Medicina e magia

 

Per gli Antichi Egizi la medicina si suddivideva in due parti: visibile e non visibile...

Per gli Antichi Egizi la medicina si suddivideva in due parti: visibile e non visibile. La prima includeva patologie come traumi e ferite, mentre la seconda era collegata alla magia. La malattia era considerata un'entità reale. La magia veniva rivolta alla malattia stessa o all'anima di un defunto come elargitore di protezione. Secondo questo concetto la magia serviva per il soddisfacimento dei bisogni terreni e permetteva di comunicare con Dei e defunti. Alcuni studiosi si sono dedicati allo studio del rapporto tra medicina e magia. Lefebvre, conservatore capo del museo del Cairo dal 1921 al 1928, ritiene che la medicina sia derivata dalla magia, mentre Merei sostiene l'esatto contrario facendo notare che i testi più antichi sono di carattere prevalentemente empirico, mentre quelli più recenti sono soprattutto di carattere magico.
Lo studio delle varie malattie, delle cause che le hanno provocate e delle tecniche di guarigione sono uno degli aspetti più sbalorditivi dell'Antico Egitto. Fin dall'Antico Regno venivano utilizzati strumenti chirurgici del tutto simili a quelli in uso nei nostri ospedali per operare i malati. Sembra siano stati effettuati con successo anche interventi per scongiurare cancro e tumori, mentre sono noti i clamorosi successi in fatto di applicazione di arti artificiali che consentivano ai pazienti di proseguire in tutta normalità la loro vita (un ritrovamento ha portato alla luce i resti di una donna alla quale fu amputata una gamba e quindi applicata una protesi di legno che, nella sua semplicità, era di una efficacia straordinaria e permise alla donna di vivere ancora per molti anni dopo l'intervento). Gli Antichi Egizi conoscevano e sapevano misurare il battito cardiaco dal polso.
Tra i primi medici vi è Imhotep, personaggio dalle mille qualità, che sembra abbia ottenuto grandi successi in questo campo sia come medico operante che come ricercatore scientifico. Fu probabilmente il primo a scoprire e a studiare i batteri e quindi a sperimentare soluzioni antibatteriologiche che diedero i loro più noti risultati per quanto riguarda le malattie degli occhi. In questo campo specifico si riuscì ad unire l'utilità della cura ad un gradevole aspetto estetico. Infatti i vari trucchi utilizzati non erano altro che polveri utilizzate per curare le varie infezioni degli occhi che, opportunamente colorate, davano un risultato estetico molto piacevole.
Il primo riferimento ad un papiro medico è inciso su 4 blocchi all'ingresso della tomba di Uashptah, architetto capo, gran giudice e visir di Neferirkara. Il papiro Ebers, acquistato da Ebers presso un ricco egiziano che disse di averlo trovato tra le gambe di una mummia non meglio identificata, descrive i rimedi per moltissime malattie, dalla tosse ai problemi cardiaci. Questo papiro, lungo 20m e largo 20 cm, è datato alla XVIII dinastia ed è composto da 108 pagine numerate da 1 a 110 poichè i numeri 28 e 29 sono stati omessi e si trova oggi all'università di Lipsia. Il numero 110 era per gli Antichi Egizi un numero simbolo di longevità; essi, infatti, avevano il desiderio di vivere sino a quell'età in buone condizioni (il mago Djedi si disse aveva 110 anni, Ptahhotep). Veniva anche augurato al prossimo in segno di lunga vita come dimostra un documento in cui un allievo augura 110 anni di vita al suo maestro Amenomope. Un altro papiro riguardante però l'aspetto chirurgico, è il papiro Smith.
Tra le varie applicazioni della medicina ve ne sono alcune molto curiose che però evidenziano il suo livello di qualità:
"Altro rimedio per eliminare i capelli bianchi e per il trattamento del cuoio capelluto è il sangue di bue nero. Immergere nell'olio ed ungere".
I medici erano organizzati secondo una gerarchia ben precisa. All'apice figurava il medico personale del faraone, cui erano sottoposti i medici del Palazzo, dei quali uno era il "supervisore" di tutti gli altri. Seguivano gli "ispettori dei medici", poi alcuni medici meno importanti, e infine la gran massa dei medici "di base". I medici egizi erano altamente specializzati, e godevano di molto prestigio. Molti nobili venivano dall'estero per consultarli, oppure erano gli stessi medici, dietro autorizzazione o ordine del faraone, a recarsi presso i potenti vicini per prestare la propria opera. A proposito di queste trasferte viene riportato un aneddoto: Amasi, faraone della XXVI dinastia, inviò uno dei migliori medici a Ciro, re dei Persiani. Il medico, che non gradiva il viaggio, pare abbia spinto Ciro ad attaccare l'Egitto dando così il via all'invasione persiana.
Per ogni patologia vi erano veri e propri specialisti. Così c'era il medico generico (termine egiziano sunu), l'oculista (sunu-irty), lo specialista per l'addome (sunu khef), lo specialista per le malattie di origine sconosciuta e altri ancora. Il termine "sunu" dovrebbe significare "colui che appartiene al malato" o " colui che appartiene a chi è ammalato". Il numero degli specialisti era più alto nell'Antico Regno che nelle epoche successive che videro le varie specializzazioni accentrarsi sempre più in un'unica persona.
I futuri medici imparavano l'arte di curare le malattie nelle "Case della Vita" situate vicino ai templi (le più celebrate erano quelle di Sais e di Eliopoli). Queste Case della Vita erano delle speci di biblioteche dove i giovani facevano esperienza con gli anziani, leggevano e ricopiavano gli antichi testi gelosamente custoditi dai medici-sacerdoti di Sekhmet, dea della medicina. Quando visitavano un malato i medici egizi compilavano un questionario annotandovi l'aspetto del paziente, lo stato di coscienza, il potere uditivo, e persino l'odore del suo corpo, nonché l'eventuale presenza di tremori, di secrezioni o tumefazioni. Fatto questo valutavano la temperatura e le alterazioni del polso, eseguendo infine la percussione. Venivano anche osservati alcuni particolari caratteri delle urine, delle feci o dell'espettorato. Al termine dell'esame, mettevano per iscritto la prognosi indicando tre possibilità: favorevole ("E' un male che curerò"), incerta ("E' un male che combatterò"), infausta ("E' un male che non curerò").
Presso il popolo l'igiene della persona era molto seguita. Esistevano norme ben precise (spesso sotto forma di precetti religiosi), come quelle di lavarsi regolarmente al mattino, di pulirsi bene la bocca e i denti, di lavarsi le mani prima di mangiare, di tenere i capelli e le unghie in ordine, di cambiare spesso le vesti. Le regole per una sana alimentazione erano piuttosto rigide (con la proibizione di mangiare carne di maiale e la testa di animali): colazione leggera al mattino, primo turno di lavoro, pasto leggero a mezzogiorno e breve siesta, secondo turno di lavoro, poi cena abbondante al tramonto. Ottima consuetudine era di dormire "dallo spuntar delle stelle fino all'alba". Gli Egizi avevano idee già abbastanza precise sul funzionamento del cuore e dei vasi sanguigni: "Il cuore parla ai vasi di ogni membro", è detto nel papiro di Ebers, significando che il cuore pompa sangue a tutto il corpo. Un'intuizione eccezionale se si pensa che ci troviamo a quasi 3000 anni prima di Harvey, che scoprì la circolazione del sangue. Non meno progredite erano le cognizioni relative ad altri organi come lo stomaco, il fegato, la vescica e l'utero. Nel papiro di Ebers compare per la prima volta nella lingua dell'uomo la parola "cervello", del quale vengono accuratamente descritte la forma, le circonvoluzioni e le meningi. Le malattie venivano considerate risultato di misteriose influenze esterne che sarebbero penetrate nel corpo attraverso gli orifizi naturali corrompendo gli "umori". Compito del medico era quindi quello di evacuare questi umori "corrotti", facendoli uscire attraverso le normali vie di escrezione. Alcune malattie note erano l'asma bronchiale, l'epatite tropicale, la gonorrea, lo scorbuto, l'epilessia, e le numerose malattie da parassiti così frequenti in Egitto. Ci furono più volte epidemie di lebbra e di vaiolo che colpì anche il faraone Ramesse V come confermano gli esami sulla sua mummia. Non mancavano neppure altre malattie oggi di grande attualità come quelle delle arterie periferiche e delle coronarie: le mummie di Ramesse II, Ramesse III e Amenofi III mostrano segni di arteriosclerosi. L'esame radiografico ha addirittura consentito di accertare l'esistenza di calcificazioni arteriose in numerose mummie.
La funzione di farmacista veniva generalmente svolta dai sacerdoti e dai medici. Le medicine erano tutte a base di grasso, acqua, latte, vino o birra, ai quali si aggiungeva, per renderli più graditi, un po' di miele. I medicamenti erano di origine vegetale, animale o minerale (ferro, piombo, antimonio), mentre di alcuni non si conosce l'azione terapeutica. Nel Papiro di Ebers sono citate circa 900 "ricette" di medicamenti, molte delle quali figurano ancora nelle moderne farmacopee, come la trementina, la senna, l'olio di ricino, il timo, la celidonia. Una pianta certamente nota in Egitto era la mandragora che, per il suo inconfondibile aspetto antropomorfo, ha attirato su di sè leggende, credenze e superstizioni sino ai nostri giorni. I suoi effetti ipnotici e analgesici sono essenzialmente legati alla presenza di due sostanze, l'atropina e la scopolamina. Come anestetico, naturalmente in dosi molto basse essendo la pianta molto velenosa, si usava il guscuiamo che contiene scopolamina, potente sedativo del sistema nervoso centrale. Ma il rimedio più importante per gli Egizi fu la birra. Non solo come veicolante di numerosi medicamenti ma anche come medicina per i disturbi intestinali e contro le infiammazioni e le ulcere delle gambe. L'effetto disinfettante era verosimilmente dovuto al lievito e al complesso B contenuti nella birra che producevano un'azione antibiotica come anche il "pane ammuffito", prescritto in altre formule, risultava efficace per la sua azione antibiotica. Tra i purganti più in uso figurano l'olio di ricino e la senna. Ma gli Egizi praticavano anche il clistere. Sembra che questa pratica sia stata loro ispirata dall'ibis che introduce il lungo becco aguzzo nel proprio retto, irrigandolo a scopo di pulizia. L'enteroclisma veniva effettuato con l'aiuto di un corno, impiegando come lavanda bile di bue, olii o sostanze medicamentose. E' certo che i medici egizi si servirono delle sanguisughe per decongestionare le parti congeste, ma è dubbio se conoscessero la tecnica del salasso. Notevoli erano anche le conoscenze in tema di ostetrica e di contraccezione. Non ci si limitava ad attendere la nascita del bambino, ma si cercava anche di prevederne il sesso.Un metodo molto diffuso era il seguente: "Metterai orzo e grano in due sacchetti di tela, che la donna bagnerà con la sua urina, ogni giorno; allo stesso modo metterai in sacchetti di sabbia i datteri. Se orzo e grano germoglieranno entrambi, ella partorirà. Se germoglierà per prima l'orzo sarà una femmina, se germoglierà per primo il grano sarà maschio. Se non germoglieranno né l'uno né l'altro, ella non partorirà". Questo è sorprendente se si pensa che solo nel 1933 J. Manger, dell'Istituto di Farmacologia dell'Università di Würzburg, dimostrò che l'urina della donna gravida che partorirà un maschio accelera la crescita del grano, mentre se ella partorirà una femmina la sua urina accelera lo sviluppo dell'orzo. Altre "prove di gravidanza" si basavano sull'osservazione degli occhi, della pelle e del seno: nessuna meraviglia visto le modificazioni che la donna subisce in gravidanza riguardo a questi organi. Quando cominciavano le doglie, i metodi per facilitare il parto erano diversi: accovacciarsi sui talloni su di una stuoia, oppure sopra quattro mattoni separati tra di loro per favorire l'uscita del bambino. Anche la contraccezione veniva praticata con metodi magici, ma anche a base di pozioni o di applicazioni locali. Un metodo molto in uso consisteva nell'applicare un po' di feci di coccodrillo nel profondo della vagina; l'effetto anticoncezionale era assicurato sia dall'azione di "pessario" esplicata dalle feci, sia dalla loro acidità, notoriamente spermicida. Altro metodo era rappresentato dall'applicazione, sempre nel fondo della vagina, di un tampone imbevuto di succo d'acacia. Oggi si sa che la gomma acacia, fermentando con il calore, produce acido lattico, anch'esso dotato di un intenso potere spermicida.
La chirurgia nell'antico Egitto, riguardava soprattutto la riduzione delle fratture, l'estrazione di calcoli, le operazioni nell'occhio, l'asportazione di tumori esterni, la circoncisione. Numerosi sono gli strumenti chirurgici ritrovati o raffigurati, come pinze, forbici e coltelli. Di fatto, gli Egizi conoscevano vari mezzi per praticare una sorta di anestesia con una speciale "pietra" che si trovava vicino a Menfi la quale, ridotta in polvere e applicata alla parte, faceva scomparire ogni dolore. Forse si trattava semplicemente di pezzetti di bitume che, a contatto con la fiamma, sprigionavano vapori che assopivano il paziente. Venivano anche sfruttati, a scopo anestetico, gli effetti sedativi del coriandolo, della polvere di carruba, e verosimilmente anche dell'oppio.
Molti faraoni non godevano di ottima salute. Ad esempio la salute Thutmosi III non era delle migliori, tanto che il re dei Mitanni, Tushratta, gli inviò una statua guaritrice raffigurante la dea siriana Ishtar.