IL MITO, L'OPERA SEGRETA

E LA RICERCA CELESTE

 

 

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     Il mito, inteso nella sua essenza, è, alla luce della vera Tradizione, quel tramite tra microcosmo e macrocosmo collegato ai grandi archetipi. Prima di tutto occorre, però, chiarire l’essenza unica del mito, la cui importanza, come si vedrà, è essenziale per la piena comprensione delle istanze metafisiche che sono del mito. Quando "Il mito… non era una escogitazione arbitraria e fantastica: scaturiva da un processo necessario, – scrive Julius Evola – ove le stesse potenze che formano le cose agivano sulla facoltà plastica dell’immaginazione parzialmente discioltasi dai sensi corporei, sì da drammatizzarsi in immagini e figure, che si insinuavano fra la trama dell’esperienza sensoriale e la completavano con un momento di <<significato>>" ("La Tradizione ermetica", Roma 1971). 

 

     La ricerca compiuta da René Guenon è ampiamente sufficiente a dare l’esatta significazione di mito. Riporto da vari scritti del Guenon. "La parola mito prima di venire deviata dal suo significato, sino a designare solo un racconto fantastico, significava ciò che, non essendo suscettibile di espressione diretta, poteva essere suggerito unicamente mediante una rappresentazione simbolica, verbale o figurativa". ("Gli Stati Molteplici dell’Essere", Torino, 1965). "Si considera comunemente il termine mito come sinonimo di <<favola>>, intendendo semplicemente in tal modo una funzione qualsiasi, spesso rivestita di un carattere più o meno poetico". (Considerazioni sulla Via Iniziatica", Milano 1948). "Platone è ricorso all’uso del mito per esporre le concezioni che superavano la portata dei suoi abituali mezzi dialettici: e questi miti egli non ha affatto <<inventato>> bensì soltanto <<adattato>>, poiché portano il marchio incontestabile di un insegnamento tradizionale". (Ibid.). "Questi miti sono ben lungi dall’essere gli ornamenti letterari che vi scorgono i commentatori ed i critici moderni; essi rispondono invece a ciò che vi è di più profondo nel pensiero di Platone, di più libero dalle contingenze individuali e che egli non può, a causa di questa stessa profondità, esprimere che simbolicamente". (Ibid.). "Se il mito indica ciò che vuol dire, esso lo suggerisce per quella corrispondenza analogica che è il fondamento e l'essenza stessa di ogni simbolismo; si potrebbe dire che si serbi il silenzio pure parlando e da un tal fatto il mito ha ricevuto la sua designazione". (Ibid.).

 

     I livelli di lettura e d’interpretazione di un mito possono essere riassunti in quattro. L’Alighieri diceva a tal riguardo: "le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi" (Convivio, II, I, 2-15) e intendeva: il senso letterale, quello allegorico, il morale e l’analogico. Vi è un’interpretazione exoterica delle cose, che utilizza il senso letterale, sociologico e teologico ed una esoterica, che impiega il simbolismo tradizionale il cui fine, e qui bisogna intendersi chiaramente, è non la dissimulazione, ma l’esposizione della verità metafisica adattata ad ogni forma di comprensione. Il mito è sempre all’origine delle leggende e delle narrazioni popolari. La sacralità del mito si esprime nella constatazione che esso è antecedente allo stesso rito, in quanto mentre il mito è pura metafisica, il rito ne è già una specie di formulazione. 

 

     L’interpretazione puramente psicologica è del tutto errata in quanto nasconde la pretesa puerile di svelare, attraverso l’inferiore, il Superiore. Platone nel "Gorgia" scrisse: "Forse queste cose ci sembreranno Miti da vecchie donne e le considererai con disprezzo. E non sarebbe fuor di luogo spregiarle se, con la ricerca, potessimo trovare altre cose migliori e più vere". Per Rudolf Steiner "Molto più profonde di quanto si creda giacciono nell’anima umana le sorgenti dalle quali sgorga la vera poesia delle fiabe, che ci parla magicamente, lungo i secoli, di evoluzione dell’umanità. (...). Nei tempi primitivi l’uomo vedeva meglio il suo rapporto con il mondo spirituale al di fuori di lui: egli vedeva come i fatti che si svolgevano nella sua anima, gli avvenimenti delle profondità dell’anima, stavano in rapporto con determinati fatti spirituali che vivono nell’universo. Egli vedeva questi fatti spirituali attraversare la propria anima e si sentiva così più apparentato con le entità spirituali e animiche e con i fatti dell’universo. Questa era una qualità della condizione originaria chiaroveggente dell’umanità. Mentre oggi si può avere il seguente sentimento solo in condizioni speciali, in tempi più antichi lo si aveva sovente... (...). Così ogni fiaba può essere in fondo interpretata; ma si dovrà partire sempre dalla realtà spirituale che sta dietro a tutto il mondo fiabesco... " (1).

 

     "Il rapporto fra le fiabe e i grandi miti popolari è – continua Steiner – che si possono svelare i grandi miti dei popoli sulla base delle grandi e complessive connessioni del cosmo, mentre si possono svelare le fiabe conoscendo i segreti del popolo. Tutto nella fiaba sorge in modo che i diversi avvenimenti e le immagini altro non sono che narrazioni di esperienze astrali, come le avevano tutti gli uomini di una certa antichissima epoca. In seguito esse divennero sempre più rare e gli uni le raccontarono agli altri che le accoglievano e le portavano di luogo in luogo". (Ibid). Oggi l’uomo si è allontanato molto dal regno spirituale e ha perso ogni chiaroveggenza atavica. Quando volge il capo alla tradizione, non coglie niente altro che un significato oscuro e si muove a tentoni nelle nebbie delle tenebre inferiori. Ochwia Biano, capo degli indiani Pueblos, disse degli uomini bianchi: "Le loro labbra sono sottili, ...le loro facce solcate e alterate da rughe. I loro occhi hanno uno sguardo fisso come stessero cercando sempre qualcosa... sono sempre scontenti e irrequieti... Non li capiamo. Pensiamo che siano pazzi" perché "dicono di pensare con la testa... Noi pensiamo qui" e si toccò il cuore. Dice Lu-tzu: "Ogni trasformazione dello spirito dipende dal cuore" (2).

 

     La natura dell’uomo affonda le sue radici nel mito e nella fiaba e deve essere una natura che è "forza", quella stessa forza che, secondo Lu-tzu, deve essere armonizzata col cuore. Nel Nuovo Testamento apocrifo si legge "Perciò conoscete voi stessi, perché voi siete la città e la città è il regno"; anche Zosimo scrive dell’enorme potere che è nell’uomo. Nell’alchimia più tarda questa "forza" è simboleggiata dall’"albero", simbolo che ritroviamo nelle Upanishad e nei Veda, nell’Apocalisse Giovannea e in molte leggende. Ne "Le avventure di Gilgamesh" leggiamo di alberi che, al posto dei frutti, hanno pietre preziose. L’albero sovente è raffigurato capovolto e ciò significa che la "forza" risiede nel cielo. Il Guenon in "Simboli della Scienza sacra" (cit.) spiega che: "L’albero rovesciato non è solo un simbolo ‘macrocosmico’… è talvolta anche,… un simbolo ‘microcosmico’, cioè un simbolo dell’uomo; così Platone dice che <<l’uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la terra>>". Dante scrive di quest’albero nella "Divina Commedia", come:

 

"dell’albero che vive della cima

e frutta sempre e mai non perde foglia".

 

     Metafisicamente, l’albero manifesta la potenza della natura e, nella tradizione, si associa ad esso la natura femminile, la morte, draghi o serpi. In ogni tradizione, l’eroe deve, ora, conquistare i frutti dell’albero e per impossessarsene deve superare delle prove, rese difficoltose dagli ostacoli incontrati "...per penetrare in un - dominio vietato - che simboleggia sempre un territorio trascendente: il Cielo o l’Inferno. Tutte queste prove, queste sofferenze... si possono facilmente ricondurre alle sofferenze ed agli ostacoli rituali della - via verso il centro - " (3). Ciò fa pensare alla via verso il centro dei simboli "mandala", parola sanscrita che significa "circolo". Esso è la rappresentazione simbolica del cosmo nella tradizione religiosa dell’India. In particolar modo presente nel buddismo e nel tantrismo. Platone credeva che l’anima avesse forma di circolo e i Papua sacralizzano la crescita di un individuo, nell’interno del gruppo, facendolo passare attraverso un cerchio. Il cerchio esprime l’universo, il recinto sacro. Varrone scriveva che le colonie romane in origine erano dette "urbes" da "orbis" che significa circolo, il "Themenos" alchemico.

 

     Le prove che l’eroe deve superare stanno a significare le difficoltà dell’autorealizzazione. L’esperienza di trasformazione della psiche ha dei paralleli nella storia dell’uomo, esempi sono le pratiche yoga e i riti di iniziazione, ad un certo stadio dei quali il neofita si deve sottoporre a lavaggi rituali. Scrive Piantanida che, prima dell’esperimento magico, fece "una doccia abbondante" (4). Anche nell’esoterismo dell’antico Egitto, l’adepto che aveva raggiunto il secondo grado, quello di "Néocoris", veniva "condotto in una assemblea in cui lo - Stolista - o portatore d’acqua" gli buttava "addosso dell’acqua" (5), e nella Scuola pitagorica il novizio "apriva il nuovo giorno con un inno ad Apollo, eseguendo una danza dorica; faceva poi le rituali abluzioni" (6). Nella stessa religione cattolica, il sacramento del Battesimo lava dal peccato originale e, nel Vangelo secondo Giovanni (III, 5), leggiamo "se uno non rinasce per mezzo di acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio".

 

     Simbolicamente, attraverso l’acqua che rappresenta il ventre della madre, "Senza l’acqua divina nulla esiste" (7), si ottiene una seconda nascita, una rinascita spirituale, che consente all’iniziato di procedere purificato. E’ la via femminile, lunare, umida, subconscia della mano sinistra, di cui dicono i filosofi ermetici; perciò essi parlano di "sette rettificazioni" o "sette distillazioni", volendo riferirsi esclusivamente ai "gradi dell’iniziazione" (8). Nella fiaba troviamo, nel suo pieno significato, questo rituale. Dove ancora non si è compiuta la rinascita, ancora il corpo funge da ostacolo.

 

     La figura del vecchio, che si presenta con una certa costanza nelle narrazioni popolari, simboleggia la saggezza dello Spirito. Il detto popolare: "Vecchio, più vecchio, vecchissimo" (9) cela il motivo che l’eroe della fiaba giunge fino al vecchio nestoreo, che detiene la sapienza, insomma, incontra un "guru". Zelenin, nelle sue "Fiabe russe del governatorato di Perm", racconta di un vecchio di cinquecento anni, che esce da una casa nella foresta. Il vecchio appare all’eroe, che si è smarrito in una foresta. Questo motivo è oltremodo ricorrente; è presente nelle "Metamorfosi" di Ovidio, nella "Eneide" di Virgilio, nell’"Inferno" di Dante Alighieri, etc. Secondo Erodoto "Vecchia d’oro" era il "nome attribuito...dai popoli che abitavano nei pressi dell’ Obi, nella Siberia, ad una dea che si identificava poi con la Terra" (10). Il vecchio, esotericamente, corrisponde alla IX carta degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, raffigurante l’Eremita, che, con un lungo manto, protegge la debole luce di una lucerna dalle insidie della notte. Egli è un Maestro invisibile. Salomon afferma: "Ci si dice che essi spiritualizzano i loro corpi, che si trasportino in breve tempo in luoghi assai lontani, che possano rendersi invisibili quando a loro piace e che facciano molte altre cose che sembrano impossibili" (11). Un detto popolare dice che ogni uomo ha in sé la sua donna e viceversa. 

 

     Il cerchio, il centro, il numero, sono le costanti dei mandala. Il numero, secondo i filosofi greci, è l’essenza di tutta la realtà. Pitagora sacralizzò i numeri. Egli è, senza dubbio alcuno, il padre dell’aritmosofia. Scrive la Martinengo che il misticismo dei numeri "è segno evidente che questa forma di entificazione deve avere radici profonde nella natura prelogica dell’uomo" (12) e il pensiero prelogico secondo Bacone è un pensiero spontaneo, spinto da un’urgenza improrogabile quanto inconscia, senza che l’intelligenza vi partecipi. Levy-Bruhl dice che la mentalità popolare scorge nei numeri una "individualità" e giunge, scrive Albergamo, alla loro "identificazione... con l’anima" (13). Nei miti si riscontra, sovente, l’elemento numerico. Nell’antichissima storia babilonese "Le avventure di Gilgamesh", che narra: "ogni qualvolta Humbaba esce e va in giro, si avvolge in ben sette strati di vesti differenti" (14). Nella leggenda "La danza dei Narti", il numero ha sembianze di una entità orrida e l’eroe "prese la spada e la abbattè sul collo del gigante, facendo cadere sei delle sette teste" (15).

 

     In particolare il numero sette, nel ricordo di tutte le tradizioni, racchiude i valori più importanti dell’uomo e dello Spirito. Il Buddismo attribuisce sette princìpi all’uomo: "Atma", che significa "scintilla divina", "Budhi" che è lo "Spirito", "Manas" l’"Anima", "Kama Rupa" gli "istinti", "Shtula Sarira", la "materia", "Linga Sorira" il "corpo astrale" e, infine, il "Prana", che è l’"essenza della vita", lo "Pneuma dei greci", lo "Spiritus" dei romani o il "K’i taoista". Questo numero ha un grande valore esoterico, infatti "l’età simbolica del maestro è di sette anni". A questo punto, è interessante sapere che nel museo Viennese esistono due medaglie, su una è raffigurato l’Alighieri e sull’altra Pietro da Pisa, dietro ad entrambe vi sono incise sette lettere "F.S.K.I.P.F.T.". Secondo il Guenon, la scritta significa "Fidei Sanctae Kadosh Imperialis Principatus Frater Templarius", Dante era un Iniziato.

 

     Il sette è il numero sacro per eccellenza e abbonda nelle Sacre Scritture. Martinez de Pasqually spiegò che il "Sette è il numero dello Spirito Santo appartenente agli spiriti settenari... Il numero settenario è il numero perfettissimo che il Creatore impiegò per la emancipazione di ogni spirito fuori dalla sua divina immensità. La classe di spiriti settenari doveva servire da primo agente e da causa certa; per contribuire ad operare ogni specie di movimento nelle forme create nel cerchio universale...". 

 

     Il numero, in particolare il sette, nel ricordo di tutte le tradizioni, racchiude i valori più importanti dell'uomo e dello Spirito. Vediamo solo alcune delle apparizioni del numero 7 nell'Antico e nel Nuovo Testamento:

 

-La creazione del mondo: "Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro" (Genesi, cap.2 ver.2).

 

-Dio punisce col diluvio l'empietà degli uomini e a Noè che aveva costruita l'Arca dice: "D'ogni animale mondo prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina... Perché tra sette giorni farò piovere sulla terra... sterminerò dalla terra ogni essere che ho fatto" (cap.7 ver.2,4).

 

-"Nel settimo mese, il diciassette del mese, l'arca si posò sui monti dell'Ararat" (cap.8 ver.4).

 

-Noè prima di mandare nuovamente fuori la colomba, per la seconda volta "Attese altri sette giorni... -e la terza volta- Aspettò altri sette giorni... Nel secondo mese, il ventisette del mese, tutta la terra fu asciutta" (cap.8 ver.10,12,14).

 

-Il sogno del faraone: "Al termine di due anni, il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse... Ed ecco, dopo quelle, sette altre vacche salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre... Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco sette spighe spuntavano da un unico stelo, grosse e belle. Ma ecco sette spighe vuote e arse... Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe grosse e piene..." (cap. 41 ver.1-7).

 

-Dalila toglie le forze a Sansone: "Poi Dalila disse a Sansone: -Ancora ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; spiegami come ti si potrebbe legare-. Le rispose: -Se tu tessessi le sette trecce della mia testa nell'ordito e le fissassi con il pettine del telaio, io diverrei debole e sarei come un uomo qualunque-" (Giudici, cap.16 ver.13).

 

-Sette sono gli angeli davanti a Dio: "Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore" (Tobia, cap.12 ver.15).

 

-Ciò che Dio odia: "Sei cose odia il Signore, anzi sette gli sono in abominio:" (Proverbi, cap.6 ver.16).

 

-"La coscienza di un uomo, talvolta, suole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare" (Siracide, cap.37 ver.14).

 

-Daniele viene gettato nella fossa dei leoni: "Nella fossa vi erano sette leoni..." (Daniele, cap.14 ver.32).

 

-Gesù moltiplica i pani e i pesci: "Ma Gesù domandò: -Quanti pani avete?-. Risposero: -Sette, e pochi pesciolini-... Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene" (Matteo, cap.15 ver.15,37).

 

-Gesù aveva liberato Maria di Màgdala da sette diavoli: "Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni" (Marco, cap.16 ver.9).

 

-Quante volte bisogna perdonare: "Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: -Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?- E Gesù gli rispose: -Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette...-" (Matteo, cap.18 ver.21,22).

 

     L' Apocalisse di San Giovanni è un perpetuo settenario, il sette vi ricorre cinquantaquattro volte; anche in questo caso porto solo pochi esempi:

 

-"Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa" (Apocalisse, cap.1 ver.11).

 

-I sette candelieri d'oro e le sette stelle: "Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d'oro (...) Nella destra teneva sette stelle... Questo è il senso recondito delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d'oro, eccolo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese" (cap.1 ver.12,16,20).

 

-"Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio" (cap.4 ver.5). "E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. (...) Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra" (cap.5 ver.1,6).

 

-La bestia ha sette teste: "Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste..." (cap.13 ver.1).

 

     E ancora: Dio punisce le colpe dei padri fino alla settima generazione e maledice il peccatore settantasette volte sette. Dopo la distruzione della Torre di Babele i settanta (il sette decuplo) popoli della Terra si dispersero. Sette sono i peccati capitali. Sette le piaghe d'Egitto. Sette i doni che Gesù ha dato ai suoi discepoli e poi sette i principali primi padri della Chiesa di Cristo. Sette sono, nell' Apocalisse le trombe suonate dai sette angeli. Sette angeli versano da sette coppe sulla Terra l'ira del Signore, ecc.

 

     Del numero sette S. Agostino scrisse: "Anche della perfezione del numero sette si possono dire molte cose...: il primo numero intero dispari è tre, il quattro è un numero intero pari e dalla loro somma risulta il numero sette. Ecco perché si adopera spesso per indicare la totalità delle cose, come quando si dice: Il giusto cade sette volte e sette volte risorge; ossia cade ma non perirà, le sue cadute non sono peccati, ma imperfezioni che conducono alla umiltà. E sette volte ti loderò, espressione ripetuta altrove in questi termini: Avrò sempre la sua lode nella mia bocca. Nella sacra Scrittura si trovano molte altre frasi simili nelle quali il numero sette è usato per esprimere in tutte le cose l’universalità. Molte volte poi con questo numero viene indicato lo Spirito Santo, del quale il Signore ha detto: Egli vi ammaestrerà in ogni verità". 

 

     Nella cosmologia asiatica vi sono sette regni sotterranei. Il Corano afferma che sette sono le porte dell'inferno. 

 

     Secondo i Daiachi marittimi le vie che portano al regno dell'oltretomba sono settantasette moltiplicato sette. Le ruote solari, dovunque vengano rappresentate, sono provviste sempre di 16 (1+6=7) o 34 (3+4=7) raggi, sono sempre dei sette. Questo numero fu considerato sacro anche dagli Etruschi.

 

     I tradizionali Hai-Kai del Giappone, le strutture degli antichi poemi sacri, comprendevano scrive Pierre Carnac: "tre versi e 17 sillabe suddivise nel modo seguente: cinque sillabe nel primo verso, sette nel secondo ed altre cinque nell'ultimo. Lo schema sillabico dell'Hai-Kai è: 5 - 7 - 5. Abbiamo qui un vero cosmogramma. E' la successione 5 - simbolo del centro, 7 simbolo del tempo in evoluzione, 5 - centrale... 

 

     "Pertanto, esprimere l'uomo con i numeri 5 - 7 - 5 o 5 + 7 + 5 = 17 (progressivamente 5 - 12 - 17), significa nominarlo con il suo numero (essendo il 17 il numero della vita dell'uomo...). Ma questo 17 non è che una delle metà del 34. Ciò che dà più magnificenza al 34 è il fatto che in questo doppio 17 si nascondono anche due quadrati. Il 34 è la somma dei quadrati dei numeri tre e cinque (nove + venticinque= 34)" ancora sette. Sette erano i Maccabei, i savi dell'antica Grecia, gli eroi di Tebe, le città che assicuravano di aver dato i natali al poeta Omero. I filosofi ermetici parlano di "sette rettificazioni" o "sette distillazioni" riferendosi ai gradi dell'iniziazione. 

 

     Evola ne "La Tradizione ermetica" (cit.), così riassume: "Il numero sette nell’ermetismo, conformemente all’insegnamento tradizionale esoterico, esprime forme trascendeti, non-umane di coscienza e di energia che stanno a base delle cose <<elementate>>. La possibilità di un doppio rapporto rispetto ad esse spiega la dottrina dei due settenari, l’uno legato alla necessità, l’altro risolto nella libertà. Lo stato di corporeità fisica in cui si trova l’uomo è legato al mistero di questa differenziazione del settenario e, attraverso i <<centri di vita>>, contiene altresì il doppio potere delle chiavi: dell’ <<aprire>> e del <<chiudere>>, del solve et coagula ermetico. Purificazioni, distillazioni, circolazioni, denudamenti, calcinazioni, soluzioni, abluzioni, uccisioni, bagni, rettificazioni e via dicendo, in quanto direttamente o indirettamente collegate al numero sette, esprimono, nella letteratura tecnica ermetica, l’opera applicata ai poteri, per la loro trasposizione da un modo di essere ad un altro modo di essere, <<non umano>>". 

 

     La scienza dei numeri non è il frutto di immaginazioni stravaganti ma è una vasta corrente teorica nella quale, inizialmente, si fusero quattro fonti distinte: la filosofia greca, la Gnosi, la mistica ebraica, in particolare la Cabala con la sua concezione delle Sefiròt, i dieci numeri considerati emanazioni dell’En-Sof e, infine, il cristianesimo. Il numero articola anche il simbolo mandala, nella sua espressione di totalità, comprendente la conciliazione degli opposti, come nel "Caduceo" (16) ermetico e nello "Yin-Yang" (17). Il circolo sanscrito rappresenta "l’ordine primordiale della psiche totale" e in oriente "la contemplazione meditativa delle immagini yantra a forma di mandala, ...ha per scopo appunto di creare un ordine interiore nella persona in meditazione". Budda ha insegnato "Se fissi il tuo cuore su un solo punto, nulla ti sarà impossibile". L’iniziato "è ora aperto alla libera azione delle sue forze guida interiori... (...). ...l’anima o la volontà vera, agisce sul corpo spirituale come un fermento o un lievito, cambiando e colorando la personalità, e trasformandolo in oro" (18). Ora il nostro rapporto con l’anima primordiale è svelato. Ciò significa la conquista del tesoro, è l’aurum non vulgi, il lapis dei filosofi, il Kintan o pillola d’oro dell’alchimia cinese.

 

     E’ evidente che il soggetto della trasformazione è l’uomo medesimo, "ars totum requirit hominem", dicevano gli alchimisti. L’eroe solare è un uomo totale, che si è posto sopra le passioni, fuori dal turbinìo dei venti "La forza non crollavali de’ venti, né l’igneo sole co’ suoi raggi addentro li saettava, né le dense piogge penetravan tra lor..." (Odissea, canto V, verso 619) e la sua completezza è rinnovamento dell’uomo, che ha acquisito una superiore coscienza in-dividuale. 

 

     I miti rivelano l’essenza dell’anima e la sua necessaria evoluzione; non per niente molte leggende finiscono con le nozze del protagonista e, nell’opera rosacruciana "Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz", vi è narrato tutto il viaggio iniziatico di Rosenkreutz che, alla sua conclusione, porta alla "Pietra d’oro", alla illuminazione della coscienza. Dice Lu-tzu: "Se l’uomo riesce a raggiungere quest’Uno, egli vive; se lo perde muore" (19).

 

 

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

 

 

 Rudolf Steiner, La poesia delle fiabe alla luce della scienza dello spirito, Editrice Antroposofica, Milano 1981, pagg. 7, 13, 39.

Lu-tzu, Il mistero del fiore d’oro, Mediterranee, Roma 1976, pag. 72.

Eliade M., Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pag. 143.

Piantanida D., La chiave perduta, Templari e Rosacroce, Atanòr, Roma 1972, pag. 133.

Gangi G., I misteri esoterici, Mediterranee, Roma 1978, pag. 26.

Ibidem, pag. 59.

Evola J., La tradizione ermetica, Mediterranee, Roma 1971, pag. 45.

Minguzzi E., Alchimia, Milano 1976, pag. 57.

Gaster T. H., Le più antiche storie del mondo, Mondadori, Verona 1971, pag. 62.

Tocci V., Dizionario di mitologia, E. L. I., Casalfiumanese (BO) 1974, pag. 508.

Evola J., op. cit., pag. 229.

Martinengo G., Feste e giochi magici, Dellavalle, Torino 1971, pag. 39.

Albergamo F., Mito e magia, Guida, Napoli 1970, pag. 290 (15,2,15).

Gaster T.H., op. cit., pag. 37.

Dumézil G., Il libro degli eroi, Bompiani, Milano 1976, pag. 210.

Verga alata con due serpenti attorcigliati, con cui Mercurio componeva le liti.

Il taoismo considera lo Yin e lo Yang come i due grandi poteri, i due poli fra i quali qualsiasi manifestazione ha luogo. L’aspirazione fondamentale taoista è quella di armonizzare lo Yn e lo Yang sia all’interno di sé che nel mondo esteriore.

Cavendish R., La magia nera, Mediterranee, Roma 1972, vol. I, pag. 215.

Lu-Tzu, op. cit., pag. 70.

Zavatti S. (A cura di), Canti degli indiani d’America, Newton Campton, Roma 1977, pag. 181.

Evola J., op. cit., pag. 178.

 

   Giuseppe Cosco

 

 

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