LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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Pagina
INDICE
3 Introduzione
4 Il caso
Beecher-Stowe
7 Il caso Scaramuzza
10 Il caso Dickens
12 Il caso
Sharp-Macleod
18 Il caso Wilde
24 Il caso Worth
42 Il caso Hugo
52 CONCLUSIONI
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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INTRODUZIONE
Tra le multiple forme che assumono le manifestazioni
medianiche d’ordine
intelligente, vi è pur quella della estrinsecazione di
opere letterarie, talvolta
assai voluminose, dettate psicograficamente da entità sé
affermanti gli «spiriti
dei trapassati».
Non è il caso di osservare che molte di tali produzioni
medianiche non
resistono alla più superficiale analisi critica,
dimostrandosi palesemente il
frutto di una grossolana e più o meno sconclusionata
elaborazione oniricosubcosciente,
con personificazioni sonnamboliche concretatesi per
suggestione od autosuggestione; personificazioni le quali
non possono far di
meglio che valersi delle risorse di coltura e d’ingegno
inerenti alle personalità
coscienti dalle quali derivano, con la conseguenza che le
opere letterarie dei
presunti spiriti comunicanti si dimostrano ben sovente
così rudimentali da
tradire la loro origine, eliminando ogni dubbio in
proposito.
Il che non impedisce che accanto ai pseudo-mediums si
rinvengano i
mediums genuini, pel tramite dei quali si estrinsecano
talvolta opere
letterarie di gran merito, le quali inducono seriamente a
riflettere, in quanto
non possono in modo alcuno attribuirsi a una elaborazione
subcosciente della
limitatissima coltura generale propria ai mediums che le
dettarono. Il che trae
logicamente a inferirne che tali produzioni abbiano
effettivamente ad
attribuirsi ad interventi estrinseci; tanto più se si
considera che alle prove in
tal senso ricavabili dalle caratteristiche di forma, di
stile, di tecnica
individuale del dettato letterario, nonché talora
dall’identità calligrafica, si
aggiungono altre prove cumulative importanti le quali
consistono in ragguagli
personali ignorati da tutti i presenti e risultati
veridici, o in citazioni
altrettanto veridiche e da tutti ignorate riferentisi ad
elementi storici,
geografici, topografici, linguistici, filologici, d’ordine
talora complesso e quasi
sempre raro; come pure, in descrizioni minuziose,
colorite, vivaci di ambiente
e di costumi riguardanti popoli antichissimi; tutte
circostanze da non potersi
in modo alcuno dilucidare con la comoda ipotesi
dell’emergenza subcosciente
di cognizioni acquisite dai medium e poi dimenticate (criptomnesia).
Scopo del presente lavoro è di analizzare le principali manifestazioni
del
genere, tanto più che odiernamente si ottennero dettati i
quali rivestono un
alto valore teorico in senso decisamente spiritualista.
In tale ordine di manifestazioni, ben poco si ottenne in
passato di
teoricamente importante; comunque, non posso esimermi
dall’accennarvi
sommariamente.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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IL CASO BEECHER-STOWE
E comincio da un caso di transizione, in cui non si
saprebbe a quale
soluzione far capo nel giudicare se le modalità con cui si
estrinsecò una
famosa opera letteraria, debbano attribuirsi ad interventi
estrinseci, ovvero a
uno stato di sovreccitazione psichica abbastanza comune
nelle “crisi
d’ispirazione” cui soggiacciono mentalità geniali.
In ogni modo, il caso appare interessante ed istruttivo,data
la notorietà
dell’autrice e l’influenza grande che l’opera letteraria a
cui si allude esercitò
sulle vicende storiche e sociali di una grande nazione. Mi
riferisco con ciò alla
celebre scrittrice Enrichetta Beecher-Stowe, ed al suo
famoso romanzo: «La
Capanna dello Zio Tom», il quale contribuì efficacemente
all’abolizione della
schiavitù negli Stati Uniti.
L’ambiente familiare in cui visse Enrichetta Beecher-Stowe
poteva ritenersi
sommamente favorevole ad interventi spirituali. Il prof.
James Robertson,
scrivendone sul «Light» (1904, p. 388), osserva:
«Il marito prof. Stowe era un medium veggente. Gli
accadeva sovente di
scorgere a sé intorno fantasmi di defunti, e ciò in guisa
a tal segno distinta e
naturale che gli riusciva talvolta difficile il discernere
gli “spiriti incarnati” da
quelli disincarnati».
Quanto a Mrs. Beecher-Stowe, era essa pure una grande
sensitiva soggetta
a frequenti crisi di «depressione nervosa», con fasi di
«assenza psichica», ed
aveva accolto con entusiasmo il movimento spiritualista
iniziatosi in America
da qualche anno.
Per ciò che riguarda il suo grande romanzo: «La Capanna
dello Zio Tom»,
tolgo dal «Light» (1898, p. 96) i ragguagli seguenti:
«Mrs. Howard, intima amica di Mrs. Beecher-Stowe, fornisce
le seguenti
suggestive informazioni intorno alle modalità con cui
venne dettato questo
famoso romanzo. Le due amiche si trovavano in viaggio, e
si fermarono a
pernottare ad Hartford, recandosi a casa di Mrs. Perkins,
sorella della Stowe.
Dormirono entrambe nella medesima camera. Mrs. Howard si
era svestita
subito, e dal letto stava osservando l’amica che
s’indugiava a ravviarsi
automaticamente i capelli ricciuti, manifestando nel
sembiante uno stato
d’intensa concentrazione mentale».
A questo punto la narratrice così continua:
«Finalmente Enrichetta parve scuotersi, e così mi parlò:
“Stamane ricevetti
lettere da mio fratello Edoardo, il quale è preoccupato
sul conto mio, giacché
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teme che tutte queste lodi, tutta questa notorietà creatasi
intorno al mio
nome, non abbia a ridestare in me una vampata di orgoglio,
con grave
discapito dell’anima mia di cristiana”. Così dicendo, essa
depose il pettine, ed
esclamò con voce appassionata: “Anima bella, quel fratello
mio! Ma egli non
se ne preoccuperebbe se sapesse che quel libro non l’ho
scritto io!”. - “Come
mai?” - chiesi stupefatta, - “non siete voi che avete
scritto La Capanna dello
Zio Tom? - “No”
- essa rispose - “io non feci altro che prendere nota di ciò
che ho visto”. - “Come sarebbe a dire? Voi non avete mai
visitati gli Stati del
Sud”. - “E’ vero; ma tutte le scene del mio romanzo, una
dopo l’altra, si
svolsero dinanzi alla mia visione, ed io non feci che
descrivere ciò che
vedevo”. - Chiesi allora: “Per lo meno avrete ordito la
trama degli eventi?”. -
“Niente affatto” - essa rispose; - “vostra figlia Annie mi
rimproverò per aver
fatto morire Evangelina; ma io non ne ho colpa, e non
potevo impedirlo. Ne
fui straziata più di qualunque altro; sentivo come se
fosse morta la persona
più cara della mia famiglia, e quando avvenne la sua
morte, ne rimasi a tal
segno accasciata, che non fui più in grado di riprendere
la penna per oltre due
settimane”. - Allora chiesi: “E lo sapevate che il povero
Zio Tom doveva egli
pure morire?”. - Rispose: “Sì, questo lo sapevo già dal
principio, ma ignoravo
in qual modo doveva morire. Quando pervenni a questo punto
della mia
storia, non ebbi più visioni per qualche tempo”».
In altro fascicolo della medesima rivista (1918, pag. 315)
viene riferito il
seguente periodo sul medesimo argomento:
«Una sera, verso il tramonto, Mrs. Beecher-Stowe
passeggiava soletta,
come sempre, nel parco. Il capitano X. la vide, le si
avvicinò, e togliendosi
rispettosamente il cappello, così le parlò: “In gioventù
lessi anch’io, con
immensa commozione La Capanna dello Zio Tom.
Permettetemi ch’io
stringa la mano a colei che scrisse il memorabile
romanzo”. - La settuagenaria
autrice gli stese la mano, osservando vivacemente: “Io non
l’ho scritto”. -
“Come! Non l’avete scritto voi?” -chiese sbalordito il
capitano - “e allora chi lo
scrisse?” - Essa soggiunse: “Dio l’ha scritto, ed è Lui
che me l’ha dettato”».
Nel primo dei brani citati si osserva una spontanea
emersione dalla
subcoscienza della scrittrice di visioni cinematografiche
indicanti lo svolgersi
dell’azione del romanzo; ciò che presenta grandi analogie
con le modalità con
cui dettarono i loro romanzi altri scrittori di genio,
quali il Dickens e il Balzac.
Questi ultimi, a loro volta, vedevano sfilare dinanzi alla
loro visione
subbiettiva i personaggi e le scene che avevano
immaginato. La differenza tra
le loro visioni e quelle della Beecher-Stowe risiederebbe
appunto in
quest’ultima circostanza di fatto: ch’essi assistevano
allo svolgersi di eventi
creati e diretti dalla loro immaginazione consapevole,
laddove la Beecher-
Stowe assisteva passivamente allo svolgersi di eventi che
non aveva creato, e i
quali ben sovente risultavano in contrasto assoluto con la
sua volontà, la
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quale non avrebbe mai fatto morire le due sante creature
descritte nel suo
romanzo. Tale circostanza di fatto è importante, e
tenderebbe a differenziare
le visioni subbiettive comuni agli scrittori di genio, da
quelle della Beecher-
Stowe, così come le stereotipate, automatiche
«obbiettivazioni dei tipi» quali
si ottengono per suggestione ipnotica, non presentano
nulla di comune con le
indipendenti, liberamente agenti personalità medianiche
quali si manifestano
coi veri mediums.
E la presunzione che non si trattasse di visioni puramente
subbiettive
acquista maggiore efficacia per effetto del secondo dei
brani citati, nel quale la
Beecher-Stowe dichiara esplicitamente di avere trascritto
il suo romanzo
come se le fosse dettato. Il che dimostrerebbe che la
celebre scrittrice era una
medium scrivente; circostanza che si accorderebbe con
l’altra rilevata dai suoi
biografi, ch’essa andava soggetta «a fasi di assenza
psichica», le quali
presumibilmente erano stati di «trance» incipiente.
Da un altro punto di vista, osservo che l’esclamazione
della Beecher-Stowe:
«Dio l’ha scritto!» sottintende che il dettato medianico
si era estrinsecato in
forma anonima; vale a dire che l’agente spirituale
operante aveva occultato la
propria individualità, tenendosi presumibilmente pago di compiere
in Terra
la missione assunta di contribuire efficacemente, per
ausilio di un racconto
commovente fino allo strazio, alla grandiosa opera
umanitaria della
redenzione di una razza oppressa.
Tutto ciò mi parve lecito indurre da quanto si venne
esponendo; tuttavia
non insisto in proposito, dato che le induzioni stesse non
risultano sufficienti
onde concludere in favore dell’origine estrinseca del
romanzo in esame.
Nondimeno giova osservare che le basi su cui poggiano le
induzioni in favore
di una spiegazione puramente subbiettiva degli stati
d’animo in cui si trovò la
scrittrice allorché dettava il suo grande romanzo,
appariscono più deficienti
all’analisi di quel che non avvenga per l’interpretazione
spiritualista dei
medesimi.
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7
IL CASO SCARAMUZZA
Passo a riferire un secondo caso del genere occorso in
Italia molti anni or
sono; e si tratta di un caso che non può definirsi più di
transizione come il
precedente, e ciò sopratutto in quanto in esso non si
riscontra l’incertezza
teorica derivante dal fatto della personalità comunicante
la quale non rivela la
propria presenza. In quest’ultimo episodio, invece, le
personalità medianiche
operanti dichiarano esplicitamente l’esser loro; sennonché
si riscontra che dal
punto di vista probativo, le modalità con cui si
estrinsecano i dettati medianici
risultano a tal segno manchevoli, da suscitare perplessità
di gran lunga
maggiori di quanto era occorso nel caso che precede.
Il professore Francesco Scaramuzza era direttore
dell’Accademia di Belle
Arti di Parma, nella quale insegnava pittura, arte in cui
egli aveva raggiunto
una notevole eccellenza. Era nondimeno destituito di
coltura letteraria,
giacché a quattordici anni aveva cessato di frequentare le
scuole, dovendo
pensare a guadagnarsi
esperienze di magnetismo animale, che aveva praticato con
buon successo.
Divenne spiritista in età matura, e a 64 anni si rivelò
medium scrivente, ma
per soli tre anni (1867-1869). Durante tale breve lasso di
tempo, egli dettò con
rapidità vertiginosa una quantità enorme di opere poetiche
d’ogni sorta. Tra
esse, meritano speciale menzione un voluminoso poema in
ottava rima (29
canti e 3000 ottave), il quale s’intitola: «Il Poema
Sacro», e due commedie in
versi, il cui autore sarebbe stato lo spirito di Carlo
Goldoni; commedie vivaci,
brillanti magistralmente sceneggiate, e che rivelano tutto
il sapore dell’arte
goldoniana.
Ma non può affermarsi altrettanto per la paternità del
voluminosissimo
«Poema Sacro», il quale gli sarebbe stato dettato dal
sommo poeta Lodovico
Ariosto. Nel poema si trattano eccelsi argomenti quali la
natura di Dio, la
genesi dell’Universo, la creazione dei soli e dei mondi,
le origini della Vita nei
mondi, gli scopi della Vita, e i destini dello spirito
individualizzato per effetto
del transito nella Vita incarnata. Si rinvengono qua e là
delle immagini
magnifiche, comprensive; grandiose, ma quasi sempre
espresse in lingua
povera, e accomodate in versi pedestri e volgari. Le
concezioni cosmogoniche
che vi si insegnano appariscono razionali ed accettabili;
qualche volta
assurgono a vera altezza filosofica, come quando si
accenna all’immanenza di
Dio nell’universo, la quale si rivelerebbe ai mortali
sotto forma di «Moto»; e
come quando si analizzano il Tempo e lo Spazio, attributi
di Dio, perché
infiniti qual è Dio; ciò che di deduzione in deduzione
conduce la personalità
medianica comunicante a far capo a una concezione che
s’identifica con
l’ipotesi «dell’Etere Dio».
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Si prova quasi un senso di dispetto in vedere espressi
pensieri
filosoficamente sublimi in versi tanto pedestri, e in
forma spietatamente
volgare. Eppure i versi corrono sempre, e le rime sono
quasi sempre
spontanee; ciò che rivela una indiscussa familiarità con
la tecnica del verso
nella personalità medianica comunicante. Quest’ultima si
lagna sovente col
medium il quale riveste le idee che gli trasmette in una
forma poetica
trasandata; ed essa aggiunge che non può impedirlo. Deve
riconoscersi che in
tali affermazioni della personalità comunicante si
rinviene un fondo di verità,
in quanto esse concordano con le odierne cognizioni
acquisite in proposito,
sulla base delle esperienze di trasmissione telepatica del
pensiero, le quali
dimostrarono come il solo pensiero appartenga alla
mentalità dell’agente,
mentre la forma in cui viene rivestito appartiene
all’elaborazione subcosciente
del percipiente. Deve pertanto inferirsene che se, come
nel caso nostro, il
medium è persona priva di coltura letteraria, egli non
potrà non rendere assai
male i concetti trasmessigli telepaticamente dalla
personalità medianica
comunicante.
Questo è quanto può invocarsi in favore dell’origine
estrinseca di questo
«Poema Sacro», il quale se induce a perplessità malgrado
le deficienze grandi
della forma, ciò avviene in ragione della elevatezza
filosofica di talune sue
parti. Comunque, dal punto di vista dell’identificazione
personale del
sedicente spirito comunicante, deve riconoscersi che nulla
in esso si rinviene
che possa indirettamente avvalorare la presunzione che
potesse trattarsi
effettivamente del poeta Lodovico Ariosto, salvo la
bellezza di talune
immagini, per quanto esse risultino costantemente sciupate
dalla volgarità
della forma.
In pari tempo deve altrettanto francamente riconoscersi
che se si vuole
attribuire il tutto alle facoltà di elucubrazione
artistica inerenti alla
subcoscienza del medium che le dettava, il quesito non
manca di apparire
abbastanza oscuro e imbarazzante; giacché il medium non
era soltanto
destituito di coltura letteraria, ma nulla sapeva in fatto
di scienza e di
filosofia. Di dove dunque scaturì l’ispirazione grandiosa
di certe parti del suo
sistema cosmogonico? Né bisogna dimenticare il fatto
stupefacente del
medium che in soli tre anni, oltre il «Poema Sacro» in 29
canti e 3000 ottave
(il che forma un volume di 915 pagine), dettò due commedie
in versi attribuite
a Carlo Goldoni, tredici lunghissime novelle ugualmente in
versi; due cantiche
in terzine dantesche; un melodramma, una tragedia, cinque
canti giocosi
firmati dal defunto suo zio che fu poeta giocoso in vita,
e infine un grosso
volume di liriche.
Produzione poetica enorme, sempre deficiente nella forma,
ma
frequentemente buona, qualche volta ottima per la
sostanza, per le immagini,
per la profondità del pensiero filosofico. Comunque,
convengo francamente
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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che non è il caso di soffermarci ulteriormente a
commentare la produzione
medianica dello Scaramuzza, visto che la medesima non
presenta dati
sufficienti onde ricavarne inferenze più o meno legittime
in favore dell’una o
dell’altra delle ipotesi esplicative antagoniste che si
contendono il campo in
metapsichica. Probabilmente né l’una né l’altra delle ipotesi
in discorso
potrebbe valere a darne ragione da sola; per cui si
sarebbe indotti a
concludere che nei casi della natura esposta, le
interferenze subcoscienti
potrebbero alternarsi in guisa inestricabile con fugaci
irruzioni d’ispirazione
supernormale, la cui natura non è, per ora, definibile.
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10
IL CASO DICKENS
Nulla volendo omettere in questa enumerazione dei casi
speciali qui
considerati, debbo ancora accennare al notissimo episodio
riguardante il
romanzo di Carlo Dickens: «Edwin Drood», romanzo rimasto
incompiuto alla
sua morte, e che lo spirito del romanziere stesso avrebbe
condotto a
compimento post-mortem, pel tramite del medium T.P. James,
giovane
operaio meccanico nord-americano, privo di coltura letteraria.
L’episodio si svolse nell’anno 1873, e dal punto di vista
probativo, esso
appare incontestabilmente genuino. I particolari con cui
si estrinsecò tale
serie di sedute risultano molto interessanti, ma sono
anche assai noti -
specialmente per opera dell’Aksakof - e non è il caso di
ricordarli. L’origine
supernormale del dettato medianico venne alternativamente
affermata e
negata da numerosi commentatori, i quali lo fecero
valendosi ugualmente, ed
altrettanto efficacemente, dell’analisi comparata tra le
due sezioni - autentica
e postuma - del romanzo in questione.
I partigiani della soluzione puramente subcosciente
dell’enigma, si
adoperano sopratutto a rilevare e commentare le deficienze
e le incoerenze
d’ordine generale. Così, ad esempio, Mad. Fairbanks fa
rilevare che nelle carte
postume di Carlo Dickens fu rinvenuta una scena
anticipatamente scritta per
la seconda parte del romanzo, scena che non venne
riprodotta nella dettatura
medianica. - Mrs. Vesel osserva a sua volta che leggendo
questa seconda
sezione postuma del romanzo in esame, trovò per la prima
volta il Dickens
monotono e pesante.
Per converso, gli assertori dell’origine genuinamente
spiritica del dettato
medianico, hanno molto da rilevare di analiticamente
suggestivo, a
cominciare dal fatto che il «racconto riprende al punto
preciso in cui l’aveva
interrotto il Dickens, e ciò con tale naturalezza che il
critico più esercitato non
sarebbe in grado di segnalare quel punto». Rilevano
inoltre numerosi
particolari di stile, di forma, di costruzione, di
ortografia realmente eloquenti
in senso affermativo. Così, ad esempio la parola
«traveller» (viaggiatore)
risulta costantemente scritta con doppia «l», com’è l’uso
in Inghilterra,
laddove agli Stati Uniti si scrive con una «l» sola; e la
parola «coal» (carbone)
risulta costantemente scritta con una «s» finale, come
usano gli inglesi, e
come non usano gli americani. Si nota inoltre nell’autore
una familiarità
topografica minuziosa della città di Londra, dove il
medium non era mai
stato. Così pure, abbondano nel dettato i «modi dì dire»
familiari agli inglesi,
e non adoperati dagli americani. Infine, si passa in esso
bruscamente dal
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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tempo passato al tempo presente, sopratutto nelle scene
movimentate,
consuetudine caratteristica del Dickens, ma che non si
rileva in altri
romanzieri.
Sir Arthur Conan Doyle, analizzando a sua volta il caso in
un articolo
pubblicato sulla «Fortnightly Review» (December 1927), fa
rilevare altre
analogie, a cominciare dai titoli dei capitoli, i quali
nel dettato medianico
conservano inalterata l’impronta originale specialissima
dei titoli cari al
Dickens. Egli inoltre, cita due brani descrittivi tratti
dal dettato medianico,
insieme ad altri due brani del medesimo genere ricavati dalla
parte autentica
del romanzo, senza indicare a quale dei due testi
appartengano i singoli brani,
e invitando i critici a sceverare gli autentici dai
medianici; compito ch’egli
dichiara assai arduo, data l’identità perfetta dello stile
e della forma, nonché
della loro bellezza letteraria improntata a un identico
temperamento artistico.
Con tutto ciò anche Sir Arthur Conan Doyle riconosce che
il vero Dickens
avrebbe forse fatto agire diversamente taluni personaggi
del romanzo, ma
osserva giustamente: «Mi sembra, però, che il voler troppo
insistere su tal
punto, equivarrebbe a pretendere che un Dickens
appesantito dal suo
connubio col cervello del medium James, debba mantenersi
mentalmente
agile come un Dickens che adopera il cervello proprio.
Bisogna razionalmente
concedere qualche cosa in proposito». Osservo che
quest’ultima
considerazione si conforma a quanto feci osservare in
precedenza a proposito
dei dettati medianici di Francesco Scaramuzza. Comunque,
anche Sir Arthur
Conan Doyle conclude osservando che nel romanzo postumo in
questione
«siamo ancora lungi dall’essere autorizzati ad affermare
l’esistenza di una
reale ispirazione da parte del grande romanziere».
Ed è in tal senso che concluderemo anche noi; vale a dire
che se i processi
dell’analisi comparata, anche questa volta appariscono
cumulativamente più
suggestivi in senso affermativo che in senso negativo,
tuttavia una siffatta
circostanza non autorizza ancora a formulare giudizi
precisi al riguardo; per
cui dovrà riconoscersi che neanche il caso Dickens può
annoverarsi tra quelli
che valgono a far propendere decisivamente la bilancia
delle probabilità in
favore dell’interpretazione spiritica dei fatti.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
12
IL CASO SHARP-MACLEOD
Nella narrazione che mi accingo a riferire viene segnato
il primo passo
decisivo nel dominio del supernormale, per quanto si
rimanga ancora
abbastanza perplessi quando si voglia definire la vera
natura della
manifestazione supernormale implicata. Alludo con ciò al
notissimo caso
«William Sharp-Fiona Macleod», in cui è questione del
misterioso connubio
di due disparatissimi scrittori in una sola persona.
Il critico letterario F.E. Leaning, il quale fece uno
studio accurato del caso
in esame, così comincia un suo articolo pubblicato nel
«Light» (1926, p. 218):
«Nei primi mesi dell’anno 1890, il mondo letterario
inglese fu sorpreso e
dilettato dalla pubblicazione di un romanzo e di una
raccolta di poesie che
portavano il nome di Fiona Macleod. Per quanto quel nome
fosse a tutti
sconosciuto, emergeva palese che si trattava di una nuova
stella di prima
grandezza che sorgeva sull’orizzonte letterario; e infatti
così fu e per dieci anni
essa brillò di splendore incomparabile, formando la
delizia estatica degli
amatori di una letteratura ispirata alle origini celtiche,
e interessando e
commovendo i lettori di romanzi.
«Non era da meravigliarsi per tale
subitaneo e incontrastato successo di
quella serie di opere letterarie saturate di uno strano
potere fascinatore che
avvinghiava ed entusiasmava, vitalizzate con “celtico
sale” sparso a piene
mani; nella prosa delle quali si conteneva maggior copia
di poesia di quanto
avrebbe potuto concepire una folla di poeti. Questi i
motivi per cui le opere di
Fiona Macleod avvinsero i cuori di un’intera generazione.
Il grande Meredith
aveva salutato la nuova scrittrice come una donna di
genio; scrittori di
prim’ordine come Yeats e Giorgio Russel l’accolsero quale
una “pari”. Ma
Fiona Macleod si comportava da Sfinge; nessuno la
conosceva
personalmente; essa eludeva la curiosità di tutti, voleva
mantenere il segreto
intorno a sé. Quando le si fecero insistenti premure
affinché riferisse qualche
ragguaglio intorno alla sua persona, essa informò di
essere nata mille anni or
sono, da un padre denominato “Sogno”, da una madre che si
chiamava
“Romanza”, in una residenza situata colà dove prende forma
l’arcobaleno.
«Naturalmente il mistero in cui si
avvolgeva la geniale scrittrice, spinse
molti a lavorare di fantasia, e vi furono taluni che
pervennero a colpire nel
segno; ma costoro furono subito neutralizzati con la più
solenne delle
smentite, ovvero tacitati col metterli a parte del
mistero, previo impegno
giurato di mantenere il segreto. Il quale fu mantenuto
fino alla morte
dell’autore, avvenuta nell’anno 1905.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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«E allora il mondo letterario inglese
fu colto da sbalordimento, e da tutte le
riviste si levò un brusio di api sciamate, poiché si
apprese che la misteriosa
scrittrice, piena di grazie e di fantasia femminile, alla
quale tanti scrittori
avevano fatta la corte da lontano, era una persona sola
col pubblicista e
romanziere William Sharp».
Questa la descrizione efficace con cui F.T. Leaning rende
conto del
trionfale successo letterario della misteriosa Fiona
Macleod, successo
terminato con l’inatteso «colpo di scena» esposto.
La vedova di William Sharp pubblicò un volume di memorie
biografiche
sul marito, esponendo i fatti nella loro cronistoria
verace e particolareggiata,
con l’intento di agevolare il compito dei psicologi i
quali si fossero proposti di
analizzare il caso.
Si apprende da tale volume che William Sharp era un
«sensitivo» e un
«veggente» dalla prima infanzia. Egli scorgeva a sé
intorno compagni di
giuoco inesistenti, scorgeva gli «spiriti degli alberi»,
gli «spiriti della natura»,
i quali gli apparivano in forme gigantesche o nane, e un
giorno gli apparve la
«fata dei boschi» sotto le spoglie di una bellissima
signora, ch’egli denominò
«occhi di stella». Aveva sette anni quando la vide per la
prima volta, in una
calda giornata estiva, eretta e meravigliosa nel mezzo a
una festa di fiori
campestri dalle campanule azzurre, e dagli occhi di lei si
sprigionava tanto
fascino e tanto amore che il bimbetto si gittò nelle sue
braccia. Lo rinvennero
in quel punto, piangente e desolato, chiedendo
appassionatamente di rivedere
la bella signora «dai capelli d’oro luminosi». Gli dissero
ch’egli era stato
abbacinato dal sole, che aveva fatto un bel sogno. Lo
Sharp aggiunge: «Io non
dissi nulla. Mi acquietai, ma non dimenticai». E quando il
bimbetto fu
cresciuto negli anni, quando divenne pubblicista e
romanziere, facendosi
notare per la maschia vigoria del proprio temperamento di
scrittore, la «fata
dei boschi», sotto il nome di «Fiona Macleod» intervenne a
dettargli per
«ispirazione» romanzi e poesie saturati di grazia
femminile, di fantasie di
sogno, di reminiscenze celtiche di mille anni or sono.
Questa, almeno, la
convinzione profonda di William Sharp; per quanto gli
capitassero momenti
di perplessità derivati dalla circostanza che andava
soggetto ad emergenze
altamente suggestive di ricordi personali di un’altra
esistenza vissuta sotto
spoglie femminili; ciò che lo portava a identificare in
qualche modo se stesso
con Fiona Macleod.
A pagina 301 delle memorie in esame, la vedova rende conto
in questi
termini delle differenze radicali esistenti tra il modo di
comporre del marito
quando personificava Fiona Macleod, e quando scriveva per
conto proprio:
«Durante gli anni in cui Fiona Macleod sviluppò tanto
rapidamente se
stessa, il suo coadiutore sentiva la necessità di
sostenere, fin dove era
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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possibile, anche la riputazione che si era acquistata come
William Sharp, ed
anzi era ansioso di non lasciarla decadere. Ma eravi una
radicale differenza
tra le modalità di produzione dei due generi letterari.
Gli scritti di Fiona
Macleod erano conseguenza di un impulso interiore
irresistibile: egli scriveva
perché era obbligato ad esprimere ciò che prorompeva non
cercato dall’animo
suo: non importa se ciò gli apportava piacere o dolore.
Quanto allo scrittore
William Sharp, egli produceva con modalità diametralmente
opposte a quelle
della propria personalità gemella: scriveva perché aveva
determinato di farlo
e limava diligentemente
imponevano... ».
Risulta pertanto provato che William Sharp dettò per
impulso estraneo alla
propria volontà gli scritti di Fiona Macleod; per cui
dovrebbe inferirsene che
egli fosse un «medium» ad ispirazione; ciò che del resto
si desume in modo
certo da numerosi passi delle memorie pubblicate dalla
vedova. Così, ad
esempio, a pagina 424, essa scrive: «Io mi trovai sovente
al suo fianco quando
cadeva in “trance”, e allora tutto l’ambiente pulsava;
ogni cosa entrava in
vibrazione intensa. Deploro di non aver preso nota
immediata di siffatte
esperienze, le quali erano frequenti, e costituivano una
caratteristica della
nostra vita intima».
E William Sharp, scrivendo alla propria moglie, in data 20
Febbraio 1896,
così si esprime:
«Vi è qualche cosa di strano e di elettrizzante nel fatto
di avere la
consapevolezza che in me si danno convegno due persone.
Quanto intime!
Eppure quanto tra di loro diverse! Sento talvolta come se
Fiona si trovasse
addormentata nella camera attigua, e sorprendo me stesso
in attitudine di
ascolto, quasi a spiarne i passi, ovvero nell’attesa di
vedere spalancarsi la
porta e comparirmi Fiona. Essa, però, quando mi si
comunica, lo fa
bisbigliandomi interiormente. Ora attendo con ansia di sapere
come svolgerà
la trama del nuovo romanzo “The Mountain Lovers”. Quanto è
strana questa
impressione di sentirmi qui solo con lei!» (pag. 244).
E la certezza in lui di avere un’invisibile compagna della
vita, era così
radicata, che lo spingeva ad abitudini curiose. Così nel
suo giorno natalizio
egli scriveva a se stesso una lettera augurale proveniente
da Fiona; quindi
dettava un’altra lettera di ringraziamento da lui medesimo
indirizzata a Fiona,
e poi le metteva entrambe alla posta. Nella sua libreria si
rinvennero
numerosi volumi i quali portavano la dedica: «A William
Sharp la sua
collaboratrice ed amica Fiona Macleod». A quanto sembra,
queste ultime
dediche erano in certo modo autentiche, in quanto
provenivano dalla
personalità medianica che si firmava, ed erano trascritte
automaticamente dal
medium.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
15
Un amico di gioventù dello Sharp riferisce nel «Light»
(1910, p. 598) un
episodio che conferma ulteriormente la di lui medianità.
Egli scrive:
«Molti anni or sono (intorno al 1878) io feci la
conoscenza e divenni amico
di William Sharp. Egli era ancora celibe, e viveva in un
piccolo appartamento
prossimo al nostro. Un giorno introdussi il tema del
moderno Spiritualismo,
ed egli osservò che non aveva mai assistito ad esperienze
del genere, e che vi
sarebbe intervenuto volentieri. Allora lo invitai nel
nostro circolo familiare.
Qualcuno domandò: “Quali sono le guide spirituali
del signor Sharp?”. Il
tavolino compitò lentamente un cognome scozzese: Macleod
(non ricordo
più il nome di battesimo). Ciò mi spinse a chiedergli:
“Allora i vostri antenati
erano scozzesi?”...
«Alcuni anni dopo lo invitai a casa
mia, avendo bisogno del suo consiglio
intorno a un volume di versi che mi accingevo a
pubblicare, e gli confidai che
parecchie poesie del volume erano state da me dettate per
“ispirazione”. Egli,
allora, mi esortò calorosamente a tenere ben nascosto il
fatto, se non volevo
compromettere me stesso di fronte ai critici... In altra
occasione, e a proposito
delle poesie di Fiona, aveva espresso la medesima
preoccupazione: “Fiona
muore se il segreto dell’esser suo viene scoperto”. Tutto
questo mi pare che
basti a spiegare il mistero. Egli era medium ad
“ispirazione”, ma temeva di
lasciar trapelare
le impressioni di un’intelligenza spirituale, la quale
presumibilmente era il
suo “spirito-guida” e il nome di lei doveva essere proprio
quello trasmesso per
la prima volta nel nostro circolo familiare: Macleod;
il che, si noti bene, era
occorso molti anni prima che Fiona Macleod si manifestasse
allo Sharp».
E qui, volendo esaminare i fatti da un punto di vista
strettamente
psicologico, si potrebbe pensare a un caso di «personalità
alternanti»;
sennonché troppe sono le differenze che si riscontrano tra
i casi patologici
delle «personalità multiple», consecutive a un fenomeno di
«disgregazione
psichica», e il caso qui considerato. Nel «Journal of the S.P.R.» (vol. XV, pag.
57), si fanno rilevare talune di tali radicali differenze.
Il critico osserva:
«Le due personalità di William Sharp erano in un senso
coordinate: tra
esse non si rilevava nessuna decisa o precisa superiorità
dell’una sull’altra, sia
moralmente che intellettualmente; né le alternative con
cui si manifestavano
parevano associate con elementi patologici. Entrambe
dimostravano un
temperamento molto sensitivo e ad alta tensione, ma né
l’una né l’altra
diedero mai segno di deficienze nell’equilibrio mentale o
nel controllo di sé.
Entrambe produssero opere letterarie di speciale bellezza;
sebbene Fiona di
gran lunga superasse l’altra in originalità, potere
descrittivo e immaginazione.
«Inoltre, la caratteristica delle
“personalità alternanti”: quella delle
notevoli variazioni di umore tra le medesime, variazioni che
determinano
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
16
mutamenti più o meno grandi di carattere, e conducono a
una reale
alternativa di personalità, è dagli psicologi ritenuta
dipendente dal fatto
dell’esservi o non esservi lacune mnemoniche tra i diversi
strati mentali. Ora,
non esistevano lacune mnemoniche tra William Sharp e Fiona
Macleod, e la
conclusione che dovesse trattarsi di due personalità
diverse pare debba
imperniarsi sulla precisa e incrollabile impressione in
tal senso delle
personalità medesime, impressione che apparentemente non
escludeva
l’altra, di esservi tra di loro una misteriosa unità
sottostante alla diversità».
Come si fece osservare in precedenza, quest’ultima
impressione dello
Sharp, sull’esistenza di un’unità sottostante alla
diversità tra la personalità di
Fiona e la propria, traeva origine da speciali
reminiscenze che talora
invadevano il campo della di lui coscienza normale;
reminiscenze in cui gli
pareva di avere vissuto un’altra vita sotto spoglie
femminee.
Al qual proposito dichiaro sinceramente che tali sorta
d’impressioni
provate da William Sharp non si prestano punto a
rischiarare il mistero:
tutt’altro. Infatti, se l’ipotesi psicologica delle
«personalità alternanti» appare
facilmente eliminabile in quanto risulta in aperto
contrasto col complesso dei
fatti, le altre due ipotesi che si è tenuti a prendere in
considerazione a parità
di diritti (e ciò in quanto le impressioni provate dai
protagonisti sono quelle
che contano per l’indagine delle cause), non sembrano facilmente
conciliabili
tra di loro. Solo se si fosse trattato di un’entità
spirituale la quale avesse
trasmesso telepaticamente le proprie concezioni letterarie
al medium,
potrebbe dilucidarsi con grande facilità il caso in esame;
laddove, invece,
l’ipotesi reincarnazionista contribuisce notevolmente ad
ottenebrarlo, visto
che in tali contingenze dovrebbe ammettersi che una
frazione della
personalità integrale del medium, frazione rappresentante
una delle sue
proprie individuazioni incarnate esistita in tempi remoti,
abbia potuto
emergere e manifestarsi alla propria individuazione
presentemente incarnata
nelle condizioni d’intellettualità che
tale presupposto apparisca molto fantastico, letteralmente
gratuito, e
teoricamente inconcepibile.
Stando le cose in questi termini, la soluzione migliore
del mistero sarebbe
il tornare e il fermarsi all’ipotesi di una «Fiona Macleod
spirito-guida di
William Sharp»; nel qual caso apparirebbe legittimo e
razionale il risolvere il
quesito delle reminiscenze osservando che le impressioni
del medium, il quale
si sentiva talora invaso da sentimenti femminei, con
reminiscenze di un’altra
esistenza trascorsa sotto spoglie muliebri, dovrebbero
attribuirsi alla
circostanza del realizzarsi di fugaci interferenze tra la
coscienza normale del
medium e la memoria personale dello «spirito-guida» che in
quel momento
ne controllava l’organo cerebrale, o ne influenzava
telepaticamente il
pensiero. Noto che nelle esperienze di «psicometria» si
riscontra sovente la
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
17
circostanza dei sensitivi i quali sottostanno
all’impressione di essersi
immedesimati nella personalità di colui - vivente o
defunto - col quale sono
entrati in rapporto; e ciò fino al punto dal risentire nel
proprio sensorio le
idiosincrasie del di lui temperamento, con risveglio di
reminiscenze sulle di
lui modalità di esistenza, e sulle impressioni di ambiente
in cui visse, così
come se si fossero temporaneamente trasfusi in lui e
confusi con lui, pur
conservando la coscienza di sé. Nella mia monografia sugli
«Enigmi della
Psicometria» ho citato esempi in cui tale immedesimazione
del sensitivo nelle
vicende dell’esistenza altrui, si realizza financo nella
circostanza della messa
in rapporto con animali.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
18
IL CASO WILDE
Passando ad esporre il caso riguardante il celebre poeta e
drammaturgo
inglese Oscar Wilde, ricordo che alcuni anni or sono,
avendo io dedicato un
lungo studio all’analisi delle mirabili prove
d’identificazione personale fornite
da tale entità comunicante pel tramite della medium Esther
Dowden («Revue
Spirite», Mars-Avril 1926), io terminavo osservando come
nel caso in discorso
venissero fornite tutte le prove cumulative che si era
ragionevolmente in
diritto di esigere in tali contingenze; a cominciare dalla
trasmissione di
numerosi incidenti personali ignorati da tutti i presenti
e risultati veridici, per
passare alla prova memorabile dell’identità calligrafica
proseguita
impeccabilmente per centinaia e centinaia di pagine (il
che è ben diverso dalla
riproduzione di una semplice firma); indi all’altra prova
più importante
ancora dell’identità dello stile, o meglio, dei due stili
che caratterizzavano la
personalità letteraria del defunto; e infine, a quella più
di ogni altra
conclusiva, dell’emergenza dietro allo stile, della di lui
personalità
intellettuale e morale, in ogni sua sfumatura del
carattere; personalità
complessa, originale e inimitabile. Dopo di che
aggiungevo:
«Osservo, infine, che alle prove fornite, Oscar Wilde
promise recentemente
di aggiungerne un’altra: quella di dettare una commedia
postuma per ausilio
della sua medium».
Ed egli mantenne parola. Tale commedia fu dettata alla
medium subito
dopo la pubblicazione del suo libro «Psychic Messages from
Oscar Wilde».
Mrs. Esther Dowden (Travers-Smith) fornisce in proposito i
seguenti
ragguagli:
«Non sono mai stata ammiratrice delle opere di Oscar
Wilde, né la sua
personalità ebbe mai attrattive per me. Ritengo pertanto
razionale il
concluderne che la mia mano ha dettato ragguagli e scritti
i quali non
provenivano da me. Oscar Wilde aveva fiorito in un tempo
che non fu il mio, e
dalle sue opere emana un’atmosfera letteraria ben diversa
dall’odierna. Io non
posso tornare indietro com’egli fa, al periodo del 1880;
egli non può
emanciparsi dai gusti letterari e dai costumi dei suoi
tempi, che io invece non
ricordo affatto. Ora è in tale sua condizione mentale che
consiste la
caratteristica più spiccata di ogni suo messaggio
medianico, nonché della sua
commedia. Allorché me la dettava, egli chiese che lo
informassi intorno ai
gusti letterari ed ai costumi dei nostri tempi, ma sebbene
io gli spiegassi quali
radicali cambiamenti si fossero realizzati in proposito,
egli non ne tenne
conto, e non pervenne ad emanciparsi dall’ambiente in cui
visse.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
19
«Personalmente, io ritengo che la
prova più convincente che immaginar si
possa in favore della sopravvivenza, sia quella che
riguarda la personalità
intellettuale e morale dei defunti comunicanti. I
ragguagli forniti sulla loro
esistenza terrena, specialmente se ignorati da tutti i
presenti, sono importanti
e convincenti, ma essi risultano quasi sempre suscettibili
di essere spiegati
con l’ipotesi delle reminiscenze latenti nelle
subcoscienze dei presenti
(criptomnesia). Non intendo con questo di menomare
in nulla l’importanza
di siffatti ragguagli, i quali rimangono la base sulla
quale poggiano le indagini
sperimentali intorno al quesito della sopravvivenza, e
senza di essi non
potrebbe considerarsi provata l’identificazione di un
defunto. Nondimeno
ogni qual volta i ragguagli del genere rimangono le sole
prove di cui
disponiamo, noi non possiamo ritenerci autorizzati ad
affermare che la
personalità del defunto comunicante fosse realmente
presente, o che lo spirito
sopravviva alla morte del corpo. E’ la mentalità del
defunto che fa d’uopo
rintracciare nelle manifestazioni medianiche; è la
personalità intellettuale e
morale di lui, con tutte le sfumature del suo
temperamento, del fraseggiare
che gli era caratteristico, che si è tenuti a indagare
sperimentalmente se si
vuole pervenire a dissipare ogni dubbiezza circa il
problema dell’oltretomba.
Io ritengo che nel campo delle ricerche psichiche non
siasi ancora
debitamente valutata tutta l’importanza risolutiva che
riveste la personalità
psichica del
comunicante come fattore essenziale nelle prove
d’identificazione spiritica.
«Allorché i messaggi di Oscar Wilde si
succedevano giornalmente, io gli
chiesi se non avrebbe potuto dettarmi qualche lavoro
letterario, a titolo di
prova ulteriore della sua presenza. Così chiedendo, io non
pensavo affatto a
una produzione teatrale, e avevo in mente i suoi “Saggi
letterari”, in cui,
secondo me, si contiene quanto di meglio ha prodotto il
suo ingegno. Fu lo
stesso Oscar Wilde a dichiararmi che avrebbe scritto una
commedia,
asserendo che si sentiva di poterlo fare. Io, invece,
rimanevo piuttosto scettica
al riguardo, e ciò per la considerazione che nella
medianità ad estrinsecazione
psicografica, riescono bene soltanto le sedute brevi;
dimodoché io
consideravo impossibile il suo progetto di dettarmi
un’intera commedia.
«E i primi tentativi parevano
giustificare il mio scetticismo: Oscar Wilde si
dimostrava un comunicante indeciso, difficile,
autoritario, e qualche volta di
pessimo umore. Nelle prime cinque o sei sedute, egli
discusse con me intorno
alle condizioni medianiche; m’informò che aveva già
concepito l’intreccio di
un’intera commedia, ch’io non dovevo preoccuparmi di
nulla, ch’egli si
sentiva in grado di disporre le scene, di scegliere i nomi
dei propri caratteri e
di sviluppare questi ultimi, utilizzando in piena
efficienza la tecnica del
dramma. Io gli feci osservare che le antiche modalità
tradizionali sui
palcoscenici, erano gradatamente mutate ai dì nostri; che,
per esempio, i
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
20
“soliloqui” erano stati aboliti. A tutte le mie
osservazioni egli rispondeva a un
modo solo, e cioè ricordandomi che io non ero una
scrittrice drammatica, e
che avendo egli già creato nella sua mente tutto
l’intreccio del dramma, non
poteva più distaccarsene...
«E infatti, già dall’inizio, emergeva
palese che Oscar Wilde aveva
organizzato nella mente tutto l’intreccio del suo dramma,
per quanto non
pervenisse a svilupparne il dialogo com’egli avrebbe
desiderato. Riconosco
sinceramente che la colpa era tutta mia, in quanto in quel
periodo ero
sopraffatta da lavori urgenti che assorbivano la mia
attività.
«Nel Giugno-Luglio 1923, venne
compiuta in abbozzo la prima dettatura
dell’intero dramma, la quale però fu in seguito ripudiata
dall’autore. Con ciò
non intendo dire ch’egli ne abbia rifatto la
sceneggiatura: questa rimase qual
era, ma i caratteri dei personaggi furono invece
notevolmente rimodellati.
«Dall’Agosto in poi, mi fu possibile
dedicare regolarmente tre o quattro
sedute alla settimana ad Oscar Wilde; il che, di regola,
avveniva dalle ore 11
alla una pomeridiana.
«Il sistema di lavoro adottato dal
comunicante consisteva in un continuo
ritorno all’indietro. Quando egli aveva dettato un atto
della sua commedia, la
mia coadiutrice - Miss Cummins - doveva rileggerlo ad alta
voce, ed Oscar
Wilde la interrompeva ad ogni momento, suggerendo
correzioni che
risultavano costantemente un miglioramento notevole su
quanto era stato
dettato in precedenza. La sua diligenza e incontentabilità
erano straordinarie,
ed eccedevano di gran lunga le corrispondenti mie qualità
di lavoro. Rifaceva,
limava, intarsiava un periodo con tale paziente
meticolosità da ingenerare in
me un senso opprimente di monotonia, che si trasformava in
sonnolenza,
rendendomi penoso il proseguire.
«Essendomi proposta di non rileggere
mai quanto veniva dettato, e ciò
onde evitare che la mia mentalità subcosciente potesse
influire sul dettato in
corso, io ritenevo che non vi fosse intreccio coerente in
quella commedia, e mi
sarei scoraggiata se non vi fosse stata Miss Cummins ad
assicurarmi ogni
tanto che l’intreccio si andava sviluppando in guisa
coerente e interessante.
«Tale lavoro drammatico venne
dall’autore intitolato: “Una Commedia
straordinaria”. Qualora venisse rappresentata, non so se i
“capocomici”
consentiranno a mantenere il titolo; ma se vorranno
modificarlo, sono ben
sicura che Oscar Wilde avrà molto a ridire in proposito.
«Egli spiegò che con la sua commedia aveva
inteso dimostrare la continuità
inalterata dell’esistenza umana - negli scopi e nelle
aspirazioni - tanto prima
che dopo la crisi della morte, e che perciò l’ultimo atto
si sarebbe svolto nel
mondo spirituale. Quando egli espresse tale suo proposito,
io tornai a
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
21
scoraggiarmi, ben sapendo che nulla può esservi di più
arduo in letteratura
che il volere interpolare scene dell’Al di là in una
commedia. Quando si vuole
introdurvi tale elemento, si va incontro inevitabilmente a
un insuccesso.
Queste le mie preoccupazioni quando Oscar Wilde partecipò
che l’ultimo atto
della sua commedia doveva svolgersi nelle Sfere
spirituali...
«A lavoro finito, io lessi il dramma a
un’amica la quale possiede una pratica
grande del palcoscenico. Quando giunsi a metà del secondo
atto, essa
m’interruppe - osservando: “Tutto questo è siffattamente
mondano, che
l’autore non potrà mai varcare il ponte che separa il
visibile dall’invisibile. E’
un compito impossibile”. Ma quando pervenni alla fine,
essa proruppe in
esclamazioni di sorpresa e di ammirazione per la genialità
con cui l’autore
aveva saputo sormontare ogni ostacolo. Nessuna soluzione
di continuità
nell’intreccio del dramma, sebbene i primi due atti
risultino di un genere
leggero, affine alla commedia del medesimo autore:
“L’importanza di essere
seri”.
«Il dramma termina con una nota
consolante. L’amore come noi lo
conosciamo, può essere o non essere l’amore quale si
estrinseca nell’Al di là.
Nelle Sfere spirituali l’amore-passione ha cessato di
esistere, e l’amore si
estrinseca nella ricerca “dell’anima gemella”, la quale
risulti il complemento
di noi stessi. Completare se stessi: questa l’aspirazione
suprema di ogni
spirito; e quando la meta è raggiunta, agli spiriti
coniugati si rivela chiaro e
radioso il cammino ascensionale che percorreranno uniti»
(«Light», 1925, n.
524).
Questa la descrizione interessante ed istruttiva fornita
da Mrs. Esther
Dowden intorno alle modalità con cui le venne dettata la
commedia di Oscar
Wilde. A complemento della descrizione stessa, riferisco
ancora un paragrafo
tolto da un articolo che il direttore del «Light» - Mr.
David Gow - dedicò al
memorabile evento. Egli osserva:
«Incidentalmente, noto che io ebbi personalmente ad
assistere alla
dettatura medianica del dramma di Oscar Wilde, durante la
quale, il defunto
autore tenne la medium e la sua segretaria occupate per
settimane di seguito,
correggendo, rifacendo, limando, e impartendo una tale
molteplicità di
disposizioni e d’incombenze, da rendere gravosa
l’esistenza ad entrambe le
sue dipendenti. Ogni cosa si svolse come se un invisibile,
ma realissimo
autore si fosse messo febbrilmente al lavoro, dimostrando
alternatamente un
temperamento stizzoso, irritabile, piagnucoloso,
brillante, cinico, e qualche
volta mite e simpatico.
«La commedia venuta in luce in tal
guisa, appare un’opera d’arte
straordinaria; ma è da rilevare in proposito che un
“capocomico” al quale
venne offerta per la rappresentazione, dopo averla letta,
riletta e ponderata,
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
22
dichiarò che rinunciava a rappresentarla, non già perché
non fosse l’opera di
Oscar Wilde, ma perché era anche troppo la sua! Intendendo
con ciò riferirsi
all’intreccio e alla tecnica scenica delle commedie di
Oscar Wilde, che
apparivano ormai antiquate» («Light», 1928, pag. 18).
Quest’ultima dichiarazione di un “capocomico” risulta
invero preziosa ed
altamente suggestiva.
Riassumendo e concludendo, osservo che dal punto di vista teorico
tutte le
circostanze di fatto sopra enumerate assumono
cumulativamente un valore
enorme in favore dell’interpretazione spiritica del caso
in esame. Sta di fatto
che coloro i quali ebbero a leggere la commedia postuma di
Oscar Wilde
concordarono nell’affermare ch’essa risulta un’opera
d’arte magistralmente
condotta, e che quest’opera d’arte risulta una
riproduzione meravigliosa della
forma, della lingua, dell’intreccio, della tecnica
teatrale che in vita
caratterizzavano complessivamente un solo autore: Oscar
Wilde. E come se
ciò non fosse più che sufficiente a identificare una
personalità letteraria, viene
ad aggiungersi l’incidente altamente eloquente di un
«capocomico» il quale
osservò come la commedia in discorso non risultasse
rappresentabile con
successo, in quanto l’intreccio e la sceneggiatura si
dimostravano antiquati di
mezzo secolo. Non si poteva desiderare una conferma più
efficace di questa in
favore della identità personale dell’entità di defunto che
l’aveva dettata,
giacché la fama di Oscar Wilde toccava all’apogeo or fa
mezzo secolo, e i
drammi da lui dettati in vita presentano tutti i medesimi
difetti rilevati dal
«capocomico», unitamente a tutte le grandi qualità
letterarie, e alle
specialissime idiosincrasie psichiche dianzi esposte.
Ed ora, riferendomi a quanto feci osservare in principio,
ricordo che Oscar
Wilde aveva fornito in precedenza tutte le prove
d’identificazione personale
che razionalmente potevano esigersi da un defunto
comunicante. Ricordo che
feci osservare come la sola prova ch’egli avrebbe ancora
potuto fornire per la
sua identificazione sarebbe stata quella di dimostrare ai
viventi che la sua
intellettualità, il suo temperamento di scrittore, la sua
virtuosità
incomparabile di cesellatore delle frasi, e di artista
innamorato delle parole, si
erano conservate intatte dopo la morte del corpo. Orbene:
egli ha fornito
anche questa ultima prova, la quale riveste un valore
probativo superiore a
quello di ogni altra, per quanto non si potrebbe fare a
meno delle altre se si
vuole raggiungere la dimostrazione sperimentale, sulla
base dei fatti, della
sopravvivenza di un’individualità pensante.
Noto infine che il valore teorico di quest’ultima «prova
letteraria» appare a
tal segno efficace da trionfare financo di un’obbiezione
naturalistica fondata
sopra un’ipotesi metafisica a latitudini sconfinate.
Alludo con ciò all’antica
ipotesi - odiernamente tornata di moda - formulata con
intenti puramente
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
23
speculativi dal professore William James, secondo la quale
non si potrebbe
teoricamente escludere la possibilità dell’esistenza
nell’universo di un
«serbatoio cosmico delle memorie individuali», dal quale i
mediums
attingerebbero i ragguagli veridici forniti al riguardo di
personificazioni di
defunti a tutti sconosciuti. Non è questo il momento di
discutere tale ipotesi,
da me lungamente analizzata e confutata sulla base dei
fatti, in una speciale
monografia; qui osservo unicamente che ove anche si
volesse concedere
all’ipotesi in discorso tutta la latitudine
incommensurabile che le conferiscono
i suoi propugnatori, contuttociò essa non perverrebbe a
dare ragione delle
prove d’identificazione spiritica analoghe a quella
esposta, visto che le
medesime non si riferiscono a ciò che dovrebbe rinvenirsi
in un «serbatoio
cosmico delle memorie individuali». Infatti è
palese che nel caso nostro
non si tratta di ricordi di nessuna specie, ma
bensì di un defunto il quale si
manifesta dettando un’opera letteraria; vale a dire,
compiendo un’azione che
si svolge nel presente; e in conseguenza, che non potrebbe
rinvenirsi allo stato
di vibrazione latente da nessuna parte.
Ripeto pertanto che la circostanza di essere pervenuti a
trionfare anche
dell’ipotesi metafisica del «serbatoio cosmico delle
memorie individuali»,
appare una circostanza teoricamente importantissima, in
quanto equivale ad
affermare che nessuna ipotesi naturalistica perverrà mai a
spiegare nel suo
complesso il memorabile caso d’identificazione spiritica
in cui fu protagonista
il defunto scrittore Oscar Wilde.
Noto come tutto ciò valga altresì a fare emergere il
valore teorico
specialissimo che possono assumere i casi in genere di
comunicazioni
psicografico-medianiche in cui sia questione di «saggi
letterari» dettati da
entità di defunti sé affermanti scrittori conosciuti; vale
a dire, di «saggi
letterari» suscettibili di essere sottoposti ai processi
dell’analisi comparata.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
24
IL CASO WORTH
Il caso che segue, e i mirabili «saggi letterari» forniti
dall’entità
comunicante, non sono suscettibili di venire sottoposti al
criterio
sperimentale dell’analisi comparata intesa a indagarne la
genesi subcosciente
od estrinseca; ma, in compenso, il caso stesso presenta
tali caratteristiche di
eccellenza letteraria e di genialità indiscutibile, da
compensare ad usura
l’inconveniente esposto, permettendo di giungere
ugualmente a una positiva
conclusione teorica.
Mi riferisco con ciò al famoso caso della personalità
medianica «Patience
Worth», quale si estrinsecò per lunghi anni pel tramite
della medium
nordamericana Mrs. Curran, da poco defunta. Del caso in
questione si è
lungamente discusso sulle riviste metapsichiche e
spiritiche, nonché sulle
riviste di varietà e sui giornali politici; ma se lo
spoglio della maggior parte di
tali documenti risulta proficuo onde formarsi un chiaro
concetto sulle
opinioni dei competenti e dei non competenti in argomento,
nondimeno, se si
vuole acquisire padronanza assoluta del tema, non ci si
può dispensare dal
ricorrere all’opera magistrale del dottor Walter Franklin
Prince: The Case of
Patience Worth. Ed è
in massima parte da quest’opera ch’io ricaverò il
materiale dei fatti e delle osservazioni che mi occorrono
(1).
(1) The Case of Patience Worth,
a critical study of certain unusual
phenomena, by
Walter Franklin Prince, Ph.D. - Pubblicato dalla «Boston
Society for Psychical Research»,
Nell’estate del 1913, Mrs. Pearl Lenore Curran, insieme
all’amica Mrs.
Hutchings, si recarono in visita presso una loro vicina,
la quale possedeva lo
strumento medianico denominato «Ouija» (quadrante
alfabetico, munito di
lancetta mobile). Furono indotte a tentare la prova di
servirsene, e tosto si
manifestò la personalità medianica di un parente di Mrs.
Hutchings.
Quest’ultima ne rimase bene impressionata; comprò a sua
volta un «Ouija», e
si recò a casa di Mrs. Curran, proponendole di continuare
insieme gli
esperimenti. Non tardarono a manifestarsi personalità di
congiunti
appartenenti ad entrambe le sperimentatrici, ma dopo qualche
giorno il
quadrante «dell’Ouija» disegnò le lettere di un nome a
tutti sconosciuto:
quello di «Patience Worth». Tale inattesa entità si
dimostrò subito esuberante
di vita e padrona assoluta dello strumento medianico. Si
manifestò dettando
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
25
la frase seguente: «Molte e molte lune sono trascorse
dall’epoca in cui vissi.
Ed eccomi di ritorno al vostro mondo. Il mio nome è
Patience Worth».
Ma una volta dichiarato l’esser suo, essa non parve
accordare importanza
alle richieste di ragguagli sulla propria esistenza
terrena, osservando che la
circostanza di essere vissuta nel secolo diciassettesimo
rendeva impossibile
ogni indagine sul di lei conto. Aggiungeva che «la sua
vera identità personale
doveva emergere dalla eccellenza e dalla natura delle
opere letterarie che si
disponeva a dettare alla medium»; il che risultò
verissimo, in quanto tali
opere bastano, o dovrebbero bastare razionalmente a
dimostrarne
l’indipendenza spirituale. Comunque, e in merito alla
propria esistenza
terrena, occorse sovente all’entità comunicante di
alludervi incidentalmente, e
da tali allusioni si apprende che Patience Worth asseriva
di essere nata in
Inghilterra, nell’anno 1646 (o 1694), di essere vissuta
nel villaggio in cui
nacque, lavorando nei campi, fino a quando raggiunse la
maggiore età; epoca
in cui emigrò in America, dove qualche tempo dopo rimase
vittima di una
scorreria di Indiani. In base ad altre sue dichiarazioni,
poté inferirsene ch’essa
era nata nel Dorsetshire; e quando qualche tempo dopo, Mr.
Yost - uno degli
sperimentatori - partì per l’Inghilterra, Patience Worth
gli descrisse varie
caratteristiche naturali della contea in cui era nata e
vissuta (spiagge, colline,
monasteri e strade), per ausilio delle quali egli avrebbe
potuto riconoscere il
villaggio che le diede i natali. Mr. Yost ebbe la
curiosità di visitare il
Dorsetshire, e ritrovò le colline descritte, il vecchio
monastero diruto, e le
strade serpeggianti preannunciate da Patience Worth.
Vedremo a suo tempo che quando nei romanzi e nelle poesie,
occorre
all’entità comunicante di descrivere il paesaggio e le
marine inglesi, essa ne
parla con l’accuratezza di persona che vi abbia
soggiornato; il che è
interessante, in quanto Mrs. Curran non era mai stata in
Inghilterra, ed in
quell’epoca non aveva mai visto il mare.
Tutto ciò sia detto per incidenza, poiché ripeto che
l’importanza teorica del
caso in esame esorbita totalmente dalle prove
d’identificazione personale, e
converge esclusivamente sul grande mistero della genesi di
tante opere
letterarie eccellenti, in versi e in prosa, nonché sulle
modalità straordinarie
con cui si estrinsecarono.
Noto che in talune circostanze in cui gli sperimentatori
avevano ammirato
la bellezza letteraria del dettato medianico, Patience
Worth aveva osservato
«che nel periodo della sua esistenza terrena, possedeva
già quel medesimo
temperamento immaginoso e poetico»; osservazione
interessante, giacché si
presta a dilucidare il mistero di una contadinella defunta
la quale si manifesta
medianicamente dettando opere letterarie magistrali in
versi e in prosa; vale a
dire che in base a tali ragguagli dovrebbe inferirsene che
nella contadinella
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
26
del Dorsetshire fosse congenita la genialità di scrittrice,
ma che le umilissime
condizioni sociali in cui era nata, ne avevano impedito
l’emergenza, mentre
due secoli e mezzo di esistenza spirituale avevano
contribuito ad evolvere
mirabilmente tali congenite sue doti intellettuali.
In merito alle capacità naturali della mentalità della
medium, nonché alla
estensione della sua coltura generale, osservo che il
dottor Prince intraprese
al riguardo indagini scrupolosissime, in base alle quali
risultò che doveva
escludersi in modo assoluto ogni possibilità di emersioni
subcoscienti di
cognizioni acquisite e poi dimenticate (criptomnesia);
come doveva
escludersi in modo assoluto la possibilità di peculiari
disposizioni della
medium per la poesia ed il romanzo. Mrs. Curran aveva
cessato di frequentare
la scuola all’età di quattordici anni, non aveva mai
manifestato attitudini
letterarie ed interesse per la letteratura, mentre le sue
inclinazioni naturali la
portavano invece a dedicarsi all’arte musicale, e in
conseguenza, aveva
appreso il canto col proposito di dedicarsi alla carriera
teatrale. Il dottor
Prince rivolse specialmente le proprie indagini sulla
coltura storica e letteraria
di lei, riscontrando come in tali branche del sapere si
rinvenissero in lei delle
lacune cospicue, ma compatibili con un’esistenza trascorsa
interamente in
una cittadina dello stato dell’Illinois, lontana da ogni
centro importante di
coltura, nonché lontana dal mare, che Mrs. Curran non
aveva mai visto.
Ora è precisamente la coltura storica, letteraria e
filologica che appare
prominente nei romanzi di Patience Worth.
E per cominciare dalla coltura filologica, osservo
com’essa risulti di un
genere da escludere senz’altro ogni possibilità di una
collaborazione
subcosciente della medium nel dettato medianico. Patience
Worth, infatti,
conversa costantemente nel proprio dialetto di tre secoli
or sono, ed ha scritto
romanzi e poesie nella lingua antiquata, o nei dialetti
dei suoi tempi; tutto ciò,
essa afferma, al fine di provare la sua indipendenza
spirituale dalla medium.
Il professore Schiller dell’Università di Oxford osserva
in proposito:
«Si rimane scossi e impressionati nell’apprendere che uno
dei suoi romanzi
in versi sciolti, intitolato: “Telka”, il quale è
costituito da 70.000 parole, è
scritto in lingua inglese antiquata, nella quale si
contengono il 90 per cento di
parole aventi una pura origine anglo-sassone, mentre in
esso non si rinviene
una sola parola acquisita alla lingua inglese dopo il
1600… Quando si
apprende ulteriormente che nella prima versione della
Bibbia, si contengono
solamente il 70 per cento di vocaboli anglo-sassoni, e che
fa d’uopo tornare
indietro fino a Layamon (1205) onde eguagliare la
percentuale di vocaboli
anglo-sassoni usati da Patience Worth; quando si riflette
a tutto questo, non si
può non riconoscere che ci si trova di fronte a un caso
che può definirsi un
miracolo filologico».
(«Proceedings of the S.P.R.», vol. XXXVI,
pag. 574).
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
27
E qui cade opportuno di completare le osservazioni del
professore Schiller,
fornendo ulteriori ragguagli intorno al poema idilliaco,
in versi sciolti,
intitolato «Telka», dal nome della protagonista.
Premetto anzitutto che all’epoca in cui venne dettato,
Patience Worth
aveva cessato di adoperare «l’Ouija», e trasmetteva
romanzi e poesie per
bocca della medium; vale a dire che quest’ultima, per
quanto conservasse
piena coscienza di sé, percepiva una voce subbiettiva che
le dettava parola per
parola; dimodoché la medium non faceva che ripetere ad
alta voce le parole
udite, e un segretario le raccoglieva; per quanto sovente
l’irruenza del dettato
fosse tale che il segretario non perveniva a seguitarlo;
nel qual caso Patience
Worth ripeteva l’ultima frase e moderava la sua foga. In
pari tempo la
mentalità della medium appariva a tal segno indipendente
dal contenuto del
dettato, ch’essa era libera di fumare una sigaretta, era
libera d’interrompersi
onde prendere parte alla conversazione dei presenti, era
libera di alzarsi e
recarsi nella camera attigua onde rispondere a una
chiamata telefonica.
Siffatte interruzioni non interferivano menomamente sul
dettato medianico, il
quale riprendeva al punto preciso in cui era stato
interrotto. E così avveniva
altresì da una seduta all’altra; vale a dire che la
personalità medianica
riprendeva ugualmente a dettare dal punto preciso in cui
erasi arrestata; ciò
anche quando erano trascorsi dei mesi dall’una all’altra
ripresa; e una volta in
cui era stato smarrito uno dei primi capitoli di un
romanzo già molto inoltrato
per la dettatura, Patience Worth lo dettò una seconda
volta, e quando venne
rinvenuto il documento smarrito, si riscontrò che la
seconda dettatura era una
riproduzione letterale della prima.
Per tornare al poema di «Telka», ecco quanto ne scrive il
dottore Walter
Prince:
«I personaggi di “Telka” vivono; noi li vediamo, noi li
conosciamo. Nessuno
tra essi è la replica di un altro. Qualche personaggio
potrà manifestare
tendenze e disposizioni analoghe a quelle di un altro, ma
in pari tempo
manifesta caratteristiche sue proprie, che lo distinguono
da tutti gli altri. Al
contrario, nei personaggi di Maeterlinck (mi riferisco a
questo scrittore per la
grande riputazione da lui meritatamente acquisita in un
genere analogo),
risultano quasi sempre delle ombre senza vita, che ben
difficilmente possono
individuarsi dalle loro parole, o da qualsiasi altra loro
caratteristica... Eppure
noi tutti riconosciamo in Maeterlinck un grande artista.
Comunque, io non
posso trattenermi dall’osservare che quando spunterà
l’alba del giorno in cui
si sarà dissipata la ripulsione che odiernamente si
risente per le produzioni
medianiche, le quali soprattutto riescono ostiche ai
signori critici d’arte, allora
si scoprirà che Patience Worth, a volerla giudicare dal
suo poema “Telka”,
appare di gran lunga superiore a Maeterlinck» (Ivi, pagg.
237-239).
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
28
A proposito della lingua antiquata adoperata nel poema in
discorso, ecco
ciò che ne scrive Gasper Yost, il quale ha pubblicato un
libro sulle proprie
esperienze con Mrs. Curran:
«“Telka” è unica nella purezza della
sua lingua anglosassone, nella
combinazione delle varie forme dialettali di diversi
periodi, in talune delle sue
peculiari forme grammaticali, nelle diversioni ed
estensioni conferite al
significato di taluni vocaboli... - Essa, come lo
Shakespeare, adopera talvolta
un avverbio alla guisa di un verbo, o di un nome, o di.un
aggettivo... La
ragione di ciò va cercata nello stato transitorio in cui
si trovava la lingua
inglese in quel periodo; ma tale rilievo risulta una prova
di più in
dimostrazione che Patience Worth è in pieno accordo coi
suoi tempi financo
nelle anomalie grammaticali... - Non può esistere dubbio
sul fatto che questo
linguaggio di Patience Worth deve considerarsi in lei
assolutamente
spontaneo; il che è provato ad esuberanza dalla
circostanza ch’essa non lo
adoperò soltanto in talune delle sue opere, ma se ne serve
costantemente nelle
conversazioni coi presenti...» (Ivi, pagg. 363-364-368).
Sempre a proposito di «Telka», rimane da rilevare un
ultimo particolare
fra i più stupefacenti, ed è che questo poema di 70.000
parole, in versi sciolti,
venne complessivamente dettato alla medium in 35 ore!
Andiamo avanti. Malgrado le meraviglie emergenti da quanto
esposto, mi
affretto ad osservare che «Telka» non è l’opera letteraria
di maggior valore
dettata da Patience Worth. L’opera più poderosa ed
ammirevole sotto
molteplici aspetti, è il grande romanzo: «The Sorry Tale»
(Il racconto
pietoso), in cui l’azione si svolge nella Palestina dei
tempi di Cristo, e ci si fa
assistere al dramma della crocifissione.
E’ un romanzo storico a concezione vastissima, nel quale
agiscono
centinaia di caratteri che non sono «comparse»
superficialmente tratteggiate,
ma poderosi caratteri di personaggi viventi. Il
protagonista maggiore è un
figlio illegittimo dell’imperatore Tiberio, nato da una
bellissima schiava greca,
di nome «Theia». Scacciata da Roma, essa è trasportata in
Palestina, e il
bimbo nasce in un tugurio di lebbrosi, fuori le mura di
Betlemme; mentre
nella medesima notte, dentro le mura di Betlemme, nasce
Gesù.
Nell’amarezza del proprio abbrutimento, la madre
conferisce al neonato il
nome di «Odio»; e l’odio è la passione che dominerà
l’esistenza del figlio, fino
alla tragica sua fine. La vita di costui si svolge
parallela a quella di Gesù - l’uno
rappresenta l’incarnazione dell’odio sulla Terra, l’altro
l’incarnazione
dell’Amore. Il figlio di «Theia» si fa beffe di Gesù,
sputa su di lui quando
compie il miracolo delle reti ricolme di pescagione. Di
colpa in colpa, di
delitto in delitto, è tratto a rubare gli arredi sacri del
Tempio di Gerusalemme,
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
29
ed è condannato a morte. Egli muore sulla croce al fianco
di Gesù: il figlio di
Theia era «il cattivo ladrone».
Il capitolo della crocifissione, il quale è lunghissimo,
venne dettato alla
medium in una sola serata, ed è un capitolo terrificante
per la vivacità
straordinaria dell’azione. Non si legge una semplice
descrizione del tragico
evento: lo si vede in ogni più spietato particolare; si assiste
allibiti al dramma
del Golgota. E una identica vivacità di tinte descrittive
si riscontra in tutte le
scene in cui ci trasporta il romanzo, le quali, inoltre,
non sono soltanto
poderosamente rappresentate, ma sono geograficamente e
storicamente
inappuntabili, tanto per ciò che si riferisce alla
Palestina, quanto per ciò che
riguarda Roma imperiale. A quest’ultimo proposito si era
creduto di aver colta
una sola volta in fallo Patience Worth, e ciò in quanto i
personaggi ebraici del
suo romanzo conferiscono all’imperatore romano il titolo
di Re. Orbene: si
riscontrò nella storia di Ewald, che nelle province orientali
dell’impero
romano eravi l’uso di chiamare col titolo di Re
l’imperatore di Roma. Ne
deriva che tale presunto errore, contribuisce invece
mirabilmente a fare
emergere fino a qual punto nei romanzi di Patience Worth
si viva
nell’ambiente dei tempi descritti.
Ed ecco un’altra circostanza che lo prova in guisa più
stupefacente ancora;
circostanza che si riferisce alle modalità con cui si
estrinsecò la dettatura del
romanzo.
La medium vedeva svolgersi a sé dinanzi, in visione
panoramica, tutti gli
eventi che venivano gradatamente descritti nel dettato
medianico; ma ciò che
maggiormente sorprende è la circostanza che i quadri da
lei contemplati
erano rappresentazioni totalitarie di eventi complessi
visualizzati al naturale,
laddove le descrizioni degli eventi stessi quali venivano
fissati nel dettato
medianico non erano mai totalitarie; o, in altri termini,
nel dettato medianico
non figuravano numerosi incidenti osservati dalla medium
nelle proiezioni
cinematografiche che le venivano presentate; il che
palesemente avveniva
perché tali incidenti secondari non avevano nulla di
comune con lo svolgersi
della trama del romanzo. Ma se così è, allora perché
venivano proiettati alla
medium? E a quest’ultimo interrogativo non si può
rispondere che a un modo
solo: evidentemente tutto ciò si verificava in quanto si
trattava di proiezioni
panoramiche rappresentanti quadri reali di un lontanissimo
passato; e così
essendo, era naturale che accanto agli eventi maggiori si
dovessero svolgere
ogni sorta di eventi minori e insignificanti, estranei
agli eventi maggiori, così
come si realizzano in qualunque analoga circostanza di un
evento colto dal
vero, il quale si svolga all’aperto, con concorso di
popolo.
Il dottor Prince accenna in questi termini a tale sorta
d’incidenti:
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
30
«La medium scorgeva dei cani che traversavano di corsa la
strada; vedeva
transitare dei carri stranamente costruiti, le cui ruote
erano costituite da
canne intrecciate, curvate a cerchio. Tali carri erano
trainati da buoi, le cui
bardature apparivano anche più strane dei carri. Assisteva
al mercato degli
ebrei, nonché alle dispute che avvenivano tra i barbuti
mercanti e la loro
clientela; udiva i piagnistei delle donne che barattavano
utensili contro
commestibili; osservava passare i grandi sacerdoti vestiti
in fastosi
paludamenti; scorgeva il Tempio e l’Arca santa quali erano
stati
effettivamente ricostruiti a quell’epoca; contemplava i
paesaggi di Betlemme e
di Nazaret, ed ivi assisteva al passaggio di Gesù
circondato dalla folla».
Lo stesso fenomeno si riprodusse durante la dettatura
dell’altro romanzo:
«Hope Trueblood», in cui la medium vide sfilare a sé
dinanzi il paesaggio
inglese; nel qual caso, naturalmente, le scene risultavano
più familiari alla
medium, ma ugualmente vivaci e reali (Ivi, pag. 395).
Mi astengo, per brevità, dal diffondermi ulteriormente
nell’analisi del
magistrale romanzo in esame, per quanto vi sarebbero
numerosi altri
particolari da segnalare per la loro efficacia
teoricamente suggestive. E per la
medesima ragione dovrò astenermi dall’analizzare il
contenuto degli altri
eccellenti romanzi dettati da Patience Worth. Questi i
titoli dei romanzi in
questione: «The Merry Tale», «Hope
Trueblood», «The Pot and the Wheel»,
«The Fool and the Lady», «Tre
Stranger», «The Madrigal», «Samuel
Wheaton», «Redwing» (un dramma). Da tale enumerazione si
rileva che nella
produzione letteraria di Patience Worth si contano già
nove romanzi e un
dramma; produzione alla quale debbono aggiungersi una
raccolta di proverbi
e aforismi, e un numero straordinario di componimenti
poetici d’ogni sorta, i
quali non la cedono in nulla ai romanzi per l’eccellenza della
forma e la
genialità dell’ispirazione.
I romanzi «Telka» e «The Merry Tale» furono dettati nella
lingua, o nei
dialetti del secolo diciassettesimo. Gli altri romanzi,
drammi e poesie furono
scritti in lingua inglese moderna, per quanto lo stile e
la forma presentino
caratteristiche specialissime alla personalità
comunicante.
Per ciò che riguarda la produzione poetica di Patience
Worth, il dottor
Prince ebbe cura di riportarne saggi d’ogni genere, i
quali si estendono per
130 pagine del suo volume. Tutti i metri e tutti i temi vi
sono rappresentati.
Qua e là il Prince stabilisce dei confronti tra le poesie
di Patience Worth ed
altre analoghe del Keats, od altri poeti classici inglesi,
dimostrando che
Patience Worth li uguaglia sempre, se non forse li supera.
Si noti che una
buona parte di tali poesie risultano improvvisazioni fatte
sopra temi obbligati
suggeriti al momento dagli sperimentatori. Una volta il
dottor Prince invitò
Patience Worth a dettargli una poesia in cui ogni
capoverso cominciasse con
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
31
una lettera dell’alfabeto, nell’ordine in cui le lettere
sono disposte nell’alfabeto
stesso. E immediatamente venne dettata la poesia
richiesta, «con una velocità
di dizione regolata sulla capacità del segretario a
seguitarne con la penna la
dettatura».
Il dottor Prince osserva che Patience Worth appare
consapevole della
eccellenza della propria produzione letteraria, ma che è
ben lontana dal
mostrarsene vanitosa. Ed egli così continua:
«Già dagli inizi essa parve consapevole dell’alto suo
valore personale,
giacché si espresse costantemente come un personaggio il
quale si sappia
autorevole; o meglio, il quale sappia di avere una
missione da compiere. Ma,
in pari tempo, in ogni suo atto, in ogni sua esigenza, si rilevano
particolari i
quali valgono ad esonerarla dalla taccia di orgogliosa. Si
potrebbe paragonarla
a una madre la quale dirige e consiglia i propri figli
giovinetti, senza per
questo dimostrare neanche l’ombra di orgoglio per la
propria superiorità
intellettuale al loro confronto. Patience Worth mostra a
sua volta di
sottintendere di avere su di noi il vantaggio di
un’esperienza e di una
situazione privilegiata, in forza delle quali appare
naturale ch’essa si trovi in
grado di consigliare e dirigere coloro i quali non
posseggono altra esperienza
che quella acquisita in pochi anni di esistenza terrena.
Come pure, essa
dimostra di sottintendere che la sua virtuosità letteraria
è pervenuta a tanto
grado di eccellenza in virtù dell’ambiente di gran lunga
più favorevole in cui
essa dichiara di esistere. E ben sovente ebbe cura di
rammemorarci ch’essa, in
un certo senso, era una “messaggera di Dio”, inviata ai
viventi per una
missione che doveva compiere nel modo rispondente alla sua
natura. Ecco
alcune frasi di tali conversazioni suggestive: “Io
giocherò con le parole, come
si fa con le risonanti castagnette. Le farò
brillare di luce nuova; le farò
impallidire, gemere, languire. Le farò divampare nel fuoco
di tutte le passioni;
diverranno vendicative, rabbiose, colleriche, stordite,
accigliate, pungenti. Chi
mi seguirà, giudicherà se stesso sguaiato di fronte alle
prodigiose capriole a
cui costringerò le parole... Per opera di queste mani, il
linguaggio umano
verrà intrecciato in guise tali da meravigliarne il mondo...”» (Ivi, pag. 212).
Il dottor Prince riporta una lunga lista di analoghe
affermazioni di Patience
Worth, ma quella riferita può bastare a fare intravvedere
il pensiero di lei:
essa, cioè, vorrebbe che si sapesse che aveva una missione
da compiere nel
mondo: quella di contribuire a dimostrare ai viventi
l’esistenza e la
sopravvivenza dell’anima; e ciò all’infuori delle consuete
prove
d’identificazione personale; vale a dire, apportando prove
complementari
intese a convalidare quelle fondate sui ragguagli
personali forniti dai defunti
comunicanti; compito che per Patience Worth sarebbe
consistito nel dar
prova di saper compiere virtuosità letterarie impossibili
a conseguirsi dalla
mentalità di uno scrittore incarnato, per insigne ch’egli
sia; costringendo in
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
32
tal guisa il raziocinio umano a riconoscere l’intervento
reale di entità spirituali
nelle manifestazioni medianiche.
Di tali virtuosità si sono già enumerate le maggiori,
quali sarebbero
l’eccellenza sovrana nell’arte di Patience Worth in ogni
sua modalità di
estrinsecazione, e ciò in contrasto
con la modesta intellettualità della
medium; l’aver dettato romanzi in lingua o dialetti del
secolo diciassettesimo,
e ciò con tale precisione nella dizione antiquata, da non
rilevarsi in essa un
solo vocabolo della lingua inglese venuto in uso dopo il
1600; e infine, la
straordinaria genialità da lei dimostrata nella
improvvisazione di
componimenti poetici impeccabili per la forma, mirabili
per le immagini e
l’elevatezza della concezione; componimenti i quali
rivaleggiavano, se non
forse superavano, coi migliori classici inglesi.
A proposito di quest’ultima virtuosità, il dottor Prince
osserva:
«Sarebbe bene che i lettori tornassero indietro a
rileggere le poesie
improvvisate, su temi obbligati, forniti sul momento;
poiché solo col
soffermarsi ad analizzarne l’eccellenza, si perviene a
formarsi un chiaro
concetto delle proporzioni stupefacenti del fenomeno. Si
rilegga, per esempio,
la poesia che s’intitola: “The Day’s Work”. Pare
incredibile che questo lungo
componimento poetico, così vivace per le immagini, così
magnifico per la
forma, impeccabile nella proprietà dei vocaboli, profondo
nella concezione,
pare impossibile, dico, ch’esso sia stato improvvisato, su
tema obbligato, in
modo quasi istantaneo; nel senso che non vi fu intervallo
di tempo tra la
richiesta e l’esecuzione! Chi si sentirebbe di migliorare
la dizione di questi
versi?» (Ivi, pag. 349).
Ma oltre tali virtuosità d’ordine elevato, Patience Worth
si prestò a dar
prova di qualsiasi virtuosità la quale implicasse una
destrezza tecnica mentale
impossibile ad imitarsi dai viventi; o, per dirla con la
sua frase: «essa si divertì
a giocare con le parole, come si fa con le risonanti
“castagnette”».
Così, ad esempio, un giorno il dottor Prince la invitò a
dettare
simultaneamente due poesie di tema diversissimo tra di
loro, l’una in inglese
moderno, l’altra nel vernacolo del diciassettesimo secolo,
intrecciando
alternativamente due versi dell’una con due versi dell’altra,
fino ad arrivare in
fondo ad entrambe. Ed essa lo appagò subito, dettando
spigliatamente tale
garbuglio inverosimile di due poesie disparate per tema e
per lingua,
simultaneamente generate. Il dottor Prince riproduce
entrambi i
componimenti poetici, e così facendo domanda: «Vi è forse
indizio di fretta in
queste magnifiche poesie? O mostrano forse le stimmate
delle condizioni
caotiche da cui furono generate? Mi si dica qual è la
parola che in esse
potrebbe sostituirsi migliorando la dizione?... I quattro
ultimi versi della
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
33
prima poesia sono magnifici per il significato profondo
dell’immagine
conclusionale... » (Ivi, pagg. 290-293).
Nel capitolo intitolato: «Una “noce” da schiacciare pei
signori psicologi», il
dottor Prince riferisce, tra l’altro, queste altre
analoghe prodezze dell’entità
comunicante:
«“Patience” ora scrive quattro romanzi simultaneamente,
dettando
successivamente un brano di ciascuno. Detta alcune righe
del primo in
vernacolo antiquato, passa quindi a fare altrettanto per
il secondo in lingua
moderna, e così di seguito, saltando dall’uno all’altro
senza soluzione di
continuità, e con inalterata spigliatezza. A un dato
momento, essa prese due
personaggi di due romanzi diversi, li fece conversare
insieme, in modo che il
personaggio di un romanzo pareva rispondere alle domande
dell’altro, ed
anche discutere col medesimo. Quando i brani dei due
romanzi furono
sbrogliati tra di loro ed assegnati ai loro testi, si vide
che ciascuno di essi
calzava perfettamente con la parte che rappresentava nella
continuità del
proprio testo» (Ivi, pagg. 401-402).
In altra circostanza, mentre Mrs. Curran scriveva una
lettera ad un’amica,
Patience Worth si serviva della sua laringe per dettare
spigliatamente una
magnifica composizione poetica intitolata: «Fuochi Fatui»
(Ivi, pagg. 285-
286).
E con questo pongo termine all’esposizione dei fatti, per
passare a
discutere intorno alle ipotesi con cui dare possibilmente
ragione di tanto
prodigio.
Come bene osserva il dottore Walter Prince, emerge palese
che nel caso in
esame il vero problema da risolvere consiste
«nell’indagare come mai tanta
copia di letteratura di primissimo ordine, nella quale si
dà prova di grande
coltura e di vero genio; di versatilità inesauribile nel
modo di esprimere il
proprio pensiero; di profondità filosofica, di penetrante
indagine, di elevata
spiritualità, di fulminea rapidità nel concepire, di
eccezionale perizia nel
condurre innanzi le più complesse operazioni mentali, e
infine anche di
un’apparente divinazione del pensiero altrui; come mai,
ripeto, tutto ciò abbia
potuto estrinsecarsi pel tramite di Mrs. Pearl Lenore
Curran, a St. Louis, la
quale in base alle personali sue dichiarazioni, ma
sopratutto in base a
testimonianze e prove esuberanti venute in luce, non
possiede e non ha mai
posseduto la coltura corrispondente, come non ha mai
dimostrato
disposizioni letterarie, né in tal senso, come non
dimostrò mai di possedere
altre affini predisposizioni intellettuali?».
Ciò stabilito, non rimane che applicare all’arduo problema
le varie ipotesi
formulabili in proposito.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
34
La prima che si presenta è l’ipotesi del «subcosciente»
intesa nel senso
strettamente psicologico, secondo il quale ci si troverebbe
al cospetto di un
caso di disgregazione psichica, e consecutiva formazione
di una personalità
subcosciente, frazione sistematizzata della personalità
integrale cosciente, la
quale emergerebbe alternativamente alla superficie, sia
impossessandosi
temporaneamente del campo cosciente del soggetto, sia
manifestandosi
all’esterno utilizzando la mano o la laringe del soggetto
stesso.
Il solo psicologo della scuola universitaria il quale
abbia studiato
personalmente il caso in esame, è il prof. Cory, il quale
riconosce senza
restrizioni il «prodigio di una personalità medianica la
quale riflette nelle sue
opere letterarie la vita e i costumi di altri tempi, e ciò
con una competenza e
una familiarità da stupire altamente chi legge... ».
Riconosce che «il romanzo
“The Sorry Tale” presuppone il possesso di una massa
enorme di cognizioni
sulla vita e sui costumi della Palestina e di Roma ai
tempi di Cristo... ».
Riconosce che “Telka” ha per teatro l’Inghilterra, dove la
medium non era mai
stata, ed è dettata in lingua arcaica appartenente a varie
località e a diversi
periodi... Il che si trasforma in una grande perplessità
la quale complica il
problema da risolvere». Tutto ciò, secondo il prof. Cory,
tenderebbe a
dimostrare che «il tipo e la struttura della mentalità di
Patience Worth
appariscono così nuovi, che risulta ben arduo immaginare
fin dove
potrebbero estendersi i poteri della mentalità di lei, o
quali limiti assegnarle».
Sennonché dopo avere lealmente riconosciuto la complessità
enorme del
quesito da risolvere, il professore in discorso conclude
ugualmente
presupponendo che «Patience Worth è il prodotto di una
atmosfera di ansiosa
aspettativa per una manifestazione dall’Al di là;
dimodoché è più probabile
che tale aspettativa sia divenuta il fattore essenziale
della dissociazione
psichica che si andava sviluppando... Patience Worth è
nata nei profondi
recessi del subcosciente. Generata nell’atmosfera
dell’ideale, concepita dalla
pura fantasia, essa modellò l’esser suo con pura sostanza
immaginativa, e tale
vuol rimanere nulla assimilando di ciò che contraddice
l’illusione che la
domina. Ne deriva ch’essa persiste a credere di essere
stata una zitella inglese,
vissuta in Inghilterra parecchi secoli or sono».
Dal che si apprende come il prof. Cory concluda senza
darsi alcun pensiero
di spiegare in qual modo una frazione di personalità
dissociata, possa
risultare di gran lunga più vasta, più erudita, più
intelligente e geniale della
personalità integrale dalla quale deriva.
Inutile spendere tempo nella discussione di un’ipotesi
insostenibile,
nonché logicamente assurda nei limiti in cui vorrebbero
costringerla i signori
psicologi ortodossi. Il dottor Prince analizza paragrafo
per paragrafo lo studio
del prof. Cory, demolendo l’una dopo l’altra tutte le sue
argomentazioni, e ciò
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
35
in guisa risolutiva. Tale confutazione del dottor Prince è
magistrale; ma, in
verità, bastavano dieci righe per avere ragione di
un’ipotesi la quale può solo
propugnarsi a condizione di non tenere conto dei fatti!
Allorché apparve l’analisi critica del prof. Cory, uno
sperimentatore
informò Patience Worth che un eminente psicologo aveva
concluso ch’essa
era una frazione della personalità della medium. Ecco la
sua risposta, dettata
come sempre in dialetto arcaico di tre secoli or sono:
«Chi è colui che osa dire ch’io sono una particella
fuorviata
dell’immaginazione della medium? Chi è colui che osa
sostenere che una
grande intellettualità sia figlia dell’immaginazione di
una piccola
intellettualità? La voce di colui che proclamerà una
scempiaggine simile
riuscirà voce sfiatata. Si faccia avanti, e mi vincoli
pure alla medium; ma l’età
futura lo chiamerà uno sciocco. Quanto minuscola la sua
penna! La penna
mia è penna d’oro intinta nella saggezza antica. Io non CANTO per CANTARE,
ma perché il canto rimanga. Il presentar me come
una frazione “dell’arpa
vivente” di cui mi valgo, equivale a distribuire ai bimbi
libri, teschi, spade,
vino e Sacramenti affinché se ne balocchino. Osserva: ecco
io pizzico “l’arpa
vivente”, ed essa risponde vibrando all’unisono con la
voce dell’antica
saggezza... » («Psychic Science», 1928, pag. 164).
Aggiungo che il dottor Prince e il prof. McDougall,
concludono a loro volta
in perfetto accordo con Patience Worth. Il primo osserva:
«Si vorrebbe che
noi ammettessimo che il più sia contenuto nel meno»; e il
secondo: «Tutto ciò
equivale a sostenere che la parte è più grande del
tutto».
E mi pare che basti. Non ne parliamo più, e passiamo alla
seconda delle
ipotesi formulabili.
Il dottor Prince, in numerosi punti del suo libro, lascia
chiaramente
intendere ch’egli ritiene l’ipotesi spiritica l’unica
capace di dare ragione del
complesso dei fatti; nondimeno, con la circospezione di un
uomo di scienza il
quale si rivolge ad altri uomini di scienza non ancora
maturi per certe verità,
egli conclude trincerandosi dietro a un dilemma, il quale
però è costituito da
due proposizioni ugualmente ostiche ai signori psicologi
ortodossi. Egli
osserva:
«Questa è la tesi da me formulata dopo dieci mesi di
assiduo studio sui
fatti. Occorre risolversi: o modificare radicalmente il
concetto di ciò che si
denomina il “Subcosciente”, includendo in essa
potenzialità intellettuali di cui
fino ad ora non si aveva idea, oppure riconoscere
l’esistenza di una causa
operante pel tramite della subcoscienza di Mrs. Curran, ma
estrinseca alla di
lei subcoscienza. Nel primo caso si normalizzerebbe ciò
che fino ad ora venne
ritenuto il “supernormale” (nella guisa medesima in cui
“l’ipnosi”, che cento
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
36
anni or sono pareva sottintendere delle possibilità
supernormali, venne
odiernamente normalizzata); nel secondo caso si verrebbe
ad ammettere il
supernormale».
Così il dottor Prince. Riconosco a mia volta che se pei
casi analoghi
all’esposto si rinunciasse all’ipotesi del «subcosciente»
inteso nel senso di una
frazione sistematizzata della dissociazione psichica del
soggetto, e si
ammettesse l’ipotesi del Myers, secondo il quale
esisterebbe nell’uomo una
personalità integrale subcosciente di gran lunga più vasta
e perfetta di quella
cosciente, fornita di facoltà di senso supernormali, e di
capacità intellettuali la
cui emergenza sporadica darebbe luogo alle «ispirazioni»
del genio; convengo
anch’io che se si ammettesse tutto ciò si perverrebbe a
dare ragione – fino a
un certo punto - del caso in esame. Dico «fino ad un certo
punto», giacché
rimarrebbero ancora da sormontare ostacoli formidabili,
tenuto conto che se
con tale ipotesi si perverrebbe a spiegare in qualche modo
l’eccellenza delle
opere letterarie dettate dalla personalità medianica,
nonché le virtuosità
straordinarie con cui essa «giocava con le parole»,
nondimeno non si
perverrebbe a dare ragione della circostanza di avere essa
dettato romanzi in
un dialetto del secolo diciassettesimo, e ciò senza mai
cadere nell’errore
d’interpolare nel testo vocaboli venuti in uso dopo il
1600; come pure, non si
perverrebbe a spiegare il fatto del suo dimostrarsi
pienamente edotta degli usi
e dei costumi della Palestina e di Roma ai tempi di
Cristo; due circostanze che
si trasformano in una grave obbiezione, in quanto una
personalità integrale
subcosciente s’identifica ancora e sempre con la propria
personalità normale,
e nel caso nostro, quest’ultima personalità era totalmente
ignara dei dialetti
arcaici adoperati dalla presunta sua personalità
integrale, com’era ignara
degli usi e dei costumi di popoli esistiti due millenni or
sono.
Ma ciò non è tutto, poiché risulta palese che una
personalità integrale
subcosciente la quale attesta coi fatti il grado
elevatissimo della sua
superiorità intellettuale al confronto di quella della
personalità cosciente, non
dovrebbe dimostrarsi mai suggestionabile od
autosuggestionabile; due forme
psicopatologiche di stasi mentale indicanti una restrizione
enorme del campo
cosciente della personalità umana. Ora, siccome
quest’ultima argomentazione
risulta incontestabile, ne deriva che non si saprebbe
spiegare come mai una
personalità subcosciente tanto superiore a quella
cosciente, abbia potuto
illudersi al punto da credersi vissuta nel diciassettesimo
secolo sotto le spoglie
di un’umile contadinella emigrata in America, e morta in
un’imboscata di
Indiani. Non è il caso ch’io faccia rilevare quanto
formidabile risulti
l’obbiezione esposta, e ciò in quanto appare fondata
sull’esperienza delle fasi
profonde nell’ipnosi e nel sonnambolismo magnetico, fasi
in cui il soggetto
non è più suggestionabile; e sopratutto in quanto risulta
indiscutibile in nome
della logica e del senso comune, tanto più che alle affermazioni
della
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
37
personalità medianica corrisponde il fatto che essa
conversò costantemente
nel dialetto arcaico che si parlava ai suoi tempi nella
contea in cui disse di
essere nata. Né l’ostacolo teorico in questione potrebbe
evitarsi
presupponendo che la personalità integrale subcosciente di
cui si tratta, fosse
invece consapevole dell’esser suo, ma si facesse passare
per lo spirito di una
defunta al fine d’ingannare i viventi; poiché in tal caso
si andrebbe a dar di
cozzo in un’altra enormità d’ordine morale ugualmente
inammissibile, ed è
che una personalità subcosciente di tanto più elevata e
perfetta di quella
cosciente, dovrebbe in misura corrispondente risultare
moralmente superiore
a quest’ultima; nel qual caso è palese che non dovrebbe
mai mentire, e tanto
meno mentire con l’insulso e malvagio proposito di
turlupinare i viventi,
mistificandoli nelle loro più sacre aspirazioni spirituali
ed affettive.
Riepilogando: Tenuto conto che l’ipotesi della «coscienza
subliminale»
presuppone l’esistenza nella subcoscienza umana di una
personalità integrale
spirituale dotata in grado superlativo delle qualità più
elette della personalità
cosciente, ne deriva che essa non dovrebbe mai illudersi
sull’essere suo fino al
punto di credersi lo spirito di una defunta vissuta in
località determinata, in
condizioni sociali ben definite, in epoca precisata, con
cognizione perfetta
della lingua arcaica dell’epoca designata; tenuto conto,
inoltre, che tale
personalità integrale spirituale dovrebbe possedere in
misura corrispondente
alle doti superiori intellettuali, anche un senso morale
altrettanto elevato, ne
consegue che non potrebbe abbassarsi e pervertirsi fino a
ingannare
crudelmente i viventi. Deve pertanto riconoscersi che le
considerazioni
esposte dimostrano come l’ipotesi della «coscienza
subliminale» risulti a sua
volta inadeguata a dare ragione del complesso dei fatti.
Occorre dunque cercare altrove un’ipotesi adeguata allo
scopo.
Ed ecco affacciarsi una terza ipotesi a latitudini
sconfinate, la quale
presenta una curiosa caratteristica: quella di venir tolta
dal dimenticatoio,
dove quasi sempre giace allo stato latente, solo negli
accessi di crisi
teoricamente disperate cui soggiacciono gli assertori
dell’interpretazione
«animica» di tutta la fenomenologia supernormale. Si
denomina «l’ipotesi
della Memoria Cosmica», la quale lungi dall’essere
gratuita od assurda, è
invece dimostrabile sulla base dei fatti; sennonché gli
oppositori l’adoperano
a modo loro, travisandola in guisa cospicua, e
biforcandola in due branche
distinte, a seconda del beneplacito di chi se ne vale. Vi
sono, cioè, coloro che -
come l’Hartmann - ne usano e ne abusano del vero senso di
«Coscienza
Cosmica» attributo dell’Assoluto, cioè di Dio; nel qual
caso si verrebbe ad
ammettere che la subcoscienza dei mediums entri in
rapporto diretto con
l’Ente Supremo, e ciò col nobile scopo di turlupinare il
prossimo;
proposizione addirittura blasfema.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
38
Vi sono invece altri indagatori i quali si valgono
dell’ipotesi in questione
nel senso ad essa conferito dal professore William James,
secondo il quale,
metafisicamente parlando, potrebbe inferirsi l’esistenza
di un «serbatoio
cosmico delle memorie individuali», al quale avrebbero
libero accesso i
mediums, e dal quale ricaverebbero tutto quanto loro
abbisogna per
mistificare i miseri mortali.
L’eminente psicologo e filosofo inglese, professor
Schiller, dell’Università
di Oxford, in occasione di una sua recensione del caso di
Patience Worth,
accenna ad entrambe le biforcazioni dell’ipotesi in esame,
e lo fa nei termini
seguenti:
«Vi sono filosofi che una volta incamminati sulla comoda
via della ipotetica
estensione della personalità umana, si dimostrano mal
disposti ad arrestarsi
fino a quando non raggiungano l’Assoluto. Noi pertanto
dobbiamo tenerci
pronti ad apprendere da qualche critico che l’arte
letteraria di Patience Worth
risulta un’autentica rivelazione dell’Assoluto; mentre
qualche altro più
moderato parlerà di un’arte sgocciolata da un “serbatoio
cosmico” in cui si
sono venuti raccogliendo e ristagnando tutti gli sforzi
letterari dei secoli.
Osservo che questa seconda versione dell’ipotesi in esame
non tiene il debito
conto del problema della “selezione dei fatti” dal
serbatoio di cui sopra;
mentre la prima versione darebbe di cozzo in un’altra
formidabile difficoltà,
ed è che in tal caso Patience Worth risulterebbe una
rivelazione piuttosto
umoristica ed eccentrica di quell’Assoluto infinitamente
perfetto di cui
parlano i filosofi. Se mi si osservasse che una
personalità finita non può non
risultare una “selezione” dell’Assoluto, risponderei che
tale schiarimento
chiarisce fin troppo, giacché se Patience Worth risulta in
tal senso una
“selezione dell’Assoluto”, allora tutti noi, alla medesima
stregua, risultiamo
delle “selezioni dell’Assoluto”; il che equivale a dire
che nei limiti
dell’argomentazione esposta, Patience Worth dovrebbe
risultare uno “spirito”
come tutti gli altri» («Proceedings of the S.P.R.»; vol. XXXVI,
pag. 575).
Queste le argomentazioni del professore Schiller, e mi
pare che le
medesime risultino a tal segno calzanti e risolutive dal
dispensarmi
dall’aggiungerne altre. Rileverò solamente che in ordine
all’ipotesi del
«serbatoio cosmico», l’obbiezione formulata dallo
Schiller, che, cioè, l’ipotesi
stessa non tiene il debito conto del problema della
«selezione dei fatti» da
parte della personalità subcosciente del medium, è
un’obbiezione che appare
formidabile nel caso speciale di Patience Worth, visto che
se si dovesse
presumere che nel «serbatoio» in questione si rinvenissero
raccolti e
ristagnati tutti i vocabolari arcaici della lingua inglese
i quali risultano fuori
d’uso dal 1600, nondimeno tutto ciò non rappresenterebbe
che un materiale
greggio esclusivamente utilizzabile da chi fosse
pienamente edotto sul
significato di ogni singolo vocabolo, nonché sulle
coniugazioni dei verbi, sulle
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
39
declinazioni dei nomi, sulle costruzioni grammaticali e le
innumerevoli
elisioni inerenti al dialetto di cui formavano parte i
vocaboli in questione; e
per soprappiù si richiederebbe altresì che colui che se ne
servisse si
dimostrasse in grado di saper discernere i vocaboli
arcaici in uso prima del
1600, da quelli entrati nella pratica dopo tale data;
tutte imprese che non
avrebbe potuto compiere la «personalità subliminale» della
medium, in
quanto la personalità normale della medesima non aveva mai
posseduto tali
cognizioni; mentre le cognizioni stesse non avrebbero potuto
esistere latenti
da nessuna parte, e ciò in quanto la struttura organica
di una lingua è
pura astrazione.
Stando le cose in questi termini, dovrà concludersi
razionalmente
all’intervento di un’entità estrinseca, alla quale fosse
familiare la lingua di cui
si è servita tanto correttamente e tanto spigliatamente.
Ne deriva che l’ipotesi
fantastica del «serbatoio cosmico» non regge di fronte
alla prova dei fatti; per
cui deve escludersi a sua volta dal novero di quelle
capaci di dare
complessivamente ragione del caso in esame.
* * *
Come si è visto, il semplice fatto di esporre e discutere
le ipotesi
naturalistiche applicabili al caso di Patience Worth, ci
condusse, volta per
volta, a far capo alla seconda proposizione del dilemma
formulato dal dottor
Walter Prince, proposizione in cui si postula l’esistenza
«di una causa
operante pel tramite della subcoscienza di Mrs. Curran, ma
estrinseca alla
subcoscienza di lei».
A pagina 460 del suo volume, il dottor Prince,
polemizzando col prof. Cory,
osserva in proposito:
«Ci si concede che Patience Worth “è eminentemente
razionale, sana ed
equilibrata”, ma nel bel mezzo di tante razionalità ed
equilibrate mentalità, si
pretende rinvenire “un’ostinata e persistente illusione:
quella di credersi
vissuta in tempi remoti nel mondo nostro”. Eppure -
osservo a mia volta - non
è illusione il fatto ch’essa conversa in un dialetto
arcaico, estinto da secoli;
non è illusione l’altro fatto ch’essa descrive contrade
straniere col loro verace
colorito locale; due circostanze che risulterebbero
inesplicabili in rapporto a
Mrs. Curran, ma che apparirebbero invece naturalissime
qualora la presunta
illusione di Patience Worth risultasse invece una realtà;
nel qual caso essa
non farebbe che valersi dei ricordi della propria
esperienza terrena, combinati
a presumibili consultazioni spirituali, e alla sapienza
acquisita in due secoli e
mezzo di esistenza trascendentale. Non è illusione il
fatto ch’essa manifesta
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
40
una genialità letteraria meravigliosa, di cui Mrs. Curran
non manifestò mai il
benché minimo indizio, ma che una intelligente e geniale
contadinella
potrebbe invece avere sviluppato in sé nei secoli che
trascorsero dopo la sua
morte, dato che la sopravvivenza risultasse un fatto reale,
e che lo spirito fosse
capace di progredire ulteriormente. Non è illusione che
col manifestarsi di
Patience Worth scaturì all’improvviso una sorgente
inesauribile di bellezza
artistica, di spiritualità, di saggezza e di brioso
conversare; sorgente
perpetuamente variabile e perpetuamente identica a sé
stessa, nonché
infinitamente diversa dal temperamento e dalle capacità
intellettuali di Mrs.
Curran. Vi è qualche cosa di grottesco nel concepire che
una persona, o una
“personalità” perfettamente sana ed equilibrata sotto ogni
rapporto, brillante
nella sua potenzialità intellettuale, mirabile per la sua
logica impeccabile,
possa in pari tempo dimostrarsi vittima di una grande
illusione (“delusione”
sarebbe la giusta parola), che, per soprappiù, avrebbe
proprio a riferirsi alla
sua personale identità e alle vicende della sua passata
esistenza» (Ivi, pag.
460).
Richiamo l’attenzione dei lettori sul brano citato del
detto dottor Prince, le
cui stringenti argomentazioni appariscono logicamente
inconfutabili; giacché
in base ad esse emerge che se il prof. Cory volle
pervenire alla conclusione che
Patience Worth era una «personalità subcosciente» della
medium, dovette
rassegnarsi a non tenere alcun conto delle numerose
circostanze di fatto le
quali provavano diametralmente il contrario! Ma come mai
sarebbe
razionalmente ammissibile affermare che Patience Worth era
vittima
dell’ostinata e persistente illusione di essere vissuta in terra, dal
momento che non erano illusioni, ma fatti positivamente
accertati, quelli
enumerati dal dottor Prince; fatti che convergevano
mirabilmente verso la
dimostrazione che Patience Worth diceva il vero quando
affermava di essere
vissuta in un paese designato dell’Inghilterra, in epoca
remota? Sarebbe
invero curioso che in metapsichica si dovesse
costantemente adottare un
sistema di analisi e di sintesi invertito; vale a
dire, concludendo
sistematicamente in opposizione a quanto dimostrano i
fatti. Mi si potrebbe
osservare che ben sovente le apparenze ingannano. Sapevamocelo; ma
nel
caso nostro l’obbiezione non regge, giacché ripeto che non
erano apparenze,
ma fatti incontestabili, positivi e inesplicabili quelli
enumerati dal dottor
Prince; tra i quali principalissimo quello di Patience
Worth la quale conversa
costantemente in un dialetto arcaico del diciassettesimo
secolo, adoperando
costantemente vocaboli d’origine anglosassone in uso ai
tempi in cui diceva di
essere vissuta, senza mai incappare nell’anacronismo di
servirsi di vocaboli di
origine latina penetrati nella lingua dopo il 1600. Si è
visto in precedenza
come tale circostanza di fatto non risulti neanche
dilucidabile con l’ipotesi
ultra-metafisica del «serbatoio cosmico delle memorie
individuali».
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
41
Ne deriva che chiunque non intenda adottare il sistema di
non tener conto
alcuno dei fatti nell’indagine delle manifestazioni
metapsichiche, dovrà
necessariamente concludere che l’unica ipotesi capace di
spiegare
complessivamente il caso di Patience Worth, è quella
implicita nella seconda
proposizione formulate nel dilemma del dottor Prince, e
cioè che Mrs. Curran
fu semplicemente la medium pel tramite della quale si
manifestò un’entità
spirituale assolutamente estrinseca alla di lei
personalità subcosciente e
cosciente.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
42
IL CASO HUGO
Passo a riferire due casi famosi, il secondo dei quali
risulta complementare
del primo, e ciò in guisa a tal segno non comune, da
risultare teoricamente di
un’importanza eccezionale, nonché parecchio imbarazzante.
Alludo con ciò a
due recenti pubblicazioni, in una delle quali, venuta in
luce nell’anno 1923,
per cura di Gustave Simon, si contengono i processi
verbali sulle esperienze
medianiche di Victor Hugo nell’isola di Jersey;
pubblicazione sulla quale
venne inaspettatamente a inserirsene un’altra, apparsa
nell’anno 1932, per
cura di Henri Azam, in cui sono riuniti i processi verbali
delle di lui esperienze
con una medium privata, la quale era una modesta madre di
famiglia, figlia
del popolo, e priva totalmente di coltura letteraria. Il
libro s’intitola:
«Symbole»: «
La circostanza straordinaria per la quale viene a
stabilirsi un rapporto
indubitabile tra le due pubblicazioni consiste in ciò: che
la personalità
medianica la quale si firmava col pseudonimo di «Symbole»,
aveva affermato
di essere quella medesima che presiedeva alle sedute di
Victor Hugo nell’isola
di Jersey, regolandone lo svolgimento; affermazione che
apparve convalidata
in guisa impressionante dal contenuto di entrambe queste
serie di messaggi
medianici in versi e in prosa, nei quali, tanto nelle
liriche stupende, quanto
nella prosa immaginosa, le personalità medianiche si
esprimono in uno stile
caratteristico letteralmente identico, il quale, per soprappiù, risulta lo
stile che caratterizza l’opera intera, in versi e in
prosa, di Victor
Hugo, la quale, come
tutti sanno, si distingue da qualunque altra, presente e
passata, per l’esuberanza delle immagini, per la frequente
accentuazione
declamatoria o biblica, per il periodare brevissimo, pei
geniali emistichi
incastonati nei versi, e soprattutto per le sfilate
interminabili delle antitesi e
delle allitterazioni.
Ora, questa triplice identità d’ispirazione letteraria,
tanto nei pregi insigni,
quanto nei difetti implicanti una esuberante genialità,
suscita un quesito
metapsichico formidabile, nonché assai arduo a risolvere,
poiché nessuna
ipotesi a disposizione dei competenti risulta capace di
darne
complessivamente ragione, come a suo tempo dimostreremo.
* * *
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
43
Ciò premesso, per la chiarificazione preliminare del
duplice tema che mi
accingo a trattare, comincio col riassumere brevemente il
contenuto
sostanziale delle esperienze medianiche di Victor Hugo, la
cui pubblicazione
ebbe per effetto di suscitare in Francia, e un po’
dovunque, una interminabile
sequela di critici faciloni, i quali si sbizzarrirono a
fare del bello spirito,
commentando a modo loro, discutendo intorno a un tema che
ignoravano, e
sentenziando in termini inappellabili. Non è il caso di
tener conto delle
scempiaggini espresse al riguardo dagli incompetenti, e
talora anche dai
competenti obnubilati da preconcetti di scuola; il che,
però, non impedisce di
dover ammettere che questa volta ci si trovava in presenza
di parecchie
perplessità teoriche le quali giustificavano fino a un
certo punto taluna fra le
gratuite ipotesi proposte a soluzione del quesito
emergente dal complesso
delle perplessità medesime, tra le quali eravi quella
dianzi accennata sulla
sorprendente identità di stile, di forma e di sostanza tra
la produzione poetica
trasmessa dal tripode medianico, e l’opera poetica di
Victor Hugo; mentre le
altre perplessità consistevano nella circostanza
inverosimile di tanti grandi
personaggi defunti i quali si fossero dati convegno a casa
di Victor Hugo, e
nell’altra circostanza più che mai assurda dei numerosi
personaggi-astrazione
che si manifestavano abitualmente nelle sedute, quali
«L’ombra del
Sepolcro», il «Leone di Androcles», «La Morte», «La
Critica», «L’Idea», «Il
Romanzo».
In merito ai due ultimi motivi di perplessità, mi affretto
ad osservare che i
medesimi risultano facilmente sormontabili, giacché
dall’attenta lettura del
volume emerge palese che i nomi dei grandi uomini e dei
personaggiastrazione
non erano che pseudonimi assunti da un’unica personalità,
ovvero
da parecchie personalità medianiche, le quali non
intendendo rivelare l’esser
loro, assumevano nomi simbolici corrispondenti al tema
svolto sul momento.
Ciò che, del resto, una di tali personalità fittizie, interrogata
in proposito da
Mad. Hugo, aveva dichiarato esplicitamente, informando che
i nomi e i
pseudonimi con cui venivano firmati i messaggi, erano
puramente simbolici e
conformi al tema che si veniva dettando. Al che Mad. Hugo
aveva osservato:
«Allora vuol dire che gli spiriti si divertono a
mentire?». Venne risposto:
«Assumere un pseudonimo non significa mentire». Al qual
proposito giova
rilevare che nessuno dei grandi personaggi i cui nomi
venivano palesemente
dettati per affinità di pensiero con temi svolti, non ebbe
mai la velleità di
fornire prove di identità personale; segno codesto che non
si trattava di
«personificazioni sonnamboliche», le quali, invece, si
abbandonano con
volubilità incosciente a simili audaci quanto disastrosi
tentativi.
Già si comprende che gli sperimentatori, pur non dubitando
circa
l’intervento di entità spirituali estrinseche, però
avevano ripetutamente
discusso intorno alla presenza reale della maggior parte
dei grandi personaggi
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
44
che loro si manifestavano, giungendo alla conclusione che
doveva trattarsi di
una sola personalità spirituale. Così, ad esempio, a
pagina 216, Victor Hugo
appone la seguente nota alla seduta:
«Augusto Vacquerie rileva a ragione che non si riscontrano
somiglianze tra
i versi dettati questa sera, e gli altri cominciati da
Eschilo nella precedente
seduta. Vi è piuttosto identità di stile tra i versi
dettati questa sera e le strofe
dettate sere or sono da Shakespeare. Ora, questa
confusione in cui Eschilo è
caduto tenderebbe a far pensare che gli spiriti che si
manifestano non siano
parecchi, bensì un solo spirito il quale, assume, a
seconda delle circostanze,
nomi diversi».
Sennonché, a pagina 206, si legge una nota di Gustavo
Simon, il quale era
uno del gruppo, così concepita:
«Molière, Eschilo, Shakespeare, André Chénier, nel dettare
i loro versi
s’interrompono frequentemente, si riprendono, esitano,
cancellano, rifanno.
“L’ombra del Sepolcro”, invece, detta i suoi versi
meravigliosi e la sua prosa
eloquente, senza esitazioni di sorta, senza faticare,
correntemente. Ne derivò
che quando Victor Hugo rivolse a Molière la sua domanda in
versi, noi
chiedemmo anzitutto se Molière era sempre presente, e
credemmo che il
tripode medianico avesse risposto affermativamente; ma
siccome la lunga
risposta in versi venne dettata rapidissimamente e senza
esitazione alcuna, ne
concludemmo che Molière non era più presente. Si chiese
nuovamente chi
fosse lo spirito comunicante, e venne infatti risposto:
“L’ombra del
Sepolcro”».
Come si vede, tale osservazione correggerebbe in parte
quella precedente,
ma solo in parte e cioè dovrebbe dirsi che gli
sperimentatori avevano finito
per convincersi di trovarsi in presenza di parecchie
entità spirituali, le quali
però si manifestavano sotto multipli nomi presi ad
imprestito, ovvero
letteralmente simbolici; ciò che anche odiernamente
risulta l’unica
interpretazione capace di dare ragione del complesso dei
fatti.
E’ anche interessante il rilevare che quando la
personalità sé affermante
Shakespeare detta delle magnifiche strofe, pur correggendo
frequentemente
prima di arrivare alla dizione definitiva; quando ciò
avviene, interviene
frequentemente Victor Hugo suggerendo per conto proprio
dei mutamenti nei
versi, e se qualche volta la personalità comunicante si
rifiuta ad accogliere la
variante dell’Hugo, per lo più vi accondiscende. Così, ad
esempio, a pagina
183, la personalità comunicante detta il seguente verso:
«Un ange lut pardon, vous écriviez douleur».
Victor Hugo osserva: «Io trovo quest’ultimo verso più
bello della strofa in
cui si trova, ma lo modificherei in questo senso:
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
45
“Vous écriviez douleur: un ange lut pardon”.
Ti pare che io abbia ragione?».
Venne risposto: «Sì». Non solo, ma la personalità
medianica rifece la strofa
intera, conforme l’osservazione del poeta vivente, e la
dizione definitiva fu la
seguente:
«Vous avez fait, mon Dieu, la vie et la clémence,
Et chacun de vos pas est marqué
par un don.
C’est à votre regard que tout amour
commence;
Vous écriviez: douleur, un ange lut pardon».
Ora questa curiosa e interessante collaborazione tra lo
spirito comunicante
e il poeta vivente, concorre a dimostrare che
l’intelligenza che poetava pel
tramite del tripode medianico non poteva essere il
subcosciente del medium,
dal momento che ben sovente non andavano d’accordo nella
dizione dei versi.
E così essendo, concorre esso pure a convalidare
ulteriormente l’ipotesi
generica d’interventi estrinseci nelle esperienze in
esame.
Ne consegue che in base a quanto si venne esponendo, ci si
trova già in
grado di affermare che le perplessità teoriche vertenti
intorno ai troppo
numerosi grandi personaggi che si manifestavano nelle
esperienze di Jersey,
come l’altra sui «personaggi-astrazione» che si avvicendavano
con gli altri,
possano considerarsi eliminate; ma non può affermarsi
altrettanto dell’altra
perplessità inerente alla circostanza inesplicabile della
sorprendente identità
tra lo stile, la forma e la potenza d’ispirazione poetica
delle personalità
medianiche, con lo stile, la forma e la potenzialità
dell’ispirazione geniale di
Victor Hugo. Niun dubbio può sussistere in proposito,
giacché in questo
volume si contengono delle splendide liriche improntate a
un’ispirazione
Victorhughiana così elevata e potente, da doversene
inferire che se figurassero
tra le opere del poeta sarebbero considerate tra le
migliori da lui scritte. E
quando si pensi che la personalità medianica più elevata
in fra tutte, quella
che aveva assunto il pseudonimo di «Ombra del Sepolcro»,
improvvisava dei
capolavori poetici senza mai interrompersi, senza mai
correggere, senza
mutamenti di sorta, laddove Victor Hugo era bensì capace
di fare altrettanto,
ma però alla condizione che gli fosse accordato il tempo
necessario a meditare
il tema, nonché a limare laboriosamente i versi fatti;
quando si pensi a tutto
ciò, c’è da rimanere ammirati fino allo sbalordimento,
così come avveniva per
l’opera altrettanto perfetta e potente di «Patience
Worth», da me discussa in
precedenza.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
46
Victor Hugo aveva rilevato con una certa apprensione tale
identità
pericolosa tra la sua propria dizione e ispirazione
poetica, e quella del tripode
medianico; ciò che aveva finito per preoccuparlo
seriamente, poiché temeva
che nel giorno in cui, dopo la sua morte, si fossero
pubblicati i verbali delle
esperienze di Jersey, qualcuno avrebbe potuto sospettare
ch’egli avesse
abbellito la propria produzione poetica appropriandosi i
versi conseguiti
medianicamente. Di tali sue preoccupazioni si hanno le
prove nelle note da lui
apposte alle esperienze stesse, tra le quali la più
esplicita è la seguente, ch’egli
aggiunse a un proprio manoscritto in cui si contiene una
sua lirica sul «Lion
d’Androclès»:
«Nella raccolta delle esperienze medianiche ottenute pel
tramite di mio
figlio Carlo, si trova una risposta del “Lion d’Androclès”
a questo mio
componimento poetico (1). Io alludo in margine a un simile
fatto, poiché si
tratta di un fatto, e cioè di un fenomeno strano al quale
ebbi ad assistere
numerose volte, e cioè di un fenomeno che odiernamente si
rinnova,
dell’antico tripode degli oracoli. Un tavolino a tre piedi
detta versi mediante
colpi alfabetici, e in tal guisa emergono dall’invisibile
delle strofe poetiche.
Già si comprende che io non ho mai intercalato nei miei
versi un solo verso
scaturito dal mistero, né alle mie idee, una sola di tali
idee. Io volli sempre
religiosamente lasciarle all’Invisibile che le aveva
dettate, suo legittimo
autore. Non volli neanche subirne il riflesso. Ne ho
scartato persino
l’influenza. Il lavoro del cervello umano deve rimanere in
disparte, e nulla
derivare dall’Invisibile che in tal guisa si manifesta. Le
manifestazioni
dell’Invisibile sono un fatto, e le creazioni del pensiero
umano, un altro fatto»
(Ivi, pagg. 14-15).
(1) Non sarà inutile ricordare che «Androcles», schiavo
romano condannato
ad essere sbranato dalle belve nell’arena del Colosseo,
vide lanciarsi su di lui
un leone affamato, che improvvisamente si arrestò
prendendo invece a
leccargli amorosamente le mani. Androcles aveva tolto da
una zampa di
quel leone una spina che lo faceva soffrire. Il leone
riconobbe l’uomo, e
generosamente lo contraccambiò rifiutandosi di sbranarlo.
Victor Hugo termina la poesia dedicata al «Leone di
Androcles» con questi
versi sferzanti la ferocia di Roma Neroniana:
«Tu vins dans la cité toute pleine
de crimes,
Tu frissonnas devant tant d’ombre
et tant d’abîmes
Ton oeil fit, sur ce monde
horrible et châtié,
Flamboyer tout à coup l’amour et
la pitié;
Pensif, tu secouas ta crinière sur Rome;
et, l’homme étant le monstre, ô
lion, tu fus l’homme».
LETTERATURA
D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
47
A questo punto sorge spontanea la domanda: Se d’interventi
estrinseci si
trattava, chi erano dunque le personalità spirituali che
si manifestavano nelle
esperienze di Jersey? E sopratutto, chi era l’entità che
si occultava sotto il
pseudonimo: «L’ombra del Sepolcro», grande quanto Victor
Hugo, ma che su
di lui aveva il vantaggio di sapere improvvisare dei
capolavori senza mai
correggere, o mutare una sillaba? E’ a questo punto che il
mistero diviene
impenetrabile, giacché i critici faciloni i quali se la
sbrigarono sentenziando
che le personalità medianiche comunicanti non erano altri
che la personalità
subcosciente dello stesso Victor Hugo, non tennero conto
delle circostanze in
cui si svolsero molte sedute circostanze inconciliabili
con tali conclusioni.
Infatti, risulta dai verbali delle sedute, che ben sovente
Victor Hugo non vi
assisteva, nelle quali circostanze venivano ugualmente
dettate liriche
magistrali, sempre in perfetto accordo con lo stile e
l’ispirazione di Victor
Hugo. Vi furono critici i quali cercarono di sormontare la
difficoltà
osservando che le sedute si tenevano a casa del grande
poeta, ambiente
saturato dalla sua influenza; ciò che, secondo i critici
in discorso, avrebbe reso
possibile alle personalità sonnamboliche comunicanti di
esprimersi coi di lui
stile anche in assenza del poeta; affermazione audace e
gratuita, ma che in
ogni modo è inconciliabile con l’altro fatto che talora le
sedute si tennero a
casa del Vacquerie e del Guérin, assente Victor Hugo, e
malgrado ciò le
personalità medianiche continuarono a dettare versi e
prose d’intonazione
schiettamente Victorhughiana. Si noti ancora che una
volta, allorché una
personalità medianica era occupata a dettare un lungo e
potente
componimento poetico, il medium principale Charles Hugo,
dovette
andarsene per non mancare a un appuntamento. Il posto fu
preso dal
Vacquerie e da Mad. Hugo, senza che il dettato poetico
avesse a soffrirne
menomamente. E ciò non basta, poiché dopo qualche tempo
anche il
Vacquerie dovette andarsene, e il suo posto venne occupato
dal Guérin; il che
non impedì che il componimento in versi continuasse a
venir dettato, come se
nulla fosse occorso. Infine, toccò a Victor Hugo di
doversene andare, e il corso
della dettatura poetica non ne sofferse affatto! Tale
incidente è teoricamente
notevolissimo, poiché tende a dimostrare una volta di più
che quelle
personalità medianiche non erano il «prodotto collettivo
dell’intelligenza dei
presenti», bensì dovevano essere personalità spirituali
indipendenti, la cui
intelligenza si manteneva inalterata malgrado tanti
mutamenti nel gruppo dei
«sensitivi».
Ne deriva pertanto che l’ipotesi delle «creazioni
psicofisiche collettive»
deve considerarsi impotente a dare ragione dei fatti,
mentre l’altra discussa in
precedenza, secondo la quale la personalità comunicante
era l’Io subcosciente
di Victor Hugo, risulta a sua volta eliminata in base alle
considerazioni fino ad
ora esposte.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
48
Dichiariamolo francamente: ci si trova in presenza di un
imbarazzo teorico
eccezionale, tanto più che l’ipotesi spiritica, per quanto
la più razionale, non
ha per sé nessuna inferenza diretta da far valere; e solo
possono allegarsi in
suo favore alcune inferenze indirette consistenti nel
fatto che si ottenevano
contemporaneamente delle buone prove d’identificazione
personale di
defunti, i quali fornivano le loro generalità, o parlavano
in lingue ignorate dal
medium.
Così, ad esempio, avvenne che una sera si manifestò allo
scrittore Kesler,
scettico irriducibile, lo spirito di una sua antica
amante, la quale diede il nome
di Maria, dichiarando di «manifestarsi per catechizzare
l’incredulo». Il Kesler
chiese di quale Maria si trattava: sua nonna? Maria Alva?
L’entità replicò
semplicemente “Maria”, ma in pari tempo si dichiarò gelosa
per un
medaglione che Kesler portava nascostamente al collo. Il
che era vero. Kesler
domandò ancora: «Ma perché sei stata scelta proprio tu per
venirmi a
convincere?». L’entità comunicante rispose: «La donna che
si è amata passa
avanti a tutti gli altri amori. Dio le confida il compito
di messaggera». S’iniziò
quindi un dialogo, alla fine del quale il Kesler chiese,
per essere convinto, che
l’entità rispondesse a una sua domanda mentale. Venne
risposto: «Pugnale».
Il Kesler trasalì, e ne aveva ben donde. Quindi spiegò:
«Verissimo: questa
parola si riferisce a una scena drammatica occorsa tra me
e lei, durante la
quale essa si colpì con tre pugnalate». Tale incidente era
totalmente ignorato
da tutti i presenti.
In altra seduta, alla quale assisteva l’inglese Mr.
Pinson, si manifestò a
quest’ultimo un di lui fratello defunto, il quale diede il
proprio nome, e iniziò
con lui una lunga ed intima conversazione in lingua
inglese. Fungeva da
medium Charles Hugo, il quale ignorava totalmente tale
lingua. Il Pinson,
impressionatissimo per quanto era stato rivelato, si alzò
chiedendo che
siccome si trattava di segreti di famiglia, non venissero
registrate né le
domande, né le risposte.
In un’altra circostanza, si manifestò il grande poeta
inglese Lord Byron, al
quale il signor Guérin chiese un distico in lingua
inglese, e ciò a titolo di prova
d’identificazione, visto che nessuno dei presenti
conosceva tale lingua. Lo
spirito del poeta vi si rifiutò sdegnosamente, ma rispose
per lui un’altra entità,
dettando questo bellissimo distico appropriato, e in
lingua inglese:
«Vex not the Bard: his lyre is
broken;
His last song sung, his last word
spoken» (2).
2) Non tormentate il Bardo: la sua lira è spezzata.
L’ultimo canto egli l’ha
cantato, l’ultima parola l’ha detta.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
49
Infine, dovrebbe aggiungersi anche il caso del poeta André
Chénier, il
quale, probabilmente, risultò l’unico grande personaggio
defunto il quale si
trovasse realmente presente: e si è indotti a inferirla in
base alla circostanza
ch’egli è anche l’unico poeta, tra i molti che si
manifestarono, il cui
verseggiare non ha nulla di comune con l’ispirazione
poetica di Victor Hugo.
Egli, al contrario, si dimostra se stesso, mantenendosi
mirabilmente fedele a
quella ispirazione idilliaca ed elegiaca che lo
caratterizzava in vita. Da notarsi
in proposito ch’egli, per invito del Vacquerie, aveva
intrapreso il compito non
comune di completare da morto parecchi suoi componimenti
poetici che
nell’edizione delle sue opere furono pubblicati allo stato
di «frammenti»; ciò
in causa della tragica sua fine sotto la mannaia della ghigliottina,
e la
consecutiva dispersione dei suoi manoscritti. Ora egli
pervenne a completare
tutti questi frammenti poetici, mantenendone inalterata la
forma e
l’ispirazione. Una sera, durante tale laboriosa fatica, Victor Hugo aveva
chiesto:
«Questi versi tu li componi a misura che li detti?».
Venne risposto: «No».
«Allora sono versi tuoi, che ora ricordi?».
Venne dettato: «Sì» (pag. 79).
Tale affermazione ebbe una curiosa riconferma pratica,
poiché in un’altra
sera in cui il poeta aveva dettato una serie di versi
piuttosto scadenti e
confusi, Augusto Vacquerie gli osservò:
«Gli ultimi dodici o quindici versi da te dettati mi
sembrano confusi ed
oscuri. Che cosa ne pensi?».
Venne risposto: «E’ vero».
Victor Hugo interloquì, chiedendo: «Puoi tu dirci da che cosa
deriva questo
improvviso perturbamento nell’espressione delle tue
idee?».
Venne risposto: «Più non ricordo i versi originali» (pag.
112).
Ne deriva che in base agli incidenti esposti, apparirebbe
più che mai
probabile ch’egli fosse realmente presente in ispirito, e
che trasmettesse
medianicamente i brani andati smarriti, ma da lui
ricordati, dei propri
componimenti poetici. Comunque sia di ciò, sta di fatto
che i suoi versi non
hanno nulla di comune con l’ispirazione Victorhughiana,
ispirazione che
invece risulta palese e incontestabile nei componimenti
poetici di tutte le altre
personalità medianiche comunicanti.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
50
Ma ecco una circostanza contraddittoria anche a tal
proposito ed è che
quando André Chénier trasmette della prosa, e sopratutto
quando per invito
di Victor Hugo, narra le tremende impressioni risentite
allorché aveva il collo
rinchiuso nella fatale «lunetta» della ghigliottina, egli
lo fa in termini di
un’evidenza vissuta impressionante, ma in tutto
corrispondenti allo stile di
Victor Hugo (pagg. 122-127). Vi si riscontra il medesimo
periodare
brevissimo, la medesima intonazione declamatoria, e
l’irruzione delle antitesi.
Comunque, potrebbe darsi che mi sbagliassi, e che
l’improvviso periodare
concitato, l’intonazione e le antitesi fossero conseguenza
del subitaneo
risveglio di ricordanze terribili.
In ogni modo, tutto considerato, i quattro episodi esposti
in cui
l’identificazione personale dei defunti comunicanti appare
adeguatamente
dimostrata, autorizzano per lo meno ad affermare
genericamente come tutto
concorra a provare che nelle esperienze di Jersey non
erano assenti i casi
d’interventi reali d’intelligenze estrinseche ai mediums
ed ai presenti.
Che cosa dunque concluderne sinteticamente? Volendo
procedere col
metodo scientifico della eliminazione graduale delle
ipotesi insostenibili, noi
osserveremo che l’ipotesi secondo la quale si sarebbe
trattato di una serie
ininterrotta di personificazioni effimere traenti origine
dalla subcoscienza dei
mediums, personificazioni capaci di produrre i capolavori
poetici di cui si
tenne discorso, è da escludersi in modo assoluto; che
l’altra ipotesi di una
presumibile «creazione psicofisica collettiva», deve
egualmente escludersi
perché in aperta contraddizione coi fatti; che la terza
ipotesi secondo la quale
chi si manifestava era l’Io subcosciente dello stesso
Victor Hugo, risulta a sua
volta in contraddizione col fatto che ben sovente Victor
Hugo non assisteva
alle sedute; mentre l’altra ipotesi complementare, a fondo
psicometrico,
secondo la quale l’ambiente saturato dell’influenza del
grande poeta era
quello che poneva in grado il subcosciente dei mediums di
esprimersi nella
forma geniale di Victor Hugo, appare a tal segno
fantastica ed assurda, da non
doversi prendere in considerazione; senza contare che
talora le sedute si
tenevano a casa dei diversi sperimentatori; nelle quali
circostanze non è più
possibile tirare in ballo la «psicometria di ambiente», la
cui funzione, del
resto, è puramente passiva nel senso ch’essa riproduce,
ma non crea. Già si
comprende che a siffatte sedute Victor Hugo non assisteva,
senza di che
l’argomentazione in discorso perderebbe tutta l’efficacia
risolutiva che
indubbiamente possiede.
Così stando le cose, non rimarrebbe altra ipotesi a cui
far capo che quella
spiritica, la quale nondimeno se appare la più verosimile,
in quanto
indirettamente convalidata da qualche buona prova
collaterale, manca però
totalmente di buone prove dirette in tal senso; dimodoché
il propugnarla
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
51
apparirebbe a sua volta una soluzione per tre quarti
gratuita, e poco
scientifica.
Ne consegue che per ora nessuna ipotesi appare capace di
risolvere il
mistero che avvolge le famose esperienze di Victor Hugo,
le quali debbono
considerarsi di natura eccezionale, non esistendo in tutta
la casistica
metapsichica un’altra serie di manifestazioni analoghe, in
cui tutte le
personalità che si manifestarono, meno una sola, si
espressero con lo stile, la
forma e l’ispirazione geniale di uno dei componenti il
gruppo, il quale non era
medium, e non assisteva sempre alle sedute. Così essendo,
non rimane che
riconoscere che le esperienze in esame rimangono per ora
un enigma
inesplicato e inesplicabile. In pari tempo, e appunto per
questo, esse
presentano un grande interesse quale prezioso materiale
d’indagine.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
52
CONCLUSIONI
Dalle conclusioni d’ordine particolare riguardanti i tre
ultimi casi citati,
passando a quelle d’ordine generale riferentisi alla
presente rassegna di opere
letterarie conseguite medianicamente, cade opportuno di
far rilevare che
nell’enumerare i primi casi, quali quelli di Mrs.
Beecher-Stowe, di Francesco
Scaramuzza e del romanziere Carlo Dickens, io esposi obbiettivamente,
per
ciascuno dei casi stessi, il pro ed il contro circa la
loro presumibile origine
supernormale, e memore della regola in voga in ambiente
scientifico, secondo
la quale ogni qual volta le risultanze dell’analisi
comparata e della
convergenza delle prove si bilancino al punto da non
permettere una
conclusione risolutiva in favore di una delle ipotesi in
discussione, in tal caso,
ove anche le risultanze stesse pendessero cumulativamente
in favore di
un’ipotesi nuova non ancora accolta in ambiente
scientifico, si dovrà senza
esitare attenersi a un’altra ipotesi qualsiasi
scientificamente convalidata, in
attesa dell’accumularsi di altri fatti i quali autorizzino
ad accogliere l’ipotesi
nuova. E conformemente, io dichiarai di non volermi
discostare dalla
soluzione meno lata, e cioè, quella secondo la quale i
misteriosi poteri artistici
della subcoscienza bastavano a darne ragione.
Sennonché, come si è visto, i casi a mia disposizione si
andarono facendo di
più in più favorevoli a una ipotesi non ancora
scientificamente riconosciuta:
quella secondo la quale nella produzione medianica delle
opere di
«Letteratura supernormale» qui considerate, si assisteva
all’intervento
d’intelligenze estrinseche ai mediums ed ai presenti; fino
a che si pervenne a
manifestazioni prodigiose al punto da eliminare qualsiasi
perplessità sul fatto
che l’ipotesi del subcosciente, con tutte le sue
propaggini della
«criptomnesia», della «telepatia», della «telemnesia», e
dei suoi poteri
d’improvvisazione letteraria, diveniva insostenibile ed
assurda.
Così dicasi per il caso di Oscar Wilde, con la commedia da
lui dettata a
titolo d’identificazione; per il caso di Patience Worth,
coi poemi in lingua
inglese arcaica da lei dettati, sempre a scopo di meglio
identificare se stessa e
infine pei tre casi straordinari che convergono intorno
alla grande figura di
Victor Hugo, i quali, oltre ad escludere, insieme agli
altri, qualsiasi ipotesi
naturalistica, imponendo di far capo all’ipotesi
spiritica, e in conseguenza, alla
esistenza di una «Letteratura d’oltretomba», dimostravano
altresì che le
ispirazioni del genio avevano ben sovente origine
trascendentale.
Quest’ultima conclusione sull’origine spirituale di molte
ispirazioni del
genio sotto tutte le forme: letterarie, scientifiche,
inventive, è tutt’altro che
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
53
nuova in ambiente medianico, giacché fu questo uno dei
primi
ammaestramenti impartiti dalle più elevate personalità
spirituali comunicanti
medianicamente, a cominciare da «Imperator» del Moses e
dallo «Stafford»
della D’Esperance, per finire alle recentissime
manifestazioni del defunto
Federico Myers (nel libro di Miss Cummins: «The Road to
Immortalità»); del
defunto Sir Arthur Conan Doyle (nel libro di Ivan Cook:
«Thy Kingdom
Come»), e del defunto grande psicologo William James (nel
libro di Jane
Revere Burke: «Let Us In»). Nondimeno, e per quanto nella maggioranza dei
casi si trattasse di defunti i quali avevano provato ad
esuberanza la loro
identità personale, tali affermazioni risultando per loro
natura indimostrabili,
lasciavano nell’incertezza, tanto più che ci si trovava in
presenza di una
rivelazione non troppo lusinghiera per l’amor proprio
degli scrittori ed
inventori di questo basso mondo. In pari tempo si sarebbe
detto che dovesse
risultare per sempre impossibile di ottenere in proposito
una buona prova
sulla base dei fatti. Ed ecco, invece, che la prova ci
venne fornita in triplice
forma, ed a proposito di uno tra i massimi geni poetici
dei nostri tempi. Ne
deriva che questa volta si è forzati ad ammettere per
dimostrato ciò che dai
primordi del movimento spiritualista affermarono
concordemente le
personalità spirituali elevate comunicanti medianicamente.
Conclusioni codeste a tal segno contrarie a ciò che se ne
pensa in ambiente
scientifico, che passerà del tempo, e forse molto tempo,
prima che vengano
accolte. Ma ciò non importa: così avvenne sempre: il
misoneismo umano ha
sempre combattuto e ostacolato in ogni modo l’avvento
delle idee nuove; e
ciò, si noti bene, è quanto deve essere se si vuole che il
progresso umano
proceda avanti regolarmente, senza scosse e senza crisi
morali e materiali
socialmente pericolose. Innovatori e conservatori
sono entrambi
necessari per mantenere l’indispensabile equilibrio nel
movimento
ascensionale dell’intelligenza umana. Il che equivale a
dire che il
«misoneismo» di tanta parte dell’umanità pensante non ha
mai impedito alla
Verità di trionfare a suo tempo. Impedì sempre alla Verità
di emergere prima
del tempo; e ciò è un bene. Così avverrà per la serie
imponente delle
manifestazioni supernormali indagate dalla «metapsichica»,
delle quali forma
parte integrante la sezione qui considerata della
«Letteratura d’oltretomba»;
e per quanto si tratti di una sezione minuscola in
rapporto al vastissimo
campo ignorato del supernormale, nondimeno converge a sua
volta, in unione
alle altre sezioni, verso la dimostrazione sperimentale
dell’esistenza e
sopravvivenza dello spirito umano.
Il che vale ad ammonire coloro tra i cultori d’indagini
psichiche i quali
dimenticano troppo facilmente che la sopravvivenza umana
può dimostrarsi
sperimentalmente anche all’infuori dei casi di
identificazione spiritica
fondati sui ragguagli personali forniti dai defunti
comunicanti;
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
54
circostanza quest’ultima rivestente un altissimo valore
teorico, il quale risulta
di attualità, in quanto si elevarono recentemente voci di
eminenti ed
autorevoli metapsichicisti in perfetta buona fede, i quali
richiamarono
l’attenzione dei competenti sul valore teorico di vecchie
ipotesi metafisiche,
che sono poi quelle dell’esistenza presumibile di una
«memoria cosmica», con
l’altra affine, ma letteralmente fantastica,
dell’esistenza di un serbatoio
cosmico delle memorie individuali; ipotesi proposte a spiegazione dei
casi d’identificazione spiritica propriamente detta, e che
trassero gli
autorevoli personaggi in discorso a concluderne
malinconicamente che le
probabilità di pervenire un giorno ad ottenere una prova
scientificamente
adeguata all’esistenza e sopravvivenza dello spirito umano
diminuivano di
giorno in giorno in conseguenza di siffatte ipotesi, che
per quanto puramente
metafisiche, non si potevano escludere, e in conseguenza
neutralizzavano per
sempre l’efficacia dei casi d’identificazione spiritica, in
quanto sono
fondati sui ragguagli personali forniti dai defunti
comunicanti.
Non essendo questo il momento d’iniziare una discussione a
fondo su tali
presunte obbiezioni insormontabili, ricordo che ad esse
allusi in precedenza,
confutandole in brevi paragrafi, mentre recentemente
furono da me demolite
e sgominate per sempre in un libro intitolato: Animismo
o Spiritismo? Mi
limito pertanto ad osservare con meraviglia che gli
eminenti metapsichicisti i
quali si espressero nei termini esposti, diedero prova di
essersi dimenticati
che la dimostrazione scientifica dell’esistenza e
sopravvivenza dello spirito
umano, non dipende affatto da un’unica prova ricavabile dai
ragguagli
personali che i defunti forniscono medianicamente ai
viventi, bensì
dalla circostanza imponente delle manifestazioni
supernormali - Animiche e
Spiritiche - le quali concorrono in massa a fornire prove
in tal senso; vale a
dire che tutte convergono come a centro verso la
dimostrazione dell’esistenza
nell’uomo di uno spirito indipendente dal corpo,
organizzatore del corpo,
sopravvivente alla morte del corpo; mentre tali prove
risultano assolutamente
estranee ai casi d’identificazione spiritica incriminati
dagli oppositori; e in
conseguenza, esse convalidano indirettamente i casi stessi,
conferendo loro
una stabilità scientifica che, in linea di massima, può
considerarsi incrollabile.
Come già si disse, una di tali prove emerge dai casi qui
considerati della
«Letteratura d’oltretomba», in base ai quali si è tratti a
far capo all’ipotesi
dell’esistenza e sopravvivenza dello spirito umano pel
tramite di
manifestazioni che non sono prove d’identificazione
spiritica.
Un’altra di tali prove, addirittura fondamentale per la
convalidazione
scientifica dell’ipotesi in esame, consiste nel fatto dell’esistenza
latente, nei
recessi della subcoscienza umana, di facoltà di senso
supernormali,
emancipate dai vincoli dello spazio e del tempo,
indipendenti dalla legge di
evoluzione biologica (indizio quest’ultimo che non sono il
prodotto
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
55
dell’evoluzione biologica), inoperose ed inutili durante
l’esistenza terrena, e
ciò in quanto risultano inconciliabili con le condizioni
in cui si estrinseca la
esistenza incarnata (è chiaro, infatti, che se la
chiaroveggenza nel futuro
divenisse normale, paralizzerebbe ogni iniziativa umana);
tutte circostanze di
fatto teoricamente importantissime, in quanto dimostrano
che le facoltà
supernormali subcoscienti non possono spiegarsi
presupponendo che
rappresentino un «sesto senso in gestazione» (Richet). Si
aggiunga a tal
riguardo che sebbene le circostanze in discorso bastino da
sole ad eliminare
definitivamente tale gratuita ipotesi, nondimeno è facile
rilevare altre
circostanze di fatto ugualmente risolutive in tal senso, quali,
ad esempio,
l’osservazione che le facoltà supernormali subcoscienti si
estrinsecano
utilizzando i sensi esistenti: visione, audizione, tatto,
ciò che dimostra che non
possono risultare per se stesse un «senso biologico in
gestazione»; e l’altra
osservazione che in luogo di determinarsi per appercezione
diretta, vale a
dire dalla periferia al cervello, come dovrebbe avvenire
di qualsiasi senso
biologico, passato, presente e futuro, esse si determinano
per appercezione
inversa, vale
a dire dal cervello alla periferia, sotto forma di visioni e
audizioni subbiettive proiettate all’esterno, e quasi
sempre proiettate in forma
più o meno simbolica; ciò che dimostra ulteriormente che
non potrebbe
trattarsi di un «sesto senso» in gestazione, visto che i
sensi biologici
dovrebbero automaticamente percepire la realtà quale ad
essi si manifesta, e
non già tradurla intelligentemente in simbolismi astrusi
che, per soprappiù,
nel caso nostro assumono talvolta un significato molto
elaborato, di cui si
scoprono chiaramente gli scopi ma solo ad evento
compiuto. Noto, infine,
come tali facoltà emergano a sprazzi fugaci solo in
periodi di menomazione
vitale negli individui (sonno, deliquio, estasi, ipnosi,
narcosi, coma), altra
circostanza inconciliabile con l’ipotesi del «sesto
senso», ma che invece è in
perfetto accordo con l’ipotesi spiritualista, in quanto
induce logicamente a
inferirne che quando la crisi della morte avrà liberato le
facoltà supernormali
dalla cattività della carne; allora soltanto potranno
esercitarsi in piena
efficienza in ambiente loro appropriato.
In altre parole: tutto concorre a dimostrare che le
facoltà supernormali in
discorso, risultano i sensi spirituali dell’uomo i quali
esistono preformati, allo
stato latente, nei recessi della subcoscienza, in attesa
di emergere e di
esercitarsi in ambiente spirituale, dopo la crisi della
morte; così come i sensi
biologici esistono preformati, allo stato latente,
nell’embrione, in attesa di
emergere e di esercitarsi in ambiente terreno, dopo la
crisi della nascita; o
così come nella crisalide del bruco esistono preformate,
allo stato latente, le
ali, in attesa di emergere e di esercitarsi in ambiente
appropriato, dopo la crisi
di sviluppo che trasformerà il bruco in farfalla.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
56
Una terza prova del genere altrettanto importante e
suggestiva, è quella
ricavabile dai fenomeni di «bilocazione» nel sonno
naturale, nel sonno
provocato, nella narcosi, nel coma, o quali si conseguono
sperimentalmente, o
sono visualizzati dai «sensitivi» al capezzale dei
morenti. Noto che queste
ultime manifestazioni al letto di morte - teoricamente
importantissime, - sono
qualche volta osservate collettivamente, o
successivamente da parecchie
persone, e furono due volte fotografate. Niun dubbio
pertanto sul fatto che le
svariate modalità con cui si estrinsecano i fenomeni di
«bilocazione»
concorrono a fornire la prova sperimentale risolutiva
sulla reale esistenza di
un «corpo spirituale» separabile dal «corpo carnale», con
le conseguenze
teoriche che ne derivano.
Conseguenze teoriche le quali sono, a loro volta,
mirabilmente convalidate
da una quarta prova emergente dagli episodi delle
«Apparizioni dei defunti al
letto di morte», episodi che si estrinsecano con tali
multiformi modalità, da
escludere in modo risolutivo le ipotesi allucinatoria e
telepatica; come quando
i fantasmi dei defunti sono visualizzati collettivamente,
o successivamente,
dai presenti e dai nuovi arrivati; o come quando i
presenti sono i primi a
scorgere il fantasma del defunto, che viene in seguito
percepito dal morente,
ma solo quando gli accade di volgere lo sguardo in quel
punto; e soprattutto,
come quando il morente e il percipiente sono bimbi in
tenera età, quindi non
suscettibili di autosuggestionarsi fino ad allucinarsi per
paura della morte:
essi che ignorano la morte.
Altrettanto dicasi per le prove emergenti da una quinta
prova consistente
nei casi delle «Apparizioni di defunti dopo trascorso
qualche tempo dalla loro
morte», casi che quando sono visualizzati collettivamente
o successivamente
da varie persone, in guisa da eliminare le solite ipotesi
allucinatoria e
telepatica, risultano una delle prove più importanti e
incontestabili in favore
della sopravvivenza.
Così dicasi ancora per una sesta prova emergente dalle
esperienze delle
«corrispondenze incrociate», le quali si elevarono
odiernamente a un
altissimo valore teorico in senso spiritico, e ciò in
virtù dei mirabili risultati
ottenuti dal dottor Crandon a Boston, con la medianità
della propria consorte
Mrs. Margery, e con tre gruppi simultanei di
sperimentatori lontani tra di loro
centinaia di miglia, i quali corrispondevano tra di loro
pel tramite di «spiriti
messaggeri», tra i quali lo spirito di un cinese il quale
rendeva tradotti in
cinese i «motti proverbiali» a lui conferiti in inglese.
Altrettanto notevoli, da
un punto di vista diverso, risultano le mirabili
esperienze del genere
conseguite da Mr. Frederick James Crawley a Newcastle, e
dalla medium
Osborne Leonard a Londra.
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
57
Infine, osservo che numerose altre categorie di
manifestazioni
supernormali - le quali furono dallo scrivente illustrate
in apposite
monografie - forniscono ottime prove del genere qui
considerato; ma non è
possibile dimostrarne efficacemente l’importanza teorica
senza ricorrere ad
esempi. Così dicasi per taluni episodi di fantasmi
materializzati viventi e
parlanti, talvolta parlanti e scriventi in lingue ignorate
da tutti i presenti
(D’Esperance, Kluski); così dicasi per talune varietà di
«fotografie
trascendentali» in cui si tratta di defunti sconosciuti a
tutti i presenti, ma che
si pervennero a identificare, o che fornirono essi
medesimi i dati per la loro
identificazione; così dicasi per talune meravigliose
manifestazioni di «musica
trascendentale» al letto di morte e dopo morte; o per
talune estrinsecazioni
importanti di fenomeni d’infestazione, con fantasmi
sconosciuti ai percipienti
e identificati in base ad antichi ritratti; o per un
gruppo di casi testificanti la
realtà dei fenomeni di «ossessione» e «possessione», in
cui gli spiriti
ossessionanti sono scorti dai mediums, e in seguito
identificati da chi li aveva
conosciuti in vita; o per taluni gruppi di premonizioni ed
auto-premonizioni
di morte accidentale adombrate in simboli che
risultano impenetrabili fino
ad evento compiuto, e ciò
palesemente onde impedire alla vittima di
sottrarsi al destino che l’attende.
Insomma, vorrei che si comprendesse che quando si discute
intorno alla
validità o meno dell’ipotesi spiritica, non dovrebbe
dimenticarsi mai che tale
validità non poggia unicamente sui casi
d’identificazione spiritica
fondati sui ragguagli personali forniti dai defunti
comunicanti, ma
risulta incrollabilmente stabilita sopra un fascio di
prove ricavate dal
complesso intero delle manifestazioni supernormali -
Animiche e Spiritiche.
Ripeto che quest’ultima verità appare indiscutibile,
nonché teoricamente
risolutiva; ma, in pari tempo, rilevo ch’essa è
costantemente dimenticata dagli
oppositori dell’ipotesi spiritica, nonché ben sovente
anche dagli stessi suoi
propugnatori, i quali rimangono qualche volta imbarazzati
e perplessi di
fronte alle obbiezioni avversarie, precisamente in causa
della circostanza
ch’essi, a loro volta, dimenticano che l’ipotesi spiritica
risulta incrollabilmente
fondata sopra una moltitudine di prove sperimentali e
spontanee, non già
sopra una prova sola, e che basta considerare
cumulativamente tali prove, per
convincersi dell’impossibilità logica d’intaccarne in
minima guisa la
compagine.
Vivano pertanto i loro giorni tranquilli le anime
trepidanti che ad ogni
stormir di fronda paventano l’imminenza di una catastrofe
per la Verità che
loro è cara. Si persuadano costoro che non è razionalmente
lecito accampare
anche il più timido dubbio sulla stabilità delle basi su
cui poggia l’ipotesi
spiritica; e se, malgrado ciò, l’ipotesi spiritica
annovera ancora oppositori tra
le schiere dei competenti nelle discipline metapsichiche,
ciò è dovuto
LETTERATURA D’OLTRETOMBA di Ernesto Bozzano
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esclusivamente al fatto che all’intelletto umano riesce
sommamente arduo il
mantenere simultaneamente presenti dinanzi al criterio
della ragione tutti i
dati che costituiscono ogni complesso problema da
risolvere, determinandosi
in tal guisa il perpetuo avvicendarsi e aggrovigliarsi
delle conclusioni
sbagliate, in quanto sono fondate sopra una parzialissima
sintesi dei fatti.
Riconosco nondimeno che l’inconveniente lamentato, in
quanto deriva da
un’imperfezione congenita dell’intelletto umano, assume
valore di una legge
biologico-psichica; e così essendo, a noi non rimane che
inchinarci dinanzi ai
decreti della provvidenza, in base ai quali dovrebbe
inferirsene che in linea di
massima, il brancicare nell’errore, e il procedere sulla
via della Verità
incespicando ad ogni passo, ma spronati sempre avanti
dall’aculeo del Dubbio
filosofico, siano fattori indispensabili
all’individuazione e all’elevazione della
personalità spirituale umana.
F I N E
Preghiera al Padre - 20/01/2001
Padre Dolce,
Padre Buono.
Tu che sei nell’universo,
Tu che sei nelle cose,
Tu che sei in noi.
Tu che nutri il nostro corpo materiale,
Tu che nutri il nostro corpo spirituale;
Aiutaci in questa esistenza.
Aiutaci a perdonare per il male che ci fanno, perché
anche noi abbiamo fatto del male.
Aiutaci a cercare cibo per il corpo fisico e pane per la
nostra anima.
Aiutaci a superare le prove della vita con serenità;
e che Tu, assieme ai nostri fratelli spirituali, ci sia
sempre vicino.
Amen.