teoria e pratica della magia
sessuale
Titolo
originale dell’opera
B.
Anel-Kham
THEORIE
ET PRATIQUE DE LA MAGIE SEXUELLE
© Gennaio 2002 traduzione di
Vittorio Fincati
amore e magia
amore e religione: il culto della Donna
amore e religione: il culto fallico
Satana e l’amore. Il Sabba
Messa Nera, Messa d’Amore
La Fattura
Incubi e Succubi
operazioni di Venere
incantesimo d’amore
Rituale della Fattura d’Amore
Incantesimo della stringa
Segreti magici dei grimori su donne e amore
Magia e igiene sessuale
Talismani d’Amore e Mandragora magica
Segni zodiacali e corrispondenze erotiche
Capitolo
Primo
L’AMORE E LA MAGIA
L’Amore è all’origine del mondo, e rimane il fattore
essenziale e l’ossessione eterna dell’umanità; la ragion d’essere, di vivere e
di sperare, il perno fisso su cui gira il nostro globo, la causa e la finalità
della maggior parte delle cose di quaggiù, la condizione
stessa di ciò che c’è di più contrario: l’odio, generato il più delle volte
proprio dall’Amore.
Schopenhauer, il grande
filosofo tedesco, ha scritto giustamente: “L’istinto sessuale è la più completa
manifestazione della volontà di vivere; è dunque la concentrazione di tutta la
volontà”
Nulla di più vero, ed è sufficiente sbarazzarsi del
velo di ipocrisia di cui malauguratamente l’uomo si
ricopre per compiere il percorso del suo destino, per rendersi davvero conto
che l’amore – e ci riferiamo all’amore sessuale, quello che trae origine nel
legittimo e benefico desiderio carnale, avido di voluttà e delle gioie più
sensuali – è nell’esistenza l’atto più importante, quello che per primo
condiziona tutti gli altri atti. L’Amore regna, sovrano assoluto, sulla Vita e
sulla Morte.
Secondo le teorie gnostiche, è mediante un atto
d’amore che il mondo venne creato: l’Assoluto, in un
immenso coito cosmico generò il Pensiero, ed il Dio Uno divenne la splendida
dualità, prima coppia di amanti perfetti, la sizygia voluttuosa il cui intenso
desiderio avrebbe fatto nascere la materia.
Inoltre, l’Amore presiede all’intera creazione e
l’atto sessuale, compiuto in una selvaggia stretta da ogni coppia umana o
animale, non è altro che la replica di quello che ci generò nel Tempo
primordiale, nel grande empito del desiderio divino, di cui tutte le mitologie
hanno conservato il ricordo più o meno velato nelle leggende dei poeti, che spogliate del loro rivestimento di favola, ci rivelano lo
splendido viso del desiderio sessuale, della ricerca della voluttà, dell’Amore.
Così Esiodo ci insegna
nella Cosmogonia che l’Amore è il Padre degli Dei e degli uomini. L’Antichità
intera deifica l’Amore, il sesso è all’origine di tutte le cerimonie cultuali,
così com’è alla base di tutte le cosmogenesi. La Grande Dea, è la Femmina
trionfante e dispensatrice di gioia in virtù del suo fascino e della sua
grazia. La passione è sacra, e l’atto propagatore della specie mediante il
piacere dei sensi, è un’atto religioso, oggetto di
severe iniziazioni.
Unica, la Bibbia giudaica getta sull’Amore un
pesante mantello di biasimo. All’inizio della Genesi, vediamo che Adamo ed Eva
passeggiano melanconicamente nel Paradiso Terrestre, ignorando completamente il
fatto fascinoso di essere nudi. La prima donna è là,
splendida nelle sue forme giovanili, auspice delle più incredibili voluttà. Ma
la proibizione dell’irascibile e geloso Demiurgo è più
forte del desiderio soggiacente, ed i nostri primi progenitori non conobbero la
gioia di amare, fin quando Lucifero, sotto forma di serpente – un evidente
simbolo – tentò Eva impartendogli i più sublimi insegnamenti col farla
consapevole della sua femminilità.
Ciò che successe poi è noto. Tuttavia una vecchia
leggenda rabbinica ci assicura che per un lungo periodo Eva fu l’amante
affascinata dell’angelo Samael, mentre Adamo gustava i piaceri della carne al
fianco della bella ed oscura Lilith.
Questi amori di tempi elohimici ci offrono la chiave
dei diversi temperamenti, poiché l’umanità deriva da una triplice unione
primordiale: Adamo ed Eva, Adamo e Lilith, Eva e Samael.
Bisogna aggiungere quella successiva che fu la
conseguenza della Caduta degli Angeli. Episodio importante perché con il loro
desiderio amoroso le creature celesti ci fecero conoscere la Magia.
Un versetto del Genesi
(VI,2) ci informa che “i Figli di Dio, vedendo che le figlie degli uomini erano
belle, presero per compagne quelle che gli piacevano di più”.
La Bibbia non fa altri accenni a questa singolare
vicenda d’Amore e dobbiamo riferirci al Libro di Enoch
per avere qualche dettaglio aggiuntivo su questa splendida storia dell’arrivo
degli Angeli del desiderio.
Il Libro di Enoch, essendo
considerato un apocrifo e poco conosciuto, noi riportiamo i frammenti che si
riferiscono alla Caduta degli Angeli ed i benefici che ne derivarono per
l’umanità delle origini: “In quei tempi in cui i figli degli uomini si erano
moltiplicati, successe che gli nacquero delle figlie, belle e desiderabili. E quando gli Angeli, figli celesti, le ebbero contemplate, se ne
innammorarono; e si dissero l’un l’altro: scegliamoci delle spose tra la razza
umana, e generiamo dei figli. In numero di duecento essi scesero quindi
su Aradis, luogo posto nei pressi del monte Armon. Ecco i
nomi dei loro capi: Samyaza, loro comandante, Urakabaméel, Akibeel, Tamiel,
Ramuel, Danel, Azkeel, Sarakmyal, Asael, Amers, Batraal, Anane, Zavebe,
Samsavael, Ertael, Turel, Yomiael, Arazèal. Essi erani i capi di quei duecento
angeli; e stavano tutti assieme.
Essi scesero ognuno una donna; le
si avvicinarono e coabitarono insieme; gli insegnarono la Magia, gli
incantesimi e le virtù di radici ed alberi. Le ingravidarono e ne ebbero dei Giganti dell’altezza di trecento cubiti.
Quest’ultimi divoravano tutto quanto gli uomini
riuscivano a produrre, e divenne impossibile nutrirli.
Azayel insegnò agli uomini a farsi delle spade e dei
coltelli, degli scudi, delle corazze e degli specchi; gli insegnò la
fabbricazione di braccialetti e monili, l’uso della pittura, l’arte di
truccarsi gli occhi, delle pietre preziose ed ogni sorta di tinture, di modo
che il mondo venne corrotto. Crebbe
l’empietà; la fornicazione si moltiplicò; le creature trasgredirono e
corruppero tutti i loro percorsi. Amazarak insegnò sortilegi di ogni genere, gli incantesimi e le virtù delle radici.
Armers insegnò l’arte di sciogliere i sortilegi. Barkayal quella di osservare
le stelle. Akibeel i segni e i caratteri magici. Tamiel l’astrologia. Asaradel
i movimenti della luna”.
Si può immaginare quale scompiglio venne causato dalla discesa degli Angeli del desiderio. Le
figlie degli uomini accolsero con folle entusiasmo i
figli del Cielo di cui avevano attirato l’attenzione col loro gran fascino e
spirito di seduzione. Del resto, piene di straripante sensualità, avide di
carezze più esperte e al contempo più raffinate, esse si concessero in furiosi
abbracci, fiere di venire scelte da amanti angelici e meravigliosi.
Così nacquero i Giganti: “C’erano sulla Terra a quel
tempo i Giganti – ci dice la Scrittura – dopo che i figli di Dio conobbero le
figlie degli uomini e ne ebbero dei figli; questi eroi
furono famosi nei tempi antichi”. E’ chiaramente evidente che la narrazione del
Libro di Enoch è simbolica. Questi Giganti erano
grandi solo come spiritualità, bellezza e vigore. Figli della minoranza
angelica e delle più belle donne della Terra, essi si segnalarono sul pianeta
quali istruttori dell’umanità, e allorchè il vecchio libro dice che essi
divorarono ogni cosa e che era impossibile nutrirli, ciò significa che la loro
avidità di sapere e di amare era senza confini, e che
in un mondo ancora calato nelle tenebre dell’ignoranza, essi non riuscirono a
trovare i mezzi per sostentare il loro bisogno di conoscenza e di amore.
Il loro ricordo è ancora vivo: Ermete Trimegisto,
Osiride, Orfeo, Apollonio, Merlino l’Incantatore e
tanti altri; la Magia è il loro dono all’uomo decaduto; la Magia, opera di
potenza e dominazione sulla Natura, arte e scienza allo stesso tempo, che può
fare di un uomo debole un Dio, risvegliandogli dapprima i poteri nascosti, e
dandogli in seguito il pieno possesso di questi poteri.
La Scienza dei Magi, la si
è avuta dagli Angeli del Desiderio e prima di tutto la conoscenza tradizionale
dei segreti della Natura, ed è grazie a questa che l’iniziato si trova
investito del potere sugli elementi, gli esseri e le cose, ed ottiene risultati
meravigliosi, al di là della possibilità dell’uomo ordinario. Possiamo quindi
dare della Magia, arte divina che illumina le pagine di questo piccolo libro,
una definizione certa.
Che cos’è, dunque, la Magia?
§§§
“Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò
che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere il miracolo della Cosa
Una”. Questo assioma della Tavola di Smeraldo di Ermete
Trimegisto, espone la grande Legge di analogia e di corrispondenza che sta alla
base della Magia.
C’è dunque perfetta identità tra l’uomo, la Natura,
l’Universo e Dio. L’uomo è un piccolo mondo, o microcosmo, e Louis-Claude de
Saint-Martin, il Filosofo Sconosciuto, ha scritto che occorre sempre, andando
dal basso verso l’alto, spiegare la Natura mediante l’uomo. Del pari, lo studio
della Natura ci darà la spiegazione del Kosmos, e lo studio del Kosmos ci
rivelerà Dio.
Lo studio della costituzione occulta dell’uomo ci
darà dunque la chiave che spalanca la porta del mistero e allo stesso tempo ci
permetterà di rispondere a questa domanda: cos’è la Magia?
L’uomo è costituito da tre principi: il corpo,
l’anima e lo Spirito. Questi tre principi sono ripartiti in sette dalle scuole
iniziatiche orientali. Non ha importanza; lasciamola perdere
questa classificazione che complicherebbe questo studio del tutto propedeutico;
ci atterremo ai tre principi che esamineremo uno per uno, cominciando
dall’inferiore: il corpo.
Il corpo, il rupa degli Indù, lo xuong dei Cinesi,
il kha degli Egizi, il nephesch della Kabbala, la carne dei Pitagorici, detta dagli occultisti il corpo fisico, è l’inviluppo
materiale, il veicolo ed il supporto della vita. Costituisce il nostro
rivestimento, formato dalla terra e dai suoi prodotti. Di per sé non è nulla;
senza la Vita che gli viene infusa dall’anima, cessa
di esistere come principio animato e ritorna alla sua scaturigine: la materia.
L’anima, detta dagli Indù lingha-sharira; ki dai
Cinesi; khou dagli Egizi; rouach dai Kabbalisti; ombra o manes dai discepoli di
Pitagora; mediatore plastico dagli Ermetisti del Medio-Evo e del Rinascimento;
perispirito dagli Spiritisti della scuola di Allan
Kardec; la via dei Rosa-Croce; è più comunemente detta dagli occultisti
contemporanei, sia orientali che occidentali, corpo astrale.
Il corpo astrale è il principio che dona la vita e
che anima il corpo materiale o fisico. Apporta in noi la vita dell’Universo che
circola negli astri, ed è, tra quest’Universo ed il nostro pianeta, l’organo
che ci collega al Kosmos. E’ la sede delle passioni ovvero dei sentimenti buoni
e malvagi. Da solo, senza la spiritualità insufflatagli dallo Spirito latente,
è egoico, rappresenta il “me” in tutta la sua possanza brutale; ed è capace di
bontà e magnanimità più o meno sviluppata, in rapporto alla capacità spirituale
che è in grado di veicolare. Ecco perché lo scopo di
tutte le scuole iniziatiche al principio è quello di purificare il corpo
astrale, mediante una rigorosa disciplina emotiva.
Lo Spirito, l’Atma degli Indù;
detta Ba dagli Egizi; il Wun dei Cinesi; il Neschamah della Kabbala; lo Spirito
di San Paolo, degli Ermetisti e dei Rosa-Croce; il corpo spirituale degli
occultisti contemporanei, è il riflesso in noi dell’Assoluto, sede
dell’ispirazione e dell’Amore. Appena sviluppato nelle razze
umane contemporanee, sconosciuto alla maggioranza degli uomini, deve tuttavia
predominare e unico a sopravvivere un giorno. Egli è il solo eterno: Dio
in noi. La realizzazione spirituale tramite la piena
coscienza del Divino, presa di possesso dell’essere dallo Spirito, è lo scopo
finale di tutte le iniziazioni orientali.
Questo Spirito non ci appartiene. E’ lo stesso in
tutti, più o meno latente. E’ l’uomo collettivo, la forma archetipa,
l’Adam-Kadmon dei Kabbalisti e degli Gnostici. Insomma, il corpo è la natura
nell’uomo, l’anima è l’universo nell’uomo e lo Spirito è Dio nell’uomo.
L’Universo o macrocosmo, analogo nella sua
costituzione all’uomo, possiede una forza astrale corrispondente al corpo
astrale dell’uomo, da cui proviene e da cui ritornerà. Quest’astrale collettivo
è il grande agente magico, “il mediatore plastico universale, ricettacolo
comune di forme e impulsioni, fluido e forza che si potrebbe chiamare in
qualche modo come l’immaginazione della Natura. Mediante
questa forza, tutti gli apparati nervosi comunicano tra loro segretamente; da
ciò nascono la simpatia e l’antipatia, da ciò ci giungono i sogni; da qui si
producono i fenomeni della seconda vista e della visione extra-naturale….
L’esistenza ed il possibile uso di questa forza sono il grande arcano della
magia pratica. E’ la bacchetta del taumaturgo e la clavicola della magia nera.
La luce astrale dinamizza, riscalda, illumina,
magnetizza, attira, respinge, vivifica, distrugge, coagula, separa, spezza, riunisce
tutte le cose sotto l’impulsione di volontà potenti”.
Così si esprime Eliphas Levi, il rinnovatore
dell’occultismo contemporaneo, nella sua Storia della Magia; in un’altra opera,
Dogma e Rituale dell’Alta Magia, il Maestro precisa: “Colui
che conosce la Magia vede Dio faccia a faccia senza morirne, conversa
familiarmente con i sette geni che comandano alla milizia celeste… Possiede il
segreto della resurrezione dei morti e dell’immortalità; la Pietra Filosofale e
la Medicina Universale; conosce le leggi del movimento perpetuo e può
dimostrare la quadratura del cerchio; cambia in oro non solo ogni metallo ma
pure la stessa terra e le sue impurità; doma gli animali più feroci e conosce
le parole che incantano e addormentano i serpenti; conosce di primo acchito il
fondo dell’animo umano e i misteri dei cuori femminili; obblila a suo piacere
la natura a manifestargli i suoi segreti; possiede la visione del passato, del
presente e del domani; prevede tutti quegli avvenimenti futuri che non
dipendono da un libero arbitrio superiore o da una causa inattingibile; governa
gli elementi, placa le tempeste, guarisce i malati toccandoli e resuscita i
morti”.
Quest’agente magico o luce astrale è dunque il
serbatoio delle misteriose e potenti forze ove si plasmano tutti i pensieri
espressi, tutte le parole proferite, tutti i gesti compiuti. Significa che
mediante la volontà noi abbiamo completo dominio su tali forze che possiamo
manipolare e usare a nostro piacimento. La cosa non è priva di pericoli; ecco
perché i Maestri del passato esigevano dal candidato all’iniziazione una
purezza di vita esemplare.
Le forze impiegate per fare il male si ritorcono il
più delle volte su colui che le ha sprigionate:
ricordatevi delle leggende simboliche in cui il Terribile Dragone della Soglia
divora lo stregone!…
§§§
Queste dottrine, per quanto elementari, ci
permettono ora di rispondere alla domanda: la Magia è l’arte di porre il nostro
astrale personale in armonia e corrispondenza con l’astrale collettivo o forza
magica; è anche l’arte di servirsi di tale forza per agire con uno scopo
determinato, buono o cattivo, sull’astrale altrui.
Quest’arte si esercita col pensiero, la parola e il
gesto, emettendo delle forze e delle vibrazioni. L’opera magica si avvale di
cerimonie in cui si adoperano profumazioni, metalli, fiori, colori, suoni ecc., proprio in virtù di quella legge delle corrispondenze che
costituisce il piedistallo della Magia.
Secondo i Maestri dell’arte
magica, sono indispensabili quattro qualità per giungere alla potenza:
un’intelligenza illuminata e colta, un’audacia che nulla potrebbe fermare; una
volontà inflessibile e una discrezione a tutta prova. Ecco
peraltro la quadruplice sentenza dei Magi, simbolizzata dalle quattro parti
della Sfinge antica: sapere, volere, osare e tacere.
In più, secondo i Maestri, in magia non c’è che un
dogma: il visibile è la manifestazione dell’invisibile; in altri termini: il
Verbo perfetto è nelle cose che si possono percepire in modo proporzionale con
le cose che non possono venire percepite dai nostri
sensi.
Il mago deve volere, perché la volontà esercita su
tutto ciò che si muove e vive, un’influenza universale. Ecco perché lo sviluppo
della facoltà volitiva dev’essere lo scopo di ogni
uomo che vuole comandare alle forze della Natura. La volontà è il complemento
indispensabile della Conoscenza.
Il mago deve osare, perché il suo coraggio sarà
spesso messo alla prova dalle forze astrali che avrà evocato e per ciò stesso
scatenato. Non occorre che assomigli all’apprendista stregone della leggenda, e
per diventare il signore delle forze che deve coagulare per ravvivarle e
servirsene a piacimento, è necessaria un’energia a volte selvaggia se non vuole
venire atterrato da queste. L’energia è dunque il
complemento della volontà.
Il mago deve tacere, perché ogni cosa divulgata
perde di valore. Nelle antiche scuole iniziatiche era di rigore il silenzio
assoluto, simbolizzato dal mantello e dalla piccola lampada accuratamente
velata che si può vedere nel nono Arcano del Libro di
Thoth. La discrezione è talmente il complemento indispensabile delle altre
qualità, che senza di questa esse sarebbero inutili ed il mago fallirebbe nel
suo scopo.
L’aspirante all’opera magica deve inoltre praticare
la concentrazione del pensiero e la meditazione profonda; deve sforzarsi di
disciplinare il prorpio mentale rimanendo fisso su un solo pensiero, scacciando
tutto il resto, e poi, senza staccarsi da una calma assoluta, meditare a lungo
su tale pensiero preliminarmente concepito.
La purificazione del corpo è anch’essa necessaria.
Una rigorosa pulizia è indispensabile. Il Maestro Eliphas Levi scrive molto
spiritualmente che i più poveri troveranno gratuitamente dell’acqua nelle
fontane.
Infine, è bene che l’aspirante misuri i propri gesti
e impari a custodire un’immobilità completa per quindici-venti minuti ogni
giorno. Ritorneremo del resto sulle condizioni richieste per la riuscita
dell’operazione magica applicata all’Amore.
Capitolo Secondo
L’AMORE E LA RELIGIONE: IL CULTO DELLA DONNA
L’Amore si pone sia all’origine del sentimento
religioso che all’origine del mondo. “Questa grande legge dell’amore domina e
governa il mondo. Nessuna religione ha potuto farne a meno. Nelle religioni
antiche ha giocato un ruolo considerevole. Ad eccezione di Ebrei
e Iranici, tutta l’Antichità ha considerato ammissibile l’atto carnale quando
non lede il diritto altrui” hanno scritto Laurent e Nagour nel loro libro L’Occultisme
et l’Amour. Il sesso, secondo le iniziazioni orientali e occidentali, è il
legame tra il conosciuto e lo sconosciuto, tra il visibile e l’invisibile, tra
il mondo presente e l’al di là. In India il Dio dalla testa elefantina,
Ganesha, viene rappresentato con una giovane donna
assisa sui suoi ginocchi ed egli le carezza il sesso con l’estremità della sua
proboscide. Gli antichi Indù hanno in tal modo voluto attestare la suprema
saggezza del figlio di Shiva e Parvati, cui si attribuisce l’invenzione delle
più sublimi discipline, come l’astronomia e la matematica: la Conoscenza
suprema si acquisisce tramite l’Amore…
Un eminente scrittore
italiano, Giorgio Quartara ha fatto notare in un’opera assai documentata
intitolata La Donna e Dio, che “l’idea centrale delle religioni è in
buona sostanza la sessualità. Ciò in base al fatto che senza
di questa la vita non esisterebbe affatto”.
“Le religioni – prosegue l’autore – possono, in base a ciò, dividersi in tre grandi categorie. Le
religioni matriarcali appartengono più alla preistoria che alla storia,
ciononostante hanno lasciato tracce nettissime in tutte le credenze; la donna
vi domina quale suprema Dea, essendo la famiglia basata sul matriarcato: la
madre ne è il centro e, secondo giustizia e legge di
natura, i beni materiali le appartengono; essa li trasmette in eredità, e tiene
i figli presso di sé; i mariti sono un accessorio secondario dell’ambiente
sociale. L’amore, la bellezza, la bontà, la pace, la democrazia fanno parte delle credenze di queste religioni.
“Le religioni patriarcali, in cui l’uomo domina come
Dio, fanno già presagire la famiglia contemporanea, di cui l’uomo è il capo, ed
in cui la donna è sottomessa, sia per la propria persona che per quel che
riguarda il suo patrimonio, l’educazione dei figli, la trasmissione del cognome
ecc. In queste religioni l’elemento sessuale,
violentato dalla legge, diventa un peccato religioso, commesso da figli
degenerati e produce le follie del celibato, dei monasteri, della verginità,
con le loro differenti conseguenze.
“Infine, nelle religioni miste, tipiche delle grandi
civilizzazioni, i due sessi sono più o meno uguali,
sia in cielo che in terra. Queste religioni sono proprie di popoli forti ed
evoluti, come i Cinesi, i Greci, i Romani o i Germani”.
Tuttavia, aggiungiamo noi, anche le religioni più
misogine, come il cristianesimo, hanno serbato un segreto culto della Donna,
indimenticata Dea: la passione per la Vergine Maria viene a porre nella più
arida delle teologie un po’ di calore passionale ed il culto della Madonna,
sopravvivenza del meraviglioso paganesimo, resta l’unica cosa che renda
sopportabile una religione uscita dal severo e freddo giudaismo: “Questa
comparsa della donna sotto il cielo geloso e crudele dell’Antico Testamento,
questa figura immacolata, messa ai piedi di una temibile Trinità, è per costoro
(i giovani sacerdoti) la grazia della religione, ciò che li consola dello
spavento della fede, il loro rifugio di uomini
smarriti al centro dei misteri del dogma”. Così ha scritto Zola ne La Faute de l’Abbé Moret.
§§§
Quando l’uomo si risvegliò dalla
sua condizione semiferina, considerò la sua compagna con occhi nuovi. La
femmina che prima teneva per i capelli e possedeva ansimante su un letto di
sterpi, per goderne brutalmente, diventa gradualmente ai suoi occhi un essere
superiore, perché oltre alla capacità di generare figli e di continuare la
specie, essa aveva il dono di incantare, di far
nascere il desiderio e di dispensare la Voluttà. La Donna fu il primo Dio –
Dea/Deus – del maschio soggiogato, ed il primo culto fu l’Amore, o adorazione
del sesso femminile.
La prima liturgia fu il canto d’amore dell’uomo, che
saliva verso la donna, ardente preghiera diretta alla Dea vivente… Il primo
sacrificio fu il dono delle primizie della natura e di oggetti
prodotti per poterla adorare, per incoraggiarla a concedersi ovvero il
ringraziamento dopo la gioia dell’amplesso e dell’orgasmo. La presenza di tali
monili: collane, braccialetti, orecchini, tra le rovine delle città
preistoriche, sono la commovente testimonianza di un culto reso dall’uomo alla
Donna.
La religione della Donna-Dio sopravvisse nelle
grandi civiltà orientali, occidentali e dell’America precolombiana. Più tardi,
se la lotta religiosa condotta dalla casta sacerdotale maschile, dai sacerdoti
contro le sacerdotesse, per sottrarre alla Donna la supremazia religiosa e
sociale, terminò con la vittoria dei primi, il culto
del kteis o sesso femminile (yonico) non potè scomparire del tutto di
fronte al culto del sesso maschile (fallico). Sopravvisse, segreto, nel corso
dei secoli, e ancor’oggi sono numerosi gli adoratori
del kteis: i Drusi del Libano, in cerimonie segrete, onorano le parti
sessuali della Donna; i Nusairiti hanno anch’essi un culto yonico. Gli abitanti
della Polinesia hanno essi pure dei culti lunari segreti, e in grandi
città come Parigi, Roma, Londra, Lione, Avignone ecc.,
si svolgono segreti raduni durante i quali si celebrano riti su una donna nuda
adorata quale Dea vivente.
§§§
Nell’antico
Egitto, il culto delle grandi Dee precedette tutti gli altri culti, e fin dai
tempi più antichi si adoravano Hathor e Sothis. Con il venir meno del
matriarcato e della ginecocrazia, il culto delle Dee si fuse con quello degli Dei. Il culto di Neith sopravvisse e più ancora quello
di Iside, il cui mito è un rituale di magia sessuale.
Iside, Dea dell’Amore, è sempre stata adorata in Egitto ma il suo culto si diffuse più tardi a Roma e in Gallia.
A Creta, culla della civilizzazione
ellenica, si rendeva onore ad una grande Dea che proteggeva l’isola. “Essa veniva raffigurata – scrive Quartara - sia con una gonna
sfrangiata sia con un abito lungo e un berretto a punta ma in mano reggeva
sempre lo scettro e la lancia, emblemi del potere politico e militare,
appannaggio delle Dee nelle religioni matriarcali”.
A Babilonia spesso le Dee prevalgono sugli Dei, la grande Ishtar è adorata, e le donne si
abbandonano a riti lascivi. La Dea Tiamat è più potente del Dio Kingu, e Marduk
non può creare il seme del genere umano senza il concorso della Dea Aruru. Il
nuovo anno è consacrato alla Dea Belit e per onorarla si
compie l’atto carnale sugli altari dei templi.
In Fenicia di sacerdoti di Astarte
si vestono da donne e le sacerdotesse si danno alla prostituzione sacra. A
Cartagine il culto di Tanit oscura tutti gli altri. Flaubert l’ha immortalata
in Salammbo con quella splendida preghiera indirizzata alla Dea dalla
figlia di Amilcare.
Il culto della Donna trova in Grecia la sua più
splendida stagione con l’adorazione di Afrodite,
sintesi di tutte le grandi Dee dell’Antichità, e che simboleggia al meglio il
Principio Femminile.
Afrodite, di volta in volta venerata con i nomi di
Venere, Cipride, Citerea, è la Dea suprema della Natura e dell’Amore. Ecco come
Ovidio, il grande poeta latino, la celebra: “E’ lei,
Venere, che produce il germe delle piante e degli alberi, è lei che ha messo
assieme con legame societario i primi uomini, spiriti feroci e barbari, è lei
che ha insegnato ad ogni essere ad unirsi a una compagna. E’ a lei che dobbiamo le diverse specie di uccelli e la varietà delle
mandrie. L’ariete furente lotta con i corni contro il suo simile, ma teme di
ferire l’agnello. Il toro i cui alti muggiti fanno risuonare
boschi e valli, diventa mansueto quando scorge la giovenca. La stessa
potenza circonda tutto ciò che vive sotto i mari profondi e popola le acque di
pesci innumerevoli. Per prima Venere spoglia gli uomini del loro aspetto
selvaggio, da lei derivano l’acconciarsi e la cura di se stessi”.
Il culto di Venere, Dea della Carne, dell’Amore
totale, fece la grandezza e la bellezza della civilizzazione
greca.
§§§
La Tradizione occulta giustifica totalmente la
Religione dell’Eterno Femminile e spiega il passaggio dal culto yonico al culto
fallico e viceversa.
La dottrina esoterica ci insegna
che, nella grande evoluzione della vita manifestata – ciò che gli Indù chiamano
Mahamanvantara – le razze si succedono come perle di una gigantesca
collana che si avvolge intorno al nostro globo. Quest’ultimo
non rappresentando lui stesso che una perla di una collana ancor più grande che
è l’insieme del nostro sistema; quest’ultimo
non è a sua volta che la perla di un’altra collana la cui immensità non
si riesce neanche ad immaginare. Così all’infinito.
Le più moderne scoperte dell’astronomia vengono
peraltro a confermare gli insegnamenti dei Saggi iniziati e dei Teosofi. Ora,
corrispondentemente all’augusto e profondo mistero della Santa Trinità, ogni
perla – sistemi solari, globi, razze – è retta da una
delle Tre Persone del divino Tridynamos: Padre, Figlio, Madre (o Spirito
Santo). Sono i tre termini cultuali che si possono rappresentare come un
triangolo dentro un cerchio, quali simboli dell’evoluzione.
Lasciando da parte – cosa che ci porterebbe fuori
tema – ciò che si può chiamare la “Grande Collana”, prendiamo quella più
piccola che ci riguarda e, in essa, la perla attuale –
la nostra quinta Razza nel suo terzo termine – per svilupparne la
caratteristica cultuale: la Religione della Madre.
Questa terza Era, era del
Paracleto, annunciata dallo stesso Gesù Cristo,
(“Io invierò presso di voi lo Spirito consolatore…), profetizzata nel
Medioevo da Gioacchino da Fiore, Giovanni d’Oliva, Giovanni di Parma, Dante;
attesa ardentemente ai nostri tempi da Vintras, Joseph de Maistre, Léon Bloy,
J.-K. Huysmans, è davvero vicina. Essa deve coincidere con l’inizio del nuovo
ciclo di 2160 anni che, secondo il movimento apparente del Sole nello Zodiaco,
con uno spostamento di un grado ogni 72 anni – precessione degli equinozi – la
condurrà fin nei primi gradi del segno dell’Acquario-Amphora.
Ci ritroveremo allora in una situazione identica a
quella che segnò la terza Era della Razza precedente,
la perla vicina alla nostra nella collana, il cui splendore, senza cessare di
illuminarci, si affievolisce giorno dopo giorno, man mano che ci dà la luce.
Simbolo dell’eterna fiaccola che si passa da una mano all’altra!
Orbene, la terza Era, quella della Madre, la Donna
Divina, ha la supremazia femminile che si presenta in
ogni terzo termine sotto tre aspetti:
religioso – la Teocrazia, con il
culto della Dea.
Familiare – il Matriarcato, con l’autorità della
Madre.
Sociale – la Ginecocrazia, con il governo della
Signora (Regina, Alma Mater).
Tutto ciò che ricorda questi tre aspetti nel corso
della storia è la sopravvivenza e il ricordo di uno
stadio passato (terzo termine della Razza precedente: Atlantide) o annuncio e
preparazione del terzo termine della nostra razza attuale. Questo rinnovamento
di civiltà ginecocratica è chiamato da alcuni occultisti Il Ritorno di Iside. Rivedremo allora l’antico culto rinnovarsi e venir celebrato da un novo sacerdozio: le Sacerdotesse
dell’Amore.
Del resto, il ricordo del sacerdozio femminile non è
scomparso del tutto. La Donna ha regnato nel santuario, e se ai giorni nostri
le diverse confessioni cristiane exoteriche continuano a tenerla lontana
dall’altare, non avveniva allo stesso modo nella Chiesa
primitiva. Ai primordi del Cristianesimo la donna esercitava tutte le funzioni
sacerdotali. La religione nascente, come tutte quelle che l’avevano preceduta
in Oriente e Occidente, ebbe le sue sacerdotesse.
La seconda lettera di San Giovanni è indirizzata a
Kyria, l’eletta. – Cos’è dunque una “eletta”, se non una donna preposta ai
destini di una comunità di fedeli, cioè con diritti e
prerogative episcopali? – E Giovanni termine la sua missiva con questa formula:
“I figli di tua sorella l’eletta ti salutano”. Kyria
non era dunque la sola donna vescovo delle prime comunità cristiane.
San Giovanni e San Giuda erano partigiani del
sacerdozio femminile a differenza della maggior parte degli apostoli, specie
San Pietro e San Paolo. I teologi della Chiesa Russa pretendono che San Paolo
non vi si opponesse per principio ma per un motivo
contingente, riservando per l’avvenire l’avvento spirituale della Donna. La
cosa sembra davvero ben confermata da certi passaggi delle lettere
dell’iniziato sulla Via di Damasco.
Fu però l’opinione di San Pietro, - completamente
imbevuto dei pregiudizi del vecchio giudaismo – che prevalse; e se nelle prime
comunità cristiane, specie ad Antiochia, la donna esercitò il sacerdozio, nel
325 il Concilio di Nicea abolì il sacerdozio femminile nella chiesa cristiana
exoterica. Tale atto d’arbitrio ebbe delle pesanti conseguenze dando origine
alla strega, sacerdotessa di un culto segreto e maledetto: il Satanismo, come vedremo nel prosieguo di quest’opera.
La testimonianza di un sacerdozio femminile è
peraltro conservata nel Vangelo secondo Santa Maddalena – Santa
Maddalena, elevata da Gesù alla dignità sacerdotale. – Questo vangelo contiene
la descrizione di cerimonie simboliche ed esoteriche, con partecipazione di
sacerdotesse. Ed è questa la ragione per cui, come molti altri scritti a torto
definiti come “apocrifi”, venne distrutto dalla
Chiesa. Conservato tuttavia dagli Gnostici, questo vangelo venne assieme ad
altri libri occulti trasmesso agli Albigesi da Niceta, il mistico bulgaro che
diffuse il Catarismo nel Sud della Francia, e formò in
Sicilia i primi gruppi dei “Fedeli d’Amore” dei quali Dante, geniale poeta
della Divina Commedia, sarebbe divenuto uno dei massimi rappresentanti.
Questi scritti dettero agli Albigesi le chiavi
dell’iniziazione, e fu con piena conoscenza di causa quando fecero allusione, a
più riprese, a Nostra Signora dello Spirito Santo… L’Inquisizione distrusse i
libri catari, che mescolarono le loro ceneri con quelle dei roghi, con quelli
dei fedeli Albigesi, martiri della fede Gioannita. Tuttavia, una copia di
questi libri è presente negli archivi segreti vaticani. Possa lo Spirito Santo,
Dio-la-Madre, ispirare un giorno ad un Papa di genio
l’idea di riaprirli per diffondere nuovamente la luce sul mondo!…
§§§
L’onnipotenza e la preminenza del maschile è un’illusione ed un’impostura
contro la quale protesta l’intera Antichità.
“L’Antichità – scrive Léon Denis – possiede su di
noi questa superiorità, quella di conoscere e coltivare l’anima femminile; le
sue facoltà si dipanano liberamente nei tempi vedici sull’altare domestico;
mescolati intimamente alle cerimonie di culto in Egitto, in Grecia, in Gallia,
ovunque la donna fu oggetto di iniziazione, di
speciali insegnamenti, che ne facevano un essere pressocchè divino, la fata
protettrice, il genio del focolare, la custode delle fonti di vita”.
Sì, l’ampio panorama dell’Antichità ci offre lo
spettacolo della donna, autentica mediatrice fra l’uomo e la Divinità, a volte
anche come vivente rappresentazione di questa Divinità.
In Egitto, le sacerdotesse di Iside
e di Neith; a Delfi, i collegi in cui vaticinava Theoclea, al tempo in cui
Pitagora visitò il tempio di Apollo; le sacerdotesse di Era ad Argo, le
sacerdotesse di Afrodite a Corinto, ad Atene quelle di Pallade; ed anche a Roma
– in quella Roma così misogina – le Vestali, custodi del Sacro Fuoco, al cui
cospetto si inchinavano i littori e che avevano il privilegio di graziare i
condannati a morte che incontravano sul loro cammino…
A Creta, le sacerdotesse di cui Arianna, loro
regina, era una sorta di papessa, celebravano il culto
di Madre-Natura, rappresentata dalla Luna; e c’era questo modo di dire: cara
matria, al posto di cara patria. In Licia, le sacerdotesse segnano
il corso della civilizzazione ginecocratica tanto che
una reputazione di saggezza, bontà e giustizia abbraccia i popoli sottoposti
alle leggi delle Dee. In Gallia, le Druide avevano il dono della profezia;
erano iniziate ai misteri e dominavano gli spiriti degli elementi. Del resto,
all’origine della nostra razza celtica e del cutlo druidico, l’uomo era in
secondo piano, e ciò spiega l’influenza che avevano le
Druide. Quando comparivano in una festa, venivano
circondate del più profondo rispetto, e tutti abbassavano il capo di fronte
alla loro maestà quand’esse traversavano la folla. In Elide, l’eccellenza del
governo, la ricchezza, lo spirito conservatore del popolo, sono
dovuti alla ginecocrazia. Il sentimento religioso è molto forte ed
improntato a grande nobiltà. Sedici matrone giudicavano
da sovrane, moderavano i contrasti e facevano regnare la pace.
Gli antichi annali cinesi attestano l’esistenza di
stati ginecocratici in Tibet e a sud del Deccan, presso la Battriana. Tra i
Germani – riferisce Tacito – la donna era considerata
al pari di una Divinità; essa vaticinava e presiedeva alle assemblee. Secondo
Cesare, erano le madri di famiglia che interrogavano il futuro per stabilire i
momenti propizi per i combattimenti. Tra le donne dei Cimbri, al dire di
Strabone, c’erano profetesse vestite con vesti bianche fermate alla vita da una
cintura bronzea.
Nell’antica mitologia messicana, la supremazia
spirituale e sociale era attribuita alle donne; gli appartenevano l’autorità ed
il potere. Ciò è confermato da numerosi monumenti simbolici in cui la donna
precede l’uomo. Ancor’oggi, in America occidentale, tra gli indiani Zuni, la
gerarchia sacedotale composta da sei sacerdoti è
completata al vertice da un settimo che è una donna detta la Sacerdotessa
Madre. Il sacedozio femminile e il culto della Donna Divina torneranno
ancora alla ribalta, perché Dio non è Uno, ma Trino: Padre, Figlio e Madre.
§§§
Infatti, verso il 1920, un gruppo occulto, il
Cenacolo di Astarte, si fece conoscere pubblicamente,
e lanciò a Parigi – molto discretamente, bisogna ammettere – un piccolo
manifesto di cui diamo il testo:
“Si dà come
missione la restaurazione del Culto di Madre-Dio, che è Spirito e Amore,
e l’annunciazione del Paracleto che si manifesterà come Sofia, Nostra Signora
dello Spirito Santo, che è Colei-che-deve-Venire.
Nella sua Teoria, il Cenacolo di Astarte risale alle
fonti dell’iniziazione per poter partecipare alla ricostruzione del Grande
Androgine primordiale. Nella sua Etica, ricerca in tutte le
sacre scritture religiose e nelle Filosofie dell’Antichità l’insegnamento
segreto conferito sotto il velo del simbolismo, che forma i capisaldi eterni
della Dottrina Occulta. Nella sua Pratica, come già fu nei Misteri
primordiali di cui il Sabba medievale fu una pratica degenerata, si celebra in
tutta la sua purezza il Culto in cui la Donna è sia
altare sia sacerdotessa, assieme al celebrante che rappresenta il Principio
attivo. E’, come si vede, il ritorno alla vera Magia, che, basandosi
sull’esoterismo più puro, conferisce attraverso l’Alchimia spirituale, la vera
natura dell’eucaristia. La conduzione del Cenacolo di Astarte
è di due tipi: studi e rituali. Rigorosamente privati. Il Cenacolo di Astarte è chiuso e segreto, fino al giorno in cui avrà
trovato la formula esoterica che permetta l’instaurazione del culto di
Madre-Dio. Nell’attesa, esso recluta attraverso una selezione severa gli adepti
in grado di ricevere l’iniziazione e di costituire in tal modo il sacerdozio
della Religione del futuro”.
Questo testo era preceduto da un emblema significativo, costituito da un triangolo col vertice in
basso dal quale spunta una rosa. Vi si riconosce il simbolo della kteis.
Il Cenacolo di Astarte non fece troppo clamore, ma ciò
non fu il caso della Confraternita della Freccia d’Oro, che ebbe pure un
giornale e organizzò conferenze e pubbliche riunioni, fino alla morte della sua
fondatrice, nel 1937.
Quest’ultima, un’iniziata russa, Maria de Naglowska,
cominciò il suo apostolato a Montparnasse nel 1931. Essa presagiva
con raro talento l’avvento della Nuova Era, la rigenerazione di Satana,
l’illuminazione mediante la magia sessuale, la religione della Madre-Divina e
il culto delle Sacerdotesse dell’Amore. Consacrò pubblicamente due di esse in una cappella del quartiere di Montparnasse nel corso
di una splendida cerimonia ricca di simbologie cui parteciparono anche dei
giornalisti. I due rituali della setta da lei fondata sono stati pubblicati ed
hanno per titolo: La Luce del Sesso e Il Mistero dell’Impiccagione.
Secondo Maria de Naglowska, la porta del Cielo è
aperta al coito sacro. Ma la donna deve offrirsi
all’uomo senza egoismo sessuale. Là risiede il grande
segreto dell’Amore magico e la ragion d’essere della morale del domani che
vuole che la donna non sia che madre o sacerdotessa. Se
è madre, concepisce fisicamente, se è sacerdotessa genera la Luce del Sesso. Se si prostituisce, commette il più abietto dei crimini
contro Natura e le supreme leggi dell’Universo.
Noteremo a riguardo che la “prostituzione sacra” non
venne istituita dai culti yonici, ma dai culti fallici,
come vedremo nel capitolo seguente. Secondo Maria de Naglowska, la donna non
deve ricercare il piacere carnale, ma convertire l’energia sessuale in energia
spirituale. E’ tale trasmutazione che rende possibile la celebrazione pubblica
e solenne della Messa d’Oro. Questa messa d’oro rigenera Satana,
causando la sua comunione con la Vita che è Dio. In Satana, ci sono due
termini: il No ed il Sì. Il Satanismo maschile è questo No
che si oppone al Sì, e questa necessaria lotta
è il fermento che genera la Vita: ecco perché il Satanismo maschile è immortale
“nei Cieli, in Terra, sulle Acque e sotto la Terra”.
Ma in Satana c’è anche
l’aspetto femminile. “La cosa generalmente viene
taciuta, poiché fin dal Principio gli fu tolta la parola. A volte, Dio gliela restituisce,
ma solo nelle ore in cui la sofferenza diviene insopportabile, ed è il canto
del Cigno. Un’epoca allora finisce ed un’altra appare, e a ragione perché il
Satanismo femminile si è espresso. Il Satanismo femminile è il cominciamento
della nuova nascita ed il suo grido di gioia annuncia il nuovo giorno. Il Verbo
nasce allora nella casta matrice della Donna, sale nella sua testa e parla
dalla sua bocca, determinando l’inizio di una Nuova Era. Il Satanismo femminile
è inespresso, generalmente, poiché è il Guardiano della Soglia, Il Custode
silenzioso che si oppone al fallo solare per impedire il concepimento, la gioia
del Sole, poiché senza questa opposizione, non ci
sarebbe Vita. Ma quando la sofferenza diviene
insopportabile e la prova troppo impegnativa, per dei corpi troppo deboli, il
Guardiano della Soglia, Satana-Donna, Satana Madre Divina, pronuncia la sua
parola.
Allora tutto cambia nei cieli, in terra, nelle
acque, sotto terra, e in un sublime istante, la separazione non sussiste più,
l’uomo e la donna non sono più che una cosa sola, i
due opposti sono fusi in Uno solo, il grido di gioia si diffonde, giunge la salvezza e la Vita trionfa, secondo
la promessa fatta ai Giusti: “La Donna schiaccerà la testa del Serpente malefico
nell’ora destinata…”. E’ così che il Satanismo maschile dev’essere vinto, col
trionfo della Vergine Solare in bocca al Satanismo femminile…” (citazione dagli
insegnamenti orali e scritti di Maria de Naglowska).
Come si vede, questa curiosa dottrina regola i
rapporti intimi della coppia, spiritualizza l’Amore conservandogli la
connotazione sessuale, e sintetizza infine in uno solo i culti yonici e fallici.
Per Maria de Naglowska, l’amore esce dalla banalità del
sentimento convenzionale da una parte, e dall’altra, cessa di essere la
conseguenza di un volgare istinto sessuale, per diventare un atto religioso,
ritualmente compiuto.
Capitolo Terzo
L’AMORE E LA RELIGIONE: IL CULTO FALLICO
Dobbiamo ora risalire indietro al periodo che vide
la fine della religione delle Grandi Dee e dello stato sociale ginecocratico.
Le grandi civilizzazioni preistoriche e protostoriche
sono sulla strada della decadenza e, secondo la legge ineluttabile, il terzo
termine del ciclo lascia spazio al primo del nuovo ciclo che comincia. E’ a
questo punto, tenuto conto delle fluttuazioni conseguenti i periodi di instabilità religiosa e sociale, che comincia la storia
propriamente detta, con il predominio dell’uomo, richiesto dal Culto del Padre
che rimpiazza quello della Madre.
Come abbiamo visto, infatti, secondo la dottrina
esoterica di Maria de Naglowska, “la Verità Divina si presenta all’umanità
attraverso la Storia, secondo un ritmo a tre tempi, che non muta mai. Si ha
sempre uno svolgimento secolare di una specie di ciclo a tre periodi ben distinti
tra loro, le cui principali caratteristiche sono sempre le stesse. “All’inizio
di un ciclo, sorge una razza nuova e riceve la prima Luce, la luce di
Dio-Padre, in base alla quale questa razza sviluppa la propria religione,
organizza la vita sociale, stabilisce il proprio criterio di ciò che è bene e
ciò che è male. Questo primo periodo dura il tempo necessario
alla sua estrinsecazione, come tutto del resto in questo mondo, nasce,
si sviluppa, muore e scompare cedendo il posto al secondo periodo, illuminato
questo dalla seconda Luce o Luce del Secondo Termine della Trinità, che è
quello del Dio-Figlio. Altri popoli, altre fiumane d’uomini, vergini e forti,
adottano allora una nuova religione, quella del Secondo Termine, e si
organizzano in base a questa nuova fede che cresce,
decresce e muore come la precedente. Infine il Terzo Termine, la Luce della
Dea-Madre fa seguito all’irraggiamento del Dio-Figlio e possiede, come le
precedenti, i propri periodi di espansione e
riduzione. Il ciclo si compie alla fine del terzo periodo, quando si annuncia
nuovamente una religione del Padre… su un altro Monte, sotto un altro Cielo,
con un’altra razza…”.
Detto in altre parole, il culto lunare o yonico cede
il passo al culto solare o fallico. Sia chiaro che da parte del vecchio ciclo
si ha un riflusso di lotte e sconvolgimenti nei
confronti del nuovo, tanto che la fine di una razza e di un culto si confondono
con l’inizio della una nuova razza e del nuovo culto, tanto più perché coloro
che detengono il potere non se lo lasciano sottrarre senza combattere. E’ la
guerra santa che marchia in modo più o meno evidente i cambiamenti ciclici e
sub-ciclici.
E’ curioso seguire lungo la storia dell’Antichità il
passaggio dal potere femminile a quello maschile. Questo è più o meno brutale.
A Creta – bisogna sempre tornare a questa culla della civilizzazione
ellenica, perché è la chiave della storia dell’umanità – il passaggio è del
tutto pacifico: il principio lunare si accosta a quello solare; per un periodo,
c’è una stretta connessione con il culto della Doppia Divinità – Androgina – e
poi il matriarcato è assorbito dal sistema paterno.
L’Antichità conserva nelle sue leggende mitologiche
il ricordo di queste lotte, a volte aspre. Se ne ha traccia nel mito di Oreste, base delle Eumenidi di Eschilo. La lotta
tra matriarcato e principio apollineo è anche evidente
nell’Agamennone. Lo storico germanico Bachofen ha segnalato per primo,
nella sua opera sul Matriarcato la relazione che il numero sette ha con Apollo,
Atene e Oreste, in opposizione con il numero cinque che appartiene al principio
tellurico-lunare. La vittoria del numero sette sul
numero cinque equivale alla vittoria del principio paterno sul matriarcato. La
morte di Erifile dovuta a suo figlio Alcmeone, segna
in maniera altrettanto significativa la fine del principio ginecocratico da
parte di quello apollineo: passaggio dal Terzo Termine di un ciclo che finisce
al Primo Termine di un ciclo che nasce.
Il ricordo di questa lotta è segnato però
soprattutto dalla leggenda di Ercole. Si sa che
l’ottava delle dodici fatiche del celebre eroe, – simbolo del potere maschile –
è la sua vittoria sulle Amazzoni. L’amazzonismo rappresenta la ginecocrazia
demetrica e le tradizioni religiose lunari, generatrici di splendide civilizzazioni protostoriche. Al tempo di Ercole,
l’amazzonismo è in piena decadenza. Ecco come un trattato
sulla mitologia classica (Commelin: Nouvelle Mythologie) ci raffigura le
Amazzoni e il trionfo su di loro dell’eroe tebano: “La nazione delle Amazzoni,
allocata nei pressi del Ponto Eusino, in Asia e in Europa, era diventata
temibile. Queste donne guerriere non vivevano che di saccheggi e dei
prodotti della caccia. Vestivano di pelli di bestie selvagge; le vesti, tenute
da una spilla sulla spalla sinistra e cadenti fino al ginocchio lasciavano
scoperta tutta la parte destra del corpo. Il loro armamento si componeva di un
arco, di una faretra con freccie e giavellotti, e di un’ascia. Lo scudo aveva
forma di mezzaluna, di circa un piede e mezzo di diametro. In combattimento la
regina indossava un corpetto fatto di piccole lamine di ferro tenuto da una
cintura, tutte avevano un elmo piumato e brillante a seconda
del rango e della loro dignità sociale. Erano spesso a cavallo ma
combattevano anche a piedi. Con la loro regina Pentesilea combatterono a fianco
dei Troiani. Una loro regina, Arpalice, celebre per la sua corsa leggera,
assoggettò tutta la Tracia. Ai tempi di Ercole esse
obbedivano alla regina Ippolita. Un giorno Euristeo ordinò all’eroe di
portargli la cintura di questa regina. Ercole si mise in marcia, uccise Migdone
e Amico, fratelli di Ippolita, che gli sbarravano la
strada, sbaragliò le Amazzoni e ne rapì la regina che dette in moglie all’amico
Teseo”.
La vittoria dell’eroe tebano non distrusse subito la
civilizzazione amazzonica nel mondo antico. E se il
principio ginecocratico venne vinto subito sul terreno
politico e sociale, sopravvisse a lungo in quello religioso, specie in Oriente,
dove riemerse spesso in seguito a spedizioni militari, particolarmente al rientro
dell’armata macedone di Alessandro. Le religioni delle Dee seppero riportare
splendide vittorie, anche a Roma, come scrisse Cumont nel suo Le religioni
orientali nel paganesimo romano, ed anche in seguito durante il
cristianesimo delle origini.
La Dea-Donna ebbe sempre la celebrazione del suo
culto in qualche cappella sotterranea dove si radunavano gli eresiarchi e i
religiosi non conformisti, per prendere la comunione con devozione dal calice
simbolico, e qualche volta invece direttamente alla kteis non simbolica…
Nei capitoli che verranno dimostreremo che usanze
medievali quali il Sabba e la Messa Nera, proseguirono, anche dopo il passaggio
dal Primo al Secondo Termine, in pieno trionfo cristiano, il culto erotico e
magico in cui la Donna è il fulcro, sacerdotessa e vivente Dea.
§§§
Quando i tempi furono compiuti e l’ora del grande cambiamento arrivò, la sacerdotessa reggente la coppa
venne scacciata dal santuario dal sacerdote reggente il bastone ed il culto
lunare cedè il passo a quello solare. Il fallo eclissò la kteis.
Ci si è spinti ben lungi nel cercare il significato
simbolico del bastone, emblema dell’autorità sacerdotale e del potere regale.
Un Maestro dell’arte magica come Eliphas Levi ce lo
svela senza giri di parole: “il bastone, è il fallo”. Lo scettro di Osiride che gli scultori dell’antico Egitto mettono in
mano ai Faraoni, re iniziati; il bastone di Mosè e la verga di Aronne; lo
scettro che Assuero appoggiò sulla testa di Esther; la clava trionfale di
Ercole e la freccia con cui abbattè il Centauro e l’Idra di Lerna; il bastone
di cui Romolo si servì per tracciare la pianta di Roma antica; il pastorale dei
vescovi della Chiesa cattolica apostolica romana: il fallo nel momento della
sua più grande manifestazione fisiologica.
“Gli Antichi – scrive Jacques Dulaure nel suo libro Sulle
Divinità Generatrici – per rappresentare, tramite un oggetto fisico, la
forza rigeneratrice del sole a primavera, e l’azione di tale forza su tutti gli
esseri viventi, adottarono il simulacro della
mascolinità, che i Greci chiamavano phallos. Questo simulacro, per
quanto possa apparire osceno alla maggioranza dei moderni, non lo era affatto
nell’Antichità: la sua vista non risvegliava alcuna idea
lubrica; lo si teneva al contrario nella massima venerazione. Bisogna ammetterlo, nonostante le nostre prevenzioni, non è
possibile immaginare un simbolo più semplice, più energico e probante della
cosa significata. Tale perfetta consonanza gli assicurò il successo ed un
consenso pressocchè unanime. Il culto del simulacro della mascolinità si
diffuse su gran parte del globo. Fiorì a lungo in Egitto, Siria, Persia, Asia
Minore, Grecia, Italia ecc. E’ stato ed è tuttora in
auge in India e in alcune zone dell’Africa. Si è diffuso anche in America.
Quandop gli Spagnoli scoprirono quella parte del mondo,
trovarono il culto del fallo tra i Messicani. Ma
una cosa sorprende davvero: si è conservato fin quasi ai nostri giorni tra i
cristiani in Europa. Nel XVI secolo era in Francia: se
ne trovano ancor oggi tracce in alcune zone d’Italia.”
Se Dulaure si dimostra
sorpreso della sopravvivenza del culto del fallo tra i cristiani, è perché lui
era un erudito ma non un iniziato. Il Cristianesimo, religione del Secondo
Termine, del Dio-Figlio, ha come emblema la croce,
congiunzione della kteis e del fallo. Tuttavia
comprendevano qusto simbolo solo gli iniziati al cristianesimo esoterico,
mentre la Chiesa exoterica rigettando la dottrina occulta conservò l’impronta
del giudaismo da cui crede di derivare. Ebbene, il
Giudaismo era ed è una religione fallica: la sinagoga bandisce le immagini
sebbene il simbolo del suo Dio creatore è la lettera jod posta al centro
di due triangoli intersecantisi, e la lettera jod rappresenta il fallo
in erezione.
I sacerdoti di una Chiesa veramente cristiana e
rispettosa della dottrina del Dio-Figlio dovrebbero comprendere il simbolo
della croce; ora, per essi la croce rappresenta, a
torto del resto, il patibolo su cui fu crocifisso Gesù, perché, lo facciamo
notare di sfuggita, essi ignorano la vera forma di questo patibolo. Non è men
vero del resto che la croce è il simbolo religioso del Secondo Termine, perché
rappresenta l’unione dei due sessi, analoga al linga-yoni dell’India,
così come il bastone è il simbolo religioso del Primo Termine, rappresentando il
fallo trionfante, e come il Tau – T – è il simbolo del Terzo Termine, perché la
barra orizzontale – sesso femminile – sovrasta il bastone cui si sovrappone
incrociandolo.
La Chiesa non ha mai capito che essa deve impartire
la benedizione del Santo Sacramento, con l’ostensorio a forma di sole raggiante
(fallico) contenente il pane (sperma, sostanza maschile), e con la coppa
(cteica) contenente il vino (sangue, sostanza femminile). Al posto di ciò, essa
mostra solo l’ostensorio all’adorazione dei fedeli, così come gli somministra,
disprezzando la vera dottrina, la comunione unicamente sotto la specie del pane
– salvo che nella Chiesa orientale dove i fedeli si comunicano con le due
specie come i sacerdoti.
Tuttavia, in certe
cerimonie, la Chiesa si sforza – senza saperlo, del resto – di unire il fallo
alla kteis: tutte le domeniche prima della messa solenne ha luogo
l’aspersione dei fedeli. Il celebrante intona uno dei più celebri salmi della liturgia: “Asperge
me Domine”; e mentre il canto continua: “hyssopo,
et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor”, il celebrante seguito
dal diacono, dal sotto-diacono e dagli assistenti, scende verso gli astanti e
asperge i fedeli, dopo avere immerso l’aspersorio (fallo) nel vaso (kteis)
dal cui fondo raccoglie per diffonderla a pioggia, la rugiada purificatrice.
La benedizione dell’acqua ha luogo
tutti gli anni di Sabato Santo; tale cerimonia è significativa: dopo
aver toccato l’acqua con la mano e soffiatoci sopra tre volte, il sacerdote
immerge per tre volte, imitando il movimento del coito, il cero pasquale
(fallo) nelle fonti (kteis) cantando: “Che la virtù dello Spirito Santo
discenda in ogni profondità di queste fonti”. Poi soffia ancora per tre volte
sull’acqua, tracciando il segno del Pi, lettera greca la cui forma imita
il congiungimento dei due sessi, proseguendo poi il canto: “E feconda tutta la
sostanza di quest’acqua per la rigenerazione”.
Alcuni potrebbero accusarci di avere interpretato
gesti e testi rituali in modo fantasioso. Ciò non è vero: il simbolismo è una scienza
esatta per quanto occulta, e contro questa esattezza
nulla possono le spiegazioni semplicistiche di una liturgia incompresa da
coloro stessi che la celebrano.
§§§
Torniamo al culto fallico con questa citazione di
Pascal Bewerly Randolph (Magia Sexualis, a cura di M. De Naglowska):
“Il sesso è la forza principale e fondamentale in
ogni essere, la più potente forza in natura, la testimonianza più
caratteristica di Dio… Gli arcani (della magia sessuale) sono presenti sotto il
nome di Mahi Kaligua, cioè la Scienza del
Passato, poiché le generazioni che ci hanno preceduto, li hanno conosciuti
e praticati. Osiamo affermare ciò, perché noi stessi li abbiamo ricevuti per tradizione,
e perché ne ritroviamo traccia nei monumenti favolosi, eretti in onore delle
divinità dell’antico Egitto, nelle linee slanciate degli obelischi, che si
stagliano contro l’azzurro del cielo come falli che fecondano le distese di
sabbia. Questa testimonianza ci insegna che la legge
sacra dell’amore regge non solo la terra ma l’intero universo. Ne ritroviamo la
rivelazione in Asia, nelle immagini scolpite delle divinità, i cui bracci,
levati al cielo per benedire o minacciare, testimoniano la verità delle nostre
dottrine e simbolizzano la potenza dei sacrosanti vincoli dell’amore. Del
resto, per quanto si dica, la verità fallica è alla base di tutti i rituali
delle società segrete, e l’arte sacra e le sacre scritture di tutti i popoli ne
raccontano i segreti a coloro che li sanno leggere.
“Gli ierofanti dell’antico Egitto conoscevano il
potere suggestivo dell’arte e per questo l’avevano
sottomesso alla religione, imponendo a scultori e pittori regole e mezzi
espressivi strettamente convenzionali. Fu un gran bene per l’umanità perché, impregnate di determinate verità, grazie alle immagini e
alle preghiere di continuo viste e udite, i credenti le realizzavano
inconsciamente nei loro accoppiamenti sessuali. In tal modo, utilizzando
l’energia creatrice di tutte le coppie, gli ierofanti popolavano realmente la
sfera astrale di divinità e demiurghi, nutriti altresì dal potenziale
immaginativo delle masse. L’astrale collettivo del popolo si arricchiva in tal
modo”.
Abbiamo voluto riferire l’opinione di questo grande
iniziato, capo della Loggia di Eulis, per mostrare che
all’origine del culto dell’amore sessuale vi fu un’atto magico, puro e
semplice, privo di intenzioni libidinose, che faceva della persona che così si
vi sottostava, il maestro del bene e del male.
§§§
Il culto del fallo irraggia in tutti i paesi
dell’area mediterranea. In Egitto, la conoscenza della divinità dell’organo
virile è la vera chiave di certi misteri, e Diodoro Siculo ci dice che coloro i
quali volevano pervenire al sacerdozio dovevano farsi iniziare al culto del
fallo.
Del resto, i monumenti dell’antico
Egitto che comprovano l’esistenza di questo culto fallico, non solo esoterico,
ma anche exoterico, sono davvero tanti: ci sono splendidi falli nei templi; se
ne metteva l’immagine nelle tombe; il dotto egittologo Vivant-Denon trovò a
Tebe, in un sepolcro, un fallo imbalsamato, posto sul sesso di una mummia
femminile.
La descrizione che ne dà nel suo Atlas, prova
che era di dimensioni più grandi del normale, doveva essere di qualche animale,
forse un toro sacro.
Si deve sapere che anche Greci e Romani mettevano
falli nelle tombe; vasi etruschi rinvenuti nelle sepolture ci mostrano sulle
loro pareti l’immagine finemente dipinta dell’organo maschile.
Tra il sole e il fallo c’è uno stretto rapporto; per questo alcune statue di Osiride, il Dio-Sole, lo
rappreserntano con l’organo virile in erezione, pronto per la fecondazione. La
maggior parte dei monumenti ci mostrano lo stesso Dio,
con il fallo in una mano, per testimoniare ai suoi fedeli la propria
resurrezione primaverile e il suo rinnovato vigore. La stessa storia di Osiride, del resto, giustifica il culto del fallo
(Dulaure cit.): “Osiride (il sole), principio del bene, genio della luce, aveva
come nemico suo padre Tifone, principio del male, genio di terrore e di
tenebra. Quest’ultimo riuscì a impadronirsi di Osiride
e a rinchiuderlo in una cassa che poi gettò nel fiume Nilo. La scomparsa di Osiride è una grossolana allegoria dell’inverno in cui la
notte, più lunga del giorno, l’assenza di vegetazione, l’assopirsi della
natura, annunciano il trionfo del genio delle tenebre e della morte sul genio
della luce e della vita. Iside (la luna), sposa di Osiride,
viaggiò a lungo in cerca del corpo dello sposo. Lo trovò a Biblo, in Fenicia,
in primavera. Portò con sé la cassa con il prezioso contenuto; tuttavia,
volendo far visita al figlio Horus (Dio del giorno), la nascose in un luogo
segreto, lontano da sguardi mortali. Tifone, durante una caccia notturna, aprì
la cassa, riconobbe il corpo di Osiride, se ne
impadronì, lo tagliò in 14 o 26 parti, e le disperse lontano.
“Iside, afflitta, andò alla ricerca delle parti
disperse del suo caro Osiride. Ogni volta che ne
trovava una ergeva in suo onore un monumento. Riuscì a trovarle tutte, meno
quella sessuale, che Tifone aveva gettato nel Nilo in pasto ai pesci. La Dea
per sotituire questa parte perduta, fece fare un simulacro cui rese gli stessi
onori funebri che avevano ricevuto le altre parti del corpo di
Osiride. Ella volle anche significare la sua
preferenza per questa parte sessuale, ponendola nei templi ed esponendola alla
venerazione delle masse. Si assicura che le immagini di questa
aprte del corpo di Osiride, il fallo, vennero fatte in origine di legno
di fico, perché si credeva che quest’albero contenesse in modo precipuo i
principii dell’umidità e della riproduzione. Sia come
sia, Iside eresse a divinità quel simulacro di legno. ‘Consacrò
– scrive Plutarco – il fallo e gli Egiziani ne celebrano ancora la
festa’. Aggiunge che Iside stessa ne fabbricò uno, lo
portò in processione, per farci sapere che la virtù produttrice del Dio-Sole ha
come materia prima la sostanza umida; e che grazie a lei questa virtù si è
propagata a tutto ciò che è in grado di riceverla. Il culto del fallo
sopravisse in Egitto fino al termine del IV secolo
d.C.”.
Anche in Siria troviamo tracce del culto del fallo:
il Belfagor o Baal-Phegor dei Moabiti e dei Madianiti, non è altro che
il simbolo dell’organo maschile e noi possiamo leggere
nella Bibbia che gli Ebrei, che non perdevano occasione per essere infedeli al
loro Dio unico, si affrettarono a farsi iniziare al culto di Baal-Phegor:
“Fornicarono con le figlie dei Moabiti, mangiarono i loro sacrifici e ne
adorarono gli Dei” (Numeri XXV, 1 e 2). Più tardi, malgrado
le terribili e sanguinose rappresaglie volute da Mosè, per ordine del Dio
geloso di Israele, gli Ebrei ritornarono al culto di Baal-Phegor (Osea,
IX,10), e con tanto maggiore fervore che le donne stesse erano le sacerdotesse
templari di questa divinità fallica.
Ma è a Ierapoli, città
sacra sulle sponde dell’Eufrate, che il culto del fallo assunse ad un elevato
splendore: “Mai, in nessun posto della terra, il fallo fu più onorato che qui;
mai gli si elevarono monumenti così insigni, più colossali” – ci riferisce
Dulaure. Il tempio di Ierapoli è descritto in versi ditirambici dall’autore del
Trattato sulla Dea Siria, e gli autori antichi affermano che davanti al
suo portico si elevavano al cielo due giganteschi falli di 170 piedi e 7
pollici e mezzo…
Anche in Fenicia e Frigia si
celebra il culto del fallo, in Grecia e a Roma. Quanto all’India, occorrerebbe
un grosso volume per raccontarne la storia ed enumerarne le pratiche. Il lingam
è uno degli avatars di Shiva, per questo, al
giorno d’oggi, si posson vedere nei templi e sulle strade questi monumenti
eretti a forma di cilindro che rappresentano l’organo maschile posto sopra un
bacino che raffigura l’organo femminile. Questi monumenti – lingam-yoni
– sono sempre ornati con ghirlande floreali grazie alla devota venerazione dei
fedeli, e molte donne e ragazze lo baciano con rispetto. Il Museo Guimet di
Parigi contiene dei begli esemplari di fallo sacro
dell’India.
§§§
Certo, nei periodi di decadenza, la nobiltà
che fu all’origine dei riti fallici si attenuò, la purezza scomparve per fare
posto a pratiche orgiastiche che di sacro avevano solo il ricordo. L’amore
rituale decadde in prostituzione quando le caste si mescolarono e le
sacerdotesse persero, forse per loro colpa, l’autorità sulle masse.
Fu così che il culto di Adone
degenerò in spaventose priapeia e il famoso becco di Mendes in Egitto,
perse il suo significato originario per diventare pretesto a mostruosi
accoppiamenti. Per sacrilega deformazione dei riti di una volta gli
accoppiamenti si fecero al di fuori del vaso naturale, a Roma
le matrone obbligavano le giovani spose a sedersi sulla mascolinità
mostruosa di un Priapo di marmo. Le donne, anche mature, si sottoponevano a
tali pratiche, e fu allora il trionfo del coito anale. Il giovane
imperatore Eliogabalo, rivestito della porpora imperiale all’età di quattordici
anni, instaurò il culto della famosa pietra nera imponendo la pederastia ai più
alti dignitari dell’Impero. Quando giunse a Roma dalla
Fenicia, dov’era stato iniziato al culto solare, egli aveva le guance
imbellettate e le vesti a strascico, secondo la moda orientale. Obbligò gli
uomini a vestire gli abiti delle Dee, e lui stesso deflorò i più stimati
patrizi! Impose su Roma le abitudini dei lupanari. Per lui un uomo era
meritevole solo se si mostrava capace di soddisfare alle più vili passioni; si “sposò” con un carrettiere della Caria, chiamato Xerocle,
ricevendo in udienza i senatori accoppiato con lui nelle pose più oscene! Stava
per associare Xerocle al trono quando conobbe un vigoroso cuciniere, Zotico, di
cui si innamorò.
“Durante i suoi festini – racconta
lo storico spagnolo Emilio Gante – sposava i commensali gli uni agli
altri, esigendo l’immediata consumazione del matrimonio. Dalle orgie di Eliogabalo i partecipanti uscivano sfiniti, pesti,
malridotti ma non a mani vuote, poiché i tesori dell’Impero, i tributi
prelevati alle più lontane Provincie servivano ad arricchire cortigiani, amici, e compagni di deboscie
dell’imperatore”.
Come si vede,
i sacerdoti del bastone non seppero contenere il culto
fallico nell’ambito della sacralità come invece seppero fare per il culto
cteico le sacerdotesse della coppa!…
Capitolo Quarto
SATANA E L’AMORE. IL SABBA
Chi è Satana? Secondo la teologia cattolica, Satana
è l’angelo decaduto dal suo originario splendore: “Lucifero, l’angelo di luce,
simile alla stella del mattino, che per ribellione all’ordine divino venne condannato all’eterno castigo. Così, compendia in sé e
nel suo inferno la guerra al cielo – cioè alla fede e
alle leggi divine – e la ribellione, cioè il disordine satanico”. Ecco come uno scrittore cattolico risponde alla domanda,
aggiungendo più oltre: “Il catechismo ci dice che ogni seguace della Chiesa
dell’ordine deve vincere tre nemici della sua salvezza: il demonio, il mondo e
la carne” (Rivista Internazionale delle Società Segrete. 3 – 1928).
Abbiamo riportato questa precisa affermazione perché
riassume la dottrina della Chiesa cattolica, in modo netto e ortodosso.
Fu la concezione che di Satana ebbe il cristianesimo delle origini e quello
medievale così come di quello contemporaneo… ed anche del satanismo di tutti i
tempi. Ma cos’è il satanismo?
Il culto consapevole di colui che
si pone dalle origini del mondo come avversario di Dio; è il culto della
rivolta contro l’autorità divina e, per estensione, il sentimento di ribellione
in se e per sé. Il tipo più autentico di satanista è il nichilista che non si
sottopone ad alcuna legge. Un tipo di satanista puro è anche il ribelle
romantico tipo la maschile George Sand. Non è lei, del
resto, che ha affermato: “Satana è il vero Dio della forza, della rivolta
legittima. In lui si assommano la grandezza e lo sterminio; è il Dio di quelli
che soffrono e piangono, di tutti gli oppressi, di tutti gli sfortunati”?
Per il satanista, Satana è
il male consapevole, che si oppone ad un Dio ingiusto. Bisognerebbe anche
distinguere tra satanisti e luciferiani, distinzione sottile che deriva da un
singolare tipo di mistica, peraltro giustificata dalla storia religiosa
dell’umanità: quando il Satanismo oppone Satana a Dio, il luciferiano crede che
Satana sia Dio. Non ci diffonderemo su questo argomento
che ci riserviamo di trattare meglio in un’opera successiva; ma prima di
passare all’oscuro ambito del satanismo medievale e dei suoi rapporti con
l’amore, vogliamo riferire l’opinione del Renan. Queste righe poco note del
famoso autore della Vita di Gesù sono apparse nel
Journal des Débats del 25 aprile 1885:
“Di tutti gli esseri prima maledetti che la
tolleranza del nostro secolo a liberato dall’anatema, Satana è, senza dubbio,
quello che ha guadagnato di più dal progresso illuministico e della civilizzazione universale. Il Medio Evo, che nulla lasciava
alla tolleranza, lo fece laido, malvagio, contorto e, per colmo di disgrazia,
ridicolo. Fu Milton che iniziò la trasformazione, che la grande imparzialità
dei nostri tempi ha portato a compimento. Un secolo così fecondo come il nostro
nella riabilitazione di ogni cosa non poteva essere
primo di motivazioni per assolvere un rivoluzionario sfortunato, la cui
necessità d’azione aveva coinvolto in imprese azzardate. Se
siamo diventati indulgenti con Satana, è perché Satana si è svestito in parte
della sua malvagità e non è più quel genio funesto, oggetto di tante pene e di
tanto terrore. Il male ai nostri tempi è evidentemente meno forte di una volta.
Autorizzati a portargli quest’odio implacabile nel Medio Evo, perché si viveva
continuamente in presenza del male, forte, armato,
merlato. Noi che rispettiamo la scintilla divina ovunque essa risplenda,
esitiamo a pronunciare condanne definitive per tema di coinvolgere nella
condanna qualche atomo di bellezza”.
Queste splendide righe sono solo
pura ironia?… Oppure Renan, dopo aver ricoperto gli dei nel famoso
lenzuolo di porpora ne ha tenuto fuori uno soltanto per uso personale: Satana?…
§§§
Fu la disperazione a far emergere nel Medioevo il
culto di Satana. In seguito, si è formata la teoria, la dogmatica, le cui
profonde radici affondano nel vecchio Manicheismo; ma questa diavologia,
opposta alla teologia ufficiale, che tentò di resuscitare le vecchie eresie
gnostiche, non fu che un ulteriore sforzo per spiegare
ragionevolmente ciò che fu al principio solo un’espressione spontanea, un
richiamo d’amore verso un consolatore meno sordo del terribile Dio della
Bibbia, ed in cui un gran numero di sfortunati affidò spesso le sue ultime
speranze.
Laurent e Nagour, nell’opera L’Occultisme et l’Amour, che non si può fare a meno di citare quando
si vuole parlare di satanismo e amore, hanno individuato molto bene queste
ragioni:
“Ciò che nel Medio Evo fece affezionare a Satana – essi
scrivono – tanti cuori fu l’aspetto così umano del suo
culto misterioso opposto alla feroce e impietosa durezza del dogma cattolico.
Con quest’ultimo la morte diventa eterna separazione,
tranne che per pochi eletti. Per gli altri, resta l’inferno con i suoi eterni
patimenti. Quale consolazione per una madre afflitta, per una vedova disperata,
che questa abominevole prospettiva del caro estinto,
spaventevolmente punito senza speranza di grazia e perdono, di questa
separazione definitiva, assoluta. A questi afflitti, lui, Satana, re dei morti,
offre la speranza di rivedere gli esseri amati.
“C’è ancora un altro motivo, nel Medio Evo e
all’inizio del Rinascimento, che indusse il popolo al culto di Satana. La
deviazione del cattolicesimo, l’indegnità dei suoi ministri, che a dispetto del
giuramento di povertà, umiltà, castità, amor del prossimo non fecero che riverire patrimoni, onori, piaceri, oppressione
di poveri e così facendo non tardarono a diffondere un sordo risentimento tra
la gente”.
All’origine del vero satanismo medievale ci fu
dunque una vera e propria rivoluzione religiosa. Beninteso, il vecchio fuoco eresiarchico
covava ancora sotto le ceneri e le sette segrete sconfitte dalla Chiesa
implacabile, col suo esercito di Dottori e Teologi armati di anatema
e scomunica, si celavano ancora in anditi oscuri, con le loro pratiche
sacrileghe… ma non erano più tanto forti per minacciare seriamente il loro
avversario; né mai l’edificio satanico sarebbe stato in grado di ergersi al
cospetto della Cattedrale, senza quell’esplosione di odio e amore che, spesso,
rimbomba in seno alle masse popolari.
In questo revival di Satana, la donna svolse un
ruolo primario. Cacciata dal santuario e ridotta quasi al livello delle bestie
dalla Chiesa, - alcuni Dottori ritenevano che non avesse l’anima - trovò nel
culto di Satana una rivalsa eccezionale e allo stesso tempo una giustificazione
per l’ardente desiderio carnale, troppo a lungo represso dall’implacabile
ferocia dei confessori.
Il culto satanico, con la sua misteriosa poesia, le
possibilità di sottili voluttà negli accoppiamenti con gli incubi, questo gusto
aspro e delizioso del frutto proibito in cui alfine si poteva affondare con
tutti i denti, si impose da subito all’anima e al
cuore della donna entusiasta. Ecco perché la strega, sacerdotessa di Satana
come sacerdotessa d’amore si erse selvaggiamente, seni in fuori e reni
provocanti, in faccia al sacerdote di Dio!
§§§
Il Sabba fu la manifestazione più evidente del culto
satanico. Gli adepti del grande Cornuto vi si davano appuntamento, uomini,
donne, ragazze ed anche fanciulli. Aveva luogo in una
radura protetta dagli alberi circostanti; gli assistenti erano spesso in gran
numero: i poveri si mescolavano ai ricchi, i gran signori ai mendicanti, le
vecchie alle più graziose creature; tutti quanti erano perfettamente uguali al
cospetto di Satana che, a detta di antichi autori,
compariva con l’aspetto di un becco.
Non si è creduto ai riti del Sabba, e vi si è voluto
riconoscervi soltanto dei fenomeni allucinatori e di nevrosi collettiva.
D’altro canto, seri studiosi vi hanno creduto, i demonologhi ne hanno descritto
le pratiche, e… la letteratura se ne è impadronita!
Ecco una testimonianaza di Bodin, da un
interrogatorio delle streghe di Longwy, riferito dal luogotenente generale di
Laon: “Marguerite Brémont, donna di Noël de Lavaiet, ha detto che lunedì scorso
dopo aver tentato inutilmente, si recò assieme a sua
madre Marion ad un raduno nei pressi del mulino Franquis de Longwy, in un
prato, e sua madre aveva tra le gambe un ramo mentre diceva: (non riferisco le
parole esatte)…, e subito furono trasportate assieme nel luogo dove trovarono
Jean Robert, Jeanne Guillemin, Marie, donna di Simon d’Agneau, e Guillemette,
donna di un certo Legras, e ciascuna aveva un ramo con sé. In tale luogo
c’erano anche sei diavoli in sembianti umane ma
orrendi a vedersi. Al termine delle danze i diavoli si accoppiarono con loro, godettero della loro compagnia ed uno di quelli che l’aveva
fatta danzare, la prese e la baciò due volte e abitò in lei per più di mezz’ora
eiaculando infine uno sperma freddo”.
Lo stesso Bodin racconta pure la storia sorprendente
di una “damigella” che stava dormendo a Lione col suo amante. Durante il sonno
si alzò silenziosamente, si spalmò l’unguento trasportandosi
al Sabba. L’amante che aveva notato la cosa, si alzò e si spalmò a sua volta
pronunciando le stesse parole magiche, per andare a raggiungere la sua bella. Ma giunto al luogo del Sabba lo sfortunato, che non era
stato iniziato, si spaventò alla vista dei diavoli e delle loro orrende
posture, raccomandandosi l’anima a Dio. Subito tutto disparve ed il nostro si
ritrovò completamente nudo nella campagna.
Era necessario per recarsi al Sabba spalmarsi con
uno speciale grasso e bere un certo liquido venduto dagli stregoni. Poi, si
pronunciavano delle parole e delle invocazioni magiche a cavallo di una scopa,
e si veniva trasportati rapidamente, grazie a un
prodigioso incantesimo, al luogo di riunione satanico. In
cosa consisteva propriamente l’infernale cerimonia del Sabba?… Che succedeva in
quelle notturne riunioni presiedute da Satana?… Quali i riti?…
Moltissimi autori hanno riferito i particolari più
disparati e contraddittori. Pare che il ricordo dell’antico culto del Dio Pan e di Priapo si fosse mescolato con una caricatura delle
cerimonie cattoliche. Il dotto occultista Ernest Bosc de
Vèze, nel suo Dizionario di Scienza Occulta, si mostra assai guardingo:
alla voce Sabba, possiamo leggere ciò: “Riunione di demoni, streghe e
stregoni. Tenuta di massima in qualche sentiero della
foresta o ai bordi di un lago o di uno stagno. Non riferiremo qui tutto
ciò che si è detto sul Sabba, sia perché si son dette
un sacco di scicchezze a riguardo sia perché l’argomento ci porterebbe troppo
lontano”. Non si sarebbe potuto tacere meglio!
Paul Christian, nella sua Storia della Magia,
è meno parsimonioso: “Immaginate da qualche parte una vasta landa irta di arbusti selvatici o una grande radura nel profondo di
immensi boschi. Supponete, al centro di questi spazi, un tumulo fatto dall’uomo
o qualche vecchio dolmen celtico, colossale altare di un culto scomparso. Qua e
là dei fuochi di legna resinosa che proiettano i loro fulvi riflessi su ombre
in movimento e, a sovrastare questa scena, un alto Satana di legno nero dalla
testa di becco che reca nelle sue braccia tese delle pietre ardenti che proiettano verso il cielo senza stelle la sua lugubre
silhouette. Ecco il normale teatro del Sabba. Attorno al tumulo o sotto il
piano del dolmen stanno accovacciate alcune vecchie dall’aspetto
spettrale che bruciano aromi fatti con piante funebri e resti umani sottratti
alle tombe. Sono le sacerdotesse del diavolo. Una massa di sconosciuti, uomini,
donne e giovinetti giunge in silenzio, di notte, da tutti i punti
dell’orizzonte e, a misura che i gruppi si formano, nuovi arrivati si
aggiungono a questa catena vivente che circonda poco alla volta l’infernale
immagine”.
Cerchiamo, a nostra volta, di studiare il Sabba e i
suoi misteriosi riti in base a documenti di comprovata
autenticità. Crediamo infatti che il Sabba non fu
esclusivamente il risultato di una immaginazione in cui il misticismo si
mescolava alla lubricità: il Sabba è esistito e ci si andava. Il Sabba c’è
ancora e ci si va ancora!
§§§
…Dall’età
della pubertà, la giovane vergine è inquieta. Le sue notti sono costellate di
singolari fantasmi e spesso si risveglia con i seni gonfi, con i capezzoli rosa
eretti in un empito d’offerta per un essere di sogno, per un amante immateriale
dal quale agogna sconosciute carezze, sconosciuti abbracci, baci proibiti,
tutto ciò che sente nella vita del giorno, quando ode le amiche chiacchierare
arrossendo.
Ed un giorno, il desiderio si concretizza.
Si guarda allo specchio… sa di essere bella: si tasta
il seno, il ventre, le reni; le dita affondano nel vello biondo, sotto cui
sente palpitare l’umido e vellutato frutto che vuole essere colto, sotto cui
sente fremere il fiore che vuol essere respirato e baciato…
Si sovviene allora dei consigli materni e delle
rimostranze severe del confessore, delle frasi piene di sottintesi che la
mettono in guardia contro il peccato della carne… Il peccato della carne!…
Quello che non ha mai commesso e che dev’essere delizioso, tanto delizioso che
vorrebbe commetterlo, per conoscere alfine quella voluttà che indovina quando
la sorella maggiore verso sera va ad incontrare l’amante, languida, con gli
occhi più neri e dilatati, il viso più acceso, le membra che tremano e col
corpo stretto in uno spasmo di trepida ebrezza…
Di giorno in giorno il desiderio si fa più impellente, si precisa di più, ormai imperioso.
Allora la giovane vergine è pronta; e la strega che la spia nel vicolo oscuro
dove vive l’attira un giorno nella mansarda piena di oggetti
misteriosi, promesse d’infinito.
“Io so ciò che tu vuoi, bella mia. Prendi questo
vasetto: con questa pomata meravigliosa ti spalmerai il corpo nudo; massaggerai
con cura il collo, il ventre, i glutei, le braccia e le gambe, senza trascurare
la pianta dei tuoi piccoli piedi. Dopodichè, pronuncerai tre volte con amore il
nome di Satana. Poi cavalcherai una scopa, e noi ci rivedremo”.
Affascinata, angosciata ed impaurita ma incoraggiata
dalla curiosità e dalla gioia – perché sa che è giunta l’ora in cui il suo
segreto desiderio verrà soddisfatto ed i suoi sogni
realizzati – la giovane vergine torna indietro celando sotto il corpetto il
piccolo prezioso vaso. Ha fretta di restare sola nella sua camera.
Quando scocca Mezzanotte, lontano
da sguardi indiscreti, si sveste e unge con la preziosa pomata, dolce al
contatto del suo corpo di giovane. Poi grazie al consiglio della vecchia,
pronuncia con un grande slancio di amore il nome altre
volte maledetto, ma che a partire da questa notte lei benedirà: Satana….
Satana…. Satana….
La scopa che inforca già si libra in alto… viene risucchiata in un vortice d’aria… sente il corpo
diafano fendere i muri, superare gli ostacoli… la carezza del vento notturno
sciogliere i biondi capelli… e la scopa viaggia in cielo a folle velocità….
Lei guarda, e gli occhi ora vedono nella notte, come
la vista dei gatti. Non è da sola: altre donne, vecchie e
giovani le passano a fianco, volano con lei, ognuna sulla sua scopa, mentre si
levano grida assordanti: Har! Har! Har!…Sabba! Sabba! Sabba!...
E vanno, rapide e leggere, scorrono sotto le stelle,
lasciando dietro e sotto di loro la città addormentata... La
nostra giovane vergine si regge stretta sul ruvido manico di scopa che gli fa
da cavalcatura e che serra nervosamente con le coscie e le ginocchia. Vicino,
orribile nella sua nudità di donna finita, la strega sua vicina di casa cavalca
anch’essa una lunga scopa che guizza e i cui steli si perdono al vento come la
scia di una grande cometa, dalla testa di donna, dal
corpo flaccido, i seni cadenti e una gobba in bilico che deborda ora da un lato
ora dall’altro del manico.
Rapidi, ad un segnale della vecchia strega, le scope
viaggianti si dirigono in basso. Le sacerdotesse del diavolo sono giunte al
luogo del Sabba, una radura immensa tutta illuminata dai raggi della luna… al
centro, su un tumulo, è seduto Lui, “mastro Leonardo”, sotto l’aspetto di un
becco splendido e colossale, animale solo nella parte superiore del corpo,
perché il resto, gambe, ventre, reni e sesso sono umani. E’ Satana in persona e
le donne lanciano un lungo grido di adorazione… alcune
miagolano come gatti rotolandosi in terra, sul suolo pietroso che ferisce loro i seni.
La vecchia strega decana del Sabba, avanza spingendo
innanzi a sé la neofita, la giovane vergine, il cui sguardo non riesce a
staccarsi dal becco che è Satana. Lui sorride con un grugnito di felicità e
piacere alla vecchia mentre le altre donne gli girano intorno e gli baciano il
posteriore secondo il rito. La giovane vergine è proclamata regina del Sabba e
Satana gli imprime il marchio sulla fronte e le carezza il viso con la coda,
per cancellare i segni del battesimo cristiano.
Rinuncia al dio malvagio, bella mia!
Ci rinuncio!
Dammi le labbra, la bocca, per annullare l’effetto
del sale che il sacerdote del Dio maledetto ha posto sulla tua lingua!
Ecco le mie labbra, Maestro, ecco la mia bocca… Prendila nella tua… Voglio svenire sotto i tuoi baci!
Fatto bella mia, ed ora, restituiscimi
l’omaggio…
Allora, ad un segno della vecchia strega, la Regina
del Sabba sfiora col suo viso la nudità del becco-uomo e gli bacia il
posteriore, a sua volta, a lungo. Poi, di nuovo di fronte al suo Maestro,
riceve ancora i suoi baci e si abbandona alla sua stretta selvaggia, là, sulla
pietra calda, umida e piena di odori selvatici e
afrodisiaci…
Intanto, le streghe danzano intorno alla coppia
gemente. E’ una ronda sfrenata, condotta dalla decana i cui seni flaccidi
sballottano con folli scossoni al ritmo dei salti. Satana, tenendo distesa
sulla pietra la giovane Regina, si alza mentre la vecchia strega viene avanti
assieme a tutte le altre per urinare in un vecchio calderone. Sui seni ansanti
dell’amante del Diavolo la decana impasta la focaccia, ostia mostruosa, fatta
di farina, sangue mestruale e sangue della vergine spulzellata, sperma e urina.
Quest’infernale dolcetto cuoce poi, dolcemente, sui
reni della Regina del Sabba, riscaldato dal soffio e dai baci del
Diavolo-Becco.
Subito, prima di separarsi, le streghe mangeranno
questa “ostia di iniquità” aspergendosi con
l’urina rimasta a imputridire nel
vecchio calderone. Poi raccoglieranno i rimasugli umidi, le più piccole
briciole che venderanno alle ragazze della città, come filtri infallibili per
assicurargli l’amore fedele dei loro spasimanti…
Ecco svolti per sommi capi gli episodi principali
del Sabba classico, tali e quali le streghe li hanno riferiti nel corso degli
interrogatori. Poiché i processi dell’Inquisizione,
presto o tardi, attiravano nei loro terribili ingranaggi le amanti del diavolo
e le sfortunate erano affidate alle più spaventose torture per morire infine
tra le fiamme del rogo.
Capitolo Quinto
MESE NERE, MESSE D’AMORE
Dopo
il Sabba, la messa nera è la cerimonia più importante del culto satanico. Essa
dovrebbe aver preceduto il Sabba se non essersi confusa con esso
in origine. Nella storia, la messa nera propriamente detta appare nel Medio
Evo; se ne trovano numerose traccie, segrete beninteso, nel
XV° secolo. Il XVI° secolo ne vede celebrarne fin nei
maggiori palazzi patrizi, e sembra anche a Roma, in Vaticano… Ma è nel XVII°
secolo che la messa nera si diffonde come un gigantesco fiore velenoso,
diventando per così dire di pubblico dominio. Le donne dell’aristocrazia fanno
celebrare l’ufficio infernale offrendo il proprio corpo nudo come altare… Le
donne della borghesia fanno altrettanto; e del tutto dolcemente,
queste pratiche erotico-mistiche arrivano al popolo, si radicano nei
costumi e vi restano fino alla Rivoluzione, che trasformerà il rito, e in che
modo! La messa cambierà colore, da nera a rossa, e verrà
celebrata molto laicamente sul patibolo in onore di divinità ideologiche e
sanguinarie. “Gli Dei hanno sete!” - scrisse Anatole France.
Molto si è scritto sulle messe nere tanto che gli autori non sono d’accordo né sulle origini né
sui rituali! J.-K. Huysmans ha dato una famosa descrizione della messa nera
moderna nel suo romanzo L’Abisso. Il dottor Légué, in un’opera
intitolata Medici e Avvelenatori ha studiato le messe nere del Gran
Secolo. Jehan Sylvius ha fornito una documentazione credibile sulle messe nere
che si celebravano a Parigi dalla fine del XIX° secolo
fin dopo la Prima Guerra Mondiale. Jean Lignières ha pubblicato una storia
delle messe nere e qualche descrizione di queste infernali cerimonie. Infine,
di recente, uno scrittore di talento, ben documentato sulle vicende
dell’occultismo nero, René Thimmy, in Magia a Parigi, ha dato delle
informazioni su certe messe nere celebrate nei quartieri alla moda e nei
dintorni di Parigi.
Non facciamo che citare i lavori seri sulla
questione, perché la messa nera ha dato la nascita a tutta una letteratura
fantasista. Tutti hanno attinto ad un fondo comune e lavorato d’immaginazione
per il resto, tanto più che la documentazione scarseggia ed è difficile
assitere ad un’autentica messa nera. Non a caso mettiamo in corsivo la
parola autentica perché di questi tempi alcuni impresari teatrali
organizzano delle pseudo messe nere a beneficio di
viziosi e annoiati i quali pagano a caro prezzo il singolare privilegio di
essere imbrogliati sulla mercanzia! Queste messe nere
all’acqua di bidet non son altro che volgari ammucchiate, a volte interrotte
dall’arrivo improvviso di poliziotti curiosi… Tali cerimonie sono troppo
“erotiche” per poter figurare degnamente in un lavoro sulla magia e l’amore.
Segnaliamole di passata e torniamo alle autentiche messe nere.
§§§
La messa nera si svolge esattamente come la messa
ordinaria di cui segue riti e le cerimonie. Il fulcro è del pari la
consacrazione dell’ostia ma vi si sommano delle pratiche sacrileghe: l’ostia viene profanata in onore di Satana, che è richiesto di accordare
tutto ciò che gli viene richiesto nel corso di questo sacrificio deviato dal
suo scopo reale. Secondo la teologia cattolica, la messa è il rinnovamento del
sacrificio del calvario per la redenzione del mondo.
Secondo la “diavologia” la messa nera è il rinnovamento di questo stesso
sacrificio per la consacrazione del mondo a Satana, tramite l’offerta di una
vittima pura e senza macchia.
Una volta, si immolava un
fanciullo, come in quella cerimonia che Caterina de’ Medici si dice che fece
celebrare al Louvre durante la malattia di Carlo IX nel 1647, e che è
conosciuta sotto il nome di Oracolo del sangue:
In funzione di quest’ufficio sacrilego si predispose
segretamente un fanciullo alla sua prima comunione e
un cappellano del Louvre, prete perverso, venne incaricato di prepararlo. Nella
camera dove giaceva agonizzante a letto il re fu
allestito un altare con due ceri neri raffiguranti il demonio che calpesta la
croce. A Mezzanotte, in presenza della regina e di
pochi fidati, fece il suo ingresso un giacobino satanista, esperto di magia
nera, vestito con una casacca adorna di
una croce rovesciata. L’indegno monaco cominciò a dire la messa infernale
consacrando due ostie, una bianca e l’altra nera. La bianca fu data in
comunione al fanciullo che venne sgozzato subito dopo
sui gradini dell’altare. La testa del poveretto, tagliata di netto, venne messa sanguinante sopra la grande ostia nera posta al
fondo della patena.
Si portò allora la testa sopra un altro altare, in
mezzo a lampade magiche, ed il monaco congiurò Satana di rendere un oracolo,
rispondendo per mezzo della bocca della testa sanguinante, a
una questione segreta che il re non osava risolvere e che non aveva confidato a
nessuno. Il demonologo Bodin, al quale si deve questo racconto, afferma che la
testa rispose in latino, con voce debole e strana senza più nulla di umano. Il re atterrito urlò con voce rauca: Allontanate
quella testa! Allontanate quella testa!… e fino al suo ultimo respiro, gridò
questa frase angosciata, sebbene coloro che non erano
stati partecipi della cerimonia segreta credettero che il re avesse fatto
allusione alla testa dell’ammiraglio de Coligny, ucciso nella famose notte di
San Bartolomeo.
Oggi, i satanisti che celebrano tutti i giorni a
Parigi, a Lione e ad Avignone le messe nere, non sgozzano più fanciulli. Si contentano di sacrificare una colomba bianca.
In determinate cerimonie si uccide un agnello, simbolo del Cristo: Agnus Dei.
Beninteso, per celebrare validamente una messa nera, occorre un prete.
Il più celebre fra questi sacerdoti sacrileghi fu, nel XVII secolo, l’abate
Guiburg, che celebrò la messa nera d’amore di cui stiamo per raccontare.
“Quest’uomo – scrive La Reynie – che non può essere
paragonato a nessun’altro in tema di avvelenamenti e
del loro uso, di malefici, di sacrilegi e di nefandezze, conoscente e
conosciuto da tutti gli scellerati, autore di un gran numero di crimini
orribili e sospettato di aver preso parte all’esecuzione di molti altri,
quest’uomo che ha sgozzato e sacrificato molti fanciulli, che oltre ai
sacrifici cui era aduso, aveva confessato abominazioni tali da non poter venire
riferite”, quest’uomo era veramente un mostro ed un vero sacerdote di Satana:
aveva avuto numerosi figli dalle sue amanti – tra le altre la nipote del boia –
che gli servivano da infame altare per le sue infernali cerimonie. Annegava o
strangolava le creature innocenti oppure le lasciava ad una donna denominata La
Chanfrein che li vendeva ad uno scudo per servire nelle messe nere ed esservi
immolati.
Quest’orribile sacerdote era aduso celebrare messe
nere sui più aristocratici ventri femminili del Gran Secolo. Fu lui che
escogitò la messa dello sperma nel corso della quale confezionava una
pasta congiuratoria mescolando seme maschile a farina. “Gli archivi della Bastiglia,
- scrisse J.-K. Huysmans – ci informano che agì in tal
modo su richiesta di una dama chiamata la Des Oeillettes. Questa donna, in
stato mestruale, gli dette del sangue, l’uomo che l’accompagnava si ritirò in
un andito della camera dove si trovavano e Guiburg raccolse il suo sperma nel
calice, poi aggiunse del sangue in polvere, della farina, e dopo certe
cerimonie sacrileghe, la Des Oeillettes se ne andò
portandosi seco la pasta”. Questo filtro era destinato a Luigi XIV.
La più celebre tra le gran
dame che ricorse agli uffici di Guibourg fu la marchesa di Montespan, favorita
del re.
Quest’ultima si rivolse a Satana, per conquistare definitivamente il cuore del
re. Ambiziosa fino all’eccesso, desiderava che Luigi XIV ripudiasse la regina
per poterlo sposare solennemente a dispetto di tutta l’Europa. Subito, grazie
all’intervento di una strega famosa, la Voisin, vennero
compiute delle congiurazioni maleficianti a Saint Germain e a Parigi; ma poiché
queste cerimonie non produssero alcun effetto e le fatture non erano capaci di
far morire la duchessa de la Vallière, la Montespan si decise ad infliggere il
gran colpo, rivolgendosi all’abate Guibourg di cui era grande la reputazione
per tutto ciò che si riferiva agli affari di tal fatta.
La prima messa nera venne
celebrata al castello di Villebousin, presso Montléry; la seconda, quindici
giorni più tardi, in un capanno diroccato e abbandonato, vicino Saint Denys.
Maggiori dettagli si hanno per la terza messa nera che fu celebrata in casa
della stessa la Voisin, in via Beauregard, a Parigi,
vicinissimo alla chiesa di Nostra Signora della Buona Novella.
Tutto fu predisposto con gran cura per l’infernale
cerimonia: un fanciullo era stato messo a disposizione
da la Chanfrein, mentre Romani, amante della strega, accendeva il forno. Il
boia aveva portato la sera prima del grasso di impiccato,
e si è parlato a lungo della fastosa toilette de la Voisin che avrebbe
assistito l’abate Giubourg: un meraviglioso vestito di velluto verde acqua,
ornato di punte di Francia, del costo di 15.000 lire francesi, ed un ricco
mantello di velluto cremisi bordato di preziose pelliccie e delle scarpe di
raso bianco ricamato con aquile in oro.
Quanto all’abate Guibourg, era vestito con una veste
liturgica di fine merletto su cui poggiava la casacca rossa con una
testa di becco ricamata in argento, circondata di segni cabalistici e
diabolici…
Eccoli riuniti, il prete
perverso e la strega, nel luogo segreto che funge da oratorio satanico. Un ampio altare ricoperto
da un drappo nero è predisposto assieme ai due candelabri adorni di ceri
prodotti con una miscela di sugna di becco e grasso umano. La Montespan attende
in una stanza vicina. La sua anima dannata, la Des Oeillettes, la sveste, toglie l’abito prezioso e le magnifiche collane. Un
ultimo velo copre le sue forme quando la Voisin va a chiamarla e siccome la
marchesa esita nel disfarsene,
la strega gli dice:
“Voi sapete, Signora, che affinchè il patto sia
onnipotente dovrete distendervi completamente nuda sull’altare. Mediante la protezione
di Satana, che vi copre, la vostra rivale sarà sconfitta, la regina verrà ripudiata e il trono di Francia vi apparterrà assieme
al cuore di Luigi di Bourbon”. Con quale accenti la
strega pronuncia quelle parole che fanno fremere di piacere la sua nobile
cliente? Sono tali, quelle parole, che la marchesa non esita più: cade l’ultimo
velo ed essa appare nuda, tutta nuda, splendida nelle sue forme scultoree. La si direbbe una Venere
vivente che va a d offrirsi agli omaggi dei suoi adoratori…
Allora la Voisin spinge la marchesa verso l’altare
su cui bruciano i profumi cari a Satana: giusquiamo, benzoino, datura e mirra.
Il sacerdote è là… la bionda Athénaïs de Montespan si adagia
sul dorso, offre il suo ventre allargando le gambe e le braccia, l’abate Guibourg
dispone sulla splendida carne che vive il calice e la patena, e l’ufficio
comincia:
Nel nome di Astaroth, di
Lilith e di Baal-Zeboub!
Gloria a Te, Satana, Maestro dei Mondi!…
Io avanzerò verso l’altare dell’oscuro re degli
Inferni.
Che la nostra carne goda di
spasmi infiniti.
Il nostro successo è nel nome di Satana.
Colui che regna sulla terra e regnerà
nei cieli.
Gloria a Lucifero!
Ora e nei secoli dei secoli!
La messa si svolge, rispettosa di tutti i riti, di ogni gesto. Satana rimpiazza semplicemente Dio; e i
Demoni e Geni del male vengono chiamati al posto e in
luogo dei santi, dei profeti e dei martiti. In differenti fasi dell’infernale
sacrificio, quando il celelbrant edeve baciare l’altare, l’abate Guibourg si inchina e bacia le diverse parti del corpo della signora
di Montespan: i seni, le coscie e il sesso che freme sotto il biondo vello. Ma
ecco che giunge il momento della consacrazione: Guibourg mescola nel calice la
cenere di un piccolo fanciullo bruciato nel forno,
un’ostia consacrata, un po’ di urina, dello sperma e del sangue mestruale.
Occorre ora un po di sangue fresco, da un’essere
innocente, per finire la miscela e formare la pasta congiuratoria.
Giunge all’ora
nell’oratorio la Des Oeillettes con il bambino datole dalla Chanfrein; lo passa
all’abate Guibourg che lo innalza sul corpo della marchesa dicendo:
Nostro Signore ha detto: “Lasciate che i fanciulli vengano a me”. Io, suo sacerdote, ti sacrifico a
Te, Satana, costui, affinchè ti sia offerta gradita e
perché tu mi possa accordare ciò che ti domando. E che il suo sangue mescolato
a queste specie renda potente il filtro d’amore che verrà
assorbito dal re. Amen! Risponde la Montespan con voce grave. Allora, con un
colpo di coltello, Guibourg recide il collo della vittima innocente: la povera
piccola testa si piega, le sembianze sconvolte dall’orrore e dalla sofferenza
mentre il sangue scorre e cola sulla nuda carne della marchesa.
Guibourg dirige il getto purpureo verso il calice,
la pasta si forma, si densifica; poi passa il piccolo cadavere a la Voisin che lo getta immediatamente nel forno ardente.
L’infernale sacerdote consacra le specie, si comunica al calice, spande un po della mescola sulle labbra e sul sesso della marchesa. La
messa è finita! Guibourg legge il vangelo di San Giovanni al contrario: Che la
Carne si faccia Verbo! Amen!… Infine, svolgendo la pergamena dov’è inscritto il
patto, legge solennemente mentre la marchesa di Montespan ripete dopo di lui,
parola per parola:
“Io, Françoise-Athenaïs de Rochechouart, nata
Mortemart, marchesa di Montespan, chiedo l’amicizia del Re e di sua signoria il
Delfino. Che il Re possa amare solo me!.. Che mi
introduca nel suo Consiglio… che lasci la sua tavola e il suo letto per me!…
che abbandoni Fontages e che essa muoia!… che la regina sia sterile e ch’egli
la ripudi!… e che il re mi sposi a dispetto dell’Europa!
Amen! Rispondono la Voisin e la signorina Des
Oeillettes.
Andate, la messa è stata detta!
Gloria a te, Satana!
“La messa ha termine – scrive Roland Brévannes nella
sua curiosa opera su I Grandi Satanici – senza che l’ufficiante
comunichi con l’altare mediante un sacrilegio carnale; perché come non si può
toccare la regina, non si deve – a meno di essere
Lauzun – toccare la favorita che ambisce spodestarla e che è già più regina di
lei stessa ormai… Il sacerdote sessantenne è stato scelto perché con lui questa suprema pratica del rituale satanico
sarebbe vana e la tentazione non sarebbe capace di indurlo a commettere
l’oltraggio di lesa maestà”.
La piccola marchesa di Fontanges morì qualche mese
dopo, all’età di vent’anni. Fu tutto ciò che Satana concesse, perché se la
Montespan rientrò nelle grazie del re non venne però da questi sposata come le
avrebbe desiderato. Quanto a la
Voisin, implicata nel famoso affare dei veleni, venne arrestata,
sottoposta a tortura giudiziaria ed infine arsa viva il 22 febbraio 1680. Subì
in tal modo la sorte di numerosi stregoni; tuttavia se un gran numero di questi
fu innocente, la Voisin meritava almeno un po’ la sua sorte: aveva sacrificato
duemila piccoli bambini!…
Capitolo Sesto
LA FATTURA
Le fatture d’odio e d’amore sono state fatte fin
dalla più remota antichità. Costituiscono una parte, e non la minore, del
rituale magico, e gli autori antichi ce ne hanno descritto le fasi che possono
ricondursi ad una formula semplicissima: l’azione a distanza, su una persona,
per inviargli la malattia e financo la morte, o per sottometterla e far nascere
in essa un amore profondo per un’altra persona.
Nella letteratura antica rinveniamo rituali di affatturamento, congiurazione, incantesimo; i mattoni
cuneiformi ne contengono di curiosissimi, essi abbondano in Ovidio, Apuleio –
il cui Asino d’Oro è un vero rituale magico -, Virgilio, Teocrito ecc.
Sarebbe necessario un grosso volume per parlare di questo lascito magico
dell’Antichità.
Lo stesso serio Platone, nelle Leggi, allude
ai facitori di piccole statuette di cera adatte agli incantesimi e ai carmi
magici. Beninteso le stesse pratiche della fattura si ritrovano in Cina, in
India e tra gli Amerindi, cosa che dimostra il loro uso anche nelle grandi
civiltà precolombiane. Il reverendo Padre Charlevoix, missionario in Illinois,
scrive che gli indigeni del paese “fanno delle piccole figurine per
rappresentare quelli di cui vogliono accorciare l’esistenza e le trafiggono al
cuore”. Queste piccole statuette piene di mistero, che abbondano altresì nelle
isole dell’Oceania, non son altro che oggetti rituali per la pratica delle
fatture di odio o di amore. A riguardo raccomandiamo
ai lettori lo studio di un’opera molto ben documentata: Fatture e
Controfatture, dovuta alla penna di un’eminente occultista che si cela
sotto lo pseudonimo di Reverendo Padre Sabazio. Si può anche consultare con
vantaggio un opuscolo di Papus: Si può affatturare?.
Nel Medioevo, la fattura o invossura[1],
viene adottata da streghe e stregoni e tali pratiche
costituiscono anche l’essenza del rituale satanico. Ci riserviamo uno studio
più accurato per la nostra opera sul satanismo. Il carattere nettamente
satanico di queste pratiche è provato dal fatto che la fattura ovvero
l’oggetto destinato a veicolare la sensibilità della
vittima, è spesso battezzata, consacrata e “caricata” nel corso di una messa
nera. Questa fattura è ordinariamente un’immagine di cera vergine in cui si incorporano dei capelli, ritagli di unghie e di pelle,
frammenti di tessuto, di sangue ecc… Si modella in seguito questa cera sulla
foggia della vittima e ciò che si fa subire poi a questa statuetta, doppione
vivente sebbene in apparenza inanimato, è avvertito dalla persona di cui
possiedono le fattezze e le sostanze organiche e inorganiche che gli
conferiscono la sua sensibilità.
Sfortunatamente, tali fatture non sono pratiche
vane. Gli Ermetisti del Medio Evo e del Rinascimento ne hanno spiegato bene la dinamica. Paracelso ha descritto la legge occulta in base
alla quale una parte di sensibilità di un soggetto si fissa per irraggiamento
nell’immagine che si rappresenta su una materia qualsiasi. Il demonologo Jean
Wier così descrive il procedimento dell’invossura:
“Alcuni, pensando di poter nuocere ad altri, fanno
un’immagine a somiglianza di chi vogliono colpire; la fanno con cera vergine o
nuova e vi inseriscono il cuore di una rondine, sotto
l’ascella destra, mentre pongono il fegato dell’animale sotto quella sinistra.
Poi appendono al collo quest’effigie con un filo nuovo che appuntano
in qualche membro con un ago nuovo, proferendo alcune parole che qui non cito,
per tema che i curiosi ne abusino. A volte l’immagine è di bronzo e per
maggiore efficacia, gli rivoltano le membra, mettendo un piede al posto di una
mano o viceversa, e gli girano la testa verso la schiena. Per aumentare il
danno foggiano un’immagine umana e scrivono un certo
nome sulla testa; ai lati scrivono: Alif, lafeil Zazahit mel meltat levatam
lentace; poi la seppelliscono in una tomba. Allo stesso scopo, come lo
chiamano, preparano due immagini, quando Marte è favorevole, una di cera,
l’altra con la terra di un uomo morto; si chiude nella mano di una delle
immagini un pezzo del ferro con cui è stato ucciso un uomo, nell’atto di
colpire la testa della statuetta di colui che si vulol
fare morire. Si scrivono due nomi in entrambe, con caratteri particolari
preparati a parte e poi una delle due viene nascosta e
posizionata in un luogo adatto”.
Per quanto l’impiego della bambolina di legno o di
cera sia più diffuso, non è l’unico. I fattucchieri,
qualche volta, al posto della statuetta, utilizzano un cuore di montone in cui
infilano dei chiodi prima di seppellirlo o nasconderlo. Man mano che il cuore
dell’animale si decompone, la vittima risente del male che aumenta sempre più
fino alla morte senza rimedio. Questa sorta di
fattura, pericolosa e criminale, è praticata ancor’oggi nei paesi musulmani e
nelle stesse contrade di Francia!
Gli Archivi della Bastiglia ci hanno
conservato un’altra formula, adoperata dalla Brinvilliers, celebre
avvelenatrice, che non sdegnava le pratiche di Magia Nera per compiere anche i
delitti più comuni:
“gettate nel fuoco una fascina con incenso e allume
pronunciando queste parole: fascina, io ti brucio, qui c’è il cuore, il corpo,
il sangue, la sensibilità, il movimento, lo spirito di X… (la vittima, uomo o
donna). Che non possa aver pace neanche nel midollo delle sue
ossa, restare in piedi, parlare, cavalcare, bere e mangiare finchè non abbia
accondisceso al mio desiderio”.
Senza alcun dubbio, prima di questa
congiurazione, la fascina era stata l’oggetto di una speciale consacrazione
magica per “caricarla” con la personalità e la sensibilità della vittima
designata. Si assicura che la Voisin usò questo maleficio per obbligare re
Luigi XIV a ripudiare la regina e sposare la marchesa di Montespan.
Ai nostri giorni, non è più necessario costruire con
pena e fatica una statuetta di cera. La fattura si è volgarizzata, haimè, con
la nascita della fotografia.
Le moderne esperienze hanno confermato le teorie di antichi maghi ed ermetisti, specie quelle del colonnello
De Rochas sull’esteriorizzazione della sensibilità. Si può affermare che le
possibilità di riuscita di una fattura entrarono a far parte dell’ambito
sperimentale, e i giornali dell’epoca hanno rilanciato la notizia di quelle
sorprendenti esperienze che misero a rumore il mondo degli studiosi nel 1891 e
nel 1892. Ecco una citazione dal giornale La
Justice, del 2 agosto 1892:
“Queste esperienze hanno avuto luogo ieri alla
presenza di due medici, membri dell’Accademia delle Scienze, e di un noto
matematico. Il signor De Rochas ha cercato di riversare la sensibilità di un
soggetto in una lastra fotografica. Egli ha posto la prima di queste lastre a
contatto con un soggetto non addormentato: la fotografia ottenuta in seguito
non aveva alcun rapporto col soggetto. “Una seconda, posta in precedenza a
contatto con un soggetto addormentato, leggermente esteriorizzato, ha fornito
una testimonianza appena rilevata per relazione. Una terza infine, che prima di
essere messa nell’apparecchio fotografico era stata fortemente caricata con la
sensibilità del soggetto addormentato, ha fornito una fotografia ricca dei
caratteri più curiosi. “Ogniqualvolta che l’operatore toccava l’immagine, il
soggetto presente se ne avvedeva. Poi prese una spina
e punse due volte la pellicola della lastra ov’era raffigurata la mano del
soggetto. “In quel momento, il soggetto si agitò contraendosi. Quando venne svegliato, si constatarono sulla sua mano due stimmate
rosse subcutanee, corrispondenti alle due punzecchiature della pellicola
fotografica. In tal modo il signor De Rochas è riuscito a riprodurre
sperimentalmente l’antica pratica della fattura”.
§§§
I
moderni fattucchieri hanno la pappa già pronta e, come hanno scritto
giustamente Laurent e Nagour, “le graziose attricette e i tenori famosi i cui
ritratti si affiggono nelle vetrine, gli uomini politici, i letterati, gli
artisti celebri, gli atleti, i sovrani, i fantini, sono ogni notte come
immagine fotografica l’oggetto di operazioni magiche
di cui non sospettano l’esistenza”.
Non crediate che gli autori de L’Occultisme
et l’Amour stiano esagerando. Siamo a conoscenza di numerosi casi di fatture
di odio e di amore fatte con fotografie. Parleremo di
una di esse in un capitolo seguente e altre, assai
curiose, le esporremo nella nostra opera sul satanismo.
Un’ultima parola al lettore su questo
argomento così satanico, al punto di doverlo includere per completezza:
la pratica della fattura è molto pericolosa, non soltanto per la vittima, ma
anche per l’operatore. Questa è già una buona occasione
per far ricredere ed esitare quell’essere così perverso da voler colpire gli
altri con mezzi occulti. Il “colpo di ritorno” non è un mito,
e numerosi sono i casi in cui il fattucchiere muore vittima del
maleficio che aveva lanciato.
D’altronde, se questo tipo di crimine sfugge alle
leggi umane, i fattucchieri non possono sottrarsi all’ineluttabilità del Karma
ed egli si construisce un inferno nel quale espierà le
sue pratiche e più spesso ancora ciò avverrà nella sua stessa vita
terrena, senz aspettare il momento delle retribuzioni post-mortem. Colui che ha la
sventura di praticare la fattura di odio riceve sempre un castigo esemplare.
Quanto alla fattura d’amore, non è nemmeno lei esente da pericoli. Innocente in
apparenza, essa “forza” il cuore altrui, e se viene
praticata per egoismo o perversità – è il caso più frequente – diviene per
colui che se ne è assunta la responsabilità un peso assai grave da portarsi
addosso.
Capitolo Settimo
Con il Sabba e la Messa Nera, i fenomeni
dell’incubato e del succubato costituiscono i tre grandi riti satanici. Mentre
i primi due sono noti e, per così dire, popolari, il terzo resta avvolto in
un’ombra di mistero, e coloro che hanno commercio
carnale con succubi ed incubi lo tacciono gelosamente. In sintesi, gli incubi
sono dei demoni che si uniscono carnalmente con le donne; i succubi sono demoni
che fanno altrettanto con gli uomini, giungono di notte a tentare i solitari e
fornicare con loro.
La Chiesa attraverso gli scritti di Dottori e
Teologi ha riconosciuto i fenomeni dell’incubato e del
succubato; una strofa dell’inno della compieta, l’ufficio della sera,
chiede al Signore di allontanare i sogni e i fantasmi della notte, e scacciare
il nemico, affinchè non venga a insozzare il corpo:
Procul
recedant somnia,
Et
noctium phantasmata;
Hostemque nostrum comprime,
Ne polluantur corpora.
San Bonaventura, Dionigi il Certosino, Papa
Innocenzio VIII e Sant’Agostino si sono occupati di incubi
e succubi. Il vescovo di Ippona scrive ne La Città
di Dio: “la voce comune è – e molti l’hanno appresa ed ancora udita da
coloro la cui fede non può esser messa in dubbio – che certe bestie ed altri
animali selvatici detti comunemente incubi apprezzano e gradiscono le donne, a
tal punto che spesso hanno tentato di avere rapporti con esse, e si trovano
certi demoni che in Gallia chiamano Dusii, che si sforzano per quanto
possono di concupire le donne e spesso ci riescono; cosicchè è un uomo
impudente colui che voglia negare una tal cosa”.
Del Rio nelle sue Disquisizioni Magiche non è
meno netto: “i demoni possono impadronirsi dei corpi
di qualche trapassato, possono animarli e condizionarli a volontà. Può nascere
qualcosa dall’accoppiamento di un incubo con una strega; nel far ciò Satana si
serve del seme che l’uomo perde in sogno o in qualche altro modo, dato che i demoni sono privi di per sé di sperma, che è
l’essenza dei cibi digeriti dall’uomo”.
Anche se certi teologi sono di opinione
opposta, “dall’accoppiamento tra il demone incubo e la donna, può nascere
qualcosa; il demone non ne è il vero genitore, ma è l’uomo del quale il demone
ha utilizzato lo sperma”. Tutte le streghe sono d’accordo sul fatto che lo
sperma che ricevono dal diavolo è freddo come ghiaccio e non apporta alcun
piacere, piuttosto una sensazione di orrore. I demoni
possono far sì che una vergine di anima e di corpo
resti incinta, tuttavia non senza il concorso dello sperma umano. Essi infatti sono in grado di proiettare nella natura di una
ragazza addormentata, senza che si accorga di nulla, una secondo e vero sperma
preso altrove e senza che questa venga in qualche modo deflorata. Tuttavia non
sono in grado di conservare intatta la sua verginità all’atto del parto.”
Questa citazione tratta da Del Rio, riassume le
discussioni dei demonologi a riguardo dei fenomeni incubatori e succubatori.
Nondimeno certe dichiarazioni di streghe giovani e vecchie vanno a contraddire
Del Rio riguardo il piacere provato in tale
coabitazione. Bisogna credere che il diavolo faccia buon viso alle une e rifiuti tutto il resto alle altre, visto che
molte hanno testimoniato di aver provato numerosi godimenti durante gli accoppiamenti
demoniaci e ciò a dispetto del freddo quasi glaciale dello sperma diabolico!
Bodin racconta nella sua Demonomania che
“Jeanne Herviller, nativa di Verbery presso Compiègne, fu data da sua madre al
diavolo all’età di dodici anni. La madre disse al diavolo: ecco la figlia che
vi ho promesso. E alla figlia: ecco qui il vostro amico che
vi renderà felice. Da allora la fanciulla
rinunciò a Dio, alla religione, e il diavolo si giacque con essa carnalmente
allo stesso modo di come fanno gli uomini con le donne, tranne per il fatto che
il suo sperma era freddo. Ciò, disse la donna, avveniva ogni quindici giorni e
sebbene essa dormisse accanto a suo marito che non si accorgeva di niente. Un
giorno il diavolo le domandò se avesse voluto rimanere
incinta di lui ed essa non volle”.
Gli spiriti scettici non ammettono la realtà di
questi fenomeni. Così M. de Saint André, medico del re, scriveva nel 1725:
“L’incubo è spesso una chimera il cui unico fondamento è il sogno… Questo artificio a volte non è neanche di competenza della
storia dell’incubato. Una donna, una ragazza, una devota rispettata, ma
debosciata, che finge di essere virtuosa per
nascondere il suo crimine, fa passare il suo amante per uno spirito incubo che
la ossessiona”.
Non dimentichiamo che il dotto medico scriveva
nell’epoca dei lumi e della filosofia… Allora si negava ciò che non era altro
che “superstizione di epoche barbare”. Senza dubbio,
più di una donna sorpresa in flagrante delitto si salvò facendo credere al
marito geloso di essere stata violentata dal diavolo. Altri episodi derivano
dall’allucinazione e dalla nevrosi. Ma non è men vero
che c’è stato – e c’è ancora – il fenomeno reale dell’incubato e del
succubato.
Vediamo ora cosa pensano gli occultisti di questi
fenomeni che essi non negano assolutamente, trovandosi d’accordo con i teologi.
Per essi tuttavia il diavolo non c’entra nulla ma si
tratterebbe di elementali o spiriti di natura. Ascoltiamo a riguardo Paracelso,
l’Angelo della Scuola occulta: “Dio non solo permette che le ninfe vengano viste da certi uomini ma pure che intrattengano con
esse delle relazioni e ne abbiano dei figli. Quest’ultimi sono di razza umana
perché il padre, essendo uomo e discendente di Adamo,
gli conferisce un’anima che li rende ad esso simili. Io credo che la donna che
riceve quest’anima sia come la donna riscattata dal Cristo. Noi non possiamo
giungere al Regno dei Cieli se non in comunione con Dio. Così questa femmina
non acquisisce un’anima se non conoscendo un uomo. Il superiore, difatti,
trasmette la sua virtù all’inferiore. Questi esseri cercano il nostro amore per
potersi elevare, come i pagani che cercano il battesimo per ottenere un’anima e
rinascere in Cristo”.
E’ una nobile dottrina ma se la si
mette in pratica rischia di degenerare e dar luogo a eccessi che precipitano
gli adepti nelle tenebre della Magia Nera. Una setta segreta, a Lione, alla
fine del XIX° secolo, si era data la missione di
elevare l’umanimale con l’amore. Uomini e donne evocavano degli
elementali per congiungersi sessualmente. Non è questa la sede per fornire i
documenti che troveranno il loro posto naturale nell’opera che stiamo scrivendo
sul satanismo.
Limitiamoci concludendo che
l’incubato e il succubato sono dei fatti comprovati, come gli altri
fenomeni del satanismo, e abbandoniamo l’oscura magia demoniaca per tornare al
culto luminoso di Venere, splendida dea della carne e dell’amore.
Capitolo Ottavo
LE OPERAZIONI DI VENERE
Tutte
le operazioni di magia amatoria devono compiersi sotto l’influsso di Venere. I
vecchi grimori raccomandano sempre: farete questo all’ora
di Venere, un giorno di Venere… invocherete l’angelo di Venere… chiamerete i
geni di Venere… ecc.
E’ dunque utile offrire al lettore che desidera
praticare con efficacia l’arte magica a scopo erotico un sunto il più chiaro
possibile di tutto ciò che concerne Venere, la brillante Dea della Carne
dell’Astrologia Kabbalistica.
La bella leggenda di Venere è nota a tutti. Dea
universale, regna sempre sul mondo e la sua immagine dipinta o scolpita
arricchisce i musei, le biblioteche e i giardini delle più modeste città. Se gli Dei sono morti come vorrebbero alcuni, Essa,
Venere-Astarte, coronata di viole, la splendida e magica Dea dell’Amore
carnale, è sempre viva e vegeta, perché è immortale, come immortale è l’amore
che essa governa.
Analogicamente e simbolicamente, Venere è l’eterno
femminino, l’amante archetipico, genitrice di spasmi fecondi, dispensatrice di
gioie e voluttà sensuali, madre della Vita, sposa
degli Dei…
E’ la forma perfetta, la grazia e l’armonia, il
principio, l’attrazione universale. Il suo culto, vecchio quanto il mondo, fu
sempre celebrato, e il caratteristico aneddoto che segue, che noi prendiamo dal
geniale romanziere Merezkowskji, lo prova: il grande
papa Alessandro Borgia, una delle figure più celebri del Rinascimento italiano,
aveva fatto scolpire per suo uso personale uno splendido crocifisso che recava
da un lato l’immagine di Cristo, e dall’altro, l’immagine di Venere Callipigia
o Venere dalle belle natiche. Il pontefice, come quasi tutti i grandi spiriti
dell’epoca, rapito da pagana passione, pieno di desiderio segreto,
effervescente delle più squisite voluttà, offriva al popolo, durante i suoi
discorsi, l’immagine di Gesù, mentre contemporaneamente contemplava con amore
la splendida effigie della magica Dea della Carne.
§§§
Secondo
i saggi antichi, gli Dei si incarnano nei corpi
celesti ed è per questo che gli astri influiscono sugli esseri e sulle cose.
L’astronomia fu in origine un’astrolatria e noi abbiamo visto nel primo capitolo
che la nostra conoscenza astronomica fu dovuta agli
Angeli di Desiderio, discesi sulla terra per amore delle figlie degli uomini.
Venere si incarna nel
brillante pianeta che porta il suo nome e illumina le notti. Tutto quel che
pertiene all’amore è retto, in virtù dell’occulta legge delle corrispondenze,
da questo pianeta, il più bello del nostro sistema solare.
Venere, secondo l’astro-kabbala, è di natura
armonica, attrattiva e femminile; è calda e umida, benefica in sommo grado,
favorevole alla vita degli esseri su tutti i piani del mondo sublunare che
favorisce con i suoi doni meravigliosi. Sue funzioni sono
l’attrazione e l’amore, la generazione e la moderazione. Sue
facoltà la voluttà, la sensibilità, la carità, la bontà, l’indulgenza e la compassione.
Favorisce i piaceri dei sensi e regna su tutti i luoghi deputati all’amore. Nel
corpo umano, governa gli organi sessuali femminili, l’utero, i reni, la gola, i
seni, il ventre, l’incarnato e l’odorato. Ecco le sue corrispondenze:
Giorno: Venerdì. Ore di Venere, il
Venerdì: da mezzogiorno all’una, dalle 7 alle 8 dopo mezzogiorno, dalle 2 alle
3 dopo mezzanotte e dalle 9 alle 10 del mattino seguente.
Colore: verde
Metallo: rame
Gemme: smeraldo, zaffiro, lapislazzulo
Profumi: zafferano, sandalo, benzoino, verbena
Piante: rosa, giacinto, mughetto, violetta, ulivo, giglio,
lillà, gelsomino, peonia, ciclamino, mirto
Numeri: 3, 7, 23
Gli
angeli o geni di Venere, regnanti il Venerdì, sono: Anael, Rachiel, Sachiel.
L’angelo dell’Aria è Sarabotes e i suoi ministri si chiamano Amabiel, Aba,
Abalidot e Flaef.
Gli angeli del Terzo Cielo che regnano il Venerdì e
che bisogna chiamare dai quattro angoli del mondo sono:
dall’Oriente: Serchiel, Chedusitaniel,
Corat, Tanael, Tenaciel
dall’Occidente: Turiel, Coniel, Babiel,
Kadiel, Maltiel, Husatiel
dal Nord: Peniel, Penael, Penat,
Raphael, Raniel, Dormiel
dal Sud: Porna, Sachiel, Chermiel
Gli spiriti di Venere si congiurano con la seguente
preghiera:
Io vi congiuro, angeli santi, forti e potenti, per i
nomi On, Hey, Ia, Ie, Adonay, Saday che nel sesto giorno creò i quadrupedi, i
rettili e gli uomini, e che conferì ogni potere ad
Adamo su tutti gli animali, che benedì il nome del Signore, per gli angeli che
servono nella Terza Legione, in presenza del grande angelo Agiel, principe
forte e potente, per l’astro di Venere, per il suo santo sigillo e per i nomi
sopradetti, io vi congiuro, Anael, angelo grande, Voi che presiedete al sesto
giorno, per il nome adorabile di Adonay che ha creato l’universo intero con
tutto ciò che contiene, affinchè mi portiate soccorso, e mi concediate
l’effetto di tutte le mie richieste, secondo il mio desiderio, sia nei miei
amori, sia nella mia fortuna, e in generale in tutte le cose che mi saranno
gradite e utili.
Si deve poi dire ciò che si desidera e specificare
bene i motivi di questa congiurazione.
Secondo i vecchi grimori, gli spiriti di Venere
hanno il potere di portare denaro, di rendere gli uomini lussuriosi, di
riconciliare gli avversari con la lussuria, di combinare matrimoni, di
suscitare nel cuore degli uomini l’amore per le donne e viceversa, e guarire le
malattie.
Essi appaiono di bell’aspetto, di taglia media, con
viso amabile e gradevole, di colro bianco o verde e spesso brillante e dorato. Al loro avvicinarsi, ed è quello il
segno della loro apparizione, si scorgono delle seducenti giovani ragazze che
giocano in cerchio invitando l’evocatore a voluttuosi giochi erotici.
Certi spiriti di Venere appaiono in forme varie e
pittoresche, animali, graziose: un re che tiene uno scettro e cavalca un
cammello, una ragazza nuda o vestita di belle vesti bianche o verdi, una capra,
una colomba, un dromedario o una profusione di mazzi di fiori.
§§§
Il
talismano di Venere si deve incidere di Venerdì, nelle ore di Venere, su una
lamina circolare di rame puro, delle dimensioni di una medaglia. La si luciderà perfettamente su entrambe le faccie. Sulla
prima faccia, si inciderà la lettera G, racchiusa in
una stella pentagrammatica. Sulla seconda faccia, si incide
una colomba, al centro di una stella a sei punte o sigillo di Salomone, formata
da due triangoli incrociati, uno con la punta in alto e l’altro con la punta in
basso, circondato dalle lettere che compongono il nome Suroth, genio di Venere.
Si potrà anche disegnare un talismano di pergamena
vergine, usando dell’inchiostro verde. Sulla prima faccia, si rappresenterà la
figura geroglifica di Venere, cioè una donna
lascivamente abbigliata con vicino alla sua coscia destra un Cupido reggente
un’arco ed una freccia incendiaria, mentre lei terrà nella mano sinistra uno
strumento musicale, quale una chitarra, e sopra la sua testa una stella
brillante con il nome: Venere. Sulla seconda faccia, si disegnerà il quadrato
magico di Venere secondo la seguente tabella:
22 - 47 – 16 – 41 – 10 – 35
– 4
5 – 23 – 48 – 17 – 42 – 11 –
29
30 – 6 – 24 – 49 – 18 – 36 –
12
13 – 31 – 7 – 25 – 43 – 19 –
37
38 – 14 –
32 – 1 – 26 – 44 – 20
21 – 39 – 8 – 33 – 2 – 27
– 45
46 – 15 – 40 – 9 – 34 – 3
- 28
Per Agrippa questo talismano “rappresentando Venere
Fortunata, procura la concordia, distrugge le discussioni,
dona l’amore alle donne. Favorisce il concepimento, ostacola la
sterilità e rende vigorosi nel coito. Toglie i malefici, riappacifica uomo e
donna, stimola la nascita di ogni tipo di animali.
Messo in una colombaia, aumenta il numero dei piccioni; giova alle malattie
melanconiche e dà gioia. Portato indosso favorisce il buon esito dei viaggi”.
Questi talismani si consacreranno con una
fumigazione di profumi venerei e si metteranno in un sacchetto di seta verde o
rosa.
§§§
E’ il caso di far notare qui una
volta per tutte che non è per caso o perché mossi da idee personali che
vengono indicate queste materie, questi profumi, questi colori ecc. La
tradizione magica si basa sulla legge delle corrispondenze, ed un elemento che
sarebbe favorevole per le operazioni di odio sotto gli auspici di Marte, per
esempio, sarebbe negativo per le operazioni erotiche sotto gli auspici di
Venere. Massima cura e rigorosa attenzione vengono
date nell’osservazione delle prescrizioni rituali, perché il minimo errore
sarebbe causa di insuccesso.
Quando un grimorio o un rituale
magico prescrive un oggetto vergine significa che dev’essere nuovo
o mai usato. Ogni oggetto “profanato” è inadatto all’operazione magica. Il rame
impiegato per l’incisione dei talismani dovrà uscire dalla fonderia e venire accuratamente lucidato. Non è superfluo ricordare
queste condizioni essenziali per portare a buon fine ogni operazione magica
nella nostra epoca utilitaristica ad oltranza, e che
ha spinto al più alto grado l’arte di riciclare l’usato, fabbricando oggetti di
lusso con vecchie lattine di conserva!
Come si vede, il compito del mago è difficile ma
ostacoli grandi e piccoli nel compimento dell’opera sono un eccellente
esercizio per l’acquisizione della Volontà. “Maggiori pene e difficoltà vi
costerà la vostra arma e più vi sarà utile”, ha scritto un iniziato inglese,
Aleister Crowley, che aggiunge: “se volete qualche
cosa fatta bene, fatevela da voi”.
Non crediamo inutile, infine, cogliere nell’opera di
questo stesso iniziato questa preziosa raccomandazione:
“Acquistate senza mai mercanteggiare tutto ciò che
vi serve per l’operazione magica. Non bisogna cercare di stabilire un rapporto
tra i valori di cose incommensurabili. I più piccoli strumenti magici valgono
molto di più di tutto ciò che possedete. D’altronde, se voi comprate senza mercanteggiare vi accorgerete che, durante l’acquisto, il
venditore avrà gettato via la borsa di Fortunato. Che
importa la situazione in cui vi trovate, all’ultimo momento le vostre
difficoltà si risolveranno; non c’è potere che non obbedisca ai bisogni di un
mago! Ciò che ha, non ce l’ha; ma ciò che è, c’è; e
quel che sarà sarà, e né Dio, né tutte le schiere di Choronzon potranno
fermarlo. Questo comandamento e questa promessa sono stati dati a tutti i maghi
senza eccezione. Quando questo comandamento sarà
osservato, la promessa sarà di certo esaudita”.
L’INCANTESIMO D’AMORE
L’Incantesimo
è una preghiera, un grido, un appello irresistibile, proferito o, meglio,
salmodiato nel corso di una cerimonia nella quale entrano in gioco i gesti, e
come supporto magico diversi elementi, quali i profumi, i fiori, i colori ecc.
L’incantesimo può venire
praticato, così come la fattura che d’altronde completa e rafforza, a scopo di
odio, per nuocere a un nemico. Non è questo però il nostro ambito; a noi
interessa l’incantesimo d’Amore.
Ogni volta che si concentrano i propri sentimenti in
un raggio potente, animato dalla volontà, c’è produzione di azioni
psichiche, di cui sono incontestabili le ripercussioni sugli esseri viventi. E’
quindi comprensibile che l’esteriorizzazione di un
intenso desiderio d’amore, mediante il pensiero creatore, mediante il verbo
formatore e il gesto che dissemina, inviato con empito vigoroso, deve colpire
colui o colei che è l’oggetto di questo desiderio.
L’incantesimo è pertanto l’accerchiamento e la
penetrazione di un essere da parte di un altro essere, un’unione fluidica
astrale, coagulata e proiettata. Come vedremo nel rituale che segue,
l’incantesimo d’amore deve procedere con parole dolci
e avvolgenti, pensieri voluttuosi, gesti carezzevoli. Bisogna immaginare, là,
di fronte a sé, la persona amata, e rivolgersi ad essa
come se fosse presente realmente. Grazie all’appassionato richiamo,
magnetizzato da un’intenso desiderio, l’oggetto del
vostro amore è presente in astrale e tutto quello che gli farete avrà
un’inevitabile ripercussione sulla sua fisicità. A distanza, essa verrà penetrata da un’intensa sensazione di languore,
nascerà un sentimento, e se siete abbastanza energici, essa avrà smania di
corrispondere al vostro desiderio, di ricevere le carezze, di udire i vostri
sussurri d’amore, di provare con voi, vicino a voi, assieme a voi, i più
voluttuosi piaceri sensuali.
Tale è la forza dell’incantesimo d’amore, che deve realmente
avvolgere la persona amata con un impenetrabile rete
di pensieri esclusivi e, beninteso, in una direzione favorevole a ciò che vi
aspettate da lei. L’incantesimo deve stringere l’essere amato in una spirale di
voluttà, colpirlo nell’intimo della carne e farne vibrare i sensi.
L’incantesimo d’amore venne
impiegato fin dalla più remota antichità; è una preziosa eredità della
tradizione magica. Le tavolette cuneiformi e i papiri egiziani ci hanno tramandato
un gran numero di formule incantatorie. Marcelin Berthelot, citando testi
papiracei, rileva che le formule si appellano ad Iside, Osiride, Mithra,
Serapide, Ermete, Horo, Iao ecc., così come avverrà
nei grimori medievali, le cui formule sono daltronde improntate a fonti
egiziane, arabe e greche. Queste formule, scrive il dotto autore, “sono
destinate ad evocare uno spirito che appare in sembiante di fanciullo
o di ragazza, apprendista di Apollonio di Tiana, e ad ottenerne dei talismani o
dei filtri d’amore e amicizia”.
Si trovano incantesimi con formule identiche in
Grecia e Italia. Le streghe tessale erano famose per la potenza della loro
arte. Luciano lo afferma nei suoi Dialoghi di Cortigiane e Lucano nella Farsaglia.
Virgilio nelle Egloghe e Teocrito negli Idilli ci hanno trasmesso
dei veri e propri rituali d’incantazione, come provano i testi seguenti:
“Potenti carmi, riportate Dafni in questi luoghi…
Potenti sono le parole magiche: possono far scendere addirittura la luna dal
cielo, così come han permesso a Circe di trasformare in porci i marinai di Ulisse… Io avvolgo la tua effigie con tre diversi nastri,
per tre volte la faccio girare intorno all’altare, poiché il numero dispari è
gradito alle divinità… Stringi con tre nodi i nastri di diversi colori,
stringili, Amarilli, ed esclama: io annodo i lacci di Venere. Lo stesso fuoco
che compatta l’argilla e scioglie la cera possa fare altrettanto su Dafni a
vantaggio del mio amore! Getta la sacra farina, brucia
questi allori… Dafni, meschino, mi abbraccia! Io, in quest’alloro, abbraccio
Dafni!… Potenti carmi, riconducete Dafni in questi luoghi! Che
Dafni sia in preda all’amore, come la giovenca che, stremata dalla ricerca per
boschi e vaste foreste del giovane toro desiderato, si adagia ai bordi di un
ruscello e, ansimante e disperata, dimentica l’ora tarda che dovrebbe
ricondurla alla stalla. Che Dafni sia in preda
all’amore!” (Virgilio, Egloghe).
“Dove sono i miei allori?
Portameli, Testili. Porta anche i filtri. Prendi questa coppa e avvolgila col
vello rosso di una pecora… che voglio incantare quest’uomo crudele che amo e per cui soffro. Da oltre dodici giorni non
bussa più alla mia porta; non sa se sia viva o morta. Senza dubbio, Eros
e Venere hanno portato altrove i loro spiriti
leggieri… Risplendi dunque, o pallida Luna! Ti canterò, serena divinità,
assiema all’oscura Ecate che s’innalza tra le tombe, tra i vapori del sangue
cupo di giovani cani sgozzati… Salve, terribile Ecate! Sostienimi
nell’imprersa… Magica pastorella, riconducilo alla mia dimora!… Ardo di
passione per colui che mi ha reso sfortunata, che non
mi ha sposata e m’abbandona dopo avermi tolto la verginità… Venerabile Dea, ti
offro tre libagioni e tre volte grido: Se una donna gli dorme accanto, o anche
un uomo, che egli la possa scordare, come avvenne a Nasso, quando Teseo scordò
Arianna dalle belle trecce… Che io possa veder entrare in casa Delfi! Magica
pastorella, riportamelo….” (Teocrito, Idilli).
L’incantesimo d’amore è conosciuto e praticato
ovunque: in India, in Cina, nei paesi musulmani, nelle contrade più lontane… Il
formulario magico resta immutato nella sua essenza, sopravvive ai cataclismi,
alle rivoluzioni, ai cambiamenti epocali. Ai nostri
giorni, nulla ha perso della sua potenza e della sua efficacia.
Il rituale incantatorio che ora diamo si basa sulla
tradizione magica, da cui deriva. Può essere modificato in base alle
circostanze, ma la base rimane quella. Recitato con attenzione ed impiegato con
tutta la cura necessaria, sia nei gesti che nelle parole, produrrà un risultato
certo.
RITUALE DELL’INCANTESIMO
D’AMORE
Bisogna procurarsi dapprima una o più fotografie
della persona amata che si desidera colpire con l’incantesimo. Se la fotografia raffigura la persona nuda, è meglio.
Quest’ultimo requisito non ha nulla di straordinario, considerati i costumi
attuali.[2]
La fotografia, in quanto
veicolo delle irradiazioni fluidiche, è indispensabile. Sarebbe bene potergli
aggiungere un oggetto che la persona amata portava con
sé: una sua lettera, un fazzoletto, dei guanti, una ciocca di capelli, ecc. Più
potrete disporre di simili cose che gli sono appartenute e rimangono impregnate
della sua vitalità, maggiori saranno le vostre possibilità di poter agire sul
suo astrale. La forza fluidica aumenterà proporzionalmente al possesso di oggetti che sono stati in contatto diretto con la pelle
della persona.
Bisogna racchiudere accuratamente tutto quanto in un
sacchetto di seta verde e conservarlo in un posto segreto, lontano da sguardi
profani. Poi, di Venerdì, ad un’ora di Venere (vedi quanto detto a p….) e di
preferenza la sera per beneficiare del massimo di calma e silenzio, isolatevi
in un luogo che vi farà da oratorio, e che avrete
preventivamente purificato bruciandovi dell’incenso.
Siate nudi sotto un’ampia veste di seta verde. In
mancanza, un accappatoio bianco basterà ma, in tal caso, mettetevi
al collo una sciarpa verde a mò di stola sacerdotale. L’altare magico sarà
costituito di un tavolo nuovo o che non è mai stato usato a scopi
profani; quest’ultimo potrà essere assai semplice, in legno grezzo per esempio,
ma bisognera che sia assemblato a incastro, senza
chiodi. Ogni oggetto metallico dev’essere accuratamente eliminato. Gli
strumenti metallici dovranno essere invece di rame. Il tavolo verrà coperto da una tovaglia di lino grezzo.
Estraete dal sacchetto di seta il ritratto
dell’essere amato e gli altri oggetti che disporrete all’intorno, in mezzo a
due candele di cera verde. Spegnete ogni altra luce. In un
bruciaprofumi di rame, posto al lato sinistro del tavolo, bruciate
dell’incenso, dell’ambra, della polvere di legno di sandalo, del benzoino
e foglie secche di verbena.
Se vi è possibile disporre
anche di qualche fiore venereo, come rose, violette, gelsomini, pensées,
resede, lillà, giacinti, la loro presenza aumenterà la potenza benefica
dell’incantesimo ed un mazzo di questi fiori sarà un prezioso veicolo di fluido
venereo.
Isolatevi, in modo che nessuno possa vedervi o solo spiarvi. Imposte chiuse o
tendaggi spessi e opachi alle finestre. Lo ripetiamo, qualunque operazione
magica necessita del segreto e dell’isolamento più
assoluto. A meno che non operiate per conto di altri,
in tal caso la loro presenza sarà opportuna.
Avendo disposto tutto come si conviene, rimanete in
silenzio di fronte all’altare, assorti nel pensiero dell’essere amato. Rimanete
in tale condizione per circa sette
minuti, poi, con un forte sforzo di concentrazione, fissate con sguardo fermo
ma dolce il ritratto, le braccia protese, le mani aperte, e pronunciate tre
volte ad alta voce l’invocazione che segue, alzando il tono ogni volta oppure,
fatto che ne decuplicherà la potenza, salmodiando molto lentamente come una
preghiera liturgica:
N… (nome della persona amata) vieni al mio richiamo,
guidata da Anael che invoco. Di già, con la mia volontà, il tuo doppio si impregna degli effluvi del mio desiderio. Che il tuo spirito sia colpito, che la tua anima si unisca alla mia
e che il tuo corpo si apra al piacere. Che i geni
propizi, animati dal mio verbo, mi aiutino ad incatenarti e dirigerti a me. Sia
fatta la mia volontà e compiuta l’opera. Amen!
In seguito, se necessario, spargete dei profumi
venerei nella scatola di rame e, imponendo le mani aperte sul ritratto e sugli
oggetti, chiedete mentalmente ciò che volete dall’essere amato; poi con voce
dolce, avvolgente, carezzevole, parlate ad esso come
se fosse presente in carne e ossa assieme a voi nella stanza. Ditegli frasi
semplici, piane, schiette non contorte. Siate pressanti e imprimete
forza al vostro desiderio.
Non calate di intensità;
quando non avrete altro da aggiungere, non sforzatevi, che le parole
diverrebbero banali, ed è quello che si deve evitare. Prendete le foto e gli
oggetti e baciateli amorosamente. Poi, portatevi lentamente le mani alla
fronte, alle labbra, al cuore. Tendetele di nuovo verso il ritratto. Rinnovate
un appassionato richiamo mentale e riponete il tutto. Se potete, offrite o fate
offrire alla persona amata i fiori con i quali avete
adornato l’altare durante l’incantesimo. Quest’operazione condotta per una
settimana (periodo Venereo) sarà di efficacia sicura.
§§§
Gli
antichi grimori ci hanno conservato delle curiose formule d’incantesimo e di evocazione. Dai vecchi testi, abbiamo tratto quelli che
seguono, assai caratteristici e pittoreschi. Non dubitiamo che mantengano le
promesse se vengono svolti come si conviene.
Bisogna cercare in luna crescente o calante, tra le
undici e mezzanotte, una stella nel cielo ma, prima, fate ciò: prendete della
pergamena vergine, scriveteci sopra[3]
il nome di colei che volete vi venga a cercare. Dall’altra parte, scrivete: Meschidael, Bareschas; ponete quindi la
pergamena in terra col nome della persona verso il suolo, pressata dal piede
destro mentre il ginocchio sinistro è a terra; allora, mirando la stella più
lucente, reggendo nella mano destra una candela di cera bianca che possa durare
un’ora, pronunciate la seguente congiurazione:
“Ti saluto e congiuro, o bella luna e bella stella,
lume brillante che tengo nella mano, per l’aria che respiro, per l’aria che è
in me e per la terra che tocco. Vi congiuro per tutti i nomi degli spiriti
supremi che risiedono in voi, per l’ineffabile nome On, creatore di tutto; per
te bell’angelo Gabriele, con Ermete onnipotente, Michael e Melchidael. Vi
congiuro DERECHEF per tutti i nomi divini di andare ad ossessionare,
tormentare, agitare nel corpo, nell’anima, nello spirito e nei cinque sensi N…,
il cui nome è scritto qui sotto, in modo che venga da me e compia la mia
volontà, e che non abbia amicizia con nessun’altro,
specie per N… (nome dei possibili rivali), fintantochè io gli sarò
indifferente; che non possa resistere, che sia ossessionata, tormentata e
sofferente. Andate dunque senza indugio, Melchidael, Bareschas, Zazel, Tiriel,
Malcha, e tutti quanti voi che gli obbedite; vi
congiuro, per il gran Dio vivente, di inviarmela subito per soddisfare la mia
volontà. Io, N…, prometto di soddisfarvi.”
Dopo aver recitato tre volte questa congiurazione,
appoggiate la candela accesa sopra la pergamena e lasciatela lì tutta la notte.
La mattina, prendete la pergamena e mettetela nella scarpa sinistra e
lasciatevela fintantochè la persona desiderata non sia venuta
a cercarvi. Bisogna specificare durante la congiurazione il giorno che desideriate che venga, ed essa verrà.
§§§
Ecco ora un’altra evocazione
potentissima, per ottenere ciò che si vuole, e principalmente l’amore
dell’essere desiderato. Questa cerimonia si compie sotto gli auspici di Ecate,
Dea degli incantesimi:
Per nove giorni consecutivi, con la luna crescente,
dopo il suo quinto giorno, bruciate dell’incenso in onore delle potenze
protettrici delle anime del Purgatorio; recitate ogni
volta un Pater specificatamente per la pace di queste stesse anime e
accendete allo stesso scopo una candela in onore degli spiriti protettori delle
anime del Purgatorio per il loro stesso riposo con l’intenzione che avete in
mente. Dopo questo preliminare, per tre notti di seguito, accenderete
del fuoco in uno scaldino e con questo in mano girerete tre volte intorno
formando un cerchio. Posate poi il fuoco al centro e gettatevi dell’incenso
implorando mentalmente la Dea Ecate. Poi, con le braccia appena alzate, dite la
seguente preghiera:
O Ecate, Dea nei cieli, Dea
sulla terra e Proserpina negli inferi; o madre delle ombre, regina suprema
dell’esercito dei morti, non scagliarmi contro le tue legioni, o Ecate, ma fa
piuttosto che queste mi obbediscano. O triplice Ecate, grande Dea degli
incantesimi, in questo fuoco che ti offro l’incenso
brucia in tuo onore; o Ecate, che la tua divinità venga a me, che la tua
potenza mi circondi, mio padre non ne rimarrà offeso! Per
Ecate, o genio maestro dell’aria; per Ecate, anime dannate dei morti, per
Ecate, o voi che vi agitate nel basso astrale; per Ecate, venite in mio aiuto,
mia leva, mio esercito!
Riprendete lo scaldino dopo avervi gettato di nuovo
dell’incenso, ripercorrete una volta il cerchio ed alzatelo verso i quattro
punti cardinali, formulando mentalmente la vostra richiesta ai geni. Dopo,
gettatevi dentro del pane e del vino per le anime del Purgatorio e dite:
Per Ecate, ho chiamato nel
silenzio delle notti le legioni dell’aria, l’armata fastosa degli Obs: agli uni
ho offerto l’incenso che li sollecita, agli altri il pane di cui sono affamati. Così sotto la luce degli
astri possano agire le forze chiamate, e come un sovrano nel
suo mantello di porpora, il tuo servo fedele, o Ecate, si addormenta con
fiducia.
§§§
Per finire, queste due formule, estratte anch’esse
da antichi grimori, semplici ed efficaci, se eseguite
correttamente:
Mantenetevi casti per sei giorni, il settimo,
obbligatoriamente un Venerdì, mangiate e bevete alimenti di natura calda, che possano eccitarvi eroticamente. Quando vi sentirete in
questo stato venereo, cercate di intrattenervi in amichevole conversazione con
la persona desiderata, e fate in modo che vi guardi
negli occhi e voi i suoi, per il tempo di un’Ave Maria. Infatti i raggi visivi che si incrociano sono dei potenti
vettori dell’amore, in grado di giungere fino al cuore né alcunchè può
resistergli, né la più grande ritrosìa né la massima indifferenza. E’ molto
difficile indurre una ragazza pudica a guardare fissamente un giovane uomo per
un certo tempo[4], ma la si potrà costringere dicendogli per scherzo che si
conosce un segreto, che consiste nell’indovinare tramite lo sguardo degli
occhi, se ci si sposerà presto, se si farà un matrimonio felice, se si vivrà a
lungo, o qualcosa di simile tale da eccitare la curiosità della persona e che
la induca a guardare fissamente.
§§§
Prendete una verghetta d’oro, adorna di un piccolo
diamante, che non sia mai stata impugnata se non
dall’orefice che l’ha fabbricata; avvolgetela in un lembo di tessuto serico, e
portatela per nove giorni e nove notti tra la pelle e la camicia, sul cuore. Il
nono giorno, all’alba, incidete con un punzone nuovo al centro della verghetta
la parola Scheva. Poi fate in modo di procurarvi tre capelli della
persona da cui volete essere amato, e accoppiateli con
tre dei vostri, dicendo: “O corpo, che tu mi possa amare, e che il tuo animo
sia ardente quanto lo è il mio, per la virtù efficace di Scheva”.
Bisognerà legare questi capelli con nodi d’amore, in
modo che la verghetta sia più o mena allaciata in mezzo ai lacci e, dopo averla
avvolta nel tessuto, la indosserete subito sul cuore per ulteriori sei giorni,
mentre il settimo giorno, libererete la verghetta dai lacci d’amore e farete in
modo che questa sia accettata in dono dalla persona amata. Tutta questa operazione deve farsi all’alba e a digiuno.
Le
formule per la fattura d’amore sono numerose e svariate. I grimori antichi ne
contengono di assai caratteristiche ma non prive di pericoli; i piccoli libri
di stregoneria contrabbandati nelle campagne, pubblicano, più o meno deformati,
i rituali della fattura d’amore e di odio.
Per evitare degli infortuni che possono essere molto
gravi, noi mettiamo in guardia i nostri lettori da tutte quelle formule in cui
è prescritto l’uso del sangue, specie quando si richiede del sangue che non sia
il proprio. Non sappiamo esimerci dall’insistere su tale argomento, in quanto queste pratiche conducono alla malattia, alla
follia e, qualche volta, anche a peggio.
I diversi rituali di fatture d’amore che
pubblichiamo sono senza pericolo. Per riuscire a fare
una fattura, è necessario creare il voult che è una rappresentazione
della persona su cui si vuole agire[5].
Nella magia antica questo voult era un pupazzo di legno o, più spesso,
di cera, a cui si dava la forma dell’essere amato. Nella fattura di odio, si adoperava il cuore sanguinolento di un animale,
ma siccome non c’è qui posto per simili rituali, essendo il nostro lavoro
consacrato alla sola magia d’amore, noi non ci soffermeremo su cose che
concernono carni ed organi animali.
Oggi il voult ideale è la fotografia. Si sa
da quando si è cominciato a parlare di radiestesia, che la fotografia è il
“doppio” vivente della persona rappresentata, ed essa emette delle radiazioni
fluidiche. Abbiamo già detto che sarebbe preferibile adoperare la foto di una
persona nuda. Vi si aggiungeranno possibilmente oggetti impregnati dai suoi
fluidi come calze, guanti, fazzoletti ecc… o ancor meglio, parti corporee:
capelli, framenti di unghie ecc.
Ma non si esageri come avvenne
per gli stregoni medievali, che adoperavano anche l’urina e gli escrementi. E’
evidente che tali materie sono fortemente
sensibilizzate ma si può procedere in modo altrettanto energico senza ricorrere
a queste cose disgustose che profanano l’oratorio magico.
La pratica basilare della fattura d’amore consiste
nell’utilizzare, accarezzare, abbracciare la rappresentazione sensibile
dell’essere amato – pupazzo di cera inpregnato di sostanze intime, o fotografia
– detta voult o dagyde. Gli innamorati che portano sempre indosso
il ritratto del loro amore, e che lo guardano e lo abbracciano più volte al giorno, effettuano una fattura inconscia sulla persona
rappresentata; senza saperlo, agiscono in base ai principi magici di Paracelso,
che pretendeva giustamente che l’immagine di un essere veicola una parte della
sua sensibilità. Ora, il soggetto risente per contraccolpo di ciò che si fa
subire alla sua immagine, in bene o in male. Soffre delle operazioni malevole o
si sensibilizza alle carezze e alle pulsioni di desiderio erotico.
Ci sono stati dei fattucchieri che hanno praticato
la magia sessuale, mettendo in contatto il ritratto dell’essere concupito con
il loro sesso eretto. Noi siamo stati testimoni di successi
insperati dovuti a fotografie contemplate, accarezzate, baciate per giorni
e notti…
Il seguente rituale, per quanto semplice, è
efficace, posto che sia eseguito alla lettera. Un Venerdì, in ora venerea, si dispongano sull’altare magico gli
oggetti seguenti: a sinistra, nell’angolo superiore: il bruciaprofumi;
nell’angolo inferiore: del sale in un piccolo portacenere di rame. A destra, nell’angolo superiore: un candeliere di rame, con un cero
verde acceso; all’angolo inferiore: un vaso di cristallo pieno d’acqua, con un
ramo di timo o di verbena. Tutti questi oggetti devono essere nuovi e
purificati con profumazioni veneree prima di essere usati. Il sale, il cero, i
profumi, i fiori, il timo e la verbena verranno
comprati o raccolti di Venerdì, in ora venerea.
Brucerete nel bruciaprofumi o scatoletta,
dell’incenso (profumo solare sintetico) e dell’ambra, del benzoino, foglie di
verbena, del legno di sandalo, essenze di rosa e violetta (profumi venerei). Il
centro dell’altare sarà adorno con petali di rose e violette o altri fiori
venerei, due bacchette di cera pura e vergine che si saranno preventivamente
modellate con delle forbici d’argento. Di fronte, a sinistra, disponete il
rituale, confezionato con carta-pergamena sulla quale avrete
trascritto direttamente con inchiostro verde, le formule e
l’invocazione.
L’altare sarò così
orientato: a est, il bruciaprofumi; a ovest, l’acqua; a nord, il sale; a sud,
il cero. Avendo così disposto le cose reciterete, con braccia tese e
leggermente alzate, a mani aperte e dita divaricate, un’orazione,
un’invocazione ed una congiurazione agli angeli di Venere. Se ne trovano
diverse in vari rituali. Le seguenti, estratte dalle Clavicole di Rabbi
Salomon, ci sono parse interessanti da citare grazie alla potenza conferitagli
dalla tradizione:
ORAZIONE
Signore
Abalidot, che ami i tuoi servitori, e da essi vuoi
essere corrisposto, ti prego per l’intercessione di quei geni celesti che più
ami, e cioè Samael, Corath, Kadiel, Porna; ti prego di effondere sulla mia
operazione i tesori della tua bontà affinchè quello che sto intraprendendo
abbia un successo conforme alle mie aspettative, ed io possa renderti gloria
con l’opportuna riconoscenza.
INVOCAZIONE
Giungete sulle ali di Zefiro, geni beati che
presiedete alle operazioni dei cuori. Venite o celesti Sarabotes, Hufaltiel,
Dormiel, Treviel; ascoltate benevolmente l’invocazione che io recito in questo
giorno destinato ai portenti dell’amore. Compiacetemi e soccorretemi per
riuscire con successo in ciò che voglio intraprendere, con la speranza che voi
mi siate favorevoli.
CONGIURAZIONE
Vi
congiuro in nome della venerazione che portate per il misterioso nome Setchiel,
o geni benevoli che presiedete alle operazioni che oggi compio.
Io vi congiuro Talaroth, Mivig, Crephaniel, Cleuros, affinchè voi arriviate con tutta la potenza di cui siete capaci nello
sbaragliare e mettere in fuga gli spiriti maligni e nemici delle buone
operazioni. Fate dunque per mezzo della vostra potente virtù che io riesca in
ciò che ho intenzione di fare in questo giorno sacro a
Venere.
In seguito, procederete alla benedizione dell’acqua,
e del fuoco acceso nella scatola, recitando le seguenti orazioni ed
invocazioni:
per il fuoco: Orazione: Dio di Mosè, Dio
di Aronne, Dio di Abramo, benedici e purifica questa creatura di Fuoco,
affinchè ti sia bene accetta, e purifica tutti i luoghi in cui essa arderà.
Amen. Fatto ciò, si spargerà prima l’incenso dicendo: Agios, Athanatos, Beron,
Ciel, Dedotois. E Tu, Eterno, Essere degli Esseri,
Santificatore dell’Universo, benedici e consacra quest’incenso fino a Te.
Similmente, degnati di esaudire le mie preghiere. Amen! Si getteranno poi i
profumi venerei dicendo: Anael, Anael, Anael.
Per l’acqua: Orazione: Concedete, Signore Dio di Mosè, di Aronne e di Abramo, concedete, Signore, a quest’acqua una
virtù favorevole; e per l’azione del vostro santo angelo Anael e dei benevoli
geni di Venere, che sia consacrata, ritrovando la sua originaria purezza. Amen!
Imponete poi le mani sul vaso dicendo: Anael, Anael, Anael.
Per il sale. Orazione: Che questo sale purissimo non venga mai corrotto, e mantenga la sua virtù di Saggezza, per
Hochmael e in virtù di Rouach-Hochmael.
Prendendo allora il portacenere, gettate nell’acqua,
in forma di croce, quattro prese di sale dicendo: Che per questa miscela,
Signore, quest’acqua si impregni della vostra saggezza
e della vostra forza. Conferitegli il potere di benedire e di
scacciare gli esseri impuri e gli spiriti malvagi. Amen!
Soffiate poi tre volte sull’acqua, poi con il ramo
di verbena, aspergetevi portando l’acqua alla fronte,
alle labbra e al petto. Aspergete in seguito l’altare, i fiori e la cera. Indi
prendete le due rondelle di cera e tenendole nella voluta dei profumi, dite:
Gettate, o Signore, uno sguardo benigno su questa pura cera. Io la consacro per
l’opera dell’amore. Impregnatela con il celeste Sarabotes e gli angeli Anael e
Samael, rendendola così propizia per la ricezione dei fluidi che vi imprime la mia volontà. Amen! Inserite quindi in una
delle rondelle di cera dei capelli e dei ritagli di unghie
della persona amata, una particella dell’abito che indossa o di un fazzoletto
di cui si è servita e una fototessera; al di sotto incidete il suo nome con
l’aiuto di un bulino o di una punta di rame. Nell’altra rondella, inserite
similmente le stesse cose ma provenienti dalla vostra stessa persona, la vostra
immagine e incidete il vostro nome.
Poi, in silenzio e molto
lentamente, concentrando fortemente il pensiero e proiettando il desiderio,
fate combaciare le due rondelle. Fermatele con un filo di seta rosa e racchiudetela
assieme a petali di rosa e violetta in un sacchetto di seta verde. Mettete il
sacchetto sotto il fumo dei profumi pronunciando tre volte il nome della
persona amata. Infine, rimettendo tutto a posto, nascondete il sacchetto in un
luogo noto a voi solo.
Si deve notare che la fattura d’amore non avrà alcun
effetto se la fede dell’operatore non avrà messo in moto le superiori potenze
astrali. Invocazioni e congiurazioni da se stesse non hanno alcun potere
deterministico. Servono a fissare la fede e la volontà. Questa fattura potrà venir
fatta dall’operatore a vantaggio altrui. In tal caso questa persona deve
portare indosso e custodire il sacchetto di seta verde con le rondelle di cera
e i fiori.
§§§
Noi abbiamo visto effettuare
una fattura d’amore: il testo delle invocazioni era tratta da Sar Péladan,
meraviglioso mago del verbo, la cui opera prestigiosa contiene dei passi
incantatori davvero degni di figurare in un Rituale d’Amore. Le preghiere
estratte dal romanzo del grande scrittore A coeur perdu, che fu anche
Gran Maestro dell’Ordine della Rosa-Croce, sono
rivolte a Istar. Ma abbiamo già scritto che questa Dea
non è altri che l’eterna Afrodite, adorata e celebrata a Babilonia con altro
nome. La grande Istar è qui la rappresentazione divina dell’Amata che
l’adoratore assorto identifica con Lei. Ciò è conforme alla più antica Gnosi
esoterica, in base alla quale la Dea si incarna per
ogni uomo nella donna che lui ama.
Sopra l’altare magico,
ricoperto da una tovaglia di puro lino, circondato da dodici fiammelle, il
ritratto dell’Amata, in gigantografia, quasi a grandezza naturale, ritoccato con i veri
colori[6]
dei capelli, degli occhi, delle labbra e dell’incarnato, adagiato su un letto
di rose, violette e gigli. Su treppiedi, ai quattro punti
cardinali, delle scatole in cui bruciano profumi venerei. L’operatore,
rivestito con un’ampia tunica di seta verde, inginocchiato sull’altare, adora a
lungo l’immagine della Desiderata, come se si trovasse, distesa sull’altare,
lì, in carne ed ossa., baciandone, allorchè si rialza,
il ritratto su occhi, labbra, seni, coscie e piedi. Poi gettando in ogni
scatola delle resine odorose e foglie di verbena, incanta con queste parole gli
spiriti degli elementi:
Che
le Silfidi non lascino circolare che il mio soffio, quando respirerà la grande
Isthar; solo ciò che esce da me possa entrare in Lei.
Che gli Gnomi tolgano la terra sotto i piedi di Isthar,
se ella si allontanasse da me. Che le Ondine non lascino alcuna umidità in
Istar, se non l’acqua della mia bocca e dei miei occhi. Che
le Salamandre non accendano in Isthar altra fiamma che la mia.
Dopo ciò, circondato dalle
volute di fumo che salgono dall’altare, il mago-amante, in posa ieratica e
reggente in alto il Pentagramma delle evocazioni, continua:
Per
il santo Pentagramma, che io sia ubbidito nei tre
mondi: materia, io ordino; anima, io voglio; spirito, io congiuro. Al mio
ordine, al mio volere, al mio pensiero, che sia obbedito secondo le Norme, per
la virtù dei pentacoli!
Il fattucchiere recita poi delle invocazioni ai geni
benefici di Venere, estratte da un antico rituale magico, poi dopo aver baciato
per primo il ritratto sulla fronte, tra le labbra e sul ventre, salmodierà
l’ammirevole preghiera del Péladan che i nostri lettori ritroveranno in A coeur perdu.
Aprite
le porte o voi che ormai conosco; che siano spalancate le tue porte, o Istar,
poiché io ti sono consacrato come Re di Gloria.
L’operatore traccia poi col suo dito sul ritratto
una croce sormontata da un cerchio, cioè il segno di
Venere, dicendo:
Con
questo segno, svaniscano i fantasmi del tuo pudore ormai inutile. Voglio con labbra possessive prenderti i seni e suggerli; ogni tua
bellezza io marchierò come fosse bestiame, perché ne sono diventato il padrone
e pastore; nessun altro ormai potrà avanzare diritti allo stringere le tue bianche
mammelle e alla vista del tuo vello.
Posando ogni volta un bacio sulla parte
corrispondente del prestigioso ritratto, che deve
sembrare potersi animare e vivere sotto l’impulsione di questa liturgia
erotica, il fattucchiere prosegue nella straordinaria invocazione:
La
tua fronte, sede del pensiero indipendente, diverrà solo
il docile specchio del mio dispotico volere. I tuoi occhi, questi frutti da cui
l’anima riceve la spiritualità delle forme e dei colori, vedranno solo me,
unico spettacolo permesso al loro sguardo, unico uomo concesso di contemplare.
Le tue guance, come frutti vermigli, non arrossiranno più di fronte al
desiderio che le scruta: appartengono solo al mio mordere. La tua bocca non
dispenserà più sorrisi agli altri; solo io schiuderò le tue labbra; solo i miei
denti toccheranno i tuoi e tu non berrai altra acqua
che quella della mia bocca. Il tuo collo avrà per collana solo il mio abbraccio
ed inclinerà elegante la sua rotondità per anticipare i miei baci. Le spalle
sopporteranno solo il peso delle voluttà che ti offrirò; solo per me saranno
dolci cuscini al mio languore. Le braccia, edere sul mio corpo, non serreranno
nient’altro che me, come belle liane. Le mani non stringeranno che le mie,
essendo io tutto l’orizzonte e tutta la terra da accarezzare.I tuoi seni non si inturgidiranno che per me; la tua gola non scandirà che
la violenta armonia che io ti insegnerò. Il tuo ventre, tabernacolo di spasmi,
non si schiuderà che alla mia pretesa d’amore; unico fra tutti, vi imprimo ritmo e scansioni. I tuoi fianchi non si
cingeranno che del mio abbraccio e non trarranno piacere che dai miei occhi
vaghi. Le tue cosce resteranno chiuse e come custodite dal basilisco. I
ginocchi saranno uniti e non si allontaneranno che al mio inginocchiarsi di
ierofante del tuo fascino. I tuoi piedi, inchiodati a terra piuttosto che
percorrere strade in cui non sei l’unica ad andare se non quelle della mia
volontà e voluttà; ho bagnato i tuoi piedi con olio di cedro affinchè mi siano
fedeli, per poter fuggire come quelli di una gazzella una tentazione lasciva, o
mio vero tesoro; ad una statua di basalto per poter attendere – poiché io ti
consacro, con questa mia invocazione, tempio vivente di ogni
mio ideale, dove verrò ad effondere la benevolenza del mio cuore, dove verrò ad
effondere due auguste libagioni: i fiori del sangue e il carbonchio del pianto.
I profumi magici diffondono nell’ambiente, vero oratorio
d’amore, una pesante coltre di odori che amalgama i
mobili, gli oggetti e i tre esseri privilegiati che assistono a questa strana
liturgia. Le fiammelle dei dodici ceri verdi non si scorgono più se non
attraverso una leggera caligine che ne accresce il
riverbero, illuminando l’immagine nuda che sembra sorridere con un’attitudine
languida e voluttuosa. Si sarebbe detta una donna reale, adagiata sull’altare a
ricevere gli omaggi dei suoi adoratori. Ora regna il silenzio, e nella
concentrazione della propria volontà il fattucchiere proietta mentalmente la
sua forza d’amore, formando l’eggregoro destinato a colpire l’Amata e a far
nascere in lei il desiderio.
In nessun momento abbiamo dubitato della riuscita e successivamente abbiamo saputo che lo scopo della cerimonia
era stato conseguito, perché dopo qualche tempo, le cronache mondane dei
giornali annunciarono il matrimonio del mago-amante con la figlia di uno dei
più noti diplomatici.
Ai nostri giorni non si crede quasi più
all’incantesimo della stringa, confusa peraltro da certi autori con la fattura
propriamente detta. A dire il vero, l’incantesimo della stringa vi si
approssima, ma è piuttosto una variante della fattura di odio,
poiché si tratta di un maleficio. Si sa che questo cattivo sortilegio ha per
scopo l’acquietamento degli strumenti sessuali attraverso la paralisi del senso
genesiaco; si ripartisce in tre categorie ben distinte:
Il legamento della stringa,
mediante cui si annoda letteralmente il desiderio amoroso nei due
esseri, principalmente tra i giovani sposi, la prima notte di nozze. Trae il suo nome dalle
stringhe che chiudevano le braghe sul davanti. Quante donne gelose hanno fatto
ricorso a quest’incantesimo per colpire d’impotenza sessuale una rivale felice
e il suo non men felice amante, impedendogli in tal modo di darsi all’azione venerea!
Pratica di uso comune nei tempi in cui la stregoneria
“entrava” nella vita quotidiana!
L’incavigliamento è un altro sortilegio mediante il
quale si ostruiscono i condotti naturali attraverso i quali si esplica l’atto sessuale, in modo tale che i partecipanti non
riescono più ad assaporare il piacere fisico dello spasmo. Inoltre, la legatura
paralizza per un tempo più o meno lungo le facoltà fisiche.
Secondo il celebre demonologo Bodin, c’erano più di
cinquanta modi di legare o annodare la stringa, e Bouguet, un altro demonologo
che scriveva sotto il regno di Enrico IV, constatava
che quest’usanza deleteria era ai suoi tempi pratica corrente: “La pratica è
oggi – diceva – più in voga che mai, dato che gli stessi bambini si vantano di
annodare la stringa, e ciò merita un castigo esemplare”.
I procedimenti rituali di questo maleficio sono
numerosi e diversi. Ordinariamente, li si compiono in
chiesa, nel corso della cerimonia nuziale. Il maleficiante si
munisce di un laccio; quando si giunge al momento dello scambio degli anelli,
egli fa a questo laccio un primo nodo; poi un secondo al momento della
benedizione nuziale, ed infine un terzo, quando i coniugi si trovano “sotto il
lenzuolo”. Certi autori hanno capito che si trattava in quest’ultima
azione di annodare il laccio nel momento in cui i due giovani sposi andavano a
letto. Ma è un’errore di interpretazione; la terza
parte della legatura aveva luogo quando, in chiesa, si ricoprivano gli sposi
con una sciarpa di panno, da cui l’espressione pittoresca di Bodin.
Gli antichi autori ci hanno trasmesso altre ricette,
e per curiosità, ne enumeriamo alcune: una di queste
prescrive di porre le due mani di fronte a sé, ripiegate verso i polsi, il
palmo in fuori; in questa posizione si allacciano le dita cominciando dal
mignolo della mano sinistra, e facendo alternare quelle di una mano con quelle
dell’altra fino a che i pollici si toccano. L’operazione va fatta lentamente,
in chiesa, nel corso della celebrazione del matrimonio, nell’attimo in cui il
marito mette l’anello al dito della donna.
Ci sono anche delle ricette molto
meno complicate: per esempio, si potevano fare tre nodi a tre a tre
nastri tenuti assieme dalla mano, dicendo: “io annodo i lacci di Venere”. Però
il maleficio si doveva fare in segreto e senza destare l’attenzione, altrimenti
avrebbe potuto venire distrutto dalle vittime in modo
molto semplice, urinando nell’anello nuziale! Un antico grimorio da questa
ricetta per annodare la stringa:
Prendete il membro di un lupo ucciso di recente e
vicino alla porta di casa di colui che volete legare a
voi chiamatelo per nome e, quando avrà risposto, annodate al membro del lupo un
laccio di filo bianco, e diverrà talmente impotente a compiere l’atto venereo
più che se fosse castrato. Subito dopo, lo stesso grimorio offre i mezzi per
rimediare a questa sventura: valide esperienze hanno dimostrato che per
rimediare ed anche prevenire questo tipo di incantesimo,
è sufficiente portare un anello con incastonato l’occhio destro di una donnola.
Ecco ancora altre ricette contro l’incantesimo della
stringa annodata: il picchio verde è un rimedio sovrano contro tale maleficio,
se lo si mangia arrostito, a digiuno, con sale
benedetto. Se si respira il fumo del dente bruciato di un uomo morto di
recente, si verrà liberati dall’incanto; cosa che
succede parimenti se si mette dell’argento vivo in un cannello di paglia
d’avena o di frumento e si ponga poi sotto il letto dove dorme la persona
colpita dall’incantesimo.
Se una donna è colpita da
questo maleficio, si congiura in questo modo:
Le si fa reggere un cappello in cui
si sono messe erbe della famiglia delle crocifere seccate da due venerdì. Con
la donna in piedi che regge il cappello, l’operatore dice: “Mia Cara, non vi ho
dato un cappello nuziale e pertanto vi offro questo qui, assicurandovi che da tempo voi non portate un cappello migliore per il vostro
benessere. Questo cappello infatti serve a liberare
dal cattivo incantesimo che vi tiene legata e scontenta.”. L’operatore prende
poi il cappello e lo pone in testa alla donna dopo avervi segnato sopra per tre
volte la croce di Sant’Andrea. La maleficiata si toglie poi il cappello
conservandolo con cura lontano da ogni sguardo profano. Dopo nove giorni, a
mezzanotte, lo brucia con le erbe secche, recitando sopra al braciere:
“Così come questo fumo, tu ti dissolverai, cattivo incantesimo!”.
Per liberare invece un uomo, si prendono le stesse
erbe della famiglia delle crocifere e le si racchiudono
in un pezzo di stoffa nuova di lino bianco o di seta. Si traccia tre volte
sopra il segno della croce di Sant’Andrea prima di
restituirlo al maleficiato. Costui deve portarlo indosso nove giorni e il nono
giorno, a mezzanotte, lo brucerà dicendo: “Io che non ero più nessuno, ecco che
rinasco. Vengo liberato dal cattivo incantesimo che se
ne va in fumo!”.
Durante il Medio-Evo, il Rinascimento e per tutto il
XVII secolo, gli iettatori e i legatori di stringhe seminarono il terrore, al
punto che molti di quelli che avevano qualche motivo di temere un maleficio si
sposavano in segreto.
§§§
Ci è parso il caso di cercare
ciò che i teologi pensavano di tali pratiche. Beninteso, la Chiesa le ha sempre
condannate, giudicandole ispirate da Satana in persona. E a riguardo vogliamo
citare l’opinione del Padre Debreyne, che fu medico e
monaco trappista. Questo teologo, affiancato da un esperto in materie sessuali,
il quale ci ha lasciato un gran numero di libri sulla medicina vista dalla
religione, era della stessa opinione di Poul Zacchias, medico di Papa Innocenzo
X, e cioè che si dovesse prestare poco credito a
questo tipo di malefici, per quanto a volte essi esistessero realmente. Padre
Debreyne aggiunge:
“Del resto, il demonio, per nostra sfortuna, non ha
nulla da perdere. Ha trovato il sistema per sdebitarsi ampiamente, e si sa come
sfrutta il matrimonio per il suo deplorevole e immenso profitto. Volete sapere
su quale sposo il demonio più spesso esercita il suo potere e la sua infernale
malizia? L’angelo Raffaele ve lo insegna con queste parole che rivolse a Tobia:
“Ascoltami, ed io ti dirò quali sono i malefici che il demonio può rivolgerti
contro… Le persone che si sposano e bandiscono Dio dai propri pensieri si
abbandonano alla deboscia come tutti gli animali privi di ragione, e il demonio
impera su di loro. Ecco davvero il più terribile dei
malefici ed è incontestabilmente il più diffuso. Sembra che il demonio abbia
più interesse oggi a spingere gli umani verso passioni brutali nei rapporti
matrimoniali piuttosto che renderli incapaci di compierli. Se oggi non uccide
più i mariti come fece morire un tempo i sette sposi di Sara, è perché ritiene
miglior cosa trascinare con sé nell’abisso eterno un numero infinito di anime”.
Insomma, secondo il degno trappista, il diavolo ci mette lo
zampino, spingendo piuttosto i coniugi ad un uso smodato dell’atto sessuale,
mentre invece lo scopo degli stregoni era di renderli impotenti! Lo si vede bene, il Padre Debreyne non crede certo al
maleficio che annoda… egli
crede piuttosto al maleficio che spoglia,[8] eccome! E’
dunque preferibile rivolgersi direttamente al demonio anziché chiedere ai suoi
sostituti, nelle faccende d’amore e, a maggior ragione, per tutte le altre. E’
degno di nota il fatto che l’opinione del Padre Debreyne sminuisce la colpa
dello stregone. Vedete bene che mentre quest’ultimo cerca di incatenare e legare, il
diavolo suo maestro al contrario fa di tutto per “liberare” e spingere gli
amanti agli estremi limiti della lussuria!
Altri teologi però ammettono di buon grado la realtà dei
sortilegi contro l’atto d’amore. Il Padre Crespet, priore dei Celestini,
enumera undici sistemi per mezzo dei quali, a suo dire, è possibile bloccare
gli effetti del matrimonio:
1 – con certe piante che raffreddano l’ardore amatorio
2 – con certi malefici che tolgono la voglia di accoppiarsi
2 – con una fattura che rende il corpo atono
4 – con l’annullamento della volontà di uno dei coniugi
5 – con l’incatenamento, bloccando gli orifizi naturali
6 – con il sortilegio che impedisce all’uomo di muoversi
durante il coito
7 – con il sortilegio di convincere un coniuge che l’altro
non lo ama più
8 – con il sortilegio di allungare o di ingrossare troppo il
membro virile o di stringere troppo l’orifizio della donna, in pratica rendendo
il coito impossibile
9 – con l’ispirare all’uomo disgusto per le parti genitali femminili
10 – con il sortilegio di perturbare i movimenti del coito
11 – con il sortilegio di unire talmente l’uomo alla donna
mentre il pestello è nel mortaio, da non potersi più staccare.
Come si vede dal pittoresco elenco testè descritto, il nostro
pensoso teologo non manca di umorismo!
Capitolo dodicesimo
SEGRETI MAGICI DI GRIMORI SU DONNE E AMORE
I Grimori contengono un gran numero di segreti per l’amore.
Se ne trovano qua e là in questi antichi compendi: preghiere, congiurazioni e
ricette per far nascere dolci e teneri sentimenti, per assicurarsi della
fedeltà della donna amata, per conservare la virilità o ravvivarla nel caso di impotenza.
Che pensare
di questi “segreti” esposti il più delle volte con un linguaggio simbolico[9]
e qualche volta ingenuo? La maggior parte sembrano
sciocchi e inefficaci; nondimeno, se si sperimentano secondo le prescrizioni
talvolta difficili, e in armonia planetaria, si dimostrano efficaci!
Per le formule, queste si appoggiano all’antica farmacopea
entrando così a far parte della vasto ambito della
magia naturale, basata sulla legge delle corrispondenze. Si tratta insomma di afrodisiaci e la loro applicazione non ha nulla di misterioso. Bisogna tuttavia servirsene con
prudenza, poiché alcune di queste droghe sono pericolose.
Per quanto riguarda formule, incantesimi e fatture, che
costituiscono il repertorio dei “segreti d’amore”, sono altra cosa rispetto
alla magia naturale, ma vera magia, dello stesso tipo di quella
illustrata nel corso di quest’opera: richiami alle forze astrali,
formazioni di eggregori, uso di forme-pensiero ecc.
Un grosso volume sarebbe appena sufficiente se dovessimo
pubblicare le numerose ricette per l’amore, riferite nei grimori a stampa o
manoscritti, come La
Clavicola di Salomone, Il Dragone Rosso, La Gallina Nera, Il Grimorio di Papa
Onorio, Il Grande e Piccolo Alberto, L’Enchiridion ecc.
Quelle che abbiamo preso a
casaccio, a titolo di curiosità, sono comunque pittoresche: alcune sono di
difficile impiego e richiedono ingredienti rari o anche del tutto fantastici. Dove procurarsi la Mandragora oppure corni di liocorno?… -
L’impossibilità della loro esecuzione è dunque un preventivo contro un uso
certamente pericoloso. Le altre sono innocue e di facile impiego, si
potrà in ogni momento sfregarsi le mani con succo di verbena al fine di
accendere d’amore la bella che ci toccherà… Nondimeno, d’accordo con Il Piccolo Alberto,
consigliamo il lettore di leggere questo capitolo “aprendo con magnanimità di
cuore gli occhi della ragione o, in altre parole, leggendo con fede e tenacia”.
Sarà così più facile dopo decidere dell’uso dei “segreti d’amore”.
§§§
1 - La pervinca polverizzata con dei lombrichi dà l’amore a uomini e donne. E’ dunque opportuno mischiarne agli
alimenti e alla carne.
2 – Per farvi amare da una persona scrivete su un pezzo di
stagno le parole seguenti: Abas + Elim + Agedat + Procha e mettete lo stagno
sotto il suo cuscino.
3 – Staccatevi tre peli dai genitali e tre dall’ascella
sinistra, fateli bruciare su un pentolino a fuoco vivo; una volta bruciati,
polverizzateli e metteteli in un boccone di pane che getterete nella zuppa o
nel caffè. Appena la donna o la ragazza a cui li avrete
dati avrà mangiato, state certi che non vi abbandonerà più.
4 – Quando la persona che amate sta dormendo, prendetegli la
mano dicendo: cuore io ti incanto, serba per me il tuo
amore come la Vergine ha serbato la sua castità. Fatevi poi il segno della
croce con la lingua nella vostra bocca, dicendo: in nome del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo. Amen!
5 – Il polmone destro di un avvoltoio portato come amuleto
stimolerà l’uomo all’atto venereo. Così la pietra echite che si
rinviene nei nidi delle aquile, portata sul braccio sinistro, accende l’amore
tra due persone. Quanto all’erba di Venere, detta verbena o pistorion, renderà
molto focoso chi ne porterà addosso uno stelo. Al
contrario, uno zaffiro portato al dito modera il fuoco della passione, e la saune, pietra che si trova nell’isola omonima,
mantiene la donna casta.
6 – Se volete che qualcuno si invaghisca
di voi, fategli mangiare un’allodola; un altro uccello, il milano, fa essere
amati dalle donne, se si tiene la sua testa sullo stomaco.
7 – Uomo e donna
si adoreranno se si fa portare all’uomo un cuore di quaglia maschio e alla donna
un cuore di quaglia femmina. L’osso del fianco sinistro della rana, chiamato oponicom, rende
innamorato chi lo beve polverizzato in un qualsiasi liquido, o se ce l’hanno attaccato sulla coscia.
8 – Un venerdì, prima del sorgere del sole, cercate un rospo
vivo, e attaccatelo per le zampe posteriori nel vostro camino. Quando si sarà seccato, polverizzatelo in un mortaio, mettetelo in un
foglio di carta sotto un altare, sul retro, per tre giorni. Il terzo giorno
alla stessa ora, dopo esservi sincerati che sia stata celebrata la messa su
quell’altare, riprendetevi l’oggetto. Spargete quella
polvere su dei fiori, e ragazze e donne vi seguiranno dappertutto.
9 – Per fare una polvere meravigliosa, estraetevi il sangue
un venerdì di primavera, e mettetelo a seccare in un vasetto smaltato che
terrete alla luce dopo avervi aggiunto i testicoli di una lepre e il fegato di
una colomba. Riducete il tutto in polvere fine e fatelo bere alla persona da
cui volete farvi amare, nella quantità di mezza dracma[10].
Se non succede niente la prima volta, ripetete
l’operazione per tre volte. La formula è infallibile.
10 – La pietra Balesia, che assomiglia a
un pezzo di grandine, con il colore e la lucentezza del diamante, smorza la
concupiscenza ed altre passioni smodate in colui che la indossa.
11 – Prendete la punta del membro
di un lupo, il pelo delle sue ciglia e quello che ha sotto la gola in forma di
barba; riducete il tutto in cenere mediante calcinazione, e fatelo bere senza
che lo sappia alla donna che amate; vi sarete così garantita la sua fedeltà. Il
midollo e la spina dorsale di un lupo fanno lo stesso.
12 – Un venerdì all’ora di Venere,
andate in campagna e raccogliete un mazzo di verbena con la mano sinistra,
dicendo: io ti colgo per la forza di Lucifero, principe dei demoni, e di
Belzebù, madre di tre demoni. Che essa comandi ad Attos, a
Effetan e a Canabo, che vadano a tormentare *** (qui il nome della persona) in
tutto il corpo, e che la mia volontà si compia in ventiquattore. Fate giungere
il mazzo di verbena alla persona da cui volete essere amato.
Una giovane ragazza che vuol conoscere il nome del futuro
fidanzato, andrà a letto senza luce, un venerdì al calar delle tenebre. Avrà
cura di porre al piede del letto le sue calze legate con un nastro bianco ed allacciate assieme ad un piccolo rametto di pioppo. Sotto il
guanciale porrà una foglia di verbena, e prima di addormentarsi si sfregherà
leggermente le tempie con sangue di gallo, dicendo: Anael, inviami la visione
di colui che mi amerà. L’uomo che invece vuole
conoscere la sua fidanzata, deve prendere la testa di una rana schiacciata e
con la poltiglia polverizzata deve fare una pasta. Metterà questa pasta in un
fico secco che appenderà al collo prima di mettersi a
letto, però in posizione inversa, testa in basso e piedi verso il guanciale.
Poi, prima di addormentarsi, dirà: Anael, inviami la visione di colei che mi
amerà. Anael! Anael! Anael! Il giovane avrà maggiori possibilità di vedere il
suo desiderio realizzato se mette ai piedi del letto un ramo di mirto. La
pratica va reiterata per tre venerdì di seguito.
13 – Recatevi in un prato prima del
sorgere del sole, catturate con un lino bianco una piccola rana, mettetela in
una scatoletta su cui avrete fatto nove fori. Andate poi ai piedi di un albero
con un grosso formicaio alla base, scavate un buco e metteteci la scatoletta
ricoprendo col piede sinistro dicendo: che tu possa esser confusa secondo il
mio volere! Dopo nove giorni, alla stessa ora, ritornate sul posto; troverete
due ossi, uno a forma di forcina, l’altro come di una piccola gamba. Quello con
quest’ultima forma, vi farà amare da chi con esso
toccherete. Quello con la forma di forcina ve la farà tornare.
14 – Una donna che voglia dimenticare un amore infelice
prenderà un foglio di pergamena vergine e vi avvolgerà tutti i ricordi che conserva dell’amante perduto. Poi, un venerdì dopo
mezzanotte, andrà in un bosco o in un giardino a scavare un buco in cui
nasconderà i ricordi, esclamando: che tutto ciò che non ha saputo legare venga
sepolto! Al ritorno in camera, berrà tre volte da un bicchiere d’acqua, dicendo
ogni volta: Hilari Cypris! Poi getterà il resto dell’acqua dicendo: così io
respingo tutti i miei ricordi d’amore! Un uomo che invece vorrà scordare un
amore infausto, prenderà un pezzo di pane e pronuncerà sopra di esso sette volte il nome dell’amante infedele; poi getterà
il pane nel fuoco. Quest’operazione si farà tre volte e subito dopo dirà: il
fuoco consuma il mio amore. Il fuoco brucia i miei ricordi!
15 – Prendete due coltelli nuovi ed un
venerdì mattina andate in un posto dove sapete che si trovano dei
lombrichi; prendetene due e, avendo unito bene i due coltelli, tagliate le due
teste e le code e portate via con voi il resto dei corpi. Eiaculateci sopra e
lasciate seccare. Polverizzate e fate mangiare alla persona da cui volete essere amato.
16 – Per farvi amare da una ragazza, prendete la sua mano
sinistra con la vostra destra; guardatela chiamandola per nome e poi dite: io ti incanto per l’anima che porto! Amami così teneramente
come la Vergine Maria ama suo Figlio, e di un amore tanto ardente quanto lo è
il fuoco celeste.
17 – Si trova spesso sulla fronte dei puledri e delle
giovani cavalle un’escrescenza carnea che gli antichi chiamavano hippomanes, la quale è di un effetto meraviglioso quando se ne adopera per
l’amore. Se ci si può procurare un pezzetto di questa carne, la
si farà seccare in un vaso di terracotta smaltato, in un forno, dopo
averne estratto il pane che vi aveva cotto; portandolo indosso e facendolo
semplicemente toccare alla persona da cui ci si vuole fare amare, si riuscirà. Se si riesce soltanto a farne mangiare la quantità
corrispondente a due ceci in un qualche liquore, marmellata o condimento,
l’effetto sarà infallibile. Siccome il venerdì è il
giorno di Venere che presiede all’amore, sarà meglio fare la cosa in quel
giorno là.
18 – L’erba chiamata enula campana ha delle grandi virtù per
l’amore. Bisogna coglierla a digiuno, la notte di San Giovanni, a giugno, prima
dell’aurora. Seccarla, polverizzarla assieme ad ambra grigia e dopo averla
portata indosso sul cuore per nove giorni si cercherà di farla magiare alla
persona da cui si vuol essere amati, e l’effetto si
vedrà. Il cuore di rondine, di passero e colombo mescolati al proprio sangue e
dati alla persona da cui ci si vuole fare amare producono lo stesso effetto.
19 – Il giorno dopo aver fatto l’amore per la prima volta,
bisogna prendere al tramonto due tortorelle, maschio e
femmina, sgozzarle e raccoglierne il sangue in una coppa nuova;
aggiungetevi un poco del vostro sangue e qualche capello della vostra amata,
calcinati. Prendere poi la prima pagina bianca di una Bibbia e scriverci sopra
con una piuma d’oro intinta nel sangue: ovunque andrai andrò, ovunque starai starò; la tua gente è
la mia gente e il tuo Dio è il mio Dio; morirò dove morirai; solo la morte ci
separerà. Staccate la pagina e fumigatela con incenso, poi mettetela sotto il
cuscino del letto matrimoniale. Il sangue che avanza versatelo
in una seconda coppa nuova e meschiatevi del vino. Bevetene la metà e fate bere
il resto all’amata. Nulla potrà più separarvi.
20 – Il segreto seguente è chiamato dai saggi cabalisti: mela d’amore. Si mette in pratica così: un venerdì mattina, all’alba, andate in un frutteto, e raccogliete da un albero la mela più bella; scrivete poi su un quadrato di carta bianca col vostro sangue il vostro nome e cognome e sotto quelli della persona da cui volete farvi amare,