l’entità che si occultava sotto il

pseudonimo: «L’ombra del Sepolcro», grande quanto Victor Hugo, ma che su

di lui aveva il vantaggio di sapere improvvisare dei capolavori senza mai

correggere, o mutare una sillaba? E’ a questo punto che il mistero diviene

impenetrabile, giacché i critici faciloni i quali se la sbrigarono sentenziando

che le personalità medianiche comunicanti non erano altri che la personalità

subcosciente dello stesso Victor Hugo, non tennero conto delle circostanze in

cui si svolsero molte sedute circostanze inconciliabili con tali conclusioni.

Infatti, risulta dai verbali delle sedute, che ben sovente Victor Hugo non vi

assisteva, nelle quali circostanze venivano ugualmente dettate liriche

magistrali, sempre in perfetto accordo con lo stile e l’ispirazione di Victor

Hugo. Vi furono critici i quali cercarono di sormontare la difficoltà

osservando che le sedute si tenevano a casa del grande poeta, ambiente

saturato dalla sua influenza; ciò che, secondo i critici in discorso, avrebbe reso

possibile alle personalità sonnamboliche comunicanti di esprimersi coi di lui

stile anche in assenza del poeta; affermazione audace e gratuita, ma che in

ogni modo è inconciliabile con l’altro fatto che talora le sedute si tennero a

casa del Vacquerie e del Guérin, assente Victor Hugo, e malgrado ciò le

personalità medianiche continuarono a dettare versi e prose d’intonazione

schiettamente Victorhughiana. Si noti ancora che una volta, allorché una

personalità medianica era occupata a dettare un lungo e potente

componimento poetico, il medium principale Charles Hugo, dovette

andarsene per non mancare a un appuntamento. Il posto fu preso dal

Vacquerie e da Mad. Hugo, senza che il dettato poetico avesse a soffrirne

menomamente. E ciò non basta, poiché dopo qualche tempo anche il

Vacquerie dovette andarsene, e il suo posto venne occupato dal Guérin; il che

non impedì che il componimento in versi continuasse a venir dettato, come se

nulla fosse occorso. Infine, toccò a Victor Hugo di doversene andare, e il corso

della dettatura poetica non ne sofferse affatto! Tale incidente è teoricamente

notevolissimo, poiché tende a dimostrare una volta di più che quelle

personalità medianiche non erano il «prodotto collettivo dell’intelligenza dei

presenti», bensì dovevano essere personalità spirituali indipendenti, la cui

intelligenza si manteneva inalterata malgrado tanti mutamenti nel gruppo dei

«sensitivi».

Ne deriva pertanto che l’ipotesi delle «creazioni psicofisiche collettive»

deve considerarsi impotente a dare ragione dei fatti, mentre l’altra discussa in

precedenza, secondo la quale la personalità comunicante era l’Io subcosciente

di Victor Hugo, risulta a sua volta eliminata in base alle considerazioni fino ad

ora esposte.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

48

Dichiariamolo francamente: ci si trova in presenza di un imbarazzo teorico

eccezionale, tanto più che l’ipotesi spiritica, per quanto la più razionale, non

ha per sé nessuna inferenza diretta da far valere; e solo possono allegarsi in

suo favore alcune inferenze indirette consistenti nel fatto che si ottenevano

contemporaneamente delle buone prove d’identificazione personale di

defunti, i quali fornivano le loro generalità, o parlavano in lingue ignorate dal

medium.

Così, ad esempio, avvenne che una sera si manifestò allo scrittore Kesler,

scettico irriducibile, lo spirito di una sua antica amante, la quale diede il nome

di Maria, dichiarando di «manifestarsi per catechizzare l’incredulo». Il Kesler

chiese di quale Maria si trattava: sua nonna? Maria Alva? L’entità replicò

semplicemente “Maria”, ma in pari tempo si dichiarò gelosa per un

medaglione che Kesler portava nascostamente al collo. Il che era vero. Kesler

domandò ancora: «Ma perché sei stata scelta proprio tu per venirmi a

convincere?». L’entità comunicante rispose: «La donna che si è amata passa

avanti a tutti gli altri amori. Dio le confida il compito di messaggera». S’iniziò

quindi un dialogo, alla fine del quale il Kesler chiese, per essere convinto, che

l’entità rispondesse a una sua domanda mentale. Venne risposto: «Pugnale».

Il Kesler trasalì, e ne aveva ben donde. Quindi spiegò: «Verissimo: questa

parola si riferisce a una scena drammatica occorsa tra me e lei, durante la

quale essa si colpì con tre pugnalate». Tale incidente era totalmente ignorato

da tutti i presenti.

In altra seduta, alla quale assisteva l’inglese Mr. Pinson, si manifestò a

quest’ultimo un di lui fratello defunto, il quale diede il proprio nome, e iniziò

con lui una lunga ed intima conversazione in lingua inglese. Fungeva da

medium Charles Hugo, il quale ignorava totalmente tale lingua. Il Pinson,

impressionatissimo per quanto era stato rivelato, si alzò chiedendo che

siccome si trattava di segreti di famiglia, non venissero registrate né le

domande, né le risposte.

In un’altra circostanza, si manifestò il grande poeta inglese Lord Byron, al

quale il signor Guérin chiese un distico in lingua inglese, e ciò a titolo di prova

d’identificazione, visto che nessuno dei presenti conosceva tale lingua. Lo

spirito del poeta vi si rifiutò sdegnosamente, ma rispose per lui un’altra entità,

dettando questo bellissimo distico appropriato, e in lingua inglese:

«Vex not the Bard: his lyre is broken;

His last song sung, his last word spoken» (2).

2) Non tormentate il Bardo: la sua lira è spezzata. L’ultimo canto egli l’ha

cantato, l’ultima parola l’ha detta.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

49

Infine, dovrebbe aggiungersi anche il caso del poeta André Chénier, il

quale, probabilmente, risultò l’unico grande personaggio defunto il quale si

trovasse realmente presente: e si è indotti a inferirla in base alla circostanza

ch’egli è anche l’unico poeta, tra i molti che si manifestarono, il cui

verseggiare non ha nulla di comune con l’ispirazione poetica di Victor Hugo.

Egli, al contrario, si dimostra se stesso, mantenendosi mirabilmente fedele a

quella ispirazione idilliaca ed elegiaca che lo caratterizzava in vita. Da notarsi

in proposito ch’egli, per invito del Vacquerie, aveva intrapreso il compito non

comune di completare da morto parecchi suoi componimenti poetici che

nell’edizione delle sue opere furono pubblicati allo stato di «frammenti»; ciò

in causa della tragica sua fine sotto la mannaia della ghigliottina, e la

consecutiva dispersione dei suoi manoscritti. Ora egli pervenne a completare

tutti questi frammenti poetici, mantenendone inalterata la forma e

l’ispirazione. Una sera, durante tale laboriosa fatica, Victor Hugo aveva

chiesto:

«Questi versi tu li componi a misura che li detti?».

Venne risposto: «No».

«Allora sono versi tuoi, che ora ricordi?».

Venne dettato: «Sì» (pag. 79).

Tale affermazione ebbe una curiosa riconferma pratica, poiché in un’altra

sera in cui il poeta aveva dettato una serie di versi piuttosto scadenti e

confusi, Augusto Vacquerie gli osservò:

«Gli ultimi dodici o quindici versi da te dettati mi sembrano confusi ed

oscuri. Che cosa ne pensi?».

Venne risposto: «E’ vero».

Victor Hugo interloquì, chiedendo: «Puoi tu dirci da che cosa deriva questo

improvviso perturbamento nell’espressione delle tue idee?».

Venne risposto: «Più non ricordo i versi originali» (pag. 112).

Ne deriva che in base agli incidenti esposti, apparirebbe più che mai

probabile ch’egli fosse realmente presente in ispirito, e che trasmettesse

medianicamente i brani andati smarriti, ma da lui ricordati, dei propri

componimenti poetici. Comunque sia di ciò, sta di fatto che i suoi versi non

hanno nulla di comune con l’ispirazione Victorhughiana, ispirazione che

invece risulta palese e incontestabile nei componimenti poetici di tutte le altre

personalità medianiche comunicanti.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

50

Ma ecco una circostanza contraddittoria anche a tal proposito ed è che

quando André Chénier trasmette della prosa, e sopratutto quando per invito

di Victor Hugo, narra le tremende impressioni risentite allorché aveva il collo

rinchiuso nella fatale «lunetta» della ghigliottina, egli lo fa in termini di

un’evidenza vissuta impressionante, ma in tutto corrispondenti allo stile di

Victor Hugo (pagg. 122-127). Vi si riscontra il medesimo periodare

brevissimo, la medesima intonazione declamatoria, e l’irruzione delle antitesi.

Comunque, potrebbe darsi che mi sbagliassi, e che l’improvviso periodare

concitato, l’intonazione e le antitesi fossero conseguenza del subitaneo

risveglio di ricordanze terribili.

In ogni modo, tutto considerato, i quattro episodi esposti in cui

l’identificazione personale dei defunti comunicanti appare adeguatamente

dimostrata, autorizzano per lo meno ad affermare genericamente come tutto

concorra a provare che nelle esperienze di Jersey non erano assenti i casi

d’interventi reali d’intelligenze estrinseche ai mediums ed ai presenti.

Che cosa dunque concluderne sinteticamente? Volendo procedere col

metodo scientifico della eliminazione graduale delle ipotesi insostenibili, noi

osserveremo che l’ipotesi secondo la quale si sarebbe trattato di una serie

ininterrotta di personificazioni effimere traenti origine dalla subcoscienza dei

mediums, personificazioni capaci di produrre i capolavori poetici di cui si

tenne discorso, è da escludersi in modo assoluto; che l’altra ipotesi di una

presumibile «creazione psicofisica collettiva», deve egualmente escludersi

perché in aperta contraddizione coi fatti; che la terza ipotesi secondo la quale

chi si manifestava era l’Io subcosciente dello stesso Victor Hugo, risulta a sua

volta in contraddizione col fatto che ben sovente Victor Hugo non assisteva

alle sedute; mentre l’altra ipotesi complementare, a fondo psicometrico,

secondo la quale l’ambiente saturato dell’influenza del grande poeta era

quello che poneva in grado il subcosciente dei mediums di esprimersi nella

forma geniale di Victor Hugo, appare a tal segno fantastica ed assurda, da non

doversi prendere in considerazione; senza contare che talora le sedute si

tenevano a casa dei diversi sperimentatori; nelle quali circostanze non è più

possibile tirare in ballo la «psicometria di ambiente», la cui funzione, del

resto, è puramente passiva nel senso ch’essa riproduce, ma non crea. Già si

comprende che a siffatte sedute Victor Hugo non assisteva, senza di che

l’argomentazione in discorso perderebbe tutta l’efficacia risolutiva che

indubbiamente possiede.

Così stando le cose, non rimarrebbe altra ipotesi a cui far capo che quella

spiritica, la quale nondimeno se appare la più verosimile, in quanto

indirettamente convalidata da qualche buona prova collaterale, manca però

totalmente di buone prove dirette in tal senso; dimodoché il propugnarla

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

51

apparirebbe a sua volta una soluzione per tre quarti gratuita, e poco

scientifica.

Ne consegue che per ora nessuna ipotesi appare capace di risolvere il

mistero che avvolge le famose esperienze di Victor Hugo, le quali debbono

considerarsi di natura eccezionale, non esistendo in tutta la casistica

metapsichica un’altra serie di manifestazioni analoghe, in cui tutte le

personalità che si manifestarono, meno una sola, si espressero con lo stile, la

forma e l’ispirazione geniale di uno dei componenti il gruppo, il quale non era

medium, e non assisteva sempre alle sedute. Così essendo, non rimane che

riconoscere che le esperienze in esame rimangono per ora un enigma

inesplicato e inesplicabile. In pari tempo, e appunto per questo, esse

presentano un grande interesse quale prezioso materiale d’indagine.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

52

CONCLUSIONI

Dalle conclusioni d’ordine particolare riguardanti i tre ultimi casi citati,

passando a quelle d’ordine generale riferentisi alla presente rassegna di opere

letterarie conseguite medianicamente, cade opportuno di far rilevare che

nell’enumerare i primi casi, quali quelli di Mrs. Beecher-Stowe, di Francesco

Scaramuzza e del romanziere Carlo Dickens, io esposi obbiettivamente, per

ciascuno dei casi stessi, il pro ed il contro circa la loro presumibile origine

supernormale, e memore della regola in voga in ambiente scientifico, secondo

la quale ogni qual volta le risultanze dell’analisi comparata e della

convergenza delle prove si bilancino al punto da non permettere una

conclusione risolutiva in favore di una delle ipotesi in discussione, in tal caso,

ove anche le risultanze stesse pendessero cumulativamente in favore di

un’ipotesi nuova non ancora accolta in ambiente scientifico, si dovrà senza

esitare attenersi a un’altra ipotesi qualsiasi scientificamente convalidata, in

attesa dell’accumularsi di altri fatti i quali autorizzino ad accogliere l’ipotesi

nuova. E conformemente, io dichiarai di non volermi discostare dalla

soluzione meno lata, e cioè, quella secondo la quale i misteriosi poteri artistici

della subcoscienza bastavano a darne ragione.

Sennonché, come si è visto, i casi a mia disposizione si andarono facendo di

più in più favorevoli a una ipotesi non ancora scientificamente riconosciuta:

quella secondo la quale nella produzione medianica delle opere di

«Letteratura supernormale» qui considerate, si assisteva all’intervento

d’intelligenze estrinseche ai mediums ed ai presenti; fino a che si pervenne a

manifestazioni prodigiose al punto da eliminare qualsiasi perplessità sul fatto

che l’ipotesi del subcosciente, con tutte le sue propaggini della

«criptomnesia», della «telepatia», della «telemnesia», e dei suoi poteri

d’improvvisazione letteraria, diveniva insostenibile ed assurda.

Così dicasi per il caso di Oscar Wilde, con la commedia da lui dettata a

titolo d’identificazione; per il caso di Patience Worth, coi poemi in lingua

inglese arcaica da lei dettati, sempre a scopo di meglio identificare se stessa e

infine pei tre casi straordinari che convergono intorno alla grande figura di

Victor Hugo, i quali, oltre ad escludere, insieme agli altri, qualsiasi ipotesi

naturalistica, imponendo di far capo all’ipotesi spiritica, e in conseguenza, alla

esistenza di una «Letteratura d’oltretomba», dimostravano altresì che le

ispirazioni del genio avevano ben sovente origine trascendentale.

Quest’ultima conclusione sull’origine spirituale di molte ispirazioni del

genio sotto tutte le forme: letterarie, scientifiche, inventive, è tutt’altro che

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

53

nuova in ambiente medianico, giacché fu questo uno dei primi

ammaestramenti impartiti dalle più elevate personalità spirituali comunicanti

medianicamente, a cominciare da «Imperator» del Moses e dallo «Stafford»

della D’Esperance, per finire alle recentissime manifestazioni del defunto

Federico Myers (nel libro di Miss Cummins: «The Road to Immortalità»); del

defunto Sir Arthur Conan Doyle (nel libro di Ivan Cook: «Thy Kingdom

Come»), e del defunto grande psicologo William James (nel libro di Jane

Revere Burke: «Let Us In»). Nondimeno, e per quanto nella maggioranza dei

casi si trattasse di defunti i quali avevano provato ad esuberanza la loro

identità personale, tali affermazioni risultando per loro natura indimostrabili,

lasciavano nell’incertezza, tanto più che ci si trovava in presenza di una

rivelazione non troppo lusinghiera per l’amor proprio degli scrittori ed

inventori di questo basso mondo. In pari tempo si sarebbe detto che dovesse

risultare per sempre impossibile di ottenere in proposito una buona prova

sulla base dei fatti. Ed ecco, invece, che la prova ci venne fornita in triplice

forma, ed a proposito di uno tra i massimi geni poetici dei nostri tempi. Ne

deriva che questa volta si è forzati ad ammettere per dimostrato ciò che dai

primordi del movimento spiritualista affermarono concordemente le

personalità spirituali elevate comunicanti medianicamente.

Conclusioni codeste a tal segno contrarie a ciò che se ne pensa in ambiente

scientifico, che passerà del tempo, e forse molto tempo, prima che vengano

accolte. Ma ciò non importa: così avvenne sempre: il misoneismo umano ha

sempre combattuto e ostacolato in ogni modo l’avvento delle idee nuove; e

ciò, si noti bene, è quanto deve essere se si vuole che il progresso umano

proceda avanti regolarmente, senza scosse e senza crisi morali e materiali

socialmente pericolose. Innovatori e conservatori sono entrambi

necessari per mantenere l’indispensabile equilibrio nel movimento

ascensionale dell’intelligenza umana. Il che equivale a dire che il

«misoneismo» di tanta parte dell’umanità pensante non ha mai impedito alla

Verità di trionfare a suo tempo. Impedì sempre alla Verità di emergere prima

del tempo; e ciò è un bene. Così avverrà per la serie imponente delle

manifestazioni supernormali indagate dalla «metapsichica», delle quali forma

parte integrante la sezione qui considerata della «Letteratura d’oltretomba»;

e per quanto si tratti di una sezione minuscola in rapporto al vastissimo

campo ignorato del supernormale, nondimeno converge a sua volta, in unione

alle altre sezioni, verso la dimostrazione sperimentale dell’esistenza e

sopravvivenza dello spirito umano.

Il che vale ad ammonire coloro tra i cultori d’indagini psichiche i quali

dimenticano troppo facilmente che la sopravvivenza umana può dimostrarsi

sperimentalmente anche all’infuori dei casi di identificazione spiritica

fondati sui ragguagli personali forniti dai defunti comunicanti;

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

54

circostanza quest’ultima rivestente un altissimo valore teorico, il quale risulta

di attualità, in quanto si elevarono recentemente voci di eminenti ed

autorevoli metapsichicisti in perfetta buona fede, i quali richiamarono

l’attenzione dei competenti sul valore teorico di vecchie ipotesi metafisiche,

che sono poi quelle dell’esistenza presumibile di una «memoria cosmica», con

l’altra affine, ma letteralmente fantastica, dell’esistenza di un serbatoio

cosmico delle memorie individuali; ipotesi proposte a spiegazione dei

casi d’identificazione spiritica propriamente detta, e che trassero gli

autorevoli personaggi in discorso a concluderne malinconicamente che le

probabilità di pervenire un giorno ad ottenere una prova scientificamente

adeguata all’esistenza e sopravvivenza dello spirito umano diminuivano di

giorno in giorno in conseguenza di siffatte ipotesi, che per quanto puramente

metafisiche, non si potevano escludere, e in conseguenza neutralizzavano per

sempre l’efficacia dei casi d’identificazione spiritica, in quanto sono

fondati sui ragguagli personali forniti dai defunti comunicanti.

Non essendo questo il momento d’iniziare una discussione a fondo su tali

presunte obbiezioni insormontabili, ricordo che ad esse allusi in precedenza,

confutandole in brevi paragrafi, mentre recentemente furono da me demolite

e sgominate per sempre in un libro intitolato: Animismo o Spiritismo? Mi

limito pertanto ad osservare con meraviglia che gli eminenti metapsichicisti i

quali si espressero nei termini esposti, diedero prova di essersi dimenticati

che la dimostrazione scientifica dell’esistenza e sopravvivenza dello spirito

umano, non dipende affatto da un’unica prova ricavabile dai ragguagli

personali che i defunti forniscono medianicamente ai viventi, bensì

dalla circostanza imponente delle manifestazioni supernormali - Animiche e

Spiritiche - le quali concorrono in massa a fornire prove in tal senso; vale a

dire che tutte convergono come a centro verso la dimostrazione dell’esistenza

nell’uomo di uno spirito indipendente dal corpo, organizzatore del corpo,

sopravvivente alla morte del corpo; mentre tali prove risultano assolutamente

estranee ai casi d’identificazione spiritica incriminati dagli oppositori; e in

conseguenza, esse convalidano indirettamente i casi stessi, conferendo loro

una stabilità scientifica che, in linea di massima, può considerarsi incrollabile.

Come già si disse, una di tali prove emerge dai casi qui considerati della

«Letteratura d’oltretomba», in base ai quali si è tratti a far capo all’ipotesi

dell’esistenza e sopravvivenza dello spirito umano pel tramite di

manifestazioni che non sono prove d’identificazione spiritica.

Un’altra di tali prove, addirittura fondamentale per la convalidazione

scientifica dell’ipotesi in esame, consiste nel fatto dell’esistenza latente, nei

recessi della subcoscienza umana, di facoltà di senso supernormali,

emancipate dai vincoli dello spazio e del tempo, indipendenti dalla legge di

evoluzione biologica (indizio quest’ultimo che non sono il prodotto

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

55

dell’evoluzione biologica), inoperose ed inutili durante l’esistenza terrena, e

ciò in quanto risultano inconciliabili con le condizioni in cui si estrinseca la

esistenza incarnata (è chiaro, infatti, che se la chiaroveggenza nel futuro

divenisse normale, paralizzerebbe ogni iniziativa umana); tutte circostanze di

fatto teoricamente importantissime, in quanto dimostrano che le facoltà

supernormali subcoscienti non possono spiegarsi presupponendo che

rappresentino un «sesto senso in gestazione» (Richet). Si aggiunga a tal

riguardo che sebbene le circostanze in discorso bastino da sole ad eliminare

definitivamente tale gratuita ipotesi, nondimeno è facile rilevare altre

circostanze di fatto ugualmente risolutive in tal senso, quali, ad esempio,

l’osservazione che le facoltà supernormali subcoscienti si estrinsecano

utilizzando i sensi esistenti: visione, audizione, tatto, ciò che dimostra che non

possono risultare per se stesse un «senso biologico in gestazione»; e l’altra

osservazione che in luogo di determinarsi per appercezione diretta, vale a

dire dalla periferia al cervello, come dovrebbe avvenire di qualsiasi senso

biologico, passato, presente e futuro, esse si determinano per appercezione

inversa, vale a dire dal cervello alla periferia, sotto forma di visioni e

audizioni subbiettive proiettate all’esterno, e quasi sempre proiettate in forma

più o meno simbolica; ciò che dimostra ulteriormente che non potrebbe

trattarsi di un «sesto senso» in gestazione, visto che i sensi biologici

dovrebbero automaticamente percepire la realtà quale ad essi si manifesta, e

non già tradurla intelligentemente in simbolismi astrusi che, per soprappiù,

nel caso nostro assumono talvolta un significato molto elaborato, di cui si

scoprono chiaramente gli scopi ma solo ad evento compiuto. Noto, infine,

come tali facoltà emergano a sprazzi fugaci solo in periodi di menomazione

vitale negli individui (sonno, deliquio, estasi, ipnosi, narcosi, coma), altra

circostanza inconciliabile con l’ipotesi del «sesto senso», ma che invece è in

perfetto accordo con l’ipotesi spiritualista, in quanto induce logicamente a

inferirne che quando la crisi della morte avrà liberato le facoltà supernormali

dalla cattività della carne; allora soltanto potranno esercitarsi in piena

efficienza in ambiente loro appropriato.

In altre parole: tutto concorre a dimostrare che le facoltà supernormali in

discorso, risultano i sensi spirituali dell’uomo i quali esistono preformati, allo

stato latente, nei recessi della subcoscienza, in attesa di emergere e di

esercitarsi in ambiente spirituale, dopo la crisi della morte; così come i sensi

biologici esistono preformati, allo stato latente, nell’embrione, in attesa di

emergere e di esercitarsi in ambiente terreno, dopo la crisi della nascita; o

così come nella crisalide del bruco esistono preformate, allo stato latente, le

ali, in attesa di emergere e di esercitarsi in ambiente appropriato, dopo la crisi

di sviluppo che trasformerà il bruco in farfalla.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

56

Una terza prova del genere altrettanto importante e suggestiva, è quella

ricavabile dai fenomeni di «bilocazione» nel sonno naturale, nel sonno

provocato, nella narcosi, nel coma, o quali si conseguono sperimentalmente, o

sono visualizzati dai «sensitivi» al capezzale dei morenti. Noto che queste

ultime manifestazioni al letto di morte - teoricamente importantissime, - sono

qualche volta osservate collettivamente, o successivamente da parecchie

persone, e furono due volte fotografate. Niun dubbio pertanto sul fatto che le

svariate modalità con cui si estrinsecano i fenomeni di «bilocazione»

concorrono a fornire la prova sperimentale risolutiva sulla reale esistenza di

un «corpo spirituale» separabile dal «corpo carnale», con le conseguenze

teoriche che ne derivano.

Conseguenze teoriche le quali sono, a loro volta, mirabilmente convalidate

da una quarta prova emergente dagli episodi delle «Apparizioni dei defunti al

letto di morte», episodi che si estrinsecano con tali multiformi modalità, da

escludere in modo risolutivo le ipotesi allucinatoria e telepatica; come quando

i fantasmi dei defunti sono visualizzati collettivamente, o successivamente,

dai presenti e dai nuovi arrivati; o come quando i presenti sono i primi a

scorgere il fantasma del defunto, che viene in seguito percepito dal morente,

ma solo quando gli accade di volgere lo sguardo in quel punto; e soprattutto,

come quando il morente e il percipiente sono bimbi in tenera età, quindi non

suscettibili di autosuggestionarsi fino ad allucinarsi per paura della morte:

essi che ignorano la morte.

Altrettanto dicasi per le prove emergenti da una quinta prova consistente

nei casi delle «Apparizioni di defunti dopo trascorso qualche tempo dalla loro

morte», casi che quando sono visualizzati collettivamente o successivamente

da varie persone, in guisa da eliminare le solite ipotesi allucinatoria e

telepatica, risultano una delle prove più importanti e incontestabili in favore

della sopravvivenza.

Così dicasi ancora per una sesta prova emergente dalle esperienze delle

«corrispondenze incrociate», le quali si elevarono odiernamente a un

altissimo valore teorico in senso spiritico, e ciò in virtù dei mirabili risultati

ottenuti dal dottor Crandon a Boston, con la medianità della propria consorte

Mrs. Margery, e con tre gruppi simultanei di sperimentatori lontani tra di loro

centinaia di miglia, i quali corrispondevano tra di loro pel tramite di «spiriti

messaggeri», tra i quali lo spirito di un cinese il quale rendeva tradotti in

cinese i «motti proverbiali» a lui conferiti in inglese. Altrettanto notevoli, da

un punto di vista diverso, risultano le mirabili esperienze del genere

conseguite da Mr. Frederick James Crawley a Newcastle, e dalla medium

Osborne Leonard a Londra.

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

57

Infine, osservo che numerose altre categorie di manifestazioni

supernormali - le quali furono dallo scrivente illustrate in apposite

monografie - forniscono ottime prove del genere qui considerato; ma non è

possibile dimostrarne efficacemente l’importanza teorica senza ricorrere ad

esempi. Così dicasi per taluni episodi di fantasmi materializzati viventi e

parlanti, talvolta parlanti e scriventi in lingue ignorate da tutti i presenti

(D’Esperance, Kluski); così dicasi per talune varietà di «fotografie

trascendentali» in cui si tratta di defunti sconosciuti a tutti i presenti, ma che

si pervennero a identificare, o che fornirono essi medesimi i dati per la loro

identificazione; così dicasi per talune meravigliose manifestazioni di «musica

trascendentale» al letto di morte e dopo morte; o per talune estrinsecazioni

importanti di fenomeni d’infestazione, con fantasmi sconosciuti ai percipienti

e identificati in base ad antichi ritratti; o per un gruppo di casi testificanti la

realtà dei fenomeni di «ossessione» e «possessione», in cui gli spiriti

ossessionanti sono scorti dai mediums, e in seguito identificati da chi li aveva

conosciuti in vita; o per taluni gruppi di premonizioni ed auto-premonizioni

di morte accidentale adombrate in simboli che risultano impenetrabili fino

ad evento compiuto, e ciò palesemente onde impedire alla vittima di

sottrarsi al destino che l’attende.

Insomma, vorrei che si comprendesse che quando si discute intorno alla

validità o meno dell’ipotesi spiritica, non dovrebbe dimenticarsi mai che tale

validità non poggia unicamente sui casi d’identificazione spiritica

fondati sui ragguagli personali forniti dai defunti comunicanti, ma

risulta incrollabilmente stabilita sopra un fascio di prove ricavate dal

complesso intero delle manifestazioni supernormali - Animiche e Spiritiche.

Ripeto che quest’ultima verità appare indiscutibile, nonché teoricamente

risolutiva; ma, in pari tempo, rilevo ch’essa è costantemente dimenticata dagli

oppositori dell’ipotesi spiritica, nonché ben sovente anche dagli stessi suoi

propugnatori, i quali rimangono qualche volta imbarazzati e perplessi di

fronte alle obbiezioni avversarie, precisamente in causa della circostanza

ch’essi, a loro volta, dimenticano che l’ipotesi spiritica risulta incrollabilmente

fondata sopra una moltitudine di prove sperimentali e spontanee, non già

sopra una prova sola, e che basta considerare cumulativamente tali prove, per

convincersi dell’impossibilità logica d’intaccarne in minima guisa la

compagine.

Vivano pertanto i loro giorni tranquilli le anime trepidanti che ad ogni

stormir di fronda paventano l’imminenza di una catastrofe per la Verità che

loro è cara. Si persuadano costoro che non è razionalmente lecito accampare

anche il più timido dubbio sulla stabilità delle basi su cui poggia l’ipotesi

spiritica; e se, malgrado ciò, l’ipotesi spiritica annovera ancora oppositori tra

le schiere dei competenti nelle discipline metapsichiche, ciò è dovuto

 LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano

58

esclusivamente al fatto che all’intelletto umano riesce sommamente arduo il

mantenere simultaneamente presenti dinanzi al criterio della ragione tutti i

dati che costituiscono ogni complesso problema da risolvere, determinandosi

in tal guisa il perpetuo avvicendarsi e aggrovigliarsi delle conclusioni

sbagliate, in quanto sono fondate sopra una parzialissima sintesi dei fatti.

Riconosco nondimeno che l’inconveniente lamentato, in quanto deriva da

un’imperfezione congenita dell’intelletto umano, assume valore di una legge

biologico-psichica; e così essendo, a noi non rimane che inchinarci dinanzi ai

decreti della provvidenza, in base ai quali dovrebbe inferirsene che in linea di

massima, il brancicare nell’errore, e il procedere sulla via della Verità

incespicando ad ogni passo, ma spronati sempre avanti dall’aculeo del Dubbio

filosofico, siano fattori indispensabili all’individuazione e all’elevazione della

personalità spirituale umana.

F I N E

Preghiera al Padre - 20/01/2001

Padre Dolce,

Padre Buono.

Tu che sei nell’universo,

Tu che sei nelle cose,

Tu che sei in noi.

Tu che nutri il nostro corpo materiale,

Tu che nutri il nostro corpo spirituale;

Aiutaci in questa esistenza.

Aiutaci a perdonare per il male che ci fanno, perché

anche noi abbiamo fatto del male.

Aiutaci a cercare cibo per il corpo fisico e pane per la

nostra anima.

Aiutaci a superare le prove della vita con serenità;

e che Tu, assieme ai nostri fratelli spirituali, ci sia

sempre vicino.

Amen.