Alberto Barli
Il confronto Nietzsche - Heidegger e la storia della metafisica
[Vedi anche: Heidegger, Nietzsche, Metafisica]
1.
L'interpretazione heideggeriana di Nietzsche
A partire dagli anni Trenta del
Novecento, Heidegger rivolge la sua attenzione alla filosofia di Nietzsche,
fino a farne un inelubibile punto di riferimento. Dal '36 al '40 egli tiene
lezione quasi esclusivamente su questo filosofo, in un confronto serrato, una
sorta di drammatico "corpo a corpo" (Aus-einander-setzung).
Tra il '40 e il '46 scrive anche alcuni saggi sul medesimo argomento. I corsi e
le trattazioni vengono successivamente raccolte in una grande opera,
Nietzsche, pubblicata in due tomi nel 1961 dall'editore Neske di
Pfullingen. Di recente, ne è stata pubblicata la versione italiana, riunita in
un unico volume.
Negli anni Trenta, quando ha
inizio il "confronto" heideggeriano, il dibattito su Nietzsche è in
pieno sviluppo. Con il libro di A. Baümler (Nietzsche. Il filosofo e il
politico,1931), si è aperta una fase nuova nella storia delle
interpretazioni del pensiero nietzscheano, di cui ora si colgono i nessi con la
tradizione filosofica. Occorre infatti precisare che inizialmente, nei primi
decenni del secolo, l'interesse per Nietzsche si è manifestato soprattutto
nella letteratura e nell'arte, e ha stimolato grandi scrittori come Kafka,
Musil, Thomas Mann, Gide. Alcuni autori, come ad esempio E. Bertram (Per una
mitologia, 1918), interpretavano la sua opera come una sorta di leggenda, e
cercavano di individuarne gli aspetti mitologici. Altri ancora, come L. Klages
(Le conquiste psicologiche di Nietzsche, 1926) vedevano in Nietzsche
soprattutto il fine psicologo e il brillante moralista. Baümler, invece, prende
in considerazione innanzitutto il filosofo, ma fa di lui il precursore del
nazismo e il teorico della violenza razziale. Baümler individua nella
concezione della volontà di potenza il pensiero centrale della metafisica di
Nietzsche: la volontà che vuole continuamente se stessa non ha scopo, ma è
lotta e vittoria, ed esprime il divenire in senso eracliteo. Il "mondo
eracliteo", caratterizzato dalla volontà di potenza, è concepito come l'
"espressione perfetta del germanesimo" ed è distinto dal "mondo
dionisiaco" dell'eterno ritorno, che Baümler considera una veduta
personale di Nietzsche, sostanzialmente estranea al sistema.
Anche K. Löwith (Nietzsche e
l'eterno ritorno, 1935), vede in Nietzsche il filosofo, e della sua
filosofia coglie l'unità sistematica, al di là dell'apparente frammentarietà
della forma aforistica. Egli rintraccia, tuttavia, l' idea portante del
pensiero di Nietzsche proprio nella dottrina dell'eterno ritorno, che considera
la riattualizzazione, al culmine della modernità, di un'antica visione del
mondo, in cui si rovescia la verità del nichilismo, che è la svalutazione di
tutti i valori supremi. Infine, per concludere questa sintetica e incompleta
esposizione, va menzionata anche l'interpretazione esistenzialistica di K.
Jaspers (Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare,
1936), di poco precedente il corso del semestre invernale di Heidegger. Per
Jaspers, la verità della filosofia di Nietzsche non consiste in una determinata
dottrina, ma è da ricercarsi nello stesso essere in cammino, vale a dire nel
movimento trascendente del suo pensiero che relativizza tutte le posizioni, dal
superuomo alla volontà di potenza, dall'eterno ritorno alla volontà di verità,
che viene interpretata come "volontà di morte".
La strategia di Heidegger nei
confronti di Nietzsche va tuttavia oltre i confini di una mera interpretazione:
non solo infatti la sua lettura del testo nietzscheano è in funzione del
progetto filosofico che va elaborando, ma egli "pensa in parallelo"
con Nietzsche, in una continua e serrata interrogazione. Scrive Heidegger:
"Rimane comunque decisivo
[..] ascoltare Nietzsche stesso, porre le domande con lui, per mezzo di lui e
così al tempo stesso contro di lui, ma per l'unica intima cosa
comune in questione nella filosofia occidentale".
La "cosa in
questione" è il problema dell' essere, che, secondo Heidegger, Nietzsche
ha in comune con la tradizione della metafisica occidentale. Per Heidegger,
Nietzsche è un pensatore "essenziale", proprio perchè ha pensato un
unico pensiero, quello dell'essere, interpretato come volontà di potenza ed
eterno ritorno dell'uguale. Ma occorre indicare, seppure per grandi linee, il
contesto teorico in cui matura l'interpretazione heideggeriana.
Nietzsche occupa una posizione
particolare nello sviluppo del pensiero heideggeriano successivo a Essere e
tempo, e ne condiziona gli esiti speculativi. In questa fase, la filosofia
di Heidegger è incentrata sul problema della metafisica e della sua storia; a
ciò egli è sollecitato dalle stesse conclusioni della sua opera principale.
Nella Lettera sull'umanismo del 1947, egli dice che la
"svolta" (Kehre) dall'analitica esistenziale - incentrata
sull'esserci, ossia sull'uomo - verso l'analisi del senso dell'essere in
generale, non c'è stata, perchè il linguaggio, ancora sostanzialmente
condizionato dall'apparato concettuale della metafisica, l'ha resa impossibile.
Ne emergeva la necessità, dunque, di ripensare la storia della metafisica
occidentale e individuarne l'"errore" che la caratterizza. Gli
scritti che scandiscono questo nuovo itineriario sono, in particolare, L'essenza
della verità del 1930 (pubblicata nel 1943), l' Introduzione alla
metafisica del 1935 (edito nel 1953), Hoelderlin e l'essenza della
poesia del 1937, i già citati lavori su Nietzsche, e, infine, La
dottrina di Platone sulla verità del 1942.
Va chiarito, in primo luogo,
che Heidegger per "metafisica" intende quella tradizione di pensiero
che pone il problema dell'essere dell'ente, andando oltre (metà) l'ente
stesso. E tuttavia lo risolve in modo errato, poichè riconduce l'essere sullo
stesso piano dell'ente, concependolo come "semplice-presenza" (Vorhandenheit)
- secondo la terminologia di Essere e tempo. Ciò avviene sia pensando
l'essere come il carattere comune di tutti gli enti, il più astratto e
indeterminato - il che rende possibile il suo rovesciamento nel nulla, come
nella Logica di Hegel -; sia come causa e fondamento degli enti - il Dio
della teologia aristotelica e cristiana. In ogni caso si oscura la
"differenza ontologica" che distingue l'essere dall'ente e si giunge
a quell' "oblio dell'essere" (Seinsvergessenheit) che
contraddistingue la storia della metafisica occidentale fino a oggi.
Ora, questi sviluppi, contenuti
implicitamente già in Essere e tempo (là dove si descrive la
comprensione dell'essere nell'esistenza inautentica) e tematizzati nelle opere
immediatamente successive, trovano tuttavia una più ampia articolazione negli
scritti sopracitati degli anni trenta e quaranta. Ed è appunto in questo
periodo che la problematica heideggeriana si confronta con la filosofia di
Nietzsche. Per Heidegger, Nietzsche è il filosofo nel quale la metafisica
occidentale si raccoglie e si compie secondo una prospettiva decisiva. In
quanto la sua filosofia rappresenta la fine della metafisica, vi si attua il
massimo e più profondo raccoglimento, cioè il compimento di tutte le posizioni
di fondo essenziali della filosofia occidentale. In questo senso, Nietzsche è
un "destino", non però della sorte di un singolo, bensì della storia
dell'epoca moderna, quale epoca finale dell' Occidente. Nietzsche è visto come
colui che porta a compimento la tradizione metafisica iniziata con Platone, e
tuttavia viene indicato come il "platonico più sfrenato", in quanto,
pur avendo rovesciato il platonismo, sarebbe rimasto dentro l'orizzonte di quel
pensiero. Ma per comprendere meglio questi concetti, occorre seguire più da
vicino la ricostruzione che Heidegger compie sia della storia della metafisica,
che del pensiero di Nietzsche.
2. Nietzsche
come l'ultimo metafisico dell'occidente
Questa linea interpretativa che
fa di Nietzsche "l'ultimo metafisico dell' Occidente", si annuncia
fin dai primi scritti heideggeriani del Nietzsche, che riguardano le
dottrine fondamentali della volontà di potenza e dell'eterno ritorno. Per
Heidegger, nella dottrina della volontà di potenza, Nietzsche sviluppa la
domanda-guida (Leitfrage) della filosofia, che chiede che cos'è l'ente;
con l'eterno ritorno dell'uguale, egli pensa invece il "pensiero più
grave", ossia la domanda fondamentale (Grunfrage) che verte sul
senso dell'essere e domina tutta la storia della filosofia. E benchè
quest'ultima dottrina costituisca il nucleo più intimo della filosofia di
Nietzsche, la volontà di potenza è la dottrina centrale, elaborata soprattutto
nell' "opera capitale", programmata ma non realizzata, La volontà
di potenza, che fu composta dopo la sua morte. Secondo Heidegger - che pure
non risparmia dure critiche all'edizione dei curatori - tale testo contiene
l'autentica filosofia di Nietzsche, mentre ciò che egli ha pubblicato è solo
"avanscena."
La volontà di potenza, che
nomina il carattere fondamentale dell'ente, si lascia comprendere soprattutto
dalla concezione nietzscheana dell'arte. Ma va chiarita l'essenza di questo
concetto: la volontà di potenza è qualcosa di originariamente unitario, e non
può essere pensata combinando semplicemente i due termini "volontà" e
"potenza", oppure equiparandoli l'uno all'altro. Per quanto riguarda
la volontà, è contenuto in essa un elemento di risolutezza e di comando; ogni
volere è volere-essere-di-più, quindi è potenza nel senso del potenziamento e
dell' elevazione; ma anche autoaffermazione, nel senso di andare all'essenza,
all'origine. Allora la potenza non è il fine della volontà, ma ne costituisce
il chiarimento, l'essenza; la volontà di potenza è volontà di volontà, volere è
volere se stesso. Tale concetto è del tutto in linea con il pensiero
occidentale. Leibniz, che ha determinato l'essere come unità di perceptio
e appetitus, Schelling, che ha scritto nel trattato Sull'essenza
della libertà umana che il volere è l'essere originario, ed Hegel, che nella
Fenomenologia dello spirito ha concepito il sapere come uguale per
essenza al volere, hanno pensato l'essere come volontà. Inoltre, la potenza, in
quanto forza, significa: essere pronti ad operare (dynamis); atto del
dominio, l'essere-all'opera-della forza (enèrgheia); nonchè
venire-a-se-stessa nella semplicità dell'essenza (entelècheia). Ma dynamis,
enèrgheia ed entelècheia, sono per Aristotele le determinazioni
supreme dell'essere: vi è dunque una intima correlazione tra questo concetto e
la metafisica aristotelica.
La volontà di potenza ha un
rapporto privilegiato, per così dire, con l'arte, in quanto, per Nietzsche, il
concetto di arte non è inteso in senso stretto, nel senso di "belle
arti", ma è "attività metafisica", ossia è un creare e un produrre.
Nell'arte si decide anche la questione della verità, che va compresa
nell'ambito del "platonismo rovesciato" di Nietzsche e alla luce
dell'esperienza fondamentale del nichilismo, che nasce dal fatto che i valori
tradizionali, determinati dal platonismo e dal cristianesimo, presuppongono una
svalutazione del mondo sensibile, a vantaggio del cosiddetto "mondo
vero". Rovesciare il platonismo non significa soltanto sostituire un punto
di vista gnoseologico con un altro, nel senso di mantenerne la struttura invertendone
gli spazi - il mondo sensibile al posto del soprasensibile - ma anche
mantenere, in comune con il platonismo, la convinzione che sia la verità a
fornire l'ambito per la nuova fondazione dell'esistenza, che viene ora ancorata
al sensibile. Pertanto l'arte, che rappresenta la valorizzazione del sensibile,
costituisce una sorta di contromovimento che si oppone al nichilismo: arte e
verità entrano nella prospettiva che mira a salvare il sensibile e a superare
il nichilismo. In questo contesto va vista l'affermazione nietzscheana che
l'arte vale più della verità; ma per coglierne pienamente il senso, occorre
seguire più da vicino il testo heideggeriano.
Nel platonismo la conoscenza è
un'adeguazione all'idea, intesa come realtà soprasensibile, cui va commisurato
il mondo sensibile, dove l'arte è di casa. Nietzsche, eliminando il "mondo
vero" e il "mondo apparente", fa emergere una nuova concezione
del sensibile, caratterizzato da pienezza e stabilità, e in cui si inserisce la
visione "prospettica": ogni vivente è caratterizzato da una
molteplicità di impulsi e di forze, ciascuno dei quali ha una sua prospettiva.
In ciò è incluso costituzionalmente l'errore: il vero è ciò che appare fissato
nell'orizzonte di un essere vivente, in una pluralità di impulsi in lotta fra
loro e in sè prospettici. Di qui l' affermazione nietzscheana: "La verità
è una specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi
potrebbe vivere". Ora, anche l'arte è connessa con l'apparire prospettico,
anzi ne è il potenziamento: essa è la più autentica "volontà di
parvenza", in cui si fa visibile la legge stessa dell'esistenza. La verità
invece è una stasi, una parvenza fissata, e quindi, a differenza dell'arte, un'
inibizione della vita, un sintomo di degenerazione.
Per quanto riguarda l'eterno
ritorno, secondo Heidegger, questa dottrina di Nietzsche, lungi dall'essere
"eccentrica" rispetto alla sua filosofia, è il pensiero fondamentale
che ne definisce la posizione metafisica di fondo, ossia la posizione assegnata
alla sua filosofia dalla storia della metafisica occidentale. L'analisi
heideggeriana spazia dalle scarne ed ellittiche comunicazioni delle opere
pubblicate, dall'aforisma 341 della Gaia scienza, allo Zarathustra,
e ad Al di là del bene e del male, fino alle numerose annotazioni del
lascito manoscritto. Già il titolo ("Il peso più grande") del brano
della Gaia scienza è indicativo per la sua comprensione: il peso
stabilizza, raccoglie le forze e nello stesso tempo trasforma la direzione del
loro movimento; l'eterno ritorno appare dunque come un progetto sull'ente nel
suo insieme. Ma i due capitoli dello Zarathustra in cui viene esposta la
dottrina, "La visione e l'enigma", e "Il convalescente", ci
introducono nel suo significato essenziale. Respingendo la visione superficiale
del ritorno, di chi lo pensa "dall'esterno", collocandosi al di fuori
del circolo, Zarathustra chiarisce che il ritorno deve essere pensato
dall'attimo: è nell'attimo, dove passato e futuro "sbattono la
testa", che si determina il modo in cui tutto ritorna [Vd. l'Introduzione
generale al modulo sulla "maschera"]. In tal modo questo pensiero,
lungi dal portare ad una sorta di fatalismo, valorizza il momento della
decisione, poichè coinvolge fin dall'inizio l'uomo e l'ente, e richiede di pensare
l'uomo partendo dal mondo e il mondo dall'uomo: vi è un coinvolgimento
necessario e di ripercussione tra il pensiero e colui che lo pensa, il quale
entra nell'anello del ritorno in modo da deciderne lui stesso. Pensare il
ritorno attraverso l'attimo e la decisione significa anche superare il
nichilismo, con cui questo pensiero è portato, per logica interna, a
confrontarsi. Il ritorno contiene, infatti, un elemento nichilistico, poichè
eternizzando l' "invano", esclude un fine ultimo per l'ente. A questo
proposito Nietzsche scrive, nella Volontà di potenza:
"Pensiamo questo pensiero nella forma più terribile: l'esistenza, così
com'è, senza senso e scopo, ma inevitabilmente ritornante, senza un finale nel
nulla: l'eterno ritorno".
Vi è, secondo Heidegger, una
connessione essenziale, una coappartenenza, fra le due dottrine della volontà
di potenza e dell'eterno ritorno, che si può cogliere sia in riferimento al
progetto-guida della metafisica, rispetto al quale entrambe pensano la
stabilizzazione del divenire, sia nell'orizzonte stesso della metafisica e in
base alle sue distinzioni. Infatti, esse sono concepite come determinazioni
fondamentali dell'ente nel suo insieme, e, precisamente, la volontà di potenza
come la forma del "che cosa è" (Was-sein), l'eterno ritorno
come quella del "che è" (Dass-sein).
Nell'unità essenziale dei due
pensieri, la metafisica dice la sua ultima parola. All'inizio della sua storia
vi era l'antitesi di essere e divenire, ripartiti in due regni separati;
nell'essere, percepito come permanenza e durata, i Greci scorgono l'essere vero
e proprio, e vedono il divenire come generazione e corruzione, quindi come non
ente e come ente apparente. Successivamente, il divenire entra in concorrenza
con l'essere, reclamando il posto di quest'ultimo; Hegel, compiendo il primo
passo in suo favore, lo concepisce a partire dal soprasensibile, dall'idea
assoluta. Con Nietzsche, che attua il rovesciamento del platonismo, il divenire
pretende di avere assunto la preminenza sull'essere, mentre in realtà, con la
sua stabilizzazione, è portata a compimento soltanto la supremazia dell'essere
come presenza e stabilità. La conseguenza di questo ultimo stadio della
metafisica, si manifesta nella preminenza della volontà di potenza: in tale
epoca, la tecnica fonda il potere dell'uomo in un mondo in cui solo l'ente, e
non l'essere, è essenziale.
3. Nichilismo
e storia della metafisica
L'analisi che Heidegger compie
dei concetti essenziali della filosofia di Nietzsche, lo porta a confrontarsi
con la tradizione filosofica occidentale, da Protagora, a Cartesio, a Leibniz.
Ciò è evidente in modo particolare nell'interpretazione e nell'approfondimento
della nozione nietzscheana di nichilismo. Il nichilismo è, per Heidegger, un
evento nel quale la verità sull'ente nel suo insieme muta e si spinge verso una
fine da essa determinata. Un evento al quale non assistiamo da semplici
spettatori, ma che si rivela la storia della nostra epoca, alla quale siamo
sollecitati.
Nietzsche chiama
"nichilismo" il movimento da lui riconosciuto per la prima volta
nella storia occidentale, che domina già i secoli precedenti e darà l'impronta
al prossimo, e di cui egli compendia l'interpretazione nella sentenza "Dio
è morto". Dio è il Dio cristiano, che è al tempo stesso la rappresentazione-guida
del soprasensibile, degli ideali e dei valori instaurati sopra l'ente; venendo
meno il dominio del soprasensibile sull'ente, l'ente stesso perde il suo senso.
Il nichilismo è, dunque, per Nietzsche, il processo di svalutazione dei valori
supremi; ma poichè tale svalutazione comporta un cambiamento dell'ente nel suo
insieme, essa è anche il cammino verso una nuova posizione di valori. Quale
carattere abbia, tuttavia, tale processo, e in che misura esso sia il processo
fondamentale della nostra storia, lo si può cogliere solo se prima venga
chiarito il concetto di valore che domina il pensiero di Nietzsche, ed è una
componente fondamentale della metafisica della volontà di potenza, che
rappresenta una svolta decisiva nella metafisica. In altri termini, il
nichilismo può essere capito soltanto se la posizione di valori sia
riconosciuta nella sua necessarietà metafisica.
Il valore per Nietzsche non è
qualcosa che vale in sè, ma è un "punto di vista" della volontà di
potenza, che determina, con il necessario intreccio di conservazione e di
potenziamento, l'ente in quanto tale. Il pensiero del valore è estraneo alla
metafisica prima di Nietzsche, tuttavia è stato preparato attraverso la
metafisica prima di lui, a partire dalla metafisica della soggettività, che è
propria dell' epoca che comincia con Descartes. Con questo filosofo, nel
contesto di una liberazione dell'uomo dai vincoli della tradizione cristiana,
la questione del "metodo", ossia la ricerca della via per la
determinazione della verità, è riferita esclusivamente all'uomo:
nell'affermazione ego cogito, ergo sum, si esprime il primato del
soggetto umano che diventa la misura e il fondamento, da lui stesso posti, di
ogni certezza e verità. Prima di Descartes, con il cristianesimo, la verità
aveva invece il carattere vincolante della dottrina della Chiesa. Nietzsche,
benchè rifiuti il cogito cartesiano, sta sul fondamento della metafisica posta
da Descartes: la contestazione del soggetto cartesiano, è compatibile, nel suo
pensiero, con l'incondizionata assunzione della soggettività, che dispone in
modo incondizionato del vero e del falso.
Ma l'interpretazione
nietzscheana di valore può essere prefigurata da Platone, che concepisce l'idea
somma come agathòn: l'idea del bene che, donando la visibilità e la
svelatezza, rende possibile l'ente in quanto tale. Con tale concezione si
insinua nell'interpretazione dell'essere una peculiare ambiguità: da una parte
esso è stabilità, presenza e visività; dall'altra è condizione della
possibilità dell'ente. Inoltre, l'interpretazione dell'essere come idea
contiene un riferimento al "vedere", ossia al conoscere dell'uomo.
L'idea è ciò che è "visibile", afferrabile con esattezza dal nostro
intelletto. La radice id del termine greco idéa è la stessa del
verbo latino video (vedere) e videor (apparire), ma ora non si
tratta più dell'apparire dell'essere, ma dello sguardo dell'uomo sull'essere
stesso. La verità diventa qualcosa di relativo all'uomo, al suo saper
"vedere" correttamente l'ente. In questo passaggio, che riduce
l'essere a oggetto di valutazione dell'uomo, Heidegger vede le premesse del
dominio della tecnica.
E' qui prefigurato, peraltro,
il decisivo mutamento dell' idea platonica nella perceptio cartesiana,
vale a dire nel rappresentare dell'uomo quale soggetto che rende possibile il
rappresentato; e il principio che l'essere sia rappresentatezza
dell'oggetto, condizione della sua possibilità, spiana la via affinchè si
sviluppi il pensare per valori. E' tuttavia Leibniz che, interpretando il
soggetto come unità di perceptio e di appetitus, apre una
connessione tra soggettività e volontà di potenza, in quanto la soggettività
diviene il fondamento dell'ente come oggettività. L'uomo giunge così a dominare
la realtà, mentre l'essere si trasforma in oggetto, in qualcosa che sta di
fronte (Gegen-stand) al calcolo e al progetto tecnico dell'uomo. Con ciò
si rende possibile la tecnicizzazione del mondo, la quale, dunque, si configura
come il naturale sbocco del pensiero metafisico. L'idealismo, da Fichte a
Hegel, ha proseguito sulla medesima via che riconduce l'essere delle cose
all'io, e, dunque, alla volontà del soggetto.
La soggettività, che
caratterizza la metafisica moderna, esprime la piena essenza dell'essere, solo
quando è diventato manifesto l'appetitus, e il suo sviluppo nella
volontà; a questo punto la metafisica si avvicina al suo compimento. La volontà
di potenza instaurando il dominio dell'ente, porta a compimento il destino
della completa velatezza dell'essere. Caduta la distinzione metafisica tra
mondo vero e mondo apparente, la verità dell'essere è posta senza fondamento,
in certo qual modo solo su se stessa. Tuttavia, l'essere pensato come volontà
di potenza, (o volontà di volontà, termine che, secondo Heidegger,
esprime meglio la totale infondatezza della volontà che vuole solo se stessa)
rappresenta l'estrema radicalizzazione del soggettivismo e
dell'antropomorfismo, esemplificata nella massima di Nietzsche:
"«Antropomorfizzare»
il mondo, cioè sentirci sempre più in esso come signori".
Con la filosofia di Nietzsche,
dunque, che pensa il superamento del nichilismo come trasvalutazione dei
valori, la metafisica perviene alla sua forma estrema, e solo in questa forma
diviene comprensibile la sua essenza, che consiste nell'oblio dell'essere. Il
nichilismo è quindi il compimento della metafisica, che culmina nel trionfo
della razionalità scientifica e che trasforma il mondo in un immenso arsenale
di strumenti della volontà di potenza. Di tale evento, di cui, come si è detto,
noi non siamo solo spettatori, veniamo a conoscenza solo quando è giunto alla
fine; ma a questo punto si apre la possibilità di ripensare la storia della
metafisica, ed occorre pertanto volgerci al primo inizio, per attingere nuove
possibilità e un nuovo destino dell'essere.
Tale inizio, non accessibile al linguaggio della metafisica, può essere concesso solo al pensiero rammemorante (Vordenken), ed è fatto avvenire dall'essere stesso. Esso pretende dall'umanità che si accorga che l'essenza dell'uomo è coinvolta nella verità dell'essere, che pur non essendo dipendente dall'umanità, a volte ha bisogno dell'uomo, perchè "sporga nell'aperto della radura della sua dignità e abbia nell'ente una terra natia, custodita dall'essere umano".